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AUDIOVISIVI ELLE DI CI Fotogrammi 198 DB 3 Teresio Chiesa DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE 3 Da Valdocco al mondo intero (DB/3, 1-198) Audiovisivo con cassetta di sonorizzazione sincronizzata ELLE DI CI - 10096 LEUMANN (TORINO)

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AUDIOVISIVI ELLE DI CI Fotogrammi 198

DB 3

Teresio Chiesa

DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE

3Da Valdocco al mondo intero(DB/3, 1-198)

Audiovisivocon cassetta di sonorizzazione sincronizzata

ELLE DI CI - 10096 LEUMANN (TORINO)

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A DON BOSCOche ho imparato

a conoscere e amare dalla mamma,

dal fratello Serafino e da zio «Carlin»

Proprietà riservata alla Elle Di Ci - 1986

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PRESENTAZIONE

A questa iniziativa editoriale, Don Bosco e il suo ambiente, curata dalla Elle Di Ci, si può ben adattare — parafrasando quanto è necessario — un giudizio apparso il 28 gennaio 1863 su L ’armonia a proposito di una pubblicazione dello stesso Don Bosco.«Dire che questa operetta — notava il battagliero foglio torinese — è scritta in modo da doversene chiamar contente del pari e la pietà e la scienza, non è che dire la verità. Ma ciò non basta. Noi dobbiamo ancora soggiungere che questi Cenni storici sono stati rac­colti e ordinati dal Sacerdote Giovanni Bosco, e con ciò siamo sicuri di aver fatto a questo libro il miglior elogio, perché quello che esce dalla penna di quell’egregio uomo di Dio, non solo è scritto bene, ma è scritto così bene da saper farsi leggere persino dai più schiz­zinosi».L ’Elle Di Ci nella sua — ormai lunga e qualificata — presenza editoriale ha sempre volu­to e saputo riannodare la propria attività a questi caratteri donboschiani di una divulgazio­ne competente e accessibile, utilizzando intelligentemente e tempestivamente tutti i mezzi idonei a disposizione.Anche una macchina fotografica in mani esperte e ben preparate può «scrivere» una buo­na pagina di storia e «così bene da saper farsi leggere». Teresio Chiesa è un salesiano che sa maneggiare bene l’obiettivo, e ha preparato in quasi dieci anni di lavoro, di ricerca e di redazione, questo audiovisivo che assomma ben 558 diapositive su Don Bosco.Il risultato è ottimo. Il suo tentativo di valorizzare e divulgare il patrimonio documentario attinente uno dei personaggi più significativi del sec. XIX, visto nella immediatezza delle immagini del contesto contemporaneo, realizza plasticamente uno dei canoni classici del­la stessa storiografia: «La storia bisogna scriverla — si legge già in un illuminato trattato del Guicciardini — in modo che così avesse le cose innanzi agli occhi chi nasce in un’età lontana, come coloro che sono stati presenti, che è proprio fine della storia». Quest’opera utilizza efficacemente l ’arte e il linguaggio delle immagini. Una decisione e un’espediente non nuove nell’ambito della storiografia salesiana. (Si vedano i ritratti che aprono ognuno dei 19 volumi delle Memorie Biografiche di San Giovanni Bosco e quelli inseriti negli Annali della Società Salesiana).L ’opera, quindi, conferma e prolunga uno sperimentato retroterra culturale, vivificando­lo con un opportuno allargamento di fonti e di tecnologia: dalle immagini quasi esclusive di «personaggi», alla promozione degli «oggetti» al rango di fonte; dall’incisione, dal da­gherrotipo, dal ritratto alla tecnica raffinata del «sistema diapositive». Il passo è significa­tivo e va segnalato. La nuova attenzione a qualsiasi «tipo» di documento rappresenta un itinerario metodologico affatto innovativo e più rispettoso del meccanismo genetico dei fatti storici.Don Bosco e il suo ambiente, in un riuscito dosaggio di sicura informazione e di essenzia­le documentazione iconografica corrispondente, rende un segnalato servizio di concreta valorizzazione — se non proprio di vero e spesso inedito ricupero — di una eccezionale ricchezza culturale di storia e di spiritualità legata al nome e al mondo di San Giovanni Bosco.

Don Mino Semeraro Docente di metodologia critica e storia contemporanea

presso l ’Università Pontificia Salesiana di Roma

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INTRODUZIONE

Questa terza raccolta presenta l ’espansione dell’opera di Don Bosco con le nuove fonda­zioni in Europa e nel mondo, e con l ’inizio dell’epopea missionaria.Sono rievocati i principali personaggi incontrati da Don Bosco; la figura di Maria Mazza- rello, con la quale egli fonderà l ’istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice: Seguono le simpatiche passeggiate autunnali, collaudo del suo sistema preventivo. E poi l ’epilogo: la morte di un sacerdote che ha consumato la vita nell’amare e formare i giovani, e che conoscerà i trionfi della beatificazione e della canonizzazione.E rivedremo Don Bosco in una stupenda galleria di immagini, di gruppi fotografici e di quadri che lo ritraggono e lo presentano da solo, con i suoi giovani, con i suoi collaboratori. Infine, una sintesi panoramica sulla sua terra natale: la casa ove nacque, la casa della sua infanzia e giovinezza, la casa del fratello Giuseppe che lo ospitava con i giovani, le prime realizzazioni sociali e apostoliche su quella terra che mutò il proprio nome in «Colle Don Bosco», ad onore del suo grande figlio; e su di essa, il maestoso tempio dedicato al Santo e inaugurato nel 1985.

* * *

La miglior conclusione di questo lungo lavoro, e la sua stessa giustificazione, si trovano in un’affermazione di Don Bosco, che leggiamo nelle Memorie Biografiche:«Amava spingere lo sguardo nell’avvenire; e scorgendo i progressivi sviluppi dell’Orato­rio, non avrebbe voluto che si lasciassero perdere le tracce di quello che l ’Oratorio era stato nelle sue origini. Così, discorrendo il 27 dicembre 1877 delle condizioni in cui l ’O- ratorio si presentava nei primordi più remoti, disse: — Sarà opportuno che si conservi la pianta dell’Oratorio primitivo; anzi converrebbe che, dacché ne fu presa la mappa, la si riproducesse od anche fotografasse. Tornerà caro ai posteri il vedere quella prima ca­supola rustica, in cui si posero i principi dell’Oratorio e della Congregazione —. In mez­zo ai giovani antichi vi era qualche pittore, fra gli altri un certo Bellisio, che ce ne conser­vò con precisione e ne tirò varie copie... Chi scriverà per disteso la storia dell’Oratorio e della Congregazione, potrà poi illustrarla con vignette che ne rappresentino le diverse fasi; il che mentre arrecherà diletto ai lettori, servirà meglio all’esattezza della narrazione e ad acquistar fede al narratore» (MB 13, 401-403).Ritengo che la pubblicazione di Don Bosco e il suo ambiente contribuisca a realizzare il desiderio del Santo, e a consegnare alla storia una documentazione di primo piano, al­trimenti destinata a scomparire.Mi auguro che la rievocazione della vita e dell’opera di questo «apostolo di tutti i tempi» sia per la grande Famiglia Salesiana e per tutti coloro che lo conoscono e lo stimano un invito a continuare la sua missione e salvezza della gioventù.Immacolata 1985

Teresio Chiesa

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Hanno collaborato alla stesura del testo: Teresio Bosco, Gianpaolo Redigolo, Aldo Giraudo, Sr. M. Amerio. Un grazie a don Giuseppe Soldà per la collaborazione al testo che accompagna i ritratti di Don Bosco, al connn. Secondo Caselle, al comm. Guido Cantoni, a Don Fenyo Vandelino, alla direzione del Museo del Risorgimento di Torino, ai tecnici e a quanti hanno collaborato.Bibliografia:Oltre a quella citata nelle raccolte precedenti:G. B. F r a n c e s i a , Don Bosco e le sue passeggiate autunnali nel Monferrato, Torino 1897.Id., Don Bosco e le sue ultime passeggiate, Torino 1897.S. C a s e l l e , Cascinali e contadini in Monferrato, Roma 1975.L. D e a m b r o g io , Le passeggiate autunnali di Don Bosco per i colli monferrini, Castelnuovo Don Bòsco 1975.

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DON BOSCO E IL SUO AMBIENTESchema dell’intera raccolta di diapositive

sulla vita e sui luoghi dove Don Bosco visse ed operò

DB/l DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE:DAI «BECCHI» A VALDOCCO

Le orìginiA - Capriglio: il paese di mamma Margherita (DB/l, 3-14)B - La casa patema di Don Bosco (DB/l, 15-26)C - Moncucco: garzone di campagna alla cascina Moglia (DB/l, 27-50)

La prima scuolaD - Morialdo e la cascina Sussambrino (DB/l, 52-82)E - Giovanni Bosco a Castelnuovo (DB/l, 83-101)

Studente e seminarista a ChierìF - Giovanni Bosco studente a Chieri (DB/l, 103-147)

In cerca di una dimora stabileG - L’inizio della missione: al convitto e al rifugio (DB/l, 149-161)H - L’Oratorio vagante (DB/l, 162-180)

DB/2 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE:TUTTO VALDOCCO

Valdocco oggiI - L’Oratorio a Valdocco: il sogno diventa realtà (DB/2, 1-12)L - La chiesa di San Francesco di Sales (DB/2, 13-24)M - D palazzo delle camerette di Don Bosco (DB/2, 25-48)N - Il museo storico di Don Bosco, a Valdocco (DB/2, 49-60)

La basilica di Maria AusiliatriceO - La basilica di Maria Ausiliatrice (DB/2, 61-108)

Valdocco storicoP - Costruzioni e realizzazioni (DB/2, 109-156)

Apostolato e carismi di Don BoscoQ - Itinerari di salesianità: Apostolato - Devozione mariana - Don Bosco scrittore (DB/2,

157-180)

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DB/3 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE:DA VALDOCCO AL MONDO INTERO

Espansione dell’opera di Don BoscoR - Nuove fondazioni (DB/3, 1-12)S - Missioni e missionari (DB/3, 13-24)T - Personaggi storici (DB/3, 25-42)U - Santa Maria Domenica Mazzarello (DB/3, 43-54)

SintesiV - Le passeggiate autunnali (DB/3, 55-78)Z - Morte e glorificazione di Don Bosco (DB/3, 79-90)-

Iconografia di Don BoscoX - Ritratti - Gruppi - Quadri (DB/3, 91-138)

Dalle umili origini dei «Becchi» alla gloria del Tempio al ColleY - I «Becchi» - La casa di Giuseppe - Colle Don Bosco (DB/3, 139-198)

In questo terzo volume, nelle diapositive, il titolo DB 3,1: «DON BOSCO E IL SUO AM­BIENTE: Da Valdocco al mondo intero» è riportato una sola volta, all’inizio dell’opera. Quando si proiettano le immagini con la cassetta di sonorizzazione, prima di ogni unità sonorizzata conviene riportare ogni volta il titolo DB 3,1: «DON BOSCO E DL SUO AM­BIENTE: Da Valdocco al mondo intero», come è indicato nel testo sonorizzato alle pp. 9, 18, 25, 32.D primo impulso sul nastro per l’avanzamento automatico delle diapositive è sempre messo sopra la diapositiva iniziale: DB 3,1.

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DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE DB/3 Da Valdocco al mondo intero

ESPANSIONI DELL’OPERA DI DON BOSCO(Prima unità sonorizzata)

DB 3,1 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: Da Valdocco al mondo intero

R - NUOVE FONDAZIONI

DB 3,2 II primo collegio fuori Torino: Mirabello (1863)Nell’autunno 1863, Don Bosco dice a don Rua: «Ho da chiederti un grosso favore. Ci chiamano ad aprire un collegio a Mirabello, nel Monferrato. Penso di mandare te a dirigerlo. E la nostra prima opera fuori Torino. Avremo mille occhi addosso per vedere “ come ce la caveremo” . Ho piena fiducia in te». Alcuni mesi dopo una cronaca riferisce: «Don Rua a Mirabello si comporta come Don Bosco a Torino».

DB 3,3 II secondo collegio a Lonzo (1864)Nel 1864 fu aperto il Collegio di Lanzo. Don Bosco vi mandò come direttore don Do­menico Ruffino, 24 anni, e sette chierici. La povertà e lo squallore furono i primi compagni. «Un locale nudo, alcune muraglie rovinate — scrisse il chierico Sala —. Non c’erano sedie né tavole. Preparammo il rancio e lo mangiammo sopra una porta scardinata messa sopra due cavalletti. Le finestre senza vetri furono tappate con asciu­gamani. Dormimmo nella paglia». Tre anni dopo, il collegio era fiorente.

DB 3,4 Alassio (1870)Sulla costa ligure, Don Bosco apre il suo terzo collegio: Alassio. Egli sta imprimendo una svolta decisiva alla Congregazione nata per gli Oratori. Perché? È in atto una grave crisi religiosa. La classe dirìgente politica impone all’Italia una legislazione an­ticattolica e una scuola anticlericale. Con uno sforzo immane, per salvare la fede del­le nuove generazioni, i cattolici aprono scuole cattoliche per i figli degli operai e dei contadini. Don Bosco si inserisce in questo sforzo, e nel giro di pochi anni i suoi Sale­siani diventano «specialisti del collegio per ragazzi del popolo».

DB 3,5 11 collegio di Varazze (1871)Nel 1871 nove salesiani, provenienti in parte dal collegio di Cherasco, entrano in quello civico di Varazze. Li guida Don Giovanni Battista Francesia, uno dei primissimi ra­gazzi di Don Bosco.

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DB 3,6 L ’ospizio di Sampierdarena (1872)A Sampierdarena Don Bosco apre un «ospizio» per ragazzi poverissimi. Direttore è Don Paolo Albera, 26 anni. Si comincia con tre laboratori per «ragazzi poveri e ab­bandonati». Accanto ai laboratori, Don Bosco vuole una sezione per ragazzi «che pen­sano alla vocazione sacerdotale».

DB 3,7 Valsalice, la casa imposta dall’Arcivescovo (1872)Nel 1872 mons. Gastaldi, arcivescovo di Torino, chiamò Don Bosco e gli impose di prendere il collegio di Valsalice. Era un’opera per giovani aristocratici, in cui le fi­nanze andavano a rotoli. Nonostante le relazioni già tese con l’Arcivescovo, Don Bo­sco si fece forza e rifiutò più volte: i Salesiani erano per i giovani poveri. Alla fine, per evitare un urto grave, accettò a denti stretti. Ma 15 anni dopo trasformò il colle­gio in «Seminario per le Missioni».

DB 3,8 Nizza, la prima opera in Francia (1875)Nel 1875 i Salesiani fanno la prima puntata fuori d’Italia, a Nizza. Gli abitanti della città vogliono bene a Don Bosco, chiedono i Salesiani, ma hanno solo una casa vec­chia e rattoppata per ospitarli. Don Bosco accetta lo stesso: «Le opere di Dio, se sono necessarie, bisogna iniziarle senza timore. I mezzi materiali Dio li manderà».

DB 3,9 Marsiglia (1878)A Marsiglia le strade sono piene di ragazzi abbandonati. Don Bosco, nel 1878, vi manda dodici Salesiani. La casa è poverissima. I primi otto ragazzi sono sistemati nel granaio. Ma è un’opera benedetta da Dio, e alcuni anni dopo i ragazzi ospitati sono duecento.

DB 3,10 San Benigno (1879)1879. Nell’antica abbazia benedettina di san Benigno, Don Bosco apre il suo primo noviziato. Di qui uscirà, formata nella mente e nello spirito, la generazione che por­terà l’opera salesiana in tutto il mondo. Accanto al noviziato Don Bosco apre una scuola professionale, ancor oggi fiorente.

DB 3,11 In Spagna, a Utrera e a Barcellona Sarrià (1881)Nel 1881, dopo un burrascoso viaggio per mare, i Salesiani sbarcarono anche in Spa­gna. A Utrera, sul Mediterraneo, furono accolti con molta simpatia, specialmente dai ragazzi.Una nobildonna di Barcellona, Dorotea da Chopitea, pensava da tempo di fondare un’opera per i ragazzi della strada. Conobbe i Salesiani di Utrera e di Marsiglia e scrisse a Don Bosco.A Sarrià i Salesiani si stabilirono chiamati dalla nobildonna spagnola. I ragazzi della strada e i Salesiani che se ne presero cura trovarono in donna Dorotea da Chopitea una mamma forte e delicatissima.

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DB 3,12 Roma: Sacro Cuore (1885)In Roma, nel 1880, si tentava di costruire un Santuario al Sacro Cuore di Gesù. No­nostante l’impegno personale del papa Leone XIII, i lavori erano fermi. Il card. Ali­monda suggerì di affidarlo a Don Bosco. Il Papa lo fece chiamare: «Io però non potrò darvi denaro» disse subito. E Don Bosco: «Chiedo solo la sua benedizione». Aveva 65 anni. Quella costruzione, negli anni del declino fìsico, lo obbligò a fatiche sovru­mane.

S - MISSIONI A MISSIONARI

DB 3,13 I primi missionari di Don BoscoLa sera del 29 gennaio 1875, davanti a tutta la comunità radunata, Don Bosco diede un annuncio entusiasmante: «I Salesiani stanno per partire per le missioni della Pa­tagonia. Cerco volontari per questa splendida avventura». Partirono in dieci, la sera dell’11 novembre. Li capeggiava Don Giovanni Cagliero, 37 anni.

DB 3,14 I «ricordi di Don Bosco ai suoi missionari»Ognuno dei partenti aveva con sé un foglietto con «20 ricordi speciali» scrìtti da Don Bosco. Li aveva tracciati a matita sul suo taccuino durante un viaggio in treno. Il primo diceva: «Cercate anime, non denari né onori né dignità».

DB 3,15 La Boca: la prima «missione» fra gli emigratiApprodano a Buenos Aires, in Argentina, il 14 dicembre 1875. S’imbatterono subito in una realtà inattesa e cruda: gli emigrati italiani. 30 mila in Buenos Aires, 300 mila in tutta la nazione. Tra essi i Salesiani iniziarono la prima, urgente «missione». I ri­sultati furono grandi.

DB 3,16 I missionari Salesiani in Uruguay (Villa Colòn)La seconda spedizione di missionari arriva in Argentina nel 1876. Buona parte di essi sono per l’Uruguay. Il Delegato Apostolico ha manifestato a Don Bosco una si­tuazione dolorosissima: in tutto l’Uruguay non esiste un seminario, un chierico, una scuola cattolica. I Salesiani aprono una scuola a Villa Colòn, nella periferia della ca­pitale.

DB 3,17 I missionari incontrano gli Indios a ViedmaDopo un viaggio lunghissimo e avventuroso verso il Sud dell’Argentina, i Salesiani entrano nelle terre degli indios nel 1879. Fondano le prime missioni a Patagones e a Viedma, alla foce del Rio Negro. All’inizio del 1900 l’opera salesiana di Viedma mostrava questa salda struttura.

DB 3,18 Un cacico, un cardinale, un venerabile: mons. Cagliero e NamuncuràLa più grande opera dei missionari salesiani fu la difesa degli indios Araucani. Ma­nuel Namuncurà, l’ultimo grande cacico di questo popolo, scelse i Salesiani come me­

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diatori di pace con l’esercito argentino. Depose le armi nel forte Roca il 15 maggio 1883. In un incontro con Don Cagliero, consacrato Vescovo missionario, gli affidò il giovane figlio Zefirino.

Mons. Giuseppe Fagnano, «el capitàri bueno»Don Fagnano fu il primo parroco di Patagònes, un agglomerato di abitazioni sul Rio Negro. Nello spazio di dieci mesi tirò su due scuole per ragazzi e ragazze, tra cui i figli di indios. Patagònes divenne il punto strategico da cui missionari itineranti s’i­noltravano per vallate, colline e montagne, a visitare i toldos degli indios e la fazen- das dei coloni bianchi.

I «selvaggi» sognati da Don Bosco (Onas e Fueghini)Un gruppo di indios Ona, oggi del tutto scomparsi. Don Bosco aveva visto in sogno queste genti lontanissime. Raccontò: «Vidi turbe di uomini che percorrevano un’im­mensa pianura. Altri venivano alle mani con soldati vestiti all’europea... Erano ve­stiti soltanto di larghi mantelli di pelli di animali, che loro scendevano dalle spalle».

I missionari dalla parte degli Indios (Santa messa fra gli Onas)La diapositiva ritrae un missionario Salesiano che celebra la Messa per un gruppo di indios Ona. Decine di missionari difesero instancabilmente gli indigeni. Ma essi erano stati contagiati dalle malattie di cui i bianchi erano portatori. Fiaccate dall’al­cool offerto dagli stessi bianchi, le varie tribù si estinsero rapidamente.

Mons. Giacomo CostamagnaDon Costamagna, seguendo un reparto dell’esercito argentino, fu il primo salesiano a raggiungere la favolosa terra degli indios, la Patagonia.Era il 24 maggio 1879. Scrisse: «Alle 16,34, nel momento in cui il sole tramontava dietro la Cordigliero, mettevo piede sulle sponde della Patagonia. E intonai dal fon­do del cuore un inno di grazie alla nostra cara madre PAusiliatrice, nel giorno della sua festa».

Le suore missionarie FMAAccanto ai Salesiani, per le missioni partirono anche le Figlie di Maria Ausiliatrice, nella spedizione del 1877. Nel 1880 erano già nelle postazioni avanzate, a prendersi cura delle poverissime famiglie indios. Annunciando la loro partenza, un giornale di Buenos Aires scrisse: «Sarà la prima volta da che il mondo esiste, che si vedranno suore in quelle remote terre australi».

In Ecuador è fiorito un palo (Oratorio a Quito)Tre giorni prima della morte di Don Bosco, il 28 gennaio 1888, i missionari salesiani raggiunsero l’Ecuador. Dopo un inizio stentato, quella missione divenne fiorente. Al di qua della Cordigliera si aprirono centri vastissimi per i ragazzi del popolo. Al di là, i Salesiani raggiunsero in piena selva gli indios Shuar, e ne divennero gli strenui difensori.

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T - I PERSONAGGI STORICI

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San Giuseppe Cafasso (1811-1860)La galleria dei personaggi più significativi, entrati nella vita di Don Bosco, si apre con Giuseppe Cafasso, il sacerdote conosciuto come il «Santo della forca».Amico, maestro e guida spirituale di Don Bosco, fu lui a metterlo a diretto contatto con le situazioni più drammatiche dei giovani del tempo.

Teologo Giovanni Borei (1801-1873)E questo è il teologo Borei, chiamato «il padre piccolo»: un sacerdote buono ed argu­to, che non si rifiuta di prendersi in carico 0 giovane prete presentatogli da Don Cafasso.Lavorando assieme al Rifugio fondato dalla marchesa Barolo, i due sacerdoti diven­nero molto amici. All’Oratorio i ragazzi apprezzavano il teologo Borei come predica­tore, per la sua parlata dialettale, per i proverbi e le trovate con cui arrichiva il discorso.

Marchesa Giulia Barolo (1785-1864)La marchesa Giulia Francesca di Colbert, sposa del marchese Carlo Tancredi Fallet- ti di Barolo, sindaco di Torino nel 1825, era una donna molto conosciuta e rispettata nell’aristocrazia torinese.Rimasta vedova, la marchesa si impegnò in molte opere di asistenza sociale, in pre­valenza destinate a donne e ragazze in difficoltà. Accolse Don Bosco come cappellano pensando di poterlo avere in seguito come direttore spirituale del suo Ospedaletto. Ma i progetti di Don Bosco non coincidevano con i suoi. Non si giunse alla rottura, ma il rapporto della Marchesa con Don Bosco progressivamente si raffreddò.

Mons. Luigi Fransoni (vescovo di Torino dal 1832 al 1862)Mons. Luigi Fransoni, vescovo di Torino dal 1832, ordinò sacerdote Don Bosco il 5 giugno 1841. La stima del vescovo per il suo giovane prete fu sempre molto grande e divenne anche partecipazione diretta alla vita dell’Oratorio, che definì «la parroc­chia dei ragazzi senza parrocchia». Deciso oppositore della politica liberale e dell’an­ticlericalismo dominante, monsignor Fransoni pagò di persona la sua coerenza di pa­store. Esiliato, arrestato ed espulso dal Piemonte, morì esule a Lione nel 1862

Papa Pio IX (Giovanni Mastai-Ferretti, papa dal 1846 al 1878)Il cardinale Giovanni Mastai-Ferretti fu eletto papa nel giugno del 1846. È quel Pio IX, protagonista di una delle pagine più movimentate e controverse della storia ita­liana. Amicissimo di Don Bosco, ne incoraggiò l’opera, lo consigliò di fondare la Con­gregazione Salesiana e al suo parere ricorse in momenti delicatissimi, trovando nel prete di Torino un sostenitore deciso e un consigliere intelligente.A Pio IX, direttamente, si deve l’approvazione definitiva delle Regole della Congre­gazione Salesiana.

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Re Carlo Alberto (1789-1849)11 re Carlo Alberto dì Savoia regnò in Piemonte dal 1831 al 1849, quando abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Molto amico del Cottolengo, stimava anche molto Don Bosco ed intervenne direttamente sul sindaco di Torino, Michele Cavour, perché la sua opera non venisse proibita.

Re Vittorio Emanuele II (re dal 1849-1878)Vittorio Emanuele n , figlio di Carlo Alberto, conosceva Don Bosco e non lesinava aiuti ai suoi ragazzi. Ma l’approvazione della legge di sopressione degli Ordini Reli­giosi gli procurò l’invio, da parte di Don Bosco, di due lettere profetiche, in cui si annunciavano «grandi funerali a corte». Nei primi cinque mesi del 1855 morirono la madre, la moglie, il fratello e il figlio minore del re. Vittorio Emanuele, furioso e spaventato, tentò di parlare con Don Bosco per ben due volte, scendendo di perso­na a Valdocco, ma non riuscì mai ad incontrarsi con il prete-profeta.

Camillo Cavour (1810-1861)Camillo Benso, conte di Cavour, primo Ministro nel 1852, fu la mente politica del progetto di unificazione dell’Italia.Stimava Don Bosco, e teneva ad assicurargli la sua totale disponibilità. Ma lo scontro durissimo tra Stato e Chiesa da lui voluto o sostenuto compromise l’antica amicizia. Rimase il rispetto reciproco.

Urbano Rattazzi (1808-1873)Urbano Rattazzi, ministro degli interni nei governi Cavour. Un anticlericale duro, che però protesse sempre Don Bosco, consigliandogli la soluzione legale per fondare la sua Congregazione, senza pericolo di vedersela sopprìmere. È stato Rattazzi a con­cedere a Don Bosco il permesso di portare a passeggio i ragazzi del carcere minorile della «Generala», ricevendone una lezione di pedagogia.

Silvio Pellico (1789-1854)Silvio Pellico, uno fra i più celebri patrioti italiani, concluse la sua avventura politica a Torino, come segretario della marchesa Barolo. E qui scriverà: Le mie prigioni. Divenuto amico di Don Bosco, dette al giovane prete utili indicazioni per la stesura dei suoi libri popolari, e scrisse per lui i testi di alcuni canti religiosi.

Mons. Alessandro Riccardi (vescovo di Torino dal 1867 al 1870)Monsignor Riccardi dei Conti di Netro, successore di monsignor Fransoni, aveva fatto dei progetti su Don Bosco, che considerava un amico, e pensava di affidargli i semi­nari di Giaveno e di Bra, nel programma di ristrutturazione della diocesi. Ma Don Bosco aveva già fondato la sua Congregazione religiosa e non potè soddisfare il desi­derio del suo vescovo, che non mancò, in seguito, di fargli pesare la cosa.

Mons. Lorenzo Gastaldi (vescovo di Torino dal 1871 al 1883)Monsignor Lorenzo Gastaldi, vescovo di Sai uzzo, fu messo a capo della diocesi di Torino da Pio IX, su espresso consiglio di Don Bosco.

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I due erano amici di famiglia; la madre del vescovo aveva lavorato per molti anni aU’Oratorio e considerava Don Bosco come un figlio.Nonostante questo, la relazione del vescovo con Don Bosco si caricò progressivamen­te di incomprensioni e di tensioni, anche per effetto di calunnie e maldicenze. Per Don Bosco fu una delle esperienze sacerdotali più drammatiche.

Papa Leone XIII (Gioacchino Pecci, papa 1878 al 1903)Successore di Pio IX, Leone XIII comprese subito l’importanza dell’opera di Don Bosco per la Chiesa. Volle essere iscritto tra i Cooperatori salesiani e affidò a Don Bosco il completamento della basilica del Sacro Cuore in Roma: un’impresa ai limiti deU’impossibile.In occasione della consacrazione della Basilica, Leone XDI espresse così la sua amici­zia: «Io vorrei essere tutto per i Salesiani»... Dio stesso vi guida e sostiene la vostra Congregazione. Ditelo, scrivetelo, predicatelo».

Papa san Pio X (Giuseppe Sarto, papa dal 1903 al 1914)E canonico Giuseppe Sarto, poi papa Pio X, conobbe l’opera di Don Bosco nel 1875, ed ebbe modo di sperimentare personalmente la grande povertà in cui si viveva al- l’Oratorio. Sarà il Papa che renderà ufficiale la pratica della comunione frequente, che Don Bosco aveva già da anni adottato con i suoi giovani.Per volontà di Giovanni XXIII, condividerà con Don Bosco una giornata di gloria, l’l l maggio 1959: le urne contenenti i corpi dei due santi furono portate in trionfo assieme per le vie di Roma.

Card. Gaetano Alimonda (vescovo di Torino dal 1883 al 1891)Dopo cent’anni, Torino ebbe nuovamente un cardinale nella persona di monsignor Gaetano Alimonda. «La bontà del cardinale — scrisse Don Ceria — fu per Don Bosco un provvidenziale conforto negli ultimi quattro anni della sua vita». Durante l’ulti­ma malattia del santo, il cardinale faceva persino anticamera pur di vederlo e ab­bracciarlo. Don Bosco ebbe modo di dirgli: «Le raccomando la mia Congregazione. Sia il protettore dei Salesiani...».

San Leonardo Murialdo (1828-1900)II teologo Leonardo Murialdo nato a Torino nel 1828, contemporaneo e grande ami­co di Don Bosco, divenne suo stretto collaboratore e aiutante negli oratori per molti anni. Nominato da Don Bosco direttore deU’Oratorio di san Luigi, a Porta Nuova, ne fece un modello di centro giovanile. Nel 1873 fondò a sua volta la Congregazione di san Giuseppe per il servizio ai giovani. Fu canonizzato il 3 maggio 1970.

Beato Luigi Orione (1872-1940)Entrato a 14 anni all’Oratorio (siamo nel 1886), Luigi Orione rimase subito affascinato da Don Bosco e ottenne il privilegio di confessarsi da lui, ormai allo stremo delle forze. Un incontro determinante. Divenuto sacerdote e, a sua volta, fondatore di una Con­gregazione, Luigi Orione è stato proclamato beato dalla Chiesa, e avviato agli onori degli altari.

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DB 3,42 Papa Pio XI (Achille Ratti, papa dal 1922-1939)L’amicizia di Achille Ratti con Don Bosco risaliva al 1883, anno in cui egli era venuto a Torino per visitare l’opera salesiana. Cordialità e simpatia nacquero subito tra l’an­ziano educatore e il giovane prete. Fu proprio Achille Ratti, divenuto Papa Pio XI, a beatificare e a canonizzare Don Bosco.

U - SANTA MARIA DOMENICA MAZZARELLO

DB 3,43 MomeseMornese, centro agricolo dell’Alessandrino, di orìgine medioevale. Un paese come tanti, se nella sua storia non fosse entrata la personalità di Don Bosco e l’allegrìa dei suoi ragazzi, che ne fecero la méta di una memorabile scampagnata, nel 1864. La gente di Mornese — lo afferma Don Bosco stesso — aveva due sole passioni: il lavoro e la fede.

DB 3,44 Casa dove nacque Maria MazzarelloIl frutto più bello di questa terra si chiama Maria Domenica Mazzarello, nata in questa casa, nella frazione dei Mazzarelli, il 9 maggio 1837. Prima di sette figli, Maria Do­menica entra a far parte della Pia Unione delle Figlie dell’immacolata, un gruppo di ragazze impegnate, che diventerà il nucleo costitutivo dell’istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrìce.

DB 3,45 La chiesa parrocchialeLa chiesa parrocchiale di Mornese ha storie molto interessanti da raccontare: per tanti anni ha visto Maria Mazzarello arrivare al mattino presto per assistere alla messa; ha ascoltato la sua promessa di verginità, fatta a quindici anni; ha vegliato su di lei quando, arrivata troppo presto, attendeva sul sagrato lo spalancarsi della porta.

DB 3,46 L ’incontro con le Figlie dell’immacolataIl primo incontro di Don Bosco con Maria Mazzarello risale al 1864: è subito profon­da sintonia di spirito. Le parole del prete torinese alle Figlie dell’immacolata, ma anche quelle rivolte alla gente, scatenano nell’animo di Maria Mazzarello un tumul­to di sensazioni e di interessi: vorrebbe che non la smettesse mai di parlare.

DB 3,47 II collegio a MomeseQuesta casa, che stava sorgendo col concorso universale della popolazione del paese di Mornese, doveva essere un collegio salesiano destinato all’educazione dei ragazzi. Ma a costruzione finita, Don Bosco decide di insediarvi le Figlie dell’immacolata, con a capo Maria Mazzarello. Sarà la prima Casa Madre della seconda famiglia salesiana.

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DB 3,48 Don Bosco visita le suore

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L’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice nasce ufficialmente il 5 agosto 1872, nel «collegio» di Mornese. Trovata la donna forte che serviva alla sua opera, Don Bosco le affida la guida del gruppo. Maria Mazzarello accetta pensando ad un incarico prov­visorio e chiede a Don Bosco di mandare in fretta la superiora.

Elezione della superiora (Quadro del Crida)Due anni dopo, Don Bosco deciso ormai a dare alla nuova congregazione una strut­tura regolare e definitiva, raduna le suore, invoca assieme ad esse lo Spirito Santo e le invita a procedere all’elezione della superiora. Tutti i voti vanno a Maria Dome­nica Mazzarello, con la totale e soddisfatta approvazione di Don Bosco.

La casa di Nizza MonferratoMornese si rivela presto un ambiente non adatto, stante la collocazione geografica, alle necessità di una casa madre religiosa. I conti Balbo consigliano a Don Bosco la soluzione ideale: l’acquisto dell’ex-convento della Madonna delle Grazie, a Nizza Mon­ferrato.Dopo i lavori di restauro, la nuova casa diventa agibile e il 4 febbraio 1879 Maria Mazzarello riceve l’ordine di recarsi alla nuova sede. Per 50 anni, Nizza Monferrato sarà il centro propulsore dell’istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, grazie all’a­zione materna e saggia di Madre Mazzarello.

La Mazzarello e le missionarie dal Papa (quadro del Crida)9 novembre 1877: una grande spedizione missionaria, formata da Salesiani e dalle prime missionarie Figlie di Maria Ausiliatrice viene ricevuta da Pio IX. Madre Maz­zarello è presente accanto alle sue figlie e rimane molto colpita dalla paternità e dalla stima per Don Bosco espressa dal Pontefice.La prima destinazione missionaria delle Figlie di Maria Ausiliatrice è l’Uruguay.

La seconda partenza delle missionarieLo slancio apostolico cresce. Anche la Superiora Generale chiede di andare in mis­sione. La seconda spedizione, composta da cinque suore, è guidata da sr. Angela Vai­lese. Dall’Uruguay, all’Argentina, alla Terra del Fuoco l’impegno delle Figlie di Ma­ria Ausiliatrice si moltiplica.

Il volto della MazzarelloIl cuore nascosto dell’istituto che cresce continuamente è una donna umile, dal volto contadino, ricca di finezza e di forza, di dolcezza e di determinazione.

Urna della Mazzarello nella basilica di Maria Ausiliatrice.La sua vita è diventata un esempio talmente significativo che la chiesa ha voluto pro­porlo all’attenzione di tutti i cristiani. Beatificata il 20 giugno 1951, la sua salma si venera nella Basilica di Maria Ausiliatrice, accanto a quella di Don Bosco.

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DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE DB/3 Da Valdocco al mondo intero

SINTESI(Seconda unità sonorizzata)

DB 3,1 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: DA VALDOCCO AL MONDO INTERO: Titolo

V - LE PASSEGGIATE AUTUNNALI

DB 3,55 Carta geografica del PiemonteLe «passeggiate autunnali» furono una delle idee più originali scaturite dall’intuito pedagogico di Don Bosco e dal suo zelo pastorale. Egli era solito recarsi ogni anno ai Becchi la prima domenica di ottobre per la festa del Rosario. Dal 1850 in poi portò con sé anche un gruppo sempre più numeroso di ragazzi.

DB 3,56 I colli del MonferratoI giorni successivi alla festa venivano impegnati in escursioni e visite sui colli monfer- rini. La giovanile comitiva entrava nei paesi al suono della banda e vi portava l’alle­gria del teatro e il buon esempio della pietà.

DB 3,57 Panorama del Monferrato visto dai BecchiParroci e nobili benefattori offrivano ai giovani ospitalità. Generalmente dormivano sui fienili o in stanzoni su uno strato di paglia. La prima mèta era sempre Castelnuo- vo, dove il teologo Cinzano preparava un’enorme polenta gialla con un succoso con­torno di salsicce e generoso vino.

DB 3,58 Albugnano e Abbazia del VezzolanoII paese di Albugnano si trova su uno dei colli più alti del Monferrato (m. 549), da cui si gode uno splendido panorama: la cerchia delle Alpi e la pianura piemontese­lombarda.Nei suoi dintorni abbiamo la storica e artistica abbazia di Vezzolano, mèta turistica anche per i giovani di Don Bosco.

DB 3,59 Cappella della Madonna delle Grazie, a Villa San SecondoIl soggiorno a Villa San Secondo, per l’importanza che vi annetteva Don Bosco, fu uno dei più famosi delle passeggiate autunnali.Momento centrale era la festa della Madonna delle Grazie, venerata in questa cap-

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pella. La presenza dei giovani di Valdocco con la banda, la Messa cantata e il teatro, ma soprattutto il loro buon esempio, coinvolgevano l’intera popolazione.

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Dintorni di Villa San SecondoDa Villa San Secondo ci si muoveva in ogni direzione: c’era solo l’imbarazzo della scelta, tanti erano i luoghi suggestivi da visitare. E così nel gergo dell’Oratorìo il pae­se di Corsione diventerà sinonimo di benessere, tanto era generoso il parroco. A Cos- sombrato c’era ad accoglierli il conte Peletta, mentre il conte Pallio preparava per tutti, nel suo castello di Rinco, polenta e merluzzo.Altre tappe famose furono Alfiano e il castello di Frinco.

La parrocchiale di AlfianoDi Alfiano, visitato nelle passeggiate del 1859 e del 1861, Don Bosco conservava ri­cordi particolarmente cari. Nella chiesa del paese si era cimentato nelle prime espe­rienze di predicatore quando, ancor chierico, vi era stato invitato per la festa del Rosario nel 1837 e per l’Assunta del 1838.

I vigneti di PonzanoDurante la passeggiata del 1861, i ragazzi dell’Oratorio furono ospiti, a Passerano, dei conti Radicati; a Primeglio dei marchesi Doando, che per loro fecero uccidere un vitello. Raggiunsero poi Montiglio e Montechiaro, per arrivare a Villa nella sera­ta dell’8 ottobre.Di qui raggiunsero Castello Merli e Ponzano, un paese caro a Don Bosco, che nel 1841 vi si recò per salutare il suo antico maestro di scuola Don Lacqua.

L ’olmo del ciabattino (Albugnano) - FotomontaggioQuesto antico olmo dal tronco incavato restò impresso nella memoria dei ragazzi. Un curioso ciabattino, infatti, lo aveva scelto come laboratorio. A tale scena don Ca- gliero si ispirerà nella composizione della romanza «Il ciabattino». Nella diapositiva: l’olmo e un’antica illustrazione delle passeggiate.

MondonioII piccolo cimitero di Mondonio, che conservava le spoglie di Domenico Savio era uno dei luoghi più cari. Accolti da papà Carlo Savio e da mamma Brigida, i ragazzi dell’Oratorio venivano qui ogni anno in pellegrinaggio, per pregare sulla tomba del loro caro amico.

Veduta di MontechiaroDal 1859, le passeggiate cambiarono formula: invece di tornare ogni sera ai Becchi, i ragazzi facevano tappa e pernottavano in paesi diversi. E fu così che raggiunsero Camerano, dove il 3 ottobre del 1859 si esibirono in una recita farsesca, intitolata «Gianduia»; e poi Cortandone, Cortazzone e Montechiaro.

Villa San SecondoDon Bosco e i suoi ragazzi furono particolarmente affezionati a Villa San Secondo e vi fissarono l’accampamento due volte.

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Nel 1859 per ben 10 giorni (dal 4 al 13 ottobre), e nel 1861 dal 9 al 10 ottobre. Erano stati invitati dal parroco Don Barbero, che li ospitò con cordialità e generosità asse­condato dall’intera popolazione.

DB 3,67 Santuario di CreaIl 9 ottobre 1861 si spinsero fino al Santuario di Crea in pellegrinaggio. Ebbero la possibilità di ammirare le numerose e originali cappelle. I frati Minori, dapprima intimoriti dal gran fracasso prodotto da quella turba, ma poi cordialissimi e acco­glienti, trovarono il modo di sfamarli e ristorarli donando tutto ciò che avevano in dispensa.

DB 3,68 Casale MonferratoLa strada che da Crea, attraverso Ozzano, conduce a Casale, era in quella stagione percorsa da decine di carri, carichi di uva e di mattoni.I ragazzi furono costretti a camminare per tre ore in un polverone che mozzava il respiro, e così giunsero tardi a Casale, dove però monsignor Calabiana era ancora alzato per attenderli. Un grande amico di Don Bosco, che in quella occasione mise a disposizione dei ragazzi deU’Oratorio il Seminario.

DB 3,69 Casale, Chiesa di san FilippoA Casale si fermarono il 10,11 e 12 ottobre. Monsignor Calabiana li portò a visitare i restauri del Duomo dedicato asant’Evasio, di stile romanico lombardo. Pregarono nella magnifica chiesa di san Filippo, e alla sera offrirono al vescovo e alla cittadi­nanza musica, canti e teatro. D Cagliero fece eseguire per la prima volta la sua ro­manza «L’orfanello».

DB 3,70 Mirabello MonferatoPartiti da Casale toccarono San Germano, dove un’allegra bicchierata si trasformò in disastro per la rottura di una damigiana; poi attraversarono Occimiano, patria di quel grande missionario che fu Don Evasio Rabagliati, apostolo dei lebbrosi della Colombia.A Mirabello erano ad attenderli le autorità e la popolazione al gran completo. La famiglia Proverà diede ospitalità ai 100 ragazzi per tre giorni. Trascorsero la festa della Maternità di Maria in un clima di grande entusiasmo. In questa occasione fu­rono avviate con i Proverà le trattative per la fondazione del primo collegio salesiano.

DB 3,71 Panorama col paese di LuOgni punto elevato dei colli monferrini, «graziosi, feraci e salubri», è il centro d’un panorama dei più belli... Così appare Lu con la sua torre romanica. I ragazzi di Don Bosco raggiunsero questo paese il 14 ottobre 1861, nel pomeriggio. Saliti sulla torre salutarono la popolazione con un concerto bandistico. Lu darà alla Congregazione Salesiana numerose vocazioni, prima fra tutte Don Filippo Rinaldi, terzo successore di Don Bosco.

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Uno degli aspetti più romantici di queste passeggiate era costituito dalla visita a qual­che castello. Le nobili famiglie, sostenitrici dell’Opera di Don Bosco, si ritenevano onorate di ospitare la sua vivacissima brigata nelle vetuste dimore dei loro avi. Ecco la torre di Lu e il castello di Camerano, due dei tanti monumenti visitati.

CallianoNel 1862, si partì da Villa San Secondo nel pieno del mezzogiorno: l’aria era infuoca­ta, e i ragazzi camminavano stancamente alla ricerca di una fonte fresca. Invece si imbatterono in una fontana solforosa che battezzarono «della puzza». E finalmente raggiunsero Calliano. Il parroco, Don Sereno, accolse Don Bosco e i suoi birichini nella sua canonica, che aveva appena terminato di costruire: fu un’inaugurazione davvero originale.Nel cortile della casa, sui carri agricoli fu allestito il palco e fu rappresentata la far­sa: «Le consulte ridicole». Si fece entrare anche il personaggio Gianduia, e per Gian­duia la gente si sbellicò dalle risa.

MontemagnoSeconda tappa fu Montemagno, dove risiedevano i marchesi Fassati, attivissimi coo­peratori salesiani. Riconoscente per i loro continui aiuti, Don Bosco ritornerà spesso e volentieri nella loro casa di villeggiatura.Nei pressi del santuario della Madonna di Valinò, stava giocando un ragazzo dai ca­pelli rossi, scalzo e senza giacca. Partì di scatto quando sentì la banda, salì in paese e, a furia di gomitate, si piantò davanti a Don Bosco, che lo catturò immediatamen­te. Era Luigi Lasagna; entrato all’Oratorìo, si fece salesiano e divenne missionario e vescovo in America Latina.

Montemagno, la chiesa parrocchialeMontemagno è un paese rurale dall’aria nobile. Oltre al maestoso castello, è caratte­ristica la chiesa parrocchiale, nella quale Don Bosco predicò più volte, sia in occasio­ne del triduo dell’Assunta che in quello della Natività di Maria. Nel 1864, dopo tre mesi di aspra siccità, le sue preghiere unite a quelle del popolo ottennero il miracolo di un’improvvisa e abbondante pioggia ristoratrice.

