Don Pasquale - Teatro Alighieri

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Don Pasquale

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Don Pasquale

Don Pasquale

Ministero per i Beni e le Attività CulturaliRegione Emilia Romagna

Comune di RavennaAssessorato alla Cultura

Fondazione Ravenna Manifestazioni

le nuove proposte “Dicembre all’opera”

Teatro AlighieriStagione d’opera 2006/2007

MEMBRO DELL’ASSOCIAZIONE EUROPEA DEI FESTIVAL DI MUSICA

PresidenteMaria Cristina Mazzavillani Muti

Direzione ArtisticaMaria Cristina Mazzavillani Muti

Franco MasottiAngelo Nicastro

Fondazione Ravenna Manifestazioni

Soci della Fondazione

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Consiglio di Amministrazione

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VicepresidenteLanfranco Gualtieri

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SEGRETERIA E CONTRATTUALISTICA

Responsabile Lilia LorenziAmministrazione e contabilità Cinzia Benedetti, Paola NotturniSegreteria Maria Giulia Saporetti, Michela Vitali

UFFICIO PRODUZIONE

Responsabile Emilio VitaStefania Catalano, Giuseppe Rosa

SERVIZI TECNICI

Responsabile Roberto MazzavillaniCapo macchinisti Enrico RicchiMacchinisti Matteo Gambi, Massimo Lai,Francesco Orefice, Marco StabelliniCapo elettricisti Luca RuibaElettricisti Christian Cantagalli, Uria Comandini,Dario Gerbella, Valentina VenturiPortineria Giuseppe Benedetti, Marco De Matteis,Maria Tisselli

Fondazione Ravenna Manifestazioni

SovrintendenteAntonio De Rosa

Direttore Artistico Stagione d’operaAngelo Nicastro

Segretario generaleMarcello Natali

Responsabile amministrativoRoberto Cimatti

Don PasqualeDramma buffo in tre atti

libretto diGiovanni Ruffini

musica di

Gaetano Donizetti

nuova produzioneRavenna Festival

Giovanni Carnovali detto il Piccio. Ritratto di Gaetano Donizetti. Olio su tela, sec. XIX. (Milano, collezione Cavallari).A pag. 8, il Théâtre Italien di Parigi, luogo della prima rappresentazione di Don Pasquale il 3 gennaio 1843.

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Nota al libretto

La presente edizione del Don Pasquale si basa sul testo del libretto parigino stampato per la prima assoluta dell’operadi Donizetti, avvenuta al Théâtre Italien il 3 gennaio 1843 (Parigi, Dai torchi di Lange Levy e Comp., 1842), e sullaprima edizione italiana pubblicata pochi mesi dopo dallo stampatore milanese Gaspare Truffi per il debutto scaligerodel Don Pasquale. I due libretti non presentano differenze sostanziali, se non pochi ritocchi lessicali, la modifica didiverse didascalie, e alcuni blandi interventi di censura: “Pasquale da Corneto” diventa “Pasquale da Sorneto”; “queldiavolo incarnato” che è Norina diventa “quel diavolo sfacciato”; e i versi “certo far da regina / che mi viene la pelle digallina”, nella prima scena del terz’atto, si trasformano in “certo far da sultana / che il brivido mi vien della terzana”(cfr. Libretti d’opera italiani dal Seicento al Novecento, a cura di G. Gronda e P. Fabbri, Milano, Mondadori, 1997,pp. 1836-1837).Sono invece da segnalare alcune omissioni del testo librettistico nella partitura di Donizetti, qui riportate tra parentesiquadre ([ ]), e alcune integrazioni ai versi di Giovanni Ruffini indicate tra parentesi uncinate (‹ ›); solo in un caso, nellascena quinta del terz’atto, ci s’imbatte in una parafrasi del testo originale:

Libretto

DottoreIo son di sasso.

Don Pasquale(Riscaldandosi.)Corpo d’un satanasso,voglio vendetta.

DottoreÈ giusto.

Don PasqualeAssicurarla

sta i noi.

DottoreCome?

Don PasqualeAscoltate.

Partitura

DottoreIo son di sasso.

(Secondiamo.) Ma come! Mia sorellasì saggia, buona e bella…

Don PasqualeSarà buona per voi, per me non certo.

DottoreChe sia colpevol son ancora incerto.

Don PasqualeIo son così sicuro del delitto,che v’ho fatto chiamare espressamentequal testimonio della mia vendetta.

DottoreVa ben… ma riflettete…

Don PasqualeHo tutto preveduto… ma aspettate,

sediamo.

DottoreSediam pure.

(Minaccioso.)Ma parlate.

(Don Pasquale dà segni d’inquietudine.)

Ho un mio ripiego; ma sediam.(Siedono.)

Dottore

Parlate.

Nel libretto qui pubblicato, per maggior comodità del lettore, viene riportata la lezione della partitura. È assai proba-bile che le aggiunte al libretto di Ruffini siano di mano dello stesso Donizetti, abile verseggiatore e autore in proprio dialcuni libretti da lui stesso intonati: Le convenienze ed inconvenienze teatrali (1827), Il campanello e Betly (entrambidel 1836).

Il libretto

Caricatura di Donizetti. Litografia dalla rivista «Le charivari».

Don PasqualeDramma buffo in tre atti

di

Giovanni Ruffini

musica di

Gaetano Donizetti

PERSONAGGI

Don Pasquale, vecchio celibatario, tagliato all’antica, bassoeconomo, credulo, ostinato, buon uomo in fondo.

Dottor Malatesta, uomo di ripiego, faceto, intraprendente, baritonomedico e amico di don Pasquale, e amicissimo di

Ernesto, nipote di don Pasquale, giovine entusiasta, tenoreamante corrisposto di

Norina, giovane vedova, natura sùbita, sopranoimpaziente di contraddizione, ma schietta e affettuosa.

Un notaro basso

Coro di servi e cameriere.Maggiordomo, modista, parrucchiere, che non parlano.

L’azione si finge in Roma.

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ATTO PRIMO

Scena primaSala in casa di don Pasquale, con porta infondo d’entrata comune, e due porte lateraliche guidano agli appartamenti interni.Don Pasquale solo. Guarda con impazienzaall’orologio.

Don PasqualeSon nov’ore; di ritornoil Dottore esser dovria.

(Ascoltando.)Zitto… parmi… è fantasia,forse il vento che passò.

Che boccon di pillolina,nipotino, vi preparo!Vo’ chiamarmi don Somarose veder non ve la fo.

Dottore(Di dentro.)È permesso?

Don PasqualeAvanti, avanti.

Scena secondaEntra il dottor Malatesta.

Don Pasquale(Con ansietà.)

Dunque…?

DottoreZitto, con prudenza.

Don PasqualeIo mi struggo d’impazienza.

La sposina?

DottoreSi trovò.

Don PasqualeBenedetto!

Dottore(Che babbione!)

Proprio quella che ci vuole.Ascoltate, in due paroleil ritratto ve ne fo.

Don PasqualeSon tutt’occhi, tutto orecchie,muto, attento a udir vi sto.

DottoreBella siccome un angeloin terra pellegrino,fresca siccome il giglioche s’apre in sul mattino.Occhio che parla e ride,sguardo che i cor conquide,chioma che vince l’ebano,sorriso incantator.

Don PasqualeSposa simile! oh giubilo!Non cape in petto il cor.

DottoreAlma innocente e candida,che sé medesma ignora,modestia impareggiabile,dolcezza che innamora,ai miseri pietosa,gentil, buona, amorosa,

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il ciel l’ha fatta nascereper far beato un cor.

Don PasqualeFamiglia?

DottoreAgiata, onesta.

Don PasqualeCasato?

DottoreMalatesta.

Don PasqualeSarà vostra parente?

Dottore(Con intenzione.)

Alla lontana un po’.È mia sorella.

Don PasqualeOh gioia!

Di più bramar non so.E quando di vederla,quando mi fia concesso?

DottoreDomani sul crepuscolo.

Don PasqualeDomani? Adesso, adesso.Per carità, Dottore!

DottoreFrenate il vostro ardore.Quetatevi, calmatevi,fra poco qui verrà.

Don Pasquale(Con trasporto.)Da vero?

DottorePreparatevi,

e ve la porto qua.

Don PasqualeOh caro!(Lo abbraccia.)

Or tosto a prenderla.

DottoreMa udite…

Don PasqualeNon fiatate.

DottoreMa…

Don PasqualeNon c’è ma, volate,

o casco morto qua.(Gli tura la bocca e lo spinge via.)

Un foco insolitomi sento addosso,omai resistereio più non posso.Dell’età vecchiascordo i malanni,mi sento giovinecome a vent’anni.Deh! cara affrettati,dolce sposina!Ecco di bambolimezza dozzina

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veggo già nascere,veggo già crescere,a me d’intornoveggo scherzar.

Son rinato. Or si parli al nipotino.A fare il cervellinoveda che si guadagna.(Guarda nelle scene.)

Eccolo appunto.

Scena terzaErnesto e detto.

Don PasqualeGiungete a tempo. Stavoper mandarvi a chiamare. Favorite.

ErnestoSono ai vostri comandi.

Don PasqualeNon vo’ farvi un sermone,vi domando un minuto d’attenzione.È vero o non è veroche, saranno due mesi,io v’offersi la man d’una zitellanobile, ricca e bella?

ErnestoÈ vero.

Don PasqualePromettendovi per giunta

un buon assegnamento, e alla mia mortequanto possiedo?

ErnestoÈ vero.

Don PasqualeMinacciando,

in caso di rifiuto,diseredarvi, e a torvi ogni speranza,ammogliarmi, se è d’uopo?

ErnestoÈ vero.

Don PasqualeOr bene

la sposa che v’offersi or son tre mesi,ve l’offro ancor.

ErnestoNon posso; amo Norina,

la mia fede è impegnata…

Don PasqualeSì, con una spiantata,con una vedovella civettina…

Ernesto(Con calore.)Rispettate una giovinepovera, ma onorata e virtuosa.

Don PasqualeSiete proprio deciso?

ErnestoIrrevocabilmente.

Don PasqualeOr ben, pensate

a trovarvi un alloggio.

ErnestoCosì mi discacciate?

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Don PasqualeLa vostra ostinatezzad’ogni impegno mi scioglie:fate di provvedervi. Io prendo moglie.

Ernesto(Nella massima sorpresa.)Prender moglie?

Don PasqualeSì, signore.

ErnestoVoi…?

Don PasqualeQuel desso in carne e in ossa.

ErnestoPerdonate… lo stupore…La sorpresa… (oh questa è grossa!)Voi…?

Don Pasquale(Con impazienza.)

L’ho detto e lo ripeto.Io Pasquale da Corneto,possidente, qui presente,sano in corpo e sano in mente,d’annunziarvi ho l’alto onoreche mi vado ad ammogliar.

ErnestoVoi scherzate.

Don PasqualeScherzo un corno,

lo vedrete, al nuovo giorno.Sono, è vero, stagionato,

ma ben molto conservato,e per forza e vigoriame ne sento da prestar.

Voi, signor, di casa miapreparatevi a sfrattar.

Ernesto(Ci volea questa maniai miei piani a rovesciar!)

Sogno soave e castode’ miei prim’anni, addio.Se ambii ricchezze e fastofu sol per te, ben mio:povero abbandonato.Caduto in basso stato,pria che vederti misera,cara, rinunzio a te.

Don PasqualeMa veh, che originale!Che tanghero ostinato!Adesso, manco male,si par capacitato.Ben so dove gli duole,ma è desso che lo vuole,altri che sé medesimoegli incolpar non de’!

Ernesto(Dopo breve pausa.)Due parole ancor di volo.

Don PasqualeSon qui tutto ad ascoltarvi.

ErnestoIngannar si puote un solo:ben fareste a consigliarvi.

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Il dottore Malatestaè persona grave, onesta.

Don PasqualeL’ho per tale.

ErnestoConsultatelo.

Don PasqualeÈ già bello e consultato.

ErnestoVi sconsiglia!

Don PasqualeAnzi al contrario

mi felicita, è incantato.

Ernesto(Colpitissimo.)

Come? come? oh questa poi…

Don Pasquale(Confidenzialmente.)

Anzi, a dirla qui fra noi,la… capite?… la zitella,ma… silenzio… è sua sorella.

Ernesto(Agitatissimo.)

Sua sorella!! che mai sento?Del Dottore?

Don PasqualeDel Dottor.

Ernesto(Oh, che nero tradimento!Ahi, Dottore senza cor!)

Mi fa il destin mendico,perdo colei che adoro,in chi credevo amicodiscopro un traditor!

D’ogni conforto privo,misero! a che pur vivo?Ah! non si dà martoroeguale al mio martor!

Don PasqualeL’amico è bello e cotto,in sasso par cambiato,non fiata, non fa motto,l’affoga il crepacuor.

Si roda, gli sta bene,ha quel che gli conviene.Impari lo sventatoa fare il bello umor.

(Entrambi via.)

Scena quartaStanza in casa di Norina.Entra Norina con un libro alla mano, leggendo:

Norina‹“Quel guardo il cavalierein mezzo al cor trafisse,piegò il ginocchio e disse:son vostro cavalier.›

E tanto era in quel guardosapor di paradiso,che il cavalier Ricciardotutto d’amor conquisoal piè le cadde, e a leieterno amor giurò!”

So anch’io la virtù magicad’un guardo a tempo e a loco,

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so anch’io come si brucianoi cori a lento foco,d’un breve sorrisettoconosco anch’io l’effetto,di menzognera lagrima,d’un subito languor.

Conosco i mille modidell’amorose frodi,i vezzi, e l’arti facilionde s’adesca un cor.

Ho testa balzana,son d’indol vivace,scherzare mi piace,mi piace brillar.

Se vien la mattanadi rado sto al segno,ma in riso lo sdegnofo presto a cambiar.

E il dottor non si vede! Oh, che impazienza!Del romanzetto orditoa gabbar don Pasquale,ond’ei toccommi in fretta,poco o nulla ho capito, ed or l’aspetto…(Entra un servo, le porge una lettera, ed esce.Norina fuardando alla soprascritta.)La man d’Ernesto… io tremo.(Legge: dà cenni di sorpresa, poi di costerna-zione.)

Oh! me meschina!

Scena quintaDottore e detta.

Dottore(Con allegria.)Buone nuove, Norina,

il nostro stratagemma…

Norina(Con vivacità.)Me ne lavo le mani.

DottoreCome? che fu?

Norina(Porgendogli la lettera.)

Leggete.

Dottore(Leggendo.)“Mia Norina, vi scrivocolla morte nel cor.” Lo farem vivo.“Don Pasquale aggiratoda quel furfante…” Grazie!“da quella faccia doppia del Dottore,sposa una sua sorella,mi scaccia di sua casa,mi disereda in somma. Amor m’imponedi rinunziare a voi.Lascio Roma oggi stesso, e quanto primal’Europa. Addio. Siate felice. Questoè l’ardente mio voto. Il vostro Ernesto.”Le solite pazzie!

NorinaMa s’egli parte!…

DottoreNon partirà v’accerto. In quattro saltison da lui, della nostratrama lo metto a giorno, ed ei rimane,e con tanto di cor.

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NorinaMa questa trama

si può saper qual sia?

DottoreA punire il nipoteche opponsi alle sue voglie,don Pasqual s’è deciso a prender moglie.

NorinaGià mel diceste.

DottoreOr ben, io suo Dottore,

[usando l’ascendenteche una felice curami diè su lui, ne lo sconsiglio, e invano.]Vistolo così fermo nel proposto,cambio tattica, e tostonell’interesse vostro e in quel d’Ernestomi pongo a secondarlo. Don Pasqualesa ch’io tengo al convento una sorella,vi fo passar per quella –egli non vi conosce – e vi presentopria ch’altri mi prevenga;vi vede e resta cotto.

NorinaVa benissimo.

DottoreCaldo caldo vi sposa. Ho prevenutoCarlotto mio cuginoche farà da notaro. Al resto poitocc’a pensare a voi.Lo fate disperar: il vecchio impazza,l’abbiamo a discrezione…Allor…

NorinaBasta. Ho capito.

DottoreVa benone.

NorinaPronta son; purch’io non manchiall’amor del caro bene,farò imbrogli, farò scene,mostrerò quel che so far.

DottoreVoi sapete se d’Ernestosono amico, e ben gli voglio,solo tende il nostro imbrogliodon Pasquale a corbellar.

NorinaSiamo intesi. Or prendo impegno.

DottoreIo la parte ecco v’insegno.

NorinaMi volete fiera, o mesta?

DottoreMa la parte non è questa.

NorinaHo da pianger, da gridar?

DottoreState un poco ad ascoltar.

Convien far la semplicetta.

NorinaPosso in questo dar lezione.

(Contraffacendosi.)

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Mi vergogno, son zitella.Grazie, serva, signor sì.

DottoreBrava, brava, bricconcella!Va benissimo così.

NorinaCollo torto.

DottoreBocca stretta.

NorinaMi vergogno.

DottoreOh benedetta!

Va benissimo cosi.

A dueChe bel gioco! quel che restaor si vada

a combinar.or andate

A quel vecchio affé la testaquesta volta ha da girar.

NorinaGià l’idea del gran cimentomi raddoppia l’ardimento,già pensando alla vendettami comincio a vendicar.

Una voglia avara e crudai miei voti invan contrasta.Io l’ho detto e tanto basta,la saprò, la vo’ spuntar.

DottorePoco pensa don Pasqualeche boccon di temporalesi prepari in questo puntosul suo capo a rovinar.

Urla e fischia la bufera,vedo il lampo, il tuono ascolto,la saetta fra non moltosentiremo ad iscoppiar.

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ATTO SECONDO

Scena primaSala in casa di don Pasquale.Ernesto solo, abbattutissimo.

ErnestoPovero Ernesto! [Oh come in un sol puntomi veggo al colmo giuntod’ogni miseria!] Dallo zio cacciato,da tutti abbandonato,mi restava un amico,e un coperto nemicochiarisco in lui, che a’ danni miei congiura.[Ah! meglio, o Malatesta,io mertava da te! Ma non è questala mia più gran sventura.]Perder Norina, oh Dio![Questo è il sommo dei mali! e con che coreoffrirle un’esistenza,meco unita, di pene e d’indigenza?Ah no.] Ben feci a lei,d’esprimere in un foglio i sensi miei.Ora in altra contradai giorni grami a terminar si vada.

Cercherò lontana terradove gemer sconosciuto,là vivrò col cuore in guerradeplorando il ben perduto;ma né sorte a me nemica,né frapposti i monti e il mar,

ti potranno, o dolce amica,dal mio seno cancellar.

E se fia che ad altro oggettotu rivolga un giorno il core,se mai fia che un nuovo affettospenga in te l’antico ardore,

non temer che un infelicete spergiura accusi al ciel;

se tu sei, ben mio, felice,morrà pago il tuo fedel.

Ecco lo zio;(Guardando nelle scene.)

non veggail turbamento mio; per or s’eviti.(Esce.)

Scena secondaDon Pasquale in gran gala seguito da un servo.

Don Pasquale(Al servo.)Quando avrete introdottoil dottor Malatesta e chi è con lui,ricordatevi bene,nessuno ha più da entrar; guai se lasciaterompere la consegna. Adesso andate.(Servo via.)Per un uom sui settanta…(zitto che non mi senta la sposina)convien dir che son lesto e ben portante.Con questo boccon poidi toilette…(Si pavoneggia.)

Alcun viene…Eccoli. A te mi raccomando, Imene.

Scena terzaDottore conducendo per mano Nerina velata.

DottoreVia da brava.

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NorinaReggo appena…

Tremo tutta…

DottoreV’innoltrate.

(Nell’atto che il Dottore fa innoltrar Norinaaccenna colla mano a don Pasquale di metter-si in disparte. Don Pasquale si rincantuccia.)

NorinaAh fratel! non mi lasciate.

DottoreNon temete.

NorinaPer pietà!

(Appena Norina è sul davanti del proscenio, ilDottore corre a don Pasquale.)

DottoreFresca uscita di convento,natural è il turbamento.È per tempra un po’ selvatica,mansuefarla a voi si sta.

NorinaAh fratello!

DottoreUn sol momento.

NorinaSe qualcun venisse a un tratto!(Sta a vedere, vecchio matto,ch’or ti servo come va.)

Don PasqualeMosse, voce, portamento,

tutto è in lei semplicità.La dichiaro un gran portentose risponde la beltà!

NorinaAh fratello!

DottoreNon temete.

NorinaA star sola mi fa male.

DottoreCara mia, sola non siete,ci son io, c’è don Pasquale…

Norina(Con terrore.)

Come? un uomo! Ah, me meschina!Presto, andiam, fuggiam di qua.

Don Pasquale(Com’è cara e modestinanella sua semplicità!)

Dottore(Quella scaltra malandrinaimpazzire lo farà.)

(A Norina.)Non abbiate paura, è don Pasquale,padrone e amico mio,il re dei galantuomini.(Don Pasquale si confonde in inchini. Norinanon lo guarda.)(A Norina.)Rispondete al saluto.

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Norina(Fa la riverenza senza guardar don Pasquale.)Grazie, serva, signor.

Don Pasquale(Che bella mano!)

Dottore(E già cotto a quest’ora.)

Norina(Oh, che baggiano!)

(Don Pasquale dispone tre sedie; siedono. Dot-tore nel mezzo.)

Dottore(A don Pasquale.)(Che ne dite?)

Don Pasquale(È un incanto; ma quel velo…)

DottoreNon oseria, son certo,a sembiante scopertoparlare a un uom. Prima l’interrogate.Vedete se nei gusti v’incontrate.Poscia vedrem.

Don Pasquale(Capisco. Andiam, coraggio.)

(A Norina.)Posto ch’ho l’avvantaggio…(S’imbroglia.)Anzi il signor fratello…Il dottor Malatesta…Cioè… volevo dir…

Dottore(Perde la testa.)

(A Norina.)Rispondete.

Norina(Facendo la riverenza.)

Son serva, mille grazie.

Don Pasquale(A Norina.)Volea dir ch’alla serala signora amerà la compagnia.

NorinaNiente affatto. Al conventosi stava sempre sole.

Don PasqualeQualche volta a teatro?

NorinaNon so che cosa sia, né saper bramo.

Don PasqualeSentimenti ch’io lodo,ma il tempo uopo è passarlo in qualche modo.

NorinaCucire, ricamar, far la calzetta,badare alla cucina,il tempo passa presto.

Dottore(Ah malandrina!)

Don Pasquale(Agitandosi sulla sedia.)(Fa proprio al caso mio.)(Al Dottore.)(Quel vel per carità!)

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Dottore(A Norina.)

Cara Sofronia,rimovete quel velo.

Norina(Vergognosa.)Non oso… in faccia a un uom?

DottoreVe lo comando.

NorinaObbedisco, fratel.(Si toglie il velo.)

Don Pasquale(Dopo averla guardata, levandosi a un trattoe dando addietro come spaventato.)

Misericordia!

Dottore(Tenendogli dietro.)Che fu? dite…

Don PasqualeUna bomba in mezzo al core.

(Agitatissimo.)Per carità, dottore,ditele se mi vuole,mi mancan le parole,sudo, agghiaccio, son morto.

Dottore(Fate core.

Mi sembra ben disposta, ora le parlo.)(A Norina, piano.)Sorellina mia cara,

dite… vorreste? in brevequel signore…(Accenna don Pasquale.)

vi piace?

Norina(Con un’occhiata a don Pasquale che si ringal-luzza.)A dirlo ho soggezione…

DottoreCoraggio.

Norina(Timidamente.)

Sì. (Sei pure il gran babbione!)

Dottore(Tornando a don Pasquale.)Consente. È vostra.

Don Pasquale(Con trasporto.)

Oh giubilo!Beato me!

Norina(Te n’avvedrai fra poco!)

Don PasqualeOr presto pel notaro.

DottorePer tutti i casi dabiliho tolto meco il mio ch’è in anticamera;or l’introduco.(Esce.)

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Don PasqualeOh caro!

Quel Dottor pensa a tutto.

Dottore(Rientrando col notaro.)

Ecco il notaro.

Scena quartaNotaro e detti.Don Pasquale e Norina seduti.I servi dispongono in mezzo alla scena un tavo-lo coll’occorrente da scrivere. Sopra il tavolosarà un campanello. Notaro saluta, siede es’accinge a scrivere.Dottore in piedi, a destra del Notaro come det-tandogli.

DottoreFra da una parte et cetera,Sofronia Malatestadomiciliata et cetera con tutto quel che resta;e d’altra parte et ceteraPasquale da Cornetocoi titoli e le formolesecondo il consueto,entrambi qui presenti,volenti e consenzienti,un matrimonio in regolaa stringere si va.

Don Pasquale(Al notaro.)Avete messo?

NotaroHo messo.

Don PasqualeSta ben.

(Va alla sinistra del notaro.)Scrivete appresso.

(Come dettando.)Il qual prefato et cetera di quanto egli possiedein mobili ed immobili,dona tra i vivi e cedea titolo gratuitoalla suddetta et cetera sua moglie dilettissimafin d’ora la metà.

NotaroSta scritto.

Don PasqualeE intende ed ordina,

che sia riconosciutain questa casa e fuoripadrona ampia assoluta,e sia da tutti e singolidi casa riverita,servita ed obbeditacon zelo e fedeltà.

Dottore e Norina(A don Pasquale.)Rivela il vostro corequest’atto di bontà.

NotaroSteso è il contratto. Restanole firme…

Don Pasquale(Sottoscrivendo con vivacità.)

Ecco la mia.

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Dottore(Conducendo Norina al tavolo con dolce vio-lenza.)

Cara sorella, or via,si tratta di segnar.

NotaroNon vedo i testimoni,un solo non può star.

(Mentre Norina sta in atto di sottoscrivere, sisente la voce di Ernesto dalla porta d’ingresso.Norina lascia cader la penna.)

Ernesto(Di dentro.)Indietro, mascalzoni,indietro; io voglio entrar.

NorinaErnesto! or veramentemi viene da tremar!

DottoreErnesto! e non sa niente,può tutto rovinar!

Scena quintaErnesto e detti.Ernesto senza badare agli altri va dritto a donPasquale.

Ernesto(A don Pasquale con vivacità.)Pria di partir, signore,vengo per dirvi addio,e come a un malfattoremi vien conteso entrar!

Don Pasquale(A Ernesto.)S’era in faccende: giuntoperò voi siete in punto.A fare il matrimoniomancava un testimonio.

(Volgendosi a Norina.)Or venga la sposina!

Ernesto(Vedendola nel massimo stupore.)

(Che vedo? oh ciel! Norina!Mi sembra di sognar!)

(Esplodendo.)Ma questo non può star.

Costei…(Il Dottore che in questo frattempo si saràinterposto fra don Pasquale ed Ernesto, inter-rompe quest’ultimo.)

DottoreLa sposa è quella.

(Con intenzione marcata.)Sofronia, mia sorella.

Ernesto(Con sorpresa crescente.)

Sofronia! Sua sorella!Comincio ad impazzar!

Dottore(Piano ad Ernesto.)Per carità, sta’ zitto,ci vuoi precipitar.

(Piano a don Pasquale.)Gli cuoce: compatitelo,lo vo’ capacitar.

(Prende Ernesto in disparte.)

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Figliuol, non farmi scene,è tutto per tuo bene.Se vuoi Norina perderenon hai che a seguitar.

(Ernesto vorrebbe parlare.)Seconda la commedia,sta’ cheto e lascia far.

(Volgendosi alla comitiva.)Questo contratto adunquesi vada ad ultimar.

(Il dottore conduce a sottoscrivere prima Nori-na poi Ernesto, quest’ultimo metà per amoremetà per forza.)

Notaro(Riunendo le mani degli sposi.)Siete marito e moglie.

Don PasqualeMi sento a liquefar.

Norina e Dottore(Va il bello a cominciar.)

(Appena segnato il contratto Norina prende uncontegno naturale, ardito senza impudenza, epieno di disinvoltura.)

Don Pasquale(Facendo l’atto di volerla abbracciare.)Carina!

Norina(Respingendolo con dolcezza.)

Adagio un poco.Calmate quel gran foco.Si chiede pria licenza.

Don Pasquale(Con sommessione.)

Me l’accordate?

Norina(Seccamente.)

No.(Qui il notaro si ritira inosservato. DonPasquale rimane mortificatissimo.)

Ernesto(Ridendo.)Ah! Ah!

Don Pasquale(Con collera.)

Che c’è da ridere,signore impertinente?Partite immantinente,via, fuor di casa…

Norina(Con disprezzo.)

Oibò!Modi villani e rusticiche tollerar non so.

(A Ernesto.)Restate.(A don Pasquale.)

Le maniereapprender vi saprò.

Don Pasquale(Costernato al Dottore.)Dottore!

Dottore(Come sopra.)

Don Pasquale!

Don PasqualeÈ un’altra!

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DottoreSon di sale!

Don PasqualeChe vorrà dir?

DottoreCalmatevi,

sentire mi farò.

Dottore e Norina(In fede mia dal riderefrenarmi più non so.)

Norina(A don Pasquale.)Un uom qual voi decrepito,qual voi pesante e grasso,condur non può una giovinedecentemente a spasso.Bisogno ho d’un bracciere,

(Accennando Ernesto.)sarà mio cavaliere.

Don Pasquale(Con vivacità.)

Oh! questo poi scusatemi,oh questo esser non può.

Norina(Freddamente.)Perché?

Don Pasquale(Risoluto.)

Perché nol voglio.

Norina(Con scherno.)

Non lo volete?

Don Pasquale(Come sopra.)

No.

Norina(Facendosi presso a don Pasquale, con dolcez-za affettata.)Viscere mie, vi supplicoscordar questa parola.

(Con enfasi crescente.)Voglio, per vostra regola,voglio, lo dico io sola;tutti obbedir qui devono,io sola ho a comandar.

DottoreEcco il momento critico.

ErnestoLo stretto da passar.

Don PasqualeMa se…

NorinaNon voglio repliche.

Don Pasquale(Accennando Ernesto.)

Costui…

Norina(Instizzita.)

Taci, buffone.(Don Pasquale fa per parlare.)

Zitto; provato a prendertifinora ho colle buone.

(Facendoglisi presso con minaccia espressiva.)Saprò, se tu mi stuzzichi,

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le mani adoperar.(Don Pasquale dà indietro atterrito.)

Don Pasquale(Sogno…? veglio…? cos’è stato?Calci…? Schiaffi…? brava! bene!Buon per me che m’ha avvisato,or vedrem che cosa viene!Che t’avesse, don Pasquale,su due piedi ad ammazzar!)

DottoreÈ rimasto là impietrato.

ErnestoVegli o sogni non sa bene.

DottoreSembra un uomo fulminato,non ha sangue nelle vene.

(A don Pasquale.)Fate core don Pasquale,non vi state a sgomentar.

NorinaOr l’amico, manco male,si potrà capacitar.

ErnestoOr l’intrico, manco male,incomincio a indovinar.

(Norina va al tavolo, prende il campanello, esuona con violenza. Entra un servo.)

Norina(Al servo.)Riunita immantinentela servitù qui voglio.

(Servo esce.)

Don Pasquale(Che vuol dalla mia gente?)

Dottore ed Ernesto(Or nasce un altro imbroglio.)

(Entrano due servi e un maggiordomo.)

Norina(Ridendo.)

Tre in tutto! va benissimo,c’è poco da contar.

A voi. (Al maggiordomo.)

Da quanto sembramivoi siete il maggiordomo.

(Maggiordomo s’inchina.)[Esperto nel servizio,attivo, galantuomo,s’intende.] Vi comminciola paga a raddoppiar.

(Maggiordomo si confonde in inchini.)

Don PasqualeAddio quei quattro ruspi,son bello e rovinato!

Dottore ed ErnestoQuel diavolo incarnatotutte le va a cercar.

Norina(Al maggiordomo.)Ora attendete agli ordini,che mi dispongo a dar.

Di servitù novellapensate a provvedermi;sia gente fresca e bella,tale da farci onor.

[Parmi che due dozzine

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potran bastar per or.]

Don Pasquale(A Norina con rabbia.)Poi quando avrà finito…

NorinaNon ho finito ancor.

(Al maggiordomo.)Di legni un paio siastassera in scuderia,[uno leggero e basso,in quello andremo a spasso,l’altro più greve e solidoda viaggio servirà.]

Quanto ai cavalli poi,lascio la scelta a voi.[Siano di razza inglese,e non si badi a spese.Otto da tiro: dueda sella e basterà.]

La casa è mal disposta,la vo’ rifar di posta,sono anticaglie i mobili,si denno rinnovar.

Vi son mill’altre coseurgenti, imperiose,un parrucchier da scegliere,un sarto, un gioielliere,ma questo con più comododomani si può far.

Don Pasquale(Con rabbia concentrata.)Avete ancor finito?

Norina(Seccamente.)

No. (Al maggiordomo.)

Mi scordavo il meglio.Farete che servitosia per la quattro un pranzonel gran salon terreno.Sarem cinquanta almeno,Fate le cose in regola,non ci facciam burlar.

(D’un cenno congeda il maggiordomo cheparte coi servi.)

Dottore(Guardando don Pasquale.)(Il cielo si rannuvola.)

Ernesto(Comincia a lampeggiar.)

Norina(Volgendosi con calma a don Pasquale.)[Ecco finito.]

Don Pasquale[Grazie.]

Chi paga?

NorinaOh bella! voi.

Don PasqualeA dirla qui fra noinon pago mica.

NorinaNo?

Don Pasquale(Riscaldato.)Sono o non son padrone?

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Norina(Con disprezzo.)

Mi fate compassione.(Con forza.)

Padrone ov’io comando?

Dottore(Interponendosi a Norina.)

Sorella…

NorinaOr or vi mando…

(A don Pasquale con furia crescente.)Siete un villano, un tanghero…

Don Pasquale(Con dispetto.)

È vero; v’ho sposato.

Norina(Come sopra.)

Un pazzo temerario…

Dottore(A don Pasquale che sbuffa.)

Per carità, cognato.

NorinaChe presto alla ragionerimettere saprò.

(Don Pasquale è fuori di sé, vorrebbe e nonpuò parlare, la bile lo affoga.)

Don PasqualeSon tradito, calpestato,son di riso a tutti oggetto.

Quest’inferno anticipatonon lo voglio sopportar.

Dalla rabbia e dal dispettosto vicino a soffocar.

Norina(A Ernesto.)Or t’avvedi, core ingrato,che fu ingiusto il tuo sospetto.Solo amor m’ha consigliatoquesta parte a recitar.

(Accennando don Pasquale.)Don Pasquale, poveretto!è vicino ad affogar.

Ernesto(A Norina.)Sono, o cara, sincerato,momentaneo fu il sospetto.Solo amor t’ha consigliatoquesta parte a recitar.

(Accennando don Pasquale.)Don Pasquale, poveretto!è vicino ad affogar.

Dottore(A don Pasquale.)Siete un poco riscaldato,don Pasquale, andate a letto.

(A Norina, con rimprovero.)Far soprusi a mio cognato!Non lo voglio sopportar.

(Agli amanti, coprendoli perché don Pasqualenon li veda.)Ragazzacci, ma cospetto!non vi state a palesar.

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ATTO TERZO

Scena primaSala in casa di don Pasquale come nell’Atto I eII. Sparsi sui tavoli, sulle sedie, per terra, arti-coli di abbigliamento femminile, abiti, cappel-li, pelliccie, sciarpe, merletti, cartoni, etc.Don Pasquale seduto nella massima costerna-zione davanti una tavola piena zeppa di liste efatture; vari servi in attenzione.Dall’appartamento di donna Norina esce unparrucchiere con pettini, pomate, cipria, ferrida arricciare, etc., attraversa la scena, e viaper la porta di mezzo.

Cameriera(Facendosi sulla porta dell’appartamento didonna Norina ai servi.)I diamanti presto, presto.

Un servo(Annunziando.)

La scuffiara.

Seconda cameriera(Come sopra.)

Venga avanti.(La scuffiara portante un monte di cartoni vieneintrodotta nell’appartamento di donna Norina.)

Terza cameriera(Con pelliccia, grande mazzo di fiori, boccetted’odore che consegna a un servo.)

In carrozza tutto questo.

Quarta camerieraIl ventaglio, il velo, i guanti.

Quinta camerieraI cavalli sul momento

ordinate d’attaccar.

Don PasqualeChe marea! che stordimento!È una casa da impazzar!

(A misura che le cameriere danno gli ordini disopra, i servi eseguiscono in fretta. Ne nascetrambusto e confusione.)(Esaminando le note.)Vediamo: alla modistacento scudi. Obbligato! Al carrozziere,seicento. Poca robba!Nove cento e cinquanta al gioielliere.Per cavalli…(Getta le note con stizza e si alza.)

Al demonioi cavalli, i mercanti e il matrimonio!(Pensa.)Che cosa vorrà dir questa gran gala!Escir sola a quest’oraun primo dì di nozze[è un atto così fuor d’ogni ragionech’io marito e padrone]debbo oppormi a ogni modo ed impedirlo.Ma… si fa presto a dirlo.Colei ha certi occhiacci,certo far da regina[che mi viene la pelle di gallinasolamente a pensarvi.] Ah! don Pasqualechi te l’ha fatta far! Ad ogni modovo’ provarmi. Se poifallisce il tentativo… Eccola; a noi.

Scena secondaNorina e detto.Norina entra correndo, e senza badare a donPasquale, fa per escire. È vestita in grandissi-

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ma gala, ventaglio in mano.

Don PasqualeDove corre in tanta frettasignorina, vorria dirmi?

NorinaÈ una cosa presto detta,vo’ a teatro a divertirmi.

Don PasqualeMa il marito, con sua pace,non voler potria talvolta.

NorinaIl marito vede e tace,quando parla non s’ascolta.

Don Pasquale(Con bile crescente.)

A non mettermi al cimento,per suo bene, la consiglio.Vada in camera al momento.Ella in casa resterà.

Norina(Con aria di motteggio.)A star cheto e non far sceneper mia parte la scongiuro.Vada a letto, dorma bene,poi doman si parlerà.

(Va per uscire.)

Don Pasquale(Interponendosi fra lei e la porta.)Non si sorte.

Norina(Ironica.)

Veramente!!

Don PasqualeSono stanco.

NorinaSono stufa.

Don PasqualeCivettella!

Norina(Con gran calore.)

Impertinente.Prendi su che ben ti sta!

(Gli dà uno schiaffo.)

Don Pasquale(Ah! è finita, don Pasquale,più non romperti la testa.Il partito che ti resta,è d’andarti ad annegar.)

Norina(È duretta la lezione,ma ci vuole a far l’effetto.Or bisogna del progettola riuscita assicurar.)

(A don Pasquale.)Parto dunque…

Don PasqualeParta pure.

Ma non faccia più ritorno.

NorinaCi vedremo al nuovo giorno.

Don PasqualePorta chiusa troverà.

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NorinaVia, caro sposino,non farmi il tiranno,sii dolce e bonino,rifletti all’età.

Va’ a letto, bel nonno,sia cheto il tuo sonno.Per tempo a svegliartila sposa verrà.

Don PasqualeDivorzio! divorzio!Che letto, che sposa!Peggiore consorziodi questo non v’ha.

Ah! povero sciocco!Se duri in cervellocon questo martellomiracol sarà.

(Norina via.)(Nell’atto di partire, Norina lascia cadere unacarta, don Pasquale se ne avvede e la racco-glie.)

Don PasqualeQualche nota di cuffie e di merlettiche la signora semina per casa.(La spiega e legge.)“Adorata Sofronia.”(Nella massima ansietà.)Ehi! Ehi! che affare è questo!(Legge.)“Fra le nove e le dieci della serasarò dietro al giardino,dalla parte che guarda a settentrione.Per maggior precauzionefa’ se puoi d’introdurmipel piccolo cancello. A noi ricetto

daran securo l’ombre del boschetto.Mi scordavo di dirtiche annunzierò cantando il giunger mio.Mi raccomando. Il tuo fedele. Addio.”(Fuori di sé.)Questo è troppo; costeimi vuol morto arrabbiato!Ah! non ne posso più, perdo la testa!(Scampanellando.)Si chiami Malatesta.(Ai servi che entrano.)Correte dal Dottore,ditegli che sto mal, che venga tosto.(O crepare o finirla ad ogni costo.)(Esce.)

Scena terzaEntra coro di servi e cameriere.

TuttiChe interminabile andirivieni!Non posso reggere, rotte ho le reni.Tin tin di qua, ton ton di là,in pace un attimo mai non si sta.

Ma… casa buona montata in grande,si spende e spande, v’è da scialar.

DonneFinito il pranzo vi furon scene.

UominiComincian presto. Contate un po’.

DonneDice il marito, “Restar conviene”Dice la sposa “Sortire io vo’.”

Il vecchio sbuffa, segue baruffa.

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UominiMa la sposina l’ha da spuntar.

V’è un nipotino guastamestieri…

DonneChe tiene il vecchio sopra pensieri.

UominiLa padroncina è tutta foco.

DonnePar che il marito lo conti poco.

TuttiZitto, prudenza, alcun qui viene;si starà bene, v’è da scialar.

(Escono.)

Scena quartaDottore e Ernesto sul limitare della porta.

DottoreSiamo intesi.

ErnestoSta bene. Ora in giardino

scendo a far la mia parte.

DottoreMentr’io fo qui la mia.Soprattutto che il vecchionon ti conosca!

ErnestoNon temer.

DottoreAppena

venir ci senti…

ErnestoSu il mantello e via.

DottoreOttimamente.

ErnestoA rivederci.

(Ernesto esce.)

Dottore(Avanzandosi.)

Questarepentina chiamatami prova che il bigliettodel convegno notturno ha fatto effetto.(Guarda fra le scene.)Eccolo!… Com’è pallido e dimesso!Non sembra più lo stesso…Me ne fa male il core…Ricomponiamo un viso da dottore.

Scena quintaDon Pasquale abbattutissimo s’innoltra lenta-mente.

Dottore(Andandogli incontro.)Don Pasquale…

Don Pasquale(Con tristezza solenne.)

Cognato, in me vedeteun morto che cammina.

DottoreNon mi fate

languir. Che fu? Parlate.

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Don Pasquale(Senza badargli e come parlando a se stesso.)Pensar che, per un misero puntiglio,mi son ridotto a questo!Mille Norine avessi dato a Ernesto!

Dottore(Cosa buona a sapersi.)Mi spiegherete alfin…

Don PasqualeMezza l’entrata

d’un anno in cuffie e in nastri consumata!Ma questo è nulla.

DottoreE poi?

Don PasqualeLa signorina

vuol escire a teatro.M’oppongo colle buone,non intende ragione, e son deriso.Comando… e della man mi dà sul viso.

DottoreUno schiaffo!!

Don PasqualeUno schiaffo, sì signore!

‹Dottore(Coraggio.) Voi mentite:Sofronia è donna tale,che non può, che non sa, né vuol far male:pretesti per cacciarla via di casa,fandonie che inventate. Mia sorellacapace a voi di perdere il rispetto!

Don PasqualeLa guancia è testimonio: il tutto è detto.

DottoreNon è vero.

Don PasqualeÈ verissimo.

DottoreSignore,

gridar cotanto parmi inconvenienza.

Don PasqualeMa se mi fate perder la pazienza!

Dottore(Calmandosi.)Parlate adunque.(Fra sé.)

(Faccia mia, coraggio.)›

Don PasqualeMa questo è nulla, v’è di peggio ancora.Leggete.(Porge la lettera al Dottore che legge dandosegni di sorpresa crescente fino all’orrore.)

‹DottoreIo son di sasso.

(Secondiamo.) Ma come! Mia sorellasì saggia, buona e bella…

Don PasqualeSarà buona per voi, per me non certo.

DottoreChe sia colpevol son ancora incerto.

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Don PasqualeIo son così sicuro del delitto,che v’ho fatto chiamare espressamentequal testimonio della mia vendetta.

DottoreVa ben… ma riflettete…

Don PasqualeHo tutto preveduto… ma aspettate,sediamo.

DottoreSediam pure.

(Minaccioso.)Ma parlate.

(Don Pasquale dà segni d’inquietudine.)›

Don PasqualeCheti cheti immantinentenel giardino discendiamo;prendo meco la mia gente,il boschetto circondiamo,e la coppia sciagurata,a un mio cenno imprigionata,senza perdere un momentoconduciam dal podestà.

Che vi par del pensamento?

DottoreParlo schietto, non mi va.

Riflettete. La colpevolem’è sorella, è moglie vostra.Ah non stiamo l’onta nostrasu pei tetti a divulgar.

A dueEspediente più a propositoprocuriam d’imaginar.

DottoreIo direi… sentite un poco,noi due soli andiam sul loco,nel boschetto ci appostiamo,a suo tempo ci mostriamoe tra preghi, tra minacced’avvertir l’autorità,

ci facciam dai due promettereche la tresca ha fine là.

Don Pasquale che vi par?

Don Pasquale(Alzandosi.)

Perdonate, non può star.È siffatto scioglimentopoca pena al tradimento.Vada fuor di casa mia.Altri patti non vo’ far.

A dueÈ un affare delicato,vuol ben esser ponderato.La prudenza col rigorequi bisogna conciliar.

Dottore(A un tratto.)L’ho trovata!

Don PasqualeOh benedetto!

Dite presto.

DottoreNel boschetto

quatti quatti ci appostiamo,di là tutto udir possiamo.S’è costante il tradimento,su due piè s’ha da cacciar.

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Don PasqualeSon contento, va benone.

DottoreMa con patto e condizioneche l’intendo ad ottenerem’accordiate di poterefare e dire a nome vostrotutto quello che mi par.

Don PasqualeCarta bianca vi concedo,fate pur quel che vi par.

(Aspetta, aspetta,cara sposina,la mia vendettagià s’avvicina;già già ti preme,già t’ha raggiunto,tutte in un puntol’hai da scontar.

Vedrai se giovinoraggiri e cabale,sorrisi teneri,sospiri e lagrime.La mia rivincitami voglio prendere,sei nella trappola,v’hai da restar.)

Dottore(Il poverinosogna vendetta,non sa il meschinoquel che l’aspetta:invano freme,invano arrabbia,è chiuso in gabbia,

non può scappar.Invano accumulaprogetti e calcoli:non sa che fabbricacastelli in aria;non vede il sempliceche nella trappolada sé medesimosi va a gettar.)

(Escono insieme.)

Scena sestaBoschetto nel giardino attiguo alla casa di donPasquale; a sinistra dello spettatore gradinatache dalla casa mette in giardino, a dritta bel-vedere. Piccolo cancello in fondo.Ernesto e coro di dentro.

ErnestoCom’è gentil – la notte a mezzo april!È azzurro il ciel – la luna è senza vel:tutto è languor – pace, mistero, amor.Ben mio, perché – ancor non vieni a me?

Sembra che l’auraformi sospiri e accenti,del rio nel mormoresospiri e baci senti;

il tuo fedel – si strugge di desir;Nina crudel – mi vuoi veder morir!!

Poi quando sarò morto, piangerai,ma ritornarmi in vita non potrai.

Coro(Di dentro.)Poi quando sarà morto, piangerai,ma ritornarlo in vita non potrai.

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(Norina esce con precauzione dalla parte delbelvedere, e va ad aprire a Ernesto, che simostra dietro il cancello. Ernesto è avvolto inun mantello che lascerà cadere.)

Ernesto e NorinaTornami a dir che m’ami,

dimmi chemia

tu sei;mioquando tuo ben mi chiamila vita addoppi in me.

La voce tua sì cararinfranca il core oppresso:sicura

a te dappresso,sicurotremo lontan da te.

(Si vedono don Pasquale e il Dottore muniti dilanterne sorde entrar pian piano nel cancello,si perdono dietro agli alberi per ricomparire asuo tempo.)

Norina(Sommessamente.)Sento rumor.

ErnestoSon dessi…

NorinaComincia l’ultim’atto.

ErnestoSe perder ti dovessi!

NorinaFa’ cor, t’affida in me.

(Mentre don Pasquale e il Dottore ricompari-scono, Ernesto riprende il mantello e si scostaalquanto da Norina nella direzione della casadi don Pasquale.)

Don PasqualeEccoli; attenti ben…

DottoreMi raccomando…

Scena settimaDon Pasquale, Dottore e detti.

Don Pasquale(Sbarrando la lanterna in volto a Norina.)Alto là!

NorinaLadri, aiuto!

Don Pasquale(A Norina.)Zitto; ov’è il drudo?

NorinaChi?

Don PasqualeColui che stava

con voi qui amoreggiando.

Norina(Con risentimento.)

Signor mio,mi meraviglio, qui non v’era alcuno.

Dottore(Che faccia tosta!)

Don PasqualeChe mentir sfacciato!

Saprò ben io trovarlo.(Don Pasquale e Malatesta fanno indagini nelboschetto. Ernesto entra pian piano in casa.)

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NorinaVi ripeto

che qui non v’era alcun, che voi sognate.

DottoreA quest’ora in giardin che facevate?

NorinaStavo prendendo il fresco.

Don PasqualeIl fresco!(Con esplosione.)

Ah donna indegna,fuor di mia casa, o ch’io…

NorinaEhi, ehi, signor marito,su che tuon la prendete?

Don PasqualeEscite, e presto.

NorinaNemmen per sogno. È casa mia, vi resto.

Don PasqualeCorpo di mille bombe!

Dottore(Don Pasquale,

lasciate fare a me; solo badatea non smentirmi; ho carta bianca…)

Don Pasquale(È inteso.)

Norina(Il bello adesso viene!)

Dottore(Stupor misto di sdegno, attenta bene.)Sorella, udite, io parloper vostro ben; vorreirisparmiarvi uno sfregio.

NorinaA me uno sfregio!

Dottore(Benissimo.) Domani in questa casaentra la nuova sposa…

Norina(Come sopra.)

Un’altra donna!A me simile ingiuria!

Dottore(Ecco il momento di montare in furia.)(Don Pasquale tien dietro al dialogo con gran-de interesse.)

NorinaSposa di chi?

DottoreD’Ernesto, la Norina.

Norina(Con disprezzo.)Quella vedova scaltra e civettina!

Don Pasquale(Al Dottore.)Bravo Dottore!

DottoreSiamo

a cavallo.

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NorinaColei qui a mio dispetto!

Norina ed io sotto l’istesso tetto!(Con forza.)Giammai! Piuttosto parto.

Don Pasquale(Ah! lo volesse il ciel!)

Norina(Cambiando modo.)

Ma… piano un poco.Se queste nozze poi fossero un gioco!Vo’ sincerarmi pria.

DottoreÈ giusto.(A don Pasquale.)

(Don Pasquale non c’è via;qui bisogna sposar quei due davvero,se no costei non va.)

Don Pasquale(Non mi par vero.)

Dottore(Chiamando.)Ehi! di casa, qualcuno,Ernesto…

Scena ultimaErnesto, e servi.

ErnestoEccomi.

DottoreA voi

accorda don Pasquale

la mano di Norina, e un annuo assegnodi quattromila scudi.

ErnestoAh! caro zio!

E fia ver?

Dottore(A don Pasquale.)

(D’esitar non è più tempo,dite di sì.)

NorinaM’oppongo.

Don PasqualeEd io consento.

(A Ernesto.)Corri a prender Norina,e d’unirvi io m’impegno in sul momento.

DottoreSenz’andar lungi la sposa è presta,

Don PasqualeCome? spiegatevi…

DottoreNorina è questa.

Don PasqualeQuella?… Norina…? che tradimento!!Dunque Sofronia…

DottoreDura in convento.

Don PasqualeE il matrimonio…?

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DottoreFu un mio pensiero.

Stringervi in nodi di nullo effetto,il modo a torvi di farne un vero.È chiaro il resto del romanzetto.

Don PasqualeAh bricconissimi… (Vero non parmi!Ciel ti ringrazio!) Così ingannarmi!Meritereste…

NorinaVia, siate buono.

Ernesto(Inginocchiandosi.)

Deh! zio, movetevi!

Norina(Come sopra.)

Grazia, perdono!

Don PasqualeTutto dimentico, siate felici,com’io v’unisco, v’unisca il ciel!

NorinaLa moral di tutto questoè assai facile trovar,

ve la dico presto prestose vi piace d’ascoltar:

ben è scemo di cervellochi s’ammoglia in vecchia età;

va a cercar col campanellonoie e doglie in quantità.

Don PasqualeLa morale è molto bella,applicarla a me si sta.

Sei pur fina, o bricconcella,m’hai servito come va.

Dottore e ErnestoLa morale è molto bella,don Pasqual l’applicherà.

Quella cara bricconcellalunga più di noi la sa.

Il soggetto

di Tarcisio Balbo

Scena dalla prima rappresentazione del Don Pasquale, Parigi, Théâtre Italien, gennaio 1843.

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Atto primoSala in casa di don Pasquale. L’anziano e benestante scapolo don Pasquale daCorneto è in trepida attesa del dottor Malatesta,amico suo e di Ernesto, nipote di don Pasquale.(Introduzione: “Son nov’ore: di ritorno”) Al suoarrivo, il Dottore annuncia di aver finalmentetrovato una sposa per don Pasquale: questiinfatti medita di ammogliarsi e diseredare Erne-sto il quale, innamorato della giovane vedovaNorina, rifiuta la vecchia e ricca zitella propo-stagli dallo zio. La sposa, di cui Malatesta siaffretta a cantare le lodi (“Bella siccome unangelo”), è nientemeno che la sorella dello stessoDottore, Sofronia, fino ad allora rinchiusa inconvento. All’annuncio don Pasquale, al colmodella felicità (“Un foco insolito”), manda difilatoil Dottore a chiamare la sorella per combinaresubito il matrimonio, e comunica a Ernesto leultime novità (Duetto: “Prender moglie! – Sì,signore”). Questi, dapprima stupito alla notiziadel prossimo matrimonio dello zio, si dispera,poiché non potrà più offrire a Norina una vitafelice, e poiché è stato tradito dal dottor Malate-sta che riteneva amico (“Sogno soave e casto” –“Mi fa il destin mendìco”).

Stanza in casa di Norina. Norina, impegnata nella lettura di una storiad’amore, riflette su quanto potenti siano le gra-zie femminili nell’incantare gli uomini (Cavati-na: “Quel guardo il cavaliere” – “So anch’io lavirtù magica”). Una lettera con cui Ernesto leannuncia di voler presto lasciare Roma e l’Ita-lia la mette in agitazione, ma il provvidenzialearrivo di Malatesta la rassicura: il Dottore haimbastito un inganno di cui mette a parte la gio-vane: Norina si spaccerà per Sofronia, si farà

sposare – per finta – da don Pasquale, e poi lofarà a tal punto impazzire da costringerlo aripudiarla per poi concedere a Ernesto di spo-sare la propria innamorata. Norina accogliecon gioia la proposta del Dottore, e cominciada subito a provare la propria parte (DuettoFinale I: “Pronta io son, pur ch’io non man-chi” – “Vado, corro al gran cimento”).

Atto secondoSala in casa di don Pasquale.Ernesto, affranto, si prepara mestamente apartire (Aria: “Cercherò lontana terra”). DonPasquale, in abito di gala, attende ansioso lapromessa sposa, che giunge velata e tremanteassieme al dottor Malatesta (Terzetto: “Via, dabrava. – Reggo appena…”). Norina-Sofroniarecita da attrice consumata: si finge timida, ine-sperta, silenziosa, economa… Don Pasquale neè conquistato, la prega di togliersi il velo, e avederne il volto resta sconvolto dalla bellezzadella novella sposa: subito chiede che si chiamiil notaio per concludere il contratto di nozze;questi, che arriva all’istante, altri non è cheCarlotto, cugino del dottor Malatesta (Quartet-to – Finale II: “Fra da una parte etcetera”).Appena firmato il contratto, per il quale fungeda testimone lo stesso Ernesto – giunto all’im-provviso e messo a parte in extremis della burlaordita da Malatesta –, accade l’imprevedibile:la presunta Sofronia cambia improvvisamenteatteggiamento, respinge l’abbraccio del novellomarito, comincia subito a impartire ordini, edice chiaro e tondo a don Pasquale che d’orainnanzi sarà solo lei a dettar legge in casa. Ilpovero don Pasquale resta impietrito alle deci-sioni della giovane sposa che raddoppia la paga

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al maggiordomo (“Sogno…? veglio…? cos’èstato?”), ordina di assumere nuova servitù, diacquistare due calessi, nuovi cavalli, nuovimobili… Don Pasquale, che invano tenta diopporsi, è al limite del collasso, e per giuntainsultato da Norina-Sofronia (“Son tradito, cal-pestato”) assiste impotente allo sfacelo dellapropria casa mentre i due giovani innamorati –coperti dal Dottore, che consiglia a donPasquale di ritirarsi e finge di rimproverare lasorella – si scambiano dolci tenerezze.

Atto terzoSala in casa di don Pasquale. Don Pasquale assiste ormai impotente alla con-fusione che imperversa nella propria casa, inva-sa da servi e fornitori di ogni tipo (Coro: “I diamanti presto, presto”), e siede dapprimaattonito, poi infuriato, davanti al mucchio deiconti da pagare. Quando Norina annuncia alvecchio di voler andare a teatro (Duetto: “Signo-rina, in tanta fretta”), il povero don Pasqualeprotesta, minaccia inutilmente, e finisce ancheper buscarsi uno schiaffo da Norina, che pergiunta non esita a canzonarlo (“Via caro sposi-no”). Nell’atto di uscire, Norina lascia cadereuna lettera, prontamente raccolta da donPasquale che legge, e scopre trattarsi di un mes-saggio dell’amante di Norina (in realtà la letterafa parte dell’inganno ordito da Malatesta):occorre parlare subito col Dottore! Partito donPasquale, i servi spettegolano sulla coppia dinovelli sposi (Coro: “Che interminabile andiri-vieni”); nel frattempo, Malatesta finisce d’istrui-re Ernesto su come concludere l’inganno.Partito il giovane, rientra don Pasquale, affran-to e prostrato, che racconta al Dottore gli ultimi

avvenimenti; i due si accordano per sorprenderein flagrante gli amanti e dar loro la giusta puni-zione (Duetto: “Cheti cheti, immantinente”):Norina verrà ripudiata, a patto che don Pasqua-le dia al Dottore piena libertà d’azione. DonPasquale pregusta la vendetta, mentre Malatestase la ride di sottecchi (“Aspetta, aspetta”).

Boschetto nel giardino attiguo alla casa di donPasquale.Ernesto, in attesa di Norina, canta una serenata(Serenata e Notturno: “Com’è gentil la notte amezzo april!”), e al suo canto si aggiunge quellodi Norina, nel frattempo uscita da casa (“Torna-mi a dir che m’ami”). All’arrivo di don Pasqualee Malatesta, Ernesto si dilegua, mentre Norinaaffronta don Pasquale in cerca del proprio riva-le. Alla fine interviene il Dottore: in casa di donPasquale arriverà presto Norina, destinata asposare Ernesto, e perciò occorre che Sofronialasci la casa. Dapprima indispettita, la fintaSofronia accetta a patto che ella si accerti perso-nalmente delle nuove nozze. Viene chiamato infretta Ernesto, cui Malatesta annuncia il matri-monio e un assegno annuo di 4000 scudi da partedi Don Pasquale. Questi vorrebbe subito cele-brare le nuove nozze, ma manca la sposa; Mala-testa svela allora l’inganno (Rondò finale:“Senz’andar lungi, la sposa è questa”): Sofroniae Norina sono la stessa persona, e lui stesso haorganizzato la bufala a fin di bene. Dopo che idue giovani hanno chiesto perdono, DonPasquale, felice per essersi liberato di Sofronia,benedice i due giovani, e a Norina tocca enuncia-re la morale della storia: “ben è scemo di cervel-lo / chi s’ammoglia in vecchia età; / va a cercarcol campanello / noie e doglie in quantità”.

I miracoli dell’ultimo stile

di Marco Grondona

Qui e alle pagine seguenti, bozzetti di Gabriella Pescucci per i costumi del Don Pasquale.

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quasi lucis viaeLuciolae dicatum

Per il Don Pasquale, datato 1843 e dunque di dirittoappartenente allo Spätstil, Donizetti (1797-1848)prese quella che in secoli di teatro era stata la deci-sione migliore, raccomandata da Orazio e scrupolo-

samente seguita dal Metastasio – come dire, dei librettisti chi dipiù se ne intendeva e fece maggior fortuna – strappando alrepertorio inesauribile dei communia (ecco il termine dell’Arspoetica, “le storie non intatte e perciò di proprietà indivisa”) unsoggetto di trent’anni prima, Ser Marcantonio di Angelo Anelliintonato per Parigi dal Pavesi nel 1808 e destinato a furoreggia-re due anni dopo alla Scala. V’era l’intenzione di trarre tutto ilvantaggio possibile risistemando una favola provata in scena,questo sì, ma certamente nessuna voglia di misurarsi con unsuccesso solo relativamente recente.L’intreccio: il vecchio don Pasquale, “buffo di voce non moltoacuta”, pretende sposarsi e cerca un fior di ragazza a dispettodegli anni per farsi la prole allontanando da casa il nipote Erne-sto, “tenore acuto assai”, innamorato pazzo della giovane vedo-va Norina a mal grado dello zio; l’incoraggia Malatesta, ildottore, “baritono giocoso eccellente attore”,1 e tanto gli descri-ve le virtù della sposa promessa (che dev’essere proprio Norinasotto il falso nome di Sofronia) da suscitarne gli ardori improv-visi. S’organizza perciò alla bell’e meglio un finto matrimonio,si mette a parte Ernesto della trama, e la sposa novella impen-sierisce subito quel “buon uomo tagliato all’antica” riuscendo inun minuto a fargli maledire le nozze. Mettici uno schiaffo diNorina e un biglietto dove promette rendez-vous ad un giovaneamante per quella stessa sera (il sipario s’era aperto alle nove el’aristotelica unità di tempo – ma chi ci pensa? – è salva):2 tuttogli consiglia vendetta. Così in giardino assieme a Malatestainterrompe il tenero Notturno degli amanti – Ernesto la scampae Sofronia si rivela Norina – per ricomporne un attimo dopo lamalinconica e nobile conciliazione: “Tutto dimentico, siate feli-ci, / com’io v’unisco v’unisca il ciel!”

Caricatura di Luigi Lablache,primo interprete di Don Pasquale.Incisione di Celestin Nanteuil.

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La scrittura del capolavoro – ci sia permessotanto precoce e ben che preventivo giudizio divalore – prese poco tempo, a sentire il maestroappena undici giorni, e sarà data da prendersiper buona almeno rispetto all’“invenzione”anche se dobbiamo ammettere almeno un altromese e mezzo di lavoro quanto a sistemazione,revisioni ed organico. Procedeva tanto di con-serva col librettista Giovanni Ruffini, il geno-vese noto per il fortunato Dottor Antonio(1855), da permetterci un calendario esattoproprio a partire dalle lettere del “poeta”: “Micapita in questo momento Accursi – scrive allamamma il penultimo di settembre del ’42 – ilquale mi mette sottosopra; ha bisogno di me,vuol portarmi giù a far colazione con lui; mipone insomma tanta fretta in corpo che non sopiù quello che mi scriva”.3 Si tratta proprio delDon Pasquale e Michele Accursi doveva fareda mediatore: “Essendo a Parigi il maestroDonizetti e scrivendo un’opera buffa l’argo-mento della quale è stato già trattato, ha pro-vato il bisogno d’uno scalpellino facitor di versiper raffazzonare il libretto antico. […] Michelenon mi lascia tregua, e vorrebbe ch’io gli por-tassi pezzi da mettere in musica non tutti i gior-ni, come faccio, ma tutte l’ore. La sua facilità efecondità è prodigiosa: un lungo duetto te lospiffera in un’ora; e bello, quel che è più” (è ilcinque d’ottobre);4 “il lavoro procede a passodi carica e siamo avanti molto. Ho mangiato lafoglia, come si dice: non si tratta né di far benené di far mediocremente ma di far presto. Esia, purché ci sia il numero dei piedi tiro giùalla carlona” (undici ottobre).5 “La macchinaversificatoria continua a macinare quella dataquantità per giorno”, tanto che appena il 25

annnuncia: “il mio opus magnum tocca ormaialla sua fine; sempre brodo lungo, s’intende.Non mi restano più ad accozzare che una cin-quantina di versi di recitativo e un rondò fina-le d’una dozzina di versi al più il quale mi fasudare sangue e acqua”;6 l’ultima delle sei pre-tese versioni della “morale” il compositorel’ebbe alle dieci di sera del sette dicembre, e lamusicò poco dopo anche se quel testo pareva alpoeta “il peggiore di quanti ne ho fatto”.7

Donizetti da parte sua certificò senza vanto untempo brevissimo: “entro in ripetizione conun’opera nuova buffa che mi costò più di diecigiorni di fatica”;8 ad Antonio Vasselli scrive perburla di sé stesso in terza persona: “l’opera gliè costata una pena immensa (undici giorni);ora a Vienna darà il Duello sotto Richelieu [sc.Maria di Rohan] (otto giorni di travaglio, gior-ni contati); siete pregato di non raccontare imiei segreti, perché già il pubblico o non licrede od immagina che sia musica buttata giù:figuratevi se l’autore buttava giù per Parigi oper Vienna!”;9 “diciannovemila franchi inundici giorni! colpo di fortuna, voilà tout”.10

Il 28 novembre le prove cominciarono a parti-tura evidentemente incompiuta 11 e il 3 gennaiodell’anno nuovo il dramma buffo andò festosa-mente in scena al Teatro degli Italiani. La faci-lità di scrittura, che come si sa garantì aqualcuno il titolo del prodige – il giovaneMozart è fra costoro il più noto – ebbe menofortuna nella bibliografia donizettiana, cuiperaltro una lettera del maestro avrebbe dovu-to aprire la strada: “Sai tu che in ventiquat-tr’ore ho fatto due atti (non strumentati, veh!)?quando il soggetto piace il core parla, la testavola, la mano scrive”.12

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Perché non seguire con maggior convinzione la traccia esegeticafondata da Giuseppe Mazzini nel 1836? Penso al libello sullaFilosofia della musica, un pamphlet degno a parer mio di benaltra considerazione che non gli venga solitamente riservata,facendone tutt’uno con la congerie di saggi sull’Opera de causiscorruptae musicae.L’anno di stesura è quello che vede Rossini chiuso da sette anninel suo “silenzio”,13 Donizetti scrivere Il campanello fresco delsuccesso di Lucia di Lammermoor (1835), quando ne mancanoappena tre all’esordio di Verdi (Oberto, conte di San Bonifacio,Milano, 17 novembre 1839) e sei alla consacrazione del Nabucco(1842). Il saggio mazziniano dunque nasce a ridosso del primoVerdi, conosce i sintomi della decadenza, s’ostina caparbio emagnanimo a profetare un genio che adempia il progresso inci-piente dell’opera italiana:

Quando l’elemento costituivo di un’arte, il concetto che lo predomina,ha raggiunto il maggior grado di sviluppo possibile, ha toccato la piùalta espressione a cui gli sia dato salire e gli sforzi per superarla n’e-scono inutili anche dove chi tenta è potente davvero, quell’elemento èirrevocabilmente consunto, quel concetto esaurito. […] L’ostinarsi afar di quel concetto il fondamento esclusivo dell’arte e a voler trarreda quell’unico elemento la sorgente di vita, è follia; è un fraintenderela legge che regola i destini dell’arte.14

Seguono poco meno di venti brillantissime pagine sulle ragioni deldeclino, finalmente rischiarate da una fede improvvisa: “E venneRossini. Rossini è un titano. Titano di potenza e d’audacia. Ros-sini è il Napoleone d’un’epoca musicale […]. Trovò nuove mani-festazioni al pensiero dell’epoca: [...] lo espose, lo svolse, lotormentò fin che l’ebbe esaurito. Non lo varcò. Più potente difantasia che di profondo pensiero, o di profondo sentimento,genio di libertà e non di sintesi, intravvide forse, non abbracciòl’avvenire”.15 E siccome “urge – continua il Mazzini – l’emancipa-zione da Rossini e dall’epoca musicale ch’ei rappresenta” perché“ha conchiusa, non incominciata una scuola” esaurendone “lostadio di vitalità”,16 si devono con maggiore ingegno individuare iluoghi dell’azione fissandone con la musica il carattere (a),17

strappare al conio generico dei ruoli vocali i personaggi (b) 18 fra Norina.

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cui il coro, figura “solenne ed intera dell’ele-mento popolare” (c),19 magari individuandolicon qualcosa non tanto diverso dal wagnerianoLeitmotiv (d).20 È giusto inoltre allungare ladurata dello spettacolo (e) 21 e ciò diverrà possi-bile solo quando il recitativo obbligato prenderàpiù spazio contro arie, cavatine e da capo (f).22

Per tutte queste ragioni sullo scorcio degli anniTrenta v’è forse qualcosa di più d’una speranza:almeno un maestro fra quelli che militano sottole bandiere del rossinismo potrebbe fondare “lascuola musicale italo-europea”:

Parlo di Donizetti, l’unico il cui ingegno altamenteprogressivo riveli tendenze rigeneratrici, l’unicoch’io mi sappia sul quale possa in oggi riposare conun po’ di fiducia l’animo stanco e nauseato del volgod’imitatori servili che brulicano in questa nostra Ita-lia. […] Egli è ben altro imitatore che non furono esono quanti scrittori di drammi musicali ha l’Italia, omeglio egli è più che imitatore seguace. Egli ha adot-tato e seguito sinora il sistema di Rossini non pertedio di studio, non per impotenza d’ispirazione,bensì per intimo convincimento. […] La potenza conche Donizetti ha calcata la via di Rossini, è indiziod’altra potenza che non s’è rivelata finora, il genio diDonizetti s’è, come dissi, dimostrato sin qui progres-sivo e nessuno può dire a qual punto ei s’arresterà.23

Infine un’analisi della carriera e del progressostilistico che culminando coll’apologia delrecentissimo Marin Faliero (1835) gli fa con-cludere, dovesse il musicista bergamasco fallireil risveglio, “quegli era potente a conquistarloavesse voluto davvero”.24

La concezione storiografica è puramente biologi-ca, quella classica per intenderci d’Aristotele e diPlinio che vedevano finita l’arte là dove il genione aveva realizzato ogni potenza (consummare èla parola illustre del teorico, cioè “mettere in atto

la somma di ogni possibile”) in una vicenda inter-minabile di arcaici, classici e decadenti. Forseper questo il talento di Donizetti “moderno”affascina tanto Mazzini, perché protagonista tut-tora pieno d’un progresso di cui non s’intravve-de ancora il culmine. Sono righe che andrebberomeditate premurosamente, piuttosto che darsialla sinossi con Bellini, insidiosa perché caraanche a chi finge rimuoverla. E ci aiuterebbero acapire la presa immediata e cordiale di tantepagine, anche nell’opera buffa del ’43. Il ritmo, ad esempio, il tempo ternario cosìonnipresente. In un convegno bergamasco del1975 che oggi può sembrarci prodezza di pio-nieri e portò invece contributi preziosi, Bar-blan azzardò nel dibattito:

Vorrei parlare circa la questione del tempo ternario.Molte volte mi sono posto la domanda sull’originedel fatto che Donizetti ne faccia uso e Bellini no: […]non sarà stata una maggiore penetrazione del valzerin Italia a creare questa specie di ritmo portante suquesto primo quarto che ingoia gli altri e li rende piùaggressivi, più potenti, più esplosivi? […] C’è uninteriore sentire ternario ch’è certamente menotranquillo del ritmo binario.25

Gli dettero sulla voce. Eppure in partiturasopra l’Allegro nel coro di III.3 (al verso “Quelnipotino guastamestieri”) leggi Tempo di valzer:

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mentre fu lo stesso Donizetti a far annunziare dalla Gazzettamusicale di Milano del 19 febbraio 1843 (quand’era trascorsodalla prima poco più d’un mese!) la pubblicazione imminented’un suo Gran valzer per pianoforte, che uscì ed era una lun-ghissima antologia di brani del Don Pasquale preceduti dallaSerenata del terz’atto e conclusi da un epilogo originale,26 messoassieme alla bell’e meglio per intercettare, come si direbbeoggidì, il gusto del pubblico. Un pubblico nient’affatto insensi-bile al nuovo ballo, se è vero quanto lo stesso Donizetti scrisseda Vienna il 4 aprile 1845: “Ieri sera prima recita degli Italiani:I due Foscari. Per una maledetta combinazione il valz del ter-zetto fece ridere; lo dicono un valz di Strauss… è o non è – ionon c’era, ma oggi me ne han riempito la testa. Ecco cosa vuoldire quattro battute!”.27 La musica di Verdi, datata 1844, eracertamente la conclusione dell’ensemble in II.4:

Riporto qui appresso gli incipit di qualche numero nel Granvalzer:

Qui e di seguito, alcuni momentidelle prove del Don Pasquale.Sotto, Laura Giordano.

per confrontarli colla tavola che tirammo da passi stravaganti ediversi del Così fan tutte di Mozart (proprio lui, il prodige!):

Essa rende ragione d’un fenomeno singolare e, a mio avviso,non privo di conseguenze: se è il minuetto a dominare (taloraper titoli espliciti, talaltra per inconfondibili cenni) nei duedrammi della trilogia provvisti d’ambiente aristocratico e corte-se, il Don Giovanni e Le nozze di Figaro, l’opera del ’90 evitainvece quel ballo in voga per tutto il Settecento ed esibisce ripe-tutamente i frammenti, talvolta passeggeri e inattesi, delladanza destinata a sedurre il gusto di musicisti e pubblico pertutto l’Ottocento (non parlo solo dei grandi episodi nelle arie diDespina, o dell’ultimo brindisi, né dell’“Aura amorosa”, ma diistanti che corrono un poco per tutta la partitura e – non dimen-tichiamolo! – riguardano perfino il culmine del tracollo emotivodi Fiordiligi durante il Liebesduett con Ferrando, n. 29). Mi rie-

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Sandra Pastrana.

sce difficile non vedere in tutto questo un’insuperabile destrez-za mimetica che ottiene per incanto di sistemare socialmente lastoria, con una rapidità ed un’economia di mezzi in polemica difatto coll’eccessiva facondia degli esegeti sociologicamente entu-siasti. Quel che spieghi in tre pagine insomma, l’avevano giàdetto tre battute.E non posso non aggiustare conclusioni simili anche sul capolavo-ro del ’43, apprezzandone l’istintivo, coerente ed irresistibile“color locale” 28 raggiunto come si deve a suon di musica (unappunto: Donizetti – si ricava da una lettera del 15 dicembre –voleva che la sera del 3 gennaio gli interpreti vestissero alla manie-ra “borghese moderna”, ma Ruffini promise “perrucconi e abitonidi velluto”, i cantanti si ribellarono e lui, brontolando perentorioche “la musica non ammette questo”, dovette cedere; chi ebbe lafortuna d’assistere alla bellisima regia di Giancarlo Menotti a Spo-leto durante il Festival dei Due Mondi del 1975, quando tutti vesti-vano 1930, comprende a volo le ragioni del maestro).29

“Ha adottato il sistema di Rossini per intimo convincimento”,scriveva Mazzini, senza rinunziare alle intenzioni del progressononostante tutti i rischi dell’emancipazione. Lo vedi immediata-mente, dalla “sinfonia”, e per questo non comprendo davverocome un conoscitore di prima mano del corpus abbia potuto scri-vere, forse per l’idealistico disprezzo di tradizione e loci comm-munes che in Italia ebbe vita facile fino al secondo dopoguerra:“la sinfonia ha dimenticato qualsiasi riferimento ai modi rossi-niani, e s’è lasciata condurre da quella vivace eleganza un po’popolaresca che è caratteristica della personalità donizettia-na”.30 Più di recente: “Dopo aver assicurato i tre colpi in cinquebattute – commenta Sylviane Falcinelli – Donizetti dà inizio allapagina sinfonica più interessante di tutta la sua carriera, lamigliore forse proprio perché si libera dei canoni rossinianiancora poco prima tanto invadenti”.31 Le cose non stanno così:l’episodio di musica “assoluta” prima dell’opera, anche se neimpiega abilmente qualche tema, è foggiato sullo schema mediodella sinfonia d’opera rossiniana di cui con tanta chiarezza Phi-lipp Gosset fornì, in un memorabile articolo, l’“archetipo”.32

[cfr. lo schema qui a lato, n.d.r.].

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Manca per Donizetti un’analisi parimenti sistematica e qui dob-biamo limitarci a qualche cenno: si va dal breve o brevissimopreludio che introduca la prima scena colla dignità del caso (a),al pot-pourri di temi tratti dall’opera mescolati magari a qualchemotivo nuovo organizzati con più o meno rigore (b) fino al branometicolosamente “formato” in cui lo stampo rossiniano èinconfondibile ad onta d’alcune licenze (c).33 A differenza di Ros-sini però non ci pare permessa alcuna considerazione cronologi-ca e tutt’altro che semplice qualche conclusione critica: perché,ad esempio, lo schema – tacciato assai sovente d’indifferenzaemotiva già al tempo del Barbiere o del Tancredi – venne sceltoall’inizio d’una “tragedia” vera quanto Anna Bolena? e comemai servì ad inaugurare proprio Don Pasquale, la terz’ultimaopera, buffa che fosse, d’un incrollabile “progressivo”?Leggiamola in qualche dettaglio: sulle prime un incipit di puro esemplice esordio (1-5) immette ad una pagina di lenta introdu-zione che sfrutta la Serenata finale (Ernesto, III.6, “Com’è gen-til”) e – specie dopo la modifica nell’organico evidente sulmanoscritto autografo passandosi dal corno di bassetto al vio-loncello (come non ricordare l’Ouverture del Tell?) 34 – nobilitastraordinariamente una sezione sempre presente in Rossini, emai legata letteralmente all’opera. Gosset ci avvisa che proprioquel punto in Rossini era nevralgico e vi scopre, più che in altresezioni dell’archetipo, il luogo di esperimenti e novità.35 Ripren-diamo allora la prospettiva “progressiva” del Mazzini: hai lasensazione che Donizetti ampliandone le proporzioni e prenden-do a prestito dall’opera un autentico Einfall abbia di questasezione (“introduzione lenta”) realizzato quasi teleologicamentele premesse rispetto al modello e di tutte le possibilità abbia unavolta per tutte “tirato la somma” (l’esempio più alto in questo èforse la sinfonia di Ugo, conte di Parigi, del 1832):

Claudio Desderi e Nicola Alaimo.

Comincia subito dopo l’esposizione col primo tema; non è altroche la cavatina di Norina, sezione Allegretto (I.4, “So anch’io lavirtù magica”; bb. 48-68)

che un ponte (bb. 80 sgg.)

conduce al secondo tema (bb. 69-100)

originale stavolta e trovato a bella posta per la sinfonia (bb. 103-118). Un sintomo questo di scrittura assai flessibile: temi dell’o-pera e motivi estranei vengono usati colla medesima scioltezzaed anche quelli che, ad un secondo ascolto, lo spettatore fatal-mente riporta ad una precisa situazione scenica, vengon reim-piegati, calati con disinvoltura nei contorni d’una forma nuova;se è acconcio un motivo già noto (introduzione lenta, primotema) lo si prende a prestito, se poi ne manca uno lo si inventa(secondo tema). Alla b. 118 inizia, per l’appunto “crescendo apoco a poco”, un episodio collocato esattamente dove nell’antico“archetipo” era il crescendo:

Gosset ha definito con restrittiva esattezza quest’elemento sot-traendolo agli abituali travisamenti,36 e dunque io non dovreiusarlo per le bb. 118 sgg. della nostra sinfonia; ma che Donizet-ti qui replicasse liberamente la formula carismatica e rossinianaper eccellenza è evidente. Dunque se vogliamo intenderla dob-

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Don Pasquale.

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biamo senza vergogna stabilirne la paternità. Libertà ancoramaggiore si prende un momento dopo nel corso della “ripresa”(cioè la riproduzione quasi letterale della serie primo tema -ponte - secondo tema - crescendo - cadenze) perché omette laripetizione delle bb. 103 sgg., cioè dell’originale secondo tema (ilche avveniva anche nella Rosmonda d’Inghilterra, 1834).Al termine ormai della propria carriera, questo mi preme nota-re, per un momento decisivo come l’ouverture il maestro preferìtenersi lontano dai cimenti e utilizzò non senza accenti idiosin-cratici rischiando di sfiorar l’arcaismo la grande forma da cui lostesso inventore aveva preso vent’anni prima le distanze (è notainfatti la temeraria curiosità con cui Rossini risolse di volta involta il problema del Preludio).Sono i momenti di sola musica, quelli che nel gran teatro fatto disuoni e parole spesso ci colgono di sorpresa e ci catturano ancormeglio delle “situazioni” perché in assenza di libretto ciascunose ne inventa a suo modo, ne imbocca di nuove con metafisicaspensieratezza. Nel Don Pasquale, io credo, saranno stati inpochi a non provare la prima e più languida identificazione collebattute del Larghetto nella scena III.2:

Ripetiamo le circostanze: lo sposo recente si para davanti aNorina per impedirle d’uscir di casa, un rapidissimo scambio dibattute e lei taglia corto, gli dà uno schiaffo; don Pasquale com-prende in un momento tutta la propria Erniedrigung e recita undesolato a parte: “È finita, don Pasquale, / hai bel romperti latesta! / Altro affare non ti resta / che d’andarti ad annegar”. Manon è lui a descriversi, perché la linea melodica rimane immobi-le sulla nota mi (quello che una volta si chiamava con cordialeapprossimazione “recitativo sinfonico”):

È piuttosto l’orchestra – se mi perdonate l’ennesimo patriotticoricorso a Mazzini – a prendersi i compiti dell’attore come in uno

Claudio Desderi.

spiraglio del Faliero: “quell’alternare iroso, tronco, concitatodi frasi melodiche, che non è canto perché chi canta è l’orche-stra”.37 Cantilena perfetta, per quattro volte in toni diversi nonsenza il lamento dell’eco e v’è di più, genesi illustre; mi ricordatanto infatti il secondo tema del terzo tempo nella Sonata perpianoforte in fa maggiore di Mozart da crederne probabilissimala citazione:38

Qui trovi il pathos che solo la pura musica è in grado, badatebene, non tanto di prometterci quanto addirittura d’assicurar-ci. Ce l’hanno insegnato una volta per tutte Schopenhauer eNietzsche:

La poesia del lirico nulla può dire che nella sua più ampia universalitàe validità non sia già stato nella musica, che lo costringe a parlare perimmagini. Proprio per questo il simbolismo cosmico della musica nonpuò in alcun modo realizzarsi adeguatamente nel linguaggio perchéaccenna simbolicamente alla contraddizione e al dolore originario nelcuore dell’uno primordiale e dunque intende una sfera che vieneprima e sopra d’ogni apparenza.39

E poco più avanti:

In base a questo rapporto intimo che la musica ha colla natura dellecose devo spiegare anche il fatto che, quando per qualche scena, azio-ne, fatto, ambiente risuona una musica appropriata, essa sembraschiuderne il senso più segreto ed immediatamente si dà come il com-mento più giusto e più chiaro: così chi s’abbandona completamenteall’impressione d’una sinfonia è come se si vedesse passare davantitutti i fatti possibili della vita e del mondo.40

Ma sono al cap. 21 le righe che meglio rivelano il fascino di III.2,là dove il grande filosofo descrive – io credo – il procedimentodella modulazione:

Con questa armonia prestabilita che regna fra il dramma perfetto e lasua musica, esso raggiunge il più alto grado d’evidenza rappresentati-va, altrimenti preclusa al dramma parlato. Come tutte le figure vivedella scena si semplificano dinanzi a noi nelle linee melodiche autono-

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Nicola Alaimo.

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mamente mosse fino ad acquistare la chiarezza d’una linea oscillante,così l’accostamento di queste linee risuona per noi nel mutamentoarmonico che simpatizza nella maniera più delicata con l’evento che sisvolge. Per effetto di questo mutamento, avvertiamo immediatamentenel modo più concreto la relazione fra le cose.41

Prendiamo le ultime righe, facciamone il commento delle misuredel Larghetto quando il motivo “passa” da do a re bemolle mag-giore:

col lieve sobbalzo improvviso che ti procura la sesta napoletana.Hanno parlato d’un vezzo alla Schubert,42 ed io non credodebba dirsi così perché il procedimento era familiare a Donizet-ti che in più d’una circostanza seppe farne un uso abilissimo.Riporto il celeberrimo attacco della “marcia funebre” nellaLucia di Lammermoor:43

o all’inizio di Don Pasquale, I.2, l’attimo travolgente della sposaritrovata (“Io mi struggo d’impazienza. / La sposina? – Si trovò.”):

Nel ritornello strumentale di “Ambo nati in questa valle”, laprima aria nella Linda di Chamounix, I.1, l’eccezione armonica èprogrammatica perché riservata al ritornello dell’orchestra eassente dall’aria (la quale peraltro s’arroga altre deliziose derive):

Claudio Desderi e Laura Giordano.

Si tratta d’una posizione, quella incipitaria, in Donizetti assaiprecisa e determinata, intesa a coinvolgere immediatamente lospettatore tra i fili d’una trama non comune. Le stesse conside-razioni mi suggerisce un luogo delle Convenienze ed inconve-nienze teatrali, che per esser un’opera sull’opera già dovrebbesuonare l’allarme: la seconda misura dell’ouverture in re mag-giore s’illumina subito grata e generosa:

Donizetti insomma vuole cominciar fuori regola arricchendocon tavolozza infinita ma anche impareggiabile eleganza le stra-de dell’armonia usuale. Non sarà proprio questo il cardine delsuo fascino, l’origine della beata e paga fiducia con cui, nel DonPasquale e altrove, ne seguiamo il racconto?Casi come quelli appena citati mi fanno credere di sì, ed è per ciòche davvero non comprendo come possa liquidarsi in appena duerighe argomento tanto caratteristico. Lo fa Friedrich Lippmannnel suo – quanto al resto imbattibile – Die Melodien Donizettis:

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Dottor Malatesta.

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“Per potenza ritmica stanno alla pari, ma Donizetti possiedenaturalmente un senso del colore armonico che Bellini raggiun-se appieno solo nei Puritani”.44 Penso a Wagner, che com’è notoalmeno due o tre volte redasse dell’armonia un elogio agguerri-to; e vorrei aggiungere: non è poco.45 Bisognerebbe rifletterciprima di finire, nonostante le cautele, nella trappola della sinos-si coll’arcigno rivale. Ipse dixit: “Non son cose da Donizetti”(così Fedele D’Amico dopo bollenti lodi di Norma e Sonnambu-la).46 Come prendere in mano il capolavoro del ’22:

Solenne, paffuto Buck Mulligan comparve dall’alto delle scale, por-tando un bacile di schiuma su cui erano posati in croce uno specchio eun rasoio.47

e fregarsi le mani soddisfatto brontolando: “Non è Tolstoj!”.Guardate ad esempio il duetto Norina-Ernesto nel giardino cheavvia il finale, un Notturno:

Francamente vecchio stile, evoca addirittura il notturno nellascena ultima del Matrimonio segreto (1792):

ed autorizza – unico forse in tutto il dramma – l’etichetta del“belcanto”. Nulla da correggere, perché ad onta della musicacapziosissima gli amanti stanno recitando la scena d’amore,l’ultim’atto d’uno stratagemma che serve a procurarsi il lietofine (comprendono cioè che il loro duetto, senza smetter d’inte-nerirli, è anche una messinscena per chi dietro gli alberi li staspiando). Eppure fu descritto così: “piattaforma di convenzio-ni: malizie ambigue, deliquio per seste parallele, madrigalismo

Mario Cassi e Claudio Desderi.

schietto, sciropposa cadenza, accompagnamento tal quale; begliingredienti d’una salsa indigesta che già nappava il prologodella Caterina Cornaro”.48 Sciocchezze. Bastava guardar conqualche pazienza la conclusione del duetto per evitarle:

Nel tono d’impianto di la maggiore, per due volte di seguito ilmaestro scansa il sesto grado (fa diesis), dapprima surrogandolocon una triade di fa maggiore preceduta dalla dominante secon-daria (b. 28), e poi con una triade di re maggiore (b. 30) chearriva in cadenza d’inganno dopo la dominante del VI eluso! Unvero colpo di genio: tale dominante appare in qualche modocome “dominante” della sottodominante re anche se la costringeal percorso “d’inganno”. Il numero sulle prime velato d’anticoevita il kitsch con miracolosi straniamenti. Verrebbe da pren-dersi la riscossa e dire: “Non son cose da Verdi”.Un perfetto controllo dello stile si mostra anche nel suo rappor-to col contesto, perché dopo l’accordo finale (la) si omette latransizione e si passa immediatamente al do maggiore dell’iniziodel recitativo:

con quella “parentela di terza” che a partire dal classicismosegna gran parte della storia dell’armonia autorizzando il De LaMotte ad un titolo lapidario come Schubert – Beethoven (1800-1828). Terzvwezwandschaft.49 Anche qui la dimestichezza delmaestro è provata e riporto due esempi limitandomi al drammabuffo del ’43:

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Bruno Taddia.

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Guardate adesso un episodio cardinale come il duetto delterz’atto fra Pasquale e Malatesta, quando concordano la ven-detta e l’agguato (III.5, “Cheti cheti immantinente”). Il disegnodella disfatta, per seguire il cap. 52 del Mondo come volontà erappresentazione, è delegato alla Musica: uscito di scena Erne-sto, rimane infatti il Dottore e il coro degli archi suona:

La signora di sopra persevera e ci erudisce: “Quanto poco certimagri pareri degli archi servono a far sembrare più corto il reci-tativo!”.50 Al contrario: conferendo precisamente alle vociun’autonomia di gusto contrappuntistico, Donizetti obbliga iviolini I ad anticipare il re per non suonarlo assieme al fa delleviole (come sarebbe stato ovvio e chiunque avrebbe scritto).51

Dieci misure più avanti, siccome siamo le mille miglia lontanidalla farsa sfacciata del Pavesi, l’ingresso di don Pasquale “contristezza solenne” commuove Malatesta il quale è costretto afarsi coraggio (“[…] Com’è pallido e dimesso! / non sembra piùlo stesso… / me ne fa male il core”), mentre gli archi espongonoancora una volta il commento loro, abbastanza simile a sopra equasi – delle bb. 10-14 – la versione non variata:

Juan Francisco Gatell e Mario Cassi.

Sono semplicemente quattro misure ma contengono, fors’ancheper la replica della melodica descensio, tutto l’avvilimento delvecchio sposo e la musica schiude il velo della “volontà” cac-ciando le fiacche ed inutili “apparenze”; di nuovo ci sia Federi-co Nietzsche compagno di strada: “La musica non è l’immaginedell’apparenza, piuttosto immediatamente lo è della volontàstessa, e dunque rappresenta la metafisica e, rispetto ad ogniapparenza, la cosa in sé. […] Quando il compositore ha saputoesprimere nel linguaggio universale della musica i moti dellavolontà che costitiscono l’essenza d’un avvenimento, allora ilprofilo d’un canto o la musica d’un melodramma sono colmid’espressione”.52 Non crediate esagerato o, peggio, specioso ilmerito che attribuisco all’ultimo “maigre commentaire”. Essocela infatti una citazione enfatica e discende dritto dritto dallepene d’amore del Re nella donizettiana Favorita (1840):

È il “ritornello” dell’aria “Vien Leonora, a’ piedi tuoi” con cuiAlfonso di Castiglia canta il suo amore per la favorita Leonoranella scena seconda del second’atto. Ricapitoliamo: all’evocazione istantanea del “carattere” è desti-nato, isolandolo come un emblema, quel che altrove costituisce iltema d’un’aria e il motivo si trova esposto due volte, in un ordi-ne prepostero rispetto a quanto ci si aspetterebbe, la prima deli-catamente variato in do, la seconda nell’appropriato la minore(che fu già del modello); così la citazione risulta un poco dissimu-lata e permette al maestro il gioco – davvero intrinseco al reper-torio della suo musicale dialetto – fra i modi maggiore e minore.In occasione degli episodi strumentali dunque il controllo stili-stico, sempre all’erta, si fa maniacale. Valgano d’esempio i pre-ludi ai due numeri principali dell’amoroso e della primadonna,“Quel guardo il cavaliere” e “Cercherò lontana terra”, per con-trollarne le varianti profittando d’alcuni abbozzi pubblicati dalRattalino.53 Innanzitutto la cavatina di I.4: i disegni che hoaggiunto allo spartito intendono dar conto dell’equilibrio finissi-

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Ernesto.

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mo con cui frammenti di scale ascendenti e discendenti, incisi eculmini, organizzano in un’introduzione simmetrica l’avventodella protagonista:

Ma dopo la b. 9 Donizetti aveva previsto e scritto altre cinquemisure che cancellò molto tardi:54

Prima della cancellatura la propaggine originale sembrava dav-vero piuttosto il “postludio” d’un’aria che la cadenza “giusta”per immettere all’aria, più che un prodromo pareva un residuomelodico; penso, ad esempio, alle poche battute del coro dopol’aria d’Adina in Elisir, I.1:

Juan Francisco Gatell.

Possedeva cioè una pericolosa pregnanza tematica, un che dipiccola mazurka – magari un poco péché de vieillesse e troppoall’antica per la deliziosa giovane vedova – che avrebbe avutoalmeno bisogno d’un preludio di ben altre dimensioni. Così levecchie bb. (10)-(14) furono tolte ed è riprova ulteriore di quan-to scrupolo adoperasse Donizetti quando si trattava di absoluteMusik.Quel che segue mantiene le promesse: stavolta la prima partedell’aria (il cantabile “Quel guardo il cavaliere”) esibisce – perusare un termine caro a Lippmann – il Romanzenton alla Simo-ne Mayr,55 assai frequente in tutto il corpus (pensate al Maffiodella Lucrezia Borgia, prologo, scena 1, “Nella fatal di Rimini”)e si lega senza soluzione di continuità alla sezione veloce, lacosiddetta cabaletta “So anch’io la virtù magica”:

come capita spesso nella produzione degli ultimi anni e comeavviene in termini quasi provocatori nell’aria d’Ernesto alterz’atto (tutt’al contrario nel duetto iniziale Ernesto - DonPasquale: in verità aria “con pertichino” e stavolta un ampiointermezzo fra le due sezioni “Sogno soave e casto - Mi fa ildestin mendìco”). Potrebbe esser la garbata protesta contro lasolita forma ormai standardizzata oppure, e ci sembra più pro-babile, il tentativo maturo di esorcizzarne lo schema mettendoloin mostra senza ipocrisie: se si trattava d’una coppia davveroimmutabile, ebbene, che tutti la vedessero per tale.Atto II, preludio; in realtà preludio all’aria piuttosto che all’at-to e grande rilievo riserbato ad un numero il quale, per “affet-to”, si dimostra del più puro Donizetti, o almeno quello che ilpubblico s’aspetta dal maestro. Il testo un poco old-fashioned

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David Alegret.

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ricorda quasi il tema dell’amante esule che è dato leggere fra leelegie di Properzio (“Cercherò lontana terra / dove gemer sco-nosciuto, / là vivrò col cuore in guerra / deplorando il ben per-duto”) e si discosta per questo dalla modernità del libretto. Mala musica è aggiornatissima. Il preludio e la scena compaiononell’autografo su una pagina staccata che resta incompleta eperciò furono certamente scritti dopo l’aria;56 diverso il tono chepassa da fa a do minore, rimane identica tranne minuscoli det-tagli l’intera melodia:

e, pur dubitando del valore assoluto che s’assegna troppo spessoalle diverse tonalità, specie in una satura lanx quale può esseretalvolta un melodramma, sarei portato a considerarla eccezio-nalmente scelta voluta: il do al posto di fa costituisce l’emblemanon ambiguo del lutto. Tanto più che le prime quattro misure delpreludio – anche questo è singolare – sono scritte in fa minoreincuranti dell’armatura in chiave, e ben dimostrano la passioneper il cromatismo e l’eletto colore armonico che abbiamo giàsopra rilevato (nell’esempio ho numerato fra parentesi le ottomisure della “frase” secondo il modello simmetrico).57

Stavolta l’Einfall è davvero felice e, come sempre, non si dovet-te solo all’ingenium. Una serie di abbozzi ritrovati sul retrod’un foglio incollato ad una pagina dell’autografo 58 mostrano adovere quanta parte ebbe l’ars nella risoluzione definitiva (che

Da sinistra: Laura Giordano, Mario Cassi, Gabriele Spina e Claudio Desderi.

nell’esempio seguente è quella accompagnata dalle parole):

Benché si tratti della semplice prima metà dell’antecedente, cisarebbe molto da dire e proveremo ad azzardare alcune osser-vazioni sparse: a cominciare dal fa che stava sul tempo forte (a)e scivola sul debole (d), lasciando il primo tempo ad un ulterioredo (b); in tal modo si comincia a scommettere sulla stessa notaed è caratteristica che dovremo presto rimarcare. A partiredalla quarta versione poi i valori diminuiti di croma e semicro-ma scompaiono e lasciano posto alle semiminime (d): un assettoritmicamente liscio che, non foss’altro per coerenza colla stasidel profilo melodico, ci appare conquista apprezzabilissima.Sarà la stessa ragione per cui scartò la lunga appoggiatura re, laquale malamente leverebbe peso al do (e). Restava il problemadell’“effetto levare”, e a me sembra che qui volle farne a menoproprio nel momento in cui scostò il fa dalla stanghetta (d),anche se il segno d’accento nella versione definitiva restituiscealla nota qualcosa del peso che aveva perduto; la situazione èparagonabile a quella che all’inizio delle gavotte rende difficilela sopravvivenza del levare. Riporto due esempi di J.S. Bach:59

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Juan Francisco Gatell e Laura Giordano.

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La riscrittura paziente dette buoni frutti proprio in grazia dellasua costanza: la melodia doveva correre spianata e calma.Eppure se d’un particolare conservo il rammarico è di quelloscartato dopo la seconda versione, il do di b. 1 (b) che vennequasi immediatamente spiazzato dal fa. Ci voleva più coraggio ebisognava insistere sul do come Petrolini sul “sì”?Scrivo questo perché a me il fascino dello splendido canto sem-bra tutto si debba ad una prerogativa su cui forse i manualinon insistono abbastanza, la capacità d’attaccarsi ad una stes-sa nota e farne il point de repère dominante un profilo diaste-matico:

Provate a contare – specie nella versione del preludio – quantisol Donizetti ebbe il coraggio di mettere per iscritto (e nondimenticate che ve ne sono altri sette fuoribusta alle misureintroduttive 5 e 6!). Da solo fa il 40% delle note: il fascino deltema io lo vedo proprio in quell’ancòra che ti promette edadempie tornando come in una nenia d’altri tempi e d’altripaesi (non bisogna trascurare il fatto che non si tratta dellatonica, senza dubbio alcuno nettamente stabilita).60 Il confron-to è stavolta colla forza attrattiva d’alcuni valzer di Schu-bert:61

mentre non posso mancare d’accostare al primo rigo una delleversioni eliminate (b).Lo stesso foglio che provvide le cinque versioni scartate dell’in-cipit così prosegue a conclusione dell’antecedente:

Sandra Pastrana e Nicola Alaimo.

Ancora una volta è palese lo scopo d’alcune correzioni: si pre-sentava qui, appena fondata la frase, il problema del culmineche nell’invenzione primitiva era sol (a) poi passò a si bemolle(b) e si stabilizzò infine sul la bemolle (c) in una versione, laterza, dove la prima metà dell’abbozzo prese la sua forma defi-nitiva. Con giovamento notevole: il salto originario di 6a mag-giore (a) dopo il tentativo della 7a (b) divenne quello classico di6a minore. In tal modo s’ebbe anche un vantaggio secondario:quello di non turbare il corso lento ed un poco déja-vu dellamelodia, assegnandole per punto di volta il comodo sesto gradodella scala come avviene in mille esempi del repertorio popolaree non:62

Fu la stessa ragione che consigliò di eliminare dall’incipit le notepuntate troppo strette (a-c) e rimandarle alla conclusione (e).L’ultima battuta poi sperimentava solo una volta il salto ascen-dente (c) e forse Donizetti lo tolse perché la quarta ascendentenon apparisse eccessivamente pedissequa rispetto all’iniziale do-fa (suonare per credere: essa risulta, contro ogni previsto, fiacca

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Claudio Desderi.

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e monotona). Il “pentimento” migliore però mi sembra quelloche abolì (e avvenne solo nel profilo ultimo) l’impulso ascensio-nale al cuore di tutti gli abbozzi (a-f) e scelse con assoluta fer-mezza d’affidarsi a quella “melodia calante” (Deszendenzmelosscrivono gli studiosi di Puccini) che aggrava l’attacco della Win-terreise e segna tanto perentoriamente di scuro Butterfly, Toscae Bohème. Dal la bemolle del culmine s’arriva, quasi per grado,al sol, rendendo giustizia al testo: “dove gemer sconosciuto”.Che la penultima nota, infine, dovesse esser do è scontato, seteniamo conto della repercussa come d’un caratteristico essen-ziale di questa melodia (contro le quattro versioni c-f).Rattalino ha finemente considerato un ravvedimento nella stru-mentazione – contrassegnata ictu oculi dalla tromba solista – larinuncia all’arpa, presente nella lista degli strumenti all’iniziodell’aria e poi di fatto messa in un angolo: “avrebbe caratteriz-zato il tenore in modo tradizionale, in contrasto con il nuovotipo di personaggio: un eroe negativo”.63 Non so se le ragionisono davvero queste; io preferisco pensare al senno dello Spät-stil che suggerì a Donizetti qualche accortezza nei riguardid’uno strumento allettante, e pericoloso proprio perché troppoallettante. Lo dico fidandomi di Berlioz e di Riccardo Strauss. Ilprimo nel trattato esattamente coevo al Don Pasquale inclinaalla devozione: luminosissimo l’effetto, l’arpa si mescola mera-vigliosamente ai corni, i tromboni e tutti i legni, mentre riesconocolme di mistero le note basse e magica l’ottava alta, ancor piùgli armonici di cui non passi inosservata la straordinaria combi-nazione possibile con flauti e clarinetti al registro medio. Maquando sullo scorcio del secolo Riccardo Strauss munì l’edizio-ne tedesca del Grand traité d’instrumentation dei suoi fantasti-ci Complementi, non poté fare a meno d’appuntare a margine:

Devo ancora una volta raccomandare ai principianti di ricorrere collamaggior parsimonia possibile ai colori più caratteristici e penetrantidella tavolozza orchestrale; prima di buttar giù le note, pensino diecivolte se quel colore in quel punto è proprio indispensabile o non possainvece sostituirsi con uno meno impegnativo. L’abuso che si fa oggidìdel ricco menu delle delicatezze orchestrali – arpe, armonici e percus-sioni, usate come scintille a portata di mano […] – è davvero terribile.Si rintrona inutilmente l’orecchio dell’ascoltatore e quanti dovevano

Pasquale Mari, Andrea De Rosa e Italo Grassi.

apparire delicati colpi di luce in certi punti decisivi dell’opera, diven-tano scarabocchi di colore precipitati un poco ovunque senza unpiano preciso.64

Il recitativo “Povero Ernesto” impiega elementi del preludio,modula in fa e gli fa seguito l’aria preceduta dalla “frase”dimezzata a mo’ di ritornello:

Dopo la pagina introduttiva ci sembra una replica singolare,quasi che Donizetti ripigliando il ritornello volesse rendere alnumero un’aura d’altri tempi (la soluzione eccezionale è comu-ne solo alla cabaletta di Norina in I.4 – ma non al cantabile! – e,in misura ridottissima, al Notturno del terz’atto). La transizio-ne alla cabaletta, come accennammo, è immediata e priva diquell’evento intermedio che i grandi maestri finirono col consi-derare quasi irrenunziabile per motivarla:

Ma – abbiamo detto – questo succede nel Donizetti tardo e capi-ta non di rado persino in Verdi (vedi l’insorgere abruptod’“Oltre quel limite” dopo il cantabile del sogno di Attila nelmelodramma del 1846). Ci si chiede se non avrebbe potuto eli-minare l’accordo modulante prima della corona e disporredirettamente dirimpetto la tonica delle due tonalità in “parente-

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Gabriella Pescucci.

la di terza” come non di rado avviene nel DonPasquale. Tanto più che l’assenza d’un colle-gamento ragionevole qui devesi unicamentealla logica dell’inconscio: Ernesto è pronto allarinunzia godendo la gioia tecnicamente “per-versa” dell’amante perduta: E se fia che adaltro oggetto / tu rivolga un giorno il core, / semai fia che un nuovo affetto / spenga in te l’an-

tico ardore, / […] / se tu sei ben mio felice /sarà pago il tuo fedel.La contraddizione del trapasso assente riguardadunque la psicologia del profondo: e per questo,ahimé, tanto spesso ci delude nella pratica esecu-zione la negletta indicazione di tempo Moderatoa vantaggio d’un attacco gagliardo di cui Ernesto– ne siamo convinti – farebbe volentieri a meno.

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1 Le caratterizzazioni vocali sono autografe: lettera aG. Ricordi del 12 febbraio 1843, in G. Zavadini, Doni-zetti. Vita, musiche, epistolario, Bergamo, Istituto italia-no d’arti grafiche, 1948, p. 659; sulla parte di DonPasquale scriverà qualche mese dopo preoccupato d’uncast imperfetto: “è bassissima, è fatta per Lablache”(ivi, p. 683).

2 Vedi la battuta di Don Pasquale ad azione avanzataancora in III.1 “escir sola a quest’ora / un primo dì dinozze”.

3 A. Lazzari, Giovanni Ruffini, Gaetano Donizetti e il“Don Pasquale”, “Rassegna nazionale”, ottobre 1915,pp. 3-34: 13.

4 Ibid.5 Ivi, p. 14.6 Ibid.7 Ivi, p. 16.8 Lettera del 12 novembre 1842, in G. Zavadini, Doni-

zetti, cit., p. 636.9 Ivi, p. 647.10 Ivi, p. 651.11 Ivi, p. 640.12 Ivi, p. 639; non si riesce a dedurre con certezza di

qual dramma parli la lettera, datata 27 novembre 1842. 13 Aveva scritto nel 1829 la sua ultima opera, Guillau-

me Tell.14 G. Mazzini, Filosofia della musica, in Opere, II, a

cura di L. Salvatorelli, Milano, Rizzoli, 1967, p. 278 sg.15 Ivi, pp. 294-296.16 Ivi, p. 301.17 Ivi, p. 303.18 Ivi, p. 305.19 Ivi, p. 307.20 Ivi, p. 306.21 Ivi, p. 309.22 Ivi, p. 308.23 Ivi, pp. 311-313.24 Ivi, p. 317.25 Atti del 1° convegno internazionale di studi donizet-

tiani: 22-28 settembre 1975, Bergamo, Azienda Autono-ma di Turismo, 1983, p. 196 sg.

26 Ne fa menzione il catalogo di P. Rattalino, Trascri-zioni, riduzioni, trasposizioni e parafrasi del “DonPasquale”, in Atti, cit., p. 1022.

27 Lettera n. 629 in G. Zavadini, Donizetti, cit., p. 804sg.

28 Mi terrei a questo e prudenza – forse poco alla moda– m’impedisce di sottoscrivere l’esegesi di M. Emanuele:“sceglie il tempo di valzer per alludere a un argomentobandito o ben dissimulato dai libretti ottocenteschi: l’in-contro mancato è l’incontro sessuale” (Voci, corpi, desi-deri, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2006, p. 50).

29 Cit. in A. Lazzari, Giovanni Ruffini, cit., p. 23; larecita spoletina ebbe luogo al teatro Nuovo, diretta daChristian Badea. Molto bene scrive in proposito ilGavazzeni: “Se Norina, la prima donna, cantasse lacavatina del primo atto vestita di un costume da tennis,se indossasse Ernesto, il tenore, un abito da spiaggia oun impermeabile, forse non si avrebbe ad avvertire stri-denza o impaccio” (Donizetti. Vita e musiche, Milano,Bocca, 1937, p. 146).

30 Ivi, p. 150.31 “Après avoir frappé les trois coups en cinq mesures,

Donizetti aborde la plus intéressante page symphoniquede sa carrière, d’autant qu’elle se libère des canons ros-siniens, encore si envahissants il y a peu”, in Aa.Vv.,Donizetti. Don Pasquale, “L’avant-scène Opéra”, CVIII,aprile 1988, p. 24 sg.

32 Ph. Gosset, Le sinfonie di Rossini, “Bollettino delcentro rossiniano di studi”, 1-3, 1979, pp. 5-123.

33 È il caso, ad esempio, di Olivo e Pasquale (1827), Leconvenienze ed inconvenienze teatrali (1827), Alina,regina di Golconda (1828), Anna Bolena (1830), Ugo,conte di Parigi (1832), Rosmonda d’Inghilterra (1834),Adelia (1841), Don Pasquale (1843).

34 Su questo ed altri problemi di strumentazione vediA. Zedda, La strumentazione nell’opera teatrale diDonizetti, in Atti, cit., pp. 453-540: 475.

35 Ph. Gosset, Le sinfonie, cit., pp. 17, 37, 50, 58 e 64.36 Ivi, p. 23.37 G. Mazzini, Filosofia, cit., p. 315.

38 Si tratta della K 332 del 1778, e ne riporto la replicain minore alle bb. 50 sgg. per ovvie ragioni sinottiche.

39 F. Nietzsche, Die Geburt der Tragödie, Berlino eNew York, De Gruyter, 1972, p. 47 (“Werke”, III, 1).Cito il lettore e non la fonte, ma che queste pagine sianoappena la recensione commossa del Mondo come volontàe rappresentazione è lo stesso Nietzsche a confessarlo:“Questa enorme antitesi si è rivelata a uno soltanto deigrandi pensatori in misura tale che riconobbe alla musi-ca un diverso carattere e una diversa origine rispetto atutte le altre arti” (p. 99 sg.).

40 Ivi, p. 101.41 Ivi, p. 133 sg. 42 W. Ashbrook, Donizetti. Le opere, Torino, EDT,

1987 (l’ed. orig. è del 1982), p. 249, e U. Schreiber,Opernführer für Fortgeschrittene. Eine Geschichte desMusiktheaters, II, Kassel e Basel, Bärenreiter, 1991, p.313. Non c’è quasi bisogno d’aggiungere che qui non sitratta di vera e propria modulazione.

43 Parte seconda, II.8. 44 “Studien zur italienisch-deutschen Musikgeschich-

te”, III, 1966, pp. 80-113: 111: “In der rhythmischenKraft besitz Donizetti von Hause aus wohl den stärkerausgeprägten Sinn für jene harmonische Farbigkeit, dieBellini erst in I Puritani recht zueigen gewinnt”.

45 Anche se contano per lo più su un’opera sola (Poliu-to) ed a causa l’impegno pioneristico non sempre vannoal fondo dell’effetto semantico sulla drammaturgia deidiversi passaggi, si leggono con sommo consenso le pagi-ne di B. Zanolini, L’armonia come espressione dramma-turgica in Gaetano Donizetti, in Atti, cit., pp. 775- 823.

46 Discutendo la relazione di Lippmann, Bellini e Doni-zetti, in Atti, cit., p. 199.

47 Si tratta naturalmente delle prime righe dell’Ulissedi Joyce.

48 S. Falcinelli, cit., p. 75.49 D. De La Motte, Harmonielehre, Kassel, Bärenrei-

ter, 19803, p. 160 (trad. it., Manuale di armonia, Scan-dicci, La Nuova Italia, 1998). Per quanto riguarda

Donizetti fu A.L. Ringer a porre l’accento sul fenomenodella mancata transizione in una discussione del conve-gno del 1975 (Atti, cit., p. 831).

50 S. Falcinelli, cit., p. 65.51 È la b. 13 di III.4.52 F. Nietzsche. Die Geburt, cit., p. 99 sg. e 103.53 P. Rattalino, Il processo compositivo nel “Don

Pasquale” di Donizetti, “Nuova rassegna musicale italia-na”, 1970, pp. 51-68 e 263-280. L’articolo riferisce l’e-sperienza dell’edizione critica, che arrivò a termine manon è stata a tutt’oggi pubblicata.

54 Ivi, p. 274: “Le cinque battute sono interamentestrumentate e cancellate con due tratti di matita. Lacompletezza della strumentazione e la cancellatura amatita mi sembrano autorizzare la supposizione che ilpasso sia stato eliminato durante le prove”.

55 Die Melodien, cit., p. 90.56 P. Rattalino, Il processo compositivo, cit., p. 57.57 Per questo vedi i cenni di B. Zanolini, L’armonia,

cit., p. 821 sg.58 P. Rattalino, Il processo compositivo, cit., p. 52. Di

qui ricavo le diverse versioni, mentre rimango responsa-bile del confronto e del commento.

59 Una è la gavotta dalla Suite francese n. 6 e l’altra lagavotta I dalla Suite inglese n. 3. Pel problema vedi lenote acutissime di P. Benary in Rhythmik und Metrik.Eine praktische Anleitung, Köln, Gerig, 1973, p. 54.

60 Ho considerato le otto misure della frase “modello”,e non l’amplificazione da 13 a 15 barrata nel relativoesempio musicale.

61 Sono rispettivamente la n. 15 delle sedici DeutscheTänze D783 (1824), il n. 1 dei trentaquattro Valses senti-mentales (1824) e il valzer D 979 (1826).

62 Ho copiato qui la prima frase dell’An die Abendson-ne di H.G. Nägeli (1773-1826).

63 Il processo, cit, p. 57 (il corsivo è mio).64 H. Berlioz, Instrumentationslehre, completata e

rivista da R. Strauss, Lipsia, Peters, 1904, p. 155.

Riccardo Muti sul “Don Pasquale”

a cura di Franco Masotti

Riccardo Muti con i protagonisti del Don Pasquale.

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Ravenna, ottobre 2006

Nota: Si è voluto mantenere il tono informale di una conversazione a tavolasul Don Pasquale e su alcuni ricordi e aneddoti ad esso collegati.

Tutto ha inizio a CornetoDon Pasquale da Corneto… Sì, ma che cos’è mai Corneto?Corneto è la vecchia Tarquinia, una cittadina importante.Infatti lui dice “Io Pasquale da Corneto, possidente, qui pre-sente, qui presente, in carne ed ossa, d’annunziarvi ho l’altoonore che mi vado ad ammogliar. Voi scherzate [Ernesto].Scherzo un corno. Voi scherzate. Scherzo un corno, lo vedreteal nuovo giorno”.

L’ouvertureIl Don Pasquale è un’opera che sin dagli inizi della mia carrieraha caratterizzato gli studi nell’approfondimento della tecnicadirettoriale. L’ouverture è stata anche una delle prime che ioabbia studiato nelle esercitazioni orchestrali, anche perchéquella del Don Pasquale è una delle sinfonie più complicate dalpunto di vista tecnico per un direttore d’orchestra, sia per laquantità di temi che vi sono, che per la quantità di ritmi diversi,per quell’inizio da recitativo del violoncello, seguito poi dalfagotto, dal corno… quindi richiede una certa tecnica diretto-riale che consenta poi di interpretarla con una certa libertà econ una certa fantasia. Tutto questo non va proprio d’accordocon un principiante della direzione d’orchestra, perciò è unadelle sinfonie che più si eseguono nel corso degli studi. È un’ope-ra che ha segnato l’inizio della mia vera carriera.

Salisburgo 1971Quando Karajan mi invitò per la prima volta al Festival di Sali-sburgo, nel 1971, mi affidò appunto la direzione del DonPasquale con i Wiener Philharmoniker. Fernando Corena, miti-co basso comico dei tempi ormai così lontanissimi, faceva partedi quel gruppo di cantanti-attori come Montarsolo e Bruscanti-ni… Quando ho fatto il Don Pasquale a Salisburgo Corena era

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già un personaggio leggendario e di una certa età. Con questoDon Pasquale iniziò a Salisburgo la mia collaborazione con iWiener Philharmoniker, da allora ininterrotta, e questo grazieall’impressione che feci all’orchestra, al pubblico e ai criticiproprio attraverso Don Pasquale.

Il Don Pasquale ritorna poi nella mia vita al Comunale di Firen-ze, con una regia molto interessante… anzi prima di questovoglio dire che l’edizione di Salisburgo aveva la regia di un regi-sta cecoslovacco, Ladislav Stros, che aveva concepito una regiaestremamente moderna per quell’epoca, oggi sembrerebbe unaregia addirittura “antica”, ma allora era piuttosto audace e miricordo che ebbi degli scontri, anzi lì sono iniziate anche le mieprime schermaglie con i registi perché, pur essendo una regiacon delle qualità, certamente aveva delle contraddizioni. Ricor-do soprattutto uno scontro sull’interpretazione del libretto, nelduetto [Atto I, Scena V] in cui Norina cerca di imparare daMalatesta come comportarsi (le varie mosse da fare ecc.).Accadde che allorché lei domanda “Mi volete fiera?” il regista leindicò di tirare fuori le unghie al che dovetti spiegargli a lungoche la parola “fiera” in Italia ha diversi significati e che in quelcaso non significava affatto una “bestia feroce”, ma bensì “orgo-gliosa”, “arrogante”, “nobile”, “altèra”. Insomma, questo DonPasquale a Salisburgo aprì tante porte che poi sarebbero statepiù volte varcate in maniera più o meno drammatica nella miavita, nel bene e nel male.

Comunale di Firenze, La ScalaLa produzione del Don Pasquale al Comunale di Firenze fu par-ticolarmente felice e la ricordo con molto affetto. La regia era diSylvano Bussotti, una regia molto interessante fatta da un musi-cista importante che aveva grandi qualità registiche e soprattut-to la consapevolezza di che cosa stesse avvenendo nel teatromusicale, tant’è vero che la collaborazione fu splendida, con ladimostrazione appunto che quando un regista è anche un musi-cista, ha una tale consapevolezza di quello che sta avvenendosulla scena da non tradire mai la musica.

Riccardo Muti con Claudio Desderie Nicola Alaimo.

Poi si passa alla produzione scaligera, quella di Stefano Vizioli,che fu anche trasmessa per televisione, e anzi funzionava benis-simo televisivamente. Una regia che ho amato particolarmenteperché era piena di verve, piena di spirito, piena di fuoco epiena di ironia. E infatti il Don Pasquale è opera ironica, peròcome tutte le altre opere di Donizetti, la sua comicità, la sua iro-nia è sempre – e questo andrebbe sottolineato almeno tre volte –venata di una grande malinconia. È questo che lo differenzia daRossini e non perché Rossini non sia malinconico o perché nonsia addirittura drammatico o tragico, ma nell’opera comicaRossini pensa a divertire anche attraverso il martellamento diun virtuosismo strumentale e vocale a cui Donizetti è completa-mente estraneo, perché Donizetti trova l’ironia e il sorriso su unlibretto fantastico, perché il libretto del Don Pasquale è unlibretto perfetto attraverso la capacità di piegare la musica allaparola e di piegarsi proprio al significato profondo di ogni paro-la per cui con pochi mezzi e con pochi cenni Donizetti è capacedi creare, come nel caso di Don Pasquale, un’opera dramma-turgicamente perfetta.

Due sole noteNon si deve perdere di vista l’importanza della capacità, conpoche note, di creare anche una situazione ambientale. Peresempio, dopo la sinfonia quando si odono vari echi che rispon-dono a quell’inizio estremamente semplice, bene, questa musicaferma dà esattamente l’idea di quest’aria cupa, bassa, irrespira-bile: non c’è l’ossigeno, non c’è la vita e questo vecchio vogliosoche si aggira in cerca così… nell’attesa di qualcosa che irrompa,come ad esempio l’arrivo di Malatesta, e questo arrivo vienedeterminato e disegnato con una parola… anzi, per la precisio-ne, con due parole e con un’impressione musicale che solo ungenio… Quando Malatesta fa il suo ingresso dicendo “È permes-so?” [Atto I, Scena I] già si capisce che non c’è più scampo perdon Pasquale, perché il modo con cui lui, Malatesta chiede dientrare, di fatto è come entrasse il terremoto… sembra nulla, macreare con due sole note un personaggio, come con poche noteall’inizio creare la dimensione scenica, drammatica, come ho

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Riccardo Muti e Claudio Desderi.

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detto, di quest’aria irrespirabile, questa è la capacità drammati-ca, la capacità di evocare una situazione ed evocare le caratteri-stiche di un personaggio… E così la poesia, per esempio nelfinale, il duetto tra don Pasquale e Norina, oppure la partenzadi Norina ed Ernesto, oppure l’uso della tromba di evocazionebandistica italiana, dove la tromba viene usata veramente comestrumento di grande tristezza, e non quindi l’uso della trombacome strumento di guerra, come strumento eroico, ma di grandemalinconia che viene direttamente dalle bande italiane.O ancora l’attacco: prima parlavamo della capacità di evocareuna situazione e nelle prime battute del Don Pasquale, quandol’orchestra parte… [canticchia] abbiamo un’esplosione: l’e-splosione di una grande risata. E subito dopo questa risatasonora con cui il Don Pasquale si apre a piena orchestra, dopoquesta irrefrenabile sganasciata di risate, c’è un attimo disospensione e comincia… il pianto [canticchia di nuovo]. Inquesto contrasto c’è la chiave di lettura di tutto il Don Pasqua-le, immediata: la risata irrefrenabile, la tristezza, la nostalgia,la solitudine, l’amore impossibile.

Prima parlava del rapporto con questi cantanti già a fine car-riera, che avevano lavorato con i più grandi direttori, mentrelei si trovava lì all’inizio della sua carriera: cercava di imporrela propria visione, la sua idea o si appoggiava in qualche modoanche sull’esperienza del cantante?Io avevo come Malatesta addirittura Rolando Panerai, quindiavevo due veri colossi [si riferisce a Fernando Corena], e miricordo i sorrisi di compiacimento che si scambiavano tra diloro, perché erano due grandi professionisti, perché pur avendoloro cantato questi ruoli mille volte ho potuto costruire pazien-temente una mia interpretazione con quelle interminabili proveal pianoforte che usavo fare allora, e ancora oggi del resto (eh sì,non posso non ripensare ai ‘vecchi’ cantanti di una volta, iCorena, i Guelfi, i Tucker, i Bruscantini… ma come lavoravanoattorno al pianoforte!). E poi il preziosismo strumentale, quel-l’uso solistico a cui prima accennavo del violoncello, del corno,del fagotto… il fagotto anch’esso strumento solitamente identifi-

Riccardo Muti e Andrea De Rosa.

cabile con il grottesco, il burlone dell’orchestra. Ovviamentesappiamo benissimo come in tutta la letteratura sia mozartianache in Haydn e poi Beethoven eccetera, fino ad arrivare a Stra-vinskij il fagotto abbia acquistato anche caratteristiche di stru-mento di grandissima espressione, di grandissima vocazione,però l’uso così intelligente e nuovo di questi strumenti solisti daparte di Donizetti, e ancora l’uso delle chitarre… L’uso del corocosì parco ed essenziale: il coro non viene usato con vani dispen-di di energie, ma come un personaggio, quindi un piccolo coroche interviene come personaggio ed ogni volta che entra richiededa parte del direttore e da parte del maestro del coro un’atten-zione, come diceva Verdi, tale per cui ogni corista deve sentirsiun solista. Questo riguarderà molto il lavoro del regista: corodunque non inteso come massa, ma come moltitudine di indivi-dui con una singola personalità, questo in Donizetti è fondamen-tale.

Questione di accentiEravamo a Raleygh, North Carolina, con la PhilharmoniaOrchestra di Londra. Era mattina presto, quando squilla iltelefono, io dico: “Ma chi è che chiama alle sette di mattina?” Eallora alzo la cornetta e sento: “Sono Karajan”. Era proprio luiche mi chiamava da Salisburgo dove era l’una di notte. E midice: “Dobbiamo fare una nuova produzione di Così fan tutte evorrei che fosse Lei a dirigerla”. Ripresomi dalla sorpresarisposi: “Ma veramente io non ho mai diretto il Così fan tutte, epoi il Così fan tutte a Salisburgo…” Dopo nove anni di trionfoininterrotto credo che Karl Böhm si aspettasse naturalmente diavere la nuova produzione, e infatti quando io feci poi il Cosìfan tutte diceva: “Questo italiano… cosa può sapere mai questoitaliano del Così fan tutte!” Questa situazione poteva essere par-ticolarmente insidiosa per me, perché lui era il dio in terra inAustria… l’orchestra ha invece capito subito che c’era un’ita-lianità… poi quando io provo canto, c’è sempre la voce, per cuiloro sentivano che stava succedendo qualcosa di nuovo, e infattifu un bel successo, perché fu una lettura basata sul testo. Così,quando un critico tedesco mi chiese: “Secondo lei qual è la diffe-

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renza di interpretazione tra la sua e quella di Böhm?” io risposi:“La mia è con l’accento, la sua è senza”… ed era la verità per-ché lui pronunciava Còsi fan tutte… invece di Così…Quando dissi a Karajan alla fine che ero un po’ preoccupato,che ci volevo pensare, lui mi rispose seccamente: “O sì o no!”Allora risposi di sì. Quell’anno fu un vero inferno, tutti mi dice-vano: “Sei sicuro? Ma ti pare? Andare nella tana del lupo? Titaglieranno la testa! Vedrai…” Ma fu un successo in tutto ilmondo, era stata come la rivelazione di un nuovo modo di inter-pretare, che poi così nuovo forse non era perché se riascoltiamoCantelli negli anni Cinquanta… era quella la strada, cioè lastrada di un italiano che legge Mozart attraverso Da Ponte.

Comunque tra il Comunale di Firenze, Salisburgo e la Scala…il Don Pasquale ha segnato una delle svolte importanti, comedire delle fasi della sua carriera, e adesso anche a Ravenna…Questa nuova esperienza a Ravenna è interessante perché sitratta di creare un nuovo Don Pasquale con un team in cuiorchestra, cantanti e regista sono tutti giovanissimi, tutti eccettodon Pasquale e non perché Desderi non sia ancora un uomo gio-

Riccardo e Cristina Muti.

delle registrazioni, come nel caso del DonPasquale, cerco sempre di non ascoltarle pernon rifare il verso a me stesso e quindi di faretabula rasa e ripartire completamente dacapo. Per me si tratta di imboccare una stradanuova ed in questo sono aiutato dall’esperienzaacquisita negli anni trascorsi dall’ultima esecu-zione, da tutta quanta la musica che è passatada allora. Tutta questa esperienza, questointervallo più o meno lungo di vita, con tutta lamusica che esso contiene confluisce inevitabil-mente in questa nuova interpretazione, anchese non posso dire esattamente che cosa o comeessa sarà, perché non sempre è possibile, e perfortuna, permettetemi di aggiungere, racconta-re ciò che si farà dal punto di vista espressivoed interpretativo.

[Trascrizione della conversazione a cura di Federica Bozzo]

vane, ma perché c’è bisogno di un’esperienzadi vita che un giovane non può avere. Sonosicuro che costruire da zero con questo gruppodi giovani, ripercorrendo nuovamente con loroquesto cammino, permetterà di scoprire cosenuove, prima impensabili. Certamente sonotutte persone, l’orchestra, i cantanti e il regi-sta, che non hanno addosso nessun elemento diroutine da scrostare, da rimuovere… tuttonasce da zero.

Dunque secondo Lei è possibile tornare su untesto musicale già precedentemente sviscerato,riletto in diverse occasioni e contesti, vedendo-lo – o ascoltandolo – con occhi nuovi, comefosse la prima volta?Ogni volta che mi avvicino a un capolavorocerco sempre di dimenticare quello che ho fattoin precedenza, tant’è vero che, anche se ho

Ridere della fine

di Andrea De Rosa

Donizetti malato in compagnia del nipote Andrea, dagherrotipo, 3 agosto 1847.Bergamo, Museo Donizettiano.

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Il libretto del Don Pasquale mi ha fatto tornare allamente certe indimenticabili burle narrate nelle novelledel Decamerone, nelle quali l’effetto comico è tanto piùefficace quanto più i personaggi manifestano il loro lato

ridicolo attraverso il congegno spietato che si stringe lorointorno. Considerata in quest’ottica, anche la trama del DonPasquale appare ben crudele, ma è solo attraverso questa cru-deltà che i personaggi si mostrano veramente e ci parlanoancora.Ho cercato quindi di evitare il clichè secondo il quale donPasquale è un personaggio ridicolo e perciò viene crudelmentegabbato. Il suo essere buffo, ho pensato, non deve essere unapremessa ma, come nel Decamerone, una conseguenza del rac-conto, dello spettacolo. Non bisogna ridere di don Pasquale,infatti, ma di quegli aspetti della sua vecchiaia che tutti temia-mo e di cui tutti sentiamo il bisogno di liberarci attraverso larisata e lo sberleffo. Solo così, credo, possiamo ridere anche dinoi stessi.

Ancora seguendo il filo di una analogia con il Decamerone – incui i narratori appaiono tra una novella e l’altra, facendo risal-tare i loro racconti sullo sfondo drammatico della Firenze deci-mata dalla pestilenza – ho sentito per Don Pasquale il bisogno diuna cornice attraverso la quale noi potessimo vedere gli attoriche mettono in scena la farsa e le loro reazioni al gioco chevanno facendo. Ho cercato di catturare la complessità di questo sguardo, dicogliere la tristezza e la malinconia dell’attore, del capocomico,di fronte al suo personaggio, di fronte a don Pasquale, di frontea se stesso... Si racconta spesso di quanto siano diversi nella vitai grandi comici da come appaiono sulla scena: penso, su tutti, alvecchio De Filippo che si dice trascorresse giornate intere dasolo nel suo camerino a “sistemare le carte”; a quanto dovesseessere difficile portare in scena il suo Luca Cupiello e far ridereil pubblico tutte le sere con un personaggio che, anno dopoanno, gli somigliava sempre di più.Donizetti compose l’opera pochi mesi prima di essere devastato

Andrea De Rosa con Bruno Taddiae Nicola Alaimo.Nella pagina seguente, Andrea De Rosa con il Coro del Teatro Municipale di Piacenza.

dalla malattia che lo portò alla morte. Non ho voluto trascurare questo elemento biografico nel con-siderare una identificazione, insieme ilare e dolorosa, tra il compositore ed il suo Don Pasquale, ungioco di specchi in cui l’autore, anziano e morente, cerca di strappare al pubblico l’ultima risataprima di uscire di scena.

Gli artisti

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A Napoli, città in cui è nato, studiapianoforte con Vincenzo Vitale,diplomandosi con lode presso ilConservatorio di San Pietro aMajella. Al “Giuseppe Verdi” diMilano, in seguito, consegue ildiploma in Composizione e Direzio-ne d’orchestra sotto la guida diBruno Bettinelli e Antonino Votto.Nel 1967 la prestigiosa giuria delConcorso “Cantelli” di Milano gliassegna all’unanimità il primoposto, portandolo all’attenzione dicritica e pubblico.L’anno seguente viene nominatoDirettore Principale del MaggioMusicale Fiorentino, incarico che manterrà fino al1980. Già nel 1971, però, Muti viene invitato daHerbert von Karajan sul podio del Festival di Sali-sburgo, inaugurando una felice consuetudine che loporterà, nel 2001, a festeggiare i trent’anni di soda-lizio con la manifestazione austriaca. Gli anni Set-tanta lo vedono alla testa della PhilharmoniaOrchestra di Londra (1972-1982), dove succede aOtto Klemperer; quindi, tra il 1980 e il 1992, eredi-ta da Eugène Ormandy l’incarico di DirettoreMusicale della Philadelphia Orchestra.Dal 1986 al 2005 è Direttore Musicale del Teatroalla Scala: prendono così forma progetti di respirointernazionale, come la proposta della trilogiaMozart-Da Ponte e la tetralogia wagneriana.Accanto ai titoli del grande repertorio trovano spa-zio e visibilità anche altri autori meno frequentati:pagine preziose del Settecento napoletano e operedi Gluck, Cherubini, Spontini, fino a Poulenc, conquella Dialogues des Carmélites che gli hanno valsoil Premio “Abbiati” della critica. Il lungo periodo

trascorso come direttore musicaledei complessi scaligeri culmina il 7dicembre 2004 nella trionfale ria-pertura della Scala restaurata dovedirige l’Europa riconosciuta diAntonio Salieri.Nel corso della sua straordinariacarriera Riccardo Muti dirigemolte tra le più prestigiose orche-stre del mondo: dai BerlinerPhilharmoniker alla BayerischenRundfunk, dalla New YorkPhilharmonic all’Orchestre Natio-nal de France alla Philharmonia diLondra e, naturalmente, i WienerPhilharmoniker, ai quali lo lega un

rapporto assiduo e particolarmente significativo, econ i quali si esibisce al Festival di Salisburgo dal1971.Invitato sul podio in occasione del concerto cele-brativo dei 150 anni della grande orchestra vienne-se, Muti ha ricevuto l’Anello d’Oro, onorificenzaconcessa dai Wiener in segno di speciale ammira-zione e affetto. Nell’aprile del 2003 viene eccezio-nalmente promossa in Francia una “JournéeRiccardo Muti”, attraverso l’emittente nazionaleFrance Musique che per 14 ore ininterrotte tra-smette musiche da lui dirette con tutte le orchestreche lo hanno avuto e lo hanno sul podio, mentre il14 dicembre dello stesso anno dirige l’atteso con-certo di riapertura del Teatro La Fenice di Venezia.Nel 2004 fonda l’Orchestra Giovanile “Luigi Che-rubini” formata da giovani musicisti selezionati dauna commissione internazionale fra oltre 600 stru-mentisti provenienti da tutte le regioni italiane.La vasta produzione discografica, già rilevantenegli anni Settanta e oggi impreziosita dai molti

Riccardo Muti

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premi ricevuti dalla critica specializzata, spazia dalrepertorio sinfonico e operistico classico al Nove-cento.Il suo impegno civile di artista è testimoniato daiconcerti proposti nell’ambito del progetto “Le viedell’Amicizia” di Ravenna Festival in alcuni luoghi“simbolo” della storia, sia antica che contempora-nea: Sarajevo (1997), Beirut (1998), Gerusalemme(1999), Mosca (2000), Erevan e Istanbul (2001),New York (2002), Il Cairo (2003), Damasco (2004),El Djem (2005), Meknès (2006) con il Coro e l’Or-chestra Filarmonica della Scala, l’Orchestra e ilCoro del Maggio Musicale Fiorentino e i “Musiciansof Europe United”, formazione costituita dalleprime parti delle più importanti orchestre europee.Tra gli innumerevoli riconoscimenti conseguiti daRiccardo Muti nel corso della sua carriera si segna-lano: il titolo di Cavaliere di Gran Croce dellaRepubblica Italiana e la Grande Medaglia d’orodella Città di Milano; la Verdienstkreuz dellaRepubblica Federale Tedesca; la Legion d’Onore inFrancia e il titolo di Cavaliere dell’Impero Britan-

nico conferitogli dalla Regina Elisabetta II. IlMozarteum di Salisburgo gli ha assegnato la Meda-glia d’argento per l’impegno sul versante mozartia-no; la Wiener Hofmusikkapelle e la WienerStaatsoper lo hanno eletto Membro Onorario; ilpresidente russo Vladimir Putin gli ha attribuitol’Ordine dell’Amicizia, mentre lo stato d’Israele loha onorato con il premio “Wolf” per le arti. Moltis-sime università italiane e straniere gli hanno confe-rito la Laurea Honoris Causa.Chiamato a dirigere il concerto che ha inauguratole celebrazioni per i 250 anni dalla nascita diMozart al Grosses Festspielhaus di Salisburgo, Ric-cardo Muti ha rinsaldato i legami e le affinità idealicon i complessi dei Wiener Philharmoniker. In taleoccasione è stato annunciato il suo impegno per ilFestival di Pentecoste fondato da Karajan dove, apartire dal 2007 e insieme alla “Cherubini”, l’or-chestra giovanile da lui fondata, affronterà un pro-getto triennale mirato alla riscoperta e allavalorizzazione del patrimonio musicale, operisticoe sacro, del Settecento napoletano.

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Laureato in filosofia nel 1994, hadiretto vari cortometraggi tra iquali Appunti per una fenomenolo-gia della visione (1994), premiato alFestival Internazionale di Torino.A teatro ha curato la regia di Enco-mio di Elena, da Gorgia da Lentini(1997); Le troiane di Euripide(1999); Il decimo anno, da Euripideed Eschilo (Orestiadi di Gibellina,2000); Elettra di Hugo von Hof-mannsthal.Nel 2004 ha realizzato la sua primaregia d’opera con Idomeneo, re diCreta di Mozart per il TeatroComunale di Trento e il TeatroSociale di Rovigo. L’anno seguente ha messo inscena Curlew River di Benjamin Britten, prima

tappa di una trilogia (CurlewRiver, The Prodigal Son, TheBurning Fiery Furnace) che lovedrà impegnato in un progettotriennale.Di recente ha lavorato a una seriedi tre opere per il Teatro Nacionalde São Carlos di Lisbona, compo-sto da Sancta Susanna di PaulHindemith, Erwartung di ArnoldSchönberg, e Il dissoluto assolto diAzio Corghi su libretto di JoséSaramago (in prima mondiale).Tra i suoi prossimi impegni operi-stici, la regia di un dittico formatoda Dido and Aeneas di Henry Pur-

cell e Satyricon di Bruno Maderna e, per la prosa,Maria Stuarda di Friedrich Schiller.

Andrea De Rosa

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Reggiano di nascita, si diploma inscenografia nel 1985 all’Accademiadelle Belle Arti di Bologna, allievodi Mario Ceroli ed Enrico Manelli.Dal 1987 al 2000 lavora alla Dire-zione Allestimenti del TeatroComunale di Bologna, dove ricoprel’incarico di Direttore degli Allesti-menti Scenici dal 1993. Opera prin-cipalmente come scenografo, macontinua a tenere consulenze tecni-che per diversi enti teatrali interna-zionali, tra queste il MaggioMusicale Fiorentino.Tra i molti spettacoli da lui curati,si ricordano in particolare L’elisird’amore andato in scena al Suntory Hall di Tokyocon la regia di Lorenzo Mariani, e Robert le diable,sempre per la regia di Mariani, presentato al Festi-val di Martina Franca. Ancora a Martina Franca,molto apprezzato è stato nel 1997 il Macbeth per laregia di Francesco Esposito e, nel 1998, Il fortuna-to inganno di Donizetti diretto da Guido De Monti-celli, vincitore degli importanti premi Abbiati eSamaritani.Nel 2003 ha inaugurato il ritorno dell’Opera diRoma a Caracalla con Carmen per la regia di Fran-cesco Esposito e i costumi di Alberta Ferretti. Hafirmato le scene di Tosca, amore disperato compo-sta da Lucio Dalla (costumi di Giorgio Armani), e

nel 2004 Le nozze di Figaro diretteda Zubin Metha a Tel Aviv. Nel2005, dopo il successo della Travia-ta al Carlo Felice di Genova, firmacon Marco Gandini La finta sempli-ce per La Fenice di Venezia, e poi Igiuochi d’Agrigento, Pagliacci, eCosì fan tutte a Piacenza. Di recen-te ha disegnato scene e costumi perl’Arlecchino di Ferruccio Busonicon la regia di Lucio Dalla.Tra i suoi ultimi progetti, va inoltrericordato un festival verdiano inGiappone che lo vede impegnato daanni nella proposta dei titoli menonoti del Maestro di Busseto: que-

st’anno sarà la volta del Corsaro con la regia diKeisuke Suzuki e la direzione di Hiroshi Wakasu-ghi. Ancora, da citare il progetto sulle opere com-poste da Marco Betta e tratte dalla raccolta diAndrea Camilleri Il commissario di bordo. Tra que-ste, Il fantasma nella cabina ha ricevuto al debuttoampi consensi.Ha curato anche gli allestimenti di diverse mostre,tra cui La forza e il destino: la fortuna di Verdi inRussia, A misura di bambino: 100 anni di mobiliper l’infanzia in Italia, nonché l’importante retro-spettiva Elisabetta Sirani, pittrice eroina, e nel2006 Un diavolo per capello: una storia dell’accon-ciatura attraverso l’arte e l’etnografia.

Italo Grassi

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Nata a Rosignano Solvay (Livorno),ha studiato all’Istituto d’Arte eall’Accademia di Belle Arti diFirenze. Assistente di Piero Tosiper Medea di Pasolini, Morte aVenezia e Ludwig di Visconti, haintrapreso dal 1969 un’intensa atti-vità di costumista per il cinema,conquistando i più importantipremi internazionali. Tra i film a cui ha collaborato,Uomini contro e Tre fratelli diFrancesco Rosi, Addio fratello cru-dele, Identikit e Divina creatura(Vincitore del nastro d’argento) diGiuseppe Patroni Griffi, Fatti digente perbene (Vincitore del nastro d’argento) eL’eredità Ferramonti di Mauro Bolognini, Il Gab-biano di Marco Bellocchio, Prova d’orchestra e Lacittà delle donne (Vincitore del Nastro d’argento) diFederico Fellini, Passione d’amore, La nuit deVarennes (Vincitore del Nastro d’argento), Lafamiglia (Vincitore del Nastro d’argento e del Ciakd’oro), Splendor e Che ora è di Ettore Scola, C’erauna volta in America di Sergio Leone (Vincitore delBAFTA Award – il premio della British Academy ofFilm and Television Art – e del David di Donatello),Dagobert di Dino Risi, Il nome della rosa di Jean-Jacques Annaud, Le avventure del Barone di Mun-chausen (Nomination all’Oscar, vincitore del Ciakd’oro e del BAFTA Award) e I fratelli Grimm diTerry Gilliam, L’età dell’innocenza di Martin Scor-sese (conl quale ha vinto l’Oscar per i costumi), Lalettera scarlatta di Roland Joffé, Les miserables diBillie Agust e Sogno di una notte di mezza estate di

Michael Hoffman. E ancora VanHelsing di Stephen Sommers, Lafabbrica di cioccolato di Tim Bur-ton, Beowulf di Robert Zemekis.All’attività cinematograficaGabriella Pescucci ha alternatoquella per il teatro, firmando alle-stimenti per i più importanti palco-scenici del mondo: fra le opereliriche, Norma alla Scala di Milanocon regia di Bolognini, ManonLescaut al Festival dei Due Mondicon regia di Visconti e alla Scalacon regia di Faggioni, Il Trovatoreall’Arena di Verona con regia diPatroni Griffi e all’Opera di Mona-

co con regia di Ronconi, La Bohème al TeatroComunale di Firenze e all’Opéra Bastille di Parigicon regia di Jonathan Miller, La sonnambula anco-ra al Comunale di Firenze; particolarmente intensapoi la sua collaborazione con Liliana Cavani (Car-dillac al Maggio Musicale Fiorentino, Jenufa alTeatro Comunale di Firenze, La Traviata, LaVestale, Manon Lescaut, I pagliacci e Un ballo inmaschera alla Scala di Milano, La cena delle beffeall’Opera di Zurigo, Cavalleria rusticana a Raven-na Festival). Nel campo della prosa va ricordata lasua partecipazione ad importanti allestimenti conregia di Patroni Griffi (Mahagonny, Napoli chiresta e chi parte, Le femmine puntigliose, Questasera si recita a soggetto, Sei personaggi in cercad’autore, Ciascuno a suo modo, Fior di Pisello,Una volta nella vita, La moglie saggia), Luca Ron-coni (Strano interludio, Gli ultimi giorni dell’uma-nità), Mario Missiroli (Nostra Dea).

Gabriella Pescucci

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Disegnatore luci e direttore dellafotografia, forte di una partecipa-zione venticinquennale alle compa-gnie teatrali e cinematograficheFalso Movimento e Teatri Uniti (dalui fondate a Napoli insieme ai regi-sti Mario Martone e Toni Servillosin dal 1979), ha collaborato direcente con Martone anche incampo lirico firmando le luci dellatrilogia di Mozart e Da Ponte pre-sentata nel 2006 al San Carlo diNapoli; di Così fan tutte ha curatoanche la fotografia della versionetelevisiva prodotta dalla RAI nel2000 e andata in scena al TeatroComunale di Ferrara con la direzione di ClaudioAbbado. Sempre con Martone ha lavorato alla Luludi Berg al Massimo di Palermo nel 2001, e allaMatilde di Shabran del Rossini Opera Festival2004. Con Servillo ha lavorato invece al BorisGodunov del Teatro de São Carlos di Lisbona nel2001, alle Nozze di Figaro per La Fenice di Venezianel 2000, e ad Ariadne auf Naxos per Lisbona eFerrara nel 2004.Ha collaborato con Andrea de Rosa fin dal suodebutto nella regia lirica con l’Idomeneo di Mozartandato in scena nel 2004 a Trento, seguito l’annodopo nello stesso teatro da Curlew River di Benja-min Britten. Ancora in campo musicale, nel 2002ha curato le luci degli allestimenti a “Musica perRoma” di West Side Story con la regia di AndreaRenzi, e del Pollicino di Henze con la regia diDaniele Abbado. Nel 2003 è stata la volta di Rigo-letto diretto da Marco Bellocchio e andato in scena

a Piacenza e Ravenna, nonché divari concerti italiani di Steve Lacy,degli Avion Travel e di Ivano Fossa-ti.Nel teatro di prosa ha lavorato alungo con Carlo Cecchi, per la suatrilogia shakespeariana Amleto,Misura per misura e Sogno di unanotte di mezza estate a Roma e aPalermo, e per la Hedda Gabler diIbsen a Ferrara nel 2002. Ha inol-tre lavorato ancora con Marco Bel-locchio per il Macbeth diShakespeare presentato al TeatroIndia di Roma nel 2001. Ha colla-borato con Valerio Binasco per il

Gabbiano di Cechov (Roma, 2002) e per Cara Pro-fessoressa di Ljudmila Razumovskaja (Parma,2003). Ancora con Servillo ha firmato le luci diFalse confidenze di Marivaux, del Misantropo e delTartufo di Moliere, e di Sabato domenica e lunedìdi Eduardo De Filippo approdata, a conclusione diuna tournèe di quattro anni in Italia e in Europa,all’Athénée di Parigi nell’inverno 2006.Tra le sue direzioni di fotografia più importanti,Teatro di guerra (1999) di Mario Martone, PlacidoRizzotto (2000) di Pasquale Scimeca, Il bagnoturco (1997) e Le fate ignoranti (2001) di FerzanOzpetek, L’uomo in più (2001) di Paolo Sorrentino,L’ora di religione (Cannes 2002), Buongiorno,Notte (Venezia 2005) e Il regista di matrimoni(Cannes 2006) di Marco Bellocchio. Per quest’ulti-mo film ha ricevuto il Globo d’oro per la migliorefotografia.

Pasquale Mari

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Si è diplomato cum laude in pia-noforte al Conservatorio “GiuseppeNicolini” di Piacenza. Nel 1986comincia a lavorare in teatro comeMaestro collaboratore, e dal 1992come Maestro del coro. In quest’ul-tima veste ha partecipato alle pro-duzioni liriche di vari teatrinell’Italia del Nord (Teatro Comu-nale di Piacenza, Teatro Regio diParma, Teatro Comunale di Modena, Teatro Gran-de di Brescia, Teatro Ponchielli di Cremona, Tea-tro Fraschini di Pavia, Teatro Donizetti diBergamo, Teatro Comunale di Ferrara, Teatro Ali-

ghieri di Ravenna) a fianco didirettori d’orchestra quali DanielOren, Maurizio Arena, PiergiorgioMorandi, Mstislav Rostropovic,José Cura, e di registi come UgoGregoretti, Marco Bellocchio, Vit-torio Sgarbi. Nella veste di pianistaaccompagnatore ha lavorato in Ita-lia e all’estero (Canada, StatiUniti, Australia, Sud Africa), esi-

bendosi soprattutto per le comunità italiane colàresidenti. Alla guida del Coro del Teatro Municipa-le di Piacenza, ha all’attivo registrazioni discografi-che e televisive a livello locale e nazionale.

Corrado Casati

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Ha debuttato nel 1969 al Festival diEdimburgo interpretando Il signorBruschino di Rossini. Da allora haprivilegiato il repertorio mozartia-no e rossiniano, che ha proposto nelcorso di importanti festival qualiquelli di Salisburgo, Pesaro e Glyn-debourne. Dal 1973 è regolarmenteospite del Teatro alla Scala dove hainterpretato, fra i molti titoli, LaCenerentola e L’italiana in Algericon la direzione di Claudio Abbado,nonché le opere di Mozart su libret-to di Da Ponte dirette da RiccardoMuti. Il suo repertorio spazia daMonteverdi a Nono, con particolareattenzione per il genere cameristico e liederistico eper le composizioni di Schumann, Schubert eBrahms. Si è esibito all’Opéra di Parigi in Falstaff,al Covent Garden di Londra nelle Nozze di Figaro eCosì fan tutte, nonché a New York e Chicago in altrecelebri parti mozartiane e rossiniane. Dal 1988 ha guidato il Progetto “Mozart - DaPonte” della Scuola di Musica di Fiesole: un labo-ratorio conclusosi con la messa in scena di Così fantutte, Le nozze di Figaro e Don Giovanni, cui èseguito nel 1993-1996 un workshop sulla vocalità diMonteverdi culminato nella produzione dell’Inco-ronazione di Poppea, La favola di Orfeo, e Il ritor-no di Ulisse in patria.

Da diversi anni svolge un’intensaattività come direttore d’orchestrache lo ha portato alla testa di nume-rose compagini italiane e straniere.Tra le produzioni più significative,La scala di seta e L’occasione fa illadro a Montpellier nel 1992, Fal-staff e La pietra del paragone alFestival di Aldeburgh nel 1993, Ilmaestro di cappella di Cimarosaalla Reggia di Caserta in occasionedel G7 nel 1994, un trittico compo-sto dal Maestro di cappella, Iltelefono di Menotti e La voix humai-ne di Poulenc da lui diretto e inter-pretato nel 1995 a Napoli. Nel corso

dello stesso anno ha diretto i Carmina Burana, LaCenerentola, La pietra del paragone, Rigoletto,Falstaff, La traviata, Macbeth e Carmen a Pisa, Ilsignor Bruschino e La scala di seta a Bilbao, Car-men a Rouen e Don Giovanni a Marsiglia. Tra i suoiimpegni più recenti, lo spettacolo Tout Rossini aParigi, La finta giardiniera a Nizza e Il barbiere diSiviglia a Baltimora, Montecarlo e Tolosa nel 2001.Tra gl’importanti incarichi ricevuti, la direzioneartistica del Teatro Verdi di Pisa dal 1991 al 1997, equella del Regio di Torino dal 1998 al 2001. È statoconsulente artistico del Festival Verdi di Parma e,dall’agosto 2002 al dicembre 2003, sovrintendentedel Teatro Massimo di Palermo.

Claudio Desderi

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Baritono, nasce nel 1978 a Paler-mo, dove compie gli studi musicaliper poi perfezionarsi con VittoriaMazzoni. Nel 1997 debutta comeDandini nella Cenerentola di Rossi-ni, e interpreta in seguito Raim-baud nel Comte Ory diretto daAlberto Zedda.Fedele alla causa rossiniana, nel2003 ha impersonato Don Bartolonel Barbiere di Siviglia al TeatroBellini di Catania, e ha cantatonella parte del Faraone in Moïse etPharaon alla Scala, diretto da Ric-cardo Muti. Ha poi interpretato ilConte di Luna nel Trovatore pro-dotto da Ravenna Festival con la regia di CristinaMazzavillani Muti (ha coperto la stessa parte nelgennaio 2005 al Teatro Piccinni di Bari, diretto daMassimiliano Stefanelli), ed è stato Procolo nelleConvenienze ed inconvenienze teatrali di Donizettidirette da Fabrizio Maria Carminati al TeatroDonizetti di Bergamo.Nel luglio 2004 interpreta Ezio nell’Attila di Verdial Luglio Musicale Trapanese. Appare poi comeSharpless in Madama Butterfly nei teatri di Lucca,Pisa, Sassari, Livorno, Ravenna, Bolzano, Trento

e Rovigo, con la direzione di Giulia-no Carella (l’anno successivo ancheal Festival pucciniano di Torre delLago, diretto da Keri-Lynn Wil-son). In dicembre canta ancora nelBarbiere di Siviglia, questa volta alteatro di Treviso e nella parte diFigaro.Il 2005 lo vede apparire come Dot-tor Malatesta nel Don Pasquale diDonizetti al Teatro Bellini di Cata-nia, diretto da Stefano Ranzani.Interpreta poi Don Profondo nelViaggio a Reims di Rossini a Berna,e Renato nel Ballo in maschera diVerdi al Teatro Piccinni di Bari,

con la direzione di Andrea Licata (nel 2006 anche alMassimo di Palermo, sotto la bacchetta di StefanoRanzani).Quest’anno ha impersonato Taddeo nell’Italiana inAlgeri di Rossini all’Opéra di Tolone. È stato inol-tre Belcore nell’Elisir d’amore di Donizetti a Savo-na diretto da Massimiliano Stefanelli, Leporello nelDon Giovanni di Mozart al Teatro greco di Taormi-na, e Don Giovanni nel Dissoluto assolto di AzioCorghi alla Scala.

Nicola Alaimo

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Baritono aretino, classe 1973, hastudiato canto con Slavka TaskovaPaoletti, Paride Venturi e, attual-mente, con Bruno De Simone. Hapartecipato a numerosi concorsiinternazionali, vincendo il Concorso“Toti Dal Monte”, il premio speciale“Cesare Bardelli” al Concorso “Viot-ti” di Vercelli, il premio “Zarzuela”al Concorso “Operalia” 2003; haottenuto il secondo premio al Con-corso “Spiros Argiris” nel 2004.Ha cantato con direttori come Clai-re Gibault, Paolo Olmi, Massimilia-no Stefanelli, Giancarlo Andretta,Fabrizio Maria Carminati, Lawren-ce Foster, Michael Guttler, Mario Merigo, France-sco Vizioli, Fabio Maestri, Giovanni BattistaVaroli. Ha lavorato con registi quali Carlo Battisto-ni, Luis Erlo, Simona Marchini, Daniele Abbado,Luca Ferraris, Gabriella Medetti, Alessio Pizzech,Aldo Tarabella, Angelo Savelli, Paolo Panizza. Ha debuttato con Opera Youth in Europe nel 1998come Alcindoro nella Bohème, e nel 1999 ha imper-sonato Betto in Gianni Schicchi. Per il Laboratorio“Voci in Musica” di Musica per Roma ha interpre-tato Guglielmo in Così fan tutte e il Signor Lupo nelPollicino di Henze. Nel 2001, all’Accademia Filar-monica Romana, ha cantato in prima esecuzioneitaliana Palermo e Corona di Luca Lombardi; alTodiArte Festival ha cantato in prima assoluta ilmelologo Veiano, testo di Sandro Cappelletto emusica di Matteo D’Amico, trasmesso da RaiRadio3. Nello stesso anno ha debuttato come Ger-mano nella rossiniana Scala di seta, poi incisa perBongiovanni. Nel 2002 ha interpretato il Padre inHänsel und Gretel all’Opera di Roma, il Pendolo eil Gatto nell’Enfant et les sortilèges di Ravel allo

Châtelet di Parigi, e ha debuttatocome Dottor Malatesta in DonPasquale al Teatro Bonci di Cese-na. Nel 2003 è stato a Treviso comeDandini nella Cenerentola, per poiinterpretare Marcello nella Bohèmeal Bonci di Cesena; come vincitoredi “Operalia” 2003, ha cantato conPlacido Domingo all’isola di Mai-nau, nel Concerto di gala trasmessovia satellite dalla televisione tede-sca. Si è poi esibito in Così fan tuttea Trieste, Lucca, allo Strehler diMilano ed in tournée con il PiccoloTeatro di Milano, e poi nel SignorBruschino, La cambiale di matri-

monio al Festival Galuppi di Venezia, La Ceneren-tola a Pisa, Lucca e Livorno. Sotto la direzione diPatrick Fournillier ha interpretato Valentin nelFaust di Gounod a Ravenna Festival. Si è poi esibi-to al Festival di Martina Franca come Capellio inRomeo e Giulietta di Marchetti.Nel marzo 2005, all’Opera di Losanna, ha cantato eregistrato La grotta di Trofonio di Salieri sotto ladirezione di Christophe Rousset insieme a LesTalens Lyriques. Di recente, ha cantato nella nuovaproduzione dell’Ape musicale al Teatro Pergolesi diJesi, e ha debuttato come Barone Grog nella Gran-de-duchesse de Gérolstein alla Fenice di Venezia, ecome Prosdocimo nel Turco in Italia al Regio diTorino (poi ripreso al Teatro dell’Opera di Roma).Ha poi di nuovo interpretato Guglielmo in Così fantutte a Losanna, e ha appena cantato la parte diAchilla nel Giulio Cesare di Händel al Théâtre desChamps-Elysées di Parigi.Tra i suoi impegni futuri, L’italiana in Algeri alTeatro Comunale di Bologna, Il matrimonio segre-to, e Maria Stuarda a Liegi.

Mario Cassi

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Baritono, nato a Pavia, si è diplo-mato in violino al Conservatorio diGenova e ha studiato nel corso diComposizione sperimentale delConservatorio di Milano. Ha stu-diato canto con Paolo Montarsolo,e recitazione con Lorenzo Minelli.Studia filosofia all’Università diMilano.Dopo l’iniziale attività come violini-sta, nel 2000 ha frequentato il corsodi interpretazione tenuto da Gian-luigi Gelmetti sulla Cenerentola diRossini, dove ha perfezionato laparte di Dandini. Nel 2001 ha fre-quentato i corsi dell’AccademiaRossiniana di Pesaro tenuti da Alberto Zedda, e hadebuttato al Rossini Opera Festival come Don Alva-ro nel Viaggio a Reims. In seguito ha interpretatoDon Bartolo nel Barbiere di Siviglia con la regia diDario Fo ad Amsterdam, Rotterdam, Utrecht,Eindhoven. Vincitore del Concorso As.Li.Co. 2002 come Tad-deo nell’Italiana in Algeri, ha interpretato tale per-sonaggio nei teatri del Circuito Lirico Lombardo eall’Alighieri di Ravenna, con la regia di Pier LuigiPizzi e la direzione di Giancarlo Andretta. Ha poifrequentato il corso tenuto da Claudio Desderi sulleNozze di Figaro, ed è stato selezionato per inter-pretare il Conte di Almaviva. Nella stagione 2002-2003 ha cantato come Gauden-zio nel Signor Bruschino a Cagli, e ha debuttatocome Gianni Schicchi al Teatro “Gustavo Modena”di Genova (poi anche al Künstlerhaus di Monaco diBaviera), per poi cantare come Lindo nel Tito Man-lio di Vivaldi al Festival Opera Barga. Nella partedi Philetas, ha inoltre partecipato alla prima asso-

luta in tempi moderni dell’operaDaphnis et Chloé di Jean-JacquesRousseau al Festival Internazionaledi Sarre (Aosta). Nella stagione successiva ha inter-pretato Ping nella Turandot direttada Massimo De Bernart, e Don Bar-tolo nel Barbiere di Siviglia prodot-to dall’As.Li.Co. Ha poi cantato Ilmaestro di cappella di Cimarosaall’Auditorium di Milano con l’Or-chestra Sinfonica di Milano “Giu-seppe Verdi”, L’elisir d’amore(Dulcamara) al Teatro Carlo Felicedi Genova, Il barbiere di Siviglia(Figaro) a Lisbona. Al Rossini

Opera Festival ha interpretato Raimondo Lopeznella Matilde di Shabran con la regia di Mario Mar-tone e la direzione di Riccardo Frizza. Nel 2005 èstato Dandini nella Cenerentola andata in scena conla regia di Simona Marchini nei teatri di Pisa, Lucca,Livorno. Ha impersonato ancora Dulcamara nell’E-lisir d’amore con la regia di Filippo Crivelli a Pavia,Cremona, Brescia e Ravenna. È stato inoltre impe-gnato come Don Quixote nel Retablo de Maese Pedrodi De Falla al Teatro Sociale di Como, come Bruschi-no padre nel Signor Bruschino a Milano, comeMacrobio nella Pietra del paragone a Friburgo eall’Opera di Rennes, come Don Bartolo nel Barbieredi Siviglia all’Opera di Roma con la direzione diGianluigi Gelmetti. Ha riscosso notevole successo lasua interpretazione di Don Pomponio nella Gazzettadi Rossini andata in scena al Gran Teatro del Liceudi Barcellona con la regia di Dario Fo.Nel 2006 ha cantato nei Finti filosofi (Don Micco) diSpontini a Jesi, L’italiana in Algeri (Taddeo) a Tre-viso, Le convenienze ed inconvenienze teatrali

Bruno Taddia

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(Mamm’Agata) a Dresda, L’equivoco stravagante(Gamberotto) diretto da Alberto Zedda alla Deut-sche Oper di Berlino, Gianni Schicchi di Puccini eParlatore eterno di Ponchielli e Mariani al Teatrodi Fano. Ha inoltre interpretato Ping nella Turan-dot allo Sferisterio di Macerata (regia di Pier LuigiPizzi, direzione di Daniele Callegari), Don Bartolonelle Nozze di Figaro a Lugano e, recentissimamen-te, L’Ajo nell’imbarazzo (il Marchese Don GiulioAntiquati) al Festival di Wexford.

Tra le sue interpretazioni sinfonico-vocali, ilRequiem di Mozart con l’Orchestra Sinfonica diMilano “Giuseppe Verdi” diretta da Romano Gan-dolfi, lo Stabat Mater di Haydn e la Messa solennedi Ponchielli con l’Orchestra “I Pomeriggi Musica-li” di Milano. Tiene inoltre numerosi concerti dimusica vocale da camera. Tra i suoi prossimi impe-gni, L’Italiana in Algeri (Taddeo) alla Palm BeachOpera e al Teatro Comunale di Bologna.

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Nato a La Plata, in Argentina, nel1978, ha iniziato gli studi musicaliall’età di nove anni al Conservato-rio “Gilardo Gilardi” della suacittà, per poi continuarli dal 2000in Spagna, dove si è perfezionato alConservatorio “Arturo Soria” diMadrid. Ha inoltre partecipato adiversi corsi di formazione, tra iquali quelli di tecnica vocale e diinterpretazione tenuti da TeresaBerganza a Santander, e da BrunoDe Simone a Pisa. Attualmente èallievo del baritono Luciano Rober-ti. La sua esperienza musicale si èconsolidata anche grazie all’attivitànei cori del Gran Teatre del Liceu di Barcellona,della Radiotelevisione spagnola, e del Maggio Musi-cale Fiorentino.A seguito della segnalazione all’VIII “Ciclo de Jòve-nes Cantantes” dell’Associazione Amici dell’Operadi Madrid, tiene un recital nell’auditorium dellaEscuela Superior de Canto di Madrid. Nel 2004vince il Concorso “Le voci nuove della lirica” bandi-to dall’Associazione Museo “Enrico Caruso”, grazieal quale si esibisce nella Sala Grande del Teatro DalVerme di Milano, e a Villa Caruso (Lastra a Signa)per l’assegnazione del Premio “Caruso” 2004 albaritono Leo Nucci. Nello stesso hanno debutta alMaggio Musicale Fiorentino nell’Idomeneo diMozart, interpreta Don Luigino nel Viaggio a Reimsdi Rossini, e canta per Città Lirica Opera Studio laparte di Acis nell’Acis and Galatea di Händel aPisa, Livorno e Chieti. Nel 2005 interpreta Ernestonel Don Pasquale di Donizetti al Teatro Pacini diPescia e, come vincitore del VII Concorso “Città diPistoia”, Rinuccio nel Gianni Schicchi di Puccini al

Manzoni di Pistoia e al Teatro deiRassicurati di Montecarlo (Lucca).Sempre nel 2005, interpreta l’Inno-cente nel Boris Godunov di Musorg-skij diretto da Semyon Bychkov alMaggio Musicale Fiorentino. Haimpersonato inoltre il Conte diAlmaviva nel Barbiere di Siviglia diRossini diretto dal Gianluigi Gel-metti (ha interpretato lo stesso per-sonaggio anche nell’opera omonimadi Paisiello al Teatro degli Arcim-boldi di Milano), e Don Ottavio nelDon Giovanni di Mozart diretto daHubert Soudant con la regia diFranco Zeffirelli al Teatro dell’Ope-

ra di Roma. Ha interpretato con successo Don Otta-vio anche a Lima, dove è stato invitato dal grandetenore Luigi Alva (proprio nei panni di Don Ottavio,Gatell ha vinto il LVII Concorso As.Li.Co.), ed è statoTamino nel Flauto magico alla Fenice di Venezia.Nel 2006 si è esibito a Ravenna, sotto la bacchettadi Riccardo Muti, nelle Vesperae solemnes de con-fessore di Mozart (eseguite anche a Firenze, semprecol maestro Muti). Alle Settimane Musicali Senesi èinoltre stato solista nel Requiem di Mozart direttoda Gianluigi Gelmetti.Fra i suoi prossimi impegni, il Don Giovanni perl’As.Li.Co., e il Davidde penitente di Mozart per iPomeriggi Musicali di Milano; e ancora Pulcinelladi Stravinskij con l’Orchestra della Toscana direttada Gabriele Ferro, Il ritorno di don Calandrinodiretto da Riccardo Muti al Festival di Pentecoste aSalisburgo, Il barbiere di Siviglia al Regio di Tori-no, Il burbero di buon buore di Martín y Solerdiretto da Christoph Rousset al Teatro Real diMadrid.

Juan Francisco Gatell Abre

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Tenore, nato a Barcellona nel 1972,ha iniziato a studiare canto conXavier Torra al ConservatorioSuperiore di Musica della propriacittà, dove ha frequentato anche laFacoltà di Medicina dell’UniversitàAutonoma. Ha poi conseguito ilSolistendiplom col massimo dei votiall’Accademia musicale di Basileacon Kurt Widmer; in seguito, haperfezionato la tecnica vocale conAnna Luísa Chova.Ha vinto il Concorso per giovanicantanti lirici organizzato dallabanca La Caixa e dal Gran Teatredel Liceu di Barcellona, è statofinalista nell’edizione 2003 del Concorso “Opera-lia”, e ha vinto la borsa di studio dello Herbert vonKarajan Centrum, che consiste in un contrattoannuale con la Staatsoper di Vienna.Ha cantato con l’Orquestra Nacional de Cambrad’Andorra, l’Orquestra Simfònica del Vallès, laReal Orquestra Simfònica de Sevilla, l’OrquestraCiudad de Granada, l’Orquestra Simfònica de LaCoruña, il Concerto Köln, l’orchestra baroccaCapriccio Basel, il Concert des Nations, l’Orche-stra del Gran Teatre del Liceu, il SinfonieorchesterBasel, il Wiener Symphonieorchester, i WienerPhilharmoniker, la London Philharmonic. È statodiretto, fra gli altri, da László Heltay, Jordi Casas,Jordi Savall, Josep Vila, Edmond Colomer, JosepPons, David Giménez, Alois Koch, LawrenceFoster, Renato Palumbo, Fabio Luisi, AlbertoZedda, Christoph Speering, Paolo Olmi, JesúsLópez Cobos. Ha cantato in importanti sale euro-pee quali il Palau de la Música a Valencia, l’Audito-rium di Barcellona, il Gran Teatre del Liceu, il

Teatro de la Maestranza di Siviglia,il Wiener Konzerthaus, la WienerVolksoper e la Wiener Staatsoper,la Hamburg Staatsoper, lo Stadtca-sino Basel, il Kunst und Kon-zerthaus Luzern, e il QueenElisabeth Hall di Londra.Nel 2004 ha debuttato come Lindo-ro nell’Italiana in Algeri alloStadttheater Klagenfurt (poiall’Opéra de Massy e alla Staatso-per di Vienna assieme ad AgnesBaltsa). Ha impersonato DonRamiro nella Cenerentola allaVolksoper di Vienna, all’OperaNazionale Finlandese di Helsinki, a

Trieste e Roma; ha interpretato il Conte di Liben-skof nel Viaggio a Reims al Rossini Opera, alloStaadttheater di Berna e a Oviedo, ed è stato DonNarciso nel Turco in Italia alla Staatsoper diAmburgo (prossimamente alla Bayerische Staatso-per). Ha inoltre cantato nell’Orfeo di Antonio Sar-torio al Festival Mozart della Coruña, e hainterpretato Belmonte nel Ratto dal serraglio alMassimo di Palermo e a Palma de Maiorca. Ha par-tecipato inoltre al Festival “Toujours Mozart” –allestito una volta all’anno alternativamente a Sali-sburgo, Praga e Vienna – interpretando Ferrandoin Così fan tutte, Idamante in Idomeneo, e lo Spiri-to cristiano in Die Schuldigkeit des ersten Gebotes.Nel repertorio oratoriale sono da segnalare le sueinterpretazioni del Requiem di Mozart al Palau dela Música Catalana e della Petite messe solennelledi Rossini a Praga. Ha cantato anche la Matthäus-e la Johannes-Passion, nonché il Magnificat diBach, lo Stabat Mater di Rossini, la Messa di gloriadi Puccini, Die Schöpfung di Haydn, il Messiah di

David Alegret

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Händel e Le roi David di Honegger. Assieme allaCapella Reial de Catalunya diretta da Jordi Savallha inoltre interpretato l’Orfeo e il Vespro dellaBeata Vergine di Monteverdi, nonché laMessa in siminore di Bach.Assieme all’Orquestra Simfònica de Barcelona iNacional de Catalunya diretta da Antoni RosMarbá, ha appena registrato l’opera di Eduard

Toldrá El Giravolt de Maig, in cui ha interpretatoil personaggio principale, Golferich.Fra le sue prossime interpretazioni, Rinuccio inGianni Schicchi a Napoli, il Conte d’Almaviva nelBarbiere di Siviglia a Zurigo, e Il ritorno di donCalandrino di Cimarosa a Ravenna e Salisburgocon la direzione di Riccardo Muti. Canterà inoltreancora nel Don Pasquale a Tolosa.

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Soprano, nata a Palermo nel 1979,ha iniziato a cantare all’età di sedicianni. Dopo avere conseguito lamaturità classica, ha proseguito lostudio del canto sotto la guida diMaria Chiara e poi di Alida Ferrari-ni.Ha partecipato ad alcune produzio-ni al Teatro Massimo di Palermo eal Bellini di Catania, dove è appar-sa in Rigoletto, Tosca, DerRosenkavalier. Vincitrice per dueanni consecutivi (1997 e 1998) delConcorso OperaLaboratorio delTeatro Massimo di Palermo, hadebuttato come protagonista neiPazzi per progetto di Donizetti e nell’Adina di Ros-sini. Nell’estate 1999 ha cantato in Orphée auxenfers di Offenbach per la stagione estiva del Tea-tro Massimo di Palermo. La sua affermazione defi-nitiva avviene, sempre al Massimo, nell’aprile2000, quando interpreta con successo la parte diSophie nel Werther di Massenet.Nel gennaio 2001 ha interpretato Oscar nel Ballo inmaschera diretto da Valerij Gergiev al Teatro Regiodi Parma. Ha cantato i Carmina Burana con ilCoro del Teatro alla Scala al Teatro Fraschini diPavia e si è esibita alla Filarmonica di San Pietro-burgo in un concerto lirico. Ha eseguito ancora iCarmina Burana a Ravenna e a Caracalla conl’Orchestra di Santa Cecilia. Al Festival Mozartdella Coruña ha cantato la Messa dell’Incoronazio-ne di Mozart, per poi esibirsi al Rossini OperaFestival di Pesaro nel Viaggio a Reims (Corinna).Nel 2002 debutta con successo al Théâtre des Cham-ps-Elysées come Carolina nel Matrimonio segretodiretto da Christophe Rousset (poi al Barbican Cen-ter di Londra). In seguito è stata Elvira nell’Italiana

in Algeri diretta da Alberto Zedda alFestival Mozart della Coruña. Hacantato L’Olimpiade di Vivaldi conRinaldo Alessandrini al Festival diBeaune, e ha interpretato Susannanelle Nozze di Figaro all’OpéraBastille di Parigi (poi anche al Tea-tro Real di Madrid e alla Sempero-per di Dresda). Nel 2003 è tornata alMassimo di Palermo col Matrimoniosegreto, e ha debuttato come Marienella Fille du régiment a Lecce (que-st’anno portata in tournée con ilTeatro Comunale di Bologna).Nel 2004 interpreta con successoNannetta nel Falstaff diretto alla

Scala da Riccardo Muti (ha ripreso lo stesso perso-naggio all’Opéra de Lyon con Gianandrea Noseda ea Strasburgo con Carlo Rizzi); sempre alla Scalaimpersona Musetta nella Bohème con la regia diFranco Zeffirelli e la direzione di Rafael Frühbeckde Burgos (poi al Teatro Real di Madrid e al Théâ-tre de la Monnaie di Bruxelles). Tra le sue altreinterpretazioni, Corinna nel Viaggio a Reims,Oscar nel verdiano Ballo in maschera a Nizza conMarco Guidarini e poi al Teatro Verdi di Trieste,Adina nell’Elisir d’amore a Las Palmas e Tel Aviv,Despina in Così fan tutte a Santiago del Cile. Sisegnalano inoltre il Laudate pueri di Vivaldi conJurij Bashmet al Festival Barocco di Chaise Dieu, ilRequiem di Fauré a Tenerife, i recital al St. JohnSmith Square di Londra e al Festival di Wiesbaden.Nei futuri impegni, Donna Fulvia nella Pietra delparagone al Théâtre du Châtelet di Parigi, Nannet-ta in Falstaff al Comunale di Bologna e al Regio diTorino, Susanna nelle Nozze di Figaro al NewNational Theatre di Tokyo, Musetta in Bohème allaHouston Grand Opera.

Laura Giordano

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Giovane soprano spagnolo, nata aGranada, ha iniziato a studiare vio-lino e si è poi dedicata al cantodiplomandosi col massimo dei votial Conservatorio Superiore dimusica del Liceu di Barcellona, conEduardo Gimenez. Tra i numerosiconcorsi internazionali da lei vinti,vanno ricordati il “Pedro Lavir-gen” di Cordoba e il ConcorsoInternazionale “Ottavio Ziino” diRoma.Ha debuttato come Norina nel DonPasquale e Micaela nella Carmenal teatro di Sabadell; è stata poiNinetta in Chi dell’altrui si vestepresto si spoglia di Cimarosa al Teatro dell’Univer-sità di Barcellona, e ha poi iniziato a collaborarecol Liceu di Barcellona dove ha cantato nella ServaPadrona (Serpina), Norma, Semiramide (assiemea Juan Diego Flórez), Parsifal (con Placido Domin-go). Ha inoltre interpretato Sophie nel Werther alTeatro Verdi di Salerno, Adina nell’Elisir d’Amorea Malaga, ha cantato nel Viaggio a Reims al RossiniOpera Festival, in Orphée aux Enfers di Offenbachall’Auditorium Manuel de Falla di Granada, e haimpersonato con successo Lisa nella Sonnambula alTeatro de la Maestranza di Siviglia. Ha anche inter-pretato L’enfant et les sortilèges di Ravel, Pepita

Jiménez di Albeniz al Gran Teatrodell’Opera di Cordoba, e l’“opéra-minute” di Milhaud L’abandond’Ariane al Teatro de la Maestran-za di Siviglia.Del repertorio sinfonico e cameri-stico ha eseguito il Salmo XLII op. 42di Mendelssohn al Liceu di Barcel-lona, l’Exultate, jubilate di Mozarte il Salve Regina di Schubert alPalazzo della Musica Catalana diBarcellona, la Petite messe solen-nelle col Coro e l’Orchestra dellaRadiotelevisione spagnola al TeatroMonumentale di Madrid, leBachianas Brasileiras di Villa-

Lobos in Germania, e ancora i Carmina Burana alTeatro Verdi di Salerno e al Festival Cadaques diBarcellona, e la Messa Solenne di Cipriani all’Au-ditorium della Conciliazione a Roma con l’Orche-stra Toscanini di Parma.Impegnata di recente nella tournée giapponese delTeatro Comunale di Bologna (La Fille du régi-ment), ha debuttato come Musetta nella Bohème alFestival di Bassano del Grappa. Tra i suoi prossimiimpegni, citiamo L’elisir d’amore a Granada, LaBohème al Teatro Sociale di Rovigo, al Teatro Verdidi Padova e a Jesolo, La clemenza di Tito al TeatroVerdi di Sassari.

Sandra Pastrana

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Baritono catanese, ha studiatoflauto e composizione all’IstitutoMusicale “Vincenzo Bellini” dellacittà natale. Nel 1999 comincia astudiare canto con Paolo Washing-ton, per poi proseguire al Conser-vatorio “Luigi Cherubini” diFirenze. In seguito, si perfeziona aModena con Angelo Bertacchi.Debutta nel 2000 al Teatro Borgattidi Cento come Germano nella Scaladi seta diretta da Claudio Desderi(poi anche a Chieti). Interpreta inseguito Belcore nell’Elisir d’amoreal Festival di Pergine, e poi Leporel-lo nel Don Giovanni e Figaro nelBarbiere di Siviglia al Festival di Osimo. Impersonain seguito Prospero nelle Due contesse e il Topo nelDuello comico di Paisiello al Festival di MartinaFranca (vi ha interpretato anche Albert nel Wertherdi Massenet; tutti i tre titoli sono stati incisi per l’e-tichetta Dynamic); Colas in Bastien und Bastienneal Teatro Verdi di Firenze; il Conte d’Almaviva nelleNozze di Figaro al Teatro Gesualdo di Avellino e alBorgatti di Cento (nella stessa opera, nel 2004 aTrento, ha impersonato Figaro). È stato inoltreGaudenzio nel Signor Bruschino a Osimo, Marcellonella Bohème ad Asti e Aosta; Don Giovanni nell’o-

pera omonima di Mozart a Cento ein una tournèe francese (propriocon la parte di Don Giovanni, havinto nel 2006 l’VIII Concorso LiricoNazionale “Città di Pistoia”). ARavenna è apparso come Wagnernel Faust di Gounod, e come Loren-zo nei Capuleti e i Montecchi di Bel-lini (poi pubblicati in dvd perl’etichetta Kikko).In concerto, ha interpretato ilMagnificat di Bach al Teatro Verdidi Salerno; la Passione secondo sanGiovanni di Corteccia e Les Nocesdi Stravinskij al Teatro Comunaledi Firenze; le Lamentationes Hie-

remiae prophetae di Cavalieri nonché il Secondo eil Terzo libro dei madrigali di Salomone Rossi alMittelFest 2002 di Cividale del Friuli.Ha lavorato con direttori come Peter Schreier, Giu-liano Carella, David Miller, Patrick Fournillier, econ registi quali Francesco Esposito, Marco Gandi-ni, José Carlos Plaza, Lindsay Kemp, Micha vanHoecke.Ha inciso per Bongiovanni il Dixit Dominus e il TeDeum di Sammartini, e con l’ensemble “Il Rossi-gnolo” una raccolta di madrigali inediti di OrazioCaccini.

Gabriele Spina

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“Vorrei restituire al mio Paese ciò che da esso e daisuoi grandi maestri ho ricevuto: costruire un’or-chestra di giovani talenti italiani che, dopo il Con-servatorio, in tre anni di attività possanoapprendere il significato dello stare in orchestra,del dare il proprio contributo ad una compaginesinfonica od operistica, acquisendo piena consape-volezza di un ruolo che certo non è meno importan-te di quello solistico”. Ispirata dalla volontà e dal desiderio di RiccardoMuti, suo fondatore, l’Orchestra Giovanile “LuigiCherubini” assumendo il nome di uno dei massimicompositori italiani di tutti i tempi attivo in ambitoeuropeo – Beethoven stesso lo considerava il piùgrande della sua epoca – vuole sottolineare, insiemead una forte identità nazionale, la propria inclina-zione ad una visione europea della musica e dellacultura.Orchestra di formazione, la “Cherubini” si ponequale strumento privilegiato di congiunzione tra ilmondo accademico e l’attività professionale. Gli 80giovani strumentisti, provenienti da tutte le regioni

italiane e scelti tra oltre 600 aspiranti attraversoaudizioni e selezioni effettuate nel corso di due annida una commissione presieduta dallo stesso Muti,saranno integrati dai migliori allievi della Scuola diFiesole, sulla base di un protocollo di intesa siglatotra l’Orchestra Cherubini e la prestigiosa istituzio-ne di formazione musicale. Il percorso di crescita è articolato in periodi di stu-dio che trovano sempre esito concreto nel momentodel confronto con il pubblico. “Solo in questo modoè possibile – spiega Riccardo Muti – dare spazioall’entusiasmo e al talento di questi giovani musici-sti abituati in Conservatorio ad affrontare solomarginalmente il momento delle esercitazioniorchestrali, nonché, a causa di programmi troppospesso antiquati, a trascurare autori fondamentaliper il loro sviluppo artistico”.La “Cherubini”, nata nel 2004, è gestita dall’omo-nima Fondazione – sostenuta da “Arcus”, “Proget-to Italia” di Telecom, Fondazione di Piacenza eVigevano, Ingegneria Biomedica Santa Lucia (ser-vizi di ingegneria biomedica), Associazione Indu-

Orchestra Giovanile Luigi Cherubini

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striali e Camera di Commercio di Piacenza – e divi-de la propria sede tra il Teatro Municipale di Pia-cenza e, quale residenza estiva, il RavennaFestival. Infatti è proprio nell’ambito di questo prestigiosoFestival che la “Cherubini”, dopo aver debuttatoufficialmente nel teatro piacentino nel giugno 2005diretta da Riccardo Muti, ha compiuto il primovero e proprio “stage formativo” esibendosi, in unbrevissimo arco di tempo e con successo, sia nelrepertorio operistico più tradizionale, in una nuovaproduzione del Faust di Gounod diretta da PatrickFournillier, che in quello meno frequentato, comela Sancta Susanna di Hindemith eseguita in formadi concerto sotto la direzione di Riccardo Muti.Eppoi nel repertorio sinfonico con l’esecuzione deiconcerti per pianoforte di Prokof’ev insieme ai soli-sti del Toradze Piano Studio; e di nuovo con Muti indue grandi pagine beethoveniane: il Concerto in remaggiore per violino e orchestra (con Vadim Repin)e la Quinta Sinfonia. Sempre con Riccardo Muti la“Cherubini” si è poi esibita al Festival di Malta,nella cattedrale di Trani per i trent’anni del FAI, enell’Aula del Senato – alla presenza del Presidentedella Repubblica Carlo Azeglio Ciampi – per il tra-dizionale concerto di Natale trasmesso in eurovisio-ne da RaiUno.A confermare l’intento di indagare un repertorio diparticolare valore formativo, la “Cherubini” haaffrontato con Riccardo Muti, festeggiando il primoanno di attività nel maggio 2006, una densa tournéeitaliana che l’ha vista cimentarsi con opere di

Haydn (il Concerto in do maggiore per violoncello eorchestra), Mozart, Dvorák, Hindemith (la suitedal balletto Nobilissima visione), Rossini, Verdi ePuccini. Al Ravenna Festival 2006 l’orchestra si èesibita in molti concerti rinnovando l’intensa espe-rienza della residenza estiva. Diretta da JurijTemirkanov, Riccardo Muti e Wyne Marshall si ècimentata con autori come Dvorák e Sostakovic,col repertorio sacro di Mozart fino al grande musi-cal del Novecento con Gershwin e Bernstein. L’annuale appuntamento del concerto per il FAI –questa volta nello straordinario scenario delDuomo di Monreale – è stato il preludio di unanuova tournée che ha toccato Piacenza, Novara,Napoli (dove si è esibita alla presenza del Presiden-te della Repubblica Giorgio Napolitano) e Parma:in programma l’Ouverture “Die Zauberharfe” diSchubert, il Concerto per violoncello di Schumann– solista Johannes Moser – e la Settima Sinfonia diBeethoven. Il Don Pasquale in scena al Teatro Ali-ghieri come nuovo progetto di Ravenna Festival,segna il debutto operistico dell’orchestra con Ric-cardo Muti, che ha scelto questo titolo per tornarea dirigere l’opera in Italia.Nel futuro dell’orchestra si profilano ora esperienzeinternazionali di rilievo come l’invito al Musikvereindi Vienna e la presenza a Salisburgo al Festival diPentecoste fondato da Karajan dove, a partire dal2007, la Cherubini avvierà, sempre sotto la guida diMuti, un progetto triennale mirato alla riscoperta ealla valorizzazione del patrimonio musicale, operi-stico e sacro, del Settecento napoletano.

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violini primiLuisa Bellitto**

Veronica PisaniFederico GalieniMaria Saveria MastromatteoCamilla MazzantiRiccardo PatroneStefano RimoldiAntoaneta ArpasanuKeti IkonomiLorenzo MaccaferriFrancesca SgobbaOlessya Emelianenko

violini secondiDonato Cuciniello*

Doriana De RosaElisa ManciniDavide MazzamutoAmbra CusannaFederica FersiniElena BassiAlice IegriErika VergaMauro Massa

violePaolo Fumagalli*Antonio BuonoTiziano PetronioNazzarena CatelliClaudia BrancaccioLuca PirondiniSilvia VannucciEnrico Luzi

violoncelliMassimiliano Martinelli*Misael LacastaLisa PizzamiglioGiulio FerrettiStefano SabattiniDaniele FioriRahia Angela AwalomFulvia Mancini

arpaLaura Di Monaco

Strumenti sul palco

chitarreMaurizio BaudinoGiuseppe Strappaveccia

tamburello bascoLeonardo Benazzi

Ispettore d’orchestraLeandro Nannini

** Spalla* Prime Parti

contrabbassiAntonio Mercurio*

Marco CucinielloFabio SacconiAlessandro PaoliniDaniele Rosi

flauti, ottavinoSonia Formenti*Elisa Boschi

oboiFrancesca Alleva*

Vittoria Palumbo

clarinettiFabio Lo Curto*

Andrea Rum

fagottiDavide Fumagalli*Corrado Barbieri

corniFabio Frapparelli*Michele GiorginiFrederic GnuffiLara Morotti

trombeRoberto Rigo*

Fabrizio Mezzari*Eugenio Tinnirello

tromboniFrancesco Parini*Rodolfo BonfilioGianluca Tortora

timpaniMirko Natalizi*

percussioniAntonio SommaBiagio Zoli

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Coro del Teatro Municipale di Piacenza

sopraniBarbara AldegheriGraziella BregaAkiko KogaTania LombardozziFederica MaeranMilena NavicelliPalmira PagliaraTeresa PalombaLuisa Staboli

mezzosopraniAngela AlbanesiCaterina ArgeseBettina Block

tenori secondiSergio BettasAngelo Di CostanzoVincenzo Di NoceraMarco MullerGiorgio Sordoni

bassiMassimo CarrinoStefano CescattiKoo Chun HoMatteo MazzoliGian Luca MontiTommaso Norelli

Giuseppina BridelliGabriella FabbriDaniela GiazzonIlaria ItaliaPaola LeveroniAlessandra Vavasori

tenori primiManuel FerrandoFrancesco GalvaniGian Luigi GremizziMichele MeleJeremi PalumboFiliberto RicciardiMariano Speranza

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Agli inizi del ’900 si costituisce a Piacenza la“Società Corale Giuseppe Verdi” con lo scopo dipreparare professionalmente i soci a svolgere atti-vità corale per la sempre maggior diffusione e cono-scenza della musica, in particolare quella lirica. Dasubito, e ininterrottamente fino al 1995, la Societàha fornito gli artisti del coro per le opere liricheprodotte dal Teatro Municipale di Piacenza. Inol-tre, a partire dagli anni ’50, diversi soci coristihanno contribuito a rinforzare gli organici del coronei teatri di Bergamo, Brescia, e dell’Emilia Roma-gna (ATER). Nel 1995, quando la Direzione del Tea-tro Municipale decide di decentrare la gestioneamministrativa del Coro, i soci si costituiscono dap-prima in Associazione Culturale “M.A.S.T.E.R”(Musica, Arte, Spettacoli, Teatri Emilia Romagna),e dal 1997 in Società Cooperativa Servizi Teatrali(la società gestisce oggi il Coro del Municipale diPiacenza, del Teatro Donizetti di Begamo, dei Tea-tri nel Circuito Lirico Lombardo, e alcune produ-zioni della Fondazione Arturo Toscanini, nonchévari altri servizi nei Teatri di Piacenza, Bergamo,Lecco, e della Fondazione Arturo Toscanini).Dopo aver partecipato all’allestimento estivo dellaTosca a Vigoleno prodotto dalla Fondazione Tosca-nini, il coro ha partecipato alle produzioni del Tea-

tro Donizetti di Bergamo e al Tancredi di Rossiniprodotto dal Teatro Municipale di Piacenza in col-laborazione col Teatro Comunale di Modena, con“I Teatri” di Reggio Emilia, e il Teatro Comunale diFerrara. Inoltre, alcuni artisti del coro sono statiimpegnati quali aggiunti al Coro Stabile del TeatroCarlo Felice di Genova nella Damnation de Faustdi Berlioz e in altri allestimenti.Tra le numerose altre produzioni cui il coro ha par-tecipato, citiamo il Requiem di Verdi diretto daRostropovic al Municipale di Piacenza nel gennaio2004, e nello stesso anno, Un ballo in mascheradiretto da José Cura, e Rigoletto con la regia diMarco Bellocchio. Nella stagione 2004-2005, in occa-sione del bicentenario del Teatro Municipale di Pia-cenza, il coro ha cantato con grande plauso nelNabucco diretto da Daniel Oren alla presenza delpresidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.Sono da citare anche l’esecuzione dello Stabat materdi Rossini a Piacenza il 31 marzo 2006, poi replicatonella Cattedrale di Orvieto e trasmesso dalla RAI ilgiorno di Pasqua, e ancora Il barbiere di Siviglia conLeo Nucci diretto da Claudio Scimone, I due Foscaricon Renato Bruson, L’Arlesiana di Cilea con la regiadi Vittorio Sgarbi. Il coro ha al suo attivo anche l’in-cisione su cd di numerose opere liriche.

Indice

Note al libretto .......................................................................... pag. 7di Tarcisio Balbo

Il libretto .................................................................................... pag. 9

Il soggetto .................................................................................... pag. 43di Tarcisio Balbo

I miracoli dell’ultimo stile .................................................... pag. 47di Marco Grondona

Riccardo Muti sul “Don Pasquale” .................................. pag. 77a cura di Franco Masotti

Ridere della fine........................................................................ pag. 87di Andrea De Rosa

Gli artisti .................................................................................... pag. 91

Ufficio Edizioni Ravenna Festival

Si ringrazia Gastone Scheraggi per aver messo a disposizione le statuine di un presepe napoletano del Settecento riprodotte in copertina.

programma di sala a cura diTarcisio Balbo

coordinamento editorialeGiovanni Trabalza

grafica e layoutAntonella La Rosa

le fotografie delle prove sono diMaurizio Montanari

stampaTipografia Moderna, Ravenna