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IL LAVORO NELLA GRANDE DISTRIBUZIONE A MILANO: REGOLAZIONE E VALORIZZAZIONE DELLE RISORSE UMANE Dipartimento di Studi del Lavoro e del Welfare Università degli Studi di Milano RAPPORTO FINALE DI RICERCA a cura di Andrea Pietrantoni 1

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IL LAVORO NELLA GRANDE DISTRIBUZIONE A MILANO:

REGOLAZIONE E VALORIZZAZIONE DELLE RISORSE UMANE

Dipartimento di Studi del Lavoro e del Welfare

Università degli Studi di Milano

RAPPORTO FINALE DI RICERCA

a cura di Andrea Pietrantoni

Milano, ottobre 2007

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INDICE

1. INTRODUZIONE: LA PROBLEMATICA OGGETTO DELLA RICERCA P. 3

2. LE CARATTERISTICHE STRUTTURALI DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE P. 4

2.1 LA GRANDE DISTRIBUZIONE: DEFINIZIONI E TIPOLOGIE P. 4

2.2 L’INDUSTRIALIZZAZIONE DELLA DISTRIBUZIONE P. 6

2.3 LA GRANDE DISTRIBUZIONE: CARATTERISTICHE STRUTTURALI E TENDENZE EVOLUTIVE P. 9

2.3.1 L’ITALIA P. 10

2.3.2 LA LOMBARDIA P. 14

2.3.3 L’AREA METROPOLITANA MILANESE P. 18

2.3.4 IL CONFRONTO INTERNAZIONALE P. 26

2.4 LE VALUTAZIONI SUL COMPARTO P. 29

2.5 LE IMPLICAZIONI PER IL LAVORO P. 30

3. IL LAVORO NELLA GRANDE DISTRIBUZIONE P. 32

3.1 LE CARATTERISTICHE OCCUPAZIONALI P. 32

4. LA REGOLAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO NELLE IMPRESE DELLA

GRANDE DISTRIBUZIONE P. 38

4.1 LA REGOLAZIONE DI PRIMO LIVELLO: IL SINDACATO E IL

CONTRATTO NAZIONALE DEL COMMERCIO P. 38

4.1.2 L’ASSOCIAZIONISMO DATORIALE P. 39

4.2 LA REGOLAZIONE DI SECONDO LIVELLO: LE STRATEGIE DEGLI

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ATTORI SECONDO UNO SCHEMA DI ANALISI P. 40

4.2.1 GLI STUDI DEGLI ANNI ’80 E ‘90 P. 41

5. I RAPPORTI DEGLI STUDI DEI CASI P. 44

5.1 PREMESSA METODOLOGICA P. 44 5.2 AZIENDA 1 P. 47

5.3 AZIENDA 2 P. 65

5.4 AZIENDA 3 P. 74

6. LO STUDIO COMPARATIVO DEI CASI P. 90

6.1 L’AZIENDA: STORIA E CARATTERISTICHE P. 90

6.2 LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA P. 90

6.3 IL PERSONALE P. 92

6.4 LE RELAZIONI SINDACALI P. 93

6.5 LA REGOLAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO P. 96

CONCLUSIONI P. 104

BIBLIOGRAFIA P. 107

APPENDICE P. 109

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1. INTRODUZIONE: LA PROBLEMATICA OGGETTO DELLA RICERCA

Tra i fenomeni più importanti nell’evoluzione occupazionale e imprenditoriale del terziario milanese degli anni ‘90 c’è quello di una rilevante ristrutturazione del commercio al dettaglio, con una forte diminuzione dei piccoli esercizi a conduzione familiare e dei relativi addetti e una parallela crescita dell’occupazione nella grande distribuzione e nella logistica. I piccoli esercizi a conduzione familiare sopravvivono soprattutto quando riescono ad individuare una propria nicchia merceologica o si avvicinano alle modalità commerciali della grande distribuzione (Ballarino, 2000). Ma è indubbio che è l’espansione della grande distribuzione ad avere un ruolo centrale nel processo di modernizzazione e razionalizzazione della struttura dei servizi in una città come Milano; e che molto rilevante è anche di conseguenza il peso del settore nel mercato del lavoro locale.

A tale centralità quantitativa e qualitativa, non ha però finora corrisposto un’adeguata attenzione al tema da parte degli studi e delle ricerche. E invece il processo di crescita della grande distribuzione pone diversi interrogativi importanti che riguardano i comportamenti sia dell’offerta sia della domanda di lavoro. Dal primo punto di vista, occorre interrogarsi su quanto e in quale modo si stia evolvendo e modificando l’offerta di lavoro della grande distribuzione a Milano. Tra le tesi più accreditate tra gli studiosi in tema di terziarizzazione, vi è quella della polarizzazione crescente delle condizioni e dei livelli retributivi del personale coinvolto nello sviluppo dei servizi delle città globali (Sassen, 1997). In quest’ottica ci si aspetta che accanto a un “core group” di personale ad alta qualificazione e alti livelli retributivi si affianchi un gran numero di addetti in condizioni di lavoro a elevata incertezza (lavori temporanei, stagionali, ad hoc), spesso a bassa qualificazione professionale, a bassi livelli retributivi.

Ma sono queste le tendenze che caratterizzano lo sviluppo del settore a Milano? Quanto esso ha offerto opportunità occupazionali alla crescente offerta di lavoro femminile? Quanto ha costituito occasione di integrazione sociale per i lavoratori immigrati? E qual è stata inoltre la capacità di offrire occasioni interessanti d’impiego per nuove figure professionali e giovani con alto livello di istruzione? Qual è stato infine l’eventuale ruolo in ciò giocato dalle organizzazioni di rappresentanza del lavoro?

Queste ultime domande ci conducono all’altro lato del problema: quello delle politiche manageriali di gestione del personale. Alcuni studi degli anni ’80 e ‘90 (Regalia, 1990; 2000) avevano messo in evidenza la presenza nel settore di politiche del personale particolarmente innovative, che spesso anticipavano soluzioni poi adottate nell’industria, e in cui trovavano anche spazio propositivo e innovativo le rappresentanze del lavoro. In un contesto, anche normativo, mutato, quali sono oggi le strategie di acquisizione del personale delle grandi aziende e a quali logiche si ispirano? In un’area dell’economia in cui il fattore lavoro è particolarmente cruciale, quali sono i problemi nuovi di regolazione del lavoro e delle condizioni d’impiego che sono oggi all’ordine del giorno? E quali le eventuali richieste poste alle autorità locali per favorire lo sviluppo economico e occupazionale del settore? Sono queste le domande a cui in seguito si tenterà di dare una risposta.

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2. LE CARATTERISTICHE STRUTTURALI DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE

2.1 LA GRANDE DISTRIBUZIONE: DEFINIZIONE E TIPOLOGIE

È opportuno definire il concetto di grande distribuzione dal punto di vista tecnico che ne consente la misurazione. Infatti anche se la maggior parte della grande distribuzione è collocabile all’interno della categoria degli esercizi non specializzati, la distinzione tra esercizi specializzati e esercizi non specializzati all’interno del commercio al dettaglio non è sufficiente a distinguere la grande distribuzione da ciò che non lo è e quindi, in ultima analisi, a misurarla; la distinzione tra esercizi specializzati e non specializzati è una distinzione ancora imprecisa al fine di capire cos’è la grande distribuzione.

Dal punto di vista tecnico vi sono diverse definizioni. La definizione del confine tra piccola e grande distribuzione non è univoca. La legge Bersani, di cui si dirà ampiamente oltre e che costituisce il più recente intervento di regolazione istituzionale del comparto, definisce “piccole” le superfici di vendita al dettaglio al di sotto dei 150 mq (se in comuni al di sotto dei 15.000 abitanti) o al di sotto dei 250 mq (se in comuni al di sopra dei 15.000 abitanti); “medie” le superfici tra 250 (o 150) e 2.500; “grandi” le superfici oltre i 2500. La legge precedente, invece, definiva “grande” ogni superficie di vendita superiore a 400 mq. A questa classificazione, gli operatori del settore aggiungono quella che considera oltre alla superficie del negozio, anche la gamma di prodotto (minimercato e supermercato alimentare, grandi magazzini non alimentari, ipermercato comprendente di solito entrambi e così via).

A queste definizioni se ne possono aggiungere altre, più precise, che oltre a considerare la superficie del singolo negozio e la tipologia di prodotto considerano una terza dimensione di definizione e classificazione della grande distribuzione, cioè l’organizzazione aziendale: la modalità in cui la singola azienda organizza i diversi fattori produttivi coinvolti nei suoi processi. Questo è un elemento di cruciale importanza in relazione alla descrizione dei processi di industrializzazione del settore. Possono esistere diverse tipologie di integrazione: integrazione orizzontale, che comprende molti punti vendita, anche piccoli; integrazione verticale, che comprende grossisti e punti vendita, o anche produttori, grossisti e punti vendita. Un’azienda che distribuisce un particolare prodotto, ad esempio, può essere articolata in una serie di piccoli negozi, di proprietà o in franchising, che sembrano del tutto simili ai piccoli esercizi indipendenti: anch’essa rientra quindi, a rigore, nella grande distribuzione. Allo stesso modo, fanno parte della grande distribuzione i piccoli esercizi indipendenti che si siano organizzati in consorzi (gruppi d’acquisto), insieme con i grossisti loro fornitori. Per queste ultime due tipologie si usa il termine di grande distribuzione organizzata (GDO) (Ballarino, 2000).

Tornando alla classificazione legata alla dimensione relativa alla superficie di vendita dei singoli negozi (si parla in proposito di grande distribuzione unitaria, GDU), tra gli operatori si parla di piccola distribuzione per i negozi fino a 300 mq, con una fascia superiore che comprende superfici anche fino 400 mq (minimercati, superette); di media distribuzione fino a 1.000-1.500 mq; di distribuzione medio-grande fino ai 3.000 e grande dai 3.000 in su. Se da un lato questa classificazione non corrisponde in termini numerici a quella della legge Bersani, dall’altro, nella definizione della grande distribuzione nei termini della superficie di vendita dei singoli negozi, rimane quella più utilizzata. La FAID (Federazione Associazioni Imprese Distribuzione), ora Federdistribuzione, riunisce tutte le aziende del comparto distributivo distinguendole dagli esercizi

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di commercio al dettaglio a conduzione familiare e preferendo tuttavia utilizzare la definizione di “commercio moderno” o “imprenditoriale”al posto di “grande distribuzione”1.

Al di là di queste sottigliezze concettuali, la FAID considera, nelle proprie elaborazione statistiche, le superfici di vendita al di sopra dei 400 mq secondo le tipologie di punto vendita. Tra queste vi sono innanzitutto le tipologie “pure”:

- supermercati alimentari (compresi reparti alimentari dei grandi magazzini);- grandi magazzini (non alimentari);- ipermercati, comprendenti sia alimentari che non alimentari;- cash & carry, magazzini all’ingrosso a libero servizio (di solito si richiede una

tessera, se ne servono piccoli commercianti al dettaglio, comunità e convivenze, alberghi e ristoranti, e anche privati) sia alimentari che non alimentari;

Alle tipologie “pure” si aggiungono le tipologie “miste”, risultato della mescolanza tra le prime. Tra queste le più importanti sono:

- i centri commerciali, dove a un ipermercato o un grande supermercato si aggiungono una serie di negozi; tuttavia in termini più specifici non c’è una definizione univoca. Tra gli elementi comuni alle definizioni istituzionali utilizzate in Italia vi sono: una superficie di vendita complessiva non inferiore ai 2.000 mq, la presenza di almeno un supermercato come polo di attrazione, a cui si aggiungono almeno 8-10 negozi specializzati, una serie di attività paracommerciali (bar, banche, posta) e/o extracommerciali (cinema, teatri sale convegno), con infrastrutture comuni (il parcheggio in primo luogo) e una gestione unitaria degli spazi e delle infrastrutture comuni; (Ancona et al 1999, p. 23)

- la distribuzione specializzata (DS) costituita dai “category killer”, cioè catene di negozi, in generale singolarmente più grandi degli esercizi al dettaglio a conduzione familiare, specializzati in una determinata tipologia di prodotto: elettronica ed elettrodomestici; mobili; attrezzature per il fai da te e così via. La distribuzione specializzata, come avviene per il comparto in generale, ha diverse tipologie basate sulle stesse dimensioni della grande distribuzione e tra queste la più importante è la dimensione legata all’organizzazione aziendale articolata secondo le variabili più importanti come il tipo di integrazione, se verticale, che riunisce produzione e distribuzione, o orizzontale, cioè limitata alla distribuzione; e la proprietà dei punti vendita, se della catena o in franchising2.

Quindi, il settore “food” è costituito dai supermercati, dalle superfici alimentari di ipermercati e cash & carry e indirettamente dai centri commerciali mentre il settore “non

1 La prima denominazione si trova, ad esempio, su Notizie Faid (il mensile per la stampa dell’associazione), 12/1998, p.3; la seconda sulla brochure di presentazione dell’associazione (intitolata FAID, senza data) attualmente in distribuzione, p.2. Dal numero citato di Notizie Faid proviene anche la tipologia presentata sotto.2 Per una maggiore precisazione è utile rifarsi all’Istat che definisce le suddette tipologie di vendita nel seguente modo:

- supermercati: esercizio al dettaglio operante nel campo alimentare (autonomo o reparto di grande magazzino), organizzato prevalentemente a libero servizio e con pagamento all’uscita. Dispone di una superficie di vendita superiore a 400 mq e di un vasto assortimento di prodotti di largo consumo (in massima parte preconfezionati) nonché, eventualmente, di alcini articoli non alimentari di uso domestico corrente.

- Grandi magazzini: esercizio al dettaglio operante nel campo non alimentare che dispone di una superficie di vendita superiore a 400 mq e di almeno cinque distinti reparti (oltre l’eventuale annesso reparto alimentare), ciascuno dei quali destinato alla vendita di articoli appartenenti a settori merceologici diversi ed in massima parte di largo consumo.

- Ipermercati: esercizio al dettaglio con superficie di vendita superiore a 2.500 mq, suddiviso in reparti (alimentare e non alimentare), ciascuno dei quali aventi, rispettivamente, le caratteristiche di supermercato e di grande magazzino.

- cash & carry: esercizio all’ingrosso organizzato a self-service, con superficie di vendita superiore a 400 mq, nel quale i clienti provvedono al pagamento in contanti, contro emissione immediata di fattura, e al trasporto diretto della merce.

- Distribuzione specializzata: esercizio al dettaglio operante nel settore non alimentare (spesso appartenente ad una catena distributiva a succursali), che tratta in modo esclusivo o prevalente una specifica gamma merceologica di prodotti su una superficie di vendita non inferiore a 1.500 mq.

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food” è costituito dai grandi magazzini, dalle superfici non alimentari degli ipermercati, dalla distribuzione specializzata e indirettamente dai centri commerciali.

Infine e secondariamente, sulla base del prezzo, le tipologie suddette, soprattutto minimercati, supermercati e grandi magazzini, si dividono tra esercizi standard ed esercizi definiti discount, negozi caratterizzati da una politica dei prezzi estremamente aggressiva e dall’esclusione più o meno accentuata delle marche commerciali nazionali leader degli assortimenti (Ballarino, 2000).

2.2 L’INDUSTRIALIZZAZIONE DELLA DISTRIBUZIONE

Parlare di grande distribuzione significa contrapporre una struttura distributiva ad alto livello di integrazione ad una struttura più frammentata e suddivisa in molti esercizi indipendenti. Il processo per cui la prima tende ad espandersi e ad assorbire la seconda, sia in termini di punti vendita che in termini di consumatori, è solitamente chiamato “industrializzazione della distribuzione”; ed è, secondo gli studiosi della globalizzazione, uno dei fattori di trasformazione della struttura economica contemporanea, e in particolare dell’emergere della città globale come nuovo modello di urbanizzazione (Sassen 1997).

Come già detto all’inizio del paragrafo introduttivo sulla problematica oggetto della ricerca, uno dei fenomeni più rilevanti nell’evoluzione occupazionale e imprenditoriale del terziario milanese degli anni ’90 è una rilevante ristrutturazione del commercio al dettaglio, con una forte diminuzione dei piccoli esercizi a conduzione familiare e dei relativi addetti e una parallela crescita dell’occupazione nella grande distribuzione e nella logistica. I piccoli esercizi a conduzione familiare sopravvivono soprattutto quando riescono ad individuare una propria nicchia merceologica o si avvicinano alle modalità commerciali della grande distribuzione (ampliando l’assortimento, inserendosi in catene ecc.) e in complesso la perdita occupazionale della piccola distribuzione è maggiore dei guadagni occupazionali che si verificano nella grande. Il processo di ristrutturazione del commercio al dettaglio che emerge da questo studio confermerebbe l’industrializzazione della distribuzione dell’area metropolitana milanese di quegli anni. Lo studio come detto è aggiornato al 1996.

In proposito quali sono le tendenze dopo il 1996? Cercherò di rispondere a questa domanda in tre modi.

Prima di tutto verranno presentati i dati Istat relativi alla serie storica 1981-’91-01 del Censimento dell’industria e dei servizi che consente di aggiornare al 2001 i risultati di quello studio dandoci una visuale più aggiornata sulle tendenze degli anni ’90 del processo di industrializzazione della distribuzione. In secondo luogo, attraverso i dati Istat della serie storica 1991-’96-’01 si potranno scomporre le tendenze degli anni ’90 del processo di industrializzazione della distribuzione e capirne le differenti dinamiche tra la prima metà e la seconda metà degli anni ’90. Infine i dati dell’Annuario statistico regionale della Lombardia della serie storica 2000-2005 ci aiuteranno in primo luogo a capire se oggi il processo di industrializzazione della distribuzione è ancora in atto e in secondo luogo a comprendere la componente più forte del processo di industrializzazione della distribuzione milanese 3.

Le tabelle 2.1 e 2.2 presentano l’andamento occupazionale del commercio al dettaglio nel ventennio compreso tra 1981, 1991 e 20014, suddividendo il comparto, secondo la classificazione Istat, tra esercizi non specializzati (tra i quali sono compresi supermercati, ipermercati alimentari e grandi magazzini che insieme costituiscono le forme più rappresentative della grande distribuzione)

3 Per la spiegazione delle variabili utilizzate nelle tabelle si veda la tab. A in appendice.4 In questa tabella e in quelle successive è bene sottolineare per precisazione metodologica che i dati Istat relativi al 1981 sono quelli che fanno riferimento al confronto storico 1981-91-01 mentre i dati Istat relativi al 1991, 1996, 2001 sono quelli che fanno riferimento al confronto storico 1991-96-01.

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ed esercizi specializzati (che sono soprattutto piccoli esercizi di quartiere ma non solo; infatti negli esercizi specializzati è compresa anche la distribuzione specializzata che costituisce, come detto, una parte importante della grande distribuzione)5.

Nei venti anni considerati gli addetti6 degli esercizi non specializzati sono aumentati del 77% pari a un incremento costante di 6.000-7.000 addetti ogni dieci anni mentre quelli degli esercizi specializzati sono diminuiti di quasi il 25%: in termini di proporzioni mentre nel 1981 nel commercio specializzato c’era un numero di occupati quasi 6 volte quello del commercio non specializzato, nel 2001 questa proporzione si era ridotta a 2,5. I dati testimoniano l’aumento degli addetti degli esercizi non specializzati e la diminuzione degli addetti degli esercizi specializzati. C’ è però un’inversione di tendenza manifesta nel periodo 1996-2001, come dimostra la serie storica ’91-’96-’01, in cui si riduce l’aumento degli addetti degli esercizi non specializzati e addirittura cresce il numero degli addetti agli esercizi specializzati.

Tab. 2.1 Commercio al dettaglio, esercizi specializzati e non specializzati: numero addetti, 1981-91-96-01

Add81 Add91 Add96 Add01Esercizi non specializzati (52.1) 18.691 25.984 31.223 33.169Esercizi specializzati (52.2+3+4+5+6) 109.956 108.792 78.838 82.622Totale commercio al dettaglio 128.647 134.776 110.061 115.791

Fonte: elaborazione su dati Istat

Tab. 2.2 Commercio al dettaglio, esercizi specializzati e non specializzati: variazione addetti , peso occupazionale, 1981-91-96-01

Indadd81-91

Indadd91-96

Indadd96-01

%add81

%add91

%add96

%add01

Esercizi non specializzati (52.1) 139 120 106 1,2 1,8 2,2 2,1Esercizi specializzati (52.2+3+4+5+6) 98 72 104 7,4 7,6 5,5 5,4Totale commercio al dettaglio 104 81 105 8,7 9,4 7,8 7,5

Fonte: elaborazione su dati Istat

La tabella 2.3 presenta, sempre mantenendo la suddivisione precedente del settore, l’andamento della media addetti per unità locale e quindi della dimensione media delle unità locali. Considerando gli esercizi non specializzati la tabella mostra una flessione della media addetti per unità locale negli anni ottanta che si trasforma in un aumento negli anni ‘90, soprattutto nella seconda metà, mentre per gli esercizi specializzati la media si è mantenuta stabile. Il settore nel suo complesso mostrerebbe una dinamica di concentrazione segnale di un consolidamento delle strutture stesse.

5 E’ bene sottolineare per le ipotesi che verranno fatte più avanti che secondo la classificazione Istat il commercio non specializzato oltre a comprendere supermercati, ipermercati e grandi magazzini (che fanno parte della grande distribuzione) comprende anche esercizi di vendita come minimercati, commercio al dettaglio di prodotti surgelati, bazar ed altri negozi non specializzati di vari prodotti non alimentari (che non fanno parte della grande distribuzione) mentre il commercio specializzato oltre a comprendere soprattutto esercizi di quartiere (che appunto non fanno parte della grande distribuzione) comprende anche la distribuzione specializzata (che fa parte della grande distribuzione). 6 Gli addetti, secondo la definizione Istat 2001, sono le persone occupate in un’unità giuridico-economica, come lavoratori indipendenti o dipendenti (a tempo pieno, a tempo parziale o con contratto di formazione e lavoro oggi sostituito dal contratto di inserimento), anche se temporaneamente assenti dal lavoro.

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Tab. 2.3 Commercio al dettaglio, esercizi specializzati e non specializzati: media addetti per unità locale e relativa variazione, 198191-96-01

Madd81 Madd91 Madd96 Madd01 Indmadd 81-91

Indmadd 91-96

Indmadd96-01

Esercizi non specializzati (52.1) 15,2 12,3 12,4 14,1 80 100 113Esercizi specializzati (52.2+3+4+5+6) 2,2 2,3 2,2 2,3 104 95 104Totale commercio al dettaglio 2,5 2,7 2,9 3,1 108 107 106

Fonte: elaborazione su dati Istat

Se poi prendiamo in esame il numero delle unità locali7 degli esercizi non specializzati e di quelli specializzati nella serie storica ’81-’91-’01 (tabella 2.4 ), emerge un aumento dei primi, leggermente attenuato negli anni ’90 e una diminuzione dei secondi soprattutto significativa negli anni novanta, dati che nel complesso del commercio testimoniano un processo di concentrazione rispetto gli anni ‘80. Quindi ricordando che gli esercizi non specializzati contengono una buona parte di grande distribuzione ma non solo e che gli esercizi specializzati contengono oltre ai piccoli esercizi di quartiere anche la distribuzione specializzata che fa parte della grande distribuzione, si osserva un’ industrializzazione della distribuzione nell’area metropolitana milanese negli anni ’90, seppure attenuata rispetto gli anni ’80, che però, considerando la serie storica ’91-’96-’01, potrebbe aver subito un ridimensionamento nel periodo 1996-2001. Infatti in quel periodo, oltre alla riduzione dell’aumento degli addetti degli esercizi non specializzati e alla crescita del numero degli addetti agli esercizi specializzati, il numero delle unità locali degli esercizi non specializzati diminuisce mentre rimane quasi inalterato quello degli esercizi specializzati.

Tab. 2.4 Commercio al dettaglio, esercizi specializzati e non specializzati: numero unità locali e relativa variazione, 1981-91-96-01

Unità81 Unità91 Unità96 Unità01 Indunità 81-91

Indunità 91-96

Indunità96-01

Esercizi non specializzati (52.1) 1.222 2.103 2.506 2.346 172 119 93Esercizi specializzati (52.2+3+4+5+6) 49.459 46.768 34.902 34.823 94 74 99Totale commercio al dettaglio 50.681 48.871 37.408 37.169 96 76 99

Fonte: elaborazione su dati Istat

Tab. 2.5 Commercio al dettaglio, esercizi specializzati e non specializzati: imprese e relativa variazione, 1981-91-96-01

Imp81 Imp91 Imp96 Imp01 Indimp81-91

Indimp 91-96

Indimp96-01

Esercizi non specializzati (52.1) 899 1.586 1.908 1.666 176 120 87Esercizi specializzati (52.2+3+4+5+6) 47.123 43.031 32.163 31.184 91 74 96Totale commercio al dettaglio 48.022 44.617 33.071 32.850 92 74 99

Fonte: elaborazione su dati Istat

7L’unità locale, secondo la definizione Istat 2001, è il luogo fisico nel quale un’unità giuridico - economica (impresa, istituzione) esercita una o più attività economiche. L’unità locale corrisponde ad un’unità giuridico - economica o ad una sua parte, situata in una località topograficamente identificata da un indirizzo e da un numero civico. In tale località, o a partire da tale località, si esercitano delle attività economiche per le quali una o più persone lavorano (eventualmente a tempo parziale) per conto della stessa unità giuridico - economica. Costituiscono esempi di unità locale le seguenti tipologie: agenzia, albergo, ambulatorio, bar, cava, deposito, domicilio, garage, laboratorio,magazzino, miniera, negozio, officina, ospedale, ristorante scuola, stabilimento studio professionale, ufficio, ecc.

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Dopo aver osservato un processo di industrializzazione della distribuzione nell’area metropolitana milanese negli anni ’90, con un’ attenuazione nella seconda metà degli anni ’90, quale può essere la specializzazione merceologica interna agli esercizi non specializzati e a quelli specializzati che riflette maggiormente questo processo? E soprattutto qual è la dinamica del processo di industrializzazione nell’area metropolitana milanese dopo il 2001? La tabella 2.6 costruita sui dati dell’Annuario statistico regionale della Lombardia ci consente di prendere in esame la serie storica 2000-2005 la quale mostrando che gli esercizi non specializzati alimentari crescono mentre diminuiscono quelli specializzati alimentari e addirittura quelli non specializzati alimentari , ci consente di ipotizzare prima di tutto che il processo di industrializzazione della distribuzione nell’area metropolitana milanese è un processo ancora in atto (tuttavia la non omogeneità dei dati dell’Istat e di quelli dell’Annuario statistico della Lombardia non consentono il confronto e conseguentemente la comprensione, interessante, della dinamica del processo di industrializzazione della distribuzione nell’area milanese dal 1981 sino ad oggi) e che in secondo luogo, al suo interno, è il riflesso della modernizzazione della specializzazione merceologica alimentare; ma anche queste ipotesi richiedono ulteriori verifiche (verificheremo la seconda ipotesi quando si analizzerà la grande distribuzione nell’area milanese).

Tab. 2.6 Commercio al dettaglio, esercizi specializzati alimentari, non specializzati alimentari, non specializzati non alimentari:variazione 2000-2005

2000 2005 Indice di variazione

Esercizi specializzati alimentari 6.434 5.371 83,4Esercizi non specializzati prevalenza alimentari 1.960 2.063 105,2Esercizi non specializzati prevalenza non alimentari 439 402 91,5

Fonte: elaborazione su dati Annuario statistico della Lombardia

Prima di comprendere come il processo di industrializzazione della distribuzione nell’area metropolitana milanese si trasformi nelle diverse forme di grande distribuzione (così come definite dalla Faid) è opportuno capire le caratteristiche strutturali e tendenze evolutive del settore a diversi livelli territoriali, anelli di congiunzione tra i temi della trasformazione del commercio al dettaglio e la grande distribuzione nell’area metropolitana milanese.

2.3 LA GRANDE DISTRIBUZIONE: CARATTERISTICHE STRUTTURALI E TENDENZE EVOLUTIVE

PREMESSA

Quali sono le caratteristiche strutturali e le tendenze evolutive della grande distribuzione? In seguito verrà fornita una risposta a questa domanda prendendo in esame diversi livelli territoriali, quello nazionale, regionale e provinciale, e tenendo in maggior conto nell’analisi i supermercati, gli ipermercati e i grandi magazzini che rappresentano le forme più importanti della grande distribuzione. Inoltre il livello di profondità di analisi sarà graduale e in rapporto al livello territoriale;a livello nazionale e regionale si esamineranno le caratteristiche strutturali delle imprese della grande distribuzione mentre a livello provinciale si terrà conto anche della componente occupazionale della grande distribuzione così come è stato fatto per l’analisi, a livello provinciale, della trasformazione del commercio al dettaglio. Per il livello nazionale verranno usati come fonte il rapporto Confcommercio, i dati Istat e quelli dell’Osservatorio

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nazionale del commercio, per il confronto internazionale i dati di Federdistribuzione mentre per il livello regionale e provinciale i dati dell’Annuario statistico regionale della Lombardia e dell’Assolombarda.

2.3.1 L’ITALIA

SUPERMERCATI, IPERMERCATI E GRANDI MAGAZZINI

Il rapporto Confcommercio8 mostra come l’andamento degli insediamenti di media e grande distribuzione (caratterizzati da una superficie di vendita oltre 400 mq.) nel periodo 1999-2004 sia caratterizzato da una continua crescita (tab. 2.7); dati che in termini relativi attraverso l’indice di variazione (l’indice di variazione quando è inferiore a 100 indica una diminuzione, quando è superiore indica un aumento) si traducono in 126 per i supermercati, 114 per i grandi magazzini e 136 per gli ipermercati. Per una visione dello sviluppo della grande distribuzione su un arco temporale più ampio si rimanda al grafico 2.1.

Tab. 2.7 Supermercati, grandi magazzini, ipermercati (numero unità, relativa variazione, 1999-2004)

Numero super

1999

Numero super2004

Indunità 1999-2004

Numerograndi

magazzini

1999

Numero grandi

magazzini2004

Indunità1999-2004

Numero iper

1999

Numero iper 2004

Indunità1999-2004

Nord Ovest 1.645 2.121 128 257 227 88 135 173 128Nord Est 1.690 2.136 126 174 179 102 59 102 172Centro 1.258 1.521 120 272 358 131 69 75 108Sud e Isole 1.631 2.043 125 281 362 128 42 67 159Italia 6.206 7.821 126 984 1.126 114 305 417 136

Fonte: Osservatorio nazionale del commercio

8 Si segnala, con riferimento alla consistenza di supermercati e di grandimagazzini, che a partire dall’indagine al 1° gennaio 2004, l’Osservatorio nazionale del commercio, su i cui dati è basato il rapporto Confcommercio, non ha più proceduto a rilevare la presenza di esercizi aventi contemporaneamente lecaratteristiche di entrambe le tipologie, data la scarsa rilevanza delfenomeno. Tali esercizi vengono attribuiti rispettivamente ai supermercati oai grandi magazzini, in funzione della prevalenza dell’attività.Inoltre per quanto riguarda la rilevazione degli addetti, nei casi in cui il dato èrisultato mancante, si è provveduto a stimarne l’entità sulla base delcorrispondente dato provinciale.

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Graf. 2.1 Lo sviluppo della grande distribuzione (1992-2002)

Fonte: dati Istat

La crescita numerica ha comportato conseguentemente la crescita della superficie di vendita con valori molto accentuati nel canale iper dove si è passati da 1.749.262 mq. rilevati a fine 1999 a 2.452.440 mq. a fine 2004 (circa il 37% in più rispetto al 1999), mentre nel canale supermercati la superficie totale di vendita è passata da 5.329.557 a 6.698.590 mq. (+25,7%); un incremento più modesto si è riscontrato nel settore dei grandi magazzini pari nel complesso del territorio italiano a +1,6%, dato di sintesi di una significativa crescita della superficie nelle regioni centro-meridionali e di un ridimensionamento nelle aree del Nord.

Nel periodo considerato lo sviluppo delle medie e grandi strutture di vendita da un punto di vista territoriale ha interessato tutte le regioni, ma in modo particolare le regioni del Mezzogiorno che rappresentano ancora oggi aree non totalmente sature nell’offerta di queste tipologie di vendita (tabella 2.8).