Vignale, castello dei conti Callo riFra tutti gli insigni e illustri benefattori di Don Bosco, spiccano i conti Callori di Vi­gnale, ai quali Don Bosco inviò ben 57 lettere. In questo castello i ragazzi dell’Orato- rio trascorsero sei indimenticabili giornate nell’ottobre 1862.La festa del Sacro Cuore di Maria fu il punto culminante per tutti, sia in senso reli­gioso che folcloristico. La grande chiesa era affollatissima. Da tutti era attesa la pre­dica di Don Bosco, che commosse fino alle lacrime il parroco Don Sereno.A sera fuochi di artificio e ascensione di palloni.Don Bosco, alla buona notte, annunciò che un giovane sarebbe morto aU’Oratorio di Torino. La notizia non turbò affatto l’atmosfera gioiosa della festa: i ragazzi di Don Bosco a queste «profezie» erano abituati.

Torri e castelli del Monferrato

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DB 3,77 GenovaLa passeggiata più lunga si effettuò nel 1864. Fu anche l’ultima: Don Bosco era or­mai sempre più assorbito dal suo lavoro per poter continuare questa originale espe­rienza. A Genova, raggiunta in ferrovia, i ragazzi dì Valdocco videro per la prima volta il mare. La visita al capoluogo ligure occupò tre intere giornate. Visitarono il porto, il faro, il celebre palazzo Doria e la famosa villa Pallavicini a Pegli.

DB 3,78 MomeseLasciata Genova, dalla stazione ferroviaria di Serravalla Scrivia raggiunsero a piedi Mornese passando per Gavi. Li aveva invitati Don Pestarino, salesiano «esterno», che intendeva presentare a Don Bosco il piccolo gruppo delle Figlie dell’immacolata. Don Bosco indirizzò loro calde e incoraggianti parole. Tra tutte la più affascinata fu Domenica Mazzarello, la fìitura confondatrice delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Da quel giorno ella si mise totalmente nelle mani del santo.In una gita a Lerma il sacerdote genovese Giovanni Battista Lemoyne, conquistato dalla santità di Don Bosco, decise di lasciare tutto e di seguirlo. Otto giorni dopolo raggiunse a Torino. Diventerà uno dei suoi migliori collaboratori e il suo più gran­de biografo.Dopo il 1864, queste straordinarie esperienze di vita comune e di stile educativo non furono più ripetute. Restano nella memoria della Congregazione Salesiana come una testimonianza della santità di Don Bosco.

Z - MORTE E GLORIFICAZIONE DI DON BOSCO

DB 3,79 La morte di Don BoscoDon Bosco è morto il 31 gennaio 1888 a 72 anni di età. Le ultime fasi della sua malat­tia erano state seguite con molta partecipazione dai ragazzi dell’Oratorio, alcuni dei quali avevano offerto a Dio la loro vita. L’opinione pubblica, informata con edizioni straordinarie dei quotidiani torinesi, sottolineò l’evento con commozione e rispetto. Ma furono soprattutto i suoi ragazzi a sentirne la perdita. Ad essi, poco prima di spirare, volle lasciare questo semplice ricordo: «Vi attendo tutti in paradiso».

DB 3,80 La bara di Don BoscoUna semplice bara di noce accoglie la sua salma, dopo che una marea di persone, di ogni ceto e condizione, le aveva reso omaggio con infinita venerazione. Per 41 an­ni, fino alla sua beatificazione, 0 corpo di Don Bosco riposerà in questa modesta cas­sa, oggi conservata nel «Museo Don Bosco» a Torino-Valdocco.

DB 3,81 I funerali di Don BoscoI funerali furono celebrati il 2 febbraio. Secondo stime, diffìcili da valutare, pare abbiano presenziato dalle cento alle duecento mila persone. Di sicuro l’imponenza

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del corteo, più che a un funerale, fece pensare a un trionfo. Una sorpresa per tutti, anche se l’apostolo dei giovani e il «padre del popolo» era molto conosciuto e univer­salmente stimato.

La tomba a ValsaliceLa tomba di Don Bosco non potè essere collocata nella Basilica di Maria Ausiliatrice. Una legge severissima lo vietava. Fu anche difficile ottenere uno speciale permesso per inumare la salma a Valsalice, sulla collina torinese, all’interno di un collegio di­venuto studentato di chierici salesiani.Il trasferimento della salma e la preparazione della tomba dovettero essere fatti, co­munque, in segreto. D 4 febbraio il primo successore di Don Bosco, Don Michele Rua, potè finalmente accompagnare il feretro nella dimora provvisoria di Valsalice. L’an­no seguente, sulla tomba, venne eretta questa cappella.

Esumazione e ricognizione della salmaIl 16 maggio 1929 la salma di Don Bosco fu riesumata. Autorità religiose e civili, Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice furono presenti in grande numero. Lo stesso sindaco di Torino, Paolo Thaon de Revel, volle rendere omaggio all’illustre concitta­dino. Il giorno seguente fu fatta la ricognizione medico-legale e i resti mortali di Don Bosco risultarono perfettamente conservati. L’avvenimento mise in moto la simpatia e la venerazione dei moltissimi amici di Don Bosco, che volevano vedere e sapere, e fu difficile far fronte alla ressa che si era creata, per il grande concorso di popolo.

Ricomposizione della salma2 giugno 1929: Pio XI proclama Don Bosco beato. Quattro giorni dopo un’équipe medica dell’Università di Torino procede alla composizione della salma: il Prof. Ca­nuto eseguì le operazioni necessarie per la sua conservazione; lo scultore Gaetano Cellini modellò sul volto e sulle mani di Don Bosco maschere di cera, che furono di­pinte dal Prof. Cussetti.La salma fu rivestita di paramenti sacri. Adagiata su un lettino cremisi, preziosa­mente ornato, fu collocata all’interno di un’urna di cristallo.

L ’urna sul carro trionfaleIl 9 giugno 1929 Don Bosco viene trasferito da Valsalice a Valdocco nella Basilica di Maria Ausiliatrice. Tutta Torino si è riversata nelle vie a salutarlo e a venerarlo. Il corteo ripropone fasti ormai sconosciuti anche alla città monarchica: l’urna di cri­stallo, incorporata in un’artistica struttura di legno, troneggia su un carro addobba­to e scortato dagli ex-allievi salesiani.In questo modo Don Bosco ritorna a Valdocco.

Piazza Vittorio: «Don Bosco ritorna»L’imponenza della manifestazione si può cogliere in questo passaggio del corteo in piazza Vittorio, una delle piazze più grandi dell’Europa di allora. Il gruppo molto folto delle autorità religiose e civili quasi scompare in mezzo alla marea di folla; ed è ancora folla, quando l’urna raggiunge la piazza della basilica, attesa dall’aristo­crazia cittadina e dai rappresentanti del governo.

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La gente applaude e grida: «Don Bosco, Don Bosco», e ad ogni passaggio c’è un gruppo che intona per un’ennesima volta il ritornello «Don Bosco Ritorna». Gli oratori festi­vi e le case salesiane sono rappresentati in massa e danno l’idea mondiale dell’opera di Don Bosco.L’ingresso dell’urna in Piazza Maria Ausiliatrice è salutato dalle campane della Ba­silica e da tutte le campane delle Chiese di Torino. Trasportata a spalle da un gruppo di sacerdoti, la salma entra finalmente nella pace della basilica.

Roma: il corteo papaleLa canonizzazione di Don Bosco fu voluta da Pio XI in una data e in un’occasione tutta particolare: domenica di Pasqua, chiusura dell’Anno Santo per il 19° centena­rio della nostra redenzione. Era 0 1° aprile 1934. La canonizzazione viene salutata da un immenso grido di entusiasmo e di gioia giovanile.

Pio XI e lo stendardo alla loggia di San PietroLa gloria del nuovo santo è una sintesi della sua missione e della sua opera: portare tutti ai piedi del Cristo risorto. Una giornata eccezionale, che anche la stampa vati­cana sottolinea, perché mai si era assistito ad una canonizzazione in un contesto così significativo e in un ambiente di gioia così straordinario.

La salma di Don Bosco nella chiesa di Maria AusiliatriceTorino volle emulare Roma, per celebrare la santità del suo prete più famoso. L’8 aprile del 1934 fu giornata di pioggia, ma in città non si vide mai niente di più gran­dioso.La processione, voluta ad ogni costo dalla folla raccolta in 18 punti di concentramen­to, fu una stupenda dimostrazione di amore per Don Bosco e una testimonianza co­rale che le opere di Dio danno sempre grandi frutti quando trovano mani disponibili a realizzarle e terreno fertile ad alimentarle.

L ’apoteosi di Torino: Piazza Maria Ausiliatrice

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DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE DB/3 Da Valdocco al mondo intero

ICONOGRAFIA DI DON BOSCO(Terza unità sonorizzata)

DB 3,1 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: DA VALDOCCO AL MONDO INTERO: Titolo

X - RITRATTI - GRUPPI - QUADRI

DB 3,91 Don Bosco col breviario (Bartolomeo Bellisio, Torino 1861-1862)Il rapporto di Don Bosco con la fotografia testimonia la sua modernità e l’importan­za che egli atribuiva all’immagine, come mezzo di informazione e di promozione del­le sue opere. I suoi figli ne scopriranno in seguito anche l’importanza documentaria e per questo lo inviteranno a posare, soprattutto negli ultimi anni della sua vita. Questo è un curioso ritratto del 1862, realizzato da Bartolomeo Bellisio.

DB 3,92 Don Bosco a Roma nel 1867 (Achille De Sanglau)Roma 1867. Ospite del conte Vimercati, Don Bosco sta lavorando per presentare a Pio IX i documenti necessari all’approvazione della Società di san Francesco di Sales. L’ospite lo prega di lasciargli un ricordo fotografico e Don Bosco posa tranquillo da­vanti al fotografo Achille De Sanglau.

DB 3,93 Don Bosco benedice i tre rappresentanti del suo apostolato (Achille De Sanglau 1867)Nella stessa tornata di posa, Don Bosco si impose al fotografo che voleva eseguire un’altra foto e inventò invece una inquadratura più pastorale, coinvolgendo nella scena il figlio del fotografo, il maggiordomo di casa Vimercati e il suo segretario Don Francesia.

DB 3,94 Don Bosco in lettura (Foto Della Valle, Roma 1869)Qualche anno dopo, (1869) sempre a Roma, tocca al fotografo Della Valle ritrarre il Santo. La posa è classica ed esprime austerità. Le indicazioni della regia devono aver convinto poco Don Bosco, che così risulta impacciato e per niente spontaneo.

DB 3,95 Don Bosco con zucchetto (Foto Alfieri, Torino 1869)Don Bosco a 54 anni, papalina e mani incrociate: più che in meditazione sembra in rassegnazione. Ai suoi benefattori doveva piacere così, se questa foto realizzata a To­rino dalla «Fotografia Alfieri» è arrivata fino a Lecco, dove è stata trovata in casa di una benefattrice.

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Don Bosco ritratto con scritta (prima del 1870)Anche questa era una foto pubblicitaria, nel retro della quale Don Bosco scrìveva di proprio pugno pensieri religiosi o preghiere. Notevole la vivacità dello sguardo, rara nei ritratti del tempo.

Don Bosco con berretta (1875)Altra posa, abbondantemente ritoccata per escludere rughe e ombre dal viso. Data­bile attorno al 1875, deve essere stata eseguita per scopi di promozione dell’opera salesiana.

Don Bosco a 63 anni (Giuseppe Sartori, Foto Unione, 1878)Questa è la prima di una serie di quattro foto, tra quelle raccolte da una speciale Commissione incaricata di reperire tutto il materiale documentario sulla vita di Don Bosco.Si tratta di foto molto somiglianti l’una all’altra, tanto da far pensare che siano state realizzate nella stessa occasione.

Volto (particolare - Giuseppe Sartori, 1878)Ecco il primo piano, ricavato da una foto di Giuseppe Sartori: dal volto traspare se­renità e un pizzico d’arguzia.

Don Bosco in poltrona con Crocifisso e Madonna (Giuseppe Sartori, 1878)Questa posa è del 1878. Si vuole mettere in risalto il ruolo sacerdotale di Don Bosco, mediante la presenza di una precisa simbologia religiosa: Crocifisso, statua della Ma­donna, berretta. Il risultato è piuttosto statico e di maniera.

Don Bosco a ll’inginocchiatoio (Giuseppe Sartori, 1878)Stessa atmosfera mistico-religiosa, realizzata con un manierismo ancora più accen­tuato. Riprodotta su cartoncino raffinato, la foto porta la firma di Giuseppe Sartori. Si tratta del probabile autore di tutte e quattro le foto, di cui abbiamo detto.

Don Bosco in piedi (Michele Schemboche, 1880)Al torinese Schemboche si deve un’altra serie di foto, in cui, a detta di chi lo ha cono­sciuto, «Don Bosco è somigliantissimo». Qui la ricercatezza dell’inquadratura è sot­tolineata da quella colonna, e dal drappeggio elegante della veste. Di veramente suo Don Bosco ci ha messo solo le scarpe, tutte sformate. Per il resto ha lasciato fare. Siamo nel 1880.

Don Bosco in ginocchio (Schemboche, 1880)In questa variante, Don Bosco è messo di profilo e in ginocchio.E una delle foto più sfruttate, per quel volto così spontaneo e per quei lineamenti così ben definiti e naturali.

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Nella terza posa, dello Schemboche, Don Bosco appare imponente, e seduto su una poltrona. Questa è la foto ufficiale della beatificazione, coerente con lo stile del tem­po ma molto lontana dal rendere l’affabilità, la mitezza e il sorriso di Don Bosco.

DB 3,104 Don Bosco in poltrona (frontale, Schemboche, 1880)

DB 3,105 Don Bosco a Marsiglia (con rabat, 1881)1881, Marsiglia. Don Bosco arriva in città per salutare un gruppo di missionari par­tenti e per risolvere alcune difficoltà sollevate dal governo francese contro le sue scuole. Per farsi fotografare, indossa la divisa del clero francese, per rispetto alle tradizioni del luogo e per non essere tacciato di nazionalismo. Risulta che la cosa lo abbia diver­tito, anche per la sua concomitanza con il carnevale.

DB 3,106 Don Bosco a Marsiglia (profilo, 1881)Lo sconosciuto fotografo francese ha insistito, ed ecco Don Bosco di profilo con un’e­spressione poco convinta e divertente.

DB 3,107 Don Bosco (foto Mariani, Ivrea, dopo il 1880)Probabilmente questa foto, firmata da B. Mariani di Ivrea, è una edizione «italiana» delle foto marsigliesi: il rabat (la pettorina) è stato tolto, e dell’immagine, così ritoc­cata se ne è trovata copia nel 1984, presso una famiglia di benefattori lionesi.

DB 3,108 Don Bosco: il ritratto della pittrice parigina E. Salanson (1883)Ecco un’altra curiosa elaborazione fotografica. L’originale dovette essere un dipinto realizzato da una pittrice parigina nel 1883, certa E. Salanson, allo scopo di aiutare l’opera salesiana. La bravura della pittrice ha saputo togliere molti anni a Don Bosco e presentarlo, con una certa somiglianza, in versione giovanile.

DB 3,109 Don Bosco con crocifissoFrancese è anche questa interpretazione di Don Bosco con crocifisso. La somiglianza con il soggetto è così scarsa da far pensare che si sia sfruttato un sosia. L’immagine ha cominciato a diffondersi dopo l’introduzione della causa di beatificazione e si rifà chiaramente ad una posa classica di san Luigi Gonzaga.

DB 3,110 Don Bosco scrittore (1884)«Don Bosco scrittore». Con questa didascalia, la foto, datata 1884, è stata utilizzata in molte pubblicazioni. L’insieme infatti è gradevole, e Don Bosco pare aver raggiunto una certa disinvoltura con i fotografi dell’epoca.

DB 3,111 Don Bosco a Nizza (1885)Nizza 1885: Don Bosco ha 70 anni, l’età e la stanchezza sono evidenti, ma dal ritratto emerge anche il suo temperamento volitivo, la sua forza. Curiosa la capigliatura ric­ciuta simile al manto dell’agnello. È il ritratto di Don Bosco più diffuso in Belgio.

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DB 3,112 Don Bosco a 71 anni (di fronte, Gustavo Luzzati, Sampierdarena 1886)Questa è la prima delle tre foto realizzate a Sampierdarena nel 1886, dal signor An­gelo Ferretto, operatore dello Stabilimento Angelo Luzzati, di Genova. Don Bosco è di passaggio, diretto in Spagna, e il marchese Spinola non vuole lasciarsi scappare l’occasione.La seduta di posa è organizzata in fretta e furia e se non fosse stato per la condiscen­denza del capostazione, Don Bosco avrebbe anche perso il treno.

DB 3,113 Don Bosco a 71 anni (di tre quarti, Gustavo Luzzati, Sampierdarena 1886)Mani conserte e volto di tre quarti. Qui è chiaro che Don Bosco sta allo scherzo, e tutta quella confusione, con il treno d ie aspetta, lo ha divertito.

DB 3,114 Don Bosco a 71 anni (di profilo, Gustavo Luzzati, Sampierdarena 1886)La terza foto Luzzati è uno splendido profilo. L’immagine ha fatto storia, per quello che dice di Don Bosco: una faccia energica, franca, affinata dalla sofferenza, che traspira bontà semplice e generosa, cosi come l’hanno ammirata i suoi primi figli.

DB 3,115 Foto dì Don Bosco in Spagna (Rctimundo Fages Buxò 1886)Arrivato in Spagna, Don Bosco fo preso d’assalto ancora una volta dai fotografi. Il Signor Raimundo Fages Buxò, tentando qualche istantanea, è stato tradito dalle con­dizioni della luce. La foto nella diapositiva, benché ritoccata, non è un grosso risulta­to se non fosse un documento preciso della sofferenza di Don Bosco in quei giorni: la sua stanchezza doveva essere enorme, se si osservano quegli occhi persi nel vuoto e quella bocca priva di sorriso.

DB 3,116 Ultima foto di Don Bosco vivente (Carlo Deasti 1887)La didascalia del biografo dice: «L’ultima foto di Don Bosco, presa a Torino da Car­lo Deasti, il 6 dicembre 1887». La data è improbabile, ma resta comunque l’ultimo documento fotografico di Don Bosco vivente. Serio, rigido, Don Bosco ha ceduto alle insistenze dei suoi figli che volevano assicurarsi ancora un ricordo della sua immagi­ne, ma è chiaro come la malattia e la stanchezza hanno avuto la prevalenza sulla sua disponibilità.

DB 3,117 Don Bosco nella sua camera (Torino, 1861)Oltre ai ritratti, Don Bosco è stato fotografato in situazioni diverse. Qui è nella sua camera, occupata dal 1853 al 1861: il documento ha una grande importanza storica, perché in questa camera sono entrati personaggi famosi e sono avvenuti episodi de­terminanti per l’opera salesiana. Qui, soprattutto, i suoi primi figli hanno potuto co­noscere la paternità e la bontà di Don Bosco.

DB 3,118 Don Bosco fra i suoi giovani (Francesco Serra, Torino, 1861)Qui vediamo Don Bosco fotografato fra i suoi giovani. Siamo nel 1861 e l’incarico è stato affidato a Francesco Serra, exallievo dell’Oratorio. Curioso l’effetto di mez­zobusto, che la corona dei ragazzi crea.Don Bosco appare orgoglioso di essi ed esprime una gioia pacata e serena.

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DB 3,119 Don Bosco che confessa (Francesco Serra, Torino, 1861)La confessione e la direzione spirituale sono per Don Bosco strumenti educativi irri­nunciabili; e la foto è un documento fondamentale per la storia della pedagogia sale­siana. Il gruppo ha una sua spontaneità, a dispetto dei lunghi tempi di posa che la tecnica richiedeva. Il penitente è Paolo Albera, che sarà poi il secondo successore di Don Bosco.

DB 3,120 Don Bosco con la scuola di musica strumentale (Torino, 1870)La musica come strumento educativo: altra intuizione di Don Bosco. Ed eccolo con la sua Banda dell’Oratorio del 1870. C’è allegria, anche perché si sta celebrando il trentennale dell’Oratorio. Per Don Bosco «un oratorio senza musica è un corpo senz’anima».Tra i componenti del gruppo ci sono i più bei nomi della tradizione musicale salesia­na: dal maestro De Vecchi a Buzzetti a Don Cagliero a Giuseppe Dogliani.

DB 3,121 Don Bosco con i primi Salesiani (Torino, 1870)«I superiori dell’Oratorio» nell’anno 1870. In mezzo ai suoi figli, con l’aria orgoglio­sa del padre soddisfatto, Don Bosco è ormai riuscito a dare alla sua opera le basi sufficienti per crescere e svilupparsi.

DB 3,122 Don Bosco con la prima spedizione missionaria (Torino, 1875)1875: Don Bosco realizza il suo sogno di mandare i Salesiani nelle Americhe, tra i figli degli emigrati. L’avvenimento è importante e movimenta l’opinione pubblica. A Valdocco arriva persino il console argentino, da Savona.

DB 3,123 Don Bosco consegna le Regole a Don Cagliero (particolare, 1875)In dettaglio, il gesto più significativo del momento: Don Bosco consegna a Don Gio­vanni Cagliero, capo della spedizione, il libretto delle Costituzioni, come guida, ri­cordo, presenza del Padre tra i figli che partono.

DB 3,124 Don Bosco con la terza spedizione missionaria (Torino, 1877)Terza spedizione missionaria, 1877. Per la prima volta si aggregano ai Salesiani an­che le Figlie di Maria Ausiliatrice da Mornese. Nella foto-ricordo impressiona la gio­vane età dei partenti, a testimonianza della grande fiducia che Don Bosco nutriva nel confronto delle generazioni più giovani.

DB 3,125 Don Bosco con gli exallievi sacerdoti (Torino, 1884)Gli exallievi sono un’altra di quelle invenzioni vincenti di Don Bosco che hanno fatto storia. Ogni anno, all’Oratorio di Valdocco veniva fissata una data per radunare at­torno al Padre tutti gli antichi allievi, laici e sacerdoti. Nel 1884 gli exallievi sacerdoti hanno chiesto e ottenuto da Don Bosco questa foto ricordo.

DB 3,126 Don Bosco nella villa Marti Codolar (Joaquìn Pasqual, Barcellona, 1886)Spagna, 1886. Durante il suo soggiorno, Don Bosco assieme a tutti i giovani della casa salesiana, fu ospite di Don Luis Pasqual. È il 3 maggio e la splendida villa

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Marti Codolar per un giorno si trasforma in oratorio. Un avvenimento da ricordare con tanto di gruppo fotografico.n risultato è vivace e spontaneo e Don Bosco è contagiato dall’allegria generale: i suoi 72 anni si vedono tutti ma c ’è ancora dell’energia nel suo portamento, accompa­gnata dalla sua tradizionale dolcezza.

DB 3,127 Don Bosco con la dodicesima spedizione missionaria (Carlo Deasti, Torino, 1887)Ultima fotografia di Don Bosco con i Missionari della dodicesima spedizione, desti­nati all’Equatore. Non abbiamo notizie sicure del giorno in cui è stata eseguita: sap­piamo solo che tale spedizione venne salutata da Don Bosco, ammalato e stanco, la sera del 6 dicembre 1887.

DB 3,128 Don Bosco morto adagiato sul seggiolone (Carlo Deasti, 1888)Don Bosco è morto il 31 gennaio 1888, alle 4 e 45 del mattino.Il fotografo Deasti e il pittore Rollini si incaricano di documentare la triste circostan­za. La salma, rivestita dei paramenti sacerdotali, fu adagiata su un seggiolone a brac­cioli e così preparata per ricevere l’ultimo saluto della Famiglia salesiana e della cit­tadinanza torinese.

DB 3,129 Profilo di Don Bosco morto (Carlo Deasti, 1888)La morte ha solo segnato di pallore 0 volto di Don Bosco, per il resto i lineamenti sono rimasti intatti. I visitatori sono sfilati a migliaia, ma quelli che non sapevano darsi pace erano i suoi ragazzi, a cui Don Bosco aveva riservato l’ultimo pensiero: «Dite che li aspetto tutti, tutti in Paradiso».

DB 3,130 Primo piano del volto di Don Bosco (dal gruppo di Barcellona, 1886)Fissiamo ancora lo sguardo su questa ultima foto della serie dei «ritratti» per impri­merci negli occhi e nel cuore il volto sereno e amabile di Don Bosco.

DB 3,131 Don Bosco di Varazze (quadro, 1871)Don Bosco è stato 0 soggetto per diversi pittori che si sono cimentati con la sua im­magine.Il primo fu un oscuro artista di Varazze. Il suo quadro rivela più stima e affetto per il personaggio che perizia. A Varazze Don Bosco era caduto ammalato, all’inizio del­l’anno scolastico 1870-1871. La gravità del male per molti giorni fece temere il peg­gio. Evidentemente il pittore rimase impressionato da Don Bosco convalescente e con­servò nel ritratto i segni ancora visibili della malattia, appena superata.

DB 3,132 Don Bosco di san Benigno (quadro di Enrico Benzoni, 1886)Nell’Istituto Salesiano di san Benigno Canavese si trova esposto questo quadro in for­mato ovale, firmato da Enrico Benzoni e datato 1886. Benzoni era artista bresciano che, avendo già abbozzato un ritratto di Don Bosco, riuscì ad ottenere da lui qualche momento di posa per la rifinitura del dipinto. Il quadro è stato lasciato ai Salesiani di San Benigno, come copertura della retta del figlio del pittore.

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Opera del pittore Paolo Gaidano, questo è il primo quadro ufficiale di buona fattu­ra, realizzato durante la vita di Don Bosco e probabilmente commissionato dai Supe­riori dell’Oratorio di Valdocco. Evidente l’influsso delle foto di Sampierdarena. Si conserva nella cappellina del Museo di Don Bosco a Valdocco.

DB 3,134 Don Bosco del Rollini (Torino, 1888)Giuseppe Rollini è il pittore che collaborò con il fotografo Deasti per le foto mortua­rie di Don Bosco.Questo quadro ad olio (cm 119x85,5) ha avuto un certo successo, e fu riprodotto in varie maniere. Del Rollini sono anche 0 dipinto che rappresenta Don Bosco ingi­nocchiato davanti alla statua di Maria Ausiliatrice e il quadro di mamma Margheri­ta, conservato nel Museo delle Camerette.

DB 3,135 Don Bosco dell’Enrie (Torino, 1929)Per la beatificazione di Don Bosco, il quadro ufficiale fu affidato al pittore Enrie. La solennità del momento ha preso la mano all’artista che così ha caricato di eccessi­va gravità il personaggio, facendo trasparire dal suo volto un’accentuata serietà, an­ziché quell’espressione gioviale e comunicativa per la quale Don Bosco andava famoso.

DB 3,136 Don Bosco del Crida (Torino, 1933)Per la canonizzazione il quadro ufficiale fu invece affidato al pittore biellese Crida. L’opera incontrò subito il favore della critica e l ’approvazione del pubblico. L’arti­sta si meritò così la qualifica di «pittore ufficiale di Don Bosco». Tra i suoi dipinti più conosciuti figurano gli episodi di storia salesiana esposti nella nuova sacrestia della Basilica di Maria Ausiliatrice.

DB 3,137 Don Bosco del Caffaro-Rore (Torino, 1950)Tra i pittori viventi il primato delle opere a soggetto salesiano spetta al prof. Caffaro- Rore di Torino. Sono ben 36 i suoi quadri distribuiti tra case salesiane e chiese. Questo è stato seguito per conto della direzione Elle Di Ci di Torino, negli anni ’50. La perfezione tecnica e la grande somiglianza hanno fatto spesso pensare ad una fotografia.

DB 3,138 Monumento a Don Bosco sulla piazza di Maria Ausiliatrice (Gaetano Cellini, Torino, 1920) Per concludere, ecco la più famosa interpretazione dell’opera di Don Bosco in ver­sione scultorea. Commissionato dagli exallievi salesiani di tutto il mondo allo sculto­re Gaetano Cellini di Ravenna, il monumento è stato inaugurato il 23 maggio 1920. Chi arriva a Torino e scende in piazza Maria Ausiliatrice non può fare a meno di fermarsi ad ammirarlo. La figura di questo prete ha un fascino tutto particolare, quello che ha fatto esclamare a Paul Claudel: «Don Bosco, bastava guardarlo».

DB 3,133 Don Bosco del pittore Paolo Gaidano (Torino, 1879)

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DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE DB/3 Da Valdocco al mondo intero

DALLE UMILI ORIGINI DEI «BECCHI» ALLA GLORIA DEL TEMPIO AL COLLE

(Quarta unità sonorizzata)

DB 3,1 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: DA VALDOCCO AL MONDO INTERO: Titolo

Y - I «BECCHI» LA CASA DI GIUSEPPE - COLLE DON BOSCO

DB 3,139 L ’antica frazione dei «Becchi»Al confine tra i comuni di Castelnuovo e di Capriglio sorge, di poco sulla pianura, una località chiamata i Becchi, dal cognome Bechis delle prime famiglie che l’hanno abitata. Siamo in una frazione di quelle quattro borgate che costituiscono il paese di Castelnuovo.Un pugno di case contadine che è entrato nella storia della Chiesa come luogo natale di un grande santo.

DB 3,140 I Bosco approdano alla cascina BiglioneLa storia dei Bosco inizia a Chieri, un grosso centro a 15 chilometri da Torino. La prima data certa rìsale al 1627, e registra il matrimonio di un certo Giovanni Fran­cesco Bosco. Funerali e matrimoni si alternano a traslochi e peregrinazioni, con un penoso contorno di guerre, carestie ed epidemie. D nonno di Don Bosco, Filippo An­tonio, nacque orfano. Il papà di Don Bosco, Francesco Luigi, è figlio di seconde nozze.

DB 3,141 La cascina Biglione tra i vignetiLa famiglia conosce un breve perìodo di sicurezza economica; poi la guerra contro la Francia, la svalutazione della moneta e il rincaro della vita compromettono tutto.Il nonno di Don Bosco deve alienare gran parte della sua proprietà e adattarsi a fare0 mezzadro presso la cascina Biglione. Siamo nel 1793. I Bosco sono approdati ai Becchi.

DB 3,142 La cascina Biglione sul lato ovestPer 24 anni il nonno e il papà di Don Bosco lavoreranno duramente un fondo di 12 ettari di terreno.La cascina Biglione era una tipica struttura agricola piemontese, in cui l’abitazione civile e i locali adibiti al ricovero degli animali, alla conservazione dei prodotti e al lavoro agrìcolo erano contigui e funzionali.

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L’abitazione dei mezzadri era situata nel braccio più corto del corpo di fabbrica. Po­che stanze, divise tra zona giorno e zona notte, rispondevano abbastanza bene alle necessità abitative: i contadini del resto vivevano poco in casa.È in questa abitazione che si trova la cantina nella quale il papà di Don Bosco con­trasse la polmonite che lo portò alla tomba.

DB 3,144 Ancora una veduta dì casa BiglioneLa cascina Biglione è stata oggetto di un piccolo mistero storico. Non fu subito chia­ro, infatti, che era stata questa la vera casa natale di Don Bosco. I documenti chelo provano sono numerosi e testimoniano che nella cascina Biglione morì il papà del Santo; che Mamma Margherita, dopo la morte del marito, venne citata dal proprie­tario per cattiva conduzione del fondo, e che qui fu fatto l’inventario dell’eredità la­sciata dal defunto, per provvedere di tutori gli orfani.

DB 3,145 II Canton CavalloLe quattro case che occupavano la collina dei Becchi erano chiamate Canton Caval­lo. E sarà proprio un poverissimo fabbricato, incollato grazie ad un semplice muro divisorio a casa Cavallo, la nuova dimora di Mamma Margherita e dei tre orfani. Vi entreranno l’i l novembre 1817, pochi mesi dopo la morte del capo-famiglia.

DB 3,146 II documento di acquisto della casettaLa casetta, più simile a un ripostiglio agricolo che a un’abitazione, era stata acqui­stata a credito da Francesco Luigi Bosco. C’erano state due annate cattive e le cose non andavano bene: pareva anzi che i padroni volessero vendere. A trent’anni, il papà di Don Bosco ritenne di avere la forza e la capacità di affrontare un debito ini­ziale per cominciare a mettersi in proprio e tentare di tirar fuori la famiglia dall’in­digenza. Cinque mesi dopo aver firmato l’atto di acquisto, però, dovette fare testa­mento.

DB 3,143 L ’abitazione dei mezzadri

DB 3,147 La cascina sotto la neveEcco una singolare veduta invernale della cascina Biglione, che cambiò vari proprie­tari e mutò anche aspetto per i successivi ampliamenti apportati.

DB 3,148 II testamento di FrancescoIl testamento di Francesco Luigi Bosco, dettato al notaio Carlo Giuseppe Montalen­ti, di cui si conserva l’originale, così inizia: «L’anno del Signore 1817, alli otto di maggio, ore cinque pomeridiane in casa del signor Biglione, abitata dall’infrascritto testatore ... Ha reso il presente suo testamento...».Ma il documento più toccante sulla morte del papà è stato scritto, nelle Memorie del- rOratorio, dallo stesso Don Bosco: «Il primo fatto della vita di cui tengo memoria è che tutti uscivano dalla camera del defunto e io voleva invece assolutamente rimanere.— Vieni, Giovanni, vieni meco, ripeteva piangendo mia madre.— Se non viene papà, non ci voglio andare, risposi.— Vieni invece: tu non hai più padre.

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DB 3,149 L ’adattamento fatto eseguire da mamma MargheritaL’abitazione appena acquistata aveva bisogno di numerosi adattamenti. Li aveva già preventivati il papà di Don Bosco, e a mamma Margherita non toccò altro che far accelerare i lavori per potervi entrare al più presto. Sorse così quella che in tutto il mondo sarà conosciuta come «la casetta dei Becchi», erroneamente ritenuta casa natale di Don Bosco.

DB 3,150 Foto della povera casetta dei BoscoMamma Margherita entra in questa casa con tre figli e con la suocera: un fardello pesante, cui si devono aggiungere i debiti contratti per l’acquisto e la sistemazione. A quei tempi 504 lire di debito sono moltissime. Ciò nonostante la giovane vedova decide di lasciare la mezzadria e di vivere con quel poco di terra ereditata dal marito.

DB 3,151 Scene di vita ruraleSe per tutti i contadini dell’epoca la vita era dura, per i Bosco più di qualche volta la povertà rasentò la miseria e la fame bussò alla porta di casa. Margherita Occhiena era però una donna forte e ricca di fantasia: non solo riuscì sempre a venirne fuori, ma si rese anche disponibile a condividere con altri il niente che aveva. Giovanni Bo­sco crebbe così alla scuola del lavoro, della povertà e della generosità.

DB 3,152 La fontana di Canton CavalloQuesta fontana, oggi scomparsa, fu testimone di quegli anni e dovette imprimersi così bene nella fantasia di Giovanni Bosco, da divenire protagonista di uno dei suoi famosi sogni.

DB 3,153 La casetta dei Becchi acquistata dai SalesianiLa «casetta dei Becchi» fu acquistata dai Salesiani direttamente dai nipoti di Don Bo­sco, i figli dei suoi due fratelli Antonio e Giuseppe. Anche la casa di Giuseppe fu ceduta alla Congregazione Salesiana.

DB 3,154 La casa fatta riparareD progetto di fondare ai Becchi una Comunità Salesiana fu realizzato nel 1922, dopo l ’acquisto di Casa Cavallo e di Casa Graglia adiacenti all’abitazione dei Bosco. In nessun altro luogo al mondo la presenza dei Salesiani testimonia meglio la grandezza del Fondatore e la missione straordinaria affidatagli dalla Provvidenza.

DB 3,155 La cucina dei BecchiChi entra nella casetta e visita le minuscole stanze non può sottrarsi alla necessità di confrontare le origini con lo sviluppo dell’opera, la modestia del primo segno con la totalità del progetto.

DB 3,156 La scala esternaQui risuonano ancora passi carichi di una forza misteriosa, quella eterna dei poveri. Ma com’è difficile immaginare che essi portino così lontano da raggiungere davvero i confini del mondo!

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DB 3,157 II soffitto della stanza di mamma MargheritaE non sono certo questi bassi soffitti a far pensare ad orizzonti sconfinati. Mamma Margherita, alla fine della sua dura giornata, non aveva molto spazio da fissare, pen­sando ai problemi della sua famiglia. Aveva solo una fede sconfinata.

DB 3,158 La stanza del sognoEppure qui, in una stanza di quattro metri per due metri e venti, il sogno ha fatto irruzione, penetrando dalla minuscola finestrella, e Giovannino Bosco ha visto e cre­duto. L’ingenuità del bambino gli ha fornito la fantasia e la forza di immaginare uno spazio sconfinato d’azione, popolato da un grande numero di giovani in attesa di un misterioso evento di salvezza. Qui, a 9 anni, ha trovato la Guida e la Maestra.

DB 3,159 II fienileCon questo segreto nel cuore, il ragazzo ha continuato a vivere semplicemente la sua esistenza di povero contadino e di orfano, arrampicandosi con la destrezza di un sal­timbanco per la scala a pioli che portava al fienile.

DB 3,160 La stallaLa stalla, così angusta da poter ospitare al massimo due mucche e due vitelli, nelle sere invernali permetteva a stento di godere il povero tepore emanato dagli animali.

DB 3,161 II pollaio sotto la scalaI proventi del pollaio, situato sotto la scala esterna, dovevano essere ben modesti.I Bosco allevavano conigli e tacchini, e Giovannino era stato ben presto incaricato di accudirli: una volta ingrassati, sarebbero stati venduti alla fiera di san Bernardo a Buttigliera.

DB 3,162 La casetta dell’infanziaEppure questa casa è ancora oggi, nella sua povertà appena ritoccata, la testimo­nianza più tangibile di quella promessa che assegna ai poveri il ruolo di protagonisti nella storia del Regno. I valori semplici e genuini che Giovanni Bosco ha assorbito qui, potenziati dalla sua fede e dalla sua disponibilità, hanno acquistato una tale for­za di espansione da coinvolgere intere generazioni di giovani e di educatori in ogni parte del mondo.

DB 3,163 II ritratto di GiuseppeGiuseppe, fratello maggiore di Don Bosco, nacque il 18 aprile 1813. Fu un uomo del­la terra e, pur non sapendo né leggere né scrivere, era dotato di tanta saggezza e di tanto buon senso da essere prescelto dai vicini come giudice e consigliere. Giuseppe e Giovanni furono una coppia ideale di fratelli: il maggiore aiutava il fra­tello sacerdote con ogni mezzo a sua disposizione e non esitava a mettere in secondo ordine le esigenze di casa sua, quando qualcuna delle ricorrenti crisi economiche met­teva in croce Don Bosco.

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DB 3,164 La casa di GiuseppeA vent’anni Giuseppe si sposò con Maria Calosso e prese a mezzadria la cascina Sus- sambrino. Giovanni e mamma Margherita andarono anche loro ad abitare con lui al Sussambrino, ritornando ai Becchi di tanto in tanto. Poi Giuseppe decise di co­struirsi una casa tutta per sé, accanto all’abitazione del fratellastro Antonio. Sarà questo per molti anni il punto di riferimento di Don Bosco e dei migliori tra i suoi giovani nei periodi di vacanza.

DB 3,165 II quadro di mamma Margherita (Rollini)Margherita Occhiena, la mamma di Don Bosco, era nata a Caprioglio il 1° aprile 1788. Sposò Francesco Bosco, già vedovo e con un figlio, nel 1812.Fu una donna forte e ricca di fede. A lei Don Bosco chiese nel 1846 di fare da mam­ma ai ragazzi dell’Oratorio. Essa avrebbe potuto godersi il meritato riposo di una vita dura e sacrificata, ma la proposta del figlio la trovò disponibile. Visse gli ultimi dieci anni della sua vita all’Oratorio, lavorando e pregando, circondata dall’affetto di tutti i ragazzi. Morì a Valdocco il 25 novembre 1856.

DB 3,166 Lettera di Don Bosco al nipote FrancescoI rapporti di Don Bosco con i suoi parenti furono caratterizzati da affetto e simpatia, ma egli non accettò mai che le vicende familiari lo distraessero dal suo lavoro.'Nella sua voluminosa corrispondenza, le lettere indirizzate ai parenti sono molto rare: questa invita il nipote Francesco a venirgli a fare visita a Torino per comunicazioni urgenti.

DB 3,167 Camera di Don Bosco nella casa di GiuseppeNella sua casa Giuseppe aveva riservato una stanza, molto modesta, al fratello sacer­dote. Le suppellettili rimandano a quella povertà che era uno dei pregi che Don Bo­sco riconosceva al suoi parenti, vantandosene persino in molte occasioni.

DB 3,168 La scrivania di Don BoscoQuesta è la rustica scrivania, ancora oggi conservata nella casa di Giuseppe, alla quale Don Bosco lavorava nel periodo estivo, anche per redigere i suoi libri, destinati all’i­struzione e alla formazione cristiana delle classi culturalmente più svantaggiate.

DB 3,169 La cappella del RosarioIn una stanza a ponente della sua nuova casa Giuseppe costruì una minuscola cap­pella. Dedicata alla Madonna del Rosario, fu luogo di preghiera anche per Domenico Savio, che vi entrò la prima volta il 2 ottobre 1854.

DB 3,170 L ’interno della Cappella del RosarioInaugurata l’8 ottobre 1848, la cappella è un prezioso documento storico. Fu il pri­mo luogo di culto mariano costruito da Don Bosco, e vide gli inizi della Congregazio­ne Salesiana: qui infatti ricevettero l’abito talare i primi due chierici, Don Michele Rua e Don Giuseppe Ronchietti.

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DB 3,171 Stanza con il frumentoIl modesto granaio della casa di Giuseppe serviva da camerata ai «birichin» di Don Bosco. Il frumento veniva ammucchiato da una parte, per terra si buttavano dei sac­coni di foglie e il dormitorio era fatto. Dopo certe scorribande per le colline, il sonno dei ragazzi non aveva bisogno di altro.

DB 3,172 II solaio della casaDon Bosco contribuì alle spese per il miglioramento abitativo del solaio, che fu alzato e fornito di abbaini per la ventilazione. Mentre agli inizi i ragazzi dormivano sul «pa- jùn», imbottito di foglie secche, in seguito trovarono più comodo servirsi del fienile, scavando nel fieno delle nicchie calde e morbide.

DB 3,173 La madia del paneEd ecco la madia che mamma Margherita usava per fare il pane. Era pane bianco e fragrante che Giovannino scambiava spesso con il pane nero dell’amico Matta. Era il pane della mamma. Al figlio chierico, gravemente ammalato, la buona mamma portò una bella pagnotta, accompagnata da una bottiglia di buon barbera. Giovanni mangiò, bevve, fece una buona dormita e si rialzò guarito.

DB 3,174 Tavolo fatto dal chierico BoscoNella casa di Giuseppe, c ’è un tavolo costruito da un falegname di tutto rispetto: è opera delle mani del chierico Bosco, che nel periodo di vacanza dal seminario non solo aiutava il fratello nei lavori dei campi ma si era anche attrezzato un piccolo la­boratorio per eseguire lavori di falegnameria e aggiustare attrezzi agricoli.

DB 3,175 La borgata dei Becchi oggiI Becchi di oggi sono abitati da sei famiglie, che continuano la tradizione agricola dei loro antenati. Le famiglie originarie traslocarono tra il 1919 e il 1920.A raccontare del vecchio Canton Cavallo rimangono solo la casetta di mamma Mar­gherita e quella di Giuseppe, mentre la casa di Antonio lasciò il posto all’attuale tem­pietto di Maria Ausiliatrice.

DB 3,176 II prato del sognoVicino alla casetta c’era un piccolo prato nel quale Giovanni e Giuseppe portavano al pascolo la mucca. Un fazzoletto di terra entrato nella storia, grazie ai famosi sogni di Don Bosco: da quello dei nove anni a tanti altri.Nel 1841 avviandosi verso casa dopo la celebrazione della sua prima Messa Don Bo­sco lo rivede e pensa con commozione al povero pastorello che era e alla sua nuova condizione di sacerdote, chiamato da Dio a sedere «tra i primari del suo popolo».

DB 3,177 II pilone del sognoA ricordare il sogno dei nove anni è stato eretto un elegante pilone, dipinto dal pitto­re Crida. L’opera fu realizzata il 2 giugno 1929, per commemorare la beatificazione di Don Bosco.

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L’affresco racconta i momenti salienti del sogno, nel quale Don Bosco si vede asse­gnare da due personaggi misteriosi il campo del suo futuro apostolato: i giovani. II bambino non capisce e si sveglia piangendo, ma da quel sogno avrà inizio la sua splen­dida avventura di educatore e di sacerdote.

DB 3,179 II prato dei giochiSulla scarpata della collina, rivolta verso Capriglio, i Bosco possedevano un secondo prato. Si tratta di quel famoso «teatro all’aperto» nel quale Giovannino si esibiva facendo il saltimbanco e improvvisandosi predicatore. Il pubblico era sempre nume­roso e, pur di godersi gli spettacoli del ragazzino-prodigio, accettava di recitare la terza parte del rosario e di ascoltare il riassunto della predica, fatta in chiesa dai parroco. Dopo, il divertimento era assicurato.

DB 3,180 II pilone dei giochiAnche qui c’è un pilone che ricorda gli avvenimenti di quei tempi. Giovannino ap­prese l’arte del saltimbanco alle fiere dei paesi vicini: sveglio e curioso, riusciva a intuire i trucchi del mestiere e poi si allenava con una grande passione, anche a ri­schio di rompersi l’osso del collo.

DB 3,181 ParticolareUna bravura eccezionale ma anche una intuizione eccezionale per un ragazzo: tra­sformare questa sua passione in un mezzo di apostolato. Era bravo come uomo di spettacolo ed era severo come organizzatore: chi bestemmiava, faceva cattivi discor­si, o non prendeva parte alle pratiche religiose non era ammesso ai divertimenti.

DB 3,182 La chiesa di Maria AusiliatriceD Santuario di Maria Ausiliatrice fu eretto ai Becchi, per volere di Don Paolo Albe­ra, secondo successore di Don Bosco, il 16 agosto 1915. Sull’Europa incombeva il dramma della guerra e fu per questo che tutti i bambini del mondo furono invitati ad inviare le loro offerte per costruire questo santuario come proposta di pace.Il progetto è dell’architetto salesiano Giulio Valotti, mentre la statua di Maria Ausi­liatrice è opera della scuola di scultura della casa Salesiana di Barcellona.

DB 3,183 Antica veduta del Canton CavalloEcco come si presentava, fino al 1920, 0 «Canton Cavallo»: le antiche case sono anco­ra circondate da alberi da frutta e vigneti. Il campanile della chiesa di Maria Ausilia­trice, da poco costruita, domina il panorama, mentre la pace e la quiete dominano sovrane.

DB 3,184 II Canton Cavallo visto dal «Bertéau»Visto dalla collina del Berteau, il Canton Cavallo ripropone tutta la suggestione del paesaggio astigiano. Dietro la casa di Giuseppe si trovava la modesta vigna che costi­tuiva il patrimonio ecclesiastico del chierico Bosco: per quei tempi, una condizione economica necessaria per poter accedere agli ordini sacri.

DB 3,178 Particolare

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La collina dei Becchi, con le costruzioni antiche e recenti, è stata chiamata «Colle Don Bosco». Una serie di circostanze fortuite ha permesso ai Salesiani di acquistare quella cascina Biglione che solo nel 1972, grazie ai documenti trovati negli archivi di Stato di Asti, si seppe essere stata la vera casa natale di Don Bosco.

DB 3,186 L'Istituto e la cascina Biglione-DamevinoL’Istituto Bernardi-Semeria è stato realizzato nel 1940 e si impose subito nella regio­ne come un prestigioso centro di formazione e di istruzione professionale. Ai Becchi, terra natale di Don Bosco, non poteva mancare una casa salesiana. Qui le due torri dell’istituto sembrano proteggere e custodire la cascina Biglione che verrà in seguito demolita per lasciare il posto al nuovo tempio.

DB 3,187 II Colle senza la cascinaDalla sua scuola sono usciti a centinaia i salesiani laici, che si sono impegnati in tutto il mondo a formare nella professione e nella vita cristiana milioni di ragazzi. Il sale­siano laico è una delle più geniali intuizioni di Don Bosco: si tratta di un religioso non sacerdote ma con una missione apostolica ben precisa da svolgere nel delicato settore del lavoro.

DB 3,188 L ’Istituto Bernardi SemeriaSorto per volontà di Don Pietro Ricaldone, quarto successore di Don Bosco, l’istituto inverò un sogno nel quale Don Bosco si vide condurre da sua madre dietro la fontana dei Becchi, in un luogo elevato. «Il posto è molto adatto — raccontava Don Bosco a Don Lemoyne — per farvi qualche opera, essendo centrale fra molte borgate, che non hanno chiesa alcuna».

DB 3,189 L ’Istituto e lo spiazzo antistanteNello spiazzo antistante l’istituto Bernardi Semeria sorgerà il Tempio dedicato a san Giovanni Bosco. Profezia e realtà si sono ancora una volta incontrate qui ai Becchi, trasformando questa terra in un segno evidente di presenza divina nella storia.

DB 3,190 L ’Istituto e il nuovo Tempio a Don BoscoA guardarlo dall’alto il «Colle Don Bosco» acquista tutto il suo significato. Lo spetta­colo ha un’unica chiave di lettura che solo i poveri possiedono: c’era un ragazzo or­fano che camminava da queste parti in cerca di lavoro e di protezione, portandosi in cuore un sogno impossibile. Lo chiamavano «il sognatore». Oggi i suoi sogni sono realtà.

DB 3,191 La mappa del Tempio e della cascina BiglionePareva un nomignolo ed invece era un annuncio: ieri come oggi, infatti, è proprio di sognatori che il mondo ha bisogno, perché sono uomini dotati di una fede a tutta prova. Dio interviene nella storia attraverso di loro: i suoi progetti hanno bisogno di una fantasia pari alla determinazione. La sovrapposizione delle due mappe ci in­dica il luogo prescelto.

DB 3,185 II colle: I Becchi, cascina Biglione-Damevino, l ’istituto Bernardi Semeria

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DB 3,192 II TempioIl tempio di Don Bosco è la traduzione architettonica di quel capovolgimento di valo­ri, annunciato nel Vangelo, per effetto del quale sono i poveri ad essere i protagonisti del Regno. Solo ad essi, infatti, appartiene quella totale disponibilità alla grazia che li rende docili strumenti e umili servitori della Parola.

DB 3,193 Interno del TempioB Tempio è costituito da due chiese sovrapposte, dominate da una cupola imponente, la cui guglia si slancia nel cielo fino a 80 metri di altezza. La chiesa superiore è domi­nata da un Cristo maestoso. La perfezione di questo modello di umanità è l’obiettivo massimo che Don Bosco ha posto al suo sistema educativo.

DB 3,194 Missione di Don Bosco tra i giovaniLa missione salesiana — raccontata negli affreschi del prof. Luigi Zonta, salesiano laico — assume il giovane come protagonista della sua crescita e della sua salvezza e punta ad una scelta chiara e consapevole della fede. Per questo l’Eucaristia e la devozione mariana ne sono i capisaldi irrinunciabili.

DB 3,195 I Becchi col TempioLa storia che si racconta qui al Colle Don Bosco è una di quelle che dimostrano come Dio scelga gli uomini più umili per realizzare progetti di bene a vantaggio di tanti altri uomini.

DB 3,196 II Tempio e l ’istituto fra i vignetiMa anche gli adulti — genitori ed educatori, prima di tutto — possono trovare qui proposte precise alle domande di sempre. La delusione e l’amarezza che spesso ac­compagnano il loro rapporto con i giovani possono trasformarsi in serene certezze quando si propone loro un modello di vita autenticamente umana e genuinamente cristiana. Don Bosco insegna.

DB 3,197 II monumento a Don Bosco e la casettaLa sua immagine collocata a fianco della povera casa della sua infanzia, rimanda alla sua unica lezione di apostolo e di testimone: non sono i grandi mezzi materiali che possono cambiare l’umanità, ma sono le forze spirituali, come l’amore per i fra­telli, che assicurano alla vita quel sapore e quel significato che permettono di definir­la come un dono di Dio.

DB 3,198 Inaugurazione del Tempio 1 ° maggio 1984Il 1° maggio 1984, nel cinquantesimo anniversario della canonizzazione, il tempio di Don Bosco è stato consacrato. Il futuro del Colle Don Bosco è tutto contenuto nelle sue premesse. Se il piccolo seme ha già dato frutti così importanti, tanti altri ne può ancora dare. Basta che tutti i «sognatori» del mondo si impegnino a raccogliere nel loro prato quanta più gente è possibile e raccontino a tutti «le grandi cose che Dio ha operato, e sono meraviglia ai nostri occhi». E poi diano inizio alla gioia.

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DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE DB/3 Da Valdocco al mondo intero

ESPANSIONE DELL’OPERA DI DON BOSCO(Prima unità non sonorizzata)

DB 3,1 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: Da Valdocco al mondo intero

R - NUOVE FONDAZIONI

DB 3,2 II primo collegio fuori Torino: Mirabello (1863)L’amore per i giovani prima o poi avrebbe spinto Don Bosco e i suoi figli fuori Torino. L’iniziativa ventilata tra il chierico salesiano Proverà di Mirabello Monferrato e il suo par­roco, si concretò al punto che il buon parroco andò di persona a invitare Don Bosco. La fa­miglia di Francesco offriva il terreno e si im­pegnava per una parte delle spese. Al resto ci penserà Don Bosco. Il vescovo di Casale, mons. Calabiana, suo amico, era entusiasta. Si cominciò a costruire nell’ottobre 1862, e nell’ottobre dell’anno seguente la casa era fi­nita, i primi Salesiani installati, i primi 90 ra­gazzi già a scuola.Quella prima opera fuori Torino era risulta­ta per i Salesiani un’impresa epica: «Allora Mirabello era per noi come l’America», scri­verà Don Francesia. Don Bosco nell’agosto era salito al santuario di Oropa per consultarsi con la Madonna, e ne era sceso — come Mosè — con... un «Regolamento per la casa». Servirà per tutte le case aperte in seguito.

Per direttore Don Bosco scelse il suo braccio destro, Don Rua. Finché Don Rua era stato al suo fianco, era stato l’austerità in persona, la «regola vivente». Ma una volta direttore a Mirabello, cambiò fino a essere irriconoscibi­le: «Don Rua a Mirabello si diporta come Don Bosco a Torino... E sempre attorniato dai gio­vani attratti dalla sua amabilità, e anche per­ché racconta cose sempre nuove... Si esprime in modo sempre faceto e ilare...».Don Rua portava con sé sei chierici (uno dei quali presto sarebbe diventato sacerdote): sette Salesiani e fra loro due futuri Rettori Maggio­ri: Don Rua e Don Albera.Mirabello non si rivelò adatta. Nel 1870 la co­munità si trasferiva a Borgo san Martino; con­servando il nome di piccolo seminario san Car­lo. Il paese rimase molto attaccato a Don Bo­sco e gli abitanti rimpiangono e sognano tut- t’oggi i Salesiani.

DB 3,3 II secondo collegio a Lanzo (1864)Don Bosco era passato da quelle parti nel 1851. Esaminato il panorama, aveva esclama­to: «Come andrebbe bene qui un Oratorio! E che bella posizione per un collegio»! Nel 1864 quei suoi desideri erano realtà.A invitarlo lassù in cima alla collina era stato un giovane sacerdote (oggi beato), il canonico Federico Albert. Egli vedeva i ragazzi troppo abbandonati per la strada e si disse che ci vo­leva Don Bosco.

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In cima alla collina c’era un ex «collegio im­periale» ed ex convento, che il municipio, gra­zie alla mediazione dell’Albert, mise a dispo­sizione di Don Bosco. Egli mandò lassù un sa­cerdote come direttore e sette chierici.Gli inizi furono avventurosi, perché le auto­rità «si erano dimenticate» di attrezzare l’e­dificio. «Non trovammo altro fuorché un lo­cale nudo, e alcune muraglie più che per metà rovinate. Non sapevamo dove pranzare poiché non vi erano né sedie né tavola. Si presero perciò due cavalletti, sopra questi si collocò una porta scardinata, e la tavola fu pronta... Le finestre non avevano vetri e nel­la prima notte ne furono chiusi i vani con qualche asciugamano o coperta fissata con dei chiodi...».Quell’anno gli interni furono 37, gli esterni «una turba». Nel ’67 gli interni erano saliti a 127 e gli esterni a duecento. Si era dovuto co­struire. Dal ’70 Don Bosco portò lassù i suoi salesiani per gli esercizi spirituali. Nel ’76 vi ospitò nientemeno che tre ministri del «gover­no anticlericale». Si inaugurava la ferrovia Torino-Ciriè-Lanzo, e quale posto più adatto per concludere con un buon pranzo l’inaugu­razione che il collegio salesiano? Don Bosco fu generoso anfitrione, e trovò anche il modo di dire qualche pensiero spirituale ai tre ministri mangiapreti.Nel ’77 e nell” 80 Don Bosco tenne a Lanzo i primi due «Capitoli Generali» della sua gio­vane Congregazione. Complessivamente si re­cò a Lanzo 25 volte, e i suoi soggiorni furono arricchiti da numerosi «sogni».Lanzo fu anche l’ultima casa visitata prima di morire: vi si recò con l’infermiere Ernia in cer­ca di salute nell’estate 1887, e vi rimase un paio di mesi, prima di tornare a Valdocco in attesa della chiamata del Signore.Ai ragazzi di Lanzo aveva dedicato — in una lettera — uno dei suoi pensieri più belli: «Lasciate che ve lo dica, e nessuno si offenda: voi siete tutti ladri; lo dico e lo ripeto, voi mi avete preso tutto... Voi mi avete rubato il cuore».

DB 3,4 Alassio

Il 20 settembre 1870 è data storica: quel gior­no l’esercito italiano occupava Roma ponen­do fine agli «Stati Pontifici»; quello stesso gior­no Don Bosco faceva versare al municipio di Alassio la somma di lire 25.000 per l’acquisto dell’ex «Convento di Santa Maria degli Angeli, che era stato fondato dai padri benedettini nel lontano 1470.Don Bosco avrebbe concluso le trattative molto prima, quando si era recato di persona ad Alassio, ma dovette attendere il compiersi di una formalità: l ’edificio doveva essere messo all’asta. E c’era un motivo per far di tutto per acquistarlo: si sapeva di un concorrente che voleva destinare il convento a usi profani, e trasformare la Chiesa in teatro... Il 12 settem­bre aveva luogo l’asta, il 20 settembre il pa­gamento, e cominciava così la storia ormai se­colare del primo liceo della congregazione salesiana.Col primo manipolo di salesiani inviati ad aprire il collegio c’era Don Giovanni Garino, appassionato di studi classici, autore fra l’al­tro di una «Grammatica greca» su cui centi­naia di migliaia di ragazzi italiani si sono ci­mentati. La casa era particolarmente cara a Don Bosco, che la visitò venti volte: nei suoi viaggi in Francia e Spagna non mancava di so­starvi, sia all’andata che al ritorno.Nel ’76 vi mandava anche le Figlie di Maria Ausiliatrice (ed era santa Mazzarello ad ac­compagnarle). Nel ’79 convocava nel collegio i suoi principali collaboratori per importanti decisioni (tra cui la divisione della congrega­zione in ispettorie). Nell’81 faceva installare nel campanile un osservatorio meteorologico, anch’esso il primo della congregazione (e Don Bosco risulta anche 0 primo santo che si sia occupato di meteorologia).D collegio di Alassio ebbe l’onore di ospitare il principe Augusto Czartoryski, servo di Dio, che vi morì serenamente nel 1893. Vanta poi una bella schiera di exallievi, tra cui Don Pie­tro Ricaldone, quarto successore di Don Bo­

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sco, e il card. Gustavo Testa. Quel famoso 20 settembre non fu dunque per Don Bosco una giornata negativa.

DB 3,5 II collegio di Varazze (1871)Ad Alassio le cose andavano troppo bene, per­ché altre località della Liguria non ne seguis­sero l’esempio chiedendo a Don Bosco nuove fondazioni. Varazze gli fece ponti d’oro, e un anno appena dopo Alassio ebbe i primi Sale­siani. Essi arrivarono verso metà di ottobre 1871, capitanati da Don Giovanni Battista Francesia (uno dei primi ragazzi di Don Bo­sco), e ci sono tuttora.Don Bosco era stato a Varazze una prima vol­ta, per combinare l’apertura del collegio, nel febbraio di quell’anno. Ai primi di dicembre tornò volentieri per vedere come procedesse­ro le cose, ma fu poi costretto a fermarsi a lun­go e contro voglia, a causa di una malattia molto seria.Arrivò già febbricitante, e i Salesiani dovet­tero trasportarlo di peso in camera. Vaneg­giava, era in un bagno di sudore, squassato dal vomito. Doveva trattarsi di un’eruzione cutanea, rivelata da «vescichette rosacee e per­lacee, grosse come un grano di miglio». Gli at­tacchi del male — forse una «febbre miliare»— si rinnovarono sei o sette volte, e solo dopo 39 giorni Don Bosco potè lasciare il letto.I Varazzesi presero da allora a voler bene a Don Bosco, ed egli li ricambiò anche con pro­digi. L’ultima sua visita a Varazze fu nel 1886, e il sindaco la annunciò con un manifesto. Ri­sultato: stazione strapiena, per la gente peri­colo di finire sotto il treno, poi una specie di assalto al collegio. Don Bosco doveva percor­rere un tratto in salita di cinque minuti «a camminare piano», e impiegò tre quarti d’o­ra. Il collegio era invaso dalla gente, perfino la sua camera.Nel pomeriggio ci vollero i marinai per con­sentire a Don Bosco di raggiungere la chiesa parrocchiale, sede della sua conferenza. Il mattino seguente lo svegliarono molto per tem­po e lo fecero partire di nascosto, unica solu­

zione per sottrarlo all’abbraccio soffocante dei suoi ammiratori.Il collegio è ben vivo ancora oggi, e conta fra i suoi tanti exallievi illustri anche l’ex Presi­dente della Repubblica italiana Sandro Perti- ni, che vi fu scolaretto delle elementari.

DB 3,6 L ’ospizio di Sampierdarena (1872) Nel 1841 Don Bosco era sacerdote novello e a Genova qualcuno si interessava già di lui: una famiglia nobile lo richiedeva come istitu­tore dei figli. Più tardi i genovesi fecero di tut­to per avere una sua opera. E ci riuscirono. Nel 1871 i membri di una Conferenza di san Vincenzo gli procurarono un posto, non pro­prio ideale, a Marassi, e Don Bosco vi mandò ugualmente Don Paolo Albera (che sarà suo secondo successore) a cominciare l’opera. All’arrivo Don Albera e i suoi trovarono una casa priva di tutto, e il custode che li accolse dicendo: «Ah, siete voi i preti dei discoli? Be­ne bene, venite pure». Ma poi arrivò tutto l’oc­corrente. Cominciarono con 40 ragazzini e tre laboratori: sarti, calzolai, falegnami.L’anno dopo, il trapianto a Sampierdarena. Lì Don Bosco aveva acquistato un antico con­vento con relativa chiesa, appartenuti ai frati teatini prima della sopressione napoleonica. La chiesa era grandiosa, però in condizioni pietose. Ma i genovesi si fecero in quattro per aiutare Don Bosco, e l’opera fiorì.Ce n’era bisogno. In quel grosso borgo appe­na fuori città si erano installati anglicani, lu­terani, calvinisti (e il borgo era definito «una piccola Ginevra»); c’erano in abbondanza in­creduli e indifferenti, e sotto sotto lavorava la massoneria. Don Albera rinnovò gli edifici, e fece spazio ai ragazzi con le scuole e l’orato­rio. Nel 1877 gli interni erano già trecento, e Don Rua scriveva in una relazione: «Io devo parlare con un poco di invidia di questo ospi­zio, perché minaccia di sopraffare l’Oratorio». Due anni prima, Don Bosco aveva lanciato l’i­niziativa dei «Figli di Maria», cioè delle voca­zioni adulte, e la collocò a Sampierdarena. «Questi giovani, adulti e di buon criterio, ren­

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deranno molto frutto», diceva, e fu buon pro­feta.Nel ’77 Don Bosco si vide proibire la stampa del «Bollettino Salesiano» a Torino, ma lo po­tè stampare a Sampierdarena, nella moderna tipografia che intanto era sorta.Si sono contati 51 passaggi di Don Bosco in Genova, per 169 giornate complessive di so­sta. Egli aveva nel collegio una cameretta ri­servata, ora trasformata in cappella, dove la­vorava, riceveva, riposava e... «sognava».

DB 3,7 Valsalice, la casa imposta dall’arcivescovo (1872)L’opera di Valsalice sorge sulla collina appe­na fuori Torino, e agli inizi procurò a Don Bo­sco solo fastidi. Ma poi lo accolse tra le sue mura per 41 lunghi anni.Don Bosco non voleva quella casa, perché de­stinata ai figli della nobiltà. Era stata fondata da alcuni ecclesiastici torinesi, che all’atto pra­tico non seppero mandarla avanti. Gli allievi erano troppo pochi, la barca faceva acqua. E l’arcivescovo di Torino volle affidarla a Don Bosco.Per Don Bosco era un dilemma insolubile: o disubbidire al suo arcivescovo, o disubbidire al suo principio di lavorare solo per la gioventù povera. Anni prima, mentre conversava con i suoi Salesiani, qualcuno aveva portato il di­scorso sull’ipotesi di aprire un collegio per i nobili, e Don Bosco disse deciso: «Questo no, non sarà mai finché vivo io... Sarebbe la no­stra rovina». Ma quando l’arcivescovo gli fe­ce capire che prendere Valsalice era quasi un ordine, Don Bosco chinò il capo.In realtà fu impossibile per i Salesiani tirare su le sorti di quella scuola: gli allievi aumen­tarono di numero, ma non abbastanza, e 0 po­vero Don Bosco doveva pagare di sua tasca il passivo del collegio dei ricchi.Comunque nel 1878 acquistò l’opera, e vi fe­ce posto anche per i suoi chierici studenti di liceo. Nell’83 e ’86 vi tenne il terzo e quarto Capitolo Generale della sua congregazione. In­fine, nel 1877 riuscì a chiudere la sezione dei

nobili (più tardi i ragazzi vi torneranno, e ci sono ancora, ma provenienti da altri ceti sociali).Nel settembre 1887 Don Bosco, trovandosi a Valsalice, uscì a dire: «D’ora in avanti staròio qui alla custodia di questa casa»; e teneva gli occhi fissi verso uno scalone che dal cortile porta al giardinetto superiore. Chi era presen­te ricordò questa frase quando Don Bosco, cin­que mesi più tardi, venne seppellito proprio in un vano di quello scalone. Don Bosco rimase a custodire Valsalice fino al 1929.La casa in seguito è stata nobilitata da ecce­zionali figure come Don Antonio Cojazzi e i servi di Dio Don Vincenzo Cimatti e Don An­drea Beltrami, come pure da exallievi che han­no lasciato il segno. Ed è ancora oggi piena di ragazzi.

DB 3,8 Nizza (Nice): la prima opera in Francia (1875)I cattolici francesi nutrivano per Don Bosco un vero amore, e quando egli potè aprire ca­se tra loro, lo assecondarono in pieno. L’ini­ziativa fu presa dai membri di una Conferen­za di san Vincenzo di Nizza, che andarono a trovarlo a Torino. Gli dissero candidamente che però non avevano una casa da mettergli a disposizione e tanto meno uomini; ma Don Bosco li rassicurò: «Nelle opere di Dio biso­gna solo riflettere se siano necessarie o no... Se sono necessarie, bisogna intraprenderle senza timore: i mezzi materiali sono un so- prappiù che Dio ha promesso. E Dio mantie­ne le sue promesse».Nel ’74 andò a Nizza per vedere che cosa i suoi amici gli avevano preparato per cominciare: era poco più di una topaia, ma egli nel ’75 mandò ugualmente i suoi Salesiani.Allora in Nizza erano vivi i fermenti degli ita­liani «separatisti» che chiedevano il ritorno del­la regione all’Italia; un’opera fondata da ita­liani poteva essere sospetta. Perciò Don Bo­sco mandò a Nizza solo salesiani che parlas­sero il francese in modo perfetto, e come di­rettore un sacerdote che, pur essendo pine-

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rolese, aveva il cognome francese: Don Ron- chail...Nel ’75 il collegio-topaia fu riempito di ragaz­zi: 14, quanti ce ne stavano. Nel ’76 Don Bo­sco riuscì a comperare una casa più adatta, che man mano andò ingrandendosi. I france­si gli fecero calorose accoglienze, e al momento del ritorno gli chiesero che spiegasse il suo me­todo educativo. Egli lo fece, poi sulla via del ritorno compilò uno scritto intitolato: «Trat­tateli! sul sistema preventivo», che da allora ispira l’attività pedagogica salesiana.Nel ’77 Don Bosco mandò a Nizza anche le Fi­glie di Maria Ausiliatrice. E ancora fece visi­ta ai suoi nell’80, ’83 e ’86, accolto sempre con affetto e venerazione.

DB 3,9 Marsiglia (1878)Nel 1877 Don Bosco diceva: «Nella sola Mar­siglia ci offrono nove case, e trenta in tutta la Francia». E la seconda fondazione francese la volle a Marsiglia, dove tra l’altro le strade era­no piene di ragazzini abbandonati, e molti di famiglie italiane emigrate.Un parroco, il can. Clément Guiol, si dette da fare per la fondazione; Don Bosco si recò nel­la città due volte, e trovata buona accoglien­za vi mandò i primi salesiani. Arrivarono il primo luglio, erano in dodici, e presto furono raggiunti da una lettera che diceva al diretto­re Don Giuseppe Bologna: «Va’ come padre dei confratelli, come rappresentante della Congregazione, e come amico caro di Don Bosco».Anche qui gli inizi furono difficili: la casa era piccolissima, e potè ricevere solo otto ragazzi che vennero sistemati nel granaio. Bisognava costruire. Don Bosco vi tornò nel gennaio 1879 e cominciò col guarire un povero ragazzino storpio. I marsigliesi gli donarono quanto ba­stava per costruire una casa capace di ospita­re duecento ragazzi.Don Bosco vi tornò ancora nell’80 e in nome di Maria Ausiliatrice compì altre guarigioni sorprendenti. Si sarebbe potuto continuare a costruire, se quell’anno stesso non si fosse sca­

tenata sulle case religiose una tremenda tem­pesta. Ossia un «decreto governativo», che emanato in marzo, prevedeva per giugno l’e­spulsione dei Gesuiti, e per poco dopo lo sgom­bero «manu militari» di tutte le scuole «non autorizzate dal governo». Tra esse quelle sa­lesiane.Don Bosco aveva scritto ai suoi di Marsiglia: «Vi importuneranno, vi molesteranno, ma sa­ranno solo disturbi»; e così avvenne. Il gior­no in cui era deciso lo sgombero dei Salesia­ni, un po’ di gentaglia si radunò attorno al col­legio per assistere alla festa. Ma le forze del­l’ordine quel giorno avevano già faticato trop­po presso le scuole di altri ordini, e rinviaro­no all’indomani. L’indomani poi, cambiaro­no idea.Nell’83 Don Bosco aprirà a Marsiglia il novi­ziato per le vocazioni francesi. Nell’84 la città conosceva il flagello del colera: gli abitanti fug­girono terrorizzati. Nel collegio salesiano ri­masero 150 ragazzi senza genitori, ma non ca­pitò nulla.L’anno dopo il colera si ripetè, e di nuovo ri­spettò il collegio. Anzi esso aprì le sue porte per ospitare tanti altri ragazzi rimasti orfani... Ed è aperto anche oggi.

DB 3,10 San Benigno (1879)L’antica abbazia benedettina era sorta nel 1001; era ricca di storia e di passati splendori (nelle sue mura aveva accolto anche il re Ar­duino in veste di penitente). Ma ora conosce­va solo l’amarezza della decadenza: era scon­sacrata, e la sua chiesa trasformata in canti­na. E parroco di San Benigno Canavese (allo­ra grosso borgo rurale) interessò il sindaco, e tutt’e due interessarono Don Bosco. Bisogna­va restituire il decoro all’abbazia, e bisogna­va fare qualcosa per i ragazzi della zona. A quelle condizioni Don Bosco accettò.Nel 1879 vi mandò i suoi novizi, che ebbero così per la prima volta nella storia salesiana una sistemazione in proprio. E accanto al no­viziato avviò i laboratori: sarti, falegnami, fabbri, legatori. Erano laboratori modestissi­

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mi, ma destinati a grande sviluppo. Accanto ai laboratori, l’oratorio festivo; più tardi le scuole serali...I primi novizi di Don Bosco arrivarono a san Benigno da Valdocco facendo la strada a pie­di. Erano 51, tra loro Don Filippo Rinaldi, fu­turo Rettor Maggiore, e Don Michele Unia, apostolo dei lebbrosi in Colombia.Nel 1881 Don Bosco si trovava tra le sue gio­vani reclute, e una notte fu visitato da un «so­gno» che risulterà fondamentale per la spiri­tualità salesiana: il «sogno dei dieci diaman­ti». Altro sogno storico fece nel 1883, sull’av­venire delle missioni .salesiane.La casa di san Benigno, sembrò ereditare da­gli antichi monaci l’impegno della preghiera e del lavoro. Dalla cronaca della casa si ap­prende che «ci si alzava alle 4,30, e nei mesi invernali la debolezza umana tollerava che ci fosse un ritardo di mezz’ora». Le scuole pro­fessionali hanno preparato migliaia di giova­ni alla professione, rendendoli «qualificati, la­boriosi e onesti». Anche oggi, mentre la zona del Canavese accentua il suo sviluppo indu­striale, le scuole professionali salesiane di san Benigno proseguono nel loro impegno cristia­no e sociale.

DB 3,11 In Spagna, a Utrera e a Barcellona Sarrià (1881)«Iddio benedica questa impiantagione in Spa­gna, e i nostri posteri ne godranno i frutti!». Questa frase solenne e impreziosita da un neo­logismo, era in una lettera scritta nel 1880 dal­l’arcivescovo di Siviglia a Don Bosco, per rin­graziarlo perché ormai l’intesa era raggiunta e presto i primi salesiani si sarebbero recati a Utrera sul Mediterraneo.Arrivarono il 16.2.1881, dopo un burrascoso viaggio per mare. Li capitanava Don Giovan­ni Branda, che prima di accettare la propo­sta di partire fattagli a bruciapelo da Don Bo­sco, volle pensarci un poco. Era sacerdote a Valdocco, e chiese di consultarsi prima con Maria Ausiliatrice per mezzo di una novena. Ci pensò tutta la notte, e l’indomani si pre­

sentò a Don Bosco per comunicargli che la sua novena era già finita e che sarebbe partito.I Salesiani furono accolti con molta simpatia, soprattutto dai ragazzi, e da allora la loro ope­ra si è ben radicata. Ha subito un duro colpo nel periodo della guerra civile (1936-1939), pa­gando durante la persecuzione religiosa il tri­buto di sangue di 96 vittime.Nel 1882 una nobildonna di Barcellona, don­na Dorotea, stava pensando ad un opera per i ragazzi della strada, quando il Bollettino Sa­lesiano venne a parlare dell’opera Salesiana di Utrera.Subito ella scrisse a Utrera e a Marsiglia chie­dendo informazioni e infine scrisse al Papa e a Don Bosco.La nobildonna acquistò una tenuta in perife­ria a Sarrià, e il 15.2.1884 i Salesiani vi apri­vano la loro opera. Gli inizi furono al solito modestissimi; ma donna Dorotea si mostrò an­che una mamma, non solo per i ragazzi ra­strellati dalle strade, ma anche per i Salesia­ni. E l’opera presto si potenziò.La soddisfazione di donna Dorotea era gran­de, e raggiunse il culmine quando Don Bosco nel 1886 andò a Barcellona e si fermò quasi un mese (di questa generosa cooperatrice Sa­lesiana è stata introdotta la causa di canoniz­zazione).Ora le opere Salesiane in Barcellona hanno raggiunto un numero eccezionale: nel 1982, tra città e provincia, si contano 21 comunità salesiane e una quindicina delle Figlie di Ma­ria Ausiliatrice.

DB 3,12 Roma, Sacro CuoreI Salesiani a Roma piantarono le tende molto tardi, dieci anni dopo di essere arrivati in America. Ma la loro prima opera fu signifi­cativa: il tempio al Sacro Cuore, affidato a Don Bosco dal Papa in persona (Leone X lll). L’idea del tempio era stata lanciata già nel 1870, ma la prima pietra fu posta solo nel 1879. E poi l’iniziativa, partita tanto dall’al­to e raccomandata da nomi di grande risonan­za, dopo i primi passi si era arenata. Manca­

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va soltanto ... il denaro. Leone XIII era sco­raggiato, ma poi qualcuno gli suggerì di affi­dare l’impresa a Don Bosco.Don Bosco nell’aprile 1880 era a Roma, preoc­cupato fra l’altro di cinque sue opere in fase di costruzione o ampliamento: a Torino (il san Giovannino), Vallecrosia, La Spezia, Nizza e Marsiglia. Ma il Papa lo pregò di accettare quest’altro incarico, e lui rispose in tutta sem­plicità: «Il desiderio del Papa è per me un co­mando». Poi aggiunse che accanto al tempio avrebbe costruito anche un collegio e un ora­torio per i ragazzi.A dire quanto fece e quanto soffrì per riuscir a costruire quella chiesa, non basterebbe un libro. Una lotteria con 8.300 premi (tra cui quelli offerti dal Papa e dal re) dette una ma­no, ma solo Don Rua parecchio tempo dopo la morte di Don Bosco riuscì a pagare tutte le spese. Intanto al fianco del tempio sorgeva anche l’opera salesiana, con internato per 500 ragazzi, esternato, e l’immancabile oratorio (posa della prima pietra nel 1885).La consacrazione del tempio, solennissima, av­venne il 12.5.1887, e i giornali sottolinearono l’avvenimento. Don Bosco era presente, nel suo ultimo viaggio a Roma. Sentendo che le forze ormai lo abbandonavano, aveva fatto an­ticipare di un anno quella consacrazione. Quando potè celebrare la prima Messa nel tempio, incontrò una grave difficoltà: le lacri­me. Fu una Messa lunghissima, fatta più di lacrime che di parole.

S - MISSIONI E MISSIONARI

DB 3,13 I primi missionari di Don Bosco L’ideale e l’ardore missionario non spuntò da una decisione improvvisa, ma il clima di fer­vore che si viveva all’oratorio non poteva che sfociare nell’attuazione dell’opera missionaria. Le missioni erano state l’anelito di Don Bosco fin da giovane e poi da prete, ma in successivi sogni fu spinto all’azione missionaria diretta,

e l’idea maturò sempre più chiara e impel­lente.Don Bosco preparò a lungo i giovani dell’O- ratorio, studiò la geografia dei popoli e nei so­gni preparò il progetto. Quando gli parve che i popoli del sogno che invocavano l’aiuto fos­sero gli abitanti della Patagonia, il suo pro­posito prese attuazione.Scelse tra i suoi figli più validi i primi missio­nari e preparò la spedizione sostenendone le spese con l’aiuto di benefattori.L’11 novembre 1875 partivano da Torino Val- docco i primi missionari, con destinazione PArgentina, allora poco popolata, in parte mi­steriosa, con vasti territori occupati dagli indios.Alla festa di addio, Don Bosco volle la presen­za dei direttori delle prime case, per incorag­giarli a suscitare tra i loro allievi nuove voca­zioni missionarie.La foto di gruppo eseguita per l’occasione pre­senta i primi dieci missionari (sei sacerdoti e quattro Salesiani laici): Don Bosco nell’atto simbolico di consegnare al capo spedizione Don Giovanni Cagliero le Costituzioni Salesia­ne, e al centro il Console argentino comm. Giovanni Battista Gazzolo, che tanto si era prodigato per la riuscita dell’impresa.Nel dare l ’addio ai suoi missionari Don Bosco disse dal pulpito del suo santuario: «Anche noi mettiamo il nostro sassolino nel grande edifi­cio della Chiesa... Chissà che non sia questa partenza, e questo poco, come un seme da cui abbia a sorgere una grande pianta». E fu pro­feta (MB 2, 301).L’effetto psicologico di quell’iniziativa fu enor­me: l’opera di Don Bosco, fino allora «piemon­tese», di colpo divenne «mondiale»; la fama del Santo infatti si dilatò, e — quel che per lui più contava — gli attirò una pioggia di provviden­ziali vocazioni.

DB 3,14 I «Ricordi» di Don Bosco ai suoi missionariIl prefetto di Propaganda Fide, card. Fran­chi, con apposito decreto aveva già dichiara­

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to «missionari apostolici» tutti i sacerdoti del­la spedizione; ma Don Bosco aveva anche chie­sto per loro un’udienza speciale dal Papa. Pio IX li ricevette il 1° novembre. Entrando nella sala con ineffabile bontà esclamò: «Dove sono i miei piccoli missionari», e li intrattenne a lun­go. I missionari da quell’udienza uscirono co­me elettrizzati, disposti ad andare anche al martirio (MB 11, 377).Don Bosco li accompagnò fino al porto di Ge­nova, e prima che si imbarcassero consegnò a ciascuno un biglietto su cui aveva tracciato i suoi «ricordi». Il primo diceva: «Cercate ani­me, ma non denaro, né onori, né dignità». Il quinto: «Prendete cura speciale degli amma­lati, dei fanciulli, dei vecchi e dei poveri». Il tredicesimo: «Fra di voi amatevi, consigliate­vi, correggetevi. Il bene di uno sia il bene di tutti; le pene e le sofferenze di uno siano con­siderate come pene e sofferenze di tutti». Il ventesimo e ultimo ricordo diceva: «Nelle fa­tiche e nei patimenti non dimenticate che ab­biamo un grande premio preparato in cielo». Con quel viatico spirituale i piccoli missiona­ri di Don Bosco si sentivano di andare anche in capo al mondo. E ci andarono.

DB 3,15 La Boca: la prima «missione» fra gli emigratiGiunti in Argentina, i missionari di Don Bo­sco si imbattono in una realtà inattesa in tan­ta crudezza: gli emigrati italiani. Trentamila a Buenos Aires, trecentomila in tutto il pae­se. In larga maggioranza sono abbandonati a se stessi, vittime della povertà, dell’ignoran­za, dell’irreligione. Disastrosa risulta soprat­tutto la situazione dei giovani: invitati dai mis­sionari a fare il segno della croce, non ci rie­scono e non sanno; interrogati se vanno a Mes­sa nei giorni festivi, si scusano dicendo di igno­rare quando sia domenica e quando no. «Cercate questi fratelli che la miseria e la sven­tura portò in terra straniera», aveva racco­mandato Don Bosco. I «selvaggi» possono aspettare; i missionari per prima cosa si de­dicano anima e corpo agli emigrati.

In Buenos Aires aprono una casa presso la Chiesa Mater Misericordiae, poi assumono la parrocchia nel quartiere La Boca: un covo di anarchia e di sedizione. Dapprima il vescovo aveva proibito a Don Cagliero di avventurar­si per le vie di quel quartiere, perché perico­lose per un prete. Ma visto che Don Cagliero fremeva, allora gli affidò la parrocchia. Una manciata di anni più tardi, ecco che per quel­le strade sfilavano — come mostra la fotogra­fia — le devote processioni.

DB 3,16 I missionari salesiani in Uruguay (Villa Colòn)«Avevamo appena piantato le tende in Argen­tina, e già arrivava l’invito a piantarle anche in Uruguay». D paese — spiegava il vescovo— aveva bisogno di loro. La capitale Monte­video contava centomila abitanti e non aveva neppure un collegio cristiano; in tutto l’Uru­guay — vasto quanto l’italia — non c’era un solo seminario...Don Bosco nel 1876 manda in America una se­conda spedizione di missionari, e buona par­te di essi sono per l’Uruguay. Capeggiati da Don Luigi Lasagna (futuro vescovo), essi apro­no un collegio a Villa Colón, nella periferia della capitale (anche in America la periferia è «zona salesiana» per eccellenza).Don Lasagna rivela presto la sua straordina­ria versatilità. Da buon piemontese pianta le viti, e contro i pregiudizi dei contadini del po­sto le fa crescere e prosperare. Realizza un os­servatorio meteorologico che è il primo da quelle parti, e per anni e anni rende un pre­zioso servizio alla navigazione. Realizza nel collegio una favolosa raccolta di coleotteri e un’altra di fossili. Fonda una tipografia e lan­cia il giornalismo cattolico...Nel 1885 il governo anticlericale decide l’espul­sione dal paese dei religiosi, e li manda via davvero, tutti, meno quel pugno di figli di Don Bosco. E sono là ancora adesso: in duecento, al lavoro per la gioventù.(La diapositiva presenta l’opera salesiana di Villa Colón agli inizi del secolo).

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DB 3,17 I missionari incontrano gli Indios a ViedmaIn Argentina i missionari di Don Bosco lavo­ravano tra gli emigrati, ma avevano gli occhi e il cuore rivolti agli indios della lontana Pa­tagonia della gelida Terra del Fuoco. Nel 1878 in due montarono sopra un vapore che si av­venturava verso i mari del sud, ma la spedi­zione incontrò un tempo così avverso che si ri­tennero fortunati di essere potuti tornare in­dietro vivi.Nel 1880 il generale argentino (più tardi pre­sidente della Repubblica) Julio Roca intrapre­se una spedizione militare allo scopo — come si disse — di «pacificare il deserto», in pratica di sconfiggere e sottomettere gli indios. Al se­guito delle truppe, ma con ben altre intenzio­ni, si misero anche due salesiani come cappel­lani. Gli indios furono presto sconfitti, e per sempre. Ma i missionari individuarono i po­sti in cui aprire le loro missioni.Scelsero Viedma e Patagones, sulla foce del rio Negro, alle porte della Patagonia, e vi torna­rono per lavorare tra gli indios. Almeno da loro gli indios non avevano nulla da temere; si avvicinarono, fraternizzarono. Nel 1883 si contavano già cinquemila battesimi. All’inizio del secolo, a Viedma l’opera salesiana mostra­va già le solide strutture che appaiono nella diapositiva.Era cominciata la vera avventura missionaria dei figli di Don Bosco.

DB 3,18 Un cacico, un cardinale e un venerabile: mons. Còglierò e NamuncuràLa foto, veramente storica, presenta tre per­sonaggi famosi in Argentina sulla fine del se­colo scorso. Il primo da sinistra è Manuel Na­muncurà, cacico degli indios Araucani, gli sconfitti nella campagna di «pacificazione del deserto». In cambio della resa, ottenne dal go­verno argentino il grado di generale.Al centro, l’allora mons. Giovanni Cagliero, capo della prima spedizione missionaria sale­siana e futuro cardinale. Il generale Julio Ro­

ca ebbe a definirlo «civilizador del Sur y civi­lizador de la Patagonia».A destra, Ceferìno Namuncurà (1886-1905), lo sfortunato figlio del cacico araucano. Questo ragazzino, raccolto nei collegi salesiani, vole­va diventare sacerdote e missionario per de­dicarsi al bene del suo popolo. Una morte pre­coce troncò il suo sogno, ma la Chiesa lo ha dichiarato venerabile, e in Argentina il suo ri­cordo oggi è ben vivo e il suo messaggio più attuale che mai.

DB 3,19 Mons. Giuseppe Fognano,«el capitán bueno»Da ragazzo fu volontario garibaldino e si di­stinse per coraggio. Poi prete di Don Bosco e laureato all’Università di Torino, sembrava destinato alla carriera di insegnante in pan­tofole. Ma mentre Don Bosco preparava la prima spedizione missionaria, tra i dieci pre­scelti si fece un vuoto e Don Fagnano fu ben contento di colmarlo.In Argentina, mentre Don Cagliero apriva la prima opera Salesiana a Buenos Aires, egli fu mandato ad aprire la seconda nell’interno, a san Nicolás de los Arroyos: in pochi mesi tra­sformò una casa disadatta in un collegio per 144 interni e una frotta di esterni.Aperte le prime vere missioni fra gli indios, a lui fu affidata quella di Patagones. Vi trovò un locale adattabile a cappella e un granaio, vi costruì una chiesa decorosa e due collegi, mise su la banda e l’osservatorio meteorolo­gico. Intanto la Santa Sede cercava qualcuno da nominare Prefetto Apostolico della Pata­gonia meridionale, la diocesi più vicina al Po­lo Sud, e Don Bosco indicò lui.Subito mons. Fagnano partì per Punta Are­nas in territorio cileno, e a stento riuscì a far­si accettare dal governatore civile. Il suo greg­ge: una popolazione di avventurieri, di cerca­tori d’oro, di cacciatori di foche, di galeotti e relativi sbirri. Più gli indios sparsi ai quat­tro venti. Anche lì costruì la Chiesa, mise su l’osservatorio metereologico e la banda musi­cale.

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Non contento, chiese e ottenne in prestito dal governo per vent’anni l’isola Dawson; vi col­locò i missionari, costruì un’azienda dotandola di 500 capi di bestiame, vi aprì — portento di modernità — una segheria a vapore. Tutto per le tribù degli indios.Per loro costruì anche, sull’isola Grande nel­la Terra del Fuoco, la missione detta della Candelara, e per i rifornimenti acquistò una goletta di 150 tonnellate. Un furioso incendio distrusse la missione, e lui la ricostruì più bel­la. Gli indios, vedendolo arrivare con la go­letta, lo chiamavano «capitano», ma per distin­guerlo dagli altri capitani che solo sfruttava­no e magari uccidevano, lo chiamavano «el ca­pitán bueno».C’è un lago molto grande nella Terra del Fuo­co, lungo cento chilometri, dalle acque color perla che il vento increspa senza sosta. I suoi scopritori, perché nessuno mai più dimentichi il «capitan bueno», lo hanno chiamato (e si chiama ancora) lago Fagnano.

DB 3,20 I «selvaggi» sognati da Don Bosco (Onas e Fueghini)Don Bosco non vide di persona gli indios, a cui avrebbe mandato i suoi missionari, ma li vide «in sogno». Nei suoi famosi ed enigmati­ci sogni. «Mi pareva di trovarmi in una regio­ne sconosciuta. Vidi una immensa pianura e, in essa, turbe di nomini che la percorrevano. Erano quasi nudi, di un’altezza e statura straordinaria, di un aspetto feroce, coi capel­li ispidi e lunghi, di colore abbronzato e nero­gnolo, e solo vestiti di larghi mantelli di pelli di animali, che loro scendevano dalle spalle. Avevano per armi una specie di lunga lancia e la fionda (il lazo).Alcuni correvano dando la caccia alle fiere; al­tri si combattevano tra loro, altri venivano alle mani con soldati vestiti all’europea. Ad un tratto, ecco spuntare misionan di vari Ordi­ni, per predicare la religione di Cristo, ma gli indigeni si avventavano contro con furore dia­bolico... Intanto vidi in lontananza altri mis­sionari che si avvicinavano con volto ilare, pre­

ceduti da una schiera di giovanetti. Erano i miei missionari. I selvaggi abbassavano le ar­mi e deponevano la ferocia».Erano africani? asiatici? Conversando col con­sole argentino Gazzolo, si persuase che dovre- vano essere gli indios, in fondo all’America Latina: i patagoni, cioè gli abitanti della Pa­tagonia.Quando i missionari Salesiani si spinsero nel­l’ultimo lembo del continente Sudamericano, incontrarono nella Patagonia delle tribù indi­gene che coprrispondevano nel colore, nella corporatura e nell’aspetto a quelle sognate e descritte da Don Bosco.Erano gli indigeni Tehuelci, che si spostava­no e cacciavano a cavallo; gli Alacaluffi, che vivevano quasi sempre su leggere canoe (bar­che), fatte di corteccia d’albero e vivevano di pesca, negli intricati canali dello Stretto di Ma­gellano. Le tribù degli Onas abitavano nella grande Isola della Terra del Fuoco, ed erano anche chiamati Fueghini.Oggi gli abitanti di quelle terre, sono tutti ci­vilizzati e cristianizzati. La diapositiva è una preziosa testimonianza di un tempo e di un mondo scomparsi.

DB 3,21 / missionari dalla parte degli indios (Santa Messa fra gli Onas)Altro documento storico di un mondo scom­parso per sempre: la diapositiva mostra un missionario salesiano mentre celebra la Mes­sa per un gruppo di indios Ona. Decine e de­cine di altri missionari si presero cura delle popolazioni primitive della Patagonia e Ter­ra del Fuoco. Hanno scritto pagine di sacrifi­ci e di eroismo. Sotto un punto di vista pura­mente umano, il loro lavoro sembra non sia approdato a nulla: quei popoli primitivi sono oggi quasi del tutto scomparsi. Nell’incontro-scontro con i «bianchi» sono stati sconfitti, distrutti dal contagio di malattie da cui non sapevano difendersi e che per loro ri­sultavano letali. I bianchi hanno trasmesso an­che i loro «vizi», compreso l’alcoolismo che li ha abbrutiti e li hanno rilegati in aree imper­

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vie, dove la vita era quasi impossibile. E tan­te volte si sono abbandonati a una vera e pro­pria caccia all’uomo, al fine esplicito di di­struggere gli indios.Purtroppo ci sono riusciti. I missionari col lo­ro prodigarsi hanno potuto solo rallentare lo sterminio dei primi legittimi padroni di quel­le terre. Ora rimangono soltanto più scampo- li di tribù araucane, rintanati sulle Ande.E quasi a riprova di un compito accettato fi­no in fondo, di una dedizione che sfida la sto­ria rasentando l’assurdo, ancora oggi tra quei pochi superstiti sono presenti e solidali i mis­sionari di Don Bosco.

DB 3,22 Mons. Giacomo Costamagna A mons. Giacomo Costamagna (a destra nel­la diapositiva), altro intrepido missionario, toccò il compito di trapiantare l’opera salesia­na fuori del «Cono sud» per il resto dell’Ame- rica Latina.Ragazzino nell’Oratorio di Don Bosco, aveva una voce incantevole e per lui Don Cagliero compose la romanza «Lo spazzacamino». Fu a sua volta compositore. Divenuto sacerdote, per incarico di Don Bosco si occupò del na­scente Istituto delle FMA, e nel 1877 fu mes­so a capo della terza spedizione missionaria. A Buenos Aires, irrequieto, sovente saltava sul cavallo e si spingeva lontano in cerca degli in­dios. Nel 1879 fu col gen. Roca nella spedizio­ne contro gli indios, ed ebbe il suo da fare in loro difesa.Nel 1880 Don Bosco lo nominava superiore dei Salesiani d’America; allora egli dette un po­tente impulso alle missioni. Visitò Cile, Perù, Ecuador, Bolivia, fondando opere o preparan­do il terreno. Nel 1894 la Santa Sede lo nomi­nò Vicario Apostolico nell’Oriente Ecuatoria- no, terra degli indios Shuar. Difficoltà sorte fra governo e Santa Sede gli impedirono a lun­go di raggiungere il suo vicariato, ma gli con­sentirono di continuare a viaggiare, fino a E1 Salvador, fino in California... E di fondare nuove opere.Ricordava sovente e con commozione il suo di­

stacco dalla mamma, prima di partire missio­nario. La mamma non voleva perderlo. Don Costamagna le aveva detto semplicemente: «Mamma, e se ci fosse in America anche una sola anima che mi aspoetta per salvarsi?». La mamma aveva chinato il capo, persuasa.

DB 3,23 Le suore missionarie FMAAccanto ai missionari Salesiani, fin quasi dal­l’inizio, troviamo le Figlie di Maria Ausilia- trice. Non meno spericolate, come mostra il disegno (le suore stanno attraversando un fiu­me con i «ponti» di allora).La prima spedizione missionaria di Don Bo­sco le aveva fatte sognare e Madre Mazzarel-10 già nel ’75 scriveva da Mornese a Don Ca­gliero in Argentina: «Prepari una casa ben grande per noi: le nostre giovani vogliono tutte farsi missionarie». Don Bosco organizzò la loro prima spedizione nel 1887, e mandò le sue suo­re in Uruguay. Poi in Argentina, e nel 1880 esse erano al fianco dei Salesiani nelle posta­zioni avanzate tra gli indios. Più tardi, nella Terra del Fuoco.I giornali di Buenos Aires, annunciando la loro partenza per quei siti inospitali, scrivevano: «Sarà la prima volta da che il mondo esiste, che si vedranno suore in quelle remote terre australi».Era l’inizio di una collaborazione missionaria tra Salesiani e FMA, che si prolungherà nel tempo e si farà sempre più intensa in tutti i continenti. A dimostrare la complementarità delle due congregazioni, e del loro progetto apostolico.

DB 3,24 In Ecuador è fiorito un palo (Oratorio a Quito)11 28 gennaio 1888 giungevano in Ecuador i primi missionari Salesiani mandati da Don Bo­sco in quel lontano paese. Tre giorni dopo li raggiungeva la notizia sconvolgente: Don Bo­sco era morto. L’opera Salesiana in Ecuador era dunque l’ultima aperta dal santo fonda­tore.E non ha deluso le sue attese. Dapprima i Sa­

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lesiani si impegnarono nei centri abitati dai «bianchi», e i ragazzi — come mostra la dia­positiva — non mancavano di certo. Ma quat­tro anni più tardi ricevevano la responsabili­tà del Vicariato di Méndez costituito «per lo­ro» in piena selva, tra gli indios Shuar. E a questa missione si sono dedicati in un lavoro improbo, e per tanto tempo sterile. In una re­lazione al Papa dovettero ammettere: «Santi­tà, innaffiamo un palo secco». Ma la tenacia alla lunga ha vinto.Quei missionari nella selva hanno tracciato strade, fondato scuole elementari, agrarie e per maestri, aperto ospedali, pubblicato il vo­cabolario e la grammatica della lingua Shuar, impiantato la linea telegrafica, la stazione ra­dio, il primo giornale in lingua indigena, aper­to le prime piste di atterraggio. Soprattutto hanno difeso gli indigeni e i loro territori dal­la cupidigia dei coloni, e li hanno organizzati in un’efficiente federazione. D Vicariato di Méndez misura 35.000 kmq e conta 46.000 abitanti, di cui 39.000 sono cattolici.Il palo secco è in piena fioritura.

T - PERSONAGGI STORICI

DB 3,25 San Giuseppe Cafasso (1811-1860) San Giuseppe Cafasso era compaesano di Don Bosco e di poco più anziano di lui (1811-1860). Giovanni lo aveva incontrato già chierico sul­la porta della chiesa di Morialdo. Don Cafas­so fu suo maestro, consigliere, amico e bene­fattore. Vice rettore del Convitto Ecclesiasti­co in Torino vi accolse Don Bosco giovane sa­cerdote nel 1841, e da quell’anno fino alla morte fu suo direttore spirituale. Maestro di teologia morale, si adoperava pure per l’assi­stenza ai carcerati e dei condannati a morte, per cui fu detto «il prete della forca». Fu lui a portare per le prime volte Don Bosco nelle celle e negli androni delle carceri dove erano rinchiusi anche ragazzi. Don Bosco tornò al­

tre volte, con Don Cafasso e anche da solo, per parlare con quei ragazzi, alcuni di appena 12 anni. Venne così a conoscere le loro povere sto­rie, il loro avvilimento. Uscendo, prese la de­cisione che l’avrebbe guidato per tutta la vi­ta: «Voglio essere il salvatore di questa gioven­tù». Scrisse egli stesso: «Comunicai questo pensiero a Don Cafasso, e con il suo consiglio cercai il modo di tradurlo in realtà».

DB 3,26 E teologo Giovanni Borei (1801-1873) Nell’estate 1844 Don Bosco aveva trascorso or­mai tre anni nel Convitto Ecclesiastico, e ave­va dato inizio al suo «Oratorio». In quell’estate Don Cafasso scese nella periferia di Valdocco a incontrare il teologo Borei, direttore spiri­tuale del Rifùgio, opera benefica fondata dal­la marchesa Barolo. Gli disse: «Vi mando co­me aiutante un bravo prete. Si chiama Don Bosco, e al Convitto ha iniziato una specie di Oratorio. Procurategli una stanza e lasciate­lo libero di lavorare con i suoi ragazzi. Se vi preoccupa lo stipendio, lo pago io». Tornato a casa disse semplicemente a Don Bosco: «Fa­te fagotto e andate al Rifugio. Lavorerete ac­canto al teologo Borei».Don Giovanni Battista Borei era un prete sem­plice e popolare, che la gente chiamava «il pa­dre piccolo». Lavoratore instancabile. Da quel momento prese sotto la sua protezione il gio­vane Don Bosco con 0 suo Oratorio, e lo aiu­tò con un’amicizia affettuosa, spesso con il de­naro della sua borsa. Le prediche del «padre piccolo» erano graditissime ai ragazzi, perché snocciolate nel dialetto fiorito delle periferie e condite con proverbi, frizzi, frasi argute.

DB 3,27 La marchesa Giulia Barolo (1785-1864)La marchesa Giulia Francesca di Colbert ave­va in quel tempo un posto di primissimo pia­no nella società torinese. Fuggita dalla Fran­cia durante la rivoluzione, aveva sposato il marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo, che nel 1825 era stato sindaco di Torino. Il marchese era morto nel 1838, lasciandola sen­

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za figli e con un immenso patrimonio. La mar­chesa, 53 anni, indossò sotto le vesti raffinate il cilicio della penitenza, e si dedicò compieta- mente ai poveri. Creò orfanotrofi e «famiglie» per ragazze operaie. A Valdocco, accanto al­la Piccola Casa del Cottolengo, costruì il Ri­fugio, per donne di strada che volevano rifar­si una vita. Accanto, aprì la casa delle Mad- dalenine, per ragazze pericolanti che aveva­no meno di 14 anni. Nel 1844, quando Don Bo­sco fu da lei ospitato al Rifugio, ella toccava ormai i 60 anni, e aveva iniziato una terza co­struzione, l ’Ospedaletto di Santa Filomena, per bambine ammalate e storpie. Assegnò a Don Bosco lo stipendio di 600 lire annue come fu­turo direttore spirituale delPOspedaletto, e gli permise di radunare i suoi ragazzi nei locali non ancora terminati dello stesso fabbricato. Probabilmente Don Bosco pensò di indurre la marchesa a destinare l’edificio in costruzione ai giovani abbandonati, e la marchesa sperò che Don Bosco, lasciati i ragazzi, si dedicasse alle sue opere a tempo pieno. Fu un’illusione reciproca, che produsse tra loro una certa freddezza, ma non rottura.

DB 3,28 Mons. Luigi Fransoni (vescovo di Tonno dal 1832 al 1862)Monsignor Luigi Fransoni, nominato arcive­scovo di Torino nel 1832, ordinò sacerdote Don Bosco il 5 giugno 1841. Vide nascere l’o­ratorio, e lo appoggiò sempre, chiamandolo «la parrocchia dei ragazzi che non hanno par­rocchia».Il 21 giugno del 1847 scese a Valdocco, entrò nella cappella Pinardi, e diede la cresima ai ragazzi. «Fu in quell’occasione — ricorda Don Bosco — che l’Arcivescovo, nell’atto che gli posero la mitria sul capo, non riflettendo che non era in duomo, alzò in fretta il capo, e con quella urtò nel soffitto della cappellina. Ri­demmo tutti, lui e tutti i presenti». Mons. Fransoni mormorò: «Bisogna usare rispetto ai ragazzi di Don Bosco, e predicare loro a capo scoperto».In quell’anno l’arcivescovo era già in grave ur­

to con i liberali, che vedevano in lui un osta­colo all’affermazione dei loro programmi po­litici. Nel 1848 dovette lasciare Torino e re­carsi temporaneamente in Svizzera.Nel 1850, per la sua decisa opposizione alle leg­gi anticlericali proposte dal ministro Siccar- di, fu dapprima arrestato, poi espulso dal re­gno del Piemonte. Morì esule a Lione nel 1862.

DB 3,29 Papa Pio IX (Giovanni Mastai-Ferretti: papa dal 1846-1878) Nel giugno del 1846 fu eletto papa il cardina­le Mastai-Ferretti, vescovo giovane e «spregiu­dicato» di Imola. Prese il nome di Pio IX. Non era un politico, ma aveva un profondo senso di umanità: per questo mise in atto al­cune riforme attese negli Stati Pontifici, che vennero scambiate per «riforme liberali». In quegli anni la corrente liberale chiamata «neo- guelfismo», il cui teorico era Vincenzo Giober­ti, profetizzava l’unità d’Italia sotto la guida di un papa liberale, e Pio IX parve proprioil papa profetizzato da Gioberti. Fu un equi­voco che accelerò la prima guerra d’indipen­denza contro l’Austria, e che riservò innume­revoli guai sopra i cattolici, giudicati «nemici della patria» da quando, il 29 aprile 1848, Pio IX dichiarò publicamente di non poter appog­giare per nessun motivo il movimento liberale. Nei riguardi di Don Bosco, Pio IX fu un vero e paterno amico. Lo incoraggiò nella sua ope­ra, lo consigliò nella fondazione della Congre­gazione Salesiana, gli domandò addirittura consiglio in momenti delicatissimi (quando era incerto se rimanere nella Roma conquistata dai Piemontesi o lasciare la città). L’atto di più grande benevolenza lo compì il 3 aprile 1874. In quel giorno si erano discusse le Regole del­la Congregazione Salesiana. Informato che mancava un voto per l’approvazione definiti­va disse: «Quel voto lo metto io».

DB 3,30 Re Carlo Alberto (1789-1849)Il re Carlo Alberto di Savoia regnò in Piemon­te dal 1831 al 1849.

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Il 4 marzo 1848 proclamò Io «Statuto» fra l’e­sultanza del popolo.Sotto il suo regno sorsero i primi moti rivolu­zionari che scatenarono la guerra del Risor­gimento. Il 23 marzo 1849 abdica in favore di suo figlio Vittorio Emanuele II a Novara sul campo di battaglia. Andò in esilio in Porto­gallo, dove morì poco dopo. Carlo Alberto amico del Cottolengo nutriva ammirazione e simpatia per Don Bosco. Il 30 marzo 1846 quando fu per la seconda volta citato davanti al Sindaco Michele Cavour, Don Bosco temette che la sua opera venisse condannata e proibi­ta, ma 0 re lo salvò.«È mia volontà — ordinò con un decreto fir­mato di sua mano — che queste riunioni sia­no aiutate e protette».

DB 3,31 Re Vittorio Emanuele II (1849-1878)Vittorio Emanuele n , figlio di Carlo Alberto, divenne re giovanissimo e all’improvviso nel­la notte tra il 23 e il 24 marzo 1849 dopo la gravissima sconfitta di Novara e l’abdicazio­ne di suo padre. Nominò suo primo ministro Massimo D’Azeglio.Stimò assai Don Bosco, mandò aiuti per i suoi ragazzi poveri. Ma il fatto di aver avallato con la sua firma la legge che sopprimeva gli ordi­ni religiosi nel 1855, rese assai tese le loro re­lazioni. Don Bosco nell’inverno 1854 gli scrisse due lettere profetiche, annunciando «grandi funerali a Corte», e suggerendogli «che pen­sasse a regolarsi in modo da schivare i minac­ciati castighi, mentre lo pregava di impedire a qualunque costo quella legge».Dal 5 gennaio al 17 maggio 1855 morirono la madre, la sposa, il fratello e 0 figlio minore del re. Don Francesia (uno dei più antichi Sa­lesiani) affermava che Vittorio Emanuele era sceso due volte a Valdocco per incontrare Don Bosco, e che era furioso contro di lui, ma Don Bosco era assente.

DB 3,32 Camillo Cavour (1810-1861)Camillo Benso conte di Cavour divenne pri­mo ministro nell’ottobre 1852, al posto di Mas­

simo D’Azeglio.Inquieto e ricchissimo discendente di famiglia aristocratica, diede una sferzata al sonnac­chioso Piemonte ingigantendo di colpo la sua economia.Le ferrovie raggiunsero, per far solo un esem­pio, la lunghezza di 850 chilometri, pari alla somma delle ferrovie di tutto il resto d’Italia. Con una politica estera astuta e al limite del cinismo, riuscì a coinvolgere la Francia nella seconda guerra d’indipendenza, che diede il via all’unità d’Italia. Di Don Bosco fu amico e ammiratore. «Mi ripeteva sovente — scrìsse Don Bosco — che se avevo qualcosa da solle­citargli avrei trovato sempre un posto alla sua tavola». Lo scontro durissimo tra Stato e Chie­sa che iniziò nel 1855 per opera del governo Cavour, non facilitò quell’amicizia. Ma 0 ri­spetto vicendevole rimase costante.

DB 3,33 Urbano Rattazzi (1808-1873)Fu ministro degli interni nei governi retti da Camillo Cavour, e fu noto per il suo duro an­ticlericalismo. Ma nonostante la posizione net­tamente contraria su quasi tutte le idee politi­che, Don Bosco aveva da lui libera entrata. Il ministro lo stimava perché «lavorava per il be­ne della gente», e raccogliendo i ragazzi po­veri toglieva un sacco di fastidi al governo. Do­po aver preparato egli stesso la legge per la soppressione degli Ordini Religiosi, aiutò con i suoi consigli Don Bosco a fondare la Congre­gazione Salesiana in maniera che non potesse essere attaccata da nessuna legge: «Faccia in modo che i suoi aiutanti siano cittadini a tutti gli effetti davanti allo Stato, e religiosi davan­ti alla Chiesa». Nel 1855, come ministro degli interni, diede a Don Bosco il permesso i con­durre a passeggio, senza guardie, i piccoli car­cerati della «Generala». Alla domanda: «Co­me mai lei riesce a fare queste cose e noi no?», Don Bosco rispose: «Perché lo Stato comanda e punisce. Non può fare di più. Io invece vo­glio bene a questi ragazzi. E come prete ho una forza morale che lei non può capire».

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DB 3,34 Silvio Pellico (1789-1854)Silvio Pellico emigrò dal Piemonte in Lombar­dia durante gli anni della «restaurazione» di Carlo Felice. Scrittore brillante e alla moda, fu arrestato dalla polizia austriaca come car­bonaro.Condannato a morte, si vide la pena commu­tata in 20 anni di carcere duro da scontare nel­la fortezza dello Spielberg. Uscì dopo 10 anni profondamente scosso nella salute e nel mo­rale. A Torino divene segretario della Marche­sa Barolo, nel cui salotto si davano convegnoi più noti letterati e politici del tempo. Nel pa­lazzo Barolo scrisse Le mie prigioni, la narra­zione mite e mesta degli anni passati nelle ga­lere austriache. Il libretto ebbe un successo fol­gorante: il governo austriaco che fino a quel momento era sembrato il custode dell’ordine e del buon vivere sociale, mostrava il volto fe­roce della dittatura che reprime e tortura. Ne­gli anni 1846-1854 il giovane Don Bosco e l’an­ziano e malato Silvio Pellico furono amici. Don Bosco ricevette buoni consigli per la stesura dei suoi primi libri popolari, e riuscì a far scri­vere al Pellico i testi di alcune canzoncine re­ligiose che nelle case Salesiane furono cantate per decenni.

DB 3,35 Monsignor Alessandro Riccardi (Vescovo di Torino dal 1867 al 1870)Mons. Fransoni morì in esilio nel 1862. Per beghe politiche, solo nel 1867 Torino ebbe co­me nuovo arcivescovo mons. Riccardi dei Con­ti di Netro. Aveva sette anni più di Don Bo­sco. Conosceva la sua operosità apostolica elo considerava un amico.Nel primo incontro che i due ebbero a Tori­no, Don Bosco gli manifestò che aveva fonda­to una Congregazione religiosa, fin dal 1859. Mons. Riccardi ne fu sorpreso e un po’ ama­reggiato.Come arcivescovo di Torino, nella ristruttu­razione della Diocesi, pensava infatti di affi­dare a Don Bosco i piccoli seminari di Giave- no e di Bra, e il Seminario Maggiore di Chieri.

L’amicizia di mons. Riccardi verso Don Bo­sco e la sua opera si tramutò a poco a poco in freddezza, forse proprio a partire da quel­l’episodio.

DB 3,36 Mons. Lorenzo Gastaldi (Vescovo di Torino dal 1871 al 1883)Quando, nel 1870, mons. Riccardi, arcivesco­vo di Torino, morì Pio IX consultò Don Bo­sco sulla scelta del successore. Don Bosco pro­pose mons. Lorenzo Gastaldi, vescovo di Sa- luzzo. Gli era molto'amico, e la sua nascente Congregazione aveva ricevuto molti aiuti da lui. Pio IX, che conosceva il carattere molto vivo di Gastaldi, non era del parere. Ma Don Bosco insistette, e (stando alla testimonianza di Don Amadei) accolse la proposta dicendo: «Voi lo volete, e io ve lo do».L’amicizia di Don Bosco con Gastaldi era fra­terna. La mamma del vescovo aveva lavorato per molti anni all’Oratorio, e considerava Don Bosco (coetaneo di Lorenzo) come un figlio. A Torino mons. Gastaldi fu un grande arci­vescovo, riorganizzò la diocesi e la centraliz­zò saldamente attorno alla sua persona. No­nostante queste ottime premesse, le relazioni tra mons. Gastaldi e Don Bosco peggioraro­no rapidamente e giunsero a momenti di rot­tura. Consiglieri poco saggi insinuarono ripe­tutamente a Gastaldi che Don Bosco si vanta­va in giro di averlo fatto eleggere lui. Gastal­di, che aveva un grande senso della sua auto­rità, dichiarò più volte che a Torino non vole­va fare il «vicario di Don Bosco».La sua opposizione causò gravi ritardi nell’ap­provazione delle Regole della Congregazione Salesiana, e costituì un lungo e tormentoso cal­vario per Don Bosco.

DB 3,37 Papa Leone XIII (Gioacchino Pecci, papa dal 1878 al 1903)Morto Pio IX, gli successe Leone XIII (Vin­cenzo Gioacchino dei conti Pecci). Fin dall’i­nizio del suo pontificato fu conquistato dalla figura di Don Bosco, e volle essere iscritto trai Cooperatori Salesiani. Don Bosco ebbe dal

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papa ben nove udienze. Fu il papa che decre­tò l’incoronazione delTimmagine di Maria Au- siliatrice. Nel 1880 Leone XTTT lo chiamò: oc­correva trovare denaro, molto denaro per ter­minare a Roma la basilica del Sacro Cuore, e affidò a lui quell’impresa sfiancante. E Don Bosco accettò. Per lui un desiderio del Papa valeva come un comando.Fu allora che intraprese il trionfale viaggio a Parigi e successivamente a Madrid in Spagna per raccogliere denaro. La questua superò ogni speranza, ma portò Don Bosco al limite delle forze.L’ultima udienza del Papa la ottenne nel mag­gio 1887, alla vigilia della consacrazione della Basilica del Sacro Cuore. D pontefice ebbe tratti squisitamente patemi. Lo fece sedere vi­cino, lo prese per la destra e, stringendola ca­ramente fra le sue mani, gli ripeteva: «Oh ca­ro Don Bosco, come state? ... Forse avete fred­do, non è vero?». Così dicendo andò a pren­dere una larga pelliccia di ermellino. «Voglio che siate voi il primo a usarla». E gliel’acco­modò sulle ginocchia. Quindi, sedutosi di nuo­vo, lo riprese per la mano e premurosamente continuò a interessarsi di lui e delle necessità della sua Congregazione. «La Chiesa ha biso­gno di voi — gli disse il Papa. — Caro Don Bosco ... Io vorrei essere tutto per i Salesiani ... Dio stesso vi guida e sostiene la vostra Con­gregazione. Ditelo, scrivetelo, predicatelo».

DB 3,38 Papa san Pio X (Giuseppe Sano, papa dal 1903 al 1914)Era ancora il canonico Sarto quando visitò POratorio nel 1875. Don Bosco non gli potè offrire che un pranzo estremamente frugale, per cui Don Giuseppe Sarto dovette entrare in un vicino ristorante per soddisfare il suo ap­petito. Divenuto papa col nome di Pio X, fuil Pontefice che incoraggiò la comunione fre­quente tra i giovani proprio come faceva Don Bosco.La provvidenziale coincidenza dell’incontro in Roma delle sacre spoglie dei due santi Pio X e Don Bosco, fece sorgere l’idea a Giovanni

XX11U di glorificare insieme «i due luminosi modelli di santità dei tempi nostri».L’11 maggio 1959 le due urne sfilarono dalla stazione Termini alla piazza san Pietro accla­mate e venerate.

DB 3,39 Cardinale Gaetano Alimonda (Vescovo di Torino dal 1883 al 1891)Una lieta notizia venne a rallegrare Don Bo­sco. Mons. Gaetano Alimonda, nato a Geno­va nel 1818, allora Vescovo di Albenga, era eletto arcivescovo di Torino.Da circa cent’anni la metropoli del Piemonte non aveva più avuto per arcivescovo un car­dinale ed era certo un onore insigne per la glo­riosa città.Don Bosco scrisse subito a sua Eminenza che così gli rispondeva: «Preghi Ella e faccia pre­gare molto per me la Vergine Ausiliatrice, che di grazie e prodigi con Lei non è mai avara».Il 18 novembre del 1883, in forma privatissi­ma, arrivò a Torino il nuovo arcivescovo. Po­co dopo il suo arrivo, Don Bosco mandò a do- madare se l’arcivescovo era in casa e se pote­va riceverlo. D cardinale prese la carrozza e venne immediatamente a Valdocco: «per fare più presto, sono venuto io stesso».Erano le dieci e mezzo. D colloquio, nella stan­zetta di Don Bosco, durò più di un’ora. In­tanto i giovani furono avvisati nei laboratori e nelle scuole, i musici si recarono in fretta a prendere gli strumenti, qualcuno tirò veloce­mente strisce di bandiere lungo i balconi. Quando il cardinale si affacciò al ballatoio sul quale si usciva dalla stanza di Don Bosco, la banda suonò e i ragazzi applaudirono. L’ar­civescovo disse ridendo: «Volevo farvi un’im­provvisata, e voi l’avete fatta a me». Agitò le mani verso i ragazzi e disse solo: «Carissimi figli, vi ringrazio, vi benedico e mi raccoman­do alle vostre preghiere».L’ultima volta che Don Bosco potè parlare conil card. Alimonda gli disse: «Ho passato tem­pi difficili, ma l’autorità del Papa, ... l’auto­rità del Papa ... I Salesiani sono per la difesa dell’autorità del Papa, dovunque lavorino, do­

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vunque si trovino. Si ricordi di dirlo al Santo Padre, Eminenza».

DB 3,40 San Leonardo Murialdo (1828-1900)Il Murialdo fu contemporaneo di Don Bosco. Nacque a Torino nel 1828. Laureatosi nel 1850, il 20 settembre 1851 fu ordinato sacer­dote. Anche lui come tanti zelanti sacerdoti to­rinesi entrò nella sfera di Don Bosco, per aiu­tarlo negli Oratori e fare il Catechismo. Don Bosco ne apprezzò lo zelo e le capacità, e nel 1857 lo nominò direttore dell’Oratorio san Luigi, a Porta Nuova. Vi lavorerà per ot­to anni, fino al 1865, e riuscirà a trasformare l’istituzione in un modello d’Oratorio: con una graziosa cappella, rinnovata quasi tutta a sue spese; con molti giochi e divertimenti; un ef­ficiente teatrino; lezioni di catechismo bene or­ganizzate; una scuola di canto. Inoltre, Don Murialdo affiancò all’Oratorio due scuole ve­re e proprie: una giornaliera per i ragazzi della zona, e una domenicale o serale per quei gio­vani operai che non avevano possibilità di istruirsi diversamente.Come premio del suo zelo, Don Bosco gli ot­tenne una udienza personale da papa Pio IXil 6 aprile 1858.Nove anni più tardi, quando Don Bosco tor­nerà da Pio IX, questi gli chiederà: «Che ne è di quel prete suo amico?». «È andato a diri­gere un collegio per ragazzi orfani e abban­donati».E così per 34 anni, dal novembre del 1866 al­la sua morte, marzo 1900, Don Murialdo sa­rà il direttore degli artigianelli: il padre, o il fratello maggiore, di alcune migliaia di ragaz­zi. Il collegio presto si articolerà in più istitu­ti, sparsi un po’ ovunque.Dopo molte esitazioni, il sacerdote torinese die­de vita alla Congregazione di san Giuseppe — detta anche dei Padri Giuseppini — il 19 mar­zo 1873.Ai primi del 1885 fu colpito da una grave broncopolmonite. Il suo confratello, Don Eu­genio Reffo mandò a chiedere a Don Bosco una sua benedizione.

Don Bosco, benché infermo, venne personal­mente a portargliela. Entrò tutto solo nella stanza del Murialdo e vi rimase una mezz’o­retta. Il Murialdo poco dopo guarì. L’arcive­scovo di Torino, il cardinale Gaetano Alimon­da, in visita al suo sacerdote ammalato, com­mentò: «Don Bosco e il Murialdo sono le due gemme della mia diocesi»!

DB 3,41 Beato Luigi Orione (1872-1940)Nell’ottobre del 1886 era stato accettato a Val- docco un ragazzo df 14 anni di Pontecurone. Si chiamava Luigino Orione, era figlio di un povero selciatore di strade.Luigino rimase affascinato da Don Bosco. Aveva un grande desiderio: confessarsi da lui. Ma Don Bosco era allo stremo di forze. Luigino ottenne comunque questo singolaris­simo privilegio e riempì tre quadernetti di pec­cati. Poi, con i quadernetti in tasca, si accodò agli altri. Don Bosco lo guardò sorridendo: «Dammi i tuoi peccati». Il ragazzo tirò fuoriil primo quadernetto, Don Bosco lo prese, sembrò soppesarlo un attimo poi lo stracciò. «Dammi gli altri» e fece la stessa cosa. «E ades­so la confessione è fatta» disse Don Bosco e gli sorrise, guardandolo fìsso negli ochi: «Ricor­dati che noi due saremo sempre amici». Luigi Orione non dimenticò quella promessa. Chia­merà i tre anni passati a Valdocco «la stagio­ne felice della sua vita».Quando seppe che Don Bosco era in fin di vi­ta, offrì a Dio in cambio la sua. Più tardi di­ventò padre di una Congregazione, con Ora­tori e case per i ragazzi poverissimi. Ora è sta­to proclamato beato dalla Chiesa.

DB 3,42 Pio XI(Achille Ratti, papa dal 1922 al 1939)Quand’era giovane sacerdote, Achille Ratti s’interessò vivamente dei giovani, e visitò an­che l’opera fondata da Don Bosco in Torino. Era l’anno 1883. Don Bosco gli diede tutte le notizie che desiderava. Poi gli disse: «Adesso lei si consideri padrone di casa. Io non posso accompagnarla perché sono molto occupato,

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ma lei vada, veda tutto ciò che vuole». Qua­rantanove anni dopo, divenuto papa col no­me dì Pio XI, Achille Ratti ricordava in ma­niera vivacissima quel giorno, e descriveva così Don Bosco: «Un uomo che era attento a tutto quello che accadeva attorno a lui, e nello stes­so tempo si sarebbe detto che non badava a niente, che il suo pensiero fosse altrove. Ed era veramente così: era altrove, era con Dio». Pio XI proclamò Don Bosco beato (1929) e poi san­to (1934).

U - S. MARIA DOMENICA MAZZARELLO

DB 3,43 MomeseA Momese i ragazzi dell’Oratorìo andarono in gita il 7 ottobre 1864, durante una di quel­le scampagnate autunnali che furono tra le più allegre ed efficaci trovate pedagogiche di Don Bosco.Don Pestarino ottenne, con calda insistenza, questa visita al suo paese nativo anche perché poteva essere occasione d’incontro tra Don Bo­sco e la Pia Unione delle Figlie dell’immaco­lata, che egli desiderava fossero adottate dal Santo «come sua spirituale famiglia» (MB 7, 760). Il paese del resto piaceva a Don Bosco, dal momento che l’aveva giudicato «per pie­tà, carità e zelo... un vero chiostro di persone consacrate a Dio» (MB 7, 766).Momese è un suggestivo centro in provincia di Alessandria, a 380 m sul livello del mare, dominato dalla chiesa parrocchiale, dal castel­lo e dal collegio.Da sempre paese agricolo, Momese ebbe, fi­no alla fine dell’800, anche una certa impor­tanza commerciale: era infatti, per la sua col- locazione geografica, una stazione di passag­gio delle strade che collegavano l’intemo con la costa ligure. Viandanti, commercianti e sol­dati lo conoscevano bene. D via vai della gen­te favoriva non solo gli scambi commerciali, ma anche quelli culturali e religiosi.

La storia di Momese è di ascendenze medioe­vali: il primo nucleo residenziale risale al se­colo XI ed è da collegarsi alla fondazione del- P Abbazia benedettina di san Eremo. Trasfor­mata in castello, l’antica Abbazia racconta og­gi avvenimenti diversi ed è documento impo­nente della presenza dei Marchesi Doria a Momese.

DB 3,44 Casa dove nacque Maria MazzarelloUna storia come tante altre, quella di Morne- se. Il suo interesse però è del tutto particola­re, perché serve ad ambientare la vita di un personaggio che ha scritto pagine importanti nella storia della santità: Maria Domenica Mazzarello, fondatrice assieme a Don Bosco delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Nata il 9 maggio 1837 in una famiglia contadina, Ma­ria Mazzarello viene educata dai genitori alla fede e all’obbedienza.A dispetto dell’umiltà dei suoi natali, Maria si impone subito in famiglia e in paese come una ragazza intelligente, vivace e aperta, do­tata di una grande forza di volontà e ricca di una spiritualità semplice e intensa. Vive in una casa ampia, nella frazione dei «Mazzarelli di qua», con la sua famiglia e con le famiglie dei fratelli di suo padre Giuseppe: un ambiente patriarcale, tipico della cultura contadina di quegli anni. Campi e vigneti, di proprietà della famiglia, danno tanto lavoro e assicurano a tutti una dignitosa e sudata sussistenza. Battezzata nello stesso giorno della nascita, Maria Domenica è la prima di 7 fratelli: tre sue sorelline moriranno nei primi mesi di vita. Qui vivrà fino al 1849 e tornerà nel 1860 per curare zìi e cugini ammalati di tifo, contraen- do la malattia.

DB 3,45 Chiesa parrocchialeNel sec. XII i monaci dell’Abbazia di S. Ere­mo si trasferirono dalla sede originale in un cascinale chiamato «Momese», accanto al qua­le c’era una piccola chiesa dedicata a san Ni­cola da Tolentino. Inizia così la storia della chiesa parrocchiale di Momese: eretta uffirìal-

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mente, dopo restauri e ampliamenti, nel 1202, sarà nuovamente trasformata nel sec. XTV, as­sumendo l’attuale conformazione, ma verrà consacrata solamente nel 1873.Questa chiesa è la testimonianza prima della vita religiosa di Maria Mazzarello: qui, dopo la malattia, chiederà a Dio di vivere dimenti­cata da tutti, per «essere ricordata solo da Voi»; qui, a 15 anni, farà voto di verginità e qui verrà ogni giorno ad assistere alla Messa. D caldo o il freddo non la trattenevano. Da solao in compagnia della sorella, doveva sempre arrivare per prima, e se le porte erano anco­ra chiuse rimaneva fuori a pregare e a medi­tare. Poteva anche capitare che, in mancanza di orologi, sbagliasse i tempi di molte ore e si trovasse sul sagrato nel cuore della notte: ini­ziava lo stesso la sua preghiera e completava il sonno vicino alla casa del suo Dio.

DB 3,46 L ’incontro con le Figlie dell’Immacolata Il primo incontro di Don Bosco con Maria Mazzarello risale al 1864, in occasione della prima visita di Don Bosco a Mornese. Invita­to da Don Pestarino a parlare alle Figlie del­l’immacolata, il santo dei giovani impressio­na subito il piccolo uditorio: la sua parola sem­plice non nasconde la profonda tensione del suo spirito, anzi ne amplifica la portata, coin­volgendo immediatamente le ragazze. Maria Mazzarello ne rimane affascinata e intuisce su­bito che Don Bosco vive sulla sua stessa lun­ghezza d’onda.Una sintonia spirituale a prima vista. Maria Mazzarello vorrebbe che Don Bosco non la smettesse mai di parlare e non esita ad intru­folarsi nel pubblico maschile, che tutte le sere si raduna per ascoltare il grande educatore. La sua intuizione di donna intelligente e sen­sibile è precisa: «Don Bosco è un santo, un san­to, e io lo sento».Dal canto suo, Don Bosco ha già capito che in quel piccolo gruppo di donne semplici e ge­nerose ci sono tutti i presupposti per realizza­re una grande opera, il cui punto forza sarà

proprio Maria Mazzarello. Lei confiderà ad un’amica che l’incontro con Don Bosco le par­ve subito la realizzazione di un desiderio a lun­go coltivato e finalmente divenuto realtà.

DB 3,47 II collegio a Mornese«Nel 1865, il 27 aprile si poneva a Torino la prima pietra del Santuario di Maria Ausilia- trice, e il 13 giugno, a Mornese, d’accordo con Don Bosco, proprio in Borgo Alto si poneva la prima pietra di un ampio edificio per la fu­tura casa salesiana, e contemporaneamente si veniva delineando un nuovo indirizzo nell’U- nione delle Figlie di Maria Immacolata». Tutto il paese collabora con prestazioni d’o­pera e materiali. Nel dicembre del 1867 Don Bosco celebra la prima Messa nella cappella ultimata. I tempi sono maturi e l’idea di for­mare la seconda famiglia Salesiana prende sempre più consistenza. Occorre prima di tut­to trovare delle anime pronte a fare la grande scelta: Don Bosco è ormai convinto che le Fi­glie di Maria Immacolata possono costituire il primo nucleo della sua nuova famiglia e de­cide, a sorpresa, di far loro occupare il Colle­gio di Mornese.La sua decisione prende tutti in contropiede, e quando l’opinione pubblica si rende conto che D sta per nascere un nuovo istituto reli­gioso, invece del previsto collegio per i ragaz­zi, si solleva protestando vivacemente.Il 23 maggio 1872 il primo gruppo di Figlie dell’immacolata prende possesso della nuova casa non ancora ultimata. Sarà questa la Ca­sa Madre delle Figlie di Maria Ausiliatrice fi­no al 1879.

DB 3,48 Don Bosco visita le suoreL’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice na­sce ufficialmente il 5 agosto 1872.Don Bosco aveva ormai trovato la donna for­te che occorreva alla sua opera: Maria Maz­zarello. La presentò come la superiora del gruppo: doveva trattarsi di una soluzione provvisoria, in attesa della elezione ufficiale. Maria prega insistentemente il Santo di ritor­

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nare presto con una nuova superiora, non sen­tendosi in grado di fare da supplente, e si ri­ceve come risposta l’invito di affidarsi in tut­to al Signore, il quale avrebbe provveduto. Lanciato il seme sulla buona terra, Don Bo­sco se ne va ripetendo il suo eterno ritornello: «State allegre, state allegre».

DB 3,49 Elezione della superiora (Quadro del Crida)Deciso a dare al nuovo istituto una struttura regolare e definitiva, Don Bosco torna a Mor- nese verso la metà di giugno del 1874. Dopo il rito di trigesima in suffragio di Don Pesta- rino, raduna le suore e le invita a procedere all’elezione della superiora.Una cerimonia semplice: dopo aver invocatolo Spirito Santo, le suore si avvicinano ad una ad una a Don Bosco e gli dicono sottovoce 0 nome da loro scelto. Tutti i voti sono per Ma­ria Mazzarello.D Santo è molto soddisfatto della scelta e de­stina alla cura spirituale dell’istituto Don Giu­seppe Cagliero, cugino del futuro cardinale Cagliero. Nella massima semplicità è stato così celebrato un evento storico nella vita della Chiesa dell’ultimo secolo: le opere di Dio na­scono solo con questo stile.

DB 3,50 La casa di Nizza Monferrato

Tagliato fuori dalle principali vie di comuni­cazione, Mornese si rivelò ben presto una se­de poco adatta alle necessità della nuova ope­ra religiosa. Pareva che anche il clima non fos­se molto favorevole alla salute delle suore, le quali in realtà lavoravano molto e non si nu­trivano a sufficienza, povere com’erano. Don Bosco decise di trovare per loro una nuo­va sede e, per consiglio dei conti Balbo di Nizza Monferrato, mise gli occhi sul Convento del­la Madonna delle Grazie. Abbandonato e tra­sformato in cantina, l’edificio parve adatto a Don Bosco, che iniziò immediatamente i lavori di restauro.Le prime cinque figlie di Maria Ausiliatrice arrivarono a Nizza il 16 settembre 1878. Quat­

tro giorni dopo le raggiunsero le prime edu­cande provenienti da Mornese e poi altre suore e postulanti.Maria Mazzarello riceverà l’ordine di parti­re per la nuova destinazione il 4 febbraio 1879. Da quella data, per 50 anni, la Casa Madre delle Figlie di Maria Ausiliatrice sarà Nizza Monferrato e vedrà lo sviluppo della seconda famiglia Salesiana, potenziato dall’azione ma­terna e saggia di Maria Mazzarello.Rieletta superiora generale il 29 agosto 1880, sarà la madre attenta e premurosa, l’interpre­te fedele dello spirito e dello stile educativo di Don Bosco, la guida sicura di una famiglia, che progressivamente si espanderà in tutto il mondo.A Nizza Monferrato, Maria Mazzarello chiu­derà la sua operosa giornata, fatta di lavoro e di santità, il 14 maggio 1881.I successivi ampliamenti della Casa non ne hanno modificato la caratteristica originaria, costituita da una presenza viva ed efficace del­la Madonna. Don Bosco, ormai logorato, nel­la sua visita del 23 agosto 1885 ne è stato il testimone più convinto: «La Madonna è vera­mente qui, in mezzo a Voi. La Madonna pas­seggia in questa Casa e la copre con il suo manto».

DB 3,51 La Mazzarello e le missionarie dal papa (Quadro del Crida)Lo slancio missionario dei Salesiani contagia subito anche le Figlie di Maria Ausiliatrice.II 9 novembre 1877 una spettacolare spedizio­ne missionaria delle due famiglie di Don Bo­sco viene ricevuta da Pio IX. C’è anche Ma­dre Mazzarello: presentata al Sommo Ponte­fice, nella sua semplicità non sa che ascoltare gli apprezzamenti e i consigli del Papa e vi­brare di commozione per il gesto paterno con cui il Pontefice si accomiata da loro, ponendo la sua mano sul capo di ognuna. L’avventura missionaria delle Figlie di Maria Ausiliatrice inizia così e avrà come prima de­stinazione l’Uruguay.

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DB 3,52 La seconda partenza delle missionarieDon Bosco alimenta l’entusiasmo generale dei suoi figli e delle sue figlie. Invita Salesiani e suore a fare domanda di partire per le mis­sioni, e viene coperto da valanghe di richieste. Anche Madre Mazzarello si mette in lista, e nella sua corrispondenza con monsignor Ca- gliero, missionario a Buenos Aires, lo invita a preparare una grande casa perché tutte le Figlie di Maria Ausiliatrice vogliono partire. La seconda spedizione missionaria delle suo­re di Don Bosco è costituita da cinque perso­ne, guidate da sr. Angela Valiese.Il lavoro si moltiplica: da Villa Colón in Uru­guay, a Buenos Aires nel quartiere della Bo­ca, ad una seconda casa in Uruguay-, e persi­no nella desolata Patagonia, le Figlie di Ma­ria Ausiliatrice si lanciano con entusiasmo nel­la missione.

DB 3,53 II volto della MazzarelloMaria Domenica Mazzarello è la testimone vi­vente di quella rivoluzione annunciata dal Ma­gnificat, che vede gli umili assurgere al ruolo di protagonisti della storia.Una contadina, dai tratti decisi, dotata di una

bellezza tutta particolare, fatta di finezza e di forza, di dolcezza e di essenzialità. Un tipo di donna come solo le classi sociali più povere ed integre sanno esprimere. Aveva un carattere forte, ma lo sapeva controllare attentamente: gesti e parole non offendevano mai nessuno. Un misto di forza e di tenerezza, che ne face­va un capolavoro di madre.

DB 3,54 Urna della Mazzarello nella basilica di Maria AusiliatriceDiventata subito un'esempio e un modello di vita religiosa e cristiana, Maria Mazzarello fu beatificata il 20 novembre 1938 e santificata il 20 giugno 1951.Oggi riposa nella Basilica di Maria Ausiliatri­ce, accanto a Don Bosco. Ed è ancora presen­za vigile per le sue Figlie e testimone privile­giata di una fede del tutto attuale.In un mondo che cerca faticosamente di dare alla donna una nuova immagine, fallendo spesso l’obiettivo, Maria Mazzarello ripropone il modello della santità, l’unico in grado di co­niugare il misterioso fascino della donna pre­sente in tutte le culture con il suo straordina­rio destino di essere chiamata, da sempre, a dare la vita.

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DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE DB/3 Da Valdocco al mondo intero

SINTESI(Seconda unità non sonorizzata)

DB 3,1 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: Da Valdocco al mondo intero

V - LE PASSEGGIATE AUTUNNALI

DB 3,55 Carta geografica del Piemonte Quest’angolo collinare del Piemonte, chiamato Monferrato, carico di ricordi storici e di sug­gestive bellezze naturali, assistette per molti anni alle festose scorribande di Don Bosco e dei suoi ragazzi.Le «passeggiate autunnali» furono una delle idee più geniali scaturite dall’intuito pedago­gico e dall’afflato pastorale del santo educa­tore. Fin dai tempi del primo Oratorio egli aveva sperimentato quanto i ragazzi fossero attratti ed entusiasmati dalle escursioni dome­nicali nei dintorni di Torino.Ogni anno egli era solito recarsi ai Becchi per celebrarvi la festa della Madonna del Rosario (prima domenica di ottobre) e prendersi qual­che giorno di riposo. Dal 1850 in poi invitò an­che un gruppo di ragazzi per rendere più so­lenne la festa e offrir loro un piacevole diver­sivo. Essi restavano con lui un paio di giorni. Alcuni, gracili di salute, si fermavano di più. Con il passar degli anni il numero degli invi­tati crebbe fino a raggiungere il centinaio, e per loro, dopo la celebrazione religiosa, orga­

nizzò passeggiate sempre più lunghe e artico­late nei paesi dei dintorni.I motivi che suggerirono a Don Bosco questa singolare iniziativa furono di natura spiritua­le, pedagogica e pastorale, sapeva per espe­rienza che i ragazzi (soprattutto quelli senza famiglia), abbandonati a se stessi durante le vacanze, rischiavano di rovinare in pochi gior­ni un lavoro formativo di mesi o di anni. Tro­vò nelle passeggiate un mezzo efficace per tra­sformare quella «vendemmia del diavolo» (MB 12,362) in un periodo privilegiato, utile a raf­forzare la salute fisica e quella spirituale, l’a­micizia tra educatori e giovani, i rapporti co­munitari.La passeggiata veniva annunziata molte setti­mane prima, proposta quale premio dello stu­dio e della condotta. I ragazzi scatenavano la loro fantasia; l’attesa e la speranza d’essere prescelti cresceva parallelamente all’impegno nei doveri quotidiani e nella bontà. Chi sape­va di non meritare 0 premio faceva seri pro­positi per il futuro.Nel mese di settembre l’oratorio si animava vivacemente. Il maestro di banda esercitava i suonatori con nuovi brani musicali (marce, sinfonie, una Messa, un vespro e vari Tantum ergo). I cantori si allenavano in composizioni per la chiesa e il teatro. I filodrammatici pro­vavano drammi, commedie, farse e pantomi­me sufficienti per potersi esibire anche più vol­te in un medesimo luogo senza ripetersi. I

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«macchinisti» imballavano qualche scenario, alcuni attrezzi da palcoscenico e pochi costu­mi per gli attori.

DB 3,56 / colli del MonferratoDon Bosco partiva verso la metà di settembre con alcuni ragazzi più bisognosi di riguardi. Il grosso della truppa lasciava a piedi Torino la vigilia della festa del Rosario, formando una curiosa comitiva. Ognuno portava un fagotti- no con la biancheria personale, i musici im­bracciavano gli strumenti, i macchinisti si ca­ricavano di scenari e attrezzi, qualcuno met­teva in spalle lo zaino con gli spartiti. Passa­vano per Chieri, Riva e Buttigliera, facendo tappe presso parroci e amici di Don Bosco. Ar­rivavano ai Becchi nel tardo pomeriggio ac­colti festosamente da Don Bosco, dal fratello Giuseppe e dagli amici che li avevano prece­duti. Più tardi, distesi sulla paglia nei fienili della piccola borgata, si addormentavano vinti dalla stanchezza.fl giorno dopo, domenica, molta gente afflui­va ai Becchi da Castelnuovo e dalle borgate vicine. Ne risultava una festa veramente po­polare: Messa di Don Bosco con comunione ge­nerale, confessioni, Messa solenne celebrata dal prevosto teologo Cinzano; al pomeriggio, dopo la benedizione e il sermone, teatro all’a­perto, concerto di banda, lancio di palloncini aerostatici e spettacolo pirotecnico.Il giorno successivo iniziavano le passeggiate che si prolungavano per dieci, venti o più gior­ni, passando di paese in paese (cf MB 5, 349-351). Ci si metteva in viaggio accompa­gnati da Don Bosco e da qualche chierico, por­tando l’allegria della musica e del teatro e l’e­dificazione della pietà nelle zone in cui si pas­sava. «Queste marce erano qualche cosa di sommamente romantico: qui un gruppo di gio­vani cantava in coro una canzone, più in là una tromba dava i segnali per le manovre o per la sveglia, più lontano ancora si udivano altre quattro o cinque trombe marcare il pas­so accelerato dei bersaglieri. Il tamburo face­va parte a solo, senza tregua, e talvolta per

qualche colpo di grancassa saltava la mucca0 la pecorella che pascolava nel prato (...). Don Bosco restava generalmente l’ultimo, ac­compagnato da alunni e da chierici. Di ogni paese, verso il quale si rivolgeva il passo, egli aveva studiate le origini, le vicende politiche (...). Quindi egli, o mentre camminava, o nelle fermate, istruiva e dilettava gli alunni col rac­conto delle cose apprese sui libri (...). Quando Don Bosco non poteva avere i giova­ni accanto a sé, sottentrava Tomatis Carlo, protagonista di tutte'le farse, anima della com­pagnia, eroe di tutte le avventure colle sue con­tinue buffonate, a tenerli allegri ovunque si fossero trovati. Don Bosco, che non poteva sof­frire musonerie, taciturnità, isolamenti o par­lare sommessi e quasi sospettosi, ne godeva sommamente» (MB 6,268-269).

DB 3,57 Panorama del Monferrato visto dai BecchiLa prima tappa si faceva sempre presso il par­roco di Castelnuovo, Don Cinzano, il quale «esigeva che Don Bosco e i suoi andassero a restituirgli la visita, e fatti venire i suoi mas­sari e apparecchiato un fornello posticcio al­l’angolo del cortile, si preparava una colossa­le polenta». Nell’attesa del pranzo «i cantori, per contentare il buon Vicario che voleva sen­tire della musica buona e classica, salivano in orchestra per eseguire vari pezzi riservati per quella occasione» (MB 5,351).Poi, per straducole e senieri, ci si spostava di paese in paese, di colle in colle, seguendo l’i­tinerario di un ben studiato programma.1 luoghi dove ci si doveva fermare erano stati previsti da più settimane. I parroci amici o gli altri benefattori che dovevano provvedere al­loggio e vitto, preavvisati, attendevano con gioia la numerosa brigata di Don Bosco. «Ovunque Don Bosco andasse era sempre aspettato da una straordinaria folla di popo­lo. La banda, i teatri, le solennità e i canti in chiesa avevano certamente una grande attrat­tiva; ma soprattutto la parola di Dio trionfa­va in quei giorni. Per Don Bosco tali passeg-

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giate si mutavano in vere missioni apostoliche di nuovo genere» (MB 6, 750-751).Giunti presso un paese tutti facevano silenzio, si raccoglievano in gruppo e al suono della banda entravano solennemente. Salutati gli ospiti si recavano nella chiesa princpale. In breve questa veniva riempita dal popolo ac­corso e Don Bosco rivolgeva a tutti un discor­setto invitando ad accostarsi ai sacramenti. Quindi, dopo il canto del Tantum ergo e la be­nedizione, mentre egli si metteva a disposizio­ne per le confessioni, i giovani apprestavano la serata. «Chi preparava il palco per il tea­tro, chi portava e ordinava le tavole nel luogo destinato alla cena, chi suonava, chi cantava e chi andava a confessarsi da Don Bosco. Uo­mini del paese entrando in chiesa e vedendo quegli alunni così composti a divozione nel prepararsi e nel confessarsi, commossi anda­vano anch’essi ai piedi di Don Bosco» (MB6, 751).A cena l’appetito dei giovani faceva onore al­le semplici cose offerte dalla generosità degli ospiti: pane, formaggio, polenta, mele, uva e vino.Dopo la cena venivano rappresentate alle po­polazioni ospitanti commedie, farse, piccoli drammi, declamazioni di poesie dialettali, can­tate e romanze. Ad esilarare l’uditorio non mancava mai Gianduja, maschera popolare piemontese, magistralmente interpretato dal giovane Domenico Bongiovanni, affiancato da altri compagni dotati di straordinarie capaci­tà comiche (Gastini e Tomatis).I ragazzi dei paesi visitati restavano affasci­nati e si univano alla schiera dell’Oratorio, at­tratti anche dalle belle maniere di Don Bosco. Molti di loro chiedevano di essere accolti a Valdocco. I genitori, rapiti dall’amore e dalle cure paterne di Don Bosco manifestate verso i suoi giovani, affidavano volentieri i propri figli alla sua opera educatrice. In tal modo Don Bosco colse l’occasione di «pescare» un buon numero di eccellenti allievi, alcuni dei quali ebbero buona riuscita, diventando anche sa­cerdoti diocesani o salesiani.

La diapositiva ci mostra uno scorcio dell’an­tica abbazia di Vezzolano. La suggestiva co­struzione fu uno dei luoghi più visitati duran­te le passeggiate. Eretta nel 1189, su preceden­te cappella benedettina, che la leggenda dice fondata da Carlomagno, è una dei più prege­voli monumenti romanici del Piemonte.La visita effettuata nel 1857 ci è stata descrit­ta minutamente da Don Francesia. Quell’an­no la festa della Madonna del Rosario cadeva il 5 ottobre. Tra il martedì 7 e il venerdì 10 Don Bosco condusse i suoi giovani all’abba-. zia e ad Albugnano, dopo aver fatto tappa al­la fonte solforosa di Castelnuovo. La storia dell’antico monumento da lui raccontata con abbondanza di particolari, rimase vivamente impressa nella mente dei ragazzi, tanto che Don Francesia, a distanza di quarat’anni, è in grado di riferirla per disteso (FRANCESIA G.B., Don Bosco e le sue passeggiate autun­nali nel Monferrato, Torino 1901, pp. 55-59). n paese di Albugnano — che si scorge sullo sfondo — è uno dei più alti del Monferrato (m 549), costruito su di un poggio dal quale si gode il panorama splendido della pianura piemontese-lombarda e delle Alpi.La carovana di Don Bosco vi giunse inerpican­dosi su strade allora ripidissime e in pessime condizioni. Entrarono in paese allo scoccare del mezzogiorno e, recitato VAngelus, diede­ro fiato agli strumenti salutando gli abitanti «a suon di tamburi e di clarini, così irruppe­ro da tutte le parti quanti sentirono l’improv­viso concerto» (FRANCESIA, o.c., p. 63). Tra questi il parroco Don Pastrone 0 quale, felice per l’inattesa visita, dal punto più alto del pae­se mostrò loro il panorama. Narrò con viva commozione come da quella piazzetta pano­ramica, durante la battaglia di Novara (1849), mentre in lontananza si udivano i colpi delle artiglierie, egli avesse recitato il rosario per i giovani soldati dei paese con un gruppo di madri angosciate.La visita del paese si concluse con un’abbon-

DB 3,58 Albugnano e Abbazia di Vezzolano

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dante merenda preparata dal buon prevosto. Come era da prevedersi, di fronte a queiri­nattesa fortuna i ragazzi scatenarono il loro entusiasmo, ed uno improvvisò un brindisi in versi, che concludeva ogni strofa con il ritor­nello: «Dica grazie il monte e il piano / al Pre­vosto di Albugnano» (cf FRANCESIA, o.c., pp. 70-78).

DB 3,59 L ’olmo del ciabattino (Albugnano) Sempre ad Albugnano, poco discosto dalla pa­noramica piazza, il parroco aveva mostrato al­la comitiva un gigantesco olmo dal tronco in­cavato. «Quattro o cinque di noi, messi in ca­tena d’attorno — afferma Don Francesia — non potevano abbracciarlo interamente» (FRANCESIA, o.c., p. 67). In quel rifugio na­turale un simpatico ciabattino aveva impian­tato la sua bottega estivo-autunnale, e stava battendo una tomaia.Questo fatto singolare incuriosì i ragazzi. Ad esso si ispirerà alcuni anni dopo Don Giovan­ni Cagliero nella composizione della romanza Il ciabattino, eseguita per la prima volta da Gastini (anch’egli testimone del fatto) trucca­to con berretta bianca e pipa sbrecciata, pro­prio come il famoso ciabattino di Albugnano. La scena è stata riprodotta in un’incisione del volume di Don Francesia. La vediamo nella diapositiva affiancata ad una foto dell’olmo, eseguita nel 1984.

DB 3,60 MondonioNel 1854, durante il periodo delle vacanze au­tunnali, Domenico Savio accompagnato dal padre salì da Mondonio ai Becchi per incon­trarvi Don Bosco. Questi rimase colpito dalla profondità spirituale e dalle capacità del ra­gazzo e lo accettò come allievo a Valdocco (cf MB 5, 123s).Dopo la morte di Domenico, Mondonio diven­ta una tappa obbligatoria delle passeggiate. Solitamente i ragazzi dell’Oratorio vi si reca­vano prima di far ritorno a Torino, ospiti di papà Carlo, di mamma Brigida e del parroco Don Domenico Grassi.

La prima visita, compiuta nel 1857, è così ri­cordata nelle Memorie Biografiche: «Il 5 otto­bre Don Bosco e i suoi giovani si recarono a Mondonio dove riposavano le spoglie mortali di Savio Domenico. Non volevano ritornare a Torino senza aver recitata una preghiera so­pra la sua tomba. Mentre il buon padre di Sa­vio preparava ad essi un po’ di merenda, tut­ti andarono al cimitero. Avevano portata da Torino una corona di semprevivi, con le pa­role: A Savio Domenico, allievo delVOratorio di S. Francesco di Sales in Torino, i suoi ami­ci. Appesala alla modesta croce che ne pro­teggeva le ossa, si inginocchiarono e più d’u­no fu visto colle lacrime agli occhi» (MB 5, 733).In quell’occasione Don Bosco incaricò Carlo Tomatis — studente di pittura all’Accademia Albertina — di abbozzare il ritratto di Dome­nico, o a memoria o con l’aiuto di qualcuno dei fratellini Savio. Il disegno, eseguito con amore, sarà allegato alla biografia del giova­ne santo pubblicata due anni dopo nella col­lana delle Letture Cattoliche.

DB 3,61 Veduta di Montechiaro L’entusiasmo che le passeggiate autunnali su­scitavano tra i suoi giovani e le popolazioni dei paesi visitati, ma soprattutto i frutti che se ne raccoglievano, indussero Don Bosco ad allar­gare l’orizzonte. Incominciando dal 1859, in­vece di tornare ogni sera al campo-base dei Becchi, la carovana spostò il suo quartier ge­nerale di paese in paese.QueU’anno la prima tappa fu Maretto. Vi giunsero lunedì 3 ottobre percorrendo la stra­da che passa per Capriglio e costeggia Mon- tafia. Il Parroco Don Ciattini aveva invitato Don Bosco per benedirvi lo stendardo della Compagnia di san Luigi: l’esempio dei giova­ni di Valdocco sarebbe stato un ottimo stimo­lo per i ragazzi della parrocchia. Le sue spe­ranze non vennero deluse.Quella sera, durante la rappresentazione tea­trale, apparve in scena per la prima volta ,«Gìanduja», il personaggio che avrebbe costi­

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tuito per molti anni il pezzo forte delle serate di festa. Entusiasmò talmente gli spettatori che il giorno successivo un gruppetto di ragazzi di Don Bosco chiese ed ottenne di fare una pun­tata fino a Callianetto, paese della leggenda­ria maschera piemontese, distante da Maret­te più di dodici chilometri.Nel pomeriggio di martedì la brigata salutò Don Ciattini e gli ospiti e risalì a nord verso Villa San Secondo. Si fermarono a (Portando­ne per la merenda, attraversarono Cortazzo- ne e rasentarono il castello di Camerano nel quale il conte Cesare Balbo aveva incoraggia­to Silvio Pellico, suo ospite, a proseguire nel­la stesura del suo capolavoro Le mie prigioni. Verso sera giunsero in vista del campanile e della torre di Montechiaro. A suon di banda attraversarono il paese, senza però fermarvi- si per poter arrivare a Villa San Secondo pri­ma di notte.

DB 3,62 Villa San SecondoA Villa San Secondo la comitiva si fermò die­ci giorni. Gli alunni furono ospitati dal par­roco teologo Barbero, un grande amico di Don Bosco, e dalle famiglie Perucatti e Bosco. L’accoglienza cordiale del popolo, la genero­sità del pievano e della sua infaticabile sorel­la, la gioia di tutti per la presenza di Don Bo­sco, l’impegno spirituale e l’allegria dei suoi giovani resero quei giorni indimenticabili.Si inaugurò uno schema che si sarebbe ripe­tuto nelle passeggiate degli anni successivi, ogni qualvolta ci si fosse fermati più giorni in un paese: escursioni nei paesi vicini, una gran­de festa religiosa con ritiro per i ragazzi e con­fessioni generali, rappresentazioni teatrali, concerti di banda e, prima di partire, una Messa per tutti i defunti del paese ospitante.

DB 3,63 Cappella della Madonna delle Grazie a Villa San SecondoSabato 2 ottobre ricorreva la festa della Ma­donna delle Grazie, venerata in una cappella costruita al centro del paese per un voto fatto dalla popolazione liberata dal colera.

Il teologo Barbero aveva invitato Don Bosco e i suoi appunto per solennizzare l’evento e sti­molare l’impegno e la pietà della sua gente. Il buon parroco, infatti, aveva una spina nel cuore, quella di tutti i parroci di un tempo: il ballo pubblico abbinato alla celebrazione re­ligiosa. Ma quell’anno la popolazione accorse alla celebrazione eucaristica e ai vespri pome­ridiani, attirata dalla musica e dai piccoli can­tori e, spinta dalle parole di Don Bosco e dal­l’esempio dei giovani, si accostò in massa ai sacramenti. La sera del sabato e della dome­nica il teatro, allestito in un ampio cortile, ot­tenne un successo strabiliante e gli organizza­tori del ballo videro fallire totalmente la loro iniziativa (cf MB 6, 276-279).

DB 3,64 Dintorni di Villa San SecondoNei giorni precedenti e successivi alla festa Don Bosco organizzò una serie di camminate e di visite nei paesi dei dintorni. Come colom­be libere in volo i ragazzi fecero squillare le loro voci gioiose sui sentieri di quei pittoreschi e suggestivi colli.H giorno 6 furono a Corsione, invitati dalla fa­miglia di un loro compagno, poi a Cossombra- to per ossequiare i conti Pelletta, benefattori dell’Oratorio e visitare il loro antico maniero. Venerdì 7 ottobre erano stati invitati dal con­te Pallio di Rinco, ma la giornata fu poco for­tunata: una pioggia torrenziale li acompagnò per tutta la mattina. Arrivarono fradici e in­fangati fino a mezza gamba. Vista quella tur­ba inzaccherata il maggiordomo del conte non permise loro di entrare nelle sale del castello, per evitarne danni ai pavimenti e ai tappeti. Il pranzo — davvero generoso — fu allora ser­vito nelle scuderie, ma «con quel tempo ug­gioso tutto sembrava cattivo» (MB 6, 277). L’avventura di Rinco è l’unica ombra che oscura quelle splendide, indimenticabili gior­nate.

DB 3,65 La parrocchia di Alfiano«D giorno 10 (ottobre 1859) la passeggiata fu ad Alfiano ove aspettavano Don Bosco due

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suoi grandi amici, il parroco Don Pellato Giu­seppe con suo fratello viceparroco, zìi di un chierico delTOratorio cognominato Capra. Qui si rinnovarono tutte le allegrezze religio­se, domestiche e popolari, che si erano viste in tutti i paesi dove metteva piede Don Bosco» (MB 6, 279).L’amicizia col parroco risaliva ad una venti­na d’anni prima. Don Bosco lo aveva conosciu­to nel 1837, quando ancora chierico, attraver­so il teologo Cinzano, era stato invitato ad Al- fiano per la festa del Rosario. In quell’occa­sione, nella chiesa parrocchiale, egli tenne la sua prima predica. L’anno successivo vi ritor­nò per il panegirico dell’Assunta e fu allora che Don Pellato gli diede una serie di suggeri­menti sul modo di predicare al popolo di cui egli seppe fare tesoro (cf MB 1, 427 e 451). Ad Alfìano i ragazzi dell’oratorio torneranno nel 1861, durante una lunghissima passeggia­ta che li porterà a Crea, Casale, Mirabello, Lu e San Salvatore Monferrato.Martedì 11 si andò a Frinco, dove il parroco aveva preparato una gradita accoglienza. Li accompagnò anche a visitare il suggestivo ca­stello del paese.Il giorno successivo la comitiva tornò a Cor- sione e il giovedì, cantata una Messa per i de­funti del paese, «al suono della banda, in mez­zo a tutta la gente che applaudiva, accompa­gnati dal Parroco per un certo tratto di via, gli alunni dell’Oratorio lasciavano Villa San Secondo e si incamminarono per ritornare ai Becchi» (MB 6, 280).

DB 3,66 Vigneti di PonzanoLa diapositiva mostra i vigneti di Ponzano co­me si presentano nel periodo immediatamen­te precedente alla vendemmia. Così li videro i ragazzi di Don Bosco durante la passeggiata del 1861 che fu una delle più interessanti nel suo genere. 0 7 ottobre la comitiva, partita dai Becchi di buon mattino, fece tappa a Castel- nuovo per il pranzo, sostò in preghiera nel ci­mitero di Mondonio, venne ospitata per la me­renda al Castello di Piea presso il cav. Gon­

nella (fratello del banchiere chierese benefat­tore di Don Bosco) e giunse a Villa San Secon­do all’imbrunire. Qui si fermò per la notte, e il mattino successivo, celebrata solennemente la Messa nella cappella della Madonna delle Grazie, ci si trovò per il pranzo attorno ad «una maestosa polenta larga un metro, cotta in un calderone da bucato» (MB 6,1016). Al­la sera, dopo il canto del vespro, una proces­sione e la benedizione, il popolo accorse nel cortile ove era stato allestito il palcoscenico per assistere ad uno spettacolo offerto dai giovani. Il 9 ottobre, salutati i molti amici di Villa San Secondo, Don Bosco con i suoi si spostò ad Al- fiano da cui, il giorno successivo, affrontaro­no la salita verso il santuario di Crea. «Passando vicino al Castelletto dei Merli Don Bosco narrò le vicende del suo smarrimento da quelle parti nel 1841 e come avesse trovato rifugio in quel castello. A Ponzano il parroco Don Ottone Francesco venne incontro a Don Bosco per salutarlo e fargli invito a sua casa, ma non si potè accettare perché il tempo strin­geva» (MB 6, 1019).A Ponzano Don Bosco era già stato nel 1841, novello sacerdote, per visitarvi l’antico mae­stro di Capriglio Don Giuseppe Lacqua e la di lui governante sua zia Marianna (cf MB 2,28-30). Don Lacqua, che in quel tempo era insegnante a Ponzano, passerà gliultimi due anni di vita come cappellano di Godio, frazio­ne di Castelletto Merli. Vi morì il 3 gennaio 1847, a 83 anni d’età (cf L. DEAMBROGIO, Le passeggiate autunnali di Don Bosco per i col­li monferrìni, Castelnuovo Don Bosco, 1975, pp. 181-199).

DB 3,67 Santuario di CreaAl Santuario di Crea si giunse verso le ore 14,30 stanchi e affamati. Don Bosco si era ac­cordato con l’amministratore can. Crova per il pranzo. Questi, per un malinteso, credette che il pranzo si dovesse fare a Casale e, quan­do la comitiva arrivò a Crea, egli se ne stava ad attenderla nel seminario della città, a quat­tro ore di marcia. Come risolvere il proble­

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ma? Entrarono nel santuario e salutarono la Madonna con la lode di sant’Alfonso: «Vivo amante di quella Signora» cantata sull’aria del «Va’pensiero» di Verdi. La melodia, mesta e devota, sgorgata dal petto di cento giovani, echeggiò solennemente per le navate del tem­pio richiamando l’attenzione dei francescani dell’annesso convento. I Frati minori — che officiavano il santuario dal 1820 — risolsero il problema del pranzo offrendo generosamen­te tutto ciò che avevano in dispensa. Il grup­po ripartì da Crea verso le 17 per scendere a Casale dove si era attesi dal vescovo, mons. Calabiana.D santuario di Crea è uno dei più celebri luo­ghi di pellegrinaggio del Piemonte. Il primiti­vo oratorio risalirebbe a sant’Eusebio di Ver­celli (340-370). La chiesa attuale, di cui si ha una prima notizia nel sec. XII, fu ampliata alla fine del 1400 e successivamente tra il 1608-1612. La grandiosa facciata baroccheg- giante venne restaurata nel 1735 e in seguito più volte.Quando i giovani di Don Bosco visitarono l’e­dificio si potevano ancora notare i segni delle devastazioni operate dai francesi nel 1801. An­che le 23 splendide cappelle, rappresentanti i misteri del Rosario e scene della vita di Ma­ria e dell’Antico Testamento, sparse sulla vi­cina collina, erano in via di restauro. Dalla cappella del Paradiso, dedicata aH’Incorona­zione di Maria, il punto più alto (m 443), si of­ferse alla loro vista il bellissimo panorama che abbraccia il Monferrato e la catena alpina del­le Alpi Marittime al Biellese.

DB 3,68 Casale MonferratoLa strada che da Crea attraverso Ozzano con­duce a Casale era, in quella stagione, percor­sa da decine di carri per il trasporto delle uve appena vendemmiate e dei mattoni prodotti nelle numerose fornaci. Camminarono quat­tro ore in un polverone che mozzava il respi­ro, senza trovare la forza di dar fiato alle trombe nell’attraversare i villaggi, come era­no soliti fare.

A Casale li si attendeva verso le 18. Vi arri­varono con oltre due ore di ritardo. Il vesco­vo li accolse offrendo ospitalità nel suo semi­nario. Quel giorno i giovani avevano percor­so più di trenta chilometri a piedi. Erano stan­chissimi, ma fecero onore al pasto preparato fin dal mattino dal canonico Crova.Mons. Luigi Nazari di Calabiana (1808-1893), senatore del regno e vescovo di Casale dal 1847, verrà nominato arcivescovo di Milano nel 1867.Era affezionato a Don Bosco e lo appoggiò so­stenendolo con ogni mezzo e in tutte le diffi­coltà. Nei due giorni in cui i giovani di Val- docco furono suoi ospiti rimase sempre in mez­zo a loro e si preoccupò personalmente che non mancassero di nulla.Il giorno dopo (venerdì 11 ottobre), guidati dal vescovo, visitarono il Duomo, imponente mo­numento di stile romanico-lombardo consacra­to nel 1107. Vi si stavano ultimando dei gran­diosi lavori di restauro diretti da Arborio Mel- la, che avevano riportato il tempio al suo pri­mitivo splendore.

DB 3,69 Casale, Chiesa di san Filippo H seminario in cui erano ospitati, già sede della Congregazione Filippina, è affiancato dalla bella chiesa di san Filippo Neri, opera del Gua­ta (1667) sormontata da un’ardita cupola. Al­l’interno del Seminario ebbero la possibilità di ammirare anche la monumentale Bibliote­ca, ricca di oltre 85 mila volumi. E nella sala grande, la sera dell’l l , alla presenza del Ve­scovo, di molto clero e di personaggi della cit­tà, i giovani offrirono agli ospiti una rappre­sentazione teatrale. Tra i canti si eseguì «L’or- fanello», romanza ancora medita composta da Don Giovanni Cagliero, che piacque sopratut­to a monsignore (cf FRANCESIA, o.c., p. 322).La mattina del 12, dopo la Messa di commia­to presieduta dal Vescovo, fu dedicata alla vi­sita della città. Furono condotti nel forte di Piazza Castello, nelle chiese di sant’Antonio, di san Paolo e di san Domenico, ammirarono

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il palazzo municipale e altri notevoli edifici che rendono elegante la piccola Casale. Nel pome­riggio si incamminarono verso Mirabello.

DB 3,70 Mirabello Monferrato

Il motivo che portava Don Bosco a Mirabello era la definizione dettagliata del progetto di fondazione di un piccolo seminario a seguito delle insistenze del parroco Don Felice Coppo e del padre del chierico salesiano Francesco Proverà, il quale offriva a questo scopo una casa e un terreno. Mons. Calabiana aveva già espresso il suo consenso. L’opera — inaugu­rata nell’ottobre 1863 con la partecipazione di Don Bosco e dei suoi giovani — sarà la prima casa salesiana fondata fuori Torino. Verrà di­retta dal giovanissimo Don Michele Rua.La comitiva arrivò nel paese sul far della se­ra. Avevano subito un ritardo per una fermata imprevista su insistenze del parroco di san Germano. Da Mirabello molte persone, impa­zienti di vedere Don Bosco, gli erano andate incontro fino ad Occimiano, il paese dove vi­veva un ragazzino che diventerà uno dei pri­mi grandi missionari salesiani, Don Evasio Ra- bagliati (1855-1920).La famiglia Proverà volle ospitare in casa pro­pria tutti i cento ragazzi di Valdocco durante i sei giorni di permanenza a Mirabello.Il giorno successivo, domenica 13 ottobre (1861), cadeva la festa della Maternità di Ma­ria SS. Le funzioni religiose furono tenute sul­la piazza principale. Migliaia di persone era­no venute anche dai paesi vicini per ascoltare Don Bosco. Nel pomeriggio vespri, processio­ne, luminarie in tutto il paese, concerto di ban­da in piazza e fuochi d’artificio.Il lunedì fu dedicato al riposo. Alla sera nella chiesa parrocchiale, che era in restauro, ven­ne offerto al popolo il solito trattenimento tea­trale. La mattinata del martedì fu occupata d&W Esercizio della buona morte presso il con­vento dei Cappuccini e al pomeriggio si fece una puntata a Lu, paese distante 5 chilometri da Mirabello.

La veduta di Lu Monferrato ci presenta un esempio del tipico paesaggio monferrino con i suoi centri abitati arroccati sui colli più alti, e ci può far capire quale fatica comportasse­ro gli spostamenti a piedi di paese in paese. Anche qui — come in tutti i borghi visitati du­rante le passeggiate autunnali — lo squillo del­le trombe, l’allegria dei ragazzi e la novità del­l’evento attirarono l’attenzione e la curiosità della gente. Ma era soprattutto la forte per­sonalità umana e spirituale di Don Bosco che affascinava e incideva sull’animo della gente. Il suo cuore di apostolo instancabile, innamo­rato di Dio e appassionato per la salvezza di ogni uomo, lo spingeva a moltiplicare i con­tatti, ad esaltare tutti i valori, a sottolineare quegli elementi cari al gusto popolare che po­tevano favorire la crescita delle persone e delle comunità. La fecondità di ogni sua visita è de­notata non solo dagli esiti immediati, ma an­che da profonde e più durature risonanze. A Lu Monferrato, per esempio, il passaggio di Don Bosco segnerà l’avvio di una vasta fio­ritura di vocazioni d’ogni tipo tra le quali emerge quella di Don Filippo Rinaldi.La passeggiata del 1861 comprese anche una puntata a San Salvatore e al Santuario della Madonna del Pozzo. Partiti nel pomeriggio del 17 ottobre da Mirabello, pernottarono a Va­lenza Po, ospiti del senatore conte Cardenas. Si spostarono quindi a Villafranca d’Asti su due carrozzoni riservati loro dalle Ferrovie dello Stato. Il 19, sempre in treno, prosegui­rono per Torino.

DB 3,72 Torri e castelli del MonferratoUno degli aspetti più suggestivi del paesaggio monferrino è costituito dagli innumerevoli ca­stelli, attorno ai quali sorgono i centri abita­ti, vestigia dell’antico e glorioso Marchesato. Nell’Ottocento romantico ci fu un ritorno di interesse per il medioevo, sia presso gli stu­diosi e i letterati che presso il popolo. Fioriro­no studi storici, romanzi, opere teatrali rife-

DB 3,71 Panorama col paese di Lu

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riti a quel perìodo nel quale si era andata for­mando la civiltà e la lingua italiana. Tracce evidenti del fascino esercitato dalla cultura medievale le ritroviamo anche negli stili archi- tettonici ottocenteschi.I ragazzi di Don Bosco ebbero la possibilità di visitare torri e castelli in quasi tutti i paesi nei quali si fermavano. Nel 1859, ad esempio, furono ospitati nel castello di Piea, in quello di Rinco mangiarono polenta e merluzzo; vi­sitarono il «vecchio maniero» di Cossombrato e quello di Frinco (cf MB 6,277-280). Nel 1860 furono accolti con cordialità dal conte Radi­cati nel castello di Passerano, pranzarono presso i marchesi Doando a Primeglio e furo­no invitati nel palazzotto della contessa Migli­no a Buttigliera (MB 6, 749-755). Nel 1861 contemplarono affascinati il Castello dei Mer­li, e a Lu Monferrato tennero un piccolo con­certo addirittura in cima alla torre romana (cf MB 6, 1015-1030). Negli anni successivi vide­ro il castello di Montemagno, ebbero la ven­tura di visitare quelli dei conti Callori a Vi­gnale e dei marchesi Passalacqua a Novi (cf MB 7, 280s e 534). Ottennero anche il permes­so di entrare nell’antica fortezza di Alessan­dria (cf MB 7, 533).Anche durante l’ultima grande passeggiata, quella del 1864, videro il suggestivo castello di Casaleggio dei marchesi Ristori, quello di Cremolino della nobile famiglia Serra e ad Ac­qui visitarono l’antico castello dei marchesi del Monferrato (cf MB 7, 767 e 773s).

DB 3,73 CallianoL’itinerario percorso da Don Bosco nel 1862 (da Villa San Secondo a Calliano - Grana - Montemagno - Vignale - Camagna) è uno dei più suggestivi di tutto il Monferrato.La prima tappa fu Calliano, a circa 9 chilo­metri da Villa San Secondo. Le case del pae­se, ben disposte attorno alla chiesa parrocchia­le che le domina dall’alto, apparvero ad una svolta della strada come un’oasi ristoratrice per gli affaticati giovani di Don Bosco. La sim­

patia e la cordialità della gente confermerà la primitiva impressione.Il giovane parroco Don Giuseppe Sereno li vol­le ospitare nella nuova casa canonica. La co­struzione a tre ordini di arcate — visibile nel­la diapositiva di fronte alla facciata della chie­sa — era stata terminata da poco tempo e non ancora occupata.Alle 19 la gente, attirata dal suono della ban­da e dallo squillo delle campane, riempì la chiesa per la benedizione e ritornò di nuovo più tardi per assistere al teatro nel cortile della casa colonica della parrocchia, illuminato da fiaccole, lanterne a olio e cera (cf FRANCE- SIA, o.c., pp. 79-86).In questo paese vedrà la luce Don Pietro Ti- rone (1875-1962) futuro ispettore Salesiano dell’Europa dell’Est, fondatore delle ispetto- rie polacca e iugoslava e infine Catechista Ge­nerale della Società Salesiana del 1927 al 1952. Dopo la notte trascorsa nella canonica di Cal­liano, la comitiva partì alla volta di Vignale.

DB 3,74 MontemagnoSulla strada da Calliano a Vignale la tappa più importante si fece a Montemagno. La prima persona a correre loro incontro fu il chierico Celestino Durando, che Don Bosco aveva in­viato presso il marchese Fassati per l’istruzio­ne autunnale del figlio Emanuele. I legami tra il santo e la nobile famiglia erano stati molto intensi fin dagli inizi della storia dell’Orato- rio. Gli aiuti prestati da questi primi coope­ratori all’opera salesiana andavano dai con­sistenti interventi finanziari, all’impegno di­retto nelle scuole domenicali e quaresimali di catechismo, alla pulizia e riassetto della bian­cheria e dei poveri vestiti dei ragazzi di Val- docco. La marchesa Maria Assunta fu una del­le «mamme» più affezionate e attive dell’Ora- torio.Tra i ragazzi del paese accorsi al suono della banda uno, di dodici anni, rosso di capelli, vi­vacissimo, facendosi largo andò a piantarsi proprio davanti a Don Bosco. Questi, colpito dall’arditezza dello sguardo, gli propose di

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seguirlo a Valdocco. Luigi Lasagna (1850-1895) — è il suo nome — diventato sa­cerdote Salesiano partirà per l’America Lati­na dove lavorerà come missionario. Attività irresistibile, realizzatore formidabile e intel­ligente. «Dall’agricoltura e dalla viticoltura agli emigrati, al giornalismo, alle università cattoliche. Fondatore di missioni, di scuole, co­struttore di chiese. Amico di uomini di gover­no e di presidenti di stato, degno figlio anche in questo, del suo Padre Don Bosco, per i po­veri, per il bene delle anime» (DEAMBRO- GIO, o.c., p. 323).

DB 3,75 Montemagno, la chiesa parrocchialeLe visite di Don Bosco a Montemagno furono molte. Nel 1861 vi predicò in occasione della festa dell’Assunta e l’anno successivo per quel­la del Sacro Cuore di Maria. Vi ritornò nel 1863, 1864 e 1865, sempre per 0 triduo e la festa dell’Assunzione. Nel 1865 predicò anche il triduo della Natività di Maria. In anni suc­cessivi si recherà anche per alcuni giorni di ri­poso, sempre ospitato dai marchesi Fassati (1869, 1873 e 1874).La visita del 1864 fu la più famosa per un fat­to straordinario ad essa collegato. Una tre­menda siccità da tre mesi tormentava la cam­pagna di Montemagno e dintorni, e i raccolti erano gravemente compromessi. Nella prima predica del triduo Don Bosco, a nome della Madonna, promise che se tutti si fossero ri- conciliati con Dio attraverso una buona con­fessione, la pioggia tanto attesa sarebbe venu­ta. Nonostante che per i tre giorni del triduo il cielo si fosse conservato sereno e molti fos­sero scettici, proprio nel giorno della festa, mentre il santo stava per iniziare il panegiri­co pomeridiano, si scatenò un violento tempo­rale. Tra la gioia e le lacrime della popolazio­ne l’eloquente parola del santo «fu un inno di ringraziamento a Maria e di conforto e lode ai suoi divoti» (MB 7, 727). «Quando i vostri figli — concluse Don Bosco — vi domanderan­no qualche racconto particolare, dite loro: Montemagno era desolata dall’arsura e pre­

gando Dio, con la penitenza ed elemosina, ot­tenne la pioggia ristoratrice» (FRANCESIA, o.c., pp. 105-106).

DB 3,76 Vignale, castello dei conti Callori A Vignale, in questo castello, vivevano i conti Callori, un’altra illustre famiglia amica e be­nefattrice di Don Bosco. Il conte Federico aiu­tava l’Oratorio ancor prima del 1850 (cf MB 7, 254). La contessa Carlotta, invece, si era incontrata con Don Bosco per la prima volta nel 1861 a Montemagno, in casa dei marchesi Fassati. Da quel giorno era diventata «una del­le prime benefattrici delle opere salesiane» (MB 6,1002) ed aveva contribuito abbondan­temente per la costruzione della casa di Mi­rabello, della Basilica di Maria Ausiliatrice, della chiesa di san Giovanni Evangelista e della Basilica del Sacro Cuore in Roma. Proprio in occasione di quel primo incontro la contessalo aveva invitato a Vignale con i ragazzi per l’anno successivo (cf MB 7, 281).La comitiva arrivata al castello la sera del 9 ottobre (1862) vi si fermò cinque giorni. Il ve­nerdì fu dedicato al riposo e alla visita del ca­stello e del parco. Sabato, invece, fu giornata di intensa preparazione alla festa del giorno successivo. Domenica 12 ottobre, solennità del Sacro Cuore di Maria, nella chiesa parroc­chiale di Vignale i ragazzi cantarono la Mes­sa solenne e, nel pomeriggio, i vespri. Don Bo­sco tenne un panegirico che commosse tutti, particolarmente il parroco, il quale aveva bi­sogno di essere stimolato nel suo ministero. Il lunedì Don Bosco non si mosse dal castello e lasciò che i suoi giovani in gruppetti visitasse­ro le località vicine. Martedì 14, dopo una puntata a Casorzo — sontuosamente accolti dal parroco Don Felice Bava — la comitiva si spostò a Mirabello e poi ad Alessandria, dove sostò per tre giorni prima di tornare a Torino in ferrovia.

DB 3,77 GenovaNel 1864 Don Bosco doveva recarsi a Genova e Mornese per trattare questioni relative a

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progetti difondazione. Colse così l’occasione per offrire ai suoi ragazzi una passeggiata ine­dita. Stabilì l’itinerario: Castelnuovo, Geno­va, Mornese, Ovada, Acqui, Torino. Quan­do alla comunità fu annunciato: «Quest’anno vedrete il mare!», l’entusiasmo dei suoi ragazzi fu incontenibile (cf FRANCESIA, o.c., pp. 251-252).Lunedì 3 ottobre, dopo la tradizionale polen- tata a Castelnuovo, la numerosa brigata saD sul treno a Villanova d’Asti per arrivare a Ge­nova verso le ore 20,30. Nel capoluogo ligure si fermarono per tre giorni interi, ospitati dal­l’arcivescovo mons. Andrea Charvaz nel Se­minario. Furono giornate indimenticabili. Tra martedì e mercoledì visitarono il porto, il faro e il celebre palazzo del principe Andrea Doria. Vennero portati su dodici barche a ve­dere una nave da guerra. Assistettero alla Messa nella chiesa di S. Maria di Castello e si recarono ad ammirare il ricco tesoro della Cattedrale. Furono condotti in visita all’Ospe- dale Maggiore e alla chiesa che custodisce le spoglie di santa Caterina da Genova. Saliro­no fino al cimitero monumentale di Staglieno. Il giovedì 6 ottobre lo trascorsero a Pegli nel­la famosa Villa Pallavicini, ospiti dell’anzia­no marchese Ignazio e della sua famiglia. Durante quei giorni Don Bosco ebbe la possi­bilità di incontrarsi con alcuni personaggi che gli sarebbero stati di valido aiuto nelle sue fu­ture molteplici realizzazioni. Contattò, in par­ticolare, il priore di santa Sabina, Don Giu­seppe Frassineti, uno dei pastori più aperti e attivi del suo tempo, e Don Francesco Mon­tebruno, fondatore del Collegio degli Artigia­nelli di Genova.Il successo ottenuto con le rappresentazioni teatrali e musicali, offerte nel salone del Se­minario ad ospiti qualificati, dimostra l’abili­tà e la qualità artistica raggiunta dai ragazzi di Don Bosco.La comitiva lasciò Genova in treno il mattino del 7 ottobre. A Serravalle Scrivia li attende­va Don Pestarino per accompagnarli a Mor­nese. Percorsero la strada a piedi e fecero tap­

pa a Gavi, dove Don Bosco conobbe il cano­nico Gaetano Alimonda, futuro arcivescovo di Torino e cardinale.

DB 3,78 MorneseL’ingresso di Don Bosco in Mornese alla sera del 7 ottobre 1864 assunse le proporzioni di un evènto eccezionale. «Tutto il popolo gli ve­niva incontro preceduto dal parroco Don Valle e da Don Pestarino Domenico, che aveva pre­ceduto la comitiva. Le campane suonavano a festa, sparavano i mortaretti, generale era l’il­luminazione. La gente usciva di casa con lu­mi, candele e canapa accesa. La banda face­va risuonare l’aria delle sue armonie. Tutti si inginocchiavano al passaggio di Don Bosco, gli chiedevano la benedizione e si segnavano. Con lui entrarono in parrocchia, si diede la bene­dizione col Santissimo e si recitarono le pre­ghiere della sera, e quindi cena e riposo» (MB7, 259-260).H giorno successivo, dopo la Messa, Don Pe­starino presentò a Don Bosco 0 gruppetto delle «Figlie di Maria Immacolata», da lui diretto, che si occupava delle ragazze del paese. Don Bosco le benedisse e indirizzò loro poche, ma calde e incoraggianti parole. Tra tutte la più affascinata fu Domenica Mazzarello, la futu­ra confondatrice delle Figlie di Maria Ausilia- trice. Da quel giorno ella si mise totalmente sotto la guida del santo.Durante il soggiorno di Mornese Don Bosco accettò di assumere la direzione di un colle­gio per i ragazzi del paese, che si era deciso di costruire. Per una serie di circostanze di­venterà invece la prima sede delle sue suore. Lunedì 10, giorno successivo alla festa della Maternità di Maria, celebrata con solennità e con un’eccezionale partecipazione spiritua­le del popolo, si fece una gita a Lerma. Qui il giovane sacerdote genovese Giovanni Batti­sta Lemoyne, affascinato dalla santità di Don Bosco, decise di lasciare tutto e di seguirlo. Ot­to giorni dopo lo raggiunse in Torino. Diven­terà uno dei suoi migliori collaboratori e 0 suo più grande biografo.

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La passeggiata del 1864 proseguì con la visita a Montaldeo e a Castelletto d’Orba, dove pas­sarono la notte dell’undici ottobre. Il giorno dopo, mercoledì, fecero sosta ad Ovada, poi, attraverso Cremolino e Prasco, raggiunsero Acqui dove si fermarono per tre giorni. Ri­tornarono a Torino in ferrovia il 17 ottobre. «Fu questa l’ultima passeggiata autunnale, la più solenne, la più lunga di tutte le altre fatte in un decennio (...). Ma ora Don Bosco dove­va cessare da questa straordinaria missione. Le sue numerose occupazioni non gli doveva­no più permettere di assentarsi dalFOratorio per un sì lungo tempo e in quel modo. Perciò decideva di limitarsi mandare ai Becchi, e non più oltre, una squadra di cantori e i musici tut­ti gli anni, per la festa del Rosario, alla quale però egli sarebbe intervenuto» (MB 7, 778- 779).

Z - MORTE E GLORIFICAZIONE DI DON BOSCO

DB 3,79 La morte di Don Bosco «Il nostro carissimo Padre in Gesù Cristo, il nostro Fondatore, l’amico, il consigliere, la guida della nostra vita, è morto». Con queste parole Don Rua, suo successore, apriva una commossa lettera agli amici della Famiglia Sa­lesiana. Prima ancora, in stile telegrafico, ave­va comunicato la dolorosa notizia al Papa: «Don Bosco, questa mattina alle 4,45, volava in paradiso».Era la mattina del 31 gennaio 1888: Don Bo­sco aveva 72 anni, 5 mesi e 15 giorni. Quella mattina i ragazzi deU’Oratorio fecero la co­munione generale. Dodici di essi — tra cui il beato Luigi Orione, allora ragazzo all’Orato- rio — pochi giorni prima avevano offerto al Signore la loro vita «in cambio» di quella di Don Bosco.Ancora in mattinata la salma di Don Bosco fu rivestita dei paramenti sacerdotali, e il foto­

grafo Deasti con il pittore Rollini la fotogra­fò. Poi il Santo fu adagiato sopra un seggiolo­ne a braccioli e trasferito nella galleria vicina alla sua camera perché i suoi figli potessero porgergli più facilmente l’ultimo saluto.I giornali di Torino intanto, usciti in edizione straordinaria, andavano a ruba e le varie edi­zioni vennero tutte esaurite in un attimo. «La morte di Don Bosco — scriveva da Torino il corrispondente dell’“ Osservatore Romano”— è un lutto per la Chiesa e per l’umanità». A sera Don Francesia, uno dei primi Salesia­ni di Don Bosco, dette ai ragazzi la buona not­te, e indicando la sua salma disse: «Pare che voglia parlarvi, e voi quasi attendete che vo­glia alzarsi e vi rivolga la parola... Che vi di­rò io? Non farò altro che ripetervi l’ultima pa­rola che egli vi lasciò. Interrogato quale ricor­do volesse lasciare ai suoi giovani, rispose: “Dite ai giovani che che io li attendo tutti in paradiso” ».

DB 3,80 La bara di Don Bosco Questa è la bara in cui fu racchiusa la salma di Don Bosco per i suoi funerali. È una sem­plice cassa di legno di noce, senza sculture e con una croce inchiodata sul coperchio. Prima di esere rinchiusa nella cassa, la salma di Don Bosco fu esposta per tutta la giornata del 1° febbraio nella chiesa di san Francesco di Sales. Appena la chiesa venne aperta, fu in­vasa da una fiumana di popolo che da via Ga­ribaldi e per l’ampio corso Valdocco scende­va verso l’Oratorio, e piazza Maria Ausilia- trice in breve tempo si riempì di carrozze. Ver­so mezzogiorno la folla era tanta che un solo ingresso non bastava più, e si dovette far en­trare i visitatori dal cancello dell’Oratorio fe­stivo e farli uscire dalla portineria dell’istitu­to. Più tardi, aumentando ancora la ressa, si dovette proibire ai visitatori di accostare alla salma le loro medaglie, corone, orologi, faz­zoletti ecc., per accelerare lo scorrimento della gente.Intanto il volto di Don Bosco conservava la fre­schezza di una persona viva, tanto che un

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bambino fu udito esclamare: «Mamma, dor­me, dorme!»; e alle spiegazioni della madre re­plicare: «No, non è morto, dorme!».La mattina del 2 febbraio, alle 7,30, Don Bo­sco rivestito dei paramenti sacri, venne com­posto nella cassa. Essa proteggerà la sua sal­ma per 41 anni, nella cappella-sepolcro eret­ta a Torino-Valsalice, fino al 1929, anno del­la beatificazione di Don Bosco. Oggi è ancora possibile vedere questa bara nel «Museo di Don Bosco» a Torino-Valdocco.

DB 3,81 I jìmerali di Don BoscoI funerali di Don Bosco ebbero luogo il 2 feb­braio 1888. Alle otto del mattino la sua salma venne collocata nella bara, che alle 14 fu chiu­sa e sigillata. Alle 15,30 le campane di Val- docco dettero i primi dolorosi rintocchi, e 0 corteo funebre uscendo dall’Oratorio comin­ciò la mesta sfilata. H percorso comprendeva l’attuale via Maria Ausiliatrice, poi il corso Principe Oddone, corso Regina Margherita, la breve via Ariosto, e per il rientro la via Cot- tolengo. Gli abitanti di Torino quel pomerig­gio si riversarono a Valdocco: la stima dei pre­senti — sempre difficile in questi casi — andò dalle centomila alle duecentomila persone sti­pate lungo il percorso. Quanto al corteo, i pri­mi già stavano rientrando nella basilica quan­do gli ultimi ancora transitavano in corso Prin­cipe Oddone.II trasporto riuscì così solenne e imponente che «non sembrava una funzione funebre ma un trionfo, un’apoteosi». Si sapeva che Don Bo­sco in Torino era molto amato, ma «nessuno si sarebbe potuto attendere dalla cittadinan­za un concorso così mirabile per numero, per contegno, e senza distinzione di classe». «Addio sante spoglie di Don Bosco — si lesse l’indomani sul giornale torinese “Il Corriere Nazionale” —, voi scomparite per sempre. Con voi scompare l’astro della beneficenza, l’apostolo dei giovani, il padre del popolo. Con voi si seppellisce quello sguardo dolcissimo che convertiva, quella voce armoniosa che favel­lando evangelizzava, quella mano che alzan­

dosi benediceva. Addio spoglie venerate...». Così Don Bosco, figlio del popolo e apostolo del ceto popolare, aveva ricevuto dal suo po­polo la più intensa dimostrazione di affetto. A sera, in cortile, i Salesiani e i giovani del- l’Oratorio levavano istintivamente lo sguardo verso le camere che erano state di Don Bosco, e provavano per la prima volta la sensazione di un grande vuoto.

DB 3,82 La tomba a Valsalice La diapositiva mostra la tomba costruita a Valsalice, località sulla collina torinese dove sorgeva allora uno studentato dei chierici sa­lesiani.I Salesiani avrebbero voluto tenere Don Bo­sco all’Oratorio, sepolto nella Basilica, ma la legge severissima lo vietava. L’unica eccezio­ne possibile era una località fuori della cinta cittadina. Furono fatti in gran fretta i passi necessari, e quando ormai il tempo utile sta­va per scadere e Don Bosco sarebbe dovuto finire nel cimitero comune, giunse da Roma, dal ministro Crispi, il sospirato permesso per Valsalice.Intanto lassù in collina fervevano i preparati­vi per una sistemazione sia pure provvisoria ma decorosa. I giornali ostili alla Chiesa già parlavano di cedimenti del governo alle «me­ne clericali», perciò il trasferimento della sal­ma dovette essere fatto di sera, quasi di na­scosto, e i muratori dovettero lavorare per di­versi giorni in gran segreto...Don Rua, che il 4 febbraio aveva accompagna­to a Valsalice il feretro, parlando ai 120 chie­rici che studiavano in quella casa disse: «È la Divina Provvidenza che vi affida la custodia di questo sepolcro. Mostratevi degni di tanta sorte, fate che Don Bosco possa allietarsi di essere col suo corpo in mezzo a voi qual pa­dre in mezzo ai figli».L’anno successivo sul sepolcro improvvisato fu eretta una capella, benedetta il 22 giugno. Da allora 0 feretro non fu più toccato fino al 1904, per la ricognizione ufficiale ordinata dal­la Chiesa in vista del processo di canonizza­

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zione. E tutti quegli anni, fino al 1929, la cap­pellina fu meta di tante visite e pellegrinaggi di figli e amici di Don Bosco.

DB 3,83 Esumazione e ricognizione della salmaUno degli ultimi adempimenti prima della bea­tificazione di Don Bosco fu l’esumazione e ri- cognizione della sua salma. I suoi resti mor­tali riposavano in Valsalice, racchiusi in una triplice cassa murata nella sua cappellina. L’esumazione avvenne il 16 maggio 1929, pre­senti numerose autorità civili e religiose, tra cui l’arcivescovo di Torino card. Giuseppe Gamba, i Superiori Salesiani, varie Superio­re delle FMA (tra cui madre Eulalia Bosco, pronipote di Don Bosco). Da Roma era giun­to il Promotore generale della fede, mons. Carlo Salotti, che in mattinata celebrò l’ulti­ma Messa sulla tomba di Don Bosco.Nel primo pomeriggio, giunte le autorità, i muratori abbatterono il sottile muro sotto l’al­tare, e la cassa apparve intatta. Tutti vollero baciarla; la diapositiva mostra il podestà (sin­daco) di Torino, conte Paolo Thaon di Revel, che inginocchiato rende a Don Bosco il devo­to osequio; in primo piano è mons. Salotti. La cassa venne poi trasportata nella sala destinata alla ricognizione della salma, e scoperchiata: i resti mortali di Don Bosco apparvero subito in eccellente stato di conservazione, e la cosa riempì tutti di gioia.La ricognizione medico-legale avvenne il gior­no seguente, 17 maggio. La relazione lunga e dettagliata del prof. Canuto parlava di «sche­letro anatomicamente completo, ossa asciutte e compatte situate nella loro naturale posizio­ne, giunture trattenute dai legami e dalle parti molli conservate». In particolare «i tegumenti cutanei del capo... rivestono completamente le ossa del cranio e della faccia, la cui forma è ben conservata, (come pure) i capelli». Unica vera difficoltà di quelle giornate fu te­nere a bada i tanti amici di Don Bosco che ac­corsi da ogni parte, affacciandosi alle porte e alle finestre, volevano a tutti i costi vedere e

sapere. Così la ricognizione, che doveva com­piersi nella massima riservatezza, si concluse con una lunga sfilata di gente che venerava Don Bosco e lo pregava.

DB 3,84 Ricomposizione della salmaI resti mortali di Don Bosco riposarono tran­quilli per alcuni giorni sotto i sigilli fatti ap­porre dall’arcivescovo di Torino. Intanto il 2 giugno 1929 a Roma Pio XI proclamava Don Bosco beato. Poi, il 6 giugno, cinque medici dell’Università di Torino cominciarono i lavori per la composizione della salma. Per prima co­sa il prof. Canuto compì le operazioni occor­renti per la sua conservazione. Poi lo scultore Gaetano Cellini modellò sul volto e sulle ma­ni di Don Bosco una maschera di cera, che il prof. Cussetti dipinse.II 7 giugno la salma di Don Bosco fu rivestita dei sacri paramenti, e a quella vestizione col- laborarono in tanti. La talare di seta nera e le scarpe furono eseguite dalle scuole profes­sionali dell’Oratorio, le calze dalle allieve delle FMA. Le superiore dell’istituto riservarono a sé il compito di ricamare l’amitto. Il cami­ce, in puro pizzo di Bruxelles, fu dono di una contessa; la pianeta con ricami d’oro era sta­ta donata anni prima dal papa Benedetto XV. La salma così rivestita fu adagiata su un letti­no cremisi preparato con cura speciale da un exallievo di Don Bosco, e ornato con ricami in pizzo «canutiglia su tulle oro», opere delle ragazze del pensionato Maria Ausiliatrice. An­che il cuscino su cui fu poggiato il capo di Don Bosco vantava origine illustre: era stato con­fezionato con un velo del calice donato a suo tempo da Benedetto XV.L’8 giugno la salma di Don Bosco così vestita a festa fu collocata dentro una grande urna di cristallo, e vi vennero pure rinchiusi alcuni vasetti artistici di mirbana per assicurare la conservazione degli indumenti.La diapositiva presenta tre medici con alcuni Salesiani, accanto all’urna già sigillata e pron­ta per 0 grande avvenimento dell’indomani.

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Il 9 giugno 1929 Don Bosco veniva trasferito da Valsalice a Valdocco e collocato nella Ba­silica di Maria Ausiliatrice. L’antico divieto governativo a riposare in pace nella sua Tori­no finalmente cadeva, e a fare gli onori di ca­sa al Santo torinese era tutta la città riversata nelle strade.Don Bosco — come mostra la diapositiva — lasciò Valsalice circondato dagli Exallievi che gli facevano buona guardia, collocato sopra un carro che ricordava fasti regali d’altri tempi. La sua urna di cristallo era protetta da una cassa in legno, pregevole opera d’arte. L’ave­vano realizzata, su disegno dell’architetto Giu­lio Valotti, i ragazzi delle scuole professionali di San Benigno Canavese guidati dal maestro Sebastiano Concas: due Salesiani coadiutori. L’urna in legno misurava metri 2,30 x 1,15 e 1,20 di altezza. Quattro putti alati, simboli del­la predilezione di Don Bosco per i bambini, sorreggevano ai quattro angoli un lungo festo­ne carico di frutti, simboli del bene operato da Don Bosco tra la gioventù. Al centro dei lati maggiori campeggiavano da una parte lo stemma di Pio XI il «papa di Don Bosco», e dall’altra lo stemma Salesiano.In questa urna artistica Don Bosco riposerà nella basilica di Maria Ausiliatrice fino al gior­no in cui un’urna ancora più bella lo accoglie­rà nell’altare nuovo per lui preparato sulla fi­ne degli anni ’30.

DB 3,86 Piazza Vittorio: «Don Bosco ritorna» La domenica 9 giugno 1929 il festoso corteo che accompagnava Don Bosco «giù dai colli» di Valsalice alla piana di Valdocco, sfilò at­traverso le vie centrali della città per tre ore. C’erano attorno a lui sei cardinali e una ses­santina di vescovi, autorità e rappresentanze d’ogni categoria, naturalmente i torinesi in massa, e centomila pellegrini arrivati dalle va­rie parti d’Italia e dall’estero.«Lo abbiamo visto — scriveva l’indomani il quotidiano “ La Stampa” — passare fra cielo

DB 3,85 L ’urna sul carro trionfale e terra, sulla marea umana, solo, in alto, so­pra tutti, cullato quasi fra le preghiere e i can­ti, addormentato, dopo la lunga aspra gior­nata, nella pace di Dio... Gli sguardi di tutti erano a quell’urna che raccoglieva la spoglia mortale (...) di colui che fino all’ultimo istan­te di sua vita terrena implorava “Da mihi ani- mas!” . Che divino colloquio si è svolto nel lu­minoso cielo di Torino fra il popolo e Don Bosco!».La diapositiva presenta il passaggio del carro con l’urna nella'vasta piazza Vittorio. All’in­gresso della sua basilica, Don Bosco prete di campagna troverà il fior fiore della nobiltà, le autorità cittadine e i rappresentanti di quel governo che una quarantina d’anni prima gli aveva negato di riposare in Valdocco.

DB 3,87 L ’apoteosi di Torino: piazza Maria AusiliatriceIl trionfo comincia dal momento in cui la sal­ma scende la via di Valsalice. Quando l’urna è sul Ponte Umberto, una marea di popolo in­voca e grida: «Don Bosco! Don Bosco!». È il primo omaggio della cittadinanza al Nuovo Beato.Piazza Vittorio Veneto e le vie adiacenti sono gremite di gruppi di pellegrini in attesa di par­tecipare al corteo, che assume un aspetto im­ponentissimo con una selva di bandiere e con centinaia di gruppi in svariate divise. Alle 15 la massa dei pellegrini comincia a imboccare Via Po con una grandiosa sfilata che durerà oltre quattro ore. Quasi impossibile descrive­re il corteo, sia nel suo insieme sia nei suoi par­ticolari. Pareva che la folla non dovesse finire più.I vari gruppi si incalzavano senza tregua, can­tando: «Don Bosco ritorna», ritmato da una ventina di bande.Una nota pittoresca è data da centinaia di ra­gazzi, recanti i nomi delle località ove sorgo­no Oratori festivi e Case Salesiane: è qui che appare veramente la grandiosità dell’Opera di Don Bosco.In Piazza Castello il corteo ha una sosta per

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accogliere le Autorità, e in Piazza San Giovan­ni è atteso da cardinali, vescovi e parroci. In Corso Regina l’affollamento è indescrivi­bile. Il corteo procede maestoso nell’ampio viale e, ad ogni sosta, è un’esplosione formi­dabile di applausi.Dopo tre ore e più di attesa passa l’urna sul carro trionfale, la massa s’inchina in atto di devozione e riprendendo le voci di invocazio­ne e di «evviva». Quando l’urna entra nella piazza Maria Ausiliatrice le campane suona­no a distesa con quelle di tutte le chiese della città, e la basilica s’illumina con migliaia e mi­gliaia di lampadine multicolori.La salma è recata a braccia da sacerdoti nel tempio edificato da Don Bosco 60 anni prima. Vi rientra coll’aureola di beato, e in quel tem­pio resterà per sempre.

DB 3,88 Roma: il corteo papaleIl 1° aprile 1934, giorno di Pasqua, era anche il giorno di chiusura dell’Anno Santo indetto per il XIX centenario della nostra Redenzio­ne. E proprio quel giorno Pio XI, il «Papa di Don Bosco», volle proclamare Don Bosco santo.Fin dal mattino presto migliaia di persone ave­vano cominciato a fluire verso san Pietro, in cerca di un posto «vicino». Nella paziente at­tesa era difficile frenare l’entusiasmo dei ra­gazzi, che erano numerosi in basilica e si mi­sero a cantare «Don Bosco ritorna» e tutti gli inni in suo onore che conoscevano. Sessantamila, quanti ce ne potevano stare ben pigiati, erano i fedeli nel tempio, e oltre cen­tomila fuori sulla piazza. Il corteo papale sfi­lò attraverso piazza san Pietro tra quella fol­la entusiasta.Durante il solennissimo pontificale il papa pro­nunciò la formula: «A onore della santa e in­divisibile Trinità... decretiamo e definiamo che il beato Giovanni Bosco è santo, e nel novero dei santi lo inseriamo, stabilendo che dalla Chiesa universale se ne onori devotamente la memoria... ogni anno nel suo dì natale».

Un solo grido uscì da 60.000 gole: «Viva san Giovanni Bosco» a cui fecero eco i 100.000 che sulla piazza seguivano attenti il rito attraver­so gli altoparlanti.

DB 3,89 Pio XI e lo stendardo alla loggia di San Pietro

Poi alla Loggia centrale dell’Aula delle bene­dizioni lo stendardo: «Brillava al sole la splen­dida “gloria” del nuovo santo: Don Bosco ap­pariva fra le nubi del cielo, portato dagli an­geli ai piedi del Cristo risorto, quasi a riceve­re dal divino Trionfatore — soldato fedele e valoroso — il premio di tante battaglie». Così il cronista. La diapositiva presenta appunto la «gloria» del nuovo santo esposta dalla Loggia, e sulla Loggia il papa Pio XI.Poi il sole del mattino lasciò posto ad un tem­porale con un rovescio di pioggia. Ma la gen­te in piazza — che attendeva la benedizione del Papa dalla Loggia — «lasciava piovere e nessuno si muoveva». E dopo la benedizione, quando il Papa ormai si era ritirato nei pri­vati appartamenti, il laconico commento del cronista: «Tutto è finito, ma Don Bosco è santo!».La canonizzazione di Don Bosco — scrisse l’in­domani «POsservatore Romano» — «trovò nel- l’Alleluia pasquale lo sfondo e insieme la cor­nice più grandiosa e adatta. Forse mai nella storia della Chiesa una canonizzazione assur­se a tanto splendore e fu allietata da tanta gioia».

DB 3,90 La salma di Don Bosco nella chiesa di Maria AusiliatriceL’apoteosi delle feste romane suscitò l’emu­lazione di Torino. I festeggiamenti compren­devano un triduo di preparazione, e il culmi­ne nella domenica 8 aprile 1934. Durante il tri­duo i pellegrini cominciarono a fluire in Tori­no, man mano più numerosi. L’alba dell’8 aprile spuntò all’insegna di un cielo grigio e di una pioggia noiosa. Piovve tutto il matti­no, ma i pellegrini affluirono ugualmente: sti­parono la chiesa, invasero i porticati e i cor­

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tili, e infine la piazza antistante. Il pontificale fu davvero solenne, con cinque cardinali e un centinaio di vescovi. Non si erano mai visti tan­ti vescovi a Torino.Per le 16 del pomeriggio era fissata la proces­sione. Ma continuava a piovere. Con gli alto- parlanti fu annunciato che si sarebbe partiti con un’ora di ritardo. Ma intanto i punti di concentramento — 18 per l’esattezza — era­no gremiti di paggetti, giovani, uomini e don­ne, associazioni, sacerdoti, suore, le bandiere sfoderate erano in attesa di sfilare, migliaia di soldati in rappresentanza dell’esercito o con compiti di vigilanza erano fermi immobili sotto la pioggia; la gente in doppia siepe lungo tut­to il percorso attendeva sotto gli ombrelli aperti...E venne il contrordine: «La processione si fa­

rà a qualunque costo, con qualunque tempo! La reclama la folla immensa dei pellegrini, To­rino vuol vedere il suo Don Bosco passare in trionfo per le sue vie!». E si decise anzi di an­ticipare di mezz’ora. La processione, aperta dalle Guardie Municipali in bicicletta, sfilò sotto la pioggia quasi ininterrotta lungo un percorso di cinque chilometri e mezzo, rag­giungendo il cuore di Torino prima di deci­dersi a rientrare, e durò quattro ore.Poche volte Torino vide una manifestazione popolare così intensa e sentita. Là, sotto il cielo grigio, un canto solo echeggiava per le vie e le piazze: «Campane sonate, sonate a distesa». Oggi la salma di Don Bosco riposa nella chie­sa di Maria Ausiliatrice, venerata e pregata da migliaia di fedeli e devoti quasi a continuare il colloquio della canonizzazione.

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DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE DB/3 Da Valdocco al mondo intero

ICONOGRAFIA DI DON BOSCO(Terza unità non sonorizzata)

DB 3,1 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: Da Valdocco al mondo intero: Titolo

X - RITRATTI - GRUPPI -QUADRI

DB 3,91 Don Bosco col breviario (Bartolomeo Bellisio, Torino 1861-1862))I ritratti di Don Bosco formano oggi una col­lezione numerosa e varia: ve ne sono di tutte le età del suo sacerdozio e nei più diversi atte- giamenti. Nulla abiamo invece della sua gio­vinezza.I primi sono fatti in «casa», ma Don Bosco non esiterà, perfezionatasi la fotografia, a posare davanti a fotografi più qualificati.La foto di Serra (cf DB 3, 118-119), che ri­traeva Don Bosco da solo, era riuscita; ma for­se non era una immagine nitida e ben incisa. Nel febbraio 1862, il cav. Oreglia e don An­gelo Savio approfittarono di Bartolomeo Bel­lisio per fargli fare un ritratto più somiglian­te. Nell’archivio salesiano di Roma si conser­va la copia qui riprodotta: è una fototipia. L’o­riginale non si è potuto trovare.

DB 3,92 Don Bosco a Roma nel 1867 (Achille De Sanglau)Nel 1867 Don Bosco si trovava a Roma per la seconda volta, allo scopo di presentare a Pio

IX i documenti per l’approvazione della So­cietà di san Francesco di Sales.Era ospite, con il segretario don Francesia, in casa del conte Vimercati. Questi, appressan­dosi ormai la partenza del «caro amico», de­siderava avere una foto ricordo del suo sog­giorno in casa, durato ben due mesi. Don Bo­sco accondiscese, e il 26 febbraio il conte lo fece accompagnare con la sua carrozza dal fo­tografo Achille De Sanglau. Questi lo riprese con il breviario in mano. Gli occhi penetranti diretti nell’obiettivo danno vivacità al volto, e Don Bosco è molto spontaneo e tranquillo.

DB 3,93 Don Bosco benedice i tre rappresentanti del suo apostolato (Achille De Sanglau 1867)La storia di questa foto è raccontata da Don Francesia, così: «Il fotografo riprese Don Bo­sco da solo..., e poi l’artista lo pregò di lasciar­si fotografare anche diritto... Don Bosco ci pensò un poco, e poi disse: Che necessità? Non basta come fui preso?— E se ci benedicesse?— Allora pazienza! Ci sarebbe una specie di apostolato, farei qualche cosa.Senz’altro si chiamò un figlioletto del fotogra­fo, che si mise subito in ginocchio, e poi il si­gnor Pardini, maggiordomo, con aria soddi­sfatta si propose di fare il secondo. Ed io, nel desiderio di compiere la vera triplice missio­ne di Don Bosco, di educare la gioventù, i chie­

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nei ed i coadiutori, mi proposi di completare il quadro» (G.B. FRANCESIA, Due mesi con Don Bosco a Roma, Torino 1904, pp. 240s. Cf MB 8, 706). Le copie furono distribuite solo agli intimi.

DB 3,94 Don Bosco in lettura (Foto Della Valle, Roma 1869)La foto è stata fatta a Roma, come indica la scritta sul cartoncino portaritratto: «Photogra- phe Della Vallé, via della Croce, 67 - Roma». La data deve esser posta dal 1869 in poi. Don Bosco apparve vestito con particolare cu­ra e attenzione, attribuibile al fatto che dove­va essere ricevuto dal Pontefice. La foto è am­bientata in uno studio. Il volto a tre quarti, per dare più risalto ai tratti e alla forma del viso: mento, naso, profilo...L’immagine nel suo insieme è austera, e l’e­spressione è priva di spontaneità. Don Bosco in quel tempo fu ospite del tipografo cav. Pie­tro Marietti, che desiderava una sua foto. Sa­rebbe pertanto la prima vera foto di Don Bo­sco, che allora aveva 54 anni.

DB 3,95 Don Bosco con zucchetto (foto Alfieri, Torino 1869)Don Bosco con papalina e mani incrociate. Ha 54 anni. Una copia di questa foto fu trovata presso una benefattrice di Lecco (Como). Sul dorso si legge: «Don Bosco, 2 agosto 1869». Fu eseguita dalla «Fotografia Alfieri», di Miche­le Rondoni, Torino, Via Carlo Alberto 23.È una posa particolarmente costruita, artefat­ta nei particolari: mani, drappeggio... La po­sizione del soggetto esprime poca vitalità e spontaneità.

DB 3,96 Don Bosco ritratto con scritta (prima del 1870)Don Lemoyne la pubblica con la dicitura «Pri­ma del 1870». Non abbiamo altre indicazioni. Nell’archivio fotografico centrale salesiano di Roma ci sono tre esemplari in cartoncino bian­co. Sono derivati da una copia originaria in cui Don Bosco ha scritto di suo pugno:

«O Santa Maria — l’aiuto tuo forte Dà in punto di morte — all’anima mia».

Sac. Gio. Bosco. In occasione della festa onomastica di Don Bo­sco di quell’anno le richieste di un ricordo si moltiplicarono; ed è probabile che egli abbia accondisceso a fare questa foto, aggiungendovi quel pensiero e la sua firma.L’elemento che colpisce di più sono gli occhi, vivaci e penetranti che raramente riusciamo a vedere con tanta chiarezza e incisività nelle foto in nostro possesso.

DB 3,97 Don Bosco con berretta (1875) Anche questa foto è stata trovata nell’archi­vio fotografico senza alcun dato che la docu­menti. Don Giraudi la pubblica nella seconda edizione del suo volume L ’Oratorio di Don Bo­sco (SEI, Torino 1935) e dice: «Foto eseguita verso il 1875». Probabilmente desume la no­tizia da qualcuno dei più anziani Salesiani che ha consultato.Si nota un ritocco piuttosto marcato che to­glie al volto di Don Bosco qualsiasi ruga, an­che espressiva. Per questo è difficile avanza­re una ipotesi sull’età che aveva il Santo. L’espressione è statica, poco vivace, anche se c’è un accenno di sorriso. È la classica posa di studio eseguita probabilmente per diffusione.

DB 3,98 Don Bosco a 63 anni (Giuseppe Sartori, Foto Unione 1878)Vivente Don Bosco, non si aveva all’Oratorio la preoccupazione documentaristica delle fo­to come esigeremmo noi oggi. La commissio­ne incaricata di raccogliere e custodire ogni notizia utile su Don Bosco ne conserva alcu­ne. Tali ritratti vennero ricercati dagli storici del Santo, in particolare da Don Angelo Ama- dei e Don Fedele Giraudi, che a partire dal 1929 pubblicarono nelle loro opere una galle­ria di ritratti di Don Bosco.Abbiamo trovato in archivio una serie di quat­tro pose, molto somiglianti fra loro (due sono uguali anche come impostazione), il che fa ri­tenere che siano sate eseguite nella medesima

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circostanza. Di quale circostanza si tratti e per quale motivazione siano state eseguite non è stato tramandato, per cui si possono solo fare supposizioni,In due pose Don Bosco è ritratto seduto, di tre quarti, col volto sorridente, in atteggiamento rilassato.Le mani sono appoggiate sulla veste: una è aperta, l’altra a pugno; atteggiamento consue­to in Don Bosco.Una terza si differenzia per il volto più sorri­dente e leggermente proteso in avanti, e le ma­ni entrambe aperte. Evidentemente sono sta­te scattate una dopo l’altra.

DB 3,99 Volto(particolare Giuseppe Sartori 1878)È un primo piano, un particolare tratto da una delle due foto di Giuseppe Sartori. Un volto sereno e sorridente.

DB 3,100 Don Bosco in poltrona con Crocifisso e Madonna (Giuseppe Sartori, 1878)Qui Don Bosco è presentato in una cornice che sottolinea il suo ruolo di sacerdote. È ripreso in tutta la persona, seduto su una poltrona, accanto a un tavolo ricoperto da un drappo su cui poggiano un Crocifisso, la statuina del­la Madonna e la sua berretta. La posa è più rigida delle precedenti, il volto più serio, le mani aperte hanno una posizione studiata, di maniera. La fotografia è molto incisa e riesce a riprendere senza ombre anche gli occhi.

DB 3,101 Don Bosco all’inginocchiatoio (Giuseppe Sartori, 1878)Don Bosco è inginocchiato, ma l’atteggiamento ricercato di preghiera non esprime raccogli­mento e spontaneità. Sull’inginocchiatoio pog­giano lo stesso Crocifisso e la stessa Madonna della foto precedente, il che avvalora l’ipotesi che siano state fatte nella medesima circo­stanza.Le quattro foto ci sono giunte su cartoncini portaritratto senza scritta. Sul retro di una

sola foto troviamo la scritta del fotografo, cer­to Giuseppe Sartori, Fotografia Unione. La so­miglianza tra le foto fa ritenere che questi sia l’unico autore delle quattro pose. Sul retro di due di esse è scritto: «Anno 1878». Molto pro­babilmente è la data in cui furono eseguite.

DB 3,102 Don Bosco in piedi (M. Schemboche, Torino 1880)Al fotografo Schemboche si deve una serie di tre ritratti. Risalgono, per quel che si sa, al giugno del 1880: infatti con tale data li ripor­tano Don Giraudi e Don Amadei, e questa data si trova sul retro dell’unica delle tre pose che si conserva con la scritta del fotografo esecu­tore. Le foto attribuite a Schemboche ripro­ducono Don Bosco molto fedelmente. Dice Don Giraudi: «Questi ritratti furono molto diffusi perché qui Don Bosco è somigliantissimo». Le tre foto presentano la persona di fronte, di profilo e di tre quarti, e quindi i pittori po­tevano, ispirandovisi, evitare di far posare il soggetto.Esse ritraggono con precisone le fattezze del­la persona e ci offrono una immagine parti­colarmente curata, elegante e raffinata, e quindi di pregevole qualità e fedeltà.In archivio gli originali non esistono più, si hanno invece varie riproduzioni successive di queste foto, di diverso formato, con scritte a firma di Don Bosco.In questa foto lo Schemboche presenta Don Bosco in piedi accanto al tavolo. È evidente che l’inquadratura è stata studiata dal foto­grafo per ottenere un effetto speciale. La ri­cercatezza dell’impostazione risulta anche da particolari accorgimenti: la colonna crea ef­fetto di simmetria e dà slancio alla figura piut­tosto bassa di Don Bosco; la compostezza e il drappeggio della veste, che danno un senso di eleganza, contrastano con il realismo delle scarpe piuttosto sformate.Il volto è atteggiato a sorriso, ma poco spon­taneo, e le mani giunte creano una immagine stereotipa. L’insieme appare convenzionale e manieristico.

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In questa seconda foto Don Bosco è ripreso di profilo e in ginocchio davanti al Cristo e alla Madonna.Pur essendo una posa costruita, Don Bosco presenta un volto con una certa spontaneità e lineamenti ben definiti e naturali. Proprio perché riproduceva bene le sembianze del San­to, questa foto è stata sfruttata per pubblica­zioni e riproduzioni.Probabilmente non è stata molto ritoccata sul volto, infatti sono evidenti le rughe, e le guance risultano piuttosto flosce: sono proprio questi particolari che conferiscono al volto del santo una naturalezza maggiore rispetto ad altre foto.

DB 3,104 Don Bosco in poltrona (Frontale, Schemboche, 1880)La terza ci presenta Don Bosco di fronte, se­duto su una poltrona: è un po’ ieratico, auto­ritario e imponente. È divenuta la foto uffi­ciale per la beatificazione di Don Bosco, per­ciò è l’immagine più conosciuta e diffusa. Per quanto rispondente all’iconografia del tempo, non corrispondeva invece all’immagi­ne che di Don Bosco avevano impressa negli occhi e nel cuore quanti l’avevano conosciu­to: l’affabilità, la mitezza, il sorriso, l’acco­glienza che esprimeva la sua figura semplice contrastano con l’austerità, il distacco, il sor­riso «studiato» di questa immagine.

DB 3,105 Don Bosco a Marsiglia (con rabat, 1881)Abbiamo una serie di quattro foto simili fra loro, in cui Don Bosco veste alla francese. Non ci sono notizie precise che le accompagnino, e nessuna scritta indicatrice. Possiamo quin­di fare solo delle supposizioni, anche se suf­fragate da notizie di cronaca.Ai primi di febbraio del 1881, Don Bosco acompagna fino a Marsiglia i suoi missionari che stanno per imbarcarsi. Lo spingono al

DB 3,103 Don Bosco in ginocchio(Schemboche, 1880)

viaggio anche alcune grosse difficoltà solleva­te contro le sue scuole in Francia da parte del governo, e il bisogno sempre impellente di rac­cogliere «fondi» per le sue Opere.In tale occasione veste alla francese, il che su­scitò un po’ di ilarità in chi era abituato a ve­derlo nel suo abito tradizionale. Egli invece volle adeguarsi agli usi del luogo per non crea­re all’estero pregiudizi sulle sue Opere e per dissipare l’idea di volerle improntare allo spi­rito della propria nazione. Scrive il salesiano Don Albino Ronchail in una lettera a Don Rua: «Avesse visto che bella figura faceva Don Bosco col cappello alla francese e il rabat (ba­verina). Egli rideva e disse: “ Quest’oggi in­comincia il carnevale e bisogna fare qualche cosa di straordinario!” ».

DB 3,106 Don Bosco a Marsiglia (profilo, 1881)A Marsiglia Don Bosco alloggiava all’Orato- rio san Leone: tutti volevano parlargli e ave­re un suo ritratto. Un benemerito signore, in­vitatolo a pranzo l’8 febbraio, ottenne che po­sasse con cintura e rabat alla francese. Poi­ché sapeva quanto difficile fosse riprodurre bene ima fisionomia, lo fotografò in cinque po­se diverse.Come già detto, non abbiamo garanzie che le fotografie fatte in tale occasione siano proprio queste, ma la coincidenza dell’abito e delle no­tizie di cronaca ce lo fanno supporre. Sappia­mo che queste foto, abbondantemente molti­plicate, andarono a ruba (cf MB 15,4121).

DB 3,107 Don Bosco (foto Mariani, Ivrea, dopo il 1880)L’unica notizia su questa foto ce la offre la scritta sul portaritratto: «B. Mariani - Ivrea». Di una cosa siamo certi: la data è da collocar­si dopo 0 1880.In effetti, analizzando bene la foto notiamo che tutti i suoi particolari: la pettinatura, la po­sa, lo sguardo, le linee del volto, la sfocatura destra, i bottoni della veste... sono molto si­mili a quelli della foto fatta a Marsiglia nel feb-

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braio 1881. Riteniamo che ci sia un’unica ma­trice, quella cioè delle foto francesi. Una per­sona di Ivrea, in possesso di tale foto, l’ha pro­babilmente fatta riprodurre fotograficamen­te e ritoccare togliendo il rabat per rendere Don Bosco «italiano». Tale operazione sareb­be stata eseguita dal fotografo B. Mariani. Co­pia di questa foto fu trovata a Marsiglia nel giugno 1984 presso una famiglia di benefatto­ri, e si conserva nell’archivio deU’Ispettoria Salesiana di Lione.

DB 3,108 Don Bosco: il ritratto della pittrice parigina E. Salanson (1883) Questa immagine la troviamo pubblicata per la prima volta nel 1965 nel volume di Léonard von Matt (Don Bosco, SEI, Torino 1965). Ana­lizzando il negativo di von Matt si nota in alto a sinistra la scritta: «E. SALANSON MDCCCLXXXIII».L’immagine che qui riproduciamo fu trovata nella cameretta che ospitò Don Bosco a Ro­ma, S. Cuore.Nelle MB 16,123 si legge che a Parigi nel 1883 «una pittrice volle aiutare Don Bosco per mez­zo della sua arte; poiché, fattone il ritratto, ne vendeva le copie a vantaggio dell’Opera Sa­lesiana». Evidentemente dobbiamo intendere che la Salanson abbia eseguito il ritratto di Don Bosco col pennello servendosi di foto pre­cedenti e della fisionomia che ne aveva impres­sa in mente, idealizzandolo a modo suo e rin­giovanendolo.Tale ritratto fu poi fotografato, e le copie ven­dute per beneficenza.In questo ritratto notiamo alcuni particolari insoliti nelle foto di Don Bosco: l’attacco del collo, il modo di tener le mani, le mani stese, grassocce, le spalle della veste... Tuttavia que­sta pittrice è stata molto abile, e ha saputo co­gliere i tratti del Santo assai bene, anche se si sarà servita di foto esistenti, che comunque non risalivano alla sua età giovanile.È chiaro pertanto che si tratta di una pittura, molto fedele, riproducente Don Bosco giova­ne e trasmessa per fotografia.

Tra le foto di Francia troviamo questa imma­gine di Don Bosco con Crocifisso e la scritta: «Le ven. Don Bosco fondateur des Salésiens». La foto, suscita molte perplessità e interroga­tivi. L’immagine ci ricorda ben poco Don Bo­sco. Infatti notiamo una forma del volto più ovale, allungata; gli occhi sono sporgenti, mentre Don Bosco li aveva piuttosto infossa­ti; la capigliatura è acconciata diversamente. Riteniamo perciò che si tratti di una foto non di Don Bosco, ma di una persona leggermen­te somigliante a lui. È probabile che dopo l’in­troduzione della causa di beatificazione vi sia stata anche in Francia una notevole richiesta di immagini del Venerabile, e che in questa occasione sia stata utilizzata una figura a lui somigliante, in mancanza di un suo ritratto ve­ro e proprio. La posa vorrebbe metterne in evidenza la santità, rifacendosi ad una classi­ca immagine di san Luigi Gonzaga. Non la ri­teniamo quindi come foto autentica di Don Bosco.

DB 3,110 Don Bosco scrittore (1884)La foto è comunemente definita: «Don Bosco scrittore».Sul dorso della copia d’archivio qui riprodot­ta è scritto a matita: «1884». Pensiamo che la data sia stata apposta per sottolineare e ricor­dare la famosa lettera di Don Bosco da Roma del 1884. Si prestava a questa interpretazio­ne la posa di Don Bosco che scrive; la compo­sizione evidenzia i segni dell’attività apostoli­ca del Santo.La foto, ben riuscita e significativa nel suo in­sieme, è stata utilizzata in varie circostanze e pubblicazioni.Pur essendo costruita, è gradevole. Il volto è ben inciso nei suoi tratti, spiccano gli occhi vi­vaci e penetranti, ha un accenno composto di sorriso e comunica una sensazione di serenità e riflessione. Il corpo è rilassato, anzi quasi abbandonato, e tuttavia denota una certa vi­goria.

DB 3,109 Don Bosco con Crocifisso

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Nel refettorio dei Salesiani di Nizza si trova un ingrandimento della foto di Don Bosco con la dichiarazione: «Photographie authentique. Nice 1885». Don Bosco infatti è stato a Nizza dal 25 marzo al 1° aprile di queU’anno. Non è improbabile quindi che la foto sia stata scat­tata in quella circostanza. Nell’archivio foto­grafico si trova una foto tanto simile a questa da poter essere scambiata per una copia. Si tratta invece di una posa diversa eseguita si­curamente nella stessa circostanza.La diapositiva è ricavata dall’originale dell’ar­chivio. È un’immagine fedele e caratteristica di Don Bosco, ormai vecchio e stanco (ha 70 anni), con il suo aspetto di contadino tenace e volitivo, con l’occhio sinistro ancora vivo e penetrante, mentre quello destro è quasi spen­to, dalle mani operose ed energiche, dalla ca­pigliatura ricciuta.È una foto che a noi oggi, abituati all’istanta­nea, piace per la sua fedeltà alla realtà, ed è il ritratto di Don Bosco più diffuso in Belgio.I Salesiani fiamminghi lo ritengono «il loro» ritratto di Don Bosco.

DB 3,112 Don Bosco a 71 anni (di fronte, Gustavo Luzzati, Sampierdarena 1886) Nel 1886 Don Bosco, in viaggio per la Spagna, si ferma alcuni giorni a Sampierdarena. Nei suoi viaggi era solito sostare nelle sue Case per vedere i suoi figli, sentire i loro problemi e quelli dell’opera, consigliarli e sostenerli. Prendeva pure l’occasione per incontrarsi e mantenere rapporti di amicizia con coopera­tori e benefattori che lo aiutavano.II 16 marzo, mentre stava partendo per Va- razze, giunge il marchese Spinola col fotografo per fargli il ritratto. Don Bosco, per compia­cerlo, accondiscende. Questo causò perdita di tempo, ma il capostazione, avvisato, ebbe la bontà (incredibile) di ritardare la partenza del treno.Anche se in fretta, il sig. Angelo Ferretto, ope­ratore dello Stabilimento Gustavo Luzzati di

DB 3,1H Don Bosco a Nizza (1885) Genova, esegui tre pose che sono tra le più bel­le di Don Bosco. Tutte e tre le pose del Luzza­ti, ci hanno dato l’immagine più popolare del santo.

DB 3,113 Don Bosco a 71 anni (di tre quarti, Gustavo Luzzati,Sampierdarena 1886)Nella seconda foto Don Bosco è seduto con le mani conserte, ma con il volto a tre quarti. Colpisce in queste fotografie la vivezza del sor­riso e dello sguardo. Ci danno una immagine di Don Bosco molto spontanea e naturale, con una espressione tra il divertito, il compiaciu­to e lo scherzoso. Probabilmente proprio la si­tuazione che si era venuta a creare per la fret­ta, l’attesa del treno, tanta gente presente, un po’ di confusione... ha avuto il sopravvento sull’attento studio che di solito precedeva le fotografie.

DB 3,114 Don Bosco a 71 anni (di profilo, Gustavo Luzzati,Sampierdarena 1886)La terza foto è uno splendido ritratto di pro­filo che ci dà i lineamenti di un uomo energi­co e volitivo.Le Memorie Biografiche commentano: «In nes­suna (foto di Don Bosco) si sorprende mai un indizio di orgoglio, di sufficienza o di sempli­ce vanità. La sua faccia quadrata, energica, rude, franca e profonda appare negli ultimi anni affinata dalla sofferenza; ma anche nel pieno del vigore, spira sempre bontà sempli­ce e soave» (MB 18, 106).

DB 3,115 Foto di Don Bosco in Spagna (Raimundo Fages Buxó: 1886)Nella primavera del 1886 Don Bosco si reca in Spagna per visitare le case da poco fondate e, come sempre, far conoscere la sua Opera e cercare aiuti. Lo accompagna come segre­tario Don Viglietti, nella cui cronaca leggia­mo: «29 aprile 1886. Di questi giorni presero a Don Bosco molti ritratti: lo fotografarono seduto in camera sua, stamane mentre all’al-

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tare distribuiva la Comunione ai fedeli; oggi mentre Don Oscar ed io Io sorreggevamo nel discendere le scale» (MB 18, 99).Delle ultime due non rimangono tracce. Della prima invece si conservano due pose simili. So­no state eseguite dal fotografo Raimundo Fa- ges Buxó, come risulta dalle indicazioni sul dorso delle medesime. Non riuscirono molto bene. Le condizioni di luce erano sfavorevoli, quindi una parte del volto è rimasta in ombra. In entrambe le pose a noi giunte, e molto ri­toccate, Don Bosco è seduto, abbandonato sul­la poltrona di lato, appare vecchio e molto af­faticato. Il volto ha un’espressione malinco­nica, sofferente, preoccupata. Danno questo aspetto gli occhi poco espressivi, persi nel vuo­to, la bocca tirata e priva di sorriso, le due grosse pieghe zigomatiche molto marcate.

DB 3,116 Ultima foto di Don Bosco vivente (Carlo Deasti, 1887)In occasione della 12a spedizione missionaria venne eseguito anche l’ultimo ritratto di Don Bosco vivente. Don Amadei la presenta con questa didascalia: «L’ultima foto di Don Bo­sco, presa a Torino da Carlo Deasti, il 6 di­cembre 1887».Riteniamo improbabile che la foto sia stata scattata quel giorno: infatti leggiamo nelle cro­nache che allora Don Bosco, malfermo di sa­lute, stava abitualmente in camera, uscendo solo qualche volta, per ordine de medico, per una passeggiata in carrozza. Dal 2 dicembre le forze gli vennero meno, per cui fu costretto a tralasciare anche la celebrazione della Messa. È più probabile che, come già avvenuto in pre­cedenza, la foto sia stata eseguita qualche tem­po prima.La salute malferma ha probabilmente spinto i suoi figli ad approfittare della presenza del fotografo per far eseguire una foto ritratto, per avere ancora un’immagine del «caro pa­dre». Le foto furono eseguite da Carlo Felice Deasti, exallievo dell’Oratorio.Don Bosco ha l’aspetto stanco, sofferente, ma ancora abbastanza vigoroso, almeno nello

sguardo. Tiene le mani incrociate, il volto se­rio. Ha un atteggiamento rigido, impacciato, forse per il freddo, la pesantezza dei vestiti, la stanchezza.La foto è molto ritoccata, come se i suoi figli avessero voluto un’immagine «più bella» per ricordare un Don Bosco attivo e vivace.

DB 3,117 Don Bosco nella sua camera (Torino, 1861)Non abbiamo documenti per dire quando e perché sia stata fatta questa foto. Tuttavia sap­piamo che questa è la camera che Don Bosco occupò dal 1853 al 1861. Da casa Pinardi do­ve era alloggiato, passò, nel novembre del 1853, nel braccio della nuova costruzione, pa­rallelo alla chiesa di san Francesco di Sales. Era l’ultima delle tre camere al secondo pia­no. Per otto anni sarà contemporaneamentelo studio, la sala di ricevimento e la sua ca­mera da letto.Quando nel 1861 il braccio del fabbricato fu raddoppiato in larghezza, la camera diventò anticamera e sala d’aspetto.È probabilmente una delle più antiche foto­grafie che conserviamo, ed è notevole l’incisi­vità con cui è stata realizzata. È presumibile che nel 1861 la Commissione incaricata di rac­cogliere il materiale iconografico abbia sele­zionato questo documento per conservare il ri­cordo di Don Bosco in questa cameretta, cui erano legati tanti momenti affettuosi e tanti avvenimenti importanti.Vi scorgiamo l’arredo sobrio e dignitoso. Don Bosco è al suo tavolo di lavoro, in una posi­zione spontanea come di chi interrompa per un attimo la sua attività per ascoltare il nuo­vo venuto. Notiamo il volto scarno, affilato, di persona sofferente, anche se l’espressione è serena e accogliente.

DB 3,118 Don Bosco fra i suoi giovani (Francesco Serra, Torino 1861)Agli inizi del 1861, quando tra i primi chieri­ci dell’Oratorio si creò una «Commissione» con 16 scopo di raccogliere fatti e detti di Don

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Bosco, nacque anche l’idea dì fargli fare qual­che ritratto. Fu invitato a fotografarlo un exal­lievo dell’Oratorio, Francesco Serra, che ac­cettò ben volentieri.Leggiamo quanto riferisce Don Ruffino nella Cronaca: «Oggi 19 maggio, giorno di Pente­coste, Serra Francesco, figlio dell’Oratorio, pi­gliò il ritratto a Don Bosco per mezzo dell’ap­parato dagherrotipo. Primieramente lo ritrat­tò da solo, e in ultimo con cinquanta e più alunni».Qui vediamo Don Bosco attorniato dai «suoi» ragazzi. Quel chierichetto in basso, con la ber­retta in mano, divenne poi il sac. prof. Gio­vanni Garino, grecista e latinista illustre. È molto significativa la posizione di Don Bosco al centro: i giovani gli fanno come la cornice e creano un effetto di mezzobusto. Contraria­mente alle foto dell’epoca, c’è molta sponta­neità e naturalezza nella posa.Il volto sembra esprimere compiacimento, una gioia pacata e serena.Particolarmente comunicativa è la bocca, in­certa tra il serio e lo scherzoso. D messaggio che si può cogliere è quello di una persona se­rena, realizzata in mezzo ai giovani e diverti­ta per il momento particolare di novità e di curiosità che veniva a crearsi.

DB 3,119 Don Bosco che confessa (Francesco Serra, Torino 1861)

Due giorni dopo lo ritrasse ancora in atto di confessare con un bel gruppo di chierici e di alunni raccolti intorno in devota preparazio­ne. Uno doveva fare la parte di penitente, ed egli scelse Paolo Albera, suo futuro successo­re. «Vieni qui — gli disse — mettiti in ginoc­chio e appoggia la tua fronte alla mia: così non ci muoveremo!». Infatti la posa durava parec­chio e si doveva ricorrere a vari espedienti, per tener ferme le persone. Nonostante l’impres­sione globale di serietà, si percepisce una no­tevole serenità, la disponibilità di una perso­na che sa ascoltare non come giudice ma da amico. Doveva essere l’atteggiamento familia­re a Don Bosco quando confessava.

Osserviamo brevemente questi due ritratti. Sono i documenti più simpatici che Don Bo­sco ci ha lasciato, ed anche i più espressivi di sé e della vita dell’Oratorio: prete per i gio­vani.Tali ritratti furono esclusivamente destinati al- l’Oratorio, e Don Bosco non volle che fossero riprodotti. Dovevano restare per la cronaca. Ma dopo la sua morte Don Amadei andò alla ricerca di quelle fotografie e ne trovò solo due a Sani pierda rena agli inizi del 1900. Una ca­ratteristica che emerge da queste due foto è la grande spontaneità.

DB 3,120 Don Bosco con la scuola di musica strumentale (Torino, 1870)Don Bosco posa in mezzo agli allievi della scuo­la di musica strumentale dell’Oratorio. È una delle poche foto in cui appare sorridente. Qui notiamo, rispetto alle fotografie di studio, una maggior spontaneità ed espressività.C’è da chiedersi come mai, in tutta la serie dì foto che vengono eseguite per documentare il trentennale dall’Oratorio, Don Bosco scelga dì posare proprio con i suoi Salesiani e con la banda. La risposta è che per lui la musica ave­va un valore educativo come momento di espressività dei giovani, come atmosfera di gioiosità e unione. Voleva che in ogni Orato­rio ci fosse una scuola di musica: «Un Orato­rio senza musica è un corpo senz’anima». Vediamo a sinistra di Don Bosco il M° Gio­vanni De Vecchi e Pietro Enria. A destra: Buz- zetti con la folta barba rossa; Don Cagliero, maestro della scuola di canto e compositore ricco di fantasia e creatività; Don Lazzero, pri­mo Consigliere delle Scuole Professionali. Dietro, tra Don Cagliero e Buzzetti, il giova­ne Giuseppe Dogliani che diverrà poi grande musico: succederà a Don Cagliero nel 1875 nella direzione della Schola Chantorum, e nel 1889 nella direzione della Banda Musicale. Quanto alla data di questa foto, si ritiene at­tendibile la notizia di Don Amadei che la mette tra quelle eseguite nel 1870-1871, trentennale dell’Oratorio.

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Sul retro di questa foto si legge: «Fotografia dei Superiori dell’Oratorio di Don Bosco — Torino — presa nel settembre 1870».Non conosciamo direttamente dalle fonti la ra­gione precisa per cui è stata eseguita questa foto ma possiamo pensare al desiderio conse- ziente Don Bosco o addirittura per sua inizia­tiva di avere una documentazione fotografica di tutti i gruppi, classi, settori professionali dell’Oratorio all’inizio dell’anno scolastico 1870-1871, trentennale dell’Opera di Valdoc- co. Infatti Don Amadei, nel X volume delle MB, pubblica tutte queste foto, ancora inedi­te allora, «perché ci presentano, insieme con tanti allievi, molti antichi Superiori e, più vol­te, anche Don Bosco nella sua posa piena di dignità ed amabilità paterna».Don Bosco ha un’espressione soddisfatta di pa­dre orgoglioso dei suoi figli. Lo circondano da sinistra a destra in prima fila: Don Costama­gna, Don Cagliero, Don Durando, Don Laz- zero, Don Savio, il chierico Pellegrini, Don Barberis, il chierico Bertello; in seconda fila: i primi due non sono identificati, 0 chierico Gallo, il chierico Gennaro, il chierico Dome­nico Volta, uno non identificato, il chierico Martino Caroglio, il chierico Cuffia, il chie­rico Bologna, uno non identificato (MB10, 96).

DB 3,122 Don Bosco con la prima spedizione missionaria (Torino, 1875)Nel 1875 Don Bosco corona il sogno di man­dare i suoi Salesiani in missione nelle lontane Americhe, tra i figli degli emigrati.E un avvenimento importante: i giornali ne parlano, all’Oratorio c’è un gran fermento. Don Bosco vuole ricordare con una fotogra­fia l’avvenimento.Indossa il ferraiolo e lo zucchetto come nelle grandi occasioni in cui si presentava al Papa; il Console argentino Gazzolo è in grande uni­forme, i partenti vestono alla spagnola, col

DB 3,121 Don Bosco con i primi Salesiani(Torino, 1870)

mantello caratteristico di quei luoghi, per di­mostrare così che erano «dei loro» e non degli estranei. Su di essi spicca il Crocifisso che li qualifica come Missionari.In prima fila da sinistra a destra: Don Gio­vanni Cagliero, capo della spedizione, Don Bo­sco, il Console Giovanni Battista Gazzolo, Don Giuseppe Fagnano, designato direttore del col­legio di S. Nicolás che li attende.In seconda fila: il coadiutore Vincenzo Gioia, vent’anni, cuoco e maestro calzolaio; 0 coa­diutore Bartolomeo Scavini, maestro falegna­me; Don Valentino Cassini; Don Giovanni Baccino, che morirà diciotto mesi dopo stron­cato dall’eccessivo lavoro; il coadiutore Stefa­no Belmonte, musico e incaricato dell’econo­mia domestica; Don Domenico Tomatis, che farà la cronaca della spedizione; il chierico Giacomo Allavena, vent’anni; il coadiutore Bartolomeo Molinari, maestro di musica vo­cale e strumentale.Il gruppo era destinato alla fondazione di un Collegio per apprendisti lavoratori a San Ni­colás de los Arroyos, ma poi alcuni si ferma­rono al servizio della Chiesa «Mater Miseri- cordiae» per gli Italiani a Buenos Aires.

DB 3,123 Don Bosco consegna le regole a Don Cagliero (particolare, 1875)Don Bosco è nell’atto di consegnare un libret­to a Don Cagliero: sono le Costituzioni dei Sa­lesiani. La posa è voluta espressamente da Don Bosco stesso. Egli desidera dare rilievo a que­sto gesto che per lui ha un profondo significa­to. A questo riguardo scrive Don Rua: «Quan­do il Venerabile Don Bosco inviò i primi suoi figliuoli in America, volle che la fotografia lo rappresentasse in mezzo a loro nell’atto di con­segnare a Don Giovanni Cagliero, capo della spedizione, il libro delle nostre Costituzioni. Quante cose diceva Don Bosco con quell’at­teggiamento! Era come dicesse: Voi traverse­rete i mari, vi recherete in paesi ignoti, avre­te da trattare con gente di lingue e costumi di­versi, sarete forse esposti a gravi cimenti. Vor­rei accompagnarvi io stesso, confortarvi, con-

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solarvi, proteggervi. Ma quello che non pos­so fare io stesso, lo farà questo libretto. Cu­stoditelo come prezioso tesoro».

DB 3,124 Don Bosco con la terza spedizione missionaria (Torino, 1877)Anche in occasione della terza spedizione mis­sionaria (dicembre 1877), Don Bosco vuole so­lennizzare l’evento con una fotografia che ci presenta una bella immagine di lui. Il gruppo dei partenti è composto di diciotto elementi de­stinati alle missioni dell’Uruguay e dell’Argen­tina. Contemporaneamente, partono anche le prime missionarie delle Figlie di Maria Ausi- liatrice.Da una foto annotata da Don B. Musso, con­servata nell’Archivio Centrale Salesiano di Buenos Aires, possiamo conoscere tutti i nomi. Seduti, da sinistra a destra: Don Tommaso Bettinetti, mons. Pietro Ceccarelli, parroco di S. Nicolás de los Arroyos, Don Bosco, Don Giovanni Cagliero, Don Giacomo Costama­gna, capo spedizione, Don Domenico Milane- sio. In piedi prima fila: i chierici Vittorio Du­rando, Pietro Rota, Antonio Paseri, Giusep­pe Gamba, Luigi Chiara, Alessandro Vergna- no, Bartolomeo Panaro, Don Giuseppe Vespi- gnani, Don Luigi Galbusera; seconda fila: i coadiutori Benvenuto graziani, Bernardo Musso, Giovanni Battista Comeglio, Dome­nico Zana, Giuseppe Mandrino, Carlo Bruno. La presenza di molti chierici ci fa riflettere sul­la giovane età di questi missionari: audacia di Don Bosco, fiducia nei giovani, consapevolezza della forza della fede e della generosità giova­nile.

DB 3,125 Don Boscocon gli exallievi Sacerdoti (Torino, 1884)Non conserviamo alcuna copia di questa foto che è pubblicata da Don Amadei nel suo vo­lume.La circostanza in cui venne eseguita è l’annua­le riunione degli Exallievi. Nel giugno del 1870 era nata a Valdocco la «Società degli Antichi Allievi del Salesiano Oratorio», da cui si svi­

lupperà l’Associazione Exallievi di Don Bosco. Era usanza che questi si radunassero ogni an­no, dopo la festa onomastica di Don Bosco, per esprìmergli gratitudine e attaccamento. La da­ta era di solito in luglio.Nel 1884 vengono invitati a questo familiare convegno, il 26 luglio gli exallievi laici, e il 30 luglio i sacerdoti. Questi ultimi, prima di se­pararsi, chiesero ed ottennero che il loro ama­to Padre sedesse in mezzo ad essi per un bel gruppo fotografico. Don Bosco accondiscese e lo vediamo sorrìdente e sereno, anche se è spossato dalla calura e affaticato dalle pres­sioni dei creditori.

DB 3,126 Don Bosco nella villa Marti Kodolar (Joaquin Pasqual, Barcellona, 1886)Sempre durante il suo soggiorno in Spagna, il 3 maggio 1886, Don Bosco fu ospite, con tutti i giovani della Casa di Barcellona, nella favo­losa villa Marti Codolar di don Luis Pasqual, benefattore. Qui fu eseguita la foto più inte­ressante che conserviamo. «Alle quattro (16)— leggiamo nelle MB che ricopiano alla lette­ra la cronaca di Don Viglietti — Don Bosco discese con gli altri nel giardino, dove don Joa- quin Pasqual, detto Kim, dispose un bel grup­po di tutti insieme per una fotografia di quel felicissimo giorno».La foto è stata impostata molto bene, e strut­turata in modo da incorniciare e dar risalto alla figura del Santo; è riuscita vivace e brio­sa. Don Bosco ha 70 anni passati, ma la sua è una vecchiaia vigorosa di uomo attivo, che partecipa intensamente alla vita. Gli occhi so­no vivaci, penetranti, la bocca atteggiata spon­taneamente al sorriso; il volto dà un senso di dolcezza e di bontà. Probabilmente esprime qui un momento di soddisfazione nel sentirsi attorniato da persone «sue», legate a lui: il sen­so della sua vita realizzata negli altri e per gli altri.Questa riproduzione è stata fatta direttamen­te dal negativo che si conserva presso la sede ispettoriale di Sarrià. È una lastra al collodio ancora in ottime condizioni.

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DB 3,127 Don Bosco con la dodicesima spedizione missionaria (Carlo Deasti, Torino 1887)Sulla data di esecuzione di questa foto, che ri­corda la 12 spedizione Missionaria, non ab­biamo alcuna notizia esplicita, sappiamo che la sera del 6 dicembre 1887, Don Bosco ben­ché stanco scese nella Basilica di Maria Ausi- liatrice per dare l’addio ai missionari che par­tivano per l’Ecuador. Entrò in presbiterio so­stenuto dal segretario Don Viglietti e dal chie­rico Festa, mentre Don Bonetti faceva la pre­dica di addio ai missionari... ma la predica più bella e più efficace la fece la figura di Don Bo­sco, così mal ridotto nella persona... I missio­nari passarono ad uno ad uno a salutarlo e a baciargli la mano.Passando per il cortile, Don Bosco fu accla­mato dai giovani, e, stanco, si ritirò nella sua camera.Così attesta la cronaca, ed è evidente che Don Bosco quella sera non era in grado di posare per la foto; con ogni probabilità, questa era stata decisa e predisposta in anticipo.

DB 3,128 Don Bosco mortoadagiato sul seggiolone (Carlo Deasti, 1888)Don Bosco spirava la mattina del 31 gennaio 1888 alle 4,45.Aveva 72 anni, 5 mesi e 15 giorni. Il fotogra­fo Deasti e il pittore Rollini fecero una foto­grafia mentre giaceva ancora sul letto nella po­sizione in cui era spirato.Alle 10 tutta la Famiglia Salesiana si era rac­colta nella Basilica di Maria Ausiliatrice per la solenne celebrazione della Messa funebre. Nel frattempo gli infermieri, assistiti dai me­dici Alberotti e Bonelli, lo rivestirono dei pa­ramenti, lo collocarono sopra un seggiolone a braccioli, lo trasferirono nella vicina galleria, e lo fotografarono nuovamente (cf MB 18, 543). Il cadavere era assiso sulla poltrona nella galleria retrostante alla cappella privata. In­dossava i paramenti da Messa violacei. Ave­va il crocifisso nelle mani e scoperto il capo;

la sua berretta stava là alla sua destra sopra un inginocchiatoio, sul quale si ergeva un cro­cifisso fra due ceri. Il defunto volgeva il viso a oriente.

DB 3,129 Profilo di Don Bosco morto (Carlo Deasti, 1880)Fissiamo ancora lo sguardo su questo bellissi­mo profilo di Don Bosco ripreso sul seggiolo­ne. I lineamenti apparivano inalterati. Se non fosse stato il pallore di morte che contrastava col paonazzo della pianeta, si sarebbe detto che Don Bosco dormiva. I figli suoi si succe­devano pregando. Sfilarono a decine e migliaia gli amici a contemplare quel volto sereno e pa­cato. Le mani sono immobili, e le labbra chiu­se, avevano appena mormorato le ultime pa­role per i suoi giovani: «Dite che li aspetto tut­ti. tutti in paradiso!».

DB 3,130 Primo piano del volto di Don Bosco (dal gruppo di Barcellona, 1886)Contempliamo da ultimo un primo piano del volto di Don Bosco vivente. E un particolare della famosa posa eseguita il 3 maggio 1886 nella villa Marti da Codolar Joaquin Pasqual, in occasione della visita di Don Bosco in Spagna.Di quella foto si conserva ancora, nell’Archi- vio della Ispettoria Salesiana di Sarrià - Bar­cellona, il negativo originale in vetro. Serven­dosi di tale lastra, il signor Luigi Meda, della Scuola Grafica Salesiana di «San Zeno» a Ve­rona, ha ottenuto l’ingrandimento. La ripro­duzione è fedelissima e non vi sono ritocchi al volto.E l’ultima foto della serie dei «Ritratti»: ci la­scia negli occhi e nel cuore l’immagine del vol­to sereno e amabile del nostro Santo.

DB 3,131 Don Bosco di Varazze (quadro, 1871)Sul principio dell’anno scolastico 1870-721 mentre Don Bosco si recava a visitare i suoi giovani e Salesiani di Marassi, Varazze e Alas- sio cadde gravemente ammalato a Varazze. Il

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dottore diagnosticò una cosa abbastanza gra­ve e gli praticò due salassi. La malattia non era cosa da poco e si consultò il dottore Fisso- re una celebrità dell’università di Torino. Si chiamò il coadiutore Enria per assistere il ma­lato.Il decorso della malattia si prolungava si al­ternavano i lievi miglioramenti e ricadute: feb­bri migliari, eruzioni cutanee con sudore co­piosissimo lo prostravano fortemente.Alle apprensioni dei Salesiani si unì quella del­la autorità, degli amici e delle personalità e su­scitò una gara di preghiere per impetrare la guarigione, dopo 50 giorni di degenza quan­do fu finalmente annunciata una ripresa con­tinuarono le visite all’illustre ammalato. Un pittore di modeste capacità, ma senz’altro af­fezionato ammiratore, volle tentare un qua­dro di Don Bosco, raffigurandolo col volto gracile, emaciato con ancora ben visibili i se­gni della lunga malattia.Il quadro si trova a Varazze, nel corridoio esterno alla camera dove era degente Don Bo­sco. È evidentissima l’ispirazione da una foto dell’Alfieri di Torino.Lo presentiamo nella nostra serie di ritratti, perché senza dubbio è un segno dell’amore di chi ha sofferto e patito per la grave malattia del grande amico e benefattore dell’umanità.

DB 3,132 Don Bosco di San Benigno (quadro di Enrico Benzoni, 1886)Nell’Istituto Salesiano di San Benigno Cana- vese, nella cameretta in cui Don Bosco la not­te del 10 settembre 1881 fece il «sogno del man­to» (MB 15,182), si trova esposto un quadro a olio in formato ovale, firmato: «Enrico Ben­zoni 1886».Le Memorie Biografiche raccontano che Don Bosco, il 26 luglio 1885, lasciò la dimora di Mathi, dove si trovava per un periodo di ri­poso, e si recò a Torino pr l’incontro annuale con gli exallievi sacerdoti. Di ritorno al pae­se, alla sera, trovò ad attenderlo un pittore bresciano che aveva già abbozzato un suo ri­tratto.

Egli chiese al Santo di posare un momento per completare e dare più espressività e realismo al suo dipinto. Don Bosco accondiscese, e scherzosamente disse: «Veda di farmi bello», fi pittore lasciò poi il quadro all’istituto di San Benigno, a copertura della retta del figlio ivi ospitato come alunno artigiano.

DB 3,133 Don Boscodel pittore Paolo Gaidano (Torino, 1879)Il pittore Paolo Gaidano di Poirino, celebre ri­trattista di Casa Savoia, nel 1879 dipinse il quadro di Don Bosco, ora esposto nella cap­pellina del Museo delle Camerette.E il primo grande quadro ufficiale, lui viven­te, probabilmente commissionato dai Superio­ri. Risente all’impostazione della foto del Luz- zati di Sampierdarena. Diremmo che è una imitazione a colori della foto in bianco e ne­ro, che ritrae Don bosco seduto in poltrona.

DB 3,134 Don Bosco del Rollini (Torino, 1888)Giuseppe Rollini, venuto all’Oratorio per con­tinuare i suoi studi di pittura all’Accademia Albertina, collaborò col fotografo Deasti a ri­trarre Don Bosco sul letto di morte e seduto sul seggiolone.Più tardi, su commissione dei Superiori Mag­giori e prendendo dalle tre foto del Luzzati, dipinse il quadro a olio che si trova nel Mu­seo delle Camerette, a Valdocco, e misura cm 119x85,5. Questo quadro ebbe un grandissi­mo successo, probabilmente perché le perso­ne vi riconoscevano il Santo nelle caratteristi­che che più apprezzavano. Per questo se ne fecero molti esemplari, riprodotti sia fotogra­ficamente, che in stampa a colori.Il Rollini aveva già eseguito nel 1880 il qua­dro che rappresenta Don Bosco inginocchiato davanti alla statua di Maria Ausiliatrice. Sempre del Rollini è anche il quadro di mam­ma Margherita, conservato nel Museo delle camerette. È merito di questo sensibile pitto­re se sono giunti fino a noi il volto e le fattezze della mamma di Don Bosco.

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Il pittore Enrie ebbe l’incarico di eseguire il quadro ufficiale di Don Bosco per la beatifi­cazione. n pittore trasse l’ispirazione della foto frontale a mezzo busto dello Schemboche, ese­guita nel 1880.Lo stile del pittore rispecchia un periodo par­ticolare, quando tutto doveva esprimere po­testà e gravità. Lo sguardo di Don Bosco è troppo serio e il volto è a mala pena raddolci­to dalla presenza dei giovani (angeli) che gli fanno corona. Di conseguenza dal volto di Don Bosco non traspare né la bontà, né la pater­nità che erano le sue espressioni caratteri­stiche.

DB 3,136 Don Bosco del Crida (Torino, 1933)Avvicinandosi l’anno della canonizzazione di Don Bosco, i Superiori maggiori affidarono al pittore Crida di Biella l’esecuzione del quadro ufficiale.Egli, ispirandosi al quadro del Rollini, dipin­se un bel volto del Santo, dolce nello sguardo e amabile nel sorriso, che fu bene accetto sia dalla critica, che dalle masse dei devoti.Il Crida divenne ufficialmente il «pittore di Don Bosco» perché nella sua multiforme atti­vità ha reso viva e popolare nel mondo l’im­magine del Santo.Nella nuova sacrestia della Basilica di M. Au- siliatrice, a Torino, dipinse gli episodi più sa­lienti della vita del Santo dei giovani.

DB 3,137 Boti Bosco del Prof. Caffaro Rore (Torino, 1950)È uno dei pittori viventi che ebbe una produ­zione molto vasta. È autore di 36 dipinti di Don Bosco, disseminati nelle case Salesiane e nelle chiese. Tra questi vogliamo ricordare quello eseguito per conto della direzione Elle Di Ci negli anni ’50 e che si trova ora al Leumann-Torino.E una pittura ad olio su fibra sintetica, di di­mensione 68x88 verticale. Questo ritratto è

DB 3,135 Don Bosco dell’Enrie(Torino, 1929)

stato spesso utilizzato per immaginette e car­toline. Da molti è stato scambiato per una fo­tografìa.Il pittore ci da una immagine di Don Bosco, tecnicamente perfetta e somigliantissima.A conclusione di questa carrellata sulle imma­gini non ci si sazia mai di ammirarlo.«Don Bosco, bastava guardarlo»! (Paul Clodel)

DB 3,138 II monumento a Don Bosco sulla piazza di Maria Ausiliatrice (Gaetano Cellini, Torino 1920)Il monumento a Don Bosco. D 10 settembre del 1911, nel Congresso internazionale degli ex­allievi, al quale parteciparono rappresentan­ti di 22 nazioni, maturò l’idea di erigere a To­rino, sulla piazza Maria Ausiliatrice, un mo­numento alla memoria di Don Bosco, nella ri­correnza del primo centenario della sua na­scita.Il comitato esecutivo bandì un concorso inter­nazionale per il progetto, e venne scelto il pro­getto presentato dallo scultore Gaetano Celli­ni di Ravenna.La sottoscrizione per le spese del monumento trovò largo favore non solo tra gli exallievi di Don Bosco e le exallieve delle Suore di Maria Ausiliatrice, ma anche fra persone di ogni clas­se e di ogni paese.Ma l’immane guerra scoppiata nel 1914 fece ritardare l’inaugurazione, che avvenne solo al­le ore 11 del 23 maggio del 1920, solennità di Pentecoste e vigilia della festa di Maria Ausi­liatrice.Sopra una base di granito di porfido, di Val Camonica, domina la statua in bronzo di Don Bosco in mezzo ai fanciulli.La mite e sorridente figura di Don Bosco è cir­condata da una corona di fanciulli e pare che scherzi con uno di essi, in dolce atto per solle­varlo: simbolo espressivo dell’elevazione mo­rale che fu lo scopo del suo apostolato.Il gruppo di bronzo simboleggia e racchiude la meravigliosa e prodigiosa opera di Don Bosco

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DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE DB/3 Da Valdocco al mondo intero

DALLE UMILI ORIGINI DEI «BECCHI» ALLA GLORIA DEL TEMPIO AL COLLE

(Quarta unità non sonorizzata)

DB 3,1 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: Da Valdocco al mondo intero: Titolo

Y - 1 «BECCHI» - LA CASA DI GIUSEPPE - COLLE DON BOSCO

DB 3,139 L ’antica frazione dei «Becchi»D Comune di Castelnuovo è formato da quat­tro grosse borgate: Bardella, Nevissano, Ra- nello, patria dei Savio, e Morialdo, in cui so­no emigrati i Bosco.La frazione di Morialdo è composta da altri piccoli nuclei abitativi, costituiti a volte da sin­goli casolari sparsi, che prendono spesso il no­me dalle famiglie che per prime vi hanno abi­tato oppure dal mestiere che vi esercitavano. La più famosa di queste sotto-frazioni, al con­fine tra i comuni di Castelnuovo e di Capri- glio, è quella dei Becchi, chiamata così dal co­gnome delle famiglie Bechis.I Bosco, per l’esattezza, si erano stabiliti al «Canton Cavallo», un gruppo di case già abi­tate in precedenza dalle famiglie Graglia, Ca­vallo, Ronco e Bechis.Un pugno di case che dovevano entrare nella storia della Chiesa, come luogo natale di un grande santo.

DB 3,140 I Bosco approdano alla cascina BiglioneGli antenati di Don Bosco, di cui si ha cono­scenza documentata, erano contadini e abita­vano nei dintorni di Chieri, un grosso centro a 15 chilometri da Torino. Non erano proprie­tari, ma massari o mezzadri.I documenti fanno risalire la prima data cer­ta al febbraio 1627, registrando il matrimo­nio di un certo Giovanni Francesco Bosco. Nel Novembre del 1724, un suo diretto discenden­te, Giovanni Pietro, che abitava alla cascina «Croce di Pane», si trasferì nella cascina S. Sil­vestro alle porte di Chieri.Nella prima metà del Settecento il Piemonte fu flagellato da guerre e saccheggi, da care­stie e da epidemie di uomini e di animali. I Bo­sco pagarono duramente.II nonno di Don Bosco, Filippo Antonio, nac­que orfano, perché suo padre morì trenten­ne poco dopo il matrimonio: abbandonato a quattro anni anche dalla madre, che aveva tro­vato un secondo marito, fu allevato da uno zio, che lo adottò.La storia dei Bosco si articola così all’insegna della precarietà, come la storia di tutti i po­veri.Filippo Antonio eredita nel 1763 una parte dei beni di un prozio e vive nella casa del canton Mulino, all’entrata di Castelnuovo, assieme

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alla prima moglie, Domenica Barosso. Ha sei tigli, tre dei quali muoiono molto presto. Nel 1777 rimane vedovo e per far fronte alle ne­cessità della famiglia deve risposarsi: Marghe­rita Zucca, di Morialdo, a 25 anni diviene la sua seconda moglie.Da questo secondo matrimonio nacquero al­tri sei figli, il quinto dei quali, Francesco Lui­gi, sarà il padre di Don Bosco.

DB 3,141 La cascina Biglione fra i vigneti Le difficoltà economiche costrinsero il nonno del Santo ad alienare gran parte dell’eredità avuta. La resa dei terreni rimastigli era scar­sa, complicata dai tempi difficili della guerra contro la Francia, dalla svalutazione della mo­neta e dal rincaro della vita.Filippo Antonio Bosco decise di trasferirsi e trovò una sistemazione discreta a Morialdo, nella cascina Biglione, in qualità di mezzadro. Siamo nel 1793.Impiantati ormai nella terra dei Becchi, i Bo­sco riusciranno per qualche anno a migliora­re le loro condizioni economiche, arrivando persino ad acquistare qualche piccolo appez­zamento.

DB 3,142 La cascina: lato ovestIl nonno e il padre di Don Bosco lavorarono alla cascina Biglione, in regione Castellerò, per 24 anni. Il fondo era costituito da più di 12 ettari di terreno e si stendeva sulla collina che domina la fertile pianura di Morialdo. La ca­scina era una solida costruzione a tre piani, a forma di «L».Si componeva della parte di abitazione civile, generalmente occupata in estate dai proprie­tari, mentre al pian terreno c’erano la cuci­na, la sala da pranzo, la dispensa e di seguito la stalla con sovrastante fienile.

DB 3,143 L ’abitazione dei mezzadriNel braccio più corto, a sud-ovest, vi era l’a­bitazione dei mezzadri. Un corpo di fabbrica semplice, lungo dodici metri e largo 4-5. Po­

che stanze funzionali alle modeste necessità de­gli abitanti.Al pian terreno l’ampia cucina con il grande camino; alla parete ovest la scala interna che portava alle stanze. Nella cucina, da una se­conda porta, si entrava in una altra stanza det­ta «sala».Al piano superiore c’erano due stanze, rispet­tivamente sopra la sala e la cucina, da cui si entrava nella stanzetta dei bambini; più ver­so il fienile vi era un’altra stanza detta dei gar­zoni, o della servitù.Di fianco alla cucina verso la stalla un ripo­stiglio, con uscio che dava accesso alla scala per scendere nella cantina sotterranea.In questa abitazione il papà di Don Bosco mo­rirà in conseguenza di una polmonite contratta scendendo in cantina, ancora accaldato dai la­vori dei campi.

DB 3,144 Ancora una veduta di casa BiglioneLe testimonianze relative al soggiorno dei Bo­sco alla cascina sono numerose e incontrover­tibili.— Se ne parla nel primo volume delle Memo­rie Biografiche (pag. 35) dove si dice: «Fran­cesco Bosco cessava di vivere all’età di 34 an­ni, non ancora compiuti, l’i l maggio 1817, in una stanza della masseria Biglione».— Don Bosco stesso nelle Memorie dell’Ora- torio narrando la morte del padre, racconta un episodio che gli rimase impresso: «Mia ma­dre aveva tolto dalla camera del defunto un recipiente nel quale stavano delle uova e della crusca».Don Molineris in «Don Bosco inedito» (pag. 30) così commenta: «Segno che lì c’era la di­spensa e perciò lì doveva vivere tutta la fami­glia».Il fatto è anche narrato nella stessa pagina del­le Memorie Biografiche citata sopra.— C’è inolttre una citazione giudiziaria in cui la mamma di Don Bosco viene accusata da Al­berto Biglione di condurre male il fondo, do­po la morte del marito (Contadini e cascinali, pag. 101).

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— Di casa Biglione si fa cenno anche nel te­stamento dettato al notaio Montalenti dal pa­dre del Santo l’i l maggio 1817, alle cinque po­meridiane.

DB 3,145 II Cantori CavalloAi tempi di Don Bosco, il Canton Cavallo si presentava così. Quattro case per quattro fa­miglie, situate 150 metri più in basso della ca­scina Biglione, sulla collina dei Becchi.La casa più grande, seminascosta dalla vege­tazione, era abitata da Francesco Graglia. Più a est c’era l’abitazione di Carlo Cavallo, che aveva un muro divisorio in comune con un fabbricato poverissimo, nel quale i Bosco an­darono ad abitare l’i l novembre del 1817. Più a levante c’erano le abitazioni delle famiglie Bechis e Ronco.Una ventina di metri più a sud c’era il forno, dove le famiglie si recavano per cuocere il pa­ne. Sarà demolito nel 1929, per fare posto al­la nuova strada che saliva alla casetta di Don Bosco.

DB 3,146 II documento di acquisto1816-1817: due annate cattive.H papà di Don Bosco è in difficoltà per con­durre avanti la mezzadria. Anche per i proi- prietari della cascina le cose non vanno bene e si dice che vogliano vendere. Francesco Bo­sco tenta il primo passo dell’indipendenza e acquista a credito un corpo di fabbrica molto mal messo, poco distante dalla cascina Biglio­ne: ha trent’anni ed è nel pieno delle forze: il debito contratto è obiettivamente sostenibi­le e ci sono tutti i presupposti per tirare fuori la famiglia dalle difficoltà. Ma cinque mesi do­po aver firmato l’atto di acquisto, dovrà fare testamento (Archivio di Stato di Asti, atti 1814-1819, voi. 150, pag. 28, notaio Candido Ansaldi).Nell’atto di acquisto, la casetta è così descrit­ta: «composta di stalla e erotta e fenéra supe­riore dall’alto in basso» (Cascinale e contadini, p. 88). Poco più che un tugurio, nel quale don Bosco trascorrerà la sua infanzia di orfano.

La cascina Biglione cambia proprietari: pri­ma i Chiardi poi i Damevino, che la amplia­no. Altre varianti vengono apportate per ren­derla più funzionale: un nuovo portone di ac­cesso, nuovi portici o «travà» per la raccolta e la trebbiatura del frumento, nuove stanze nella zona dei massari e ampliamento della cantina.

DB 3,148 II testamento di FrancescoDue sono i principali documenti relativi alla morte di Francesco Bosco: Il testamento re­datto dal notaio Carlo Giuseppe Montalenti: «L’anno del Signore 1817, agli otto di mag­gio, ore cinque pomeridiane in casa del signor Biglione abitata dall’infrascritto testatore nella regione del Monastero... ed alla presenza de­gli infrascritti testimoni... ha reso il presente suo testamento».Il racconto diretto dell’avvenimento scritto da Don Bosco: «fi primo fatto della vita di cui ten­go memoria è che tutti uscivano dalla camera del defunto e io invece voleva assolutamente rimanere.— Vieni, Giovanni, vieni meco — ripeteva l’addolorata genitrice.— Se non viene papà, non ci voglio andare — risposi.— Vieni invece. Tu non hai più padre.Ciò detto ruppe in forte pianto, mi prese per mano e mi trasse altrove, mentre io piangevo perché ella piangeva».Un’esperienza fondamentale, che consentirà a Giovanni Bosco di partecipare sempre con molta intensità alle sofferenze dei suoi ragaz­zi e di tutti i poveri che avrà modo di incon­trare.

DB 3,149 L ’adattamento fatto eseguire da Mamma MargheritaL’umilissima casa che Francesco, 0 papà, comperò da Francesco Graglia, nel 1817, non era una casa di abitazione, ma un povero fab­bricato, un ripostiglio ad uso deposito e can-

DB 3,147 La cascina sotto la neve

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tina. Era ed è rivolta a nord senza mai essere scaldata dal sole, salvo brevissima ora al mat­tino e alla sera nella piena stagione estiva. All’atto dell’acquisto era in condizioni tali che Francesco Bosco aveva già preventivato alcu­ni adattamenti. Mamma Margherita farà ac­celerare questi lavori per potervi entrare. La fattura del muratore registra un costo di lire 60, molto più del valore di acquisto dell’im­mobile.A seguito delle modifiche apportate, la «erot­ta» divenne cucina con focolare, la stalla con­servò la sua funzione; al primo piano furono ricavate due stanze da letto: una per la mam­ma di Don Bosco e la suocera; l’altra per i fi­gli. Vi si accedeva dalla scala esterna.Di fianco alla stalla rimase aperto un discreto vano, adibito a ripostiglio: la «fenèra», a ovest della cucina, rimase tale e quale.Questa è la prima foto di quella che è ormai conosciuta in tutto il mondo come la «casetta dei Becchi», impropriamente ritenuta casa na­tale di Don Bosco.

DB 3,150 Foto della povera casetta dei Bosco D 13 novembre mamma Margherita entra nel­la nuova casa: al dolore per la scomparsa del marito si aggiungono le preoccupazioni eco­nomiche. Rinuncia alla mezzadria e decide di vivere sulla poca terra ereditata, con un pe­sante fardello di debiti cui far fronte: 504 lire per l’acquisto e la sistemazione della nuova ca­sa e per le derrate alimentari. I Biglione le in­tentano anche causa, accusandola di scarsa conduzione del fondo a lei affidato, come se siccità, brina e carestia potessero essere im­putate alla sua responsabilità.

DB 3,151 Scene di vita Rurale La vita contadina di quei tempi era scandita dalla fatica e dall’incertezza. Una vita dura, che Margherita Occhiena affronta con deter­minazione, fidandosi della Provvidenza e im­pegnando tutte le sue forze nel lavoro.In alcuni momenti la povertà rasenta la mise­

ria e la fame si presenta sulla porta di casa, ma per quella fantasia che caratterizza spes­so le scelte dei poveri, mamma Margherita non solo riesce sempre a venirne fuori ma è anche disponibile a condividere quel niente che pos­siede con altri che hanno meno mezzi di lei. Giovannino passa la sua infanzia così, tra la­voro e fede, guidato da una madre cui la po­vertà non sottrae intelligenza e saggezza nel­l’educazione dei figli, impegnati giovanissimi nel lavoro dei campi.

DB 3,152 La fontana del Canton Cavallo Testimone ormai scomparsa di quei tempi era questa fontana, cui la gente dei Becchi anda­va ad attingere acqua per sé e per gli animali. Coperta durante i lavori di sterro per la co­struzione del tempio, nel 1958, questa fonta­na è la protagonista di un sogno di Don Bo­sco, di cui le Memorie Biografiche danno no­tizia. «Don Bosco sognò di essere ai Becchi. Sua madre con un secchiello in mano stava presso la sorgente e ne toglieva l’acqua spor­ca, che versava nel mastello. Quella sorgente prima aveva dato sempre acqua purissima; quindi si stupiva, non sapendo come spiegare la cosa» (MB XVIII pag. 27-28).

DB 3,153 La casetta dei Becchi acquistata dai SalesianiProprietari della casetta divennero Antonio, fratellastro di Don Bosco, e Giuseppe, suo fra­tello.Antonio ebbe due figli: Francesco che imparò il mestiere di falegname presso lo zio, Don Bo­sco, e Giovanni che era soprannominato «ca- pot», cioè capo squadra dei giornalieri che an­davano a lavorare nelle cascine circostanti. Antonio morì, quasi improvvisamente, all’e­tà di 41 anni.I nipoti di Don Bosco cedettero ai Salesiani, in più riprese e con modalità diverse, sia la casetta dei Becchi che la casa costruita da Giu­seppe, fratello di Don Bosco, per la sua fa­miglia.

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Dopo l’acquisto di casa Cavallo (1919) e casa Graglla (1920), i Salesiani sistemarono pro­gressivamente i vari locali.Nel giugno 1921 vennero abbattute le stalle a sud e il portico appoggiato alla sacrestia. Nel 1922 tutto era pronto per accogliere un grup­po di Salesiani e di giovani. In nessun altro luogo, infatti, una comunità Salesiana avreb­be potuto testimoniare meglio la grandezza del Fondatore e la sua opera educativa.

DB 3,155 La cucina dei BecchiLa casa dei Becchi è diventata un simbolo. Per i figli di Don Bosco essa resta sempre la «casa madre», la capostipite di tante altre co­struzioni, ben più grandi e prestigiose, in cui però lo stile familiare deve essere rispettato e in cui il servizio ai giovani poveri e abbando­nati resta l’impegno principale.Per i fedeli, che qui convengono da ogni par­te del mondo, la casa dei Becchi è un docu­mento tangibile della promessa evangelica se­condo la quale è sui poveri e sui deboli che Dio punta le sue carte per portare avanti la storia della salvezza.

DB 3,156 La scala esternaLa scala esterna, che portava alle camerette della povera famiglia, ricorda passi premurosi e passi stanchi di fatica.La suocera di mamma Margherita, semi pa­ralizzata, aveva bisogno di cure e di attenzio­ni e bisognava salire e scendere in continua­zione.Su questi gradini Giovannino Bosco si è alle­nato, prima di intraprendere il lungo viaggio che lo avrebbe portato, con passo sicuro, a percorrere tutte le strade del mondo per cer­care i giovani cui offrire proposte educative e impegni di fede.

DB 3,157 II soffittodella stanza di mamma MargheritaQuesto soffitto della camera di mamma Mar­gherita non è certo quello che la giovane ve­

DB 3,154 La casa fatta riparare dova ha fissato nelle notti di preoccupazione e di dolore. Restaurato dai Salesiani, dopo l’acquisto della casetta, conserva comunque il -segno della povertà iniziale e rievoca storie, cui la nostra memoria non è più abituata.

DB 3,158 La stanza del sognoQuattro metri per due e venti. Altezza del sof­fitto variabile da due metri a uno e quaranta. La luce proviene da una finestrella minuscola. Questa è la stanza del sogno dei nove anni, un racconto essenziale nella letteratura salesiana, che ad esso attribuisce il significato dell’intui­zione originaria di tutta l’opera di Don Bosco. Certo è che per parlare Dio non ha bisogno di scegliere ambienti confortevoli; e in tutti i casi, per elaborare progetti di vita grandi e im­pegnativi, non occorrono stanze spaziose e sof­fitti importanti.Basta intuire, attraverso una finestrella, che esiste un pezzo di cielo per ricavarne che la vita dell’uomo non ammette confini.

DB 3,159 II fienileIl fienile. La ristrutturazione ha diviso il va­no in due parti, ma ai tempi di mamma Mar­gherita il vano era aperto dall’alto in basso. Vi si accedeva all’esterno con una scala a pio­li. Una palestra ideale per il futuro saltim­banco.

DB 3,160 La stallaLa stalla è l’unico ambiente della casetta dei Becchi ad aver conservato la struttura origi­nale. Sotto le scrostature dell’intonaco è pos­sibile vedere il mattone crudo, usato all’epo­ca nella costruzione delle case di campagna. Non è una grande stalla e poteva ospitare al massimo due mucche e due vitelli. Mamma Margherita, rinunciando alla mezzadria, si era tenuto il bestiame necessario per far fronte alle prime necessità.

DB 3,161 II pollaio sotto la scalaPiccolo è anche il pollaio, sotto la scaletta. Non c’era molto da scialare nemmeno su questo

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fronte tradizionale dell’economia contadina. Assieme alle galline, i Bosco allevavano coni­gli e tacchini che andavano a vendere alla fie­ra di san Bernardo a Buttigliera (MB 1, 78-82).Giovannino Bosco, a cinque anni, faceva già il pastore di tacchini e dovette imparare in fretta a difendere la sua piccola proprietà dai malintenzionati che circolavano nella zona.

DB 3,162 La casetta dell’infanzia Oggi la casetta dei Becchi, ristrutturata nel 1929 in occasione della beatificazione del San­to, resta il racconto più immediato e signifi­cativo della vita di una famiglia straordinaria. Una famiglia come ce n’erano tante a quei tempi, di cui si sarebbe perso memoria se non fosse stata scelta per un grande progetto. Non è facile cogliere il nesso tra queste mode­ste premesse e la grandiosità dell’opera rea­lizzata da Don Bosco; eppure qui sono stati po­sti i pilastri di un progetto di costruzione uma­na che ha fatto storia.Si tratta dei valori della famiglia, della pover­tà, della fede, dell’amorevolezza, del servizio e del lavoro. Se fu merito di Don Bosco aver enucleato tutte le potenzialità di cui questi va­lori umani e cristiani sono portatori, si deve alla sua terra e all’ambiente culturale in cui egli è vissuto il merito di averglieli proposti con una genuinità e una freschezza tali da farglie­li amare per sempre.

DB 3,163 II ritratto di GiuseppeGiuseppe, fratello di Don Bosco, più vecchio di lui di due anni, nacque dal secondo matri­monio di Francesco Bosco con Margherita Oc- chiena, il 18 aprile 1813.Uomo della terra, non sapeva né leggere né scrivere, ma la sua saggezza era universalmen­te riconosciuta e a lui la gente si rivolgeva per avere consigli e risolvere problemi.Per lui la fede era l’anima della vita, e la tra­duceva in generosità e in dedizione alla sua fa­miglia.Molto legato al fratello sacerdote, Giuseppe

non tralasciava occasione per aiutarlo econo­micamente: si faceva questuante per lui e rac­coglieva nei dintorni dei Becchi tutto quello che riusciva per mandarlo a Torino, dove Don Bosco sudava le proverbiali sette camicie per far quadrare il pranzo con la cena dei suoi ra­gazzi.Disposto a rinunciare anche alle migliorie della sua attività agricola, quando vedeva Don Bo­sco in difficoltà gli dava tutto quello che ave­va. A Torino ci veniva abbastanza spesso, an­che per trovare la mamma, e i giovani dell’O- ratorio ne erano entusiasti: invitato da Don Bosco, dava loro qualche volta la «buona not­te», parlando nel dialetto della sua terra. Nel 1856, mentre è a Torino in visita alla mamma, si prende una brutta polmonite. Don Bosco con grande tenerezza gli dice: «Ascol­ta, mio caro Giuseppino, voglio che importu­niamo tanto la Madonna da indurla a farti guarire». Il giorno dopo Giuseppe è fuori pe­ricolo.Morì ancora giovane, a 49 anni, circondato dai figli. Siamo nel 1862.

DB 3,164 La casa di Giuseppe Dopo la divisione dei beni (1830), voluta da mamma Margherita per evitare le tensioni con il figliastro Antonio, Giuseppe prese a mezza­drìa la cascina Sussambrino e vi rimase per nove anni. Ventenne, si sposò con Maria Ca- losso.Durante le vacanze, mamma Margherita e Don Bosco facevano spesso e volentieri la spola tra i Becchi e il Sussambrino.Nel 1839 Giuseppe decide di costruirsi una ca­sa tutta per sé, più adatta alle esigenze della famiglia. Con risparmi e prestiti, a pezzi e boc­coni, riesce a mettere insieme la casa e una pic­cola proprietà. Si stabilisce così definitivamen­te ai Becchi, vicino all’abitazione del fratella­stro Antonio.Nella casa di Giuseppe, Don Bosco trascorre­va con i suoi giovani il periodo di vacanza au­tunnale. Giuseppe provvedeva a tutto e non accettò mai nessun rimborso delle spese.

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DB 3,165 II quadro di mamma Margherita (Rollini)La mamma di Don Bosco, Margherita Occhie- na, era nata a Capriglio il 1° aprile 1788. Nel 1812 si sposò con Francesco Bosco, rimasto ve­dovo con un figlio.Una donna forte ed equilibrata che le avver­sità della vita non sono mai riuscite a piegare. Aveva appena cominciato a godersi il risulta­to delle sue fatiche, in casa del figlio Giusep­pe, attorniata dall’affetto di tutti, quando Don Bosco le fece la proposta di andare con lui a vivere a Valdocco.Mamma Margherita aveva detto a Giovanni appena ordinato sacerdote: «Se diverrai ric­co non verrò mai più a trovarti». Don Bosco, agli inizi della sua opera, era povero ed è sem­pre rimasto tale. Pertanto aveva e sempre bi­sogno di una mano: pensava soprattutto chei suoi ragazzi avessero bisogno di una presen­za materna. Ricordò alla mamma la promes­sa di un tempo.Mamma Margherita non seppe dire di no al­la richiesta del figlio. Abbandonò una casa in cui era madre e regina e i l 3 novembre 1846 si lanciò all’avventura con il figlio sacerdote. Dai Becchi a Torino a piedi. Dovevano asso­migliare a due poveri pellegrini, se il teologo Viola, incontrandoli, si sentì obbligato a re­galare loro il suo orologio non avendo con sé, sul momento, denaro.Mamma Margherita visse all’oratorio dieci anni e furono di nuovo anni di lavoro, di po­vertà, di preghiere e di preoccupazioni. L’af­fetto dei ragazzi la ricompensa di tutto. Morì all’oratorio il 25 novembre 1856.

DB 3,166 Lettera di Don Bosco al nipote FrancescoNei confronti dei suoi parenti e familiari Don Bosco mantenne sempre un atteggiamento af­fettuoso e cordiale, senza mai però dimenti­care che la sua vera famiglia erano i giovani, cui era stato chiamato a dare tutto se stesso. Questa è una delle rarissime lettere familiari,

scritta da Don Bosco al nipote Francesco, un mese prima di morire. Lo pregava di venirlo a trovare, perché ha bisogno di parlargli.

DB 3,167 Camera di Don Bosco nella casa di GiuseppeQuando Don Bosco si recava ai Becchi, il fra­tello Giuseppe gli riservava una cameretta molto modesta, arredata con un letto fornito di pagliericcio e coperta, con un comodino e relativa lucerna a petrolio e con un divano. Po­vertà pari alla semplicità.Della povertà dei suoi parenti Don Bosco si gloriava e non fece mai nulla per migliorare le loro condizioni economiche, dicendo che tut­to ciò che la Provvidenza gli inviava era per1 suoi giovani e per questo fine egli lo doveva attentamente amministrare.

DB 3,168 La scrivania di Don BoscoSempre nella casa di Giuseppe, è conservata una specie di rustica scrivania, che serviva a Don Bosco durante le vacanze. È un mobile grezzo, fornito di tre cassetti e piano ribalta­bile.Una lampada e qualche libro erano tutto il ma­teriale occorrente al Santo per scrivere, nelle ore libere, quei suoi libri destinati all’istruzio­ne e alla formazione cristiana del popolo.

DB 3,169 La cappella del RosarioCon il consenso di Don Bosco, Giuseppe ave­va costruito nel fianco a ponente della sua ca­sa una minuscola cappella, n calice, il messale e le pianete adoperate da Don Bosco nelle funzioni sacre sono ancora conservate, a testimonianza di una fede che non aveva bisogno di ricchi paludamenti per esprìmersi.Ogni anno, fino al 1869, Don Bosco veniva qui con i più meritevoli dei suoi giovani, a cele­brare la festa della Madonna del Rosario. 02 ottobre 1854 ci venne per la prima volta an­che Domenico Savio.

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L’interno della cappella è stato restaurato da Don Rua.Inaugurata P8 ottobre 1848, la chiesetta è un prezioso documento storico: è il primo santua­rio mariano voluto da Don Bosco ed è la testi­monianza privilegiata deU’inizio della Congre­gazione Salesiana: qui i primi due chierici Sa­lesiani ricevettero l’abito talare. Erano Don Michele Rua e Don Rocchietti. È il 3 ottobre 1852.

DB 3,171 Stanza con il frumento Una delle camere a nord, in cima alla scala, era adibita a granaio. Un granaio da poco, se si pensa che le esigenze di una famiglia come quella dei Bosco, potevano essere soddisfatte da 5-6 sacchi di frumento all’anno. Lo si libe­rava dalla pula con il setaccio, lo si misurava con l’emina e lo si insaccava con una pala di legno.Quando arrivavano i «birichin» di Don Bosco, il frumento veniva ammucchiato, si buttava­no a terra dei sacconi di foglie e se ne ricava­va un dormitorio. Il sonno, dopo certe cam­minate, veniva comunque.

DB 3,172 II solaio della casaDon Bosco contribuì alle spese per il miglio­ramento abitativo del solaio, che fu alzato e fornito di ampi abbaini per la ventilazione. All’inizio i giovani dormivano sul «pajùn», co­stituito da fieno o foglie di granoturco, su cui essi buttavano le coperte che si portavano da Torino; poi andavano a dormire sul fienile, scavandosi nel fieno delle nicchie calde e mor­bide. Una sistemazione ideale.

DB 3,173 La madia del pane Nella casa di Giuseppe, si conservava ancora la madia che mamma Margherita usava per impastare il pane per tutta la famiglia. In es­sa si metteva la farina a lievitare, poi la si im­pastava e la si portava al forno per la cottura. Nasceva così quel pane buono e bianco che

DB 3,170 L ’interno della cappella del Rosario Giovannino scambiava con il pane nero del­l’amico Matta e fu questo pane, accompagnato da una bottiglia di buon vino barbera, che ri­mise in piedi il chierico Giovanni Bosco, gra­vemente ammalatosi nel seminario di Chieri. Glielo portò sua madre, con l’intuizione clas­sica della mamma che di figli se ne intende, e Giovanni Bosco mangiò, beve, fece un buon sonno e si alzò guarito.

DB 3,174 Tavolo fatto dal chierico Bosco

C’è un tavolo, anclfesso conservato nella ca­sa di Giuseppe, che ha una sua storia: fu in­fatti costruito da Don Bosco, nel periodo in cui andava in vacanza al Sussambrino. Giovanni si era attrezzato un piccolo stanzi­no dotato di ferri da falegname e da fabbro per aggiustare attrezzi agricoli. Sfruttando il mestiere imparato a Castelnuovo e a Chieri dal Barzocchino, eseguì quel tavolo.

DB 3,175 La borgata dei Becchi oggiDopo la partenza delle famiglie Graglia, Ca­vallo, Bechis e Ronco, la borgata dei Becchi oggi è costituita da sei famiglie, che continua­no la tradizione agricola dei loro antenati. Tra il 1919 e il 1920 le famiglie delle origini, contemporanee ai Bosco, traslocarono. A rac­contare del vecchio Canton Cavallo rimango­no solo la casetta di mamma Margherita e la casa di Giuseppe. La casa di Antonio fu de­molita per costruirvi il tempietto a Maria Au- siliatrice.

DB 3,176 II prato del sogno

C’era vicino alla casetta un praticello nel quale i fratellini Bosco portavano al pascolo la muc­ca. Nella storia salesiana è conosciuto come il «prato del sogno», perché si tratta di una lo­calità che ricorre spesso nei sogni di Don Bosco.E su questo prato che si sono radunati quei giovani del sogno dei nove anni. Nel 1841, ri­tornando a casa sua, dopo aver celebrato la prima messa nella festa del Corpus Domini as­sieme ai suoi compaesani, Don Bosco rivede

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quel prato e non riesce a frenare le lacrime, pensando: «Quanto mai sono meravigliosi i di­segni della Divina provvidenza. Dio ha vera­mente tolto dalla terra un povero fanciullo per collocarlo con i primari del suo popolo».

DB 3,177 H pilone del sognoA ricordo della beatificazione di Don Bosco,il 2 giugno 1929, nel prato fù eretto un ele­gante pilone, dipinto dal pittore Crida. Vi è illustrato il sogno dei nove anni.«A quell’età ho fatto un sogno, che mi rimase profondamente impresso nella mente per tut­ta la vita. Nel sonno mi parve di essere vicino a casa, in un cortile assai spazioso, dove sta­va raccolta una moltitudine di fanciulli, che si trastullavano. Alcuni ridevano, altri giuo- cavano, non pochi bestemmiavano. All’udire queste bestemmie mi sono subito lanciato in mezzo di loro, adoperando pugni e parole per farli tacere. In quel momento apparve un uo­mo venerando, in virile età, nobilmente vesti­to. Un manto bianco gli copriva tutta la per­sona; ma la sua faccia era così luminosa, cheio non potevo rimirarlo. Egli mi chiamò per nome e mi ordinò di pormi alla testa di quei fanciulli, aggiungendo queste parole: — Non colle percosse, ma colla mansuetudine e colla carità dovrai guadagnare questi tuoi amici. Mettiti adunque immediatamente a fare loro un’istruzione sulla bruttezza del peccato e sul­la preziosità della virtù —.Confuso e spaventato soggiunsi che io era un povero ed ignorante fanciullo, incapace di par­lare di religione a quei giovanetti. In quel mo­mento quei ragazzi cessando dalle risse, dagli schiamazzi e dalle bestemmie, si raccolsero tutti intorno a colui che parlava.Quasi senza sapere che mi dicessi: — Chi sie­te voi, soggiunsi, che mi comandate cosa im­possibile?— Appunto perché tali cose ti sembrano im­possibili, devi renderle possibili coll’ubbidien­za e coll’acquisto della scienza.— Dove, e con quali mezzi potrò acquistare la scienza?

— Io ti darò la maestra, sotto alla cui disci­plina puoi diventare sapiente, e senza cui ogni sapienza diviene stoltezza».

DB 3,178 Particolare— Ma chi siete voi, che parlate in questo modo?— Io sono il figlio di colei, che tua madre ti ammaestrò di salutar tre volte al giorno.— Mia madre mi dice di non associarmi con quelli che non conosco, senza suo permesso; perciò ditemi il vostro nome.— Il mio nome dimandalo a mia madre —. In quel momento vidi accanto di lui una don­na di maestoso aspetto, vestita di manto, che risplendeva da tutte le parti, come se ogni pun­to di quello fosse una fulgidissima stella. Scor­gendomi ognor più confuso nelle mie diman- de e risposte, mi accennò di avvicinarmi a lei, che presomi con bontà per mano: — Guarda— mi disse. Guardando mi accorsi che quei fanciulli erano tutti foggiti, ed in loro vece vi­di una moltitudine di capretti, di cani, di gat­ti, orsi e di parecchi altri animali. — Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile, forte, robusto; e ciò che in questo mo­mento vedi succedere di questi animali, tu do­vrai farlo pei figli miei —.Volsi allora lo sguardo, ed ecco invece di ani­mali feroci apparvero altrettanti mansueti agnellini, die tutti saltellando correvano attor­no belando, come per fare festa a quell’uomo e a quella signora.A quel punto, sempre nel sonno, mi misi a piangere e mi svegliai.

DB 3,179 II prato dei giochiA una ventina di metri della casa i Bosco pos­sedevano un secondo prato nella scarpata della collina, rivolta verso la Serra di Capriglio. Nel 1929 anche nel prato dei giochi venne eret­to un pilone che illustra poeticamente l’episo­dio: Don Bosco narra nelle M.O.:«Ai Becchi avvi un prato, dove allora esiste­vano diverse piante, di cui tutto ora sussiste un pero martinello, che in quel tempo mi dava

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molto aiuto. A questo albero attaccava una fu­ne, che andava a rannodarsi ad un altro, a qualche distanza; di poi un tavolino colla bi­saccia; indi un tappeto a terra per farvi sopra i salti. Quando ogni cosa era preparata ed ognuno stava ansioso di ammirare novità, al­lora li invitava tutti a recitare la terza parte del Rosario, dopo cui si cantava una lode sacra.Finito questo, montava sopra la sedia, faceva la predica, o meglio ripeteva quanto mi ricor­dava della spiegazione del vangelo udita al mattino in chiesa; oppure raccontava fatti od esempi uditi o letti in qualche libro. Termi­nata la predica, si faceva breve preghiera, e tosto si dava principio ai trattenimenti».

DB 3,180 II pilone dei giochi

A fare il saltimbanco Giovannino non solo riu­sciva, ma anche gli piaceva. Eccezionale in­vece la sua decisione di adoperare questa sua capacità come mezzo di apostolato e di comu­nicazione.«Spesso sui mercati e sulle fiere vi erano ciar­latani e saltimbanchi che io andavo a vedere. Osservando attentamente ogni loro più piccola prodezza, me ne andavo poi a casa e mi eser­citavo fino a tanto che avessi imparato a fare altrettanto. Immaginatevi le scosse, gli urti, gli stramazzoni, i capitomboli cui ogni momen­to andava soggetto. Ad undici anni io facevo i giochi come un saltimbanco di professione. Nella bella stagione, specialmente nei giorni festivi, si radunavano quelli del vicinato e non pochi forestieri».

DB 3,181 Particolare

«In quel momento voi avreste veduto, l’ora­tore divenire un ciarlatano di professione. Fa­re la rondinella, il salto mortale, camminare sulle mani col corpo in alto; poi cingermi la bisaccia, mangiare gli scudi per andarli a ri­pigliare sulla punta del naso dell’uno o dell’al­tro; poi moltiplicare le palle, le uova, cambiare l’acqua in vino, uccidere e fare in pezzi un pol­lo e poi farlo risuscitare e cantare meglio di

prima, erano gli ordinari trattenimenti. Sul­la corda poi camminava come per un sentie­ro; saltava, danzava, mi appendeva ora per un piede, ora per due; talora con ambe le ma­ni, talora con una sola. Dopo alcune ore di questa ricreazione, quando io era ben stanco cessava ogni trastullo, facevasi breve preghie­ra ed ognuno se ne andava pe’ fatti suoi. Da queste radunanze erano esclusi tutti quelli che avessero bestemmiato, fatto cattivi discorsi, o avessero rifiutato di prendere parte alle pra­tiche religiose».

DB 3,182 La chiesa di Maria AusiliatriceIl Santuario di Maria Ausiliatrice, eretto ai Becchi, è stato voluto dal secondo successore di Don Bosco, Don Albera. La posa della pri­ma pietra è del 16 agosto 1915, contenario del­la nascita di Don Bosco e dell’istituzione della festa liturgica dell’Ausiliatrice.Sull’Europa incombe il dramma della guerra eil tempio nasce come una proposta di pace: tut­ti i bambini del mondo sono invitati a inviare le loro offerte e sono essi i protagonisti dell’o­pera, mentre i loro padri combattono su tutti i fronti. Le bandiere che corrono sotto lo spio­vente del tetto e si allacciano dietro la statua della Madonna, stanno a ricordare questa co­ralità giovanile, che chiede pace e futuro ad un mondo stravolto dagli odi e dalle passioni.Il progetto è dell’architetto Giulio Valotti, sa­lesiano. La statua di Maria Ausiliatrice, nella nicchia posta sull’aitar maggiore, è una pre­gevole opera di scultura della scuola salesia­na di Barcellona.La chiesa gode dei privilegi spirituali delle Ba­siliche ed è stata consacrata al pubblico il 2 agosto 1918.

DB 3,183 Antica veduta del Canton Cavallo

Fino al 1920 «Canton Cavallo» si presentava così con le case dei Bechis, dei Graglia, dei Ronco e dei Cavallo circondate da alberi da frutta e vigneti. Il panorama è movimentato dal campanile della chiesa di Maria Ausilia­trice, da poco costruita.

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Visto dalla collina del Berteu, Canton Caval­lo ripropone tutta la suggestione del paesag­gio astigiano.Dietro la casa di Giuseppe si trovava la mo­desta vigna che costituiva il patrimonio eccle­siastico per il chierico Bosco, condizione vin­colante per poter accedere agli ordini sacri, secondo la tradizione del tempo.Al centro della foto la sacrestia del santuarietto di Maria Ausiliatrice. Più avanti tra la mac­chia verde di piante vi era la fontana della bor­gata. Sul punto più alto della collina, è anco­ra visibile la cascina Biglione.

DB 3,185 II Colle: I Becchi, cascina Biglione-Damevino, l ’istituto Bernardi SemeriaIl complesso della collina con le costruzioni an­tiche e recenti è stato chiamato «Colle Don Bosco».Con l’acquisto di terreni e case si venne in pos­sesso, senza saperlo, del luogo e della casa do­ve era nato Don Bosco, la «cascina Biglione». Si seppe di questa coincidenza soltanto nel 1972, in seguito a documenti trovati negli ar­chivi di Stato di Asti, quando il tempio era già progettato e in parte realizzato.La «cascina» domina ancora nel centro della foto, con le due torri del grandioso Istituto, appena visibile.

DB 3,186 L ’Istituto e la cascina Biglione-Damevino L’Istituto Bernardi Semeria, che fino al 1940 dominava sulla vecchia cascina, si è imposto nella regione come un prestigioso centro di for­mazione e istruzione professionale.Sulla terra natale di Don Bosco era giusto che i suoi figli si impegnassero con un istituto tra i più tipici della tradizione Salesiana e in un servizio educativo che mettesse in risalto la fe­lice intuizione pedagogica del loro Fondatore.

DB 3,187 II Colle senza la cascinaDon Bosco aveva capito che la società euro­pea si stava evolvendo verso nuovi compiti e

DB 3,184 II Cantori Cavallo visto dal «Berteu» nuovi modelli di vita. D futuro esigeva giova­ni preparati ad affrontare i problemi della pri­ma industrializzazione con competenza pro­fessionale e preparazione umana. Dalla scuo­la grafica del «Colle Don Bosco» sono usciti a centinaia i Salesiani laici che si sono impe­gnati in tutto il mondo per formare i giovani a questi nuovi compiti.

DB 3,188 L ’Istituto Bernardi SemeriaSorto per volontà di Don Pietro Ricaldone, quarto successore^ di Don Bosco^ l’istituto è la realizzazione di un sogno che Don Bosco fece in compagnia di sua madre, e che egli stesso narrò a Don Lemoyne e al chierico Festa il 1° marzo 1886. Sognò di essere ai Becchi. Sua madre con un secchiello in mano stava presso la sorgente e ne toglieva l’acqua sporca, che versava nel mastello. Quella sorgente prima aveva sempre acqua purissima; quindi si stu­piva, non sapendo come spiegare la cosa. —Aquam nostram pretio bibimus, disse allora mamma Margherita... e poi continua il discor­so con il figlio...Quindi lo condusse dietro la fontana in un luo­go elevato, donde si distinguevano Caprìglio e le sue borgate e le borgate di Buttigliera e Buttigliera stessa e più altre borgate sparse qua e là, e additandogliele disse:— Che differenza c’è fra questi paesi e la Patagonia?— Ma, rispose, io vorrei, se potessi, fare del bene qui e bene là.— Se è così, va bene, replicò mamma Mar­gherita.Allora gli parve che la madre se ne andasse ed egli si svegliò. Dopo il racconto fece questa osservazione: — Il posto nel quale mi condus­se mia madre, è molto adatto per farvi qual­che opera, essendo centralè fra molte e molte borgate che non hanno chiesa alcuna {MB 18 pag. 27-28).

DB 3,189 L ’Istituto e lo spiazzo antistanteAvvicinandosi la beatificazione di Don Bosco, i Superiori di quel tempo (1929) avevano de-

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ciso di erigere un istituto e di costruire un tem­pio al Santo della gioventù.Non essendo possibile acquistare terreno a nord della casetta, si dovette accettare l’offerta di Alessandro Damevino, che metteva in ven­dita la cascina già Biglione con i terreni adia­centi, che Don Bosco aveva previsto proprio qui, come si deduce dal sogno da lui fatto nel 1886.Ancora una volta profezia e realtà si sono in­contrate, con quella scadenza da cui tutta la vita del Santo dei giovani è stata segnata.

DB 3,190 L ’Istituto e il nuovo Tempio a Don BoscoLa spettacolare veduta area del «Colle Don Bo­sco» ci offre il giusto punto di osservazione per cogliere il senso profondo di questi luoghi e della storia che in essi è stata vissuta.Solo la fede ha la capacità di trasformare in miracolo il dolore e la fatica, la vedovanza e la morte.C’era un orfano, figlio di orfano, che un gior­no camminava per queste colline alla ricerca di lavoro, di protezione, di mezzi per poter crescere, studiare, realizzare il suo sogno. Lo hanno capito solo i poveri. Per gli altri era un illuso, un sognatore.

DB 3,191 La mappa del Tempio e della cascina BiglioneEppure, ieri come oggi, il mondo aveva biso­gno di sognatori più che di guerrieri e di poli­tici.Ed è emozionante notare quante coincidenze si creano, quante linee convergono nel dise­gno da tutti creduto impossibile: il luogo del­la nascita di Don Bosco mai ricercato a fon­do, viene finalmente scoperto, e su di esso è già costruito il tempio della sua gloria.Nella diapositiva le mappe della cascina Biglio­ne coincidono con le mappe del nuovo tempio nel luogo dove nacque Don Bosco.

Questa imponente struttura può forse appa­rire una cattedrale nel deserto, ma è proprioil deserto il luogo in cui Dio si fa sentire ai suoi figli più amati.La grandiosità delle dimensioni celebra degna­mente l’evento: 70 metri di lunghezza, 37 me­tri di larghezza, una cupola di 16 metri di dia­metro e la guglia che si slancia nel cielo fino a 80 metri.Le due chiese sovrapposte hanno la grandio­sità e l’intimità dei luoghi adatti a celebrare la presenza di Dio.Nella chiesa inferiore il dipinto centrale, del Crida, ricorda l’approvazione delle Regole Sa­lesiane da parte di Pio IX. Le dodici cappelle laterali raccontano la tradizione spirituale sa­lesiana. Sulla parete di fondo tutto viene ri­condotto al Cristo, nella stupenda gigantogra­fia dell’Ultima Cena di Leonardo.

DB 3,193 Interno del TempioLa chiesa superiore è dominata da un Cristo imponente, che richiama la Pasqua del 1934, anno della canonizzazione di Don Bosco. La statua in legno, alta 8 metri, è opera degli scul­tori del legno di Ortisei. Alle pareti i grandi dipinti del prof. Luigi Zonta, Salesiano, sin­tetizzano l’opera di Don Bosco e dei suoi figli.

DB 3,194 Missione di Don Bosco tra i giovaniLa missione salesiana, così come Don Bosco l’ha voluta, assume il giovane come protago­nista della sua crescita e della sua salvezza. In uno spirito gioioso, egli viene chiamato ad af­frontare la vita con lo studio e il lavoro. Vie­ne soprattutto educato a cercare un centro si­curo, un punto di riferimento per tutta la sua esperienza: il Cristo dell’Eucaristia. Ponendo la fede come obiettivo dell’educazio- ne, Don Bosco era consapevole non solo di col­laborare alla costruzione della Chiesa ma an­che alla costruzione della società civile, per­ché niente come la fede è in grado di svilup­pare al meglio e secondo giusti obiettivi tutte

DB 3,192 11 Tempio

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le potenzialità di cui un ragazzo è dotato. L’importanza della devozione alla Madonna assume in questo contesto il suo vero signifi­cato: i giovani hanno bisogno di calore e di esempi chiari e immediati, e nessuna imma­gine della tradizione cristiana risponde meglio della Madonna a questo bisogno.

DB 3,195 I Becchi col TempioI Becchi e il Colle Don Bosco sono tutto que­sto: il documento più importante di una sto­ria che non si dovrebbe dimenticare.Se oggi viviamo in un mondo in cui nessuno racconta più storie e i giovani si sentono orfa­ni e defuturizzati, questa è certamente una sto­ria da raccontare loro, interessante come un romanzo.

DB 3,196 II Tempio e l ’istituto fra i vigneti

Ma anche gli adulti — genitori ed educatori, prima di tutto — possono trovare qui le rispo­ste adeguate alle loro domande inquietanti. In primo luogo risulta evidente che vale sem­pre la spesa di seminare, quando si è dis­sodata la terra con fatica e sudore. In se­condo luogo, non esiste nessuna condizione umana, per quanto sfortunata e tragica, che non possa sfociare in un evento di salvezza. La fiducia che Don Bosco aveva nei giovani era certo frutto del suo amore per loro, ma era anche la serena certezza — imparata nel duro lavoro della terra — che nessuna pian­ta, se ben curata, si rifiuta di dare prima o poi frutto.

DB 3,197 II monumento a Don Bosco e la casetta

La statua di Don Bosco, posta a fianco della sua umile casetta il 23 maggio 1920, sembra vegliare su di essa e sui milioni di suoi figli e giovani che vengono pellegrini per accendereo alimentare la fiaccola della fede.La figura dolce e paziente di Don Bosco inco­raggia a custodire la lezione che impartisce la sua povera casetta: non sono i grandi mezzi materiali che possono cambiare l’umanità, ma le grandi forze spirituali, la generosità, l’amo­re autentico per i piccoli e i poveri.

DB 3,198 Inaugurazione del Tempio,il 1 ° maggio 19841° maggio 1984: consacrazione del Tempio di Don Bosco, nel cinquantesimo anniversario della sua canonizzazione.Non poteva che essere una grande festa, ed è dilagata per tutto il Colle.E stato subito chiaro a tutti — autorità reli­giose e civili, figlie e figli di Don Bosco, giova­ni, exallievi e cooperatori — che non si era con­venuti lassù per concludere un capitolo di sto­ria, sia pure un grande finale, ma per inizia­re tutta da capo l’avventura di sempre.D segreto di Don Bosco è il segreto della sua terra: ogni gesto, ogni azione — dalla semina al raccolto — è una promessa, è un inizio. Basta saperlo leggere, magari ponendosi dal­l’alto, sopra un colle, per vedere in uno sguar­do d’insieme «le grandi cose che Dio ha ope­rato, e sono meraviglia ai nostri occhi».

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DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE DB/3 Da Valdocco al mondo intero

ESPANSIONE DELL’OPERA DI DON BOSCO

R - NUOVE FONDAZIONI

1. Titolo: DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: Da Valdocco al mondo intero2. Il primo collegio fuori Torino: Mirabello (1836)3. Il secondo collegio a Lanzo (1864)4. Alassio (1870)5. Il collegio di Varazze (1871)6. L’ospizio di Sampierdarena (1872)7. Valsalice, la casa imposta dall’arcivescovo (1872)8. Nizza, la prima opera in Francia (1875)9. Marsiglia (1878)

10. San Benigno (1879)11. In Spagna, a Utrera e a Barcellone Sarrià (1881)12. Roma, Sacro Cuore (1885)

S - MISSIONI E MISSIONARI

13. I primi missionari di Don Bosco14. I «ricordi» di Don Bosco ai suoi missionari15. La Boca: la prima «missione» fra gli emigrati16. I missionari Salesiani in Uruguay (Villa Colòn)17. I missionari incontrano gli Indios a Viedma18. Un cacico, un cardinale, un venerabile: mons. Cagliero e Namuncurà19. Mons. Giuseppe Fagnano, «el capitàn bueno»20. I «selvaggi» sognati da Don Bosco (Onas e Fueghini)21. I missionari dalla parte degli Indios (S, Messa fra gli Onas)22. Mons. Giacomo Costamagna23. Le suore missionarie FMA24. In Ecuador è fiorito un palo (Oratorio a Quito)

T - PERSONAGGI STORICI

25. San Giuseppe Cafasso (1811-1860)26. Teologo Giovanni Borei (1801-1873)

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27. Marchesa Giulia di Barolo (1875-1846)28. Mons. Luigi Fransoni (vescovo di Torino dal 1832 al 1862)29. Papa Pio IX (Giovanni Mastaj-Ferretti, papa dal 1846 al 1878)30. Re Carlo Alberto (1879-1849)31. Re Vittorio Emanuele II (re dal 1849 al 1878)32. Camillo Cavour (1810-1861)33. Urbano Rattazzi (1808-1873)34. Silvio Pellico (1789-1854)35. Mons. Alessandro Riccardi (vescovo di Torino dal 1867 al 1870)36. Mons. Lorenzo Gastaldi (vescovo di Torino dal 1871 al 1883)37. Papa Leone Xm (Gioacchino Pecci, papa dal 1878 al 1903) .38. Papa San Pio X (Giuseppe Sarto, papa dal 1903 al 1914)39. Card. Gaetano Alimonda (vescovo di Torino dal 1883 al 189140. San Leonardo Murialdo (1828-1900)41. Beato Luigi Orione (1872-1940)42. Papa Pio XI (Achille Ratti, papa dal 1922 al 1939)

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U - SANTA MARIA DOMENICA MAZZARELLO

43. Momese44. La casa dove nacque Maria Mazzarello45. La chiesa parrocchiale46. L’incontro con le Figlie dell’immacolata47. Il collegio a Momese48. Don Bosco visita le suore49. Elezione della superiora (quadro del Crida)50. La casa di Nizza Monferrato51. La Mazzarello e le missionarie dal papa (quadro del Crida)52. La seconda partenza delle missionarie53. H volto della Mazzarello54. Urna della Mazzarello nella basilica di Maria Ausiliatrice

SINTESI

V - LE PASSEGGIATE AUTUNNALI

55. Carta geografica del Piemonte56. I colli del Monferrato57. Panorama del Monferrato visto dai Becchi58. Albugnano e Abbazia di Vezzolano

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596061626364656 667686970717273,74.757677.78.

79.80.81.82.83.84.85.86.

87.88.89.90.

91.92.93.

L’olmo del ciabattino (Albugnano)MondonioVeduta di Montechiaro Villa san SecondoCappella della Madonna delle grazie, a Villa San SecondoDintorni di Villa san SecondoLa parrocchiale di AlfianoI vigneti di PonzanoSantuario di CreaCasale MonferratoCasale, chiesa di san FilippoMirabello MonferratoPanorama col paese di LuTorri e castelli del MonferratoCallianoMontemagnoMontemagno, la chiesa parrocchiale Vignale, castello dei conti Callori Genova Mornese

Z - MORTE E GLORIFICAZIONE DI DON BOSCO

La morte di Don BoscoLa bara di Don BoscoI funerali di Don BoscoLa tomba a ValsaliceEsumazione e ricognizione della salmaRicomposizione della salmaL’urna sul carro trionfalePiazza Vittorio: «Don Bosco ritorna»L’apoteosi di Torino: Piazza Maria Ausiliatrice Roma, il corteo papalePio XI e lo stendardo alla loggia di San Pietro La salma di Don Bosco nella chiesa di Maria Ausiliatrice

ICONOGRAFIA DI DON BOSCO

X - RITRATTI - GRUPPI - QUADRI

Don Bosco col breviario Don Bosco a Roma nel 1867Don Bosco benedice i tre rappresentanti del suo apostolato

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94. Don Bosco in lettura95. Don Bosco con zucchetto96. Don Bosco ritratto con scritta97. Don Bosco con berretta98. Don Bosco a 63 anni99. Volto (dettaglio)

100. Don Bosco in poltrona con crocifisso e Madonna101. Don Bosco all’inginocchiatoio102. Don Bosco in piedi103. Don Bosco in ginocchio104. Don Bosco in poltrona105. Don Bosco a Marsiglia con rabat106. Don Bosco a Marsiglia (profilo)107. Don Bosco108. Don Bosco (ritratto della pittrice E. Salanson - 1883)109. Don Bosco con crocifisso110. Don Bosco scrittore111. Don Bosco a Nizza112. Don Bosco a 71 anni113. Don Bosco a 71 anni (visto di tre quarti)114. Don Bosco a 71 anni (profilo)115. Foto di Don Bosco in Spagna116. Ultima foto di Don Bosco vivente117. Don Bosco nella sua camera118. Don Bosco fra i suoi giovani119. Don Bosco che confessa120. Don Bosco con la scuola di musica strumentale121. Don Bosco con i primi Salesiani122. Don Bosco con la prima spedizione missionaria123. Don Bosco consegna le Regole a Don Cagliero124. Don Bosco con la terza spedizione missionaria125. Don Bosco con gli exallievi sacerdoti126. Don Bosco nella villa Martì Codolar127. Don Bosco con la dodicesima spedizione missionaria128. Don Bosco morto, adagiato sul seggiolone129. Profilo di Don Bosco morto130. Primo piano del volto di Don Bosco131. Don Bosco di Varazze (dipinto)132. Don Bosco di San Benigno (dipinto)133. Don Bosco del pittore P. Gaidano134. Don Bosco del Rollini135. Don Bosco dell’Enrie136. Don Bosco del Crida137. Don Bosco del Caffaro-Rore138. Monumento a Don Bosco, di G. Cellini

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DALLE UMILI ORIGINI DEI BECCHI ALLA GLORIA DEL TEMPIO AL COLLE

Y - 1 «BECCHI» - LA CASA DI GIUSEPPE - COLLE DON BOSCO

139. L’antica frazione dei «Becchi»140. I Bosco approdano alla cascina Biglione141. La cascina Biglione tra i vigneti142. La cascina Biglione sul lato ovest143. L’abitazione dei mezzadri144. Ancora una veduta di casa Biglione145. Il Canton Cavallo146. Il documento di acquisto della casetta147. La cascina sotto la neve148. Il testamento di Francesco149. L’adattamento fatto eseguire da mamma Margherita150. Foto della povera casa dei Bosco151. Scene di vita rurale152. La fontana di Canton Cavallo153. La casetta dei Becchi acquistata dai Salesiani154. La casa fatta riparare155. La cucina dei Becchi156. La scala esterna157. Il soffitto della stanza di mamma Margherita158. La stanza del sogno159. Il fienile160. La stalla161. Il pollaio sotto la scala162. La casetta dell’infanzia163. Il ritratto di Giuseppe164. La casa di Giuseppe165. Il quadro di mamma Margherita166. Lettere di Don Bosco al nipote Francesco167. Camera di Don Bosco nella casa di Giuseppe168. La scrivania di Don Bosco169. La cappella del rosario170. L’interno della cappella del rosario171. Stanza con frumento172. Il solaio della casa173. La madia del pane174. Tavolo fatto dal chierico Bosco

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175. La borgata dei Becchi oggi176. Il prato del sogno177. Il pilone del sogno178. Particolare del pilone179. Il prato dei giochi180. Il pilone dei giochi181. Particolare del pilone182. La chiesa di Maria Ausiliatrice183. Antica veduta del Canton Cavallo184. Il Canton Cavallo visto dal «Bertèau»185. D Colle: i Becchi, Cascina Biglione-Damevino, l ’istituto Bemardi-Semeria186. L’Istituto e la cascina Biglione-Damevino187. Il Colle senza la cascina188. L’Istituto «Bemardi-Semeria»189. L’Istituto e lo spiazzo antistante190. L ’Istituto e il nuovo Tempio a Don Bosco191. La mappa del Tempio e della cascina Biglione192. Il Tempio193. Interno del Tempio194. Missione di Don Bosco tra i giovani195. I «Becchi» col Tempio196. Il Tempio e l ’istituto fra i vigneti197. Il monumento a Don Bosco e la casetta198. Inaugurazione del Tempio (1° maggio 1984)

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OPERE SU DON BOSCO E IL SUO SISTEMA EDUCATIVO

BIOGRAFIE

SAN GIOVANNI BOSCO

MemorieQuando aveva 58 anni, per ordine di papa Pio IX, Don Bo­sco dovette scrivere la storia dei primi quarant’anni della sua vita. Riempì tre grossi quaderni, 180 pagine.Ora le pagine autobiografiche del Santo vedono la luce tra­scritte in lingua corrente da Teresio Bosco.La lettura è resa così gradevole e immediata. Il volume è corredato di un inserto con foto storiche dell’epoca.

BOSCO TERESIO

Don Bosco. Una biografìa nuova (pp. 480)

Un modo nuovo, moderno e serio, di fare la biografia dì un Santo. L’autore lo immerge totalmente nella vicenda del suo tempo: storia economica, sociale, ecclesiale, civile. Ogni par­ticolare è rigorosamente controllato, eppure la lettura è fa­cile e affascinante, perché più che da una penna il libro è narrato da una cinepresa. 60 mila copie in Italia, traduzioni in più di dieci lingue, comprese il russo e l ’arabo. Un ele­gante inserto fotografico bianconero e a colori.

BOSCO TERESIO

Don Bosco. Una biografìa nuova (pp. 212)

edizione per ragazziSono rimaste intatte, della biografia nuova, le due parti più affascinanti: la giovinezza di Giovanni Bosco e la storia del- l ’Oratorio. Il resto è stato alleggerito affinché potesse esse­re più adatto ai ragazzi.

NIGG WALTER

Don Bosco un Santo per il nostro tempo(PP- 112)Con fede e con estremo realismo sono visti i santi da Nigg, docente protestante di Storia della Chiesa all’università di Zurigo. Don Bosco è visto con simpatia calda e cordiale, come un’incarnazione moderna del Vangelo.

BROCARDO PIETRO

Don Bosco ti ricordiamo (pp. 96)

Coloro che avevano conosciuto Don Bosco, e tenevano nel cuore un piccolo tesoro di ricordi, li hanno confidati all’au­tore. Ne è venuto fuori un tessuto di piccoli episodi, gesti toccanti, che ci disegnano un Don Bosco amico di ogni ragazzo.

MOLINERIS MICHELE

Fioretti di Don Bosco (pp. 452)

Una raccolta di fatti documentati e sovente poco conosciuti (esattamente 369). Questi fatti, a volte gentili a volte avven­turosi, rivelano la capacità di Don Bosco di dominare gli av­venimenti, di mettersi al servizio di Dio e dei giovani.

TERESIO BOSCO

Don Bosco (pp. 32)

Collana Eroi 1Centinaia di migliaia di ragazzi hanno incontrato Don Bo­sco per la prima volta nel profilo tracciato in queste 32 pagi­ne, scritte nel tipico linguaggio «visivo» dei giovani, gioca­to tutto su 4 verbi: semplificare, personalizzare, attualizza­re e drammatizzare.

STUDI E RIFLESSIONI

DESRAMAUT FRANCIS

Don Bosco e la vita spirituale (pp. 320)

Cosa significò per Don Bosco «essere cristiano»? Come vis­se il suo «essere figlio di Dio»? Come sentì la Chiesa? Quale fu il suo stile di preghiera? A queste e ad altre domande fon­damentali, risponde da maestro lo storico salesiano francese.

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RICO A. JOSÉ

Il Consigliere Regionale per la Penisola Iberica della Con­gregazione Salesiana offre queste meditazioni, nate riflettendo sui temi fondamentali del Vaticano II nella luce di Don Bosco. 3 parti: Don Bosco e i suoi ideali; Ascetica Salesiana; Stile e opere.

AUBRY JOSEPH

Don Bosco Padre dei giovani e servo di Dio(pp. 88)Cinque conferenze tenute su Don Bosco padre educatore: 1) Don Bosco padre. 2) Don Bosco servitore. 3) Don Bosco santo dei giovani. 4) San Domenico Savio: «Dio ama i gio­vani». 5) Don Rua discepolo e rivelatore di Don Bosco.

SPALLA GIUSEPPE

Don Bosco e il suo ambiente socio-politico(pp. 120)

Traccia lo sfondo sociale e politico in cui Don Bosco fu chia­mato a vivere e ad operare. Rivoluzione sociale, ideali ri­sorgimentali, tensione fortissima verso l’unità d’Italia che coinvolgeva il Vaticano e la Chiesa.

L ’ARCO ADOLFO

Don Bosco vivo nella Chiesa viva (pp. 120)L’Autore presenta le caratteristiche della Famiglia Salesia­na, come sono balzate dal «Capitolo Generale Speciale» a cui egli stesso partecipò. C’è tutto il suo spirito infiammato, oltreché la sua genuinità salesiana.

Attualità conciliare di Don Bosco (pp. 208)

SUSSIDI VISIVI

Il volto di Don Bosco 24 foto in bianconeroDon Bosco è, insieme a santa Bernadette di Lourdes, il pri­mo Santo di cui possediamo autentiche e numerose immagi­ni fotografiche. In questo fascicolo sono raccolte le più si­gnificative. Protagonista è il suo volto vivo, aperto, sereno, intelligente, segnato infine dalla sofferenza e dagli anni. So­lo le fotografie ci spiegano il suo affascinante sorriso. Parti­colare assai importante messo in luce dalle foto sono le sue

mani: larghe, forti, mani di contadino, di lavoratore instan­cabile, che tracciavano nervosamente le pagine di libri e si univano in silenziosa preghiera.

ALBI A COLORI

Don Bosco: piccolo saltimbanco (pp. 64)

Don Bosco: l’amico dei giovani (pp. 64)

Don Bosco: un apostolo moderno (pp. 64)

Moltissimi ragazzi hanno conosciuto per la prima volta la vicenda del grande amico dei ragazzi attraverso questi albi semplici e belli, tutti a colori. Sono un «passaporto» gradito ai ragazzi per far loro conoscere un gigante di Dio.

BOSCO TERESIO - GATTIA ALARICO

Storia di Don Bosco— Voi. 1: D ragazzo del sogno, pp. 48— Voi. 2: Una casa per mille ragazzi, pp. 48— Voi. 3: Fino ai confini del mondo, pp. 48

Uno dei più apprezzati disegnatori d’Europa e un celebre scrit­tore hanno unito le forze per presentare ai ragazzi di tutto il mondo la «Storia di Don Bosco» nel linguaggio universale dei fumetti. Sarà lanciato nelle principali lingue del mondo. L’accuratezza del lavoro e il contenimento massimo del prez­zo sono un omaggio dell’Editrice a Don Bosco nel 50° della sua esaltazione tra i Santi della Chiesa.

AUDIOVISIVI

La vita di Don Bosco in 4 serie di diapositiveD 66: Don Bosco: la sua vita fu tracciata da un sognoD 67: Don Bosco: il prete dei giovaniD 68: Don Bosco: navigò tra un mare di guaiD 69: Don Bosco: apostolo nuovo per tempi nuoviLa vicenda umanissima e avventurosa del prete torinese nar­rata nel linguaggio più adatto ai giovani: l’audiovisivo. Per­mette all’educatore di commentarla con cassette preparate con serietà professionale, oppure di personalizzare il com­mento aggiungendo airimmagine la sua viva voce. Può così trasformare la proiezione in una breve serie di incontri cate­chistici.

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