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Differenza di genere: stereotipi e discriminazioni 20 maggio 2011 Donne in pubblico: il rapporto con le altre Elisabetta Camussi Dipartimento di Psicologia Università di Milano-Bicocca [email protected]

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Differenza di genere: stereotipi e

discriminazioni20 maggio 2011

Donne in pubblico:

il rapporto con le altre

Elisabetta Camussi

Dipartimento di Psicologia

Università di Milano-Bicocca

[email protected]

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STEREOTIPI E GENERIGender theory

„Riconoscimento dell‟esistenza di una sessualità socialmente costruita, le cui origini sono culturali e sociali, non semplicemente biologiche‟.

Tipizzazione sessuale/Androginia psicologica (Bem ‟74):

mascolinità e femminilità non sono più polarità opposte ma dimensioni indipendenti che possono anche coesistere.

Stereotipi di genere (Rosenkrantz, ‟68):

credenze consensuali sulle caratteristiche di personalità – da cui si inferiscono competenze – degli appartenenti ai due sessi.

Donne communal

Uomini agentic

(Bakan, 1966)‏

Stereotipi occupazionali (Comer, ‟92):

- l‟esistenza di professioni „femminili‟ o „maschili‟

- l‟adeguatezza allo svolgimento di determinate professioni sulla base dell‟appartenenza di genere.

Stereotipi e rappresentazioni sociali (Camussi e Leccardi, 2005):

- Normatività delle rappresentazioni sociali

- Dimensione consensuale

- Il ruolo dei gruppi di appartenenza

- Il rapporto con le pratiche (le strategie nel quotidiano)‏

Differenze inter-generi e intra-generi (Saraceno, „92):

- introdurre la differenza anche dentro i generi

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STEREOTIPI E GENERI

Lo studio degli stereotipi di genere:

• Lista di aggettivi (Williams e Bennett, 1975)‏

• Questionario PAQ (Spence et al. 1974)‏

• Teoria dei ruoli sociali (Eagly, 1987)‏

• Differenze individuali e tratti stereotipici (Costantinople, 1973)‏

• Teoria degli schemi di genere (Bem, 1981)‏

• Modelli multidimensionali (Fiske, 1991)‏

• Relazione tra meccanismi di attivazione e meccanismi di applicazione (Kunda e Spencer, 2003)‏

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STEREOTIPI E GENERI

Descrizioni condivise di caratteristiche ecomportamenti relativi alla femminilità e allamascolinità (Archer e Loyd, ‏(2002

PERVASIVI

LARGAMENTE CONDIVISI

RESISTENTI AL CAMBIAMENTO

(Dodge, Gilroy e Fenzi 1995)‏

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STEREOTIPI E PRESCRIZIONI DI RUOLO:

DONNE CATTIVE E CATTIVE DONNE

(Camussi, 2002)‏

Componente descrittiva (le donne come

sono)‏

Componente prescrittiva (le donne come

devono essere per essere davvero donne)‏

Etero-prescrizioni

Auto-prescrizioni

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ARCHETIPI DI DONNE AL LAVORO(Gherardi, 1997)‏

Le dee vulnerabili (una vita per gli uomini):

Era/Giunone (la moglie), la vera vita è altrove Demetra/ Cerere (la madre), l‟onnipotenza della cura Persefone/ Proserpina (la figlia), l‟eterna stagista

Le dee vergini (una vita senza uomini):

Artemide/Diana (sorella tra le sorelle), l‟arciera tesa alla meta Atena/Minerva (la figlia del padre), difende l‟ordine patriarcale Estia/Vesta (la zia zitella), trasforma il luogo di lavoro in una

“casa”

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LE DEE VULNERABILI (1)‏

Era (Giunone):- la moglie - il desiderio di essere compagna

Lavoro come secondario, la vera vita è altroveLa carriera è il matrimonio Il lavoro di cui parla non è il proprio ma quello

del maritoContribuisce con il proprio lavoro al successo

del marito (first lady)‏

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LE DEE VULNERABILI (2)‏

Demetra (Cerere):

- la madre - il desiderio di accudire

Simboleggia la gioia e il dolore che derivano dalla cura

In ufficio fa la “madre”

Si occupa del benessere psico-fisico dei colleghi

Se arriva a posizioni di autorità fa la “manager-chioccia”

Sindrome del burn out, non riesce a delegare

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LE DEE VULNERABILI (3)‏

Persefone (Proserpina):

- la figlia - il desiderio di dipendenza

Alle prime esperienze lavorative: curiosità,

ingenuità, entusiasmo

Disponibile ma incurante di scadenze, impegni,

obiettivi

Cambia spesso lavoro per essere sempre neofita

Il lavoro non è per lei un‟esperienza significativa

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LE DEE VERGINI (1)‏

Artemide (Diana): - la sorella - l‟indipendenza

competenza professionale autorevolezza determinazione ad ottenere e preservare il proprio spazio

organizzativo spietatezza (anche nel difendere le collaboratrici)‏ è l‟arciera tesa alla meta grande capacità di concentrarsi sull‟obiettivo gusto per la competitività individualista rigorosa che persegue l‟obiettivo senza cercare

sostegno nè di uomini né di donne

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LE DEE VERGINI (2)‏

Atena (Minerva):

- la figlia del padre - la razionalità

Rappresenta l‟ordine del padre e difende lo status quo

Donna che si schiera dalla parte del patriarcato

Capacità di controllo delle emozioni

Professionalità

Obiettività

Impersonalità

Pensiero logico e sviluppo di capacità specifiche

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LE DEE VERGINI (3)‏

Estia (Vesta):

- la zia zitella- l‟autonomia

Dea del focolare, nè amore nè guerra

Appartata dal mondo e dagli uomini

Trasforma il luogo di lavoro in una “casa”

Spesso si trova nelle organizzazioni no profit e nel volontariato

Lavora come se il tempo non contasse

Ritualizzazione del quotidiano e sacralizzazione dei gesti

Spesso “sposa” il lavoro pur non avendo ambizioni di carriera

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Una raccolta di piccole storie

Da‏“La‏cattiveria‏al‏lavoro”,‏di‏E.‏Camussi,‏in‏Le‏

parole per farlo (a cura di A. Nannicini),

DeriveApprodi, Milano, 2002

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Sull’autobus,

tornando da scuola

Studentesse dell’ultimo anno delle superiori, tornando a casa parlano tra loro

e delle altre. In questo caso le altre sono le compagne di scuola e l’oggetto è

la riuscita scolastica (quella che sarà un giorno la competenza

professionale?).

“Sì lo so, Chiara ha la media del 9. L’hai sentita oggi in Storia? Lei dice

sempre che non ha studiato, ma lo dice solo per non sembrare secchiona..”

“Sì ma anch’io avrei una media così se fossi come lei. Non ha il ragazzo,

niente amici, vive lì in quel paesino…Mettimi lì anche a me e vedrai che

media, senza nessuna distrazione…

“Però Giulia non è così….

“Sì, lei è insopportabile. Ha tutto, fa tutto, c’ha il ragazzo, esce ed è pure

brava… Non la reggo, non puoi neanche pensare che studia perché a lei non

la vuole nessuno…”

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Il marito o una seconda laurea?

40 anni, libera professionista. La incontro un pomeriggio al lavoro viene a

chiedermi un consiglio sull’opportunità o meno di iscriversi alla Facoltà di

Psicologia. Per lei, già laureata, la scelta per questa seconda laurea si

inserisce in una grossa opportunità professionale, capitata casualmente, ma

che rappresenterebbe una svolta rispetto alla situazione professionale attuale,

che non la soddisfa più.

Nel descrivermi la situazione, mi parla dei suoi desideri, delle sue speranze.

Poi, prima che io possa risponderle, mi guarda e dice “Perché sai, io non ho

avuto figli, la casa non mi piace tanto seguirla, il lavoro mi prende poco

tempo… Sì, lo so, potrei investire su mio marito però….…E’ che in realtà

quando penso a questo progetto ogni tanto mi dico: smettila, sei superba;

credi di essere più brava delle altre?. Perché invece non ti accontenti? (eppure

la proposta lavorativa era vera e appetibile…)

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Parole tra donne

Conducendo una giornata di formazione professionale con donne che

gestiscono e coordinano altre donne ho chiesto di provare a scrivere la lista

delle 10 frasi più utilizzate in ambito lavorativo. Il risultato – un po’

inquietante – mostra l’esistenza di uno stile fortemente condiviso anche tra

le donne di potere. Qualche esempio: “Puoi farmi questo piacere…(in

riferimento a richieste che rientrano nei compiti della persona)”; “Se ti

avanza tempo dovresti… (anche se si tratta di una questione necessaria e

urgente)”; “E intanto (mentre si sta facendo altro), dimmi, come sta il

bambino?”; “Scusami se te lo chiedo proprio in questi giorni in cui hai

difficoltà con i tuoi…”.

Interessante notare come quasi nessuna delle donne coinvolte dica di usare

questo stile per scelta (o per gentilezza ed educazione). Tutte dicono che non

possono fare diversamente, pena l’essere criticate e attaccate.

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Dal medico

Donna, 40 anni circa, specializzazione in medicina del lavoro.

Ci vado per una visita di routine. Alla domanda su eventuali sintomi ricorrenti

rispondo “mal di testa e mal di stomaco”. La dottoressa replica così: “Eh, voi

dell’università siete tutti così… è che lavorate troppo con la testa. Sa cosa le

dico? Secondo me le cure per lei sono queste: adesso che è assunta si faccia

almeno un figlio e vedrà che le passa tutto. E nel frattempo si dedichi a fare un

po’ di volontariato (come, dopo 12 anni di volontariato universitario?).

Soprattutto la sera poi, quando torna a casa dopo quelle giornate ferma al

computer, cerchi di sfogarsi: lavi, stiri, pulisca i pavimenti, freghi i vetri…

vedrà, è un toccasana.”

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Gennaio, tempo di saldi

Sono le 18,00 di venerdì, in un negozio di vestiti. Sono terminati i

sacchetti, il negozio è affollato, la coda alle casse si allunga. La capo

commessa chiede ad una delle dieci commesse presenti (a cui si era già

rivolta in precedenza, senza successo): “Laura, se ti avanza un attimo

potresti andare di sopra a prendere i sacchetti? Per cortesia, se non ti

spiace…”

Ma quanto contrasto tra quelle parole e la tensione aggressiva che

traspariva dal tono e dal volto! Anche perché lì c’era in gioco un contenuto

(lo svolgimento adeguato del proprio lavoro), non il mantenimento di una

buona relazione tra le due donne (anche a scapito del raggiungimento del

risultato..)

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Il lavoro e il piacere

Una sera un’amica al telefono mi ha detto: “Lo so che non si può dire, ma a

me lavorare piace, io vorrei lavorare ogni giorno anche fino alle otto di sera!

Solo che mi vergogno un po’ a dirlo in giro, soprattutto se ci sono altre

donne. Infatti al lavoro non lo dico mai e neanche alle mie amiche. Perché

poi mi dicono: ma che donna sei, che sai parlare solo di lavoro?!

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Le lavoratrici madri

Responsabile della formazione del personale di catena di ipermercati, 35 anni,

fino a sei mesi fa da sola gestiva tutto. Per la prima volta dall’inizio della

carriera ha assunto (in prova) una junior, inizialmente promettente, poi

rivelatasi inaffidabile. Dopo avere costantemente rimediato, nei mesi passati,

agli errori – anche grossolani – della giovane, la Responsabile, maternità

incipiente, è molto preoccupata di ciò che accadrà in sua assenza. Di fronte ad

una consulente – donna – che le suggerisce: “Anche per il suo bene, devi

mandarla via prima di andare in maternità. Chiedi al direttore del personale

che la sposti in un altro ufficio e che al suo posto ti faccia prendere l’altra

persona (che nel frattempo era stata comunque individuata.) Non puoi

rischiare che mentre sei via lei ti mandi a monte il lavoro di anni!”

La risposta: “Non posso farle una cosa del genere. Non mi perdonerebbe

mai... L’unica soluzione che mi viene in mente è di organizzare tutto prima di

andare via, così lei deve solo gestire le cose mentre io sono in clinica. Appena

esco riprendo tutto io da casa e poi ogni due giorni vengo qui”.

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Tornando al lavoro

Una neo laureata viene assunta per la “sostituzione maternità” della

responsabile dell’ufficio amministrazione di una piccola azienda. Nel

frattempo il lavoro aumenta al punto che il direttore del personale propone

alla responsabile, tornata alla lavoro, di tenere la neo-assunta come sua

assistente. In risposta la responsabile cosa fa? Da’ inizio ad una guerra

tremenda nei confronti dell’altra – la rivale! -a cui non perdona “La

mancanza di stile, l’assenza di perfezionismo e, soprattutto, il fatto che da

quando c’è lei non posso più avere il controllo totale sul lavoro di questo

ufficio”

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I LUOGHI DEL CAMBIAMENTO

L’esistente:

Il posto delle donne

La conciliazione che non c‟è

Il welfare: dov‟è?

Il possibile:

I livelli: individuale, di gruppo, sociale

Tra il non volere e il non potere

Pratiche e strategie da condividere

Donne acrobate e pioniere: i modelli possibili?

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LA MANO SUL SEDERE

“Un collega anziano e con una posizione accademicamente rilevante era

tornato da poco da un soggiorno in California dovre presumibilmente –

intuisco io – era stato esposto alla prima ondata di avvertimenti su cosa

fosse o non fosse politically correct. Dopo una riunione di lavoro, con un

gruppo di colleghi tutti uomini e più bassi in grado-prestigio, ci avviamo

verso l'uscita e, nell'aprirmi la porta per cedermi il passo, lui chiede, usando

il lei dal momento che i nostri rapporti sono molto formali: “Gradisce se le

apro la porta o reagisce come se le avessi messo una mano sul sedere?”.

Sembrava che non avessi via d'uscita perchè la domanda implicava che mi

definissi o come un'isterica femminista o come una dolce e gentil donna che

sa qual'è il suo posto in società e quindi in accademia. Decisi di rendere la

situazione caricaturale e con grande enfasi lo autorizzai formalmente non

solo ad aprirmi quella porta, ma anche tutti gli ostacoli e le porte che in

futuro potessero frapporsi sul mio cammino...”

Gherardi, S. (pp. 163-164,1997), Il Genere e le organizzazioni, Cortina

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Camussi, E. (2002), “La cattiveria al lavoro”, Camussi, in Le parole

per farlo (a cura di A. Nannicini), DeriveApprodi

Camussi, E. (2005),“Stereotypes of working women: the power of

expectations”, Camussi e Leccardi, Social Science Information, 44;113

Gherardi, S. (1997) “Il Genere e le organizzazioni”, Cortina