Tab. 2.8 Supermercati, grandi magazzini, ipermercati (superficie, relativa variazione, 1999-2004)

Superficie super 1999

Superficie super

2004

Indsuperficie

1999-2004

Superficie grandi

magazzini

1999

Superficie grandi

magazzini

2004

Indsuperficie

1999-2004

Superficie iper1999

Superficie iper 2004

Indsuperficie

1999-2004

NordOvest

1.546.264

1.975.152

127 616.658 495.657 80 831.045 1.049.966

126

Nord Est 1.462.838

1.846.153

126 401.661 410.176 102 377.412

651.646 172

Centro 1.089.898

1.320.395

121 435.447 520.526 119 322.054 416.367 129

Sud eIsole 1.230.557

1.556.889

126 389.799 447.451 114 263.751 424.461 160

Italia 5.329.557

6.698.590

125 1.843.565

1.873.810

101 1.794.262

2.452.440

136

Fonte: Osservatorio nazionale del commercio

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Si consideri, infatti, che la superficie di vendita dei supermercati nel Mezzogiorno rappresenta attualmente il 23% del totale nazionale, un valore molto distante da quello del Nord pari al 57%; il divario è più accentuato per quanto riguarda la superficie degli iper di cui poco più del 17% è ubicato nelle regioni meridionali rispetto al 70% ubicato al Nord.

Comunque, osservando il peso della superficie di vendita nelle macro aree considerate, il Nord Ovest ne detiene il primato in tutte le tre forme di grande distribuzione.

Le cose cambiano invece se osserviamo la densità della grande distribuzione nel suo complesso (grafico 2.2).

Graf. 2.2 Densità della grande distribuzione (1999, 2004)

Fonte: Osservatorio nazionale del commercio

Rispetto alla popolazione, attualmente esistono in termini di superficie di vendita complessiva della grande distribuzione 19.045 mq. ogni 100 mila abitanti a livello nazionale, con una differenziazione tra le diverse aree del Paese. Ad un Nord-Est con il più alto valore di dotazione di strutture di grande distribuzione (25.891 mq. ogni 100 mila abitanti) si contrappongono le regioni del Sud dove la densità si avvicina ai 12 mila mq. ogni 100 mila abitanti, valore tuttavia in moderata crescita rispetto agli anni precedenti grazie soprattutto allo sviluppo di nuovi iper.

CASH & CARRY, DITRIBUZIONE SPECIALIZZATA E CENTRI COMMERCIALI

I dati dell’Osservatorio nazionale del commercio ci forniscono un panorama sulle caratteristiche strutturali e tendenze, divise per macro-aree, dei cash &carry, distribuzione specializzata e centri commerciali. I dati mostrano che anche i cash & carry tra il 2000 e il 2003 sono aumentati in unità e in superficie di vendita. Nel 2003 il Nord-est e il Nord-ovest detengono il primato delle unità di vendita (il Nord ovest supera il Nord est in superficie di vendita e ciò ne indica la superiorità in termini di grandezza media) ma gli incrementi maggiori nel periodo considerato sono quelli del Nord-ovest (tabella 2.9).

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Tab. 2.9 Cash & carry (numero unità, superficie, relativa variazione, 2000-2003)

Unità 2000

Unità 2003

Indunità 00-03

Superficie 2000

Superficie 2003

Indsuperficie 00-03

Nord ovest 70 81 115 330.562 381.582 115Nord est 76 81 106 288.146 284.922 98Centro 51 50 98 184.535 188.314 102Sud e isole 75 72 96 232.058 231.051 99Italia 272 284 104 1.035.301 1.085.869 104

Fonte: Osservatorio nazionale del commercio

Nel 2005 il Nord ha il primato del numero e della superficie di vendita della distribuzione specializzata ma è il Sud e isole ad avere il primato della crescita di questi indicatori tra il 2002 e il 2005 (tabella 2.10).

Tab. 2.10 Distribuzione specializzata (numero unità, superficie, relativa variazione, 2004-2005)

Unità 2002

Unità 2005

Indunità 02-05

Superficie 2002

Superficie 2005

Indsuperficie 02-05

Nord 643 826 128 1.811.124 2.313.682 127Centro 149 187 125 406.690 535.519 131Sud e isole 117 117 151 343.448 511.960 149Italia 909 1190 130 2.561.262 3.361.161 131

Fonte: Osservatorio nazionale del commercio

Infine, per quanto riguarda i centri commerciali il Nord ovest ne detiene il primato in termini di unità e superficie di vendita ma ancora una volta è il Sud e isole ad avere il primato della crescita tra il 2001 e il 2003 (tab. 2.11). Ciò dimostra in complesso che nella macroarea del Sud e isole è in atto un forte processo di industrializzazione della distribuzione che si articola nella crescita di tutte le forme di grande distribuzione.

Tab. 2.11 Centri commerciali (numero unità, superficie, relativa variazione, 2001-2003)

Unità 2001

Unità 2003

Indunità 01-03

Superficie 2001

Superficie 2003

Indsuperficie 01-03

Nord ovest 198 214 108 6.860.567 7.874.704 114Nord est 157 178 113 5.744.814 6.082.872 105Centro 109 124 113 2.808.131 3.365.499 119Sud e isole 73 87 119 2.670.175 3.392.000 127Italia 537 603 112 18.083.687 20.715.075 114

Fonte: Osservatorio nazionale del commercio

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2.3.2 LA LOMBARDIA

SUPEMERCATI, IPERMERCATI E GRANDI MAGAZZINI

Spostando la comparazione della grande distribuzione a livello regionale, i dati disponibili dell’Annuario statistico regionale della Lombardia,9 aggiornati al 2005, evidenziano il forte peso della Lombardia soprattutto per quanto riguarda ipermercati e supermercati: in regione si concentra quasi un terzo del numero e della superficie complessiva nazionale degli ipermercati, tra un sesto e un settimo del numero e tra un quinto e un sesto della superficie nazionale dei supermercati.

Più debole è il peso dei grandi magazzini in questa regione (la Lombardia ne detiene il primato in superficie di vendita ma non in unità che sono maggiori nel Lazio) (tab. 2.12).

9 I dati del Ministero dell'Industria,a cui si rifà l’Annuario statistico regionale, Commercio e Artigianato concernenti la consistenza delle unità di grande distribuzione sono ottenuti dalle variazioni anagrafiche annuali registrate presso le Camere di Commercio e presentano, quindi, un certo grado di approssimazione rispetto alla consistenza effettiva che viene correttamente valutata in sede censuaria.

Va tenuto presente inoltre che, nel 1991, è stata modificata la definizione statistica di ipermercato (che comprende, da quella data, alcune unità precedentemente rilevate come supermercati o grandi magazzini) con la conseguente difficoltà di realizzare serie di dati confrontabili storicamente.

Gli esercizi della grande distribuzione risultano quindi suddivisi in:

grandi magazzini, esclusi i reparti alimentari; supermercati, compresi i reparti alimentari dei grandi magazzini; ipermercati, con distinzione dei reparti alimentari e non alimentari; discount; grandi superfici specializzate del settore non alimentare (strutture con più di 1500 mq di vendita di prodotti

specifici)

Una successiva modificazione definitoria nelle definizioni è stata introdotta a seguito della nuova legislazione (d.l. 114/1998): in particolare per i centri commerciali al dettaglio è stata introdotta una nuova fascia dimensionale, al di sotto dei 2.500 mq di superficie di vendita.

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Tab. 2.12 (numero unità e superficie di supermercati, ipermercati, grandi magazzini, 2005)10

Unità

supermercati Superficie

supermercati Unità

ipermercatiSuperficie

ipermercati Unità

grandi magazzini

Superficie grandi

magazziniPiemonte 633 544.288 54 279.132 49 104.740Valle d’Aosta 12 10. 371 2 15.075 4 4.341Lombardia 1.300 1.286.518 112 724.999 139 319.754Trentino A.A. 247 191.254 7 21.967 33 34.505Veneto 967 884.325 48 268.929 71 178.363Friuli V.G. 269 231.149 14 66.066 22 60.150Liguria 176 133.975 5 30.760 35 66.822Emilia R. 653 539.425 33 204.684 53 137.158Toscana 449 414.427 28 162.626 107 155.944Umbria 181 159.092 5 27.738 35 52.216Marche 285 214.641 21 107.547 48 61.087Lazio 606 532.235 21 118.456 168 251.279Abruzzo 239 191.585 11 75.273 25 43.300Molise 55 41.973 2 9.700 12 9.344Campania 440 311.145 12 72.208 60 77.658Puglia 396 270.191 15 124.731 47 49.177Basilicata 54 35.285 2 9.910 4 5.280Calabria 202 170.215 7 35.114 64 72.489Sicilia 519 423.434 10 53.156 122 144.211Sardegna 138 113.061 8 44.369 28 45.992Italia 7.821 6.698.589 417 2.452.440 1.126 1.873.810Lombardia (%su Italia)

16,6 19,2 26,8 29,5 12,3 17,0

Fonte: elaborazione su dati dell’ Annuario statistico della Lombardia

Il dato assoluto deve poi essere pesato per la popolazione. Mentre la densità di superficie per 1000 abitanti degli ipermercati in Lombardia è insieme a quella della Val d’Aosta la più alta in Italia quella dei supermercati e grandi magazzini è più alta di quella nazionale ma inferiore a quella di alcune regioni: per quanto riguarda i supermercati, l’indicatore è inferiore a quello delle Marche, Abruzzo, Umbria, Veneto e Friuli mentre per quanto riguarda i grandi magazzini è inferiore a quello delle Marche, Valle d’Aosta, Calabria, Veneto, Liguria, Toscana, Lazio, Friuli e Umbria (grafico 2.3-2.4-2.5).

Graf. 2.3 Superficie (mq x 1.000 abitanti) dei supermercati per regione (1.1.2005)

Fonte: elaborazione su dati dell’ Annuario statistico della Lombardia

Graf. 2.4 Superficie (mq x 1.000 abitanti) dei grandi magazzini per regione (1.1.2005)

10 Nella tabella è evidenziato in nero il valore relativo alla Lombardia, in rosso il valore più alto.

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Fonte: elaborazione su dati dell’ Annuario statistico della Lombardia

Graf. 2.5 Superficie (mq x 1.000 abitanti) degli ipermercati per regione (1.1.2005)

Fonte: elaborazione su dati dell’ Annuario statistico della Lombardia

Come si possono interpretare questi dati? Una spiegazione potrebbe essere quella delle diverse strutture di urbanizzazione del territorio. Mentre la Lombardia, dove industrializzazione e urbanizzazione sono avvenute prima, è caratterizzata, oltre che dalla metropoli milanese, da molti nuclei urbani grandi e medi attorno a cui gravita il territorio, le regioni a industrializzazione diffusa mostrano un maggior decentramento urbano e una più spiccata mobilità della popolazione: in Lombardia è quindi maggiore, rispetto a queste regioni, la tenuta del commercio tradizionale, strettamente collegato ai centri urbani e alla loro importanza rispetto al territorio circostante (Ballarino, 2000).

CASH & CARRY, DISTRIBUZIONE SPECIALIZZATA E CENTRI COMMERCIALI

La Lombardia detiene il primato del numero e della superficie di vendita dei cash & carry. I cash & carry in Lombardia sono per superficie meno di un sesto e per numero meno di un settimo del dato complessivo a livello nazionale (tabella 2.13).

Tab. 2.13 Cash carry ( numero unità e superficie, 2004)

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Unità SuperficiePiemonte 25 99.709Valle d’Aosta 1 2.836Lombardia 43 231.460Trentino Alto Adige 12 47.577Veneto 9 24.333Friuli Venezia Giulia 11 33.980Liguria 27 96.845Emilia Romagna 33 118.599Toscana 15 60.563Umbria 4 12.260Marche 10 33.070Lazio 21 82.421Abruzzo 7 38.500Molise 1 1.195Campania 24 68.066Puglia 9 46.094Basilicata 2 8.300Calabria 8 8.940Sicilia 14 31.705Sardegna 7 28.311Italia 284 1.121.367Lombardia (%su Italia) 15,1 20,6

Fonte: elaborazione su dati dell’ Annuario statistico della Lombardia

La tabella qui sotto (tab. 2.14) mostra il forte peso dei centri commerciali in Lombardia; la regione ne detiene il primato in termini di unità e superficie di vendita. Osservando gli indicatori della distribuzione specializzata i risultati cambiano di poco; la Lombardia ne detiene il primato in superficie di vendita ma in termini di unità è seconda dopo il Lazio (tab. 2.14).

Tab. 2.14 Distribuzione specializzata e centri commerciali (numero unità e superficie, 2005) (superficie dei centri commerciali = superficie lotti)

Unitàdistribuzione specializzata

Superficiedistribuzione specializzata

Unità centri

commerciali

Superficie centri

commercialiPiemonte 49 104.740 71 2.425.715Valle d‘Aosta 4 4.341 - -Lombardia 139 319.754 140 5.950.835Trentino A. A. 33 34.505 19 221.943Veneto 71 178.363 76 2.547.445Friuli V.G. 22 60.150 13 705.963Liguria 35 66.822 14 324.578Emilia Romagna 53 137.158 93 3.509.053Toscana 107 155.944 57 1.525.148Umbria 35 52.216 31 490.940Marche 48 61.087 31 1.026.266Lazio 168 251.279 30 897.885Abruzzo 25 43.300 29 844.902Molise 12 9.344 8 184.633Campania 60 77.658 16 525.199Puglia 47 49.177 20 1.358.046Basilicata 4 5.280 - -Calabria 64 72.489 5 221.170Sicilia 122 144.211 10 48.1921Sardegna 28 45.992 16 497.055Italia 1.126 1.873.810 679 23.738.697Lombardia(%su Italia)

12,3 17,0 20,6 25,0

Fonte: elaborazione su dati dell’ Annuario statistico della Lombardia

2.3.3 L’AREA METROPOLITANA MILANESE

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Avevamo lasciato l’analisi dell’area metropolitana milanese in relazione alla trasformazione del commercio al dettaglio che, da quanto emerge dai dati, è ancora in atto. L’esito di questa trasformazione è la diffusione del commercio non specializzato in cui, come già detto, sta buona parte della grande distribuzione. Si è anche detto che il comparto alimentare è centrale in questa trasformazione. Si sono in seguito delineate le caratteristiche strutturali e le tendenze evolutive a livello nazionale e regionale della grande distribuzione. Sorgono allora le seguenti domande: il commercio non specializzato come si diffonde nelle diverse forme di grande distribuzione nell’area metropolitana milanese? Tra la grande distribuzione alimentare e non alimentare qual è il comparto più sviluppato in termini di unità di vendita e addetti? E all’interno di questo qual è la forma di grande distribuzione più sviluppata? Quali sono le tendenze degli ultimi anni? L’analisi della grande distribuzione nell’area metropolitana milanese verrà inserita all’interno del quadro più ampio della grande distribuzione nelle province della Lombardia e messa a confronto con le province di Roma e Napoli (queste province insieme a quella di Milano rappresentano le tre province più popolose in Italia). Nell’analisi verranno prese in esame non soltanto le caratteristiche strutturali e le tendenze evolutive relative alle imprese ma anche quelle relative agli occupati.

SUPERMERCATI, IPERMERCATI E GRANDI MAGAZZINI

Passando a livello provinciale, e considerando gli indicatori relativi al numero di unità locali e addetti, la provincia di Milano, come si può immaginare, nel 2005, ne detiene il primato in tutte le tre forme di grande distribuzione (tabella 2.15, 2.17 e 2.19). Se poi consideriamo la serie storica 2000-2005 si osserva un aumento dell’indice di variazione di quegli indicatori per quanto riguarda supermercati e ipermercati, diversamente una diminuzione per quanto riguarda grandi magazzini; nel caso della diminuzione degli indicatori relativi ai grandi magazzini, un’ interpretazione può essere quella per cui questa tipologia di punto vendita con cui è nata la grande distribuzione abbia risentito della concorrenza di due nuove tipologie , cioè gli ipermercati da una parte, e le nuove catene specializzate dall’altra (Ballarino, 2000). Verificheremo più avanti attraverso i dati la validità di questa tesi.

Per quanto riguarda la comparazione fra le province di Milano, Roma e Napoli, la provincia di Milano detiene il primato in tutti gli indicatori relativi ai supermercati, ipermercati e grandi magazzini (per ipermercati e grandi magazzini fa eccezione l’indicatore relativo al numero che ha il valore più alto nella provincia di Roma più estesa ma meno urbanizzata di quella di Milano) (Tab. 2.16, 2.18 e 2.20).

Tab. 2.15 Supermercati (numero unità, addetti, relativa variazione, 2000-2005)

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Unità 2000

Unità 2005

Indunità 00-05

Addetti 2000

Addetti 2005

Indadd. 00-05

Varese 106 156 147 2.385 3.908 163Como 48 51 106 1.395 1.428 102Sondrio 12 23 191 152 356 234Milano 417 439 105 11.558 13.905 120Bergamo 103 136 132 2.149 2.633 122Brescia 174 227 130 2.640 3.426 129Pavia 53 82 154 1.191 1.951 163Cremona 33 38 115 651 896 137Mantova 66 84 127 891 1.216 136Lecco 27 42 155 637 1.050 164Lodi 28 22 78 378 388 102Lombardia 1.067 1.300 121 24.527 31.157 127Italia 6.206 7.821 126 114.507 142.985 124Milano(%su Lombardia)

39,0 33,7 86 47,1 44,6 94

Milano (% su Italia) 6,7 5,6 83 10,0 9,7 97

Fonte: elaborazione su dati dell’ Annuario statistico della Lombardia

Tab. 2.16 Supermercati alimentari: numero unità, superficie, addetti (2002)

Area territoriale Unità Superficie di vendita (mq.)

Addetti maschi

Addetti femmine

Totale addetti

Milano provincia 418 409.536 5.895 6.178 12.073Roma provincia 305 322.210 4.147 4.029 8.176Napoli provincia 205 134.485 1.233 997 2.230

Fonte: elaborazione su dati Assolombarda

Tab. 2.17 Ipermercati (numero unità, addetti, relativa variazione, 2000-2005)

Unità 2000

Unità 2005

Indunità 00-05

Addetti 2000

Addetti 2005

Indadd 00-05

Varese 8 7 87 1.568 1.887 120Como 9 11 122 1.147 1.741 151Sondrio 4 4 100 496 517 104Milano 29 31 106 6.284 7.477 118Bergamo 5 8 160 2.146 2.562 119Brescia 15 25 166 2.090 2.555 122Pavia 4 7 175 879 1.164 132Cremona 3 2 66 744 682 91Mantova 3 6 200 388 546 140Lecco 5 5 100 536 558 104Lodi 5 6 120 1.032 1.058 102Lombardia 90 112 124 17.310 20.747 119Italia 304 417 137 52.178 72.210 138Milano(%su Lombardia)

32,2 27,6 85 36,3 36,0 99

Milano (%su Italia) 9,5 7,4 77 12,0 10,3 85

Fonte: elaborazione su dati dell’ Annuario statistico della Lombardia

20

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Tab. 2.18 Ipermercati : numero unità, superficie, addetti (2002)

Area territoriale Unità

Superficie di

vendita alimentar

e (mq)

Superficie di

vendita non

alimentare

(mq)

Addetti maschi

alimentare

Addetti femmine alimentar

e

Totale addetti

alimentare

Addetti maschi

non alimentar

e

Addetti femmine

non alimentar

e

Totale addetti non

alimentare

Milano provincia 23 90.348 141.969 1.362 1.852 3.214 2.734 3.695 6.429Roma provincia 26 46.395 57.682 751 880 1.631 529 812 1.341Napoli provincia 4 14.888 23.872 143 162 305 304 219 523

Fonte: elaborazione su dati Assolombarda

Tab. 2.19 Grandi magazzini (numero unità, addetti, relativa variazione, 2000-2005) Unità 2000

Unità 2005

Indunità 00-05

Addetti 2000

Addetti 2005

Indadd 00-05

Varese 11 13 118 445 582 130Como 24 14 58 389 280 71Sondrio 1 0 0 26 0 0Milano 68 54 79 3.345 2.251 67Bergamo 6 10 166 214 274 128Brescia 29 29 100 1.063 622 58Pavia 6 6 100 82 122 148Cremona 4 3 75 178 137 76Mantova 2 3 150 47 155 329Lecco 2 3 150 43 47 109Lodi 6 4 66 133 103 77Lombardia 159 139 87 5.965 4.573 76Italia 984 1.126 114 24.702 24.304 98Milano(%su Lombardia)

42,7 38,8 91 56,0 49,2 87

Milano (%su Italia) 6,9 4,7 68 13,5 9,2 68

Fonte: elaborazione su dati dell’ Annuario statistico della Lombardia

Tab. 2.20 Grandi magazzini: numero unità, superficie, addetti (2002)

Area territoriale Unità Superficie di vendita (mq)

Addetti maschi

Addetti femmine

Totale addetti

Milano provincia 68 229.107 1.249 2.096 3.345Roma provincia 105 147.045 1.042 1.357 2.399Napoli provincia 32 51.774 364 413 777

Fonte: elaborazione su dati Assolombarda

Per quanto riguarda gli ipermercati, nel 2005 nell’area metropolitana milanese la superficie non alimentare è maggiore di quella alimentare mentre nel periodo 2000-2005 la superficie alimentare aumenta poco più di quella non alimentare e tale aumento è leggermente maggiore di quello regionale; ciò indica la tendenza relativa all’aumento della superficie alimentare dell’ipermercato che quindi diventa sempre più simile al supermercato e nel complesso del dato regionale supporta la tesi della forte modernizzazione distributiva del comparto alimentare in quest’ area (tab, 2.21).

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Tab. 2.21 Ipermercati (superficie alimentare e non alimentare, relativa variazione, 2000-2005)

Superficie alim. 2000

Superficie alim. 2005

Indsuperficie 00-05

Superficie non alim.

2000

Superficie non alim.

2005

Indsuperficie 00-05

Varese 22.436 25.099 111 43.460 25.103 57Como 29.186 32.829 112 20.164 24.048 119Sondrio 14.381 9.125 63 10.190 15.959 156Milano 88.159 108.984 123 97.980 120.260 122Bergamo 36.651 33.264 90 18.679 35.776 191Brescia 41.997 69.449 165 53.472 69.395 118Pavia 17.020 22.894 134 16.400 29.056 177Cremona 11.511 12.000 104 9.260 6.000 64Mantova 9.165 14.894 162 7.518 9.447 125Lecco 13.205 13.246 100 20.746 12.696 61Lodi 14.984 18.357 122 15.958 17.118 107Lombardia 297.695 360.141 120 313.827 364.858 116Italia 869.169 1.284.318 147 925.093 1.168.122 126Milano (%su Lombardia)

29,6 30,2 102 31,2 32,9 105

Milano (%su Italia)

10,1 8,4 83 10,5 10,2 97

Fonte: elaborazione su dati dell’ Annuario statistico della Lombardia

Il primato di Milano in termini di unità e superficie di vendita nelle tre forme di grande distribuzione prese in esame, è ridimensionato se consideriamo la densità commerciale (numero punti vendita per 10000 abitanti) e il numero medio di addetti per unità locale (tab. 2.22 e 2.23).

Tab. 2.22 Supermercati,ipermercati e grandi magazzini: densità commerciale, 2005

Supermercati Ipermercati Grandi magazzini Tot.Varese 1,8 0,08 0,1 1,9Como 0,9 0,1 0,2 1,2Sondrio 1,2 0,2 0 1,4Milano 1,1 0,08 0,1 1,2Bergamo 1,3 0,07 0,09 1,4Brescia 1,9 0,2 0,2 2,3Pavia 1,6 0,1 0,1 1,8Cremona 1,0 0,05 0,08 1,1Mantova 2,1 0,1 0,07 2,2Lecco 1,3 0,1 0,09 1,4Lodi 1,0 0,2 0,1 1,3Lombardia 1,3 0,1 0,1 1,5Italia 1,3 0,01 0,1 1,4

Fonte: elaborazione su dati dell’ Annuario statistico della Lombardia

Anche se i numeri sono piccoli, nel complesso delle tre forme di grande distribuzione considerate, Milano insieme a Cremona e Como ha i valori più bassi di densità commerciale.

A Milano nel 2005 il numero medio di addetti per unità locale delle tre forme distributive è superiore a quello della Lombardia. Se poi osserviamo attraverso l’indice di variazione le tendenze degli ultimi 5 anni risulta che a Milano l’aumento della grandezza media delle unità di vendita è maggiore nei supermercati seguiti dagli ipermercati mentre per i grandi magazzini la tendenza è negativa (tab. 2.24).

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Tab. 2.23 Supermercati,ipermercati e grandi magazzini: numero medio addetti per unità locale, 2000-2005 2000 2005

Supermercati Ipermercati Grandi magazzini Supermercati

Ipermercati Grandi magazzini

Varese 27,2 196,0 40,4 25,0 269,5 44,7Como 29,0 127,4 16,2 28,0 158,2 20,0Sondrio 12,6 124,0 26,0 15,4 129,2 0Milano 27,7 216,6 49,1 31,6 241,1 41,6Bergamo 20,8 429,2 35,6 19,3 320,2 27,4Brescia 15,1 139,3 36,6 15,0 102,2 21,4Pavia 22,4 219,7 13,6 23,7 166,2 20,3Cremona 19,7 248,0 44,5 23,0 341,0 45,6Mantova 13,5 129,3 23,5 14,4 91,0 51,6Lecco 23,5 107,2 21,5 25,0 111,6 15,6Lodi 13,5 206,4 22,1 17,6 176,3 25,7Lombardia 22,9 192,3 37,5 23,9 185,2 32,8Italia 18,4 171,6 25,1 18,2 180,3 21,5

Fonte: elaborazione su dati dell’ Annuario statistico della Lombardia

Tab. 2.24 Super., iper. e grandi magazzini: indice di variazione del numero medio addetti, 2000-2005

Supermercati Ipermercati Grandi magazziniVarese 92 137 110Como 96 124 123Sondrio 122 104 0Milano 114 111 84Bergamo 92 74 76Brescia 99 73 58Pavia 105 75 149Cremona 116 137 102Mantova 106 70 219Lecco 106 104 72Lodi 130 85 116Lombardia 104 96 87Italia 98 105 85

Fonte: elaborazione su dati dell’ Annuario statistico della Lombardia

CASH & CARRY, DISTRIBUZIONE SPECIALIZZATA E CENTRI COMMERIALI

I cash & carry nella provincia di Milano diminuiscono dal 2000 al 2004 in termini di unità, superficie, e addetti anche se è bene sottolineare, sebbene si tratti di commercio all’ingrosso, che la superiorità della superficie alimentare su quella non alimentare testimonia l’importanza del comparto alimentare nell’area milanese (tab. 2.25 e 2.26).

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Tab. 2.25 Cash & carry (numero unità, addetti, relativa variazione, 2000-2004)

Unità 2000

Unità 2004

Indunità 00-04

Addetti 2000

Addetti 2004

Indadd 00-04

Varese 4 62 150 420 436 103Como 2 3 150 37 83 405Sondrio - 0 - - 0 -Milano 13 10 76 894 859 96Bergamo 4 3 75 256 152 59Brescia 10 11 110 378 327 86Pavia 2 3 150 13 71 546Cremona - 0 - - 0 -Mantova 2 2 100 90 28 31Lecco 2 2 100 46 45 97Lodi 1 3 300 35 84 240Lombardia 40 43 107 2.169 2.085 96Italia 272 284 104 9.389 9.417 100Milano(%su Lombardia

32,5 23,2 71 41,2 41,1 99

Milano(%su Italia) 4,7 3,5 74 9,5 9,1 95

Fonte: elaborazione su dati dell’ Annuario statistico della Lombardia

Tab. 2.26 Cash & carry (superficie alimentare e non alimentare, 2000-2004)

Superficie alim. 2000

Superficie alim. 2004

Superficie non alim. 2000

Superficie non alim. 2004

Varese 23.561 9.877 23.561 14.577Como 6.400 1.160 6.596 2.416Sondrio - - 0 0Milano 40.444 30.263 37.495 28.784Bergamo 13.573 4.565 8.843 6.825Brescia 34.172 18.278 36.441 20.966Pavia 3.400 850 5.075 1.715Cremona - - 0 0Mantova 8.000 3.000 8.000 3.000Lecco 8.870 4.640 4.762 4.470Lodi 2.312 3.470 12.827 5.107Lombardia 140.732 76.103 143.600 87.860Italia 668.704 366.597 694.662 391.207Milano(%su Lombardia)

28,7 39,7 26,1 32,7

Milano (%su Italia) 6,0 8,2 5,3 7,3

Fonte: elaborazione su dati dell’ Annuario statistico della Lombardia

Nella comparazione fra le province di Milano, Roma e Napoli, la province di Milano e Napoli detengono il primato in tutti gli indicatori (nell’indicatore relativo al numero la provincia di Napoli prevale su quella di Milano per un’unità) tranne in quello relativo agli addetti femmine che ha un valore più alto nella provincia di Roma (tab. 2.27).

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Tab. 2.27 Cash & Carry: numero unità, superficie, addetti (2002)

Area territoriale Unità Superficie di vendita alimentare

(mq)

Superficie di vendita

non alimentare

(mq)

Totale superficie di vendita

(mq)

Superficie ad altri usi

Addetti maschi

Addetti femmine

Totale addetti

Milano provincia 13 40.444 30.263 70.707 26.094 530 364 894Roma provincia 11 27.511 26.051 53.562 12.715 426 409 835Napoli provincia 14 40.444 30.263 70.707 26.094 530 364 894

Fonte: elaborazione su dati Assolombarda

I centri commerciali (purtroppo è disponibile solo il dato relativo al 2005) costituiscono una parte importante del processo di trasformazione del commercio non specializzato nell’area milanese. Il fatto che il numero delle unità locali della grande distribuzione non alimentare sia più grande del numero delle unità locali della grande distribuzione alimentare costituisce un limite di crescita per i grandi magazzini (tab. 2.28).

Tab. 2.28 Centri commerciali (numero unità e addetti della grande distribuzione alimentare e non alimentare, 2005)

Unità g.d. alimentare

Addetti g.d. alimentare

Unità g.d. non alimentare

Addetti g.d. non alimentare

Varese 9 28.883 23 36.520Como 14 31.786 28 45.157Sondrio 3 12.511 4 10.044Milano 40 121.059 101 205.736Bergamo 12 36.819 42 77.256Brescia 24 75.548 68 97.538Pavia 6 25.094 19 45.011Cremona 5 15.972 13 19.658Mantova 10 20.777 30 35.530Lecco 4 12.872 11 21.404Lodi 8 22.667 21 34.390Lombardia 135 398.988 360 628.244Italia 630 1.582.100 1.427 2.328.640Milano (%su Lombardia

29,6 30,3 28,0 32,7

Milano (%su Italia) 6,3 7,6 7,0 8,8

Fonte: elaborazione su dati dell’ Annuario statistico della Lombardia

Anche la forte crescita della distribuzione specializzata dal 2002 al 2004 in termini di esercizi (il numero degli esercizi in due anni è più che triplicato) e occupati dimostra come questa forma di grande distribuzione insieme agli ipermercati (nella componente non alimentare) e indirettamente attraverso i centri commerciali possa essere, attraverso un effetto di sostituzione, alla base del calo dei grandi magazzini e quindi confermano anzi completano la tesi di Ballarino (tab. 2.29).

Ma non solo. L’espansione della distribuzione specializzata, costituita dai “category killer” , cioè esercizi specializzati non alimentari di grandi dimensioni (profumerie, elettrodomestici, e ferramenta) sottrae quote di mercato sia agli esercizi specializzati, sia agli ipermercati, poiché si caratterizza per una dimensione elevata, che consente di offrire al consumatore un assortimento maggiore rispetto a quello presente negli ipermercati, per la specializzazione in una particolare

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tipologia di consumo (fai da te, mobili, elettronica, ecc…) e per l’elevata capacità di contenimento dei prezzi (Cozzi, 2006). La distribuzione specializzata costituisce quindi una parte importante della grande distribuzione dell’area metropolitana milanese che prevale nettamente anche in confronto alle province di Roma e Napoli (tab. 2.30)

Tab. 2.29 Distribuzione specializzata (numero unità, addetti, relativa variazione, 2002-2004)

Unità 2002

Unità 2004

Indunità 02-04

Addetti 2002

Addetti 2004

Indadd. 02-04

Varese 9 24 266 419 703 167Como 14 12 85 224 200 89Sondrio 3 3 100 12 28 233Milano 40 131 327 1.869 4.187 224Bergamo 12 20 - - 011 -Brescia 24 30 125 786 1.079 137Pavia 6 6 100 285 265 92Cremona 5 5 100 95 107 112Mantova 10 13 130 168 241 143Lecco 2 2 100 - 64 -Lodi 4 8 200 92 259 281Lombardia 171 254 148 3.950 3.997 101Italia 742 980 132 15.245 24.582 161Milano (% su Lombardia)

23,3 51,5 221 47,3 26,2 55

Milano (%su Italia)

5,3 13,3 250 12,2 4,2 34

Fonte: elaborazione su dati dell’ Annuario statistico della Lombardia

Tab. 2.30 Distribuzione specializzata: numero unità, superficie, addetti (2002)

Area territoriale Unità Superficie di vendita (mq)

Addetti maschi

Addetti femmine

Totale addetti

Milano provincia 110 279.748 1.098 1.224 2.322Roma Provincia 30 91.785 551 841 1.392Napoli provincia 6 12.870 100 60 160

Fonte: elaborazione su dati Assolombarda

Quindi, l’area metropolitana milanese ha visto nel complesso un processo di industrializzazione della distribuzione negli anni ‘90 caratterizzato in termini assoluti non solo dall’aumento degli esercizi non specializzati e dalla diminuzione di quelli specializzati ma anche dai rispettivi aumenti e diminuzioni di addetti ; tuttavia negli ultimi 5 anni degli anni ’90 ci potrebbe essere stato un ridimensionamento del processo di industrializzazione della distribuzione perché diminuiscono gli esercizi non specializzati e rallenta la crescita degli addetti degli esercizi non specializzati; ridimensionamento numerico, tuttavia, che è accompagnato in quel periodo dall’aumento dimensionale delle strutture della grande distribuzione. I dati dell’Annuario statistico della Lombardia relativi ai primi 5 anni del 2000, ci consentono di dire con alta probabilità che il processo di industrializzazione della distribuzione è ancora in atto e che è soprattutto il comparto alimentare ad accentuarne la modernizzazione e che quindi in ultima analisi il processo di industrializzazione della distribuzione nell’area milanese sarebbe soprattutto una questione che riguarda il comparto alimentare. Inoltre nell’area metropolitana milanese, nelle diverse serie storiche considerate, relative ai primi anni del 2000, tutti gli indicatori della grande distribuzione sono in aumento tranne quelli che si riferiscono ai grandi magazzini e ai cash & carry. Ciò proverebbe da un lato la forte espansione della grande distribuzione in quell’area e dall’altro

11 Non c’è il dato completo. Questi sono gli occupati solo a Bergamo.

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confermerebbe l’ipotesi che nell’area milanese il comparto alimentare della grande distribuzione (nella forma del supermercato) rappresenta il centro della modernizzazione del commercio al dettaglio nel nostro Paese.

2.3.4 IL CONFRONTO INTERNAZIONALE

La grande distribuzione alimentare italiana, in Italia il comparto più modernizzato della grande distribuzione, è meno sviluppata rispetto ad altri Paesi.

Tab. 2.31 peso dei canali di vendita nella distribuzione alimentare (2005)

Italia Spagna Germania Francia U.K.Ipermercati 17% 38% 29% 51% 46%Supermercati 49% 43% 54% 44% 43%Superettes e negozi tradizionali 35% 19% 17% 5% 11%

Fonte: Federdistribuzione

Nella tabella qui sopra (tabella 2.31) sul peso dei canali di vendita nella distribuzione alimentare, è importante osservare che l’Italia è seconda per quanto riguarda i supermercati ma nel complesso rispetto agli altri paesi registra un ritardo nella modernizzazione del comparto alimentare dovuta sia alla debole presenza degli ipermercati sia alla forte tenuta del commercio tradizionale. La debole posizione della distribuzione alimentare italiana nello scenario internazionale è confermata anche da un altro indicatore.

Se vogliamo fare un confronto sommando i metri quadrati per 1000 abitanti di super e iper, l’Italia viene dopo Francia e Spagna e tale debolezza è ancora da mettere in relazione alla presenza debole degli ipermercati (grafico 2.6) che invece hanno una forte presenza in Francia.

Il primo ipermercato, introdotto in Francia nel 1963, nasce pochi anni dopo i primi supermercati e si sviluppa parallelamente a questi, fino a raggiungere condizioni di diffusione che non ha eguali in nessuno altro paese (Pellegrini, 2001).

Graf. 2.6 Superficie di vendita per 1.000 abitanti (2005)

Fonte: Federdistribuzione

Nell’ottica internazionale è interessante poi confrontare la grande distribuzione dell’area metropolitana milanese con quella di altre città europee.

LIONE

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La grande distribuzione (superfici > 300 metri quadrati) interessa in modo significativo l’area metropolitana lionese; ha una superficie di 1.168.925 metri quadrati per 868 punti vendita ripartiti nella grande distribuzione alimentare e non alimentare. La grande distribuzione alimentare è costituita in maggior parte dai “super classique” che corrispondono ai nostri supermercati. Tuttavia è importante osservare anche il dato relativo alla densità degli ipermercati, introdotti per la prima volta in Francia nel 1963; la loro densità è pari a quella dei “super classique” (tab. 2.32).

Tab. 2.32 La grande distribuzione alimentare (31/07/2004)

Alimentare Unità M. quadrati DensitàTotale 227 356.352 226

Superette 5 1.720 1Super classique 102 130.080 82Maxidiscompte 54 41.471 26Magasin populaire 7 13.868 9Hypermarche 17 129.948 82Specialistes alim 42 39.265 25

Fonte: INSEE, Le Commerce en 2003Observatoire Departemental d’Equipement Commercial du RhoneChambre de Commerce et d’Industrie de Lyon, Enseignes et Groupes

Per quanto riguarda la grande distribuzione non alimentare, prevale il numero e la densità dell’ “eqpt maison” (oggettistica per la casa) (tab.2.33).

Tab.2.33 La grande distribuzione non alimentare (31/07/2004)

Non alimentare Unità M. quadrati DensitàTotale 641 812.573 515Eqp Personne 138 105.037 67Eqpt Maison 319 410.179 260Culture Loisirs 181 261.823 166Grand magasin 3 35.534 23N.B.: Automobile 163 256.958 163

Fonte: INSEE, Le Commerce en 2003Observatoire Departemental d’Equipement Commercial du RhoneChambre de Commerce et d’Industrie de Lyon, Enseignes et Groupes

Nel complesso nell’area metropolitana lionese la grande distribuzione non alimentare è più sviluppata di quella alimentare.

BARCELLONA

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Per avere un’idea dello sviluppo della grande distribuzione a Barcellona, è possibile utilizzare i dati relativi alle caratteristiche strutturali e alle tendenze evolutive del commercio non specializzato (in cui è contenuta quasi tutta la grande distribuzione) nella regione della Catalogna (i due terzi della popolazione della Catalogna, vivono nell’area metropolitana di Barcellona). Dal 2002 al 2004 il numero delle unità locali del commercio non specializzato è diminuito, mentre è leggermente aumentato il numero degli addetti (tab. 2.34).

Tab. 2.34 Unità locali e addetti del commercio non specializzato

2002 2003 2004 Indice di variazione 02-04

Unità locali 8.119 6.589 6.736 82Addetti 66.061 64.417 66.235 100

Fonte: Idescat

Osservando le caratteristiche professionali degli addetti, emerge che gli addetti sono soprattutto donne. Nel confronto temporale 2002-2004 gli addetti donne aumentano mentre diminuiscono gli addetti uomini. Nel 2004 il numero degli addetti donne è più del doppio di quello degli addetti uomini (tab. 2.35).

Tab. 2.35 Numero addetti per genere

2002 2003 2004 Indice di variazione 02-04

Uomini 23.888 21.777 20.989 87Donne 42.173 42.640 45.247 107

Fonte: Idescat

Per quanto riguarda il numero degli addetti per tipologia contrattuale impiegata nel confronto temporale 2002-2204, aumenta il numero di addetti impiegati con contratto a tempo indeterminato mentre diminuisce quello degli addetti impiegati con contratto di lavoro temporaneo (tab. 2.36).

Tab. 2.36 Numero addetti per tipologia contrattuale impiegata

2002 2003 2004 Indice di variazione 02-04

Addetti con contratto a tempo indeterminato

45.926 47.446 50.302 109

Addetti con contratto di lavoro temporaneo

12.130 12.696 12.110 99

Fonte: Idescat

2.4 LE VALUTAZIONI SUL COMPARTO

Secondo gli intervistati la differenza tra la situazione attuale del comparto e quella degli anni ’70 e ’80 è che mentre prima la grande distribuzione doveva “sfondare”, ora, soprattutto in Lombardia e in particolare nell’area milanese, si è vicini e in qualche caso si supera il livello di saturazione.

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Tuttavia la tendenza generale è ancora quella di una forte concorrenza fra le aziende del comparto non solo dal punto di vista dei prezzi e della qualità dei prodotti ma anche dal punto di vista dell’occupazione degli spazi. La concorrenza, soprattutto su quest’ultimo aspetto, nella sua forma più estrema (alcuni usano in proposito il termine “cannibalismo”), fa sì che degli stessi negozi appartenenti alla stessa azienda si fanno concorrenza fra loro; un dirigente sindacale commenta “trovi un supermercato di un’azienda ad un angolo della strada e all’altro angolo della strada trovi un altro supermercato della stessa azienda che, come dire, vengono aperti appositamente così vicini con l’obiettivo di impedire che quello spazio sia occupato da negozi di un’altra azienda” (int. 2).

Viene osservato dagli intervistati che il fenomeno della crescita della grande distribuzione non bisogna intenderlo solo in relazione ai grandi punti vendita ma anche in relazione alla rete dei punti vendita più piccoli. La dimensione strutturale di un’azienda che per esempio opera nel discount e non ha grandi punti vendita, fa concorrenza alla grande distribuzione più tradizionale, operando sulla semplificazione delle confezioni, sulle quantità dei prodotti, su punti vendita più “spartani” cioè operando più sul prezzo che sull’immagine. Quindi, viene fatto notare dagli intervistati che se da un lato la grande distribuzione tende a diventare, occupando soprattutto spazi extra-urbani attraverso negozi di grandi dimensioni, “turismo commerciale” offrendo servizi e svaghi, dall’altro lato attraverso i negozi di vicinato e i discount la grande distribuzione cerca di soddisfare la clientela di vicinato, la popolazione che invecchia, gli anziani che non possono usare l’automobile. Ma nel primo caso, lo sviluppo della grande distribuzione avrebbe come conseguenza la desertificazione delle periferie che sommata agli orari di chiusura dei negozi in tarda serata sarebbe alla base di alcuni problemi come quelli relativi al trasporto e alla sicurezza dei lavoratori soprattutto delle donne.

Al di là della duplice dinamica dell’espansione della grande distribuzione, si avrebbe come conseguenza generale quella della ricerca da parte del piccolo commercio di strategie di difesa e di ragioni di sopravvivenza ricercate soprattutto nella specializzazione dei prodotti e nella collocazione in nicchie di mercato.

Entrando invece nello specifico del comparto, lo sviluppo della grande distribuzione, come è confermato anche dai dati, non investe tutte le forme con cui si presenta. In proposito, il calo del numero dei grandi magazzini viene spiegato dagli intervistati attraverso la dinamica dei consumi e non da scelte strategiche. I consumi avrebbero avuto un fenomeno di contrazione soprattutto per quanto riguarda il consumo medio nel senso che la fascia alta dei consumi sarebbe rimasta identica, la fascia bassa sarebbe rimasta identica se non addirittura ampliata mentre sarebbe entrata in crisi la fascia intermedia; secondo le parole di un funzionario sindacale “la piccola borghesia che andava a comprarsi il vestito bello ma non esagerato è quella che fa più fatica ed è quella che andava a comprare da Rinascente e da Coin; quindi la contrazione della fascia dei consumi ha determinato la crisi di queste strutture alla quale le strutture stesse non hanno saputo rispondere” (int. 1). Un tentativo di risposta dei grandi magazzini a questa crisi sarebbe stato quello di provare ad abbassare i prezzi e di provare ad aumentare l’immagine attraverso la produzione in casa dell’abbigliamento e di alcuni accessori; strategia che tuttavia, secondo gli intervistati, non avrebbe avuto esiti positivi. Nel determinare il calo numerico dei grandi magazzini, oltre al problema legato alla crisi dei consumi, ci sarebbe stato anche un effetto sostituzione dei grandi magazzini da parte dei centri commerciali. Secondo un funzionario sindacale “Io credo che ci sono dei cicli e probabilmente negli anni ’60 e ’70 il grande magazzino rispondeva all’idea di consumismo e sviluppo che c’era allora nel senso che più probabilmente la signora andava al grande magazzino. Oggi la funzione del grande magazzino la fa il centro commerciale” (int.1); anche se non va dimenticato, come emerge dai dati, la crescita della distribuzione specializzata che sottrae quote di mercato non solo ai grandi magazzini ma anche agli ipermercati per quanto riguarda i prodotti non alimentari. Tuttavia, come emerge dai dati, la superficie non alimentare degli ipermercati risulta in aumento e solo in alcuni casi come in quello della Coop si verificherebbe un effetto di strategie di riconversione del non alimentare. In questa azienda, all’interno di molti ipermercati, gli spazi del non alimentare si sarebbero contratti e secondo un intervistato che commenta la situazione generale degli ipermercati

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dell’azienda “è rimasta un po’ di elettronica, biciclette che si comprano tutti a 120 euro, pentolame; però ad esempio l’abbigliamento c’è ancora ma meno di prima secondo me e non raggiunge il 40% rispetto al 50% che c’era prima; poi dipende dall’ipermercato ma mediamente siamo sul 40%” (int.1).

Una strategia commerciale che viene evidenziata dagli intervistati e che rappresenta una tendenza delle aziende di grande distribuzione con ipermercati o grandi supermercati è quella legata all’investimento sull’immobiliare. Alcune aziende di grande distribuzione si affiderebbero a società che costruiscono e gestiscono centri commerciali e attraverso ipermercati o grandi supermercati farebbero da traino al centro commerciale; quindi legherebbero gli affitti alti agli spazi che hanno creato per avere una rendita immobiliare. Questa innovazione sul lato delle strategie commerciali si accompagna a quella del ciclo produttivo. Soprattutto per quanto riguarda i punti vendita di grandi dimensioni viene sottolineata la caratteristica della complessità del ciclo produttivo. In questo senso i negozi si avvicinerebbe più a realtà industriali che a realtà commerciali; in proposito commenta un dirigente sindacale “ in certi punti vendita il ciclo produttivo è quasi continuo; si inizia a lavorare alle 4 del mattino ma in qualche punto vendita anche di notte per i rifornimenti e i trasporti” (int.9).

2.5 LE IMPLICAZIONI PER IL LAVORO

Nonostante l’importanza del fattore umano per lo svolgimento delle attività sia maggiore nel terziario che nell’industria, il carattere a-problematico della percezione del lavoro nel terziario e in modo particolare nella grande distribuzione si evince dalla scarsità di studi sulle caratteristiche occupazionali nel terziario in generale ma soprattutto nel settore della grande distribuzione (Regalia, 1990); in particolare nell’area metropolitana milanese dove la grande distribuzione ha iniziato a svilupparsi nel nostro paese.

Bisogna risalire alla fine degli anni ’80 per trovare un’indagine sulle caratteristiche occupazionali della grande distribuzione nell’area metropolitana milanese12. Tuttavia, alcuni tra i dati che emergono da quell’indagine, anche se ormai datata, sono interessanti in termine di comparazione con i dati attuali che presenterò in seguito. Il campione era formato per il 65,4% da donne. Dalla distribuzione per classi d’età, la metà degli intervistati aveva tra i 26 e 40 anni, l’11,5% era costituito da giovani fino a 25 anni e il 36% da lavoratori che avevano superato i quarant’anni. Il titolo di studio più diffuso era il diploma della scuola dell’obbligo(60,8%), mentre il 24,2% aveva frequentato la scuola secondaria superiore e l’1,7% frequentava l’università o aveva la laurea. Nel settore alimentare lavorava il 59% degli intervistati e in particolare l’85% degli uomini e il 45% delle donne. Nel settore non alimentare operava il 45% degli intervistati tra cui il 54,8% delle donne e il 14,8% degli uomini. Il rapporto di lavoro prevalente era quello a tempo indeterminato (82,9%), mentre nel 13,4% dei casi era a tempo determinato e nel 3,7% a contratto formazione lavoro. Il part-time interessava il 18% degli intervistati di cui il 26% delle donne e il 3,9% degli uomini. Dall’incrocio tra la durata dell’orario contrattuale (tempo pieno o part-time) con la durata del rapporto (a tempo indeterminato o determinato) il contratto a tempo determinato riguardava prevalentemente orari a tempo pieno, anche se in piccola parte di formazione –lavoro, ma non mancavano contratti part-time a tempo determinato. A tempo pieno e indeterminato vi era il 96% degli uomini (76,9% delle donne) mentre i due terzi dei contratti a tempo determinato rappresentavano le donne, molte delle quali a part-time. I contratti di formazione e lavoro (ora non esistono più) erano proporzionalmente più diffusi tra gli uomini, fra i quali era prevalente in modo netto il tempo pieno, al contrario di quanto avveniva tra le donne.

12 L’indagine, del 1987, è basata su 827 questionari validi pervenuti da 45 negozi di aziende di grande distribuzione di Milano e Provincia. L’indagine aveva come scopo non solo quello di fornire un quadro descrittivo delle caratteristiche occupazionali dei lavoratori del comparto ma anche quello, al centro della ricerca, di indagare le opinioni dei lavoratori sugli orari dei negozi.

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I contratti di lavoro a tempo determinato erano più diffusi nel settore alimentare (19,2%) che in quello non alimentare (14,2%). Infine, relativamente alle qualifiche professionali, la presenza delle donne su attività di carattere direttivo/gestionale (esclusive o miste) era del 4,4% contro il 13,3% degli uomini. All’interno del gruppo identificato come “addetti alla vendita”, prevalevano coloro che si occupavano di rifornimento (18,2% del totale, per il 69,2% uomini), seguiti da chi lavorava alle casse (17,7% del totale per il 95% donne) e alla vendita (7,5% del totale di cui 83,3% donne). Gli specialisti erano l’11% del totale e al loro interno le donne erano il 23,9%. Gli impiegati, che erano il 3,7% del totale, erano prevalentemente donne (83,3%).

3. IL LAVORO NELLA GRANDE DISTRIBUZIONE

3.1 LE CARATTERISTICHE OCCUPAZIONALI

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Alla luce dei limiti evidenziati da Regalia, che si ritrovano nella scarsità di studi sulle caratteristiche del lavoro nel comparto, il tentativo di ricostruire un quadro descrittivo delle caratteristiche occupazionali della grande distribuzione nell’area metropolitana milanese è quello di rifarsi in primo luogo alla rielaborazione dei dati disponibili e in secondo luogo a interviste a testimoni privilegiati; con una premessa: i dati disponibili (tranne quelli relativi all’occupazione che sono basati sul numero degli addetti) sono basati sugli avviamenti che si riferiscono al mutamento di un lavoratore dallo stato di disoccupato a quello di occupato, riguardano cioè i flussi della forza lavoro e benché non rispecchino fedelmente la realtà sono in grado di fornire orientamenti generali abbastanza attendibili.

Prendendo in esame ipermercati, supermercati e grandi magazzini (tab. 3.1) che rappresentano la parte più importante della grande distribuzione, ciò che appare subito evidente nel 2005 è la predominanza di addetti donne. Se poi osserviamo la serie storica 2000-2005 (tab. 3.2) si nota che l’aumento dell’occupazione dei supermercati è da mettere in relazione soprattutto all’aumento di addetti uomini, quello degli ipermercati soprattutto all’aumento di addetti donne mentre il crollo dell’occupazione dei grandi magazzini è da mettere in relazione soprattutto alla diminuzione di addetti uomini.

Tab. 3.1 Iper, super, grandi magazzini: occupati per genere 2005

% maschi % femmine Tot.Supermercati 46 54 13.905Grandi magazzini 24 76 2.251Ipermercati 38 62 7.747% su tot 41 59 23.633

Fonte: elaborazione su dati Annuario Statistico Lombardia

Tab. 3.2 Supermercati, grandi magazzini, ipermercati: occupati per genere 2000-2005, indice di variazione

Uomini 2000 Uomini 2005 Indice di variazione

00-05

Donne 2000 Donne 2005 Indice di variazione

00-05Supermercati 4.691 6.376 135 6.867 7.529 109Grandi magazzini 1.512 551 36 1.833 1.700 92Ipermercati 2.518 2.872 114 3.766 4.605 122

Fonte: elaborazione su dati Annuario Statistico Lombardia

Per quanto riguarda invece le forme minori di grande distribuzione, cash and carry e distribuzione specializzata (tab. 3.3), i primi nel 2004 hanno la prevalenza di addetti uomini mentre la seconda ha la prevalenza di addetti donne. Tuttavia osservando le rispettive serie storiche (tab. 3.4 e 3.5), nei cash and carry c’è una diminuzione di addetti dovuta soprattutto alla componente maschile dell’occupazione mentre nella grande distribuzione specializzata l’aumento dell’occupazione è da mettere in relazione soprattutto alla componente femminile. In complesso si tratta quindi di un mercato del lavoro prevalentemente femminile che tende a diventarlo sempre di più.

Tab. 3.3 Cash & carry, distribuzione specializzata: occupati per genere 2004

% maschi % femmine Tot.Cash and carry 60 40 859Distribuzione specializzata 43 57 4.187

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Tot. 46 54 5.046

Fonte: elaborazione su dati Annuario Statistico Lombardia

Tab. 3.4 Cash & carry: occupati per genere 2000-2005, indice di variazione

Uomini 2000

Uomini2004

Indice di variazione

Donne2000

Donne2004

Indice di variazione

Cash and carry 530 516 97 364 343 94

Fonte: elaborazione su dati Annuario Statistico Lombardia

Tab. 3.5 Distribuzione specializzata: occupati per genere 2000-2005, indice di variazione

Uomini2002

Uomini2004

Indice di variazione

Donne2002

Donne2004

Indice di variazione

distribuzione specializzata

853 1.812 212 1.016 2.375 233

Fonte: elaborazione su dati Annuario Statistico Lombardia

Passando ai dati sugli avviamenti emerge che gli avviati sono soprattutto giovani con un basso livello di istruzione (tab. 3.6 e 3.7). Le fasce di età 20-24 e 25-29 rappresentano oltre il 50% degli avviati e il 36% degli avviati ha la scuola dell’obbligo ma negli ultimi anni anche per le fasce meno qualificate dei lavoratori è richiesto il diploma di scuola media superiore. Per quanto riguarda l’età invece, secondo gli intervistati, si è di fronte a un processo di “svecchiamento” con il risultato che le imprese vecchie hanno lavoratori con età media alta mentre le imprese giovani hanno lavoratori con età media bassa. Un dirigente sindacale osserva in proposito che “l’età media cambia da azienda ad azienda; le aziende vecchie hanno l’età media alta, le aziende giovani hanno l’età media bassa…ad esempio la Fnac che è un’azienda nata dalle ceneri della Standa nel senso che ha acquisito i punti vendita Standa che Coin non ha voluto tenere ha due fasce distintissime di lavoratori: gli ex standa dai 45 anni in su e tutti i dipendenti Fnac che hanno 25 anni” (int. 1).

Tab. 3.6 Avviamenti per età nella Provincia di Milano (2003 + 2004 + 2005)

  Fino 19

20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-54 Oltre 50 Tot.

Ipermercati 2,3 29,6 26,4 20,5 10,7 6,1 3,2 0,8 4.460Supermercati 1,1 28,3 26,1 21,9 10,1 5,9 4,3 1,8 5.375Grandi magazzini 0,7 24,2 22,6 18,4 11,6 8,9 8,2 4,9 3.660Tot. 196 3.735 3.414 2.775 1.451 924 684 316 13.495% su tot. Avviamenti (iper.+super.+grandi magazzini)

1,4 27,6 25,2 20,5 10,7 6,8 5 2,3 100

Fonte: elaborazione su dati Osservatorio Mercato del Lavoro

Tab. 3.7 Avviamenti per titolo di studio (2003 + 2004 + 2005)

Formaz. prof.

Scuola obbligo

Istruz. prof.

Scuola media

sup.

Diploma univ.

Laurea Mancant

eTot.

Ipermercati 0,5 37,1 1,4 24,2   5,1 30,5 4.460

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Supermercati 0,4 43,8 1,3 21,8 0,3 1 31,2 5.375Grandi magazzini 0,3 23,8 1,1 24 1,6 3,6 45,3 3.660Tot. 62 4.885 179 3.138 114 417 4.700 13.495% su tot. avviamenti (iper + super + grandi magazzini)

0,4 36,1 1,3 23,2 0,8 3 34,8 100

Fonte: elaborazione su dati Osservatorio Mercato del Lavoro

Osservando le tipologie contrattuali impiegate negli avviamenti (tab. 3.8), se a prima vista il contratto a tempo indeterminato a tempo pieno con il 26,8% rappresenta la tipologia contrattuale più impiegata, a un’analisi più attenta il part-time trasversalmente al tempo indeterminato e a quello determinato supera il 26,8% ed è quindi in ultima analisi la tipologia contrattuale più impiegata. Addirittura negli ipermercati il contratto a tempo determinato part-time batte da solo il contratto a tempo indeterminato e ciò è da mettere in relazione alla recente apertura di molti ipermercati e alla possibilità, prevista dal contratto nazionale, di superare i quantitativi massimi di utilizzo dei contratti a termine nel caso di nuove aperture. Se poi consideriamo le tipologie contrattuali impiegate nel totale (iper+super+ grandi magazzini) rispetto al commercio nel suo complesso, considerando cioè anche il commercio all’ingrosso, emerge che il contratto di inserimento part-time è il più importante. Il part-time quindi indipendentemente dalla specifica forma contrattuale con cui si presenta, ha un peso importante nella grande distribuzione e ciò è dovuto ai flussi variabili della clientela che caratterizza questo settore e alla conseguente necessità delle imprese di avere un’organizzazione del lavoro estremamente flessibile; tanto che una forma estrema del part-time è costituita dai così detti “contratti week-end” esclusivamente per il sabato e la domenica con lo scopo soprattutto di favorire l’impiego di studenti; è bene anche sottolineare, come mettono in evidenza alcuni intervistati, che il part-time è impiegato soprattutto per le donne. Inoltre oggi rispetto al passato la natura del part-time è meno volontaria, cioè il part-time è meno scelto dai lavoratori, soprattutto donne, con il conseguente problema relativo alla conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare. Il complesso dell’esteso impiego delle tipologie contrattuali atipiche, di cui costituisce una parte importante il part-time, è in primo luogo alla base anche dell’alto turn-over di questo settore anche se per un dirigente sindacale “il turn over nella grande distribuzione è meno alto di quello che si pensa soprattutto in questi ultimi anni; c’è questo strano fenomeno per il quale la gente vive il rapporto con il suo lavoro in modo precario cioè “io entro ma sono venuto qua e domani me ne vado, non è il mio lavoro questo, resto qua in attesa di qualcosa di meglio”; il fatto è che quell’attesa dura generalmente un lasso di tempo tale per il quale non sai più dove andare” (int. 1).

In secondo luogo, l’estensione dell’impiego delle tipologie contrattuali atipiche sarebbe legato ai processi di “svecchiamento” delle imprese del settore.

Tab. 3.8 Avviamenti per tipologia contrattuale (2003 + 2004 + 2005)

Ipermercati

Supermercati Grandi magazzini

Tot. % su tot. avviamenti(iper + super + grandi

magazzini)

% su tot. avv. comm. ingr. e dett.

Apprendistato 13,5 6,8 2,7 1.073 7,9 18,4Apprendistato part-time

0,3 0 0,2 26 0,1 25

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Cfl 3,5 6,4 1,5 563 4,1 35Cfl part-time 0 0,3 0,3 35 0,2 36Contratto di inserimento

1,1 2,2 0,7 199 1,4 40,2

Contratto di inserimento part-time

0,5 1,6 0,1 114 0,8 69,5

Interinale            Interinal part-time            Lavoro a chiamata 0,1     6 0 18,7Lavoro a chiamata part-timeLavoro a domicilio

           

Lavoro ripartito 0     1 0 50Tempo determinato

17,4 21,7 20 2.684 19,8 11

Tempo determinato part-time

31,1 20,5 21,9 3.298 24,4 30

Tempo indeterminato

17,2 26,6 38,7 3.618 26,8 11

Tempo indeterminato part-time

12,6 12,1 12,2 1.668 12,3 21

Avviamenti di 1 giorno

1 1 0,6 124 0,9 1

Tot. 4.460 5.375 3.660 13.495 100  

Fonte: elaborazione su dati Osservatorio Mercato del Lavoro

Sui dati relativi ai ruoli professionali presenti nella grande distribuzione (tab. 3.9), emergono delle tendenze meno chiare. I ruoli generici (hostess di cassa, inventaristi, addetti al rifornimento scaffali, addetti alla vendita…)., cioè ruoli non qualificati, sono i più numerosi nel totale delle tre forme della grande distribuzione anche se esistono delle differenze al loro interno. Negli ipermercati prevalgono i ruoli generici con un valore molto alto (45,3%) mentre nei supermercati e grandi magazzini prevalgono i ruoli qualificati rispettivamente con il 37,4% e il 31,6%. È interessante poi sottolineare che l’inquadramento contrattuale di un lavoratore “generico” al suo ingresso in azienda, corrisponde a un quarto livello detto “addetto alle operazioni ausiliarie alla vendita”, come previsto dal contratto nazionale del commercio. A questo livello non c’è nessun tipo di professionalità; quindi non sono rari i casi in cui un lavoratore “generico” possa svolgere più di una mansione con la possibilità di occuparsi anche di mansioni specialistiche. In proposito rende bene l’idea un dirigente sindacale per cui “gli ambiti della promiscuità normalmente sono cassa, scatolame e poi i reparti specialistici intendo dire gastronomia pescheria e macelleria, quindi sono due ambiti diversi… quindi l’ addetto vendita che sta in cassa per due o tre ore a un certo punto viene chiamato dal box e gli si dice “vai in pescheria perché abbiamo bisogno di un presidio in pescheria, vai in gastronomia perché abbiamo bisogno di un presidio in gastronomia” (int.2). Inoltre, come sottolineano gli intervistati i ruoli generici sono occupati soprattutto da donne.

Tab. 3.9 Avviamenti per grado (2003 + 2004 + 2005)

 

Ipermercati Supermercati Grandi magazzini

Tot. % su tot.avviamenti (iper.+

super + grandi magazzini)

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Altro 2,7 3,1 1,7 355 2,6Apprendista 13,7 7 3,5 1.122 8,3Assistente 7,3 6,7 14,2 1.213 8,9Capo reparto/ufficio 0,6 1,2 6,3 332 2,4Capo settore/cantiere 5  0 0 5 0Caposquadra 0 0 3 3 0Dirigente 0 0,5 1,5 89 0,6Generico 45,3 28,7 26,3 4.532 33,5In formazione/lavoro 5 8,6 1,9 762 5,6Intermedio/quadro 0,8 1,2 11,5 532 3,9Qualificato 22,5 37,4 31,6 4.178 30,9Senza esperienza professionale

0,1 0,9 0,2 65 0,4

Specializzato 1,2 3,1 0,4 244 1,8Specializzato super 0,1 0,8 0,1 60 0,4Vice capo settore/cantiere 0 0 0 3 0Tot. 4.460 5.375 3.660 13.495 100

Fonte: elaborazione su dati Osservatorio Mercato del Lavoro

Infine i dati sulla presenza degli immigrati e sulle retribuzioni (tab. 3.10 e 3.11). Il peso degli immigrati sul totale degli avviamenti è molto piccolo (4%) con una punta massima nei supermercati (5%). La loro presenza, secondo quanto riferiscono gli intervistati, è maggiore nei servizi esternalizzati dalle imprese come nel caso delle attività di pulizia e della logistica. Secondo un esponente di Federdistribuzione “i lavoratori immigrati costituiscono una variabile indipendente…la grande distribuzione non è un settore dove li cercano ma non è anche un settore dove non li vogliono” (int. 6). Secondo l’intervistato la bassa presenza di extracomunitari nella grande distribuzione dipende dalla scarsa offerta di lavoro degli extracomunitari in questo settore e dalla loro preferenza a cercare un impiego più redditizio come operai specializzati nell’industria.

Tab. 3.10 Avviamenti per immigrazione (2003 + 2004 + 2005)

Ipermercati Supermercati Grandi magazzini Tot. % su tot. avviamenti (iper + super + grandi

magazzini)Immigrati 3% 5% 4% 55213 4

Fonte: elaborazione su dati Osservatorio Mercato del Lavoro

Osservando il quadro sulla retribuzione totale annua lorda delle figure di vendita (le figure prevalenti nella grande distribuzione) in rapporto all’area geografica, si assiste a una geografia delle retribuzioni a “macchia di leopardo” in cui è difficile delineare un quadro regolare. Probabilmente ciò è dovuto alla presenza di distretti industriali più o meno sviluppati e agli investimenti più marcati dei grandi gruppi multinazionali nel largo consumo in determinate aree. Iniziando ad osservare il comparto alimentare il dato più interessante riguarda i quadri: quelli pagati meglio sono al Sud; con una media di 49.472 euro lordi all’anno precedono Roma e Milano, entrambe comunque al di sopra della media nazionale. Le retribuzioni migliori per gli impiegati del settore alimentare, invece, sono Milano e il Nord-Ovest, mentre il fanalino di coda è paradossalmente il Sud. Tra quadri e impiegati si tratta di retribuzioni medie superiori di oltre due volte: 49.472 euro contro

13 Albanesi e romeni costituiscono il gruppo più numeroso.

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22.692. Un’interpretazione di questo dato può essere attribuita al basso costo del lavoro nelle fasce più deboli dei lavoratori, sia all’altrettanto debole classe dirigente, alla quale spesso si sostituiscono quadri con elevate competenze. Nel settore non alimentare la situazione appare allineabile a un quadro nazionale più prevedibile: grandi opportunità retributive a Milano (quadri: 48.307 euro; impiegati: 26.850); a seguire il Nord-Ovest e come mercato più debole il Meridione. La città di Roma mostra parametri anomali: un’eccessiva valutazione retributiva per i quadri (+ 17% sulla media) e una situazione per gli impiegati altrettanto sottodimensionata (- 12%) (Valvassori, 2006).

Tab. 3.11 Retribuzioni per area geografica 2005 (retribuzione totale annua lorda delle figure di vendita)

  Alimentare Alimentare Non alimentare

Non alimentare

  Quadri Impiegati Quadri Impiegati

Nord-ovest 45.295 25.995 46.471 27.015Nord-est 43.806 24.970 46.900 24.598Centro 45.586 24.014 45.418 25.346Sud 49.472 22.692 45.057 21.936Milano 47.765 26.660 48.307 26.850Roma 49.381 24.702 55.074 22.237

Fonte: Largo Consumo

Quindi, secondo quanto emerge dai dati e dalle interviste, la grande distribuzione è un settore caratterizzato professionalmente da giovani poco istruiti, prevalentemente donne, impiegate soprattutto a part-time in mansioni dequalificate e a bassa retribuzione.

4. LA REGOLAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO NELLE IMPRESE DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE

4.1 LA REGOLAZIONE DI PRIMO LIVELLO14: IL SINDACATO E IL CONTRATTO

NAZIONALE DEL COMMERCIO

14 La regolazione di primo livello corrisponde al contratto nazionale di categoria.

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La grande distribuzione nell’area metropolitana milanese è un settore abbastanza sindacalizzato; la percentuale di iscritti varia a seconda dei sindacati (Filcams, Uiltucs e Fisascat). Al contrario di quanto accade in altri comparti terziari (credito, pubblica amministrazione , trasporti) il sindacalismo autonomo non è diffuso. Praticamente in tutti i negozi delle aziende di grande distribuzione vi è rappresentanza sindacale anche se da mettere in relazione alla densità sindacale dei punti vendita. La sindacalizzazione riguarda in modo particolare il personale di quarto e terzo livello contrattuale (addetti alla vendita e altre figure a bassa qualificazione), ma arriva spesso al secondo (capireparto) e nelle aziende a forte tradizione sindacale anche fino al primo livello 15. Tuttavia i sindacalisti intervistati, confrontando la sindacalizzazione della grande distribuzione con quella del terziario pubblico e di altri settori dell’industria, sottolineano la bassa sindacalizzazione del settore che avrebbe radici nella debole tradizione sindacale che caratterizza il terziario privato in generale. A questo si aggiungerebbe poi la difficoltà di coinvolgere le nuove generazioni impiegate in gran parte con forme contrattuali atipiche e dal loro sempre maggiore coinvolgimento nella cultura di appartenenza alle aziende. In proposito un sindacalista della Filcams , in ordine alla possibilità delle nuove generazioni di aderire al sindacato, parla di “massa critica potenziale enorme”.

Il contratto di riferimento è quello del “Terziario, distribuzione e servizi” che coinvolge oltre al commercio che è già molto articolato, attività tra loro molto diverse come il turismo, la produzione di software o le consulenze d’impresa. Per questo nella grande distribuzione assume molta importanza la contrattazione integrativa di secondo livello, che fino al 1974 avveniva a livello territoriale (Milano) e ora avviene sia a livello di direzioni centrali delle catene, sia a livello di singoli punti vendita. (Ballarino, 2000). Per quanto riguarda la contrattazione nazionale, la firma dell’ultimo contratto nazionale risale al 2004 (un discorso a parte va fatto per la distribuzione cooperativa soggetta al “Contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti da imprese della distribuzione cooperativa” del 2005). Esso, sulla scia di quanto contenuto già nel contratto nazionale del 1999, aumenta la flessibilità numerica del lavoro, ampliando la possibilità per le aziende del ricorso a contratti a tempo determinato e al lavoro interinale e consente l’utilizzo dell’apprendistato come forma di inserimento per tutti i livelli professionali in alternativa al vecchio contratto di formazione e lavoro. Particolare attenzione è stata dedicata al tema della flessibilità temporale del lavoro, tema centrale e critico del comparto: sono introdotti tre regimi differenti di orario, e complessi meccanismi di gestione dello straordinario e dei recuperi, il cui risultato dovrebbe essere da una parte una maggiore facilità per le aziende nel ricorso alla flessibilità temporale del lavoro, dall’altra una riduzione dell’orario di lavoro individuale, che consente al lavoratore la possibilità di decidere individualmente in questo senso, senza dover passare per il sindacato o la direzione aziendale. Inoltre, il contratto amplia le garanzie dei lavoratori rispetto a infortuni e maternità. Per quanto riguarda le relazioni industriali, il contratto prevede nuove forme di relazione bilaterale tra parti sociali (per il monitoraggio del mercato del lavoro e la formazione professionale) (Ballarino, 2000). Inoltre garantisce la contrattazione di secondo livello che varia tra aziende a forte tradizione sindacale, dove la presenza del sindacato non è mai stata contestata o ostacolata, e aziende in cui la regolazione del lavoro avviene in via preferenziale all’interno delle politiche di gestione delle risorse umane. Il contratto è in fase di rinnovo e tra gli obiettivi della piattaforma unitaria delle tre federazioni sindacali vi sono quelli che riguardano specificatamente la grande distribuzione. C’è per esempio un capitolo sulla responsabilità sociale dell’impresa attinente alle buone pratiche che le aziende dovrebbero mettere in atto in tema di pari opportunità e lavoro minorile soprattutto per quanto riguarda le multinazionali all’estero. Altro tema importante è quello del mercato del lavoro in relazione soprattutto alla diffusione dell’utilizzo di tipologie contrattuali atipiche. Infine, al centro della piattaforma vi è il tema caldo delle terziarizzazioni; che sono in aumento e che secondo il sindacato sarebbero alla base della divisione del mondo del lavoro sia da un punto di vista quantitativo che da un punto di vista qualitativo.

15 Le aziende della grande distribuzione legate alla cooperazione sono un’eccezione: qui sono sindacalizzati anche quadri e dirigenti.

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4.1.2 L’ASSOCIAZIONISMO DATORIALE

Un discorso a parte merita l’associazione di rappresentanza delle aziende di grande distribuzione per i mutamenti che recentemente l’hanno coinvolta. Prima si chiamava Faid mentre ora si chiama Federdistribuzione. La federazione è nata nel 2005 attraverso la fusione di due federazioni nazionali di categoria; una era appunto Faid-Federdistribuzione che riuniva 8 associazioni del commercio imprenditoriale moderno praticamente quello che nelle sue diverse formule può essere racchiuso in grande distribuzione, grande distribuzione specialistica e succursali e altre formule moderne del commercio moderno come il franchising, le vendite a distanza e le vendite a domicilio. Questa organizzazione si è fusa nel 2005 con Federcom che era la federazione del commercio moderno ed era assimilabile alla media distribuzione alimentare. Oggi Federdistribuzione attraverso ormai 10 associazioni rappresenta tutte le espressioni della media e grande distribuzione del commercio imprenditoriale moderno food e non food in tutte le sue diverse manifestazioni naturalmente a carattere privato. Un discorso diverso va fatto per la grande distribuzione cooperativistica. La realtà del mondo cooperativo è rappresentata dalle due sigle ANCC (associazione nazionale cooperative di consumo) quindi COOP e ANCD (associazione nazionale cooperative dettaglianti) quindi CONAD e poi da CONFCOOPERATIVE.

Federdistribuzione rappresenta praticamente le maggiori imprese del comparto operanti in Italia. Ha un ruolo di coordinamento tra gli associati e Confcommercio che è la confederazione. Come commenta un responsabile di Federdistribuzione, “l’ attività prima della nascita di Federdistribuzione era basata su una risposta a un bisogno, ora c’è una costruzione programmatica” (int. 8). Attualmente i dipendenti delle imprese associate sono superiori a 300.000. Gli obbiettivi sono quelli di promuovere le tesi, le aspettative e gli orientamenti del settore che sono riconducibili al comune denominatore della centralità del consumatore. Vale a dire, secondo un responsabile di Federdistribuzione, “noi siamo aziende commerciali con la loro attività imprenditoriale che parte da un “core business” che è quello di rispondere in maniera sempre costante e continua alle aspettative evolutive del consumatore in termini di orari di apertura, di profondità e di varietà dei formati e della struttura” (int. 8). Tutto ciò, secondo il responsabile di Federdistribuzione, con l’obbiettivo unificante di cercare sempre il miglior rapporto prezzo/qualità e quindi di impegnarsi costantemente nella lotta al contenimento dell’inflazione attraverso un’economia di scala per i consumatori ma che per essere applicata deve avvenire anche attraverso un’economia di scala necessaria per la federazione. Quindi gli obbiettivi della politica in ambito normativo e commerciale di Federdistribuzione sono quelli di cercare strumenti di semplificazione in un’ottica di rispetto e valorizzazione dei principi costituzionali della libertà della concorrenza di mercato che nei termini usati dal responsabile di Federdistribuzione sono “semplificazione e competitività dell’economia di scala che ritorna a tutto vantaggio della collettività” (int. 8). Tale strategia sarebbe alla base delle scelte di Federdistribuzione in materie di orari, vendite promozionali, saldi, programmazione commerciale. Però mentre all’interno di Federdistribuzione le aziende della grande distribuzione sono unite negli intenti verso la controparte sindacale, al di fuori della federazione le aziende si fanno molta concorrenza; in proposito un responsabile dell’area lavoro di Federdistribuzione osserva che “le aziende quando vengono qui hanno il patto sindacale per cui fanno le cose assieme, mentre fuori dalla porta si “bazookano” a vicenda” (int. 6).

4.2 LA REGOLAZIONE DI SECONDO LIVELLO16:LE STRATEGIE DEGLI ATTORI SECONDO UNO SCHEMA DI ANALISI

16 La regolazione di secondo livello corrisponde al contratto aziendale o integrativo.

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LA RICERCA DEL CONSENSO

Nella regolazione di secondo livello, la regolazione del rapporto di lavoro, a seconda dei casi, può avvenire attraverso la regolazione diretta dell’impresa o attraverso la regolazione mediata dal sindacato. Entrambi i casi rientrano all’interno delle politiche manageriali con cui si intendono l’insieme delle regole e delle prassi seguite dal management di una determinata impresa nello strutturare sia il rapporto di lavoro e l’uso della forza lavoro appunto (si parlerà in questo caso di “gestione e sviluppo delle risorse umane” e di “organizzazione del lavoro”) sia l’interazione con i lavoratori e con le loro rappresentanze collettive (si parlerà in questo caso di “relazioni industriali”) (Regini, 1991). L’impresa, scegliendo di regolare il rapporto di lavoro in modo diretto lo può fare esclusivamente attraverso il suo potere organizzativo e gerarchico; tuttavia, in un’ottica più generale, trovandosi di fronte al problema di garantirsi la continuità della produzione, la qualità del prodotto e la flessibilità organizzativa, è posta di fronte al problema cruciale della ricerca del consenso.

Uno strumento analitico utile per inquadrare il problema della ricerca del consenso è quello offerto da Regini (1991). Secondo Regini, una prima alternativa di scelta per l’impresa è quella relativa alla scelta del tipo di consenso ricercato; attraverso cioè il rapporto diretto con i lavoratori o invece mediato dalle rappresentanze. Una seconda alternativa è quella relativa alla dimensione dell’ “intensità o estensione” del consenso ricercato. Nella ricerca del consenso generale all’impresa, l’obiettivo può essere quello di ottenere semplicemente un’adesione passiva ai propri obiettivi e metodi di gestione, oppure quello di favorire una partecipazione più attiva; nel caso del rapporto diretto con i lavoratori, la partecipazione passiva può realizzarsi con la “persuasione” cioè con il tentativo di ottenere l’adesione dei lavoratori ai fini dell’impresa soprattutto con tecniche di coinvolgimento simbolico-ideologico quali quelle tradizionali (pratiche paternalistiche, condiscendenza verso comportamenti irregolari) o quelle più nuove (politiche di sensibilizzazione, di comunicazione diretta, etc.) mentre la partecipazione attiva dei lavoratori può realizzarsi in un contributo attivo alla performance aziendale e in un conseguente impegno responsabile sui risultati; nel caso del rapporto mediato dalle rappresentanze, la partecipazione passiva può tradursi in un “riconoscimento” dei sindacati e /o dei consigli di azienda come rappresentanti legittimi dei lavoratori e come partner nella regolazione negoziata del lavoro mentre la partecipazione attiva può realizzarsi con il coinvolgimento delle rappresentanze collettive in almeno alcune delle decisioni strategiche relative alle politiche produttive, tecnologiche, organizzative o di mercato dell’impresa secondo semplici consultazioni o secondo una gestione congiunta quale ad esempio la cogestione.

Ma nell’ottica più generale di garantirsi la continuità della produzione, la qualità del prodotto e la flessibilità organizzativa la ricerca del consenso all’impresa assume un peso ancora più rilevante quando non è su aspetti generali ma su aspetti specifici come quelli relativi al rapporto di lavoro. La regolazione di alcuni aspetti del rapporto di lavoro quali ad esempio l’orario e il tempo di lavoro, o la mobilità interna diventa particolarmente importante e necessaria nei momenti di cambiamenti rapidi e profondi che riguardano l’organizzazione del lavoro. In tali circostanze questi aspetti richiedono una rapida riorganizzazione e una nuova armonizzazione alla nuova organizzazione del lavoro e in un’ottica di ri-regolazione è probabile che il management sia indotto a ricercare una qualche adesione dei lavoratori. Se il mutamento deve essere rapido ed efficace, infatti, è opportuno che non vada incontro a forti resistenze. Insomma è difficile che il mutamento organizzativo possa verificarsi senza una sufficiente cooperazione o adesione dei lavoratori coinvolti alle nuove regole. In queste circostanze, secondo Regini, nel caso venga ricercata la cooperazione o l’adesione dei lavoratori si parlerà di “coinvolgimento sostantivo” cioè il consenso viene scambiato offendo ai lavoratori benefici sostantivi proporzionali all’apporto che la loro collaborazione può dare al successo del mutamento, mentre nel caso che il consenso venga ricercato attraverso la rappresentanza collettiva si parlerà di “coinvolgimento regolativo” che si traduce in un qualche tipo

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di coinvolgimento nelle modalità di ri-regolazione del rapporto di lavoro, cioè informazione, consultazione o negoziazione su quegli aspetti che sono oggetto di mutamento (Regini, 1991).

La ricerca del consenso all’impresa assume poi particolare rilevanza nel terziario. In proposito è importante la definizione di Parsons e Bell secondo cui la prestazione di un servizio è un’attività di tipo relazionale, che avviene attraverso un “gioco tra persone” anziché mediante “un gioco contro il dato naturale”, com’è caratteristico della produzione industriale, e in cui il destinatario della prestazione, l’utente o il cliente, viene a trovarsi, anche se in misura diversa caso per caso, parte integrante del processo stesso di produzione (Parsons 1970; Bell 1973). In altri termini, il rapporto fra utente e fornitore è in gran parte qui un rapporto che si basa su un qualche grado di fiducia, prima ancora di dipendere dalla qualità intrinseca del servizio da ricevere e quindi dalla soddisfazione che se ne potrà ricavare. Si tratta quindi di un rapporto vulnerabile, largamente dipendente dall’immagine che l’utente ha del fornitore, e in particolare dalle caratteristiche dell’interazione che viene intrattenuta direttamente con chi presta il servizio, o concorre alla sua prestazione, ossia con quello che nelle organizzazioni di servizio è il personale di contatto. Per questi motivi assume importanza strategica per l’impresa, l’obiettivo di trovare i modi per ottenere la lealtà e la cooperazione prima di tutto di quanti lavorano in queste aree aperte e esposte all’esterno che non per forza saranno figure con competenze professionali elevate (Regalia, 1990).

4.2.1 GLI STUDI DEGLI ANNI ’80 E ‘90

Nella ricerca di Ballarino alla fine degli anni ‘90, nella parte dedicata alla regolazione del rapporto di lavoro, emerge che nel comparto della grande distribuzione e non solo, si sono sviluppate relazioni mediate collettivamente con l’obiettivo di porre un limite a una possibile polarizzazione delle posizioni lavorative secondo pure logiche di mercato; che si traducono in norme stabilite congiuntamente con la rappresentanza del lavoro. Questa tendenza trova riscontro anche nelle rilevazioni periodiche dell’ Ires Lombardia sulle imprese lombarde e milanesi del terziario privato in cui, nel corso degli anni ’90, perlomeno nelle imprese di media e grande dimensione tra cui la grande distribuzione, si verifica l’utilizzo, da parte delle direzioni, di modelli articolati di regolazione, motivazione, e coinvolgimento diretto del lavoro senza quasi mai essere in contrapposizione alla- o senza tener conto della- rappresentanza collettiva (Regalia, 2000).

Se passiamo agli studi degli anni ’80, l’attenzione delle imprese del terziario privato al sindacato nella regolazione del rapporto di lavoro trova conferma anche negli studi di Regalia e Negrelli.

Se la ricerca di Regalia affronta in particolare come si configurano le relazioni sindacali in tema di regolazione del rapporto di lavoro nel terziario in generale, la ricerca di Negrelli si sofferma in via più generale soprattutto sull’articolazione e sui temi oggetto delle relazioni sindacali tra cui appunto quello della regolazione del rapporto di lavoro nel settore del commercio.

MODELLI DI PARTECIPAZIONE

Partendo dallo studio di Regalia (basato su studi di caso condotti fra il 1984 e il 1986 all’interno di un programma di ricerca dell’Ires Lombardia e su una rilevazione esplorativa effettuata nel 1987 su un campione di imprese terziarie lombarde), emerge che nel terziario privato la partecipazione si delineava attraverso tre tipi ideali di strutturazione delle relazioni sindacali, i quali costituiscono diverse varianti di uno stile non conflittuale di regolazione del rapporto di lavoro: quello consultivo – partecipativo, quello contrattual-formalistico, e quello infine pragmatico – adattivo (Regalia,

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1990). Tre tipi di stile non conflittuale di regolazione del rapporto di lavoro. Infatti allo sciopero non si ricorreva mai su obiettivi che riguardavano la singola impresa, tranne che non si trattasse di fermate a scopo dimostrativo, o avanzate dai sindacati autonomi: “il ricorso allo sciopero viene piuttosto riservato alle vertenze per il rinnovo dei contratti nazionali, quando l’interruzione nell’erogazione dei servizi non penalizza (o penalizza lievemente) la singola impresa nei confronti della concorrenza” (Regalia, 1990).

Il primo di questi modelli, quello consultivo-partecipativo, si fonda sulla centralità, la stabilità e l’estensione dei processi di riconoscimento reciproco fra le parti. Esso è infatti caratterizzato da un elevato grado di coinvolgimento del sindacato nella definizione delle condizioni d’impiego; che non porta solo alla stipulazione regolare di accordi ma che va oltre, dando luogo dal lato della direzione, alla disponibilità a prassi di incontri periodici e di consultazione preventiva nelle fasi di innovazione e riorganizzazione e, dal lato del sindacato, alla disponibilità a accettare di confrontarsi con le sfide cui va incontro l’impresa, fino alla definizione di forme di compartecipazione agli utili; e che giunge infine alla prevalenza di entrambe le parti a stabilire procedure e criteri (da aggiornare periodicamente) per la soluzione dei più svariati problemi.

Il secondo modello (quello contrattual-formalistico) si basa sulla netta prevalenza di forme di relazione fra le parti riconducibili a schemi rigorosamente predeterminati, e chiusi, che sono l’esito delle prassi consolidate in precedenza e di espliciti accordi procedurali, i quali regolano le modalità e le scadenze degli incontri, i temi che possono, anzi devono, essere oggetto di negoziato ai vari livelli, nonché, più o meno esplicitamente, quelli invece esclusi e quindi di pertinenza solo aziendale” (Regalia, 1990, p. 42). Si tratta quindi di un modello caratterizzato da poca fiducia fra le parti, sganciato dai rapporti di forza di queste, poco flessibile rispetto alle necessità del mutamento.

L’ultimo modello (quello del pragmatismo flessibile) si fonda non sull’attribuzione di un riconoscimento sindacale estremamente formalizzato e predefinito quanto a estensione ma al contrario sull’attribuzione sindacale di un riconoscimento soprattutto di fatto e su una scarsa formalizzazione dei rapporti. Le parti si incontrano all’interno di regole del gioco poco predeterminate di cui quella più importante è il tentativo di evitare manifestazioni aperte di conflitto. A seconda delle circostanze, ciò darà luogo a intese informali e verbali, a accordi formali su alcune questioni cruciali di portata più o meno ampia , a fasi di scarsa interazione, e così via (Regalia, 1990).

I tre tipi qua delineati rappresentano modelli di relazioni fra le parti e più precisamente modelli di relazioni che implicano la partecipazione indiretta dei lavoratori. In proposito emerge dalla ricerca che l’eterogeneità che domina il settore dei servizi consentiva l’applicazione di modelli differenti a seconda del comparto considerato. In particolare il modello consultivo- partecipativo si applicava al comparto del commercio (magazzino della grande distribuzione non alimentare) cioè in un comparto dove la bassa concorrenza fra le organizzazioni e l’elevata omogeneità degli interessi di lavoratori relativamente poco qualificati consentiva una modalità di coinvolgimento decentrato, diffuso e piuttosto sistematico della rappresentanza sindacale in molti processi decisionali in azienda.

ACCENTRAMENTO E GESTIONE DEL LAVORO

Secondo la ricerca di Negrelli (1989), fondata su studi di caso, l’elevato grado di accentramento derivante essenzialmente dalla dispersione territoriale delle unità di vendita e degli esercizi e una struttura del personale a piramide, con la base molto estesa di lavoratori con basse qualifiche, limitate possibilità di carriera, iter professionali molto semplici avrebbero due effetti sul sistema di

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relazioni sindacali della grande distribuzione. Il primo effetto sarebbe quello di favorire la contrattazione collettiva aziendale svolta a livello centrale nazionale, indebolendo così l’azione a livello di strutture periferiche, sia manageriali sia sindacali. Il secondo effetto sarebbe quello di impedire politiche innovative di gestione delle risorse umane da parte delle aziende, che così si trovano nella condizione di rafforzare unicamente questo modello tradizionale di relazioni sindacali, a livello centrale, per evitare incontrollabili fughe in periferia. Tuttavia, secondo Negrelli, il diffondersi sempre più della vendita assistita renderebbe indispensabile la ricerca da parte dell’impresa di nuove e più sofisticate politiche del personale che si scontrerebbero con le strutture aziendali accentrate e gerarchizzate e che da quanto emerge dagli studi di caso di quel periodo sarebbero state applicate soltanto per limitati scopi, pur non irrilevanti, di riduzione dei conflitti e di diffusione di buoni rapporti interni delle direzioni con i lavoratori e specialmente col sindacato; ma che non avrebbero modificato la statica struttura professionale tradizionale. Inoltre per quanto riguarda i temi oggetto delle relazioni sindacali,secondo le parole di Negrelli a commento dei contratti nazionali del commercio degli anni’70 e ‘80, “ si ha la sensazione che gli unici spazi reali di contrattazione restino quelli relativi agli effetti della riorganizzazione in atto sul sistema degli orari e sulle conseguenti flessibilità da negoziare come i rapporti di impiego differenziati e le retribuzioni ad incentivo che avrebbero lo scopo di coinvolgere lavoratori che sono in prevalenza dequalificati dal punto di vista professionale e con limitate opportunità di carriera o comunque di mobilità verticale”. Tuttavia, secondo Negrelli, le retribuzioni ad incentivo nel delicato tentativo di sostituire, nella motivazione del dipendente, le prospettive di promozione professionale, troppo basse, con quelle di partecipazione agli utili, resterebbero più ambigue e meno perevedibili. Mentre “sull’organizzazione del lavoro vera e propria e sulle nuove tecnologie le prerogative manageriali sembrano ancora gelosamente custodite”. Il limite della contrattazione nazionale, secondo Negrelli, si ripercuoterebbe poi in modo diretto sulle esperienze negoziali a livello di impresa (Negrelli, 1989, p. 42).

Da questi studi emerge che nella grande distribuzione l’impresa cercherebbe il consenso della rappresentanza collettiva soprattutto su alcuni aspetti del rapporto di impiego e dunque, per ritornare allo schema iniziale di Regini, secondo il modello del “coinvolgimento regolativo”. È alla luce di questa considerazione che bisogna studiare oggi la regolazione del rapporto di lavoro nella grande distribuzione.

5. I RAPPORTI DEGLI STUDI DEI CASI

5.1 PREMESSA METODOLOGICA

La ricerca si pone l’obbiettivo di rispondere alle seguenti domande: nella grande distribuzione l’organizzazione della gestione delle risorse umane è accentrata nella sede centrale delle aziende o decentrata nei negozi? Le tipologie di relazioni sindacali descritte da Regalia nel 1990 funzionano ancora per interpretare la regolazione del rapporto di lavoro del settore? Se sì, quali possono essere i

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fattori causali che determinano tipologie diverse? In che misura un modello di relazioni sindacali caratterizza tutti i livelli di contrattazione?

In seguito, per rispondere a queste domande, verrà affrontata la regolazione di alcuni aspetti del rapporto di lavoro in tre aziende della grande distribuzione. Lo studio verrà condotto attraverso studi di caso. La scelta metodologica degli studi di caso può infatti, in assenza di dati e ricerche, ricostruire un quadro completo sulla regolazione del rapporto di lavoro nella grande distribuzione. A tal fine verrà scelta la filiale italiana di un grande gruppo multinazionale estero che è stato in precedenza, e a lungo, di proprietà pubblica (azienda1), una grande azienda italiana (azienda 2), e una grande catena cooperativa di grande distribuzione (azienda 3). Le aziende non sono state scelte a caso ma in relazione all’ipotesi alla terza domanda di ricerca: si ipotizza che lo stile manageriale dipenda dalla diversa natura della proprietà dell’azienda da cui dipende in ultima analisi la regolazione del rapporto di lavoro nella duplice forma della regolazione diretta da parte dell’impresa e della regolazione mediata col sindacato. Le aziende scelte per gli studi di caso sono state scelte per massimizzare la variazione della natura della proprietà al fine di verificare l’ipotesi relativa al condizionamento della natura della proprietà dell’azienda sullo stile manageriale, determinante, come sottolinea Regini, sulle modalità di regolazione del rapporto di lavoro (fig. 5.1).

Fig. 5.1 Ipotesi di ricerca

→ →

Nel caso di azienda 1 è importante tener conto della passata proprietà a partecipazione statale.Nella definizione di settore pubblico, economisti e studiosi di “public policy” si riferiscono in

genere ad aggregati più comprensivi che tengono conto di tutte le attività finanziate con denaro pubblico o svolte da organizzazioni dirette da personale nominato dagli organi di governo centrale o periferico (Rose, 1985, 2-5); in quest’ottica sono portati a considerare pubblici anche i dipendenti delle Partecipazioni statali. Seppure con le dovute cautele, i criteri distintivi del settore pubblico in certa misura sono pertinenti anche per le relazioni sindacali, in quanto relativi a fattori che possono influenzare in modo significativo i comportamenti delle parti (come ad esempio gli aspetti derivanti dalla natura in senso lato politica del datore di lavoro). Il rapporto di impiego del pubblico impiegato, “in quanto soggetto agente della pubblica amministrazione” è un rapporto “organico”, cioè un rapporto che implica una certa identificazione fra il lavoratore e l’amministrazione, che esclude per definizione pertanto l’ipotesi di antagonismo fra le due parti (e quindi il ricorso allo sciopero e alla contrattazione collettiva) (Regalia, 1990). La natura della proprietà a partecipazione statale di azienda 1, si colloca in un periodo storico in cui la logica di regolazione del rapporto fra le parti nel settore pubblico si basa sull’attribuzione al personale di uno status particolare, e per molti versi privilegiato, anziché sul contratto (Streeck, 1988), i cui caratteri vengono definiti per legge, e gestiti tramite procedure e provvedimenti amministrativi (Rusciano 1989a; 1989b; U. Romagnoli, 1987); almeno fino al modello “privatistico” del d.lgs 29/93 che introduce la contrattazione collettiva di diritto comune anche nel settore pubblico (Bordogna, 1998).Una delle conseguenze di tutto ciò, risiede nel ruolo particolare che assume in quel contesto, svuotato della contrapposizione fra gli interessi delle parti, la rappresentanza sindacale. Il suo ruolo innanzitutto riflette l’ineludibilità del sindacato nel settore pubblico e il suo obbiettivo non è quello della contrattazione ma quello di consultazione e controllo del rispetto delle procedure relative al trattamento del personale, reso possibile attraverso la partecipazione alle commissioni collegiali che amministrano i

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proprietà stile manageriale regolazione del rapporto di lavoro

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diversi aspetti del rapporto di lavoro e delle carriere, e la presenza nei consigli di amministrazione (Cammelli, 1980). Ne deriverebbe un modello di relazioni sindacali caratterizzato dalla cooperazione, da forme di microconcertazione, vicine alla cogestione (U. Romagnoli, 1987) volto al raggiungimento del consenso del lavoro, sia attraverso l’attribuzione di incentivi di status, sia attraverso l’integrazione dei suoi rappresentanti nei processi di consultazione, e decisione, congiunta (Regalia, 1990).

Azienda 2 è invece un’importante azienda italiana a gestione famigliare. È facile intuire che in questo contesto il sindacato non possa giocare il ruolo di una controparte valida e che conseguentemente l’impresa più probabilmente tenderà a privilegiare la regolazione diretta del rapporto di lavoro.

Se nel caso di azienda 1, bisogna tener conto del passato relativo alla natura della proprietà a partecipazione statale e del ruolo del sindacato che ne consegue , nel caso di azienda 3 bisogna tener conto della problematica interna al rapporto fra natura cooperativistica e sindacato. Al centro di questo problema vi sono le modifiche normative apportate alla legge 142 del 2001 che regola la figura del socio lavoratore (l. 30 del 2003 e l. 47 del 2004) e la loro interpretazione. Come sostiene Nicoletta Rocchi, segretaria confederale Cgil, “le difficoltà si fanno sentire appena si entra nel merito del funzionamento effettivo della democrazia sindacale e anche della democrazia economica” (Rassegna sindacale, 2006). Nello specifico vi sarebbe il problema di come conciliare i diritti sindacali e il trattamento economico per i soci lavoratori. Secondo Rocchi, per queste figure risulterebbe inibita la contrattazione aziendale e l’intervento del sindacato sull’organizzazione del lavoro. In sostanza, se è vero che i soci sono l’azienda, ci sarebbero due rappresentanze sovrapposte su una sola testa, cioè il movimento cooperativo e il sindacato. Secondo Rocchi il sindacato sarebbe disposto a rinunciare al suo ruolo in cambio dello sviluppo di strumenti di democrazia economica e di democrazia d’impresa tuttavia di difficile realizzazione soprattutto nelle grandi imprese dove secondo Rocchi “si é creato un fossato tra management e i soci lavoratori e dove la mancanza di un azionariato di riferimento ha prodotto l’inamovibilità dei gruppi dirigenti”; con conseguenze sulla stessa natura cooperativistica della proprietà relativa alla mutualità e partecipazione. Il problema, in ultima analisi, si tradurrebbe nella difficoltà di armonizzare l’originaria impostazione mutualistica all’impostazione di un’azienda che opera sul mercato in cui secondo il segretario generale della Filcams- Cgil, Ivano Corraini, anche le cooperative stanno subendo gli effetti negativi della crisi economica e la pressione dei costi e della concorrenza (Rassegna sindacale, 2006). Tuttavia al di là della problematica interna al rapporto fra natura cooperativistica e sindacato si può immaginare che l’importanza del socio-lavoratore per l’azienda si tradurrebbe indirettamente anche nel riconoscimento, non solo formale, delle strutture di rappresentanza.

In definitiva si può immaginare che, per motivi diversi, in azienda 1 e 3 il sindacato rappresenti una controparte importante per l’impresa e che conseguentemente sia coinvolto nella definizione delle condizioni di impiego. Viceversa si può immaginare che in azienda 2, il carattere famigliare della proprietà abbia come conseguenza il riconoscimento puramente formale del sindacato e il tentativo dell’impresa di avere l’esclusiva sulla regolazione delle condizioni di impiego.

La domanda di ricerca relativa alla comprensione della misura in cui una tipologia di relazioni sindacali caratterizza tutti i livelli di contrattazione assume rilevanza all’interno del dibattito attuale sulla riforma della contrattazione collettiva. In primo luogo oggetto del dibattito è la trasformazione della struttura contrattuale e, in particolare, la modifica del rapporto fra contratto nazionale di categoria e contrattazione decentrata (aziendale e territoriale). In secondo luogo oggetto del dibattito è la ridefinizione dei confini di applicazione dei contratti settoriali che si collega ad esigenze diverse: da un lato, la fine dei regimi di monopolio in molti servizi pubblici pone di fronte alla necessità di definire standard comuni per concorrenti che operano in un medesimo mercato, ma che attualmente applicano contratti differenti; per altri aspetti, in alcuni comparti, il problema maggiore sembra legato alla pluralità dei contratti e spesso si sovrappone a questioni di frammentazione della rappresentanza e di incertezza nella identificazione della “bargaining unit” – gruppo di contrattazione- (come per i trasporti); in certi casi, infine, ciò che viene considerato non

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più accettabile è il mantenimento sotto uno stesso “ombrello” contrattuale di realtà produttive di mercato differenti, con diversi livelli di pressione concorrenziale e strutture di costo divergenti ( è il caso, a volte sostenuto, del contratto metalmeccanico)17 . Ma al di là dei contenuti del dibattito, anche le motivazioni addotte per sostenere le trasformazioni della contrattazione collettiva sono di ordine diverso. Gli imprenditori e le loro associazioni evidenziano soprattutto il bisogno di una maggiore flessibilità contrattuale, che permetta lo sviluppo della competitività internazionale delle imprese italiane. I sindacati, invece, interpretano la riforma della struttura della contrattazione e dei confini dei contratti settoriali come uno strumento utile per aumentare l’estensione e la copertura contrattuale e per ridurre gli spazi di quelle che considerano forme di “social dumping” (abbassamento del costo del lavoro, accrescimento delle disuguaglianze dei redditi, riduzione dei sistemi di benessere sociale, in particolare pubblico), rese possibili dal fatto che imprese dirette concorrenti facciano riferimento a contratti collettivi diversi, con livelli salariali e di protezione disomogenei18.

Lo studio di casi, è articolato su una parte quantitativa e su qualitativa. La parte quantitativa, basata su materiali e documentazioni relativi alle tre aziende, ha lo scopo di fornire un quadro introduttivo sulla storia e sulle caratteristiche aziendali e occupazionali. Inoltre in questa parte ad alcuni responsabili risorse umane è stato somministrato un questionario al fine di avere un quadro sulla struttura dell’organizzazione della gestione delle risorse umane.

La parte qualitativa, è basata su interviste semistrutturate dirette a due tipi di interlocutori diversi: sindacalisti in qualità di testimoni privilegiati da un lato e rappresentanti aziendali e delegati in qualità di interlocutori aziendali dall’altro. I nomi dei sindacalisti sono stati forniti dal sindacato e selezionati secondo un criterio di rappresentatività che comprendesse le tre federazioni sindacali (Cgil, Cisl, Uil) mentre i responsabili aziendali, i cui nomi sono stati forniti dalle aziende, sono stati selezionati in base alle loro competenze relative all’area aziendale delle risorse umane. Le interviste a responsabili aziendali e sindacalisti hanno lo scopo di fornire un quadro sulla regolazione del rapporto di lavoro delle aziende. I delegati sono stati indicati dai sindacalisti in modo da essere rappresentativi delle tre federazioni sindacali. Le interviste ai delegati si pongono l’obiettivo di comprendere le relazioni sindacali a livello di unità di vendita. Le interviste, della durata di un’ora circa, sono state integralmente sbobinate e la loro elaborazione è materia di questo rapporto di ricerca. L’elenco degli intervistati è riportato in appendice e il riferimento alle interviste è stato codificato attraverso una numerazione. Nell’analisi del rapporto fra sindacato e impresa e fra questa e le rappresentanze dei lavoratori nei luoghi di lavoro, sono stati sottoposti a sindacalisti, delegati e dirigenti d’impresa, i tre modelli di relazioni sindacali descritti da Regalia. Questi modelli, come già detto in precedenza, avevano lo scopo di strutturare le relazioni sindacali di alcuni studi di caso del terziario privato negli anni ‘80. Il mio scopo è di utilizzarli per i tre studi di caso, con le dovute cautele per il diverso periodo storico a cui si riferiscono, al fine di comprenderne innanzitutto la validità attuale e, in modo comparativo, le relazioni sindacali non solo a livello nazionale-aziendale attraverso le interviste a sindacalisti e dirigenti di impresa ma anche, all’interno di queste, le relazioni sindacali a livello di negozio attraverso le interviste ai delegati; per cogliere le eventuali differenze fra i due livelli.

Gli studi di caso che verranno affrontati in seguito sono articolati sull’analisi dei seguenti aspetti: la storia e le caratteristiche dell’azienda, la struttura organizzativa, il personale, le relazioni sindacali e la regolazione del rapporto di lavoro.

5.2 AZIENDA 1

5.2.1 L’AZIENDA: STORIA E CARATTERISTICHE

17 www.eurofound.europa.eu/eiro/1999/07/word/it 18 ibidem

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Azienda 1 è una filiale italiana che fa parte di un gruppo multinazionale francese presente in 29 Paesi. A fine 2005 conta nel mondo oltre 463.000 collaboratori, oltre 12.000 punti vendita e ha un fatturato di 74,97 miliardi di Euro. Per quanto riguarda l’Italia ha realizzato nel 2005 un giro d’affari di oltre 6,8 miliardi di Euro, dando occupazione a oltre 26.000 collaboratori (graf. 5.1).

Graf. 5.1 Progressione del numero di collaboratori (al 31/12/2005)

Fonte: elaborazione su dati forniti dall’ azienda

Il gruppo è strutturato in divisioni a seconda della superficie dei punti vendita; c’è la divisione ipermercati oltre i 1.500 mq., la divisione supermercati fino a 1.500 mq., i negozi di vicinato che solo da qualche anno fanno parte del gruppo; c’è anche un marchio all’interno di azienda 1 costituito dai “superstore” che sono supermercati che possono raggiungere una metratura di 2.000 mq. ma che differiscono dai supermercati perchè hanno al loro interno anche prodotti non alimentari. In Italia il gruppo aprì il primo ipermercato a Marcon, in provincia di Venezia nel 1993. Oggi il gruppo è presente nel nostro Paese con 53 ipermercati (in maggior numero in Piemonte con 15 unità; 8 in Lombardia), 463 tra supermercati, iperstore e superstore (in maggior numero nel Lazio con 117 unità; 110 in Lombardia), 992 supermercati di prossimità (in maggior numero in Piemonte con 278 unità; 150 in Lombardia) e con 19 cash & carry (in maggior numero in Piemonte con 9 unità; 2 in Lombardia). I supermercati, anche se hanno mantenuto la loro insegna distintiva all’interno del gruppo, sono entrati a far parte del gruppo soltanto nel 2000. In precedenza facevano parte di un’azienda a partecipazione statale. Per il loro peso significativo all’interno del gruppo è utile tracciarne le tappe fondamentali che hanno caratterizzato i cambiamenti in seno alla proprietà.

LA STORIA DEI SUPERMERCATI

1961 il primo supermercato di azienda 1 apre a Roma presso l’area in origine occupata dalla mensa per gli atleti partecipanti alle Olimpiadi del 1960 nel Villaggio Olimpico

Successivamente vengono aperti altri tre punti vendita a Roma ed alcuni a Milano1966 Il Gruppo Iri, acquista il 60% di azienda 1

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1973 azienda 1 acquisisce una catena milanese di supermercati e Sme acquista il restante 40% del pacchetto azionario di azienda 1

1989-1990 azienda 1 acquista una catena di supermercati di Torino e una società di supermercati del novarese, rilevando da quest’ultima sia supermercati che iperstore, piccoli ipermercati

1993 si avvia lo sviluppo del franchising di azienda 11994 viene rilevata una catena ligure di supermercati. SME e quindi azienda 1 sono acquistate da

un importante gruppo italiano e quindi privatizzate1998 azienda 1 e un gruppo francese siglano un accordo: il gruppo francese conferisce ad

azienda 1 tutte le attività detenute in Italia nel settore della distribuzione. A seguito di tale conferimento, il gruppo francese sottoscrive un aumento di capitale di azienda 1, entrando nell’azionariato della società con una quota pari del 36%

1999 azienda 1 acquisisce catene di supermercati nel Lazio e in Sicilia. Il gruppo francese annuncia la fusione con un altro importante gruppo francese di grande distribuzione, secondo gruppo mondiale e leader della grande distribuzione, dalla quale nascerà un unico gruppo

2000 il gruppo nato acquisisce il 100% di azienda 12001 Inizia il progetto di rinnovamento dell’immagine dei supermercati ora facenti parte del

gruppo, che sarà progressivamente esteso a tutti i punti vendita dell’insegna.

5.2.2 LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA

Partendo dalla produzione, i negozi di azienda 1 hanno il reparto dei prodotti freschi lavorati dai dipendenti dell’azienda. La produzione di alcuni prodotti confezionati, su cui il gruppo mette il proprio marchio che ne certifica la qualità, viene esternalizzata ad altre aziende.

Gli acquisti sono centralizzati a livello di azienda. La definizione di assortimenti, gestita dalla direzione centrale degli acquisti e dalla direzione delle vendite, si trasferisce in modo differenziato ai diversi formati di vendita dell’azienda; infatti ad esempio, per quanto riguarda i supermercati, ci sono assortimenti variabili a seconda della grandezza e del grado di esposizione della merce; i supermercati più piccoli hanno un assortimento ridotto mentre e i supermercati più grandi, i “superstore” hanno un assortimento più ampio.

A differenza degli acquisti, la logistica non ha un’organizzazione centralizzata a livello di azienda.

L’organizzazione della logistica è divisa tra canale super e canale iper. Per il canale super c’è un deposito per lo scatolame e uno per i freschi, entrambi nella provincia di Milano, dove confluiscono tutte le merci e da cui, ricevute le ordinazioni, partono i camion per i supermercati con i rifornimenti suddivisi in fresco e scatolame (prodotti di largo consumo). L’azienda da qualche tempo ha introdotto un sistema chiamato “RPDV” che è una sorta di riordino automatico dei prodotti che stanno per esaurirsi che però non è ancora completamente efficiente e prevede tutta una serie di accorgimenti. Praticamente, quando arriva il carico, automaticamente a computer viene caricata la merce che entra in magazzino e dopodichè man mano che la merce passa per le casse, il sistema la scarica e quando arriva al di sotto di determinati limiti che vengono impostati, fa partire automaticamente l’ordine. Il problema è che questo sistema necessita di un correttivo perché secondo un funzionario sindacale “bisogna informare il sistema che ci sono stati x scarti x rotture magari un po’ di roba che viene rubata; quindi settimanalmente i capireparto dovrebbero andare nel magazzino e fare l’inventario di tutti i prodotti così si dice al sistema quanta roba si ha in casa e conseguentemente di regolarsi con gli ordini” (int. 5).

Per il canale iper il discorso degli ordini è autonomo. Gli ipermercati, situati nella provincia di Milano, hanno la loro “piattaforma” da cui rifornirsi autonomamente anche se la tendenza attuale è quella di organizzarsi per trovare sinergie. Ultimamente a Milano è stato creato un deposito

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funzionale al rifornimento di prodotti non alimentari per supermercati e ipermercati ma non ancora a pieno regime.

I negozi di prossimità hanno lo stesso sistema dei supermercati nel senso che hanno un deposito centralizzato, fuori Milano, anche se il sistema di riordino non è automatico come quello dei supermercati ma è basato sul classico sistema via telefono.

La strategia dell’azienda è quella di esternalizzare quasi tutto il processo logistico a cooperative sia per quanto riguarda i supermercati sia per quanto riguardagli ipermercati. Il deposito dei supermercati ha iniziato ad essere terziarizzato nella seconda metà degli anni ’90. Era stato fatto un primo accordo sindacale dove si concordava la terziarizzazione di alcune corsie del deposito e poi progressivamente sono state affidate alle cooperative la gestione di quasi tutte le corsie del deposito al punto che oggi ci sono solo un quarto di lavoratori che sono dipendenti dell’azienda, i quali hanno tenuto un po’ di corsie anche se hanno funzioni prevalentemente amministrative, e tre quarti di lavoratori che sono dipendenti di cooperative che a vario titolo gestiscono le corsie. Anche i trasporti sono stati terziarizzati quasi interamente e anche se i camion riportano l’insegna dell’azienda non sono guidati da dipendenti dell’azienda.

Le strategie di vendita dell’azienda si basano su studi di mercato che riguardano lo studio delle famiglie residenti attraverso indicatori come l’età media, la composizione del nucleo famigliare e le abitudini alimentari. Soprattutto nelle fasi di apertura degli ipermercati viene fatto lo studio del bacino di utenza. Innanzitutto, viene fatta l’analisi dello scenario di preapertura con lo studio del territorio, con le indicazioni di quelli che sono i concorrenti, quindi tutte le insegne allocate nel bacino di utenza dell’ipermercato, qual è l’ubicazione, quali sono i trasporti, ecc. Poi, molto importante è lo studio della popolazione del bacino di utenza, il suo reddito procapite, il suo consumo procapite, l’età media dei clienti, tutti fattori determinanti nell’ influenzare l’acquisto e quindi le categorie di prodotti e in ultima analisi la scelta dell’estensione dell’area food e non food; anche se per il responsabile di risorse umane degli ipermercati dell’azienda, la convenienza negli ipermercati si offre nel settore alimentare mentre il guadagno si ha dal settore non alimentare.

Per quanto riguarda l’organizzazione della gestione delle risorse umane bisogna fare un discorso diverso per supermercati e ipermercati.

Per quanto riguarda l’organizzazione della gestione delle risorse umane dei supermercati, la Direzione del Personale, l’Ufficio Risorse Umane e/o Formazione del Personale e l’ufficio per le relazioni sindacali sono nella sede centrale dell’azienda e non nei negozi. I responsabili di negozio che hanno anche funzioni di gestione delle risorse umane e di relazioni sindacali, sono soliti intervenire direttamente, trattando con la rappresentanza sindacale, su materie quali 1) organizzazione del lavoro, ambiente, mobilità interna (ruoli e mansioni) 2) orari, straordinari, turni, ferie e permessi; sono soliti intervenire invece, decidendo da soli o trattando con gli interessati, su materie quali 1) organizzazione del lavoro, ambiente, mobilità interna (ruoli e mansioni) 2) orari, straordinari, turni, ferie e permessi 3) sanzioni disciplinari, reclami, controversie 4) aumenti, incentivi, carriera 5) programmazione della formazione.

Per quanto riguarda l’organizzazione della gestione delle risorse umane degli ipermercati, la Direzione del personale è nella sede centrale dell’azienda mentre nei negozi è presente l’Ufficio Risorse Umane e/o Formazione del Personale che si occupa anche delle relazioni sindacali dei negozi (per gli ipermercati esiste poi un referente risorse umane regionale che si occupa delle relazioni sindacali a livello territoriale e un Direttore risorse umane di formato che si occupa delle relazioni sindacali a livello nazionale). Negli ipermercati, oltre al responsabile di negozio c’è un responsabile risorse umane e insieme sono soliti intervenire direttamente, trattando con la rappresentanza sindacale, su temi quali: organizzazione del lavoro, ambiente, mobilità interna (ruoli e mansioni); sono soliti intervenire invece, decidendo da soli o trattando con gli interessati, su materie quali: piani ferie che vengono definiti in accordo con i lavoratori e sulla base delle esigenze aziendali e che vanno approvati dal referente gerarchico (es. i direttori di negozio approvano i piani ferie dell’inquadramento, i capi settore quelli dei capireparto e degli addetti del settore stesso), sanzioni disciplinari, reclami, controversie (tutti i responsabili possono fare richiesta di

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contestazione al direttore di negozio e al responsabile risorse umane che valutano l’opportunità di avviare il provvedimento; per le sanzioni di carattere conservativo hanno autonomia decisionale mentre per quelle di carattere espulsivo e nei casi più complessi, si confrontano con il referente risorse umane regionale), aumenti, incentivi, carriera, programmazione delle ferie.

5.2.3 IL PERSONALE

La sede del management si trova nella periferia di Milano e al suo interno ci sono gli uffici commerciali dei tre canali di vendita, super, iper e negozi di prossimità. L’azienda ha più di 25.000 dipendenti concentrati soprattutto nei punti vendita.

Per quanto riguarda la struttura organizzativa dei punti vendita, bisogna fare una differenziazione per i diversi canali di vendita perché non sono tutti uniformati. Mediamente all’interno di quasi tutti i supermercati troviamo una popolazione fra i 50 e 100 dipendenti (anche se nei supermercati più grandi il numero cresce) inquadrata tra il quarto e il terzo livello del contratto del commercio dove per quarto livello si intende la stragrande maggioranza dei cosidetti “addetti ausiliari alle operazioni di vendita” (soprattutto donne) che sono i banconieri, i cassieri (a volte subordinati a un capocassiere) e quelli che riforniscono gli scaffali. Nei supermercati può capitare che fra queste figure professionali si verifichi il fenomeno della promiscuità e cioè che venga chiesto a un cassiere di rifornire gli scaffali o di servire a un banco anche se, soprattutto quest’ultimo caso, è difficile che si verifichi. Infatti per servire al banco ci vuole una specializzazione e sarebbe rischioso oltre che controproducente per l’azienda in termini di immagine, farlo fare a chi non ce l’ha. Il fenomeno della promiscuità risale ai tempi in cui i supermercati dell’azienda erano a partecipazione statale; la creazione di una mansione promiscua fu introdotta come partita di scambio al momento della modifica del nastro-orario (con la creazione del doppio turno) traducendosi in una saturazione dei tempi di lavoro con conseguenti recuperi di produttività, una più equa ripartizione dei carichi di lavoro, ma anche forse con un peggioramento dei carichi di lavoro (Negrelli, 1989). Nel contratto integrativo di azienda 1 del 1978, si introdusse poi il gruppo di lavoro basato sulle mansioni promiscue. Proseguendo nella descrizione della struttura organizzativa, a un gradino superiore agli addetti ausiliari alla vendita, ci sono le figure specialistiche (salumiere, pescivendolo-terzo livello contrattuale-) accanto ai quali lavora il banconiere. Anche in questo caso ci può essere promiscuità di mansioni. La figura del banconiere, creata da poco, ha una specie di specializzazione così che spesso fa quello che fa lo specialista cioè i due ruoli sono spesso confusi ed è molto difficile capire la discriminante fra uno specialista e un banconiere. Proseguendo nella scala gerarchica ci sono i capireparto (che dovrebbero essere al secondo livello ma non è sempre così) che, a detta del responsabile del personale di un supermercato, sono in diminuzione. A questi si aggiunge recentemente il caporeparto integrato a capo di più reparti. Infine al vertice della struttura organizzativa c’è il gestore (responsabile punto vendita) che è un quadro a cui a volte è subordinato un vicegestore.

Negli ipermercati (3-4-500 dipendenti), l’organizzazione è simile a quella dei supermercati anche se la struttura gerarchica è più marcata. La maggior parte della popolazione lavorativa è al quarto livello (addetti iper, cassieri e addetti generici) e rappresentata soprattutto da donne. Poi ci sono gli specialisti di terzo livello e i capireparto di secondo livello subordinati ai capisettore. Infatti poiché gli ipermercati sono strutturati in più reparti commerciali conglobati in un unico settore merceologico, ci sono i capisettore di primo livello come ad esempio il caposettore del reparto cinefoto-ottica (FCF) articolato al suo interno nel reparto informatica, televisione, grandi elettrodomestici, piccoli elettrodomestici. Generalmente i capisettore sono cinque e sono affiancati da capiservizio. Il numero dei capireparto subordinati ai capisettore dipende dalla grandezza del negozio; generalmente ogni caposettore ha sotto di sé 4/5 capireparto nelle strutture più grandi mentre nelle strutture più piccole è possibile che un caporeparto segua più reparti e non un solo

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reparto; quindi si va da una struttura organizzativa di 30/35 capireparto e capisettore negli iper più grandi a una struttura di 15-20 capi negli iper più piccoli. Infine c’è il direttore dell’ipermercato.

I negozi di vicinato (5-15 dipendenti) hanno una storia di piccoli negozi privati (i vecchi supersconto) che nel corso degli anni si sono raggruppati (facevano capo a più società). Qui c’è un po’ di confusione dal punto di vista degli inquadramenti contrattuali. In alcuni casi ci sono responsabili di negozio addirittura col quarto livello.

In definitiva, la struttura organizzativa dei tre canali di vendita è a forma piramidale anche se più complessa negli ipermercati, più semplice ma più confusa dal punto di vista degli inquadramenti contrattuali nei negozi di prossimità.

La struttura organizzativa a forma piramidale si riflette sui processi decisionali. I processi decisionali sono centralizzati nella sede centrale dell’azienda e ben poca autonomia è lasciata a chi lavora nei punti vendita. Nei supermercati chi come il gestore dei negozi o il caporeparto ha una certa autonomia all’interno del proprio negozio deve alla fine ottenere una sorta di beneplacito dalla sede. I direttori dei supermercati sono più che altro dei gestori di costi che devono cercare di far rientrare all’interno di un determinato budget di costi (ore di lavoro, manutenzione, differenze di inventario…) e come osserva un funzionario sindacale “i responsabili di mercato, cioè hanno sicuramente una loro autonomia per quello che magari può riguardare la gestione delle ferie, il quotidiano ma ovviamente le linee guida in termini budget, vendite, promozioni e quant’altro sono centralizzate dalla sede” (int. 5). Il caporeparto di generi vari è una figura unica che ordina le merci, stabilisce gli orari di lavoro e poi si dedica alla parte operativa del suo lavoro come scaricare i bancali, controllare il magazziniere e tirare fuori le merci ma come commenta un funzionario sindacale “chi agisce in autonomia sono i capireparto in termini di ordini, ma per dire anche a livello di creazione del “display” quindi a livello dei banchi non hanno tutta questa autonomia nel senso che non possono decidere di spostare gli yogurt e di metterli di là;sono comunque cose che vanno concordate col gestore e il gestore deve avere una sorta di beneplacito dalla sede perché comunque c’è un discorso di marketing che sta sotto…” (int. 5).

Leggermente diversa è la situazione negli ipermercati. Qui il direttore è anche un gestore di scelte commerciali, che sceglie se comprare o no un prodotto e venderlo a quale prezzo e anche il caporeparto ha un’autonomia maggiore di quella che ha la stessa figura in un supermercato. Infatti può rilevare i prezzi in un altro ipermercato, comprare all’interno di scelte già stabilite a livelli più alti e infine operare delle scelte commerciali come quelle relative al prezzo di vendita dei prodotti.

Infine sono disponibili alcuni dati sul nucleo professionale dell’azienda relativi al 2006.Gli ipermercati costituiscono il formato dell’azienda con più dipendenti (tab 5.2).

Tab. 5.2 Personale per formato

Ipermercati 12.000 (47%) Supermercati 8.500 (33%)Proxi 2.500 (9%)Ingrosso 900 (3%)Sede 1.500 (5%)Totale 25.400 (100%)

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’azienda

All’interno degli ipermercati le donne sono la maggioranza della popolazione lavorativa e il part-time prevale sul full-time (tab. 5.3 e 5.4). Non c’è il dato sull’impiego delle tipologie contrattuali

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anche se a detta degli intervistati il lavoro interinale è molto frequente negli ipermercati dell’azienda. I lavoratori senza figli costituiscono la maggioranza (tab. 5.5).

Tab. 5.3 Personale ipermercati per genere

Uomini 4.200 (35%)Donne 7.700 (65%)Totale 11.900 (100%)

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’azienda

Tab. 5.4 Personale ipermercati per distribuzione dell’orario di lavoro

Full time 5.300 (45%)Part time 6.600 (55%)Totale 11.900 (100%)

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’azienda

Tab. 5.5 Personale ipermercati per numero figli

Lavoratori senza figli 64%Lavoratori con un figlio 20%Lavoratori con due figli 14%Lavoratori con più di due figli 2%Totale 100%

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’azienda

La maggior parte dei lavoratori rientra nella fascia d’età compresa tra i 30-40 anni (tab. 5.6).

Tab. 5.6 Età personale ipermercati

26-30 30-40 41-50 Altri Totale 12% 50% 24% 14% 100%

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’azienda

Per quanto riguarda gli altri formati considerati nel complesso, il full-time prevale sul part-time e il contratto a tempo indeterminato prevale su quello a tempo determinato (tab. 5.7 e 5.8).

Tab. 5.7 Personale formato supermercati, proxi, ingrosso per distribuzione dell’orario di lavoro

Full time 54% Part time 46% Totale 100%

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’azienda

Tab. 5.8 Personale formato supermercati, proxi, ingrosso per tipologia contrattuale

Tempo indeterminato 90% Tempo determinato 10%

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Totale 100%

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’azienda

In particolare, nei supermercati il numero di addetti part-time è leggermente inferiore al numero di addetti full time (tab.5.9).

Tab. 5.9 Personale supermercati per distribuzione dell’orario di lavoro

Full time 4.963 (51%) Part time 4.737 (49%) Totale 9.700 (100%)

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’azienda

Nel complesso, secondo quanto emerge dalle interviste, l’ età dei lavoratori e le tipologie contrattuali impiegate sarebbero da mettere in relazione all’anzianità dei negozi; più il negozio è vecchio più aumentano l’età dei lavoratori e le tipologie contrattuali standard e viceversa. Ciò sarebbe alla base della divisione fra lavoratori “vecchi” più garantiti e lavoratori “giovani” meno garantiti non solo fra i negozi ma anche al loro interno.

5.2.4 LE RELAZIONI SINDACALI

Come già accennato prima, i supermercati dell’azienda in passato erano di proprietà a partecipazione statale; e questo è importante ai fini dell’ipotesi sulla relazione fra la natura della proprietà dell’azienda e le modalità di regolazione del rapporto lavoro. A dire il vero anche gli ipermercati dell’azienda in passato sono appartenuti a proprietà diverse da quella attuale anche se caratterizzate tutte dalla proprietà privata; ed è per questo motivo che il passato degli ipermercati dell’azienda è meno rilevante in ordine all’ipotesi secondo cui giocherebbe un aspetto importante la proprietà dell’azienda. Per questi motivi bisogna fare un cenno al passato dei supermercati anche se nel corso dell’analisi, attraverso soprattutto le parole dei delegati intervistati, sarà inevitabile fare il confronto col passato anche nel caso degli ipermercati.

LE RELAZIONI SINDACALI DAL 1974 AL 1988: IL PERIODO DELLE

PARTECIPAZIONI STATALI

Attraverso uno studio di caso di Negrelli è possibile ricostruire l’evoluzione storica delle relazioni sindacali dei supermercai di azienda 1 attraverso i contratti integrativi aziendali dal 1974 al 1988, periodo caratterizzato dalla natura a partecipazione statale della proprietà dei supermercati.

- dal 1974 al 1981: è il periodo caratterizzato dal primo accordo nazionale del 1974 firmato insieme alle altre più importanti aziende di grande distribuzione in cui si stabiliscono le regole fondamentali del contratto aziendale. Nell’accordo si parla soltanto di obiettivi sindacali e non c’è riferimento alla loro convergenza con quelli dell’impresa. Le normative sono di tutela e concernono

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all’inizio in modo particolare i diritti sindacali in senso stretto ma poi si sviluppano rapidamente sul terreno dei diritti di informazione e anticipano e rendono possibili relazioni sindacali di ampio respiro.

In questa fase la contrattazione è segnata dai tre successivi accordi nazionali e il tavolo nazionale si conferma come momento della negoziazione centrale, col conseguente superamento delle precedenti contrattazioni di periferia (si veda l’accordo provinciale del 1971 per le filiali di Milano). Nell’accordo del 1978 si fa riferimento al fine della realizzazione di intese su obbiettivi condivisi fra sindacato e impresa.

- L’accordo nazionale del 1981 è la risposta al cambiamento strutturale del settore della grande distribuzione e anche momento evolutivo delle relazioni sindacali aziendali. La necessità di una maggiore flessibilità dell’uso della forza-lavoro pone al centro della contrattazione il tema dell’organizzazione del lavoro e di alcuni suoi aspetti (turni, part-time, gruppi di lavoro, mansioni promiscue) e si riflette anche nelle stesse normative contrattuali che diventano meno rigide. In compenso aumentano le clausole di rinvio e la genericità delle norme.

Allo stesso tempo si avverte il bisogno di proceduralizzare le relazioni sindacali in ordine all’esercizio dei diritti di informazione attraverso la precisazione dei livelli ai quali si articolano. Tuttavia rimane ancora centrale il livello nazionale.

- dal 1981 al 1988, da un lato le relazioni sindacali cominciano a svilupparsi a livelli inferiori a quello nazionale (si contano ben quattro accordi regionali ed un accordo provinciale), dall’altro si sviluppano anche i contenuti negoziali: oltre la tematica dell’organizzazione del lavoro, che rimane ancora di primaria importanza, si aggiungono già nell’accordo integrativo aziendale del 1984 i temi della riduzione d’orario, della produttività e dei quadri (Negrelli, 1989). Inoltre l’accordo integrativo del 1984 prevede la costituzione di una commissione tecnica mista nazionale con l’obiettivo di rendere più funzionale l’istituto dei diritti di informazione. Essa ha la funzione principale di redigere una scheda informativa per i livelli sindacali periferici e contiene i dati più significativi relativi agli organici, all’organizzazione del lavoro, e agli obiettivi aziendali. L’organismo paritetico si pone come obiettivo quello di rendere più operativo e di istituzionalizzare l’esercizio dei diritti di informazione. La commissione tecnica mista nazionale, oltre ad avere una funzione informativa, è anche una sovrapposizione del consueto tavolo sindacale, nazionale o regionale, essendo rappresentata dalle stesse persone che di solito siedono al tavolo della trattativa. Successivamente, con l’accordo regionale del 1985, il sistema informativo di azienda 1 viene perfezionato con la costituzione di una commissione tecnica mista regionale con il compito di pubblicare una scheda analoga per le varie unità di vendita (Negrelli, 1989).

In sintesi, secondo quanto emerge dai contratti integrativi aziendali dal 1974 al 1988, sembra emergere un sistema di relazioni sindacali abbastanza stabile che dipende da vari fattori: dallo stile generale delle relazioni sindacali nel settore della grande distribuzione, in quel periodo più che altrove contraddistinto dal confronto e dalla partecipazione, dalla maggiore sensibilità ai problemi reciproci, carattere distintivo di un azienda a partecipazione statale (anche indipendentemente dal protocollo Iri) e dalla volontà dell’azienda a instaurare relazioni dirette con i lavoratori (per es., attraverso i gruppi di qualità) che tuttavia non è tesa a scavalcare il sindacato e ha poche possibilità di diventare concorrenziale per un mercato del lavoro che in quel periodo storico non è adatto a strategie di diversificazione nelle relazioni col personale (Negrelli, 1989).

Secondo Negrelli un altro fattore della stabilità delle relazioni sindacali dei supermercati di azienda 1 in quel periodo è costituito dal ruolo giocato dal cliente-consumatore che se da un lato obbliga l’azienda a prestare maggior attenzione alla gestione delle risorse umane che nel terziario per la loro visibilità, sono determinanti nella soddisfazione del cliente-consumatore, dall’altro costringe il sindacato a rispondere sul piano sociale alle esigenze dei consumatori (per es., rispetto agli orari di apertura dei supermercati) con conseguente disponibilità maggiore alle richieste aziendali.

Aspetti critici sono invece quelli dell’articolazione delle relazioni sindacali, dei diritti di informazione e della flessibilità del lavoro. Per quanto riguarda il primo aspetto, esiste la difficoltà

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delle relazioni sindacali a livello di punto vendita e anche per temi che riguardano direttamente le filiali come quello dell’organizzazione del lavoro e degli orari: lo spazio lasciato alla contrattazione decentrata è soprattutto di natura applicativa in risposta a linee già stabilite negli accordi integrativi aziendali a livello nazionale. Secondo Negrelli la spiegazione andrebbe ricercata nella frammentazione delle unità che compongono l’azienda (a fine anni ’80 erano già 83 i punti di vendita sparsi in tutta Italia) e nella conseguente necessità dell’azienda di accentrare le relazioni sindacali e la gestione delle risorse umane accompagnata dalla difficoltà del sindacato ad appoggiarsi su strutture di rappresentanza altrettanto disperse e al suo bisogno di centralizzare le linee politiche della periferia.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, le schede redatte dalle Commissioni non verrebbero utilizzate dalle rappresentanze sindacali e inoltre il tema della riorganizzazione del lavoro e dell’innovazione tecnologica non verrebbero affrontati sufficientemente.

Infine la flessibilità del lavoro non sembra in quel periodo controbilanciata da nessuna acquisizione sindacale a testimonianza della convergenza di sindacato e impresa sugli obiettivi dell’ottimizzazione della produttività, della competitività aziendale e della conseguente salvaguardia occupazionale; convergenza che in quel periodo è alla base della stabilità e natura cooperativa delle relazioni sindacali dei supermercati di azienda 1 (Negrelli, 1989).

LE RELAZIONI SINDACALI OGGI

In azienda 1 sono presenti i tre sindacati confederali. La densità sindacale dell’azienda dipende dal territorio in cui è posto il punto vendita e dal formato col quale si presenta. A detta di un sindacalista intervistato “nell’area metropolitana milanese i rapporti di forza sono favorevoli al sindacato, altrove no” e per quanto riguarda gli ipermercati “ tutti gli ipermercati sono ipersindacalizzati; quindi a fronte di centinaia di lavoratori, ci sono centinaia di lavoratori iscritti. Il numero medio degli occupati degli ipermercati è 400 lavoratori e minimo la metà sono iscritti” (int. 7). (Nell’area metropolitana milanese gli iscritti alla Uiltucs sono 140). La sindacalizzazione dei negozi di prossimità è invece quasi inesistente e il tentativo del sindacato di creare un percorso sindacale al loro interno risulta complesso e limitato agli incontri di assemblea; come commenta un funzionario sindacale “il problema è che non essendoci sindacalizzazione in questi luoghi di lavoro, diventa complesso riuscire a parlare con le persone. Noi cerchiamo di organizzare delle assemblee cittadine perché sono tutti negozietti da 4 – 5 persone ma le persone vengono, ascoltano ma poi tutto finisce lì, non riusciamo a dare un seguito, a creare un percorso, una struttura sindacale all’interno” (int. 5).

L’ambito di applicazione del contratto integrativo aziendale riguarda i seguenti formati dell’azienda: ipermercati, supermercati, iperstore, prossimità, ingrosso, sedi, depositi. Il contratto integrativo è rivolto a tutti il lavoratori dell’azienda; rimangono fuori soltanto i dirigenti; però già i capireparto, pur essendo un terzo/secondo livello di inquadramento, sono figure di comando e sono considerati dagli altri lavoratori come la controparte. Per quanto riguarda le relazioni sindacali, come recita il contratto integrativo aziendale, “ alla luce della complessità di struttura ad oggi presente nella realtà aziendale del gruppo, rivestiranno un’importanza sempre crescente le occasioni di informazione e confronto previste ai vari livelli, che dovranno essere vissute come prassi costante, in un clima generalizzato di correttezza , nel pieno riconoscimento delle reciproche autonomie e responsabilità, al fine di realizzare intese su obiettivi condivisi, di prevenire l’insorgere di conflitti e per la possibile soluzione dei problemi posti dalle Parti. È volontà, inoltre, delle Parti, considerata la suddetta complessità di strutture e realtà, instaurare relazioni e realizzare modelli di confronto che tengano conto delle caratteristiche del gruppo a livello nazionale ed internazionale.”

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Le relazioni sindacali seguono la struttura del management e a seconda delle problematiche che emergono, il sindacato si interfaccia con tre interlocutori aziendali diversi rispettivamente quello dei supermercati, quello degli ipermercati e quello dei negozi di prossimità. Il sistema di relazioni sindacali dell’azienda è articolato a livello nazionale, regionale e di territorio (corrisponde alla provincia)/unità di vendita. Secondo quanto previsto dal contratto integrativo dell’azienda, a livello nazionale e regionale le materie più importanti oggetto di informazione e negoziazione sono: a livello nazionale organici e relative dinamiche, organizzazione del lavoro e strategie aziendali in tema di sviluppo e investimenti; a livello regionale contrattazione di secondo livello, istituzione di commissioni paritetiche, mercato del lavoro e piani di formazione. Inoltre a livello regionale è previsto l’informazione e il confronto in relazione anche agli effetti che le stesse materie possono determinare sulla struttura produttiva, occupazionale ed organizzativa dei singoli territori. Un tema “caldo” generalmente trattato a livelli più centrali delle relazioni sindacali è quello della terziarizzazione. È un tema ancora di pertinenza aziendale anche se a detta di alcuni delegati di ipermercati sarà un tema al centro del prossimo contratto integrativo. È prevista l’attivazione del livello nazionale ogni volta che le Parti o una di esse ne ravvisi la necessità; inoltre, di norma con cadenza annuale, viene comunque realizzato un incontro sull’andamento dell’azienda e sulle materie che di volta in volta le parti possono individuare, secondo le necessità ed attività contingenti. A livello di territorio/unità di vendita sono previsti diritti di informazione e relativo confronto su organici e relativa composizione, mercato del lavoro, utilizzo del lavoro straordinario e supplementare, utilizzo del part-time, organizzazione del lavoro e condizioni di lavoro, vari tipi di orario di lavoro, loro distribuzione, eventuali eccezionalità per le quali è ammesso il ricorso al lavoro supplementare per i part-time.

A livello del punto vendita gli incontri sono più frequenti e in base alle necessità.Fra i livelli in cui si articolano le relazioni sindacali dell’azienda, secondo gli intervistati, il

livello territoriale è molto importante soprattutto per la provincia della Lombardia che si è molto sviluppata negli ultimi anni. Sia il sindacato che l’impresa manifestano l’ importanza di decentrare le relazioni sindacali a livello territoriale per rispondere alla necessità di adattamento delle relazioni sindacali ai diversi localismi. Inoltre è il livello più vicino alle esigenze dei punti vendita e dunque il livello, dopo quello dei punti vendita, più sentito dai delegati sindacali.

Le relazioni sindacali sono definite buone sia da parte del sindacato che da parte dell’impresa. Entrambi ne evidenziano le caratteristiche di trasparenza e di collaborazione anche se come dice il responsabile degli ipermercati di azienda 1 “poi si trova la persona ragionevole che impronta le cose in un certo modo e allora si costruisce qualcosa; se invece si trova la persona più orientata allo scontro allora si costruisce un po’ meno” (int. 17). Per impresa e sindacato il modello di relazioni sindacali di azienda 1 più vicino ai modelli descritti da Regalia è quello consultivo partecipativo.

Invece la valutazione dei delegati sulle relazioni sindacali all’interno dei negozi è diversa ed è condizionata da diversi fattori.

I SUPERMERCATI

Nel caso dei supermercati la valutazione dei delegati si traduce in un confronto fra la situazione presente e il passato. In proposito è interessante l’opinione di quei delegati che hanno lavorato nel periodo in cui i supermercati erano di proprietà dell’IRI e che tuttora lavorano lì. Per loro oggi le relazioni sindacali all’interno dei negozi non sempre sono buone, gli incontri sono spesso di “facciata” e gli accordi vengono fatti ma non sempre vengono rispettati specialmente per quanto riguarda gli orari di lavoro; e per quanto riguarda l’informazione fra le parti, commentano i delegati “mentre una volta l’azienda comunicava e si confrontava con le rappresentanze sindacali e poi agiva, oggi fa il contrario” e ancora “i rapporti con l’impresa sono buoni solo sulla carta” (int. 13 e 14). Inoltre, in alcuni supermercati, ci sarebbe una strategia di intimidazione da parte dell’impresa

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verso chi si iscrive al sindacato e spesso tale atteggiamento assume contorni ricattatori nei confronti dei lavoratori a termine. Secondo i delegati questa situazione sarebbe iniziata con la privatizzazione italiana dei supermercati di proprietà dell’Iri fino a peggiorare con l’acquisizione dei supermercati da parte dei francesi. In proposito, il deterioramento delle relazioni sindacali dei supermercati sarebbe poi da mettere in relazione ad alcuni fattori come l’anzianità lavorativa del responsabile del punto vendita: se è vecchio è abituato a trattare secondo vecchi schemi propri delle relazioni sindacali ai tempi dell’ IRI con conseguente maggiore disponibilità verso i delegati; se è giovane risente della strategia di chiusura e di riconoscimento solo formale del sindacato da parte dell’azienda ma se dirige un supermercato “anziano” in cui le relazioni sindacali sono consolidate, è obbligato a imparare a trattare. Al di là della valutazione dei delegati riconducibile ai cambiamenti storici del sistema di “governance” dei supermercati, un altro fattore di valutazione influente sulle relazioni sindacali nei punti vendita evidenziato dai delegati dei supermercati è quello relativo all’aumento dei lavoratori atipici in seguito alla riforma Biagi; fenomeno che avrebbe avuto importanti ricadute sulla sindacalizzazione dei punti vendita a tal punto che in alcuni punti vendita aperti da poco, la sindacalizzazione è così bassa che le rappresentanze sindacali non vengono prese in considerazione né per la consultazione né tanto meno per la negoziazione.

Gli stessi delegati messi di fronte ai tre modelli descritti da Regalia, e facendo riferimento alla situazione generale dei supermercati, concludono dicendo che il modello consultivo partecipativo poteva avvicinarsi alle relazioni sindacali ai tempi dell’IRI, quello contrattual formalistico era vicino alle relazioni sindacali durante il periodo della privatizzazione italiana, mentre il modello del pragmatismo flessibile è il modello vicino alle relazioni sindacali dei supermercati oggi. E facendo riferimento alla situazione specifica del loro supermercato parlano di un modello contrattual-formalistico.

Nel complesso sembrerebbe esserci una frattura e una diversità fra le valutazioni dei sindacalisti, positive, e quelle dei delegati, negative, sulle relazioni sindacali dei supermercati dell’azienda.

Ciò sarebbe alla base non tanto di una problematica fra funzionari sindacali e delegati quanto di una problematica fra dirigenti sindacali e delegati; in proposito commenta un delegato Uiltucs di un supermercato, facendo riferimento alla Filcams, “i dirigenti sindacali sono molto politicizzati e la politica non sempre favorisce il lavoratore che così viene strumentalizzato” (int. 14).

GLI IPERMERCATI

La situazione degli ipermercati è diversa. Qui non c’è stato il passaggio da un sistema di “governance” pubblico a un sistema di “governance” privato perché gli ipermercati sono stati sempre di proprietà francese tranne un periodo di intermezzo caratterizzato dalla privatizzazione italiana. Tuttavia anche negli ipermercati ci sarebbe stato un peggioramento delle relazioni sindacali dopo l’ultima acquisizione francese come emerge dai delegati intervistati.

Secondo i delegati intervistati degli ipermercati, molti accordi a livello territoriale e di punto vendita non sarebbero applicati nei negozi e le relazioni sindacali sarebbero caratterizzate da una generale strategia aggressiva dell’azienda contro il sindacato. Ma non è sempre così. Ne è un esempio un ipermercato in provincia di Milano nato negli anni ’70 in cui le relazioni sindacali addirittura anticipavano il contratto integrativo aziendale. Come osservano alcuni delegati di quell’ ipermercato, che hanno lavorato in quel periodo e che tuttora lavorano lì, l’esito delle relazioni sindacali può dipendere dall’abilità e dall’esperienza dei delegati “anziani” e in ultima analisi dall’anzianità dell’ipermercato. I delegati di quell’ ipermercato provengono infatti dalla militanza politica o dalla militanza in associazioni cattoliche. Tutto ciò condizionerebbe positivamente le relazioni sindacali dell’ipermercato spesso in assenza dell’unitarietà e quindi dell’appoggio delle segreterie sindacali esterne. I delegati, di fronte alla divisione delle segreterie sindacali esterne nelle strategie di risoluzione dei problemi, rivendicano “gelosamente” la conduzione autonoma

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delle relazioni sindacali di negozio. Invece come commenta un delegato di quell’ipermercato “nei nuovi negozi le nuove generazioni hanno difficoltà anche a produrre bravi delegati; non c’è ricambio culturale all’interno delle strutture sindacali perché i giovani accettano di lavorare con contratti atipici. Allora c’era più disponibilità a “ragionare in termini collettivi” mentre oggi si ragiona più in modo soggettivo” (int. 15). Un altro fattore positivo di condizionamento sulle relazioni sindacali di quell’ipermercato sarebbe, secondo i delegati intervistati, l’unità intersindacale e l’alto tasso di sindacalizzazione che si traduce in un alto potere contrattuale delle rappresentanze sindacali. Gli stessi delegati degli ipermercati, messi di fronte ai modelli di Regalia, sostengono che le relazioni sindacali del loro ipermercato si avvicinano al modello consultivo partecipativo mentre, a livello generale degli ipermercati, le relazioni sindacali di punto vendita si avvicinano al modello del pragmatismo flessibile. In definitiva secondo quanto emerge dalle valutazioni dei delegati, le relazioni sindacali di supermercati e ipermercati avrebbero in comune il fatto di dipendere da alcuni fattori che a seconda dell’anzianità dei negozi, che in alcuni casi risente in ultima analisi dei modelli di relazioni sindacali legati a proprietà passate e diverse da quella attuale, hanno un peso positivo o negativo sulle stesse relazioni sindacali a livello di negozio.

La mobilitazione dei lavoratori dei negozi di azienda 1 avviene raramente: di solito avviene per la chiusura del contratto nazionale del commercio o per il rinnovo di quello integrativo. A livello di negozio può capitare che ci siano problemi tra RSU e gestore come nel caso in cui ci sia poco organico con conseguente massiccio ricorso alle ore supplementari e doppi turni; ma anche in questi casi difficilmente si arriva alla mobilitazione dei lavoratori e tutto si risolve nell’accordo più o meno consensuale tra le parti anche perché come osserva un delegato di un ipermercato “mentre una volta lo sciopero provocava la chiusura del magazzino, ora se c’è uno sciopero l’azienda sposta il personale di sede nel negozio” (int. 16). La mobilitazione è quindi meno efficace e la ricerca di un accordo finale fra le parti almeno da questo punto di vista sembra quindi trovare conferma la possibilità di trovare intese formali fra le parti così come previsto nel contratto integrativo.

5.2.5 LA REGOLAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO

LA SELEZIONE

Tutte le divisioni hanno una loro direzione risorse umane corrispondente ai diversi formati di vendita (supermercati, ipermercati, negozi di prossimità) all’interno della quale vengono selezionati gli addetti ausiliari alla vendita a livello di area (ad esempio per quanto riguarda i supermercati ogni area ha circa una quarantina di supermercati della cui selezione del personale si occupa un responsabile che deve rispondere al direttore di area): nel canale super si selezionano quelli che devono essere assunti in super, nel canale iper quegli degli iper e nelle prossimità quelli che devono entrare nei diperdì.

Per quanto riguarda i supermercati, la maggior parte delle persone che vengono assunte vengono assunte per diventare addetti vendita, inquadrati al quarto livello che rappresenta il grosso dell’organico nei punti vendita. Il sistema di ricerca del personale è basato su inserzioni su quotidiani e su affissioni nei punti vendita e nel caso di numeri molto grossi ci si affida alla consulenza di società esterne che fanno una preselezione; quindi dopo una prima scrematura, si contattano i candidati e assieme al responsabile di funzione che ha richiesto una persona, vengono fatti i colloqui di gruppo o individuali a seconda delle necessità e del profilo professionale cercato; in proposito commenta il responsabile del personale dei supermercati dell’azienda “se devo trovare 4 contratti a termine li vedo uno per uno ma se cerco uno che faccia una crescita professionale, allora gli faccio prima un colloquio di gruppo” (int. 18). Nel processo di selezione è molto importante l’età, la dinamicità e la disponibilità delle persone a lavorare sui turni e ad essere flessibili. Il titolo di studio per i lavoratori non qualificati non è una discriminante determinante e

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mediamente il titolo di studio minimo richiesto è la scuola dell’obbligo; in proposito commenta un sindacalista “più che il titolo di studio l’azienda considera molto l’età e la disponibilità del lavoratore a lavorare sui turni ad essere flessibile; cioè non è un tipo di lavoro nella grande distribuzione che necessita di un titolo di studio; cioè ci trovi lo studente universitario che magari sceglie lo strumento del part time 8 ore di sabato previsto dal contratto nazionale non dico per pagarsi gli studi ma per avere due soldi per non dipendere completamente dai genitori; ma mediamente il titolo di studio è licenza media minimo ma non è che è una discriminante il titolo di studio” (int. 5). Per quanto riguarda la selezione del personale qualificato dei supermercati, esiste una direzione risorse umane che si occupa della selezione in modo trasversale a tutte le divisioni e relativamente ai livelli elevati, quindi figure dal primo livello in su. Secondo il responsabile risorse umane dei supermercati dell’azienda “ la struttura centrale si occupa più di fornire quel tipo di servizio oltre ad altri servizi alle strutture centrali; mi viene in mente il marketing di azienda se ha bisogna di una figura dirigenziale si rivolge alla selezione di azienda che le troverà il candidato; se a noi serve una persona per il marketing di divisione probabilmente prima noi si cerca qualcosa ma il nostro servizio contatta quello centrale per vedere se ci sono candidature di un certo tipo” (int. 18). Per le figure qualificate come i capireparto è richiesto il diploma di scuola media superiore.

La selezione del personale degli ipermercati, per quanto riguarda il personale non qualificato, è uguale a quella dei supermercati. Per quanto riguarda gli addetti vendita la selezione avviene direttamente nei punti vendita ed è il responsabile risorse umane del punto vendita ad occuparsene direttamente. Normalmente si prendono in considerazione le candidature spontanee che vengono recapitate nel punto vendita tramite posta o manualmente.

La selezione del personale qualificato degli ipermercati è invece più strutturata di quella dei supermercati. Le figure specializzate vengono reclutate generalmente dall’esterno anche se esistono dei piccoli vivai di addetti: i nuovi assunti, se hanno dei particolari interessi, delle particolari attitudini, vengono affiancati agli uomini di mestiere che provengono da strutture di sede interne all’azienda e che girano i punti vendita e trasmettono la formazione alle squadre. La formazione delle figure specialistiche (banconieri e specialisti della macelleria, pescheria...) investe anche le modalità di servizio alla clientela. Infatti per queste figure oltre alla necessità di conoscere bene il prodotto che si vende, e di saperlo tagliare, c’è comunque la necessità di sapere come trattare con la clientela. Ma nel caso del personale specializzato, la formazione non è legata a percorsi di carriera a differenza di quanto avviene per i capireparto. Per quanto riguarda invece i capireparto ci sono due modalità di selezione: o una ricerca esterna che avviene attraverso l’ausilio di società di selezione piuttosto che attraverso candidature spontanee o infine attraverso la ricerca di nominativi attraverso conoscenze o tramite un allievato (un percorso di formazione), che avviene ogni 6 mesi, che può essere interno, legato a un percorso di carriera, o esterno. Gli allievi esterni vengono assunti con un contratto a termine della durata di un anno e sono sottoposti a un percorso di formazione soggetto a valutazioni da cui dipende la possibilità di diventare caporeparto. Questo aspetto verrà approfondito quando si parlerà del percorso di carriera degli allievi interni.

LA FORMAZIONE E LE CARRIERE

Per quanto riguarda il personale non qualificato dei supermercati i passaggi di carriera sono quasi inesistenti. I passaggi dal quarto livello (ausiliari alla vendita) al terzo livello sono molto sporadici e quando capitano può essere per vertenza perché si sono svolte per anni mansioni superiori che non sono state riconosciute o perché, nell’eventualità di un caporeparto dimissionario o prossimo alla pensione, l’azienda decide di puntare su una persona attraverso un percorso di crescita personalizzato e allora gli si offre il full time e un terzo livello. In questi casi il presupposto per il passaggio di carriera è l’offerta di disponibilità da parte del lavoratore. Ma questi casi sono rari e viene fatto notare da un funzionario sindacale che “l’attuale responsabile sindacale

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dell’azienda è partita così: è partita come addetta vendita, poi è diventata caporeparto, poi gestore e poi le hanno fatto la proposta di diventare responsabile risorse umane. Però è una su 20.000” (int. 5). Rimane quindi un caso eccezionale. Generalmente per i lavoratori non qualificati dei supermercati la carriera si traduce più in una carriera orizzontale. Cioè la carriera è legata a un aumento di responsabilità all’interno dello stesso livello di inquadramento e non a un passaggio di livello oppure al passaggio dal part-time al tempo pieno. In proposito un delegato di un supermercato osserva invece che ai tempi in cui i supermercati dell’azienda erano proprietà dell’Iri, c’era più meritocrazia e possibilità di crescita anche verticale. L’assenza di mobilità interna del personale non qualificato si riflette in un turn-over alto. Per i lavoratori qualificati dei supermercati la carriera è verticale (dal caporeparto al caposettore e da questo al responsabile del punto vendita). I passaggi di carriera avvengono per la persona che viene ritenuta adatta a ricoprire la nuova posizione. I percorsi di carriera sono interni cioè si decide di scommettere su persone che lavorano già nel supermercato. Quando non si trova la persona all’interno del punto vendita la si cerca in un altro punto vendita dell’azienda che fa esubero o poco fatturato e questa possibilità ad esempio nel caso della ricerca di un caporeparto è facilitata anche dagli accorpamenti di reparti che prevedono non più un caporeparto per ogni singolo reparto ma un caporeparto a capo di più reparti. Solo nel caso di figure dirigenziali può capitare che vengano “rubati” direttori alla concorrenza.

Una discriminante importante della mobilità interna dell’azienda è il formato col quale si presenta il punto vendita; infatti c’è differenza fra supermercati e ipermercati non solo in relazione alla mobilità orizzontale fra i reparti (negli ipermercati dove il contesto è più rigido e le professionalità sono più marcate è più difficile che ci sia una forte mobilità fra i reparti) ma anche a quella verticale.

Per quanto riguarda il personale non qualificato degli ipermercati, la gestione delle carriere è affidata completamente al punto vendita che prevede un Ufficio risorse umane autonomo da quello di sede. Vengono evidenziati i potenziali e sottoposti ad “assessment” una volta all’anno per una crescita ad esempio da addetto vendita a caporeparto. Però la maggior parte degli addetti non sono evolutivi per cui sono rari i passaggi di carriera per questi lavoratori e non c’è una valutazione così attenta. Tuttavia esistono degli “addetti evolutivi” che possono far carriera e diventare capireparto. Gli “addetti evolutivi” vengono segnalati dal direttore dell’ipermercato sulla base di quello che è la valutazione nel corso dell’anno dell’operato della persona; normalmente sono dei terzi livelli, dei secondi di reparto e comunque delle persone che vengono valutate come potenziali e quindi vengono sottoposte ad “assessment”. L’ “assessment” è una condizione “sine qua non” per entrare nel percorso allievi interni. Viene affrontato un colloquio di gruppo e sulla base di questo colloquio la persona viene introdotta nel percorso. Se si tratta di allievi interni a part-time vengono trasformati temporaneamente in full time per tutta la durata del percorso. Il percorso dura 1 anno e prevede una serie di formazioni che vengono effettuate in aula; c’è una formazione tecnica e di management basata su legislazione sociale, modalità di gestione dei collaboratori e una formazione sul campo basata sull’affiancamento degli allievi a dei tutor. I tutor vengono individuati appositamente di concerto con il direttore dell’ipermercato e al responsabile risorse umane regionale che verificano appunto se la persona in questione ha le caratteristiche per essere tutor, quindi per trasmettere le conoscenze e le competenze tecniche e di gestione all’allievo. Il tutor segue l’allievo durante tutto il suo percorso con delle valutazioni; sono normalmente tre e sono la valutazione del periodo di prova, quella intermedia e quella finale alla nomina. Se poi il percorso va a buon fine vengono nominati e vengono inquadrati al minimo al secondo livello a livelli più alti. Nella scheda delle valutazioni vengono valutati tutti i comportamenti organizzativi, quindi l’orientamento ai risultati, l’orientamento al cliente, l’organizzazione, il controllo, lavorare in gruppo, l’adattabilità e la flessibilità e la gestione dello stress. C’è anche una valutazione del conseguimento degli obbiettivi formativi in diverse aree (casse,personale, Edp, decorazione, sicurezza e via dicendo) dal momento che l’ipermercato è abbastanza vasto e che il percorso allievi prevede comunque un primo periodo di 15/20 giorni di affiancamento ai vari capi dei vari reparti in modo che si possa avere poi una visione globale della realtà del magazzino; la scheda quindi termina con una valutazione globale

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che va motivata e fatta firmare dal valutatore e dal valutato perché si da modo alla persona di correggere eventuali suoi comportamenti se ci sono delle aree di miglioramento. Per ogni capacità il giudizio che può essere dato è di 1)non adeguato 2) parzialmente adeguato 3) adeguato; la somma di questi giudizi porta a una valutazione finale, a una valutazione di sintesi secondo la quale si supera o meno il periodo di prova. Per quanto riguarda la carriera del personale qualificato degli ipermercati, questa è basata sulla valutazione della “performance”. Vengono valutate le capacità attraverso una scheda simile a quella degli allievi ma è molto più dettagliata; per ogni capacità c’è la valutazione del capo diretto e di quello indiretto; ad esempio il caporeparto avrà la valutazione del caposettore e questa valutazione dovrà essere approvata dal direttore; quindi le decisioni dell’azienda si prendono sempre a due livelli. Una volta che viene compilata questa scheda, che è lunghissima, si fa il cosiddetto colloquio di valutazione; quindi il capodiretto effettua almeno una volta all’anno la valutazione del proprio collaboratore, che viene messo a conoscenza del pensiero del capo e quindi delle aree di criticità, di positività e di miglioramento; poi viene espressa una valutazione finale e viene data al collaboratore la possibilità di esprimere un giudizio sulla valutazione, indicare i fabbisogni formativi o, in prospettiva di carriera, dare disponibilità per la mobilità territoriale. Tutto ciò avviene una volta all’anno. Inoltre in base a degli strumenti che vengono utilizzati ogni mese si verifica l’organico di inquadramento; quindi ci sono dei “file” dove ci sono i nominativi per reparto di tutto l’organico di inquadramento. Questi “file” servono sia per l’individuazione del turn over sia per l’individuazione delle potenzialità; quindi se un caporeparto è potenziale e c’è la possibilità di ricoprire un ruolo più elevato lo si prende in considerazione e si valuta il potenziale; può capitare che un caporeparto venga sottoposto ad “assessment” per diventare caposettore o che un caposettore potenziale venga sottoposto ad “assessment” per diventare direttore. Una strategia dell’azienda è quella di legare i percorsi di carriera a negozi diversi da quelli di origine per ragioni diverse tra cui la possibilità di esprimersi meglio con il comando di una squadra di lavoratori che non si conosce.

I MECCANISMI DI INCENTIVAZIONE

Le politiche retributive centrate sul salario variabile costituiscono un sistema incentivante regolato dalla contrattazione integrativa. Il salario variabile di azienda 1 è previsto per tutti i lavoratori con differenziazioni legate ai livelli di inquadramento e alla tipologia contrattuale dell’orario di lavoro (part-time/ full time). L’importo lordo massimo (riferito al personale full time) del salario variabile è di 1.200 euro. Il salario variabile si basa sostanzialmente sui seguenti parametri:

Per i supermercati:1) cifra d’affari o vendite lorde (è il valore dei corrispettivi alle casse relativi alla merce

venduta)2) EBITDA (è il risultato prima di interessi, tasse, accantonamenti e ammortamenti)3) Fatturato (viene posto a confronto il fatturato dell’anno considerato con quello

dell’anno precedente)4) Produttività/fatturato per ora lavorata (viene esaminato il posizionamento espresso

dal punto vendita nell’anno considerato, sia il suo miglioramento rispetto all’anno precedente)

Per gli ipermercati:1) cifra d’affari o vendite lorde (è il valore dei corrispettivi alle casse relativi alla merce

venduta)2) EBITDA (è il risultato prima di interessi, tasse, accantonamenti e ammortamenti)

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3) Incidenza del costo del lavoro sulle vendite nette (viene esaminata l’incidenza dell’anno corrente rispetto all’anno precedente)

Inoltre è previsto ma non ancora definito l’introduzione di un meccanismo incentivante sperimentale alternativo a quello sopra definito per i venditori del settore Elettrodomestici, TV-Hi-Fi, Telefonia, Informatica.

Per i negozi di prossimità:1) cifra d’affari o vendite lorde (è il valore dei corrispettivi alle casse relativi alla merce

venduta)2) EBITDA (è il risultato prima di interessi, tasse, accantonamenti e ammortamenti) 3) Fatturato (viene posto a confronto il fatturato dell’anno considerato con quello

dell’anno precedente)4) Produttività/fatturato per ora lavorata (viene esaminato il posizionamento espresso

dal punto vendita nell’anno considerato rispetto alla media del canale.

I parametri vengono decisi nella negoziazione fra impresa e sindacato a livello nazionale, e ciò, secondo un delegato di un ipermercato, rappresenta un fattore negativo. Infatti secondo il delegato i parametri decisi a livello nazionale si allontanerebbero troppo dalle specificità dei negozi e andrebbero riproporzionati se non attraverso una negoziazione a livello di punto vendita almeno attraverso una negoziazione a livello territoriale o regionale.

Per il personale qualificato oltre al salario variabile è previsto un sistema premiante su base individuale basato sul raggiungimento di obbiettivi. Negli ipermercati, dal caporeparto in su, c’è un retribuzione variabile che dipende dal raggiungimento di certi obiettivi secondo un meccanismo di valutazione che si chiama il “punto” che è un meccanismo di valutazione delle “performance” . All’inizio di ogni anno entro il primo trimestre vengono assegnati degli obbiettivi a tutti i collaboratori che riguardano in parte la cifra di affari e l’ EBITDA dell’ipermercato in parte degli obbiettivi qualitativi che riguardano il mestiere specifico. Ad esempio il capocassa potrebbe avere come obbiettivo quello di ridurre l’assenteismo visto che l’assenteismo colpisce maggiormente il personale delle casse soprattutto nel fine settimana. Devono essere degli obbiettivi misurabili e a fine anno con la chiusura del conto economico la scheda viene compilata in ogni sua parte e rispetto al risultato e al ruolo viene erogato un incentivo che è pari a una percentuale che può essere del 14-20-24 rispetto alla retribuzione annua lorda. Tutti i capi oltre alla tredicesima e quattordicesima, hanno un incentivo, quindi una parte della retribuzione annua lorda che viene erogata al raggiungimento degli obiettivi. Il sistema premiante previsto per il personale qualificato è legato alla formazione. Per i lavoratori qualificati l’investimento in formazione deve essere accompagnato da una retribuzione tale da non permettere al lavoratore di spendere la formazione ricevuta in un’azienda concorrente. Secondo un funzionario sindacale “azienda 1 come tutte le aziende tende in qualche modo a fidelizzare un responsabile di supermercato o un caporeparto anche perché prima di metterlo lì devi investire in formazione. Non puoi permetterti di formare uno e poi non metterlo nella condizione anche economica di restare in azienda; perché lo formi e poi questo va alla concorrenza e gli arriva già formato” (int. 5).

LA GESTIONE DEL TEMPO DI LAVORO E DEI CONTRATTI DI IMPIEGO

L’organizzazione del tempo di lavoro secondo il sistema di turnazione rappresenta già di per sé uno strumento flessibile di gestione del tempo di lavoro da parte dell’impresa. Per quanto riguarda il sistema di turnazione dei punti vendita di azienda 1, c’è una suddivisione per reparti; quindi c’è l’organizzazione degli orari di lavoro delle casse, della gastronomia, della pescheria, della macelleria e via dicendo. Anche se i turni dipendono poi dall’organizzazione dell’orario di lavoro dei singoli punti vendita, generalmente nei negozi dell’azienda c’è il turno modulare (fai in alcuni

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giorni un numero più consistente di ore rispetto altri giorni) e il turno spezzato (suddividi in 2 parti il normale turno di lavoro). In più è previsto che tra un turno e un altro non passi più di un’ora. Per un sindacalista “il venerdì, sabato e domenica usando queste due formule riesci a coprire i picchi che sono alla mattina e nel tardo pomeriggio” (int. 7). Il rispetto degli orari dei turni da parte dell’azienda passa sotto la vigilanza della R.S.U e, a detta del sindacato, gli orari sono rispettati.

Un ulteriore strumento di gestione della flessibilità del tempo di lavoro da parte dell’azienda è l’uso del part-time che viene regolato dalla contrattazione integrativa e la cui normativa risale agli accordi del 1974. Il part-time è utilizzato soprattutto nelle fase topiche della vendita. Nei supermercati è impiegato soprattutto il part-time orizzontale cioè mezza giornata di lavoro dal lunedì al sabato (la domenica su base volontaria) con riposo la domenica tranne gli apprendisti che hanno l’obbligo di lavorare la domenica e con riposo in settimana. Un’anomalia è rappresentata da un ipermercato in provincia di Milano dove, funzionalmente al centro commerciale in cui si trova, l’organizzazione dell’orario di lavoro è più articolato e oltre al part-time orizzontale è previsto il part-time verticale (venerdì, sabato e domenica) e il part-time ciclico con orario di lavoro variabile a seconda dei periodi dell’anno (38 ore in alcuni periodi e 16, il sabato e la domenica, in altri). Altri strumenti di gestione della flessibilità del tempo di lavoro utilizzati da azienda 1 sono le ore in più del part-time, considerate ore supplementari e le ore in più del full-time, considerate ore straordinarie.

Quindi l’azienda ottimizza il tempo di lavoro attraverso questi strumenti flessibili:1) turno modulare e spezzato (prevede l’introduzione di una pausa e non l’orario

continuato)2) part-time3) lavoro supplementare del part-time 4) lavoro straordinario del full time

L’utilizzo alternato di questi strumenti, come già detto, è accentuato soprattutto negli ipermercati. In particolare, l’utilizzo del part-time viene spiegato bene dal responsabile delle risorse umane degli ipermercati di azienda 1. Bisogna innanzitutto distinguere i reparti e i settori all’interno dell’ipermercato perché comunque si richiede maggior flessibilità nei reparti a servizio; per cui alle casse è normale che sia richiesta maggiore flessibilità. Per quanto riguarda le casse, attraverso degli studi basati sulla tabella degli orari dei lavoratori, sulla copertura per giorno e sulla curva delle vendite settimanali, è possibile creare una curva oraria che sia direttamente proporzionale alla curva dei clienti. In alcuni ipermercati poi ci possono essere delle incongruenze fra queste due curve che vengono risolte o con l’inserimento delle clausole flessibili all’interno del contratto a part-time o attraverso una modifica dell’orario concordata col lavoratore. Comunque, a detta del responsabile delle risorse umane degli ipermercati di azienda 1, sono spesso i lavoratori a chiedere lo spostamento dell’orario di lavoro. L’utilizzo del part-time viene giustificato dal responsabile del personale degli ipermercati di azienda 1 che spiega che “per ottenere una maggiore flessibilità è opportuno avere più teste con meno ore, quindi tanti part-time anche perché nel momento in cui il part-time si assenta ti vengono mancare 3 ore non 8 o 7 o 6 ore” (int. 17).

L’utilizzo del part-time riguarda soprattutto la gestione della flessibilità del tempo di lavoro dei lavoratori non qualificati ed è regolato dalla contrattazione integrativa. Nel caso dei lavoratori qualificati il tempo di lavoro è gestito oltre che dalla contrattazione anche direttamente dall’impresa. Già i capireparto, benché rientrino all’interno della regolazione del contratto integrativo, per quanto riguarda l’orario di lavoro, sono regolati anche direttamente dall’impresa; come commenta un funzionario sindacale “anche se scriviamo gli orari dei capireparto negli accordi, sono orari indicativi; perché se l’azienda dice al caporeparto di fare 12 ore al giorno, il caporeparto lo fa perché comunque è all’interno di un percorso…i caporeparto sono regolati dall’azienda, magari prova uscire dai ranghi ma viene messo subito in riga” (int. 5).

Interessanti sono anche le valutazioni degli intervistati sulla gestione della flessibilità del tempo di lavoro. Come spiega un funzionario sindacale di un supermercato di azienda 1, il grosso della contrattazione dell’azienda si concentra sull’organizzazione dell’orario di lavoro che rappresenta

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una tradizione consolidata, non solo a livello aziendale ma anche a livello territoriale e di singolo punto vendita anche se come osservano certi delegati l’organizzazione dell’orario di lavoro in alcuni supermercati non è sempre contrattata e a volte c’è imposizione unilaterale. Dove invece c’è contrattazione, l’organizzazione degli orari di lavoro è concordata tra RSU e i responsabili dei supermercati all’interno di “paletti” che vengono concordati a livello provinciale/territoriale; di solito viene proposta un’idea dall’azienda per quanto riguarda le turnazioni dopodiché si vedono il responsabile di mercato e l’ RSU che provano a buttare giù degli orari; infine dopo che questi orari vengono condivisi diventano organizzazione del lavoro a tutti gli effetti anche se a detta di delegati non sempre vengono rispettati. Nei casi di necessità Rsu e responsabili dei supermercati si ritrovano per una modifica consensuale degli orari decisi. Secondo il sindacato una turnazione di questo tipo, concordata e preventiva, consentirebbe ai lavoratori di organizzare la vita privata.

La possibilità di negoziare sull’orario di lavoro, non solo a livello delle strutture esterne ma anche a livello di negozio, viene definita una conquista importante da parte del sindacato; soprattutto la negoziazione sul part-time perché secondo un funzionario sindacale impedisce che “l’azienda non possa fare il cosiddetto lavoro a chiamata cioè domani vieni dalle 10 alle 14, dopodomani stai a casa, poi mi fai 17-21 e via dicendo, impedendo di organizzare la vita privata e di trovare un secondo lavoro e di manovrare le persone per andare a tappare i buchi.” e quindi “la contrattazione sull’organizzazione dell’orario di lavoro è importantissima per non dare all’azienda ulteriore flessibilità che già ha con lo strumento di enorme flessibilità che è oggi il part-time. Se poi lasci al datore di lavoro il potere di modificare l’orario quando vuole noi non conteremmo più niente all’interno dei luoghi di lavoro” (int. 5). Ma anche in questo caso, alcuni delegati riferiscono di situazioni in cui l’orario previsto dal part-time a volte viene cambiato unilateralmente da parte dell’impresa.

Un altro elemento di gestione della flessibilità da parte di azienda 1 è l’utilizzo di contratti stagionali, contratti a tempo determinato e contratti di lavoro interinale la cui regolazione è prevista dal contratto integrativo aziendale. I lavoratori stagionali vengono impiegati soprattutto nei periodi estivi dove si ha la maggior concentrazione delle ferie e anche in base alla merceologia. Per esempio. nei reparti di vendita dell’acqua, gelati ecc. è necessario mettere un rinforzo nel periodo estivo. I lavoratori a tempo determinato e i lavoratori interinali vengono assunti soprattutto nelle feste e nei momenti dei picchi (secondo un delegato di un supermercato non sono rari i casi di contratti interinali di una settimana o addirittura di un giorno). I lavoratori interinali vengono assunti oltre che per fargli fare gli straordinari anche per coprire le domeniche. Nel secondo caso l’assunzione di lavoratori interinali avviene in base alle frequenti aperture domenicali di molti ipermercati dell’azienda (c’è un ipermercato di azienda 1 in provincia di Milano che è aperto tutte le domeniche) e all’indisponibilità di molti lavoratori a lavorare la domenica. Come spiega un dirigente sindacale, l’azienda si trova di fronte a uno “zoccolo duro” rappresentato dai lavoratori storici, quelli più anziani, per cui il lavoro domenicale rientra, secondo quanto previsto dal contratto nazionale, nell’ambito della volontarietà; invece quando vengono assunti lavoratori interinali gli si fa firmare un contratto in cui l’articolazione dell’orario di lavoro settimanale prevede il lavoro non dal lunedì al sabato ma dal martedì alla domenica. Azienda 1 fa uso frequente anche dell’apprendistato che secondo un sindacalista intervistato sarebbe uno strumento contrattuale di utilizzo a manodopera a basso costo per la formazione impartita molto limitata; in proposito osserva che “l’apprendista è molto lasciato a sé stesso in molti casi; lo mettono in cassa, gli spiegano due cose, “schiaccia questo, fai così fai cosà” e per l’azienda la formazione è finita” (int. 5).

5.3 AZIENDA 2

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5.3.1 L’AZIENDA: STORIA E CARATTERISTICHE 

Azienda 2 è un’azienda a gestione famigliare. Nel 2005 il fatturato di azienda 2 (che conta oggi 17.187 dipendenti) è stato di circa quattro miliardi e mezzo di euro , con 107 milioni di utile; azienda 2 controlla – secondo stime di IriInfoscan – circa l'8,3% delle vendite in supermercati e ipermercati italiani coi suoi 128 punti vendita concentrati in Lombardia, Toscana ed Emilia-Romagna, ma anche Veneto, Liguria e Piemonte. La crescita dell'impresa si ebbe grazie al Piano Marshall e al contributo di alcuni imprenditori stranieri con i quali fu aperta la prima catena italiana di supermercati; ai tempi ci furono dubbi sulla possibilità di introdurre tale modello estero nella distribuzione italiana, ancora basata sul negozio di prossimità. Il proprietario secondo di tre fratelli, fu anche il fondatore di una importante catena di supermercati italiani che possedette per una decina di anni. Il primo punto vendita di azienda 2 fu aperto nel 1957 in una ex-officina di viale Regina Giovanna a Milano. Azienda 2 in seguito introdusse dall'estero in Italia innovazioni come i programmi di fidelizzazione della clientela (con l'introduzione nel 1994 della "Carta fedeltà") e i prodotti a marchio proprio, fra cui (dal 1999) anche quelli biologici. Al proprietario di azienda 2 si attribuisce una gestione della società considerata eccessivamente paternalistica. Dopo il periodo in cui il figlio era amministratore delegato (dal 1996 al 2003), l'azienda fu ripresa in mano dal padre restaurando un rapporto conflittuale coi sindacati (i cui iscritti sono aumentati del 25% nel 2005), riducendo da cinque a trecento i prodotti biologici venduti, decidendo un taglio del 9% sul prezzo di 8000 articoli (marzo 2005), limitando il servizio di acquisto in rete a Parma e Milano. Il proprietario di azienda 2 è considerato un "mostro sacro" nel settore non solo per aver creato da zero una delle piú grandi catene commerciali italiane e per la sua «durezza», ma anche per innovazioni come le scuole di formazione interna, atte ad esempio a insegnare alle cassiere il metodo più efficiente di passare al lettore i codici a barre dei prodotti.

Azienda 2 ha 128 punti vendita tra Supermercati e Superstore in Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto e Liguria.

5.3.2 LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA

Partendo dalla prima fase del ciclo produttivo, la produzione, bisogna fare un discorso diverso per prodotti freschi e prodotti confezionati. Azienda 2 esternalizza parte della produzione. Ciò può avvenire secondo due modalità. La prima riguarda i prodotti confezionati a lunga scadenza come il detersivo o la passata di pomodori che sono fatti a nome di azienda 2 ma in stabilimenti esterni. La seconda modalità riguarda ad esempio l’aranciata la cui ricetta è data da azienda 2 che mette alla fine anche il marchio ma la cui produzione viene fatta in stabilimenti esterni. Ciò avviene per l’importanza e il conseguente controllo che assume il biologico per azienda 2. Le lavorazioni in interno invece riguardano i prodotti freschi che sono fatti unicamente da dipendenti di azienda 2.

Gli acquisti e la logistica sono centralizzati nel deposito in provincia di Milano dove vengono gestiti i rapporti con i fornitori e dove parte la merce per i punti vendita. Questo per quanto riguarda i prodotti confezionati e quindi non per i prodotti freschi come pane e latte; infatti l’organizzazione è assolutamente centralizzata su tutto per quello che riguarda il confezionato nel senso che non ci sono consegne dirette se non per pochissimi fornitori, fatta esclusione per il pane fresco e latte fresco che hanno bisogno di un monitoraggio sia in base alle vendite sia per problemi di gestione quotidiana. Gli acquisti, cioè le ordinazioni dei prodotti, si basano sul controllo del venduto attraverso lo studio del flusso delle vendite. Lo strumento di controllo del flusso delle vendite è il meccanismo della “Carta fedeltà” occhiello di azienda 2. La “Carta fedeltà” è la carta di

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fedelizzazione il cui scopo è legare gli acquisti a una forma di ricompensa che siano i punti o il servizio di piatti. Ma dal punto di vista pratico per azienda 2, lo scopo della “Carta fedeltà” è il trattamento dei dati. Per quanto riguarda la logistica bisogna subito dire che è in gran parte esternalizzata a cooperative costituite quasi interamente da extracomunitari. Entrando nelle specifiche fasi della logistica, le attività di carico e composizione del bancale sono svolte quasi sempre da personale dipendente da cooperative. I trasporti invece sono in parte esternalizzati anche se funzionalmente allo sviluppo crescente del volume delle merci si ricorre sempre più a fornitori di servizio esterno soprattutto nei periodi di picco come quello natalizio o quando non si prevede esattamente i bisogni dei punti vendita e si deve ricorrere subito ai ripari con altri camion. L’attività di scarico è fatta invece dai dipendenti di azienda 2. L’esternalizzazione di gran parte della logistica a detta di un delegato sindacale ha creato un inasprimento dei turni di notte e conseguentemente un problema in più per il sindacato.

La vendita di azienda 2 è basata su supermercati che si presentano in due forme. I supermercati più grandi, nati per ultimi, si chiamano “superstore” e hanno una media circa di 200 dipendenti; i supermercati più piccoli chiamati “sottocasa” sono supermercati a tutti gli effetti; vengono chiamati sottocasa in virtù del ridotto numero di servizi e della bassa metratura. La tendenza dei “sottocasa” è quella di espandersi in base alle esigenze della clientela e come dice un delegato sindacale di un ex sottocasa “il negozio dove lavoro è una struttura vecchissima di 40 anni fa e anche lì è stata più di una volta modificata, l’ultima volta su 5 anni in maniera radicale perché a seconda delle mutazioni delle esigenze o dei gusti della clientela perché adesso si va in un periodo dove c’è più gente che prende il piatto pronto perché più single e hanno dovuto praticamente mettere 5 anni fa l’innesto di una struttura di gastronomia perché prima non era assolutamente prevista.” (int. 19). La scelta di posizionare i vari formati di vendita di azienda 2 nel territorio dipende dal reddito e dai gusti di chi lo abita. In proposito commenta un delegato “di solito sono in funzione alla struttura di negozio, a volte in funzione della zona. Io ho lavorato anni fa al quartiere Moretti, Trilussa in zona Quartoggiaro e lì non avrai l’aragosta in gelatina che puoi avere in Washington dove in un Natale medio puoi fare fuori più casse di champagne ma avrai pelati piuttosto che detersivi di confezionato comune”(int. 19).

L’organizzazione della gestione delle risorse umane di azienda 2 è centralizzata nella sede centrale dove c’è oltre alla Direzione del Personale anche un Ufficio Risorse Umane e/o Formazione del Personale e un ufficio per le relazioni sindacali. Tuttavia, in linea con le direttive della sede centrale, il responsabile di negozio è solito intervenire direttamente sulle seguenti questioni: organizzazione del lavoro, ambiente, mobilità interna (ruoli e mansioni) che vengono trattati con la rappresentanza sindacale; orari, straordinari, turni, ferie, permessi, programmazione della formazione che vengono decisi autonomamente dal responsabile di negozio o trattando con gli interessati. Per questioni quali sanzioni disciplinari, reclami, controversie e aumenti, incentivi, carriera, le decisioni vengono prese direttamente dalla sede centrale.

5.3.3 IL PERSONALE

Il personale è per lo più concentrato nei punti vendita. La struttura organizzativa dei punti vendita è a forma piramidale ed è fortemente gerarchizzata tanto che nel descriverla alcuni delegati sindacali usano termini militareschi. La struttura organizzativa ha uno “schiacciamento” di addetti ausiliari alla vendita. Gli addetti ausiliari alla vendita sono costituiti dalle cassiere, quasi tutte donne impiegate a part time, (affiancate da un capocassiere, terzo livello, e un vicecapocassiere), dai banconieri e da coloro che fanno rifornimento agli scaffali (tutti inquadrati come ausiliari alle vendite quinto livello impiegatizio che diventa automaticamente quarto dopo 18 mesi). A un gradino superiore ci sono gli addetti alla vendita (terzo livello di inquadramento), una sorta di

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capiturno che comandano le squadre dei lavoratori che si occupano dello scarico e ricevimento merci, e le figure specialistiche (terzo livello di inquadramento, esclusivamente maschi). A un livello intermedio vi sono i capireparto (inquadrati a un secondo livello) generalmente maschi affiancati da assistenti maschi ( terzo livello )che subentrano in assenza dei loro capi. Infine al vertice della piramide c’è il responsabile di negozio che è un quadro affiancato da un vicedirettore; entrambi questi ruoli generalmente sono occupati da maschi.

Nella fascia bassa dell’organizzazione del lavoro, quella che riguarda gli ausiliari alla vendita, può capitare il fenomeno della promiscuità delle mansioni e ciò sarebbe alla base dell’ attuale tendenza di azienda 2 ad assumere uomini come addetti ausiliari alla vendita (perché più adatti delle donne al rifornimento degli scaffali). Questo fenomeno si verificherebbe soprattutto nei piccoli negozi e con maggior frequenza rispetto al passato quando l’intercambiabilità delle mansioni era più difficile e le mansioni erano più specifiche.

Fuori dai negozi vi sono attività che non riguardano direttamente la vendita e che sono esternalizzate come quelle degli extracomunitari che spostano i carrelli e nei supermercati più piccoli i posteggiatori. Anche le attività di vigilanza, le consegne a domicilio e le imprese di pulizie sono generalmente esternalizzate.

La struttura organizzativa gerarchizzata dei punti vendita si riflette sui processi decisionali. Anche i direttori di negozio prendono decisioni in base a direttive della sede centrale.

Per quanto riguarda il personale, è possibile osservare alcuni dati sulle caratteristiche occupazionali dell’azienda: la composizione occupazionale è prevalentemente maschile e il full time predomina sul part time (tab. 5.9 e 5.10).

Tab. 5.9 Personale dell’azienda per genere

Uomini 8.765 (51%)Donne 8.249 (49%)Totale 17.187(100%)

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’ azienda

Tab. 5.10 Personale dell’azienda per distribuzione dell’orario di lavoro

Full time 13.062(77%)Part time 3.953(23%)Totale 17.187(100%)

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’ azienda

L’età media del personale dell’azienda si aggira sui 35 anni e le tipologie contrattuali utilizzate sono diverse: contratto a tempo indeterminato, a tempo determinato, di lavoro stagionale, di inserimento, di lavoro interinale, di apprendistato e tirocinio formativo.

I dati relativi al personale dei negozi non differiscono molto da quelli relativi al personale dell’azienda: nei negozi è leggermente più alta la presenza delle donne e del part time (tab. 5.11 e 5.12). L’età media del personale dei negozi è di 35 anni.

Tab. 5.11 Personale dei negozi per genere

Uomini 7.573 (49%) Donne 7.851 (51%) Totale 15.425 (100%)

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Fonte:elaborazione su dati forniti dall’ azienda

Tab. 5.12 Personale dei negozi per distribuzione dell’orario di lavoro

Full time 11.476 (74%)Part time 3.948 (26%) Totale 15.425(100%)

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’ azienda

5.3.4 LE RELAZIONI SINDACALI

In azienda 2 sono presenti le tre confederazioni sindacali. In generale, il sindacato è riconosciuto solo formalmente. Ciò influenza l’attività sindacale di organizzazione dei propri iscritti che determina una bassa densità sindacale di azienda 2 (nell’area metropolitana milanese gli iscritti alla Uiltucs sono 80) ; in proposito dice un sindacalista che si occupa di azienda 2 ”facciamo una gran fatica ad organizzare i lavoratori, ma davvero grande. Oddio magari si iscrivono al sindacato, io non ho difficoltà a farmi firmare la tessera, il problema è esporsi, partecipare all’assemblea e poi rivendicare i propri diritti che è la cosa più difficile” (int. 4). Sono soprattutto i lavoratori a tempo parziale a subire questo atteggiamento da parte dell’azienda. Spesso l’impresa, secondo un sindacalista, sceglie di non trasformare in tempo pieno il lavoro part-time di un lavoratore iscritto al sindacato. Per questo motivo alle assemblee sindacali partecipano i lavoratori con una certa anzianità lavorativa che hanno “abituato” l’ azienda oppure ci vanno i lavoratori che non subiscono il ricatto della loro partecipazione e cioè i lavoratori mossi da un interesse puramente ideologico e i lavoratori a cui non interessa la carriera. Le difficoltà che il sindacato trova in azienda 2 si riflettono nel cambiamento delle strategie sindacali relative all’acquisizione di iscritti: secondo un sindacalista “se la rappresentanza sindacale viene disconosciuta dall’azienda, viene disconosciuta anche dai lavoratori. Non c’è più azione collettiva del sindacato ma la rappresentanza sindacale diventa un mezzo di servizio per la tutela individuale e non collettiva dei lavoratori” ( int. 10).

Le relazioni sindacali in azienda 2 si articolano in tre livelli: il livello nazionale, quello regionale e quello territoriale o di singolo insediamento. Questa articolazione è recente. Precedentemente azienda 2 esisteva solo in Lombardia e il livello nazionale di relazioni sindacali è subentrato solo con l’ingresso di azienda 2 in altre regioni. Questa strategia è stata scelta da Azienda 2 per evitare disparità di trattamento fra le regioni; l’idea stessa di avere in un confine regionale magari dei negozi che erano più vicini dal punto di vista geografico che da quello contrattuale era abbastanza paradossale e così si è proceduto con la parificazione delle condizioni contrattuali. Come spiega bene un responsabile di punto vendita di azienda 2 “ il nuovo canovaccio delle relazioni sindacali di azienda 2 è quello di far quadrare, allineare le regole contenute nell’integrativo nazionale a livello di negozio saltando tutti i vari pezzi intermedi che sono comunque presenti alle varie trattative” (int. 22).

Secondo quanto previsto nell’ultimo contratto integrativo di azienda 2, i temi oggetto di informazione ( basata da parte dell’impresa, a detta di sindacalisti, su dati comunicati a voce e non in forma cartacea) e relativo confronto a livello nazionale e regionale sono gli stessi e spaziano dai diritti di informazione, organizzazione del lavoro (orari, appalti e terziarizzazione) ai temi relativi alla regolazione del rapporto di impiego come il mercato del lavoro (CFL, apprendistato, contratti a termine, lavoro interinale, parasubordinato ed altre analoghe tipologie contrattuali) retribuzione variabile, programmi di formazione ed addestramento. Inoltre a livello regionale è prevista l’informazione e il relativo confronto relativamente agli effetti che le stesse materie possono determinare sulla struttura produttiva, occupazionale ed organizzativa dei singoli territori. A livello

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territoriale o di singolo insediamento il tema principale oggetto di informazione e confronto è l’organizzazione del lavoro articolata nei suoi diversi aspetti (organici e loro composizione, orario di lavoro, supplementari e straordinari, riorganizzazione e ristrutturazione delle unità produttive). Altri temi sono i progetti di riorganizzazione e ristrutturazione delle unità produttive e i dati relativi all’andamento del salario variabile.

Secondo un delegato sindacale il nuovo sistema di relazioni sindacali di azienda 2 avrebbe avuto come effetto in primo luogo quello di centralizzare le relazioni sindacali a livello nazionale con conseguente omogeneizzazione delle stesse. L’omogenizzazione delle relazioni sindacali di azienda 2 verso un livello medio avrebbe avuto come conseguenza la non considerazione delle differenze esistenti non solo a livello di punti vendita ma anche a livello territoriale e regionale. In secondo luogo l’accentramento delle relazioni sindacali a livello nazionale avrebbe avuto come conseguenza l’innalzamento del livello di contrattazione.

L’accentramento delle relazioni sindacali a livello nazionale e l’assenza di comunicazione fra i livelli in cui è articolato il sistema stesso, che si traduce in una difficoltà di comunicazione fra il livello nazionale e quello regionale e soprattutto fra quest’ultimo e il livello territoriale o di punto vendita, si rifletterebbe più pesantemente a livello di singolo insediamento (soprattutto nei casi in cui i direttori di negozio sono giovani e non c’è l’apporto del sindacato dall’esterno), dove la rappresentanza sindacale ha un potere solo formale, dove formale è anche la contrattazione e dove più che altro ci sono solo fasi di consultazione. Infatti a livello di singolo insediamento la diversa superficie dei punti vendita richiederebbe parametri diversi con i quali stabilire ad esempio l’organico o la produttività su cui si fonda la retribuzione variabile ma secondo un delegato sindacale “l’unica cosa è che noi a livello di punto vendita non possiamo dare soluzioni ma dare argomenti per il livello territoriale. Ma a quel livello la controparte dirà che i tuoi argomenti vengono solo da un negozio, piuttosto che da qual tipo di negozio, c’è sempre un piuttosto” (int. 19). Dunque la mancanza o l’aspetto puramente formale della negoziazione a livello di singolo insediamento e la mancanza di comunicazione fra questo livello e quello territoriale e fra quest’ultimo e quello regionale ha come conseguenza la mancata armonizzazione fra le esigenze dei punti vendita e l’effettiva organizzazione del lavoro che tradotto nelle parole di un delegato “la fumosità o astrazione di un certo gergo contrattuale… più si allontana dal territorio, più si sublima a livello di impalpabilità e si riflette nelle diverse possibilità di interpretazione del contratto integrativo aziendale soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione del tempo di lavoro” (int. 19).

Inoltre a livello nazionale, da quanto emerge dalle interviste fatte a sindacalisti, il confronto fra le parti si tradurrebbe in una negoziazione difficile, di tipo adattivo (secondo un delegato il sindacato nei contratti accetterebbe il meno peggio), riassumibile secondo delegati e sindacalisti nella vicinanza al modello del pragmatismo flessibile di Regalia. Le difficili relazioni sindacali in azienda 2, che si traducono spesso in un adeguamento del sindacato alle decisioni dell’impresa emergono, anche dall’intervista fatta a un responsabile di negozio che dice “vero è che questa è un’azienda che dirige per cui imposta i rapporti in quel senso. Quando ci troviamo davanti il sindacato, un conto è parlare coi nazionali di situazione economica, un conto è parlare coi territoriali di negozio. A quel livello ci sono rivendicazioni che stanno nel sindacalismo anteguerra, ancora purtroppo… ci sono dei protocolli per cui in 10 giorni se non si arriva all’accordo ogni parte si prende la sua autonomia e decide quello che deve fare” (int. 22). Il responsabile di negozio conclude sostenendo la vicinanza delle relazioni sindacali di azienda 2 a un modello misto fra il modello contrattual-formalistico e quello pragmatico adattivo di Regalia.

La mobilitazione dei lavoratori è quasi assente anche se da mettere in relazione alla densità sindacale dei punti vendita che in genere è molto bassa. Quando c’è mobilitazione, è riconducibile generalmente all’interpretazione degli orari nel contratto integrativo anche se la partecipazione non supera quella delle assemblee. Più numerosa è la partecipazione dei lavoratori quando lo sciopero ha al centro argomenti più generali (es. art. 18). Tuttavia, secondo il sindacato, il problema della mobilitazione è da imputare alla difficoltà di rappresentare i lavoratori atipici e alla loro inconsapevolezza dei propri diritti; anche se a detta sempre del sindacato i lavoratori che

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partecipano alle assemblee esprimono il forte bisogno di un punto di riferimento e di essere rappresentati.

5.3.5 LA REGOLAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO

LA SELEZIONE

La selezione degli addetti ausiliari alla vendita e degli specialisti avviene attraverso internet oppure attraverso le urne che sono nei negozi (vicino al rimborso vuoti c’è un’urna dove la gente può mettere la sua domanda); le persone vengono classificate rispetto a zone piuttosto che per tipologia quando bisogna selezionare gli specialisti (gastronomi, pescivendoli, panettieri). Dopo questa prima fase, inizia una seconda fase in cui si fa il primo colloquio generale dove si presenta l’azienda e si analizzano le esperienze pregresse. In via generale c’è un selezionatore con dei bisogni sulla carta ( tipo bisogno di part-time a Milano Certosa, di full time uomini in Viale Piave) per cui a seconda della persona che si ha di fronte si può collegare la persona ai bisogni dell’azienda.

All’interno del campione da cui vengono scelti gli ausiliari alla vendita e gli specialisti, vengono selezionati i C.D.N. (carriera di negozio). I C.D.N. (carriera direttiva di negozio), a differenza di coloro che sono assunti come “addetti ausiliari alle vendite”, sono lavoratori che per capacità organizzative e relazionali testate nella fase di selezione (per i C.D.N. c’è prima un colloquio di gruppo e poi dei colloqui individuali) vengono inseriti in un percorso formativo e professionale di crescita che può portarli fino alla dirigenza del negozio. Il C.D.N. praticamente è predisposto per un certo tipo di carriera e sa già che dovrà fare orari straordinari e turni più elastici; in ogni caso è più suscettibile al trasferimento perché passerà da negozi grossi con grossi volumi a negozi piccoli con una gestione completamente diversa e da lì poi dopo a seconda delle esigenze o risultati ci può essere una promozione più o meno veloce.

In termini di tempo di lavoro, ai C.D.N. è richiesta un’ampia disponibilità che può richiedere di coprire turni di notte e domeniche tanto che un delegato dice ”è una scelta che ti toglie ogni forma di vita privata perché ti richiede oltre alla elasticità degli orari, una copertura assoluta, la disponibilità, le domeniche, le notti e tutto il resto; per questo sono tornato indietro” (int. 19).Dopo 2 anni di formazione in cui il C.D.N, come spiega un delegato, si occupa semplicemente come “soldato semplice” di operazioni di cassa piuttosto che del rifornimento o dello scarico dei camion, il C.D.N. può diventare direttamente addetto alle vendite (terzo livello), una sorta di capoturno che, oltre a svolgere mansioni pratiche, si occupa di comandare gli addetti allo scarico e ricevimento merci. Ha quindi anche una funzione organizzativa. Poi se il percorso procede positivamente, il C.D.N. può diventare caporeparto e direttore del negozio. Nell’eventualità che il C.D.N. diventi direttore di negozio, deve frequentare un corso al fine di capire le logiche che presiedono al funzionamento dei vari reparti e saper gestire tutte le situazioni a livello di contatto e negozio che possono essere personale interno, ASL, Nas, carabinieri, rapine, etc.. Durante questa fase staziona anche qualche mese nella sede centrale per conoscere che cosa fa il reparto frutta verdura, a che ora comincia a che ora finisce, gli orari, i trasporti, gli uffici acquisti, etc.

Nel caso del personale qualificato, gli specialisti, come già detto prima, vengono selezionati all’interno del processo di selezione degli addetti ausiliari alla vendita.

Come dice un responsabile di negozio “noi stiamo mettendo i mestieri nei nostri negozi e dove possiamo facciamo la panificazione sul posto per cui ne abbiamo bisogno e non ce ne sono perché sono mestieri che stanno finendo. Per questo motivo selezioniamo un ausiliario che voglia fare lo specialista. A tal fine abbiamo delle scuole interne” (int. 22). Nel caso del personale qualificato, dal caporeparto in su, dopo averlo selezionato lo si fa iniziare a lavorare con mansioni basse perché

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secondo un intervistato “anche chi viene assunto, che sa già che laureato dovrà fare l’ispettore e occuparsi di certe cose viene comunque fatto passare per un certo iter nei negozi perché è inutile che gestisca poi dopo gli orari di turno senza sapere quanto ci si metta a scaricare un camion” (int. 19). C’è in questo senso una socializzazione del personale qualificato alle mansioni dei lavoratori che un giorno dovranno gestire e anche chi è selezionato non per lavorare in un negozio ma in altri ambiti come il marketing e il commerciale, inizia a lavorare partendo dalle mansioni più basse all’interno dei negozi.

LA FORMAZIONE E LE CARRIERE

Per il personale non qualificato il percorso di carriera è quasi inesistente, tranne nel caso del C.D.N e nel caso degli addetti ausiliari alla vendita che vogliono fare gli specialisti, di cui ho già detto nella sezione riguardante la selezione. La formazione del personale non qualificato è legata alla possibilità di carriera relativa a questi due casi ed è interna. C’è un settore formazione molto strutturato che gestisce miglia di ausiliari che possono diventare specialisti o responsabili di reparto, nel caso dei C.D.N.. Questa è la biforcazione. Per cui ogni giorno 40-50 persone si staccano dal negozio, vanno in sede e si fermano una giornata per fare la formazione a loro dedicata.

Per gli specialisti c’è una parte teorica e una parte pratica. Ci sono negozi scuola cioè tra i 130 negozi ce ne sono 70 ma è in corso un’implementazione più pesante che prevede che il direttore maestro formatore e il caporeparto formatore, ricevano questi corsisti in più all’organico e si dedichi a loro qualche ora al giorno formandoli concretamente sul campo alla mansione per la quale sono stati assunti.

Per i lavoratori qualificati, i percorsi di carriera sono facilitati anche dalla struttura complessa e molto gerarchizzata dell’organizzazione dei punti vendita che prevede accanto ad ogni capo un vice che quindi eventualmente può sostituirlo. Nel caso della formazione del direttore del negozio (attraverso un corso chiamato “master” da un responsabile di negozio) ci si appoggia a professionisti esterni.

I MECCANISMI DI INCENTIVAZIONE

Il meccanismo di incentivazione salariale basato sul salario variabile è contrattato da sindacato e impresa e come recita il contratto integrativo aziendale è basato e stabilito nel “Parametro di efficienza” detto PdE. Il PdE misura il livello di utilizzazione delle risorse (uomini, mezzi ed attrezzature) nello svolgimento delle attività di negozio. In specifico il PdE mette a confronto la prestazione erogata da un punto vendita con la prestazione standard dello stesso punto vendita e si calcola come ore standard/ore a consuntivo = PdE(%) su base settimanale, periodica e annuale. La prestazione “normale” di un negozio (PdE pari al 100%), è espressa dalla condizione ore a consuntivo = ore standard. Le ore standard attribuite al negozio corrispondono alla sommatoria dei tempi standard calcolati per ogni attività diretta, cioè direttamente connessa al flusso logistico della merce e alla pulizia; ad esempio: scarico dei camion, smistamento, prezzatura , rifornimento, raccolta imballaggi vuoti, pulizia scaffali, riordino, registrazione alle casse, ecc. ecc.

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Le ore a consuntivo spese dal negozio corrispondono al totale ore timbrate dal personale diretto al netto delle ore timbrate in causale. Le causali fanno riferimento ad attività codificate per le quali non sono stati calcolati i tempi standard; ad esempio: inventario, addestramento, corso di formazione (anche per i nuovi assunti), assemblea, manutenzione negozi, pulizie straordinarie, impiego personale disabile ecc. ecc. In base al calcolo del PdE, l’importo annuo lordo del salario variabile è compreso fra un minimo di 430 euro e un massimo di 930 euro. Il salario variabile è riconosciuto solo al personale assunto con contratto a tempo indeterminato, di formazione e lavoro, di inserimento o di apprendistato ed è riparametrato in base all’entità (full time/part time) della prestazione lavorativa.

Interessanti sono le valutazioni fatte dagli intervistati. Un sindacalista commenta che ” questi (i soldi) ce li hanno i lavoratori; cosa che invece io ho problemi in altre catene dove magari le relazioni sono più buone di collaborazione, di comprensione, di rispetto del ruolo reciproco; qui (esselunga) io invece non ho tutto il resto ma ho una roba…cosa preferire non lo so” (int. 4).

In questo senso, l’aspetto retributivo, legato in particolare al salario variabile, compenserebbe le difficili relazioni sindacali di azienda 2.

Tuttavia, il sistema di incentivazione salariale di azienda 2 basato su parametri definiti a livello integrativo nazionale, avrebbe il difetto, come già fatto notare precedentemente da un delegato sindacale, di essere lontano dalla realtà produttiva e organizzativa del singolo punto vendita. In particolare, secondo il delegato, le ore standard dovrebbero essere calcolate e calibrate sulla singola unità produttiva ma l’assenza di questo riaggiustamento è l’effetto dell’ accentramento e dell’incomunicabilità dei livelli in cui è articolato il sistema di relazioni sindacali di azienda 2. Anche se, come sostiene un responsabile di negozio, per alcune eccezioni relative ad esempio alle condizioni strutturali del negozio, si trovano gli aggiustamenti e si ricalibrano i parametri di produttività.

Per i lavoratori qualificati dal terzo livello in su (cioè dall’addetto caporeparto) sono previsti anche sistemi di incentivazione individuali basati su indici e studi che l’azienda non comunica.

Comunque la valutazione viene fatta sulle capacità personali, come ad esempio nel caso del caporeparto, la capacità formativa e i risultati di reparto basati sul parametri di produttività, costo del lavoro etc..Invece nel caso del direttore il premio è basato sul rendimento dei capireparto: come spiega un responsabile di negozio “se un direttore ha 2 capireparto che su 4 sono andati male (mettiamo che ci siano 4 reparti) lui rischia di prendere meno perché è responsabilità sua curare l’andamento del reparto o l’andamento in termini di capacità personali del caporeparto” (int. 22).

LA GESTIONE DEL TEMPO DI LAVORO E DELLE TIPOLOGIE CONTRATTUALI

Per quanto riguarda l’organizzazione del tempo di lavoro c’è un’organizzazione dei turni, regolata dalla contrattazione integrativa a livello nazionale, molto rigida a cui è soggetto il personale non qualificato. C’è una suddivisione fra reparti di vendita a libero servizio e reparti di vendita non a libero servizio. Secondo il contratto integrativo aziendale, il personale addetto a reparti di vendita a libero servizio è suddiviso, salvo casi che eventualmente sono congiuntamente valutati, in due turni, che operano uno al mattino ed uno al pomeriggio, dal lunedì al sabato, non necessariamente composti dallo stesso numero di persone, formati da squadre di lavoro che possono avere orari di inizio o di fine diversi. Invece il personale addetto a reparti e settori di vendita non a libero sevizio ( gastronomia, audio video foto, profumeria carne assistito, pesce assistito, assistenza

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clienti, vini assistito ed i reparti carne, frutta e verdura, latticini e salumi, gastronomia non assistiti e i settori panificazione, pesce, piante e fiori) è organizzato secondo i seguenti tre tipi di turni:

a) turno normaleb) orario centrale frazionato (dalle 8 alle 12 o dalle 15 alle 20)c) turnino (turno+ 1 o 2 giorni centrale frazionato).Un discorso a parte va fatto per i panificatori per cui a causa dell’atipicità della loro attività e

della conseguente difficile elaborazione di standards di orari, la turnazione può avere inizio, in funzione dei volumi di produzione e dei forni presenti in reparto, in orari diversi da quelli definiti.

L’organizzazione della turnazione come commenta un sindacalista, “è gestito che uno non può neanche girarsi anche se c’è differenza tra le cassiere e uno che lavora nei reparti; le cassiere hanno una cassa, hanno i clienti, hanno il cassetto pieno di soldi ecc., sono molto controllate, sono controllate le loro pause e i loro minuti; c’è proprio un’organigramma delle varie pause per cui c’è a rotazione il giro delle pause, prima uno poi l’altro, mai due contemporaneamente secondo me per due motivi: uno perché non possono lasciare due casse smarrite, due per non far fare assembramento; perché per l’azienda due o tre persone danno l’idea di un complotto contro di essa; quindi le pause e i tempi di lavoro sono assolutamente rigidi; se uno fa i 15 minuti di pausa istituzionale e ha bisogno di nuovo di prendere la medicina oppure un bicchiere d’acqua è un problema” (int. 4).

Uno strumento importante di gestione della flessibilità del tempo di lavoro, oltre a quello dei turni, è il part-time, regolato dalla contrattazione integrativa a livello nazionale. Il part-time è verticale; azienda 2 non ha part-time orizzontali; nella sua organizzazione del lavoro preferisce il part-time verticale, 3 giorni la settimana. Generalmente viene collocato nelle giornate di punta, sabato è sempre presente. La collocazione nella giornata di lavoro dell’orario di lavoro part-time non è specificata nella lettera di assunzione del lavoratore così che secondo un sindacalista “l’azienda nel contratto mette 8 ore generiche al giorno e se l’azienda vuole quelle 8 ore al mattino, le chiede al mattino; se le vuole al pomeriggio, le chiede al pomeriggio” (int.10). Inoltre a detta di molti intervistati, azienda 2 utilizza molto il lavoro supplementare del part-time che non viene riproporzionato nel tempo pieno; a differenza degli anni ’70 e ’80 in cui invece il lavoro supplementare del part-time, secondo quanto stabilito dal contratto integrativo aziendale, era riproporzionato nel tempo pieno. Ad aumentare la flessibilità di gestione del part-time vi sono le clausole flessibili previste dal contratto integrativo aziendale. Le clausole flessibili prevedono che nel caso di esigenze produttive, sostitutive, tecnico-organizzative (esempio: campagne promozionali, aperture domenicali, elevate punte di assenteismo, particolari situazioni di incremento di vendite, inventari) può essere modificata la collocazione temporale della prestazione lavorativa. Inoltre per gli stessi motivi può essere variata in aumento la durata della prestazione lavorativa. In precedenza, invece, azienda 2 utilizzava il part-time orizzontale che prevedeva un orario prestabilito fra impresa e lavoratore. Per la modifica dell’orario ci voleva il consenso del lavoratore.

Oggi, attraverso l’utilizzo del part-time e delle varie tipologie di turno si riesce ad ottenere la massima efficienza di organizzazione dell’orario di lavoro in risposta alla quantità di vendite/clienti di un determinato momento.

In proposito, per quanto riguarda il reparto drogheria e casse che sono i reparti più soggetti all’afflusso dei clienti, un responsabile di negozio spiega che “i full time sono in drogheria cioè dove ci sono gli scaffali; c’è un primo turno e c’è un secondo turno e poi ci sono i part-time alle casse; siccome sappiamo che i giorni di maggiore impiego delle strutture degli impianti, sono il giovedì pomeriggio, venerdì e sabato, ai part-timers abbiamo offerto un orario di 24 ore fatto da 7 ore giovedì, 7 ore venerdì e 9 ore sabato, mattina e pomeriggio in modo che mettiamo in condizione il negozio nei giorni clou di avere più personale attraverso non solo il primo turno e secondo turno dei full timers ma in quei giorni lì si aggiungono anche i part-timers” (int. 22).

A differenza della gestione del tempo di lavoro del personale non qualificato basata su un rigido sistema di turnazione e sull’utilizzo del part-time, al personale qualificato è richiesta una grande

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disponibilità di tempo e raramente i direttori di negozio non sono presenti alla chiusura del venerdì o sabato.

Un altro strumento di gestione della flessibilità è quello relativo all’impiego delle tipologie contrattuali atipiche. Per quanto riguarda questo tipo di flessibilità, azienda 2 utilizza lavoratori interinali soprattutto nei momenti dei picchi e durante le festività. Azienda 2 utilizza anche molti contratti a termine e i sindacalisti intervistati lamentano l’impossibilità dei lavoratori a termine di sindacalizzarsi e l’uso dei contratti a termine che per legge può superare il livello massimo di utilizzo nel caso di nuove aperture. Un altro strumento di gestione della flessibilità sono i contratti di inserimento che in azienda 2 sono numerosi e che spesso, a detta di alcuni delegati e sindacalisti, non vengono confermati. Il contratto di inserimento prevede due livelli retributivi di ingresso inferiori a quelli del contratto a tempo determinato e inoltre , come sostiene un sindacalista, diventa uno strumento di svantaggio per il sindacato perché l’apprendista per 18 mesi non può sindacalizzarsi. La quantità delle tipologie contrattuali atipiche presenti in azienda 2 riflettono in sostanza la visione, positiva per azienda 2, della flessibilità del mercato del lavoro che ben traspare dalle parole compiaciute di un responsabile di negozio che afferma “quest’anno abbiamo dentro 480 persone a termine; voglio vedere se un’altra azienda farebbe lo stesso mentre cammina” (int. 22).

5.4 AZIENDA 3

5.4.1 L’AZIENDA: STORIA E CARATTERISTICHE

Come è scritto nel bilancio sociale, azienda 3 costituisce un sistema composto da otto società cooperative col fine di tutelare i diritti dei consumatori e garantire loro qualità, sicurezza e convenienza nei prodotti. Dalla forma giuridica discendono storicamente regole e fondamenti che ne caratterizzano l’organizzazione e rendono azienda 3 un soggetto economico speciale. I soci consumatori di azienda 3 in ottemperanza al principio democratico “una testa un voto”, partecipano al governo dell’impresa, gestendo l’attività e il patrimonio nell’interesse collettivo e perseguendo scopi commerciali unitamente a finalità sociali. Azienda 3 non ha fini di speculazione privata ed è ordinata dai principi costituzionali della mutualità. Gli utili devono essere destinati alla realizzazione degli interessi e del benessere dei soci consumatori, a riserve indivisibili quali strumenti di autofinanziamento e al fondo di promozione e sviluppo dell’impresa cooperativa. I criteri di riferimento di azienda 3 si rifanno sempre al concetto di centralità della persona considerato come valore cardine e fondamento distintivo nell’agire. In sintesi i principi prescrittivi a cui si rifà azienda 3 sono: eguaglianza ed equità, tutela del consumatore e della comunità, valorizzazione della persona e del lavoro, democrazia ed indipendenza, moralità e trasparenza, valore alla conoscenza. Il primo negozio di azienda 3 apre a Torino nel 1954. Azienda 3, al 2005, è costituita da circa 160 punti vendita associati a livello di distretti regionali (Distretto Nord Ovest, Distretto Adriatico, Distretto Tirrenico) e suddivisi in grandi, medi e piccoli punti vendita. Della prima categoria fanno parte nove imprese dotate di una vasta rete di vendita fra cui c’è quella che fa capo alla Lombardia. Da qui in avanti si farà riferimento ad azienda 3 in Lombardia. In Lombardia, contrariamente al 2004 in cui avevano prevalso le tipologie intermedie, il 2005 ha visto un maggiore sviluppo tra i piccoli format (supermercati inferiori a 2500 mq) e i grandi iper (oltre i 7000 mq.) I punti vendita di media grandezza sono in tutto 13 e si appoggiano alle centrali di acquisto nazionali, pur gestendo una rete di vendita più ridotta rispetto alle grandi organizzazioni; le piccole realtà sono, a fine 2005, 133 e rappresentano singoli punti vendita comunque importanti a livello locale. Più recentemente si è aggiunto un terzo canale , quello dei discount, che si è ritagliato il compito di completare la presenza di azienda 3 in alcune regioni dove ha minore tradizione con un’offerta che coniughi le caratteristiche del negozio di prossimità con le esigenze di un risparmio molto accentuato. Azienda 3 è il principale attore sul mercato italiano della grande distribuzione organizzata, con una quota di

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mercato che ha raggiunto il 17,9% delle vendite nel 2005 per 11,5 miliardi di Euro,(davanti ai gruppi francesi Carrefour e Auchan).È in atto negli ultimi anni un processo di razionalizzazione del sistema sia a livello centrale che territoriale, con fusioni tra imprese, processi di espansione nelle Regioni del Sud Italia e di internazionalizzazione, con l'apertura di ipermercati in Croazia.

5.4.2 LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA

Per quanto riguarda la produzione, i prodotti freschi vengono lavorati dai dipendenti di azienda 3; altri prodotti di azienda 3 sono venduti col marchio “Coop” sebbene non siano prodotti da dipendenti di azienda 3 ma da dipendenti di cooperative di produzione.

La logistica è organizzata per distretti. Una volta era gestita da ogni singola cooperativa a livello regionale poi in un secondo momento il distretto nord-ovest (Lombardia, Liguria, Piemonte), attraverso il conferimento di un ramo d’azienda, ha centralizzato la logistica in un consorzio che ha sede nella provincia di Milano. Nel consorzio sono centralizzati anche gli acquisti e il sistema informativo dell’azienda. Questa strategia aziendale trova giustificazione nell’obiettivo di ottenere una maggiore efficienza nel processo di collocazione dei prodotti e nell’economia di scala.

Per quanto riguarda la vendita la strategia di azienda 3 è quella di puntare sulla qualità dei prodotti alimentari. È soprattutto su questo aspetto che si gioca la concorrenza fra azienda 3 e 2. Per questo motivo, secondo un funzionario sindacale, azienda 3 sta iniziando a capire che forse i grandi ipermercati non sono un modello ideale e che forse il format ideale è quello di dimensioni di 3.000-3.500 metri quadri e non quell’area di 10.000 – 15.000 metri con maggior attenzione ai prodotti biologici; ed è per questo motivo che azienda 3 sta operando una strategia di riconversione dell’area non alimentare degli ipermercati in area alimentare. Un altro fattore legato alla vendita sui cui si gioca la competitività di azienda 3 è quello dei servizi. Infatti secondo un funzionario sindacale “azienda 3 non dà solo il servizio di vendita ma altri servizi che sono legati non solo al consumatore ma anche al cittadino, all’anziano piuttosto che alla persona attraverso iniziative cooperativistiche e cioè che se hai bisogno dell’idraulico lo trovi in bacheca; quindi se tu vai a fare la spesa e hai un problema dell’elettricista lo trovi in bacheca… addirittura se hai bisogno di una consulenza legale la trovi…e quindi azienda 3 dà anche queste informazioni che sono utili dal punto di vista del cittadino” (int. 11). Questa offerta ampia di servizi ha lo scopo di rendere il punto vendita, in linea con i dettami del bilancio sociale di azienda 3, sempre più come una risorsa in grado di sviluppare coesione sociale e una risposta ai bisogni e alle molteplici esigenze dei cittadini.

Per quanto riguarda l’organizzazione della gestione delle risorse umane, nelle strutture di vendita non c’è una Direzione del personale. La Direzione del personale si trova nella sede centrale dell’azienda. Esistono però alcune figure professionali denominate “assistenti al personale” che si occupano, sia per gli ipermercati che per i supermercati, delle attività legate al personale ma in una logica decentrata. Nel canale dei supermercati esistono due assistenti al personale (circa venti negozi a testa) mentre nel canale degli ipermercati, che sono strutture più grandi, è presente un assistente del personale per ogni ipermercato. Queste figure rispondono direttamente alla direzione commerciale e sono in “staff” alla Direzione del personale; si occupano dei temi più individuali o che non hanno rilevanza collettiva attraverso questa logica: 1) sugli orari intervengono autonomamente nei singoli casi 2) pianificano le ferie 3) sulle sanzioni disciplinari segnalano e ricostruiscono i fatti 4) su aumenti e incentivi non hanno autonomia decisionale ma possono proporre o segnalare casi meritevoli alla Direzione del personale 5) non intervengono sulla formazione e sulle carriere. La Direzione del personale si occupa invece dell’organizzazione del lavoro, delle politiche retributive, di sviluppo, di selezione e di relazioni sindacali.

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5.4.3 IL PERSONALE

La maggior parte del personale è presente nei punti vendita. All’interno dei negozi prevalgono gli addetti ausiliari alla vendita che sono soprattutto donne. Mentre nei supermercati le attività degli addetti vendita sono promiscue, negli ipermercati, per la maggior complessità della struttura organizzativa che prevede più reparti specializzati per cui è richiesta una specializzazione, la promiscuità è più difficile; infatti c’è un’area che è molto omogenea e che riguarda i generi vari che è la grande area dove c’è l’intercambiabilità della mansione rispetto alla cassa e al rifornimento; poi invece ci sono i reparti specializzati dove è chiaro che c’è bisogno di una conoscenza diretta e quindi di una specializzazione dell’attività lavorativa.

La struttura organizzativa dei supermercati e degli ipermercati è a forma piramidale e ciò si riflette sui processi decisionali: ben poca autonomia è lasciata a chi lavora nei punti vendita. Migliore è la situazione negli ipermercati in cui i capireparto, oltre ad essere figure commerciali, hanno piena autonomia nella gestione degli addetti ausiliari alla vendita; anche se il loro potere decisionale, in ultima analisi, dipende dai capi settore. Tuttavia, una parte dell’autonomia decisionale di una volta dei direttori e dei capireparto (una volta stabilivano il prezzo dei prodotti e avevano autonomia decisionale sugli acquisti dei prodotti) degli ipermercati, oggi è trasferita nel consorzio Nord-Ovest dove sono centralizzati la logistica, gli acquisti e il sistema informativo. Ultimamente in azienda 3 i processi di esternalizzazione non investono solo la logistica ma cominciano ad investire anche la struttura organizzativa all’interno dei punti vendita soprattutto per quanto riguarda gli ipermercati; come chi lavora al centralino e chi rifornisce gli scaffali. Il bilancio sociale di azienda 3 consente di avere un quadro descrittivo del nucleo professionale dell’azienda.

I dipendenti occupati di azienda 3 in Lombardia hanno raggiunto la cifra totale di 4.244 unità a fine 2006 (tab. 5.13). La diminuzione del numero di occupati in termini di 196 unità fra 2004 e 2005 è riconducibile, secondo quanto scritto nel bilancio sociale, al trasferimento di una parte del personale, prima impiegato in azienda 3 in Lombardia, presso il Consorzio Nord Ovest in provincia di Milano dove sono centralizzati la logistica, gli acquisti e il sistema informativo dell’azienda; diminuzione che continua anche nel 2006.

Tab. 5.13 Organico 2004-2005-2006

Dipendenti Anno 2004 Anno 2005 Anno 2006Donne 2.881 (65%) 2.796 (65%) 2.806 (66%)Uomini 1.583 (35%) 1.472 (35%) 1.438 (34%)Totale 4.464 (100%) 4.268 (100% 4.244(100%)

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’ azienda

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Il numero di occupati è composto soprattutto da donne che sono quasi il doppio degli uomini. Secondo la suddivisione degli occupati per canale di vendita, la presenza femminile prevale sia nei supermercati che negli ipermercati (graf. 5.2 ).

Graf. 5.2 suddivisione degli occupati per canale di vendita (2005)

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’ azienda

Confrontando il part-time al full-time, per quanto riguarda il personale dell’azienda, emerge che nel 2006 il part-time è in leggera diminuzione rispetto al 2005 (tab. 5.14) anche se relativamente al 2005 il part-time è utilizzato per le donne più di 6 volte del numero del part-time utilizzato per gli uomini (graf. 5.3).

Tab. 5.14 Occupati per distribuzione dell’orario di lavoro

Dipendenti Anno 2004 Anno 2005 Anno 2006Full-time 1.832 (41%) 1.771 (41%) 1.774 (41%)Part-time 2.632 (59%) 2.497 (59%) 2.470 (59%)Totale 4.464 (100%) 4.268 (100%) 4.244 (100%)

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’ azienda

Graf. 5.3 Distribuzione oraria del tempo di lavoro per genere (2005)

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Fonte:elaborazione su dati forniti dall’ azienda

Osservando la suddivisione degli occupati per livello di inquadramento, emerge che la presenza delle donne è inversamente proporzionale alla crescita del livello (tab. 5.15).

Tab. 5.15 Suddivisione degli occupati per livello di inquadramento (2005)

Donne Uomini TotaleDirigenti 3 (0%) 16 (1%) 19 (0%) Quadri 7 (0%) 38 (3%) 45 (1%) Primo livello 43 (2%) 137 (9%) 180 (4%) Secondo livello 42 (2%) 79 (5%) 121 (3%) Terzo super* 24 (1%) 64 (4%) 88 (2%) Terzo livello 186 (7%) 377 (26%) 563 (13%) Quarto super* 340 (12%) 192 (13%) 532 (12%) Quarto livello 1.941 (69%) 484 (33%) 2.425 (57%) Quinto livello 209 (7%) 84 (6%) 293 (7%) Sesto livello 1 (0%) 1 (0%) 2 (0%) Totale 2.796 (100%) 1.472 (100%) 4.268 (100%)

*specializzazione di livelloFonte:elaborazione su dati forniti dall’ azienda

Per quanto riguarda le tipologie contrattuali, il contratto a tempo indeterminato è la tipologia di rapporto lavorativo predominante in azienda 3 (graf. 5.4).

Graf. 5.4 Tipologie contrattuali impiegate

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Fonte:elaborazione su dati forniti dall’ azienda

Osservando la tabella qui sotto (tab. 5.16) sulla suddivisione dei lavoratori per tipologia contrattuale e categoria (APP=apprendistato, CFL= contratto formazione lavoro, CT= contratto a termine, IND= contratto a tempo indeterminato, PT= part-time, FT= full – time) sono significativi i dati relativi alla prevalenza assoluta dei quarti livelli occupati soprattutto dalle donne e dell’impiego del contratto a tempo indeterminato part-time per i quarti livelli, soprattutto per le donne.

Tab. 5.16 Suddivisione per tipologia contrattuale e categoria (2006)

DONNE UOMINI

APPPT

CFLPT

CTFT

CTPT

INDFT

INDPT

APPPT

CTFT

CTPT

INDFT

IND PT

TOT.

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Dirigente 3 16 19Quadro 7 47 54Primo livello 42 126 168Secondo livello 40 8 91 139Terzo livello 125 51 1 367 6 550Terzo super 1 26 1 2 59 1 90Quarto livello 3 1 229 1.673 3 226 217 2.352Quarto super 1 166 210 1 175 16 569Quinto livello 5 138 38 11 39 1 18 250Sesto livello 26 12 8 3 4 53

Totale 26 3 7 151 638 1.981 8 21 43 1.108 258 4.244

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’ azienda

Il dato sull’età dei lavoratori e sulla loro anzianità aziendale indica rispettivamente che l’età media dei lavoratori è ampiamente inferiore ai 40 anni (per le donne si attesta ai 36,5 anni, per gli uomini intorno ai 37,5 anni) e che la maggior parte dei lavoratori di azienda 3 in Lombardia ha un’anzianità di servizio che supera gli undici anni di lavoro anche se, confrontando gli uomini con le donne, l’anzianità lavorativa è più bassa per le donne (graf. 5.5 e tab. 5.17).

Graf. 5.5 (2005) Età degli occupati

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’ azienda

Tab. 5.17 anzianità di servizio degli occupati

0-5 anni 6-10 anni 11-15 anni 16-20 anni Oltre 20Donne 1.166 (66%) 469 (64%) 479 (67%) 421 (67%) 271 (61%)Uomini 585 (33%) 253 (35%) 230 (32%) 203 (32%) 167 (38%)Totale 1.751 (100%) 722 (100%) 709 (100% 624 (100%) 438 (100%)

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’ azienda

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Infine il dato sulla presenza degli extracomunitari in azienda 3 indica che la percentuale di questa tipologia di lavoratori è molto bassa, rappresentata soprattutto da donne (graf. 5.6).

Graf. 5.6 Numero occupati extracomunitari

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’ azienda

5.4.4 LE RELAZIONI SINDACALI

Il sindacato ha una presenza abbastanza rilevante in azienda 3; in tutti i negozi sono presenti i sindacati confederali, con le RSU, ma la maggior parte dei lavoratori sono iscritti alla Filcams (l’ 80% a detta del Direttore del personale di azienda 3) anche se, a detta dei delegati, buona e in crescita è anche la presenza dei lavoratori iscritti alla Uiltucs. Secondo i dati riportati nel bilancio sociale il numero degli iscritti alle tre federazioni sindacali nel 2005 è pressoché uguale a quello del 2004 anche se in aumento in rapporto al totale dei dipendenti (tab. 5.16).

Tab. 5.16 Numero degli iscritti al sindacato iscritti ai sindacati anno 2004 Anno 2005 Anno 2006Totale dipendenti 4.464 4.268 4.244lavoratori iscritti (CGIL,CISL,UIL) 1.763 1.758 1.706% sindacalizzazione 39,5% 41,2% 40,1%

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’ azienda

Nell’area metropolitana milanese gli iscritti alla Uiltucs sono 400. Prendendo in esame il contratto integrativo regionale della Lombardia che nel caso di azienda 3 è considerato integrativo aziendale, nella parte relativa alle relazioni sindacali si ribadisce l’importanza di “definire un sistema di relazioni sindacali atto al confronto e propedeutico al raggiungimento di intese”. Inoltre in linea con la natura della proprietà dell’azienda si sottolinea l’importanza della partecipazione definita come “ogni atto della vita aziendale tendente a coinvolgere le parti sugli obiettivi della cooperativa, nonché su ogni fatto di reciproco interesse attraverso momenti di informazione, procedure di confronto e, in situazioni concordate, anche attraverso strumenti sindacali, di accordi su sperimentazioni o progetti specifici”. L’articolazione delle relazioni sindacali è tripartita a livello nazionale, livello regionale e livello di punto vendita. Le materie oggetto di confronto più

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importanti e più vicine direttamente o indirettamente al tema della regolazione del rapporto di impiego sono a livello regionale: il mercato del lavoro, temi riguardanti la partecipazione dei lavoratori, riqualificazioni, riconversioni, mobilità, progetti di riorganizzazione che abbiano significativo impatto con l’organizzazione aziendale, piani di ristrutturazione aziendale; a livello della struttura sindacale regionale interna: introduzioni di nuove tecnologie, proposte elaborate dalle commissioni paritetiche, confronto preventivo sulle nuove aperture, gestione accordi vigenti in materia di mercato del lavoro, modifiche di rilievo all’organizzazione del lavoro aziendale; a livello di unità produttiva: modifiche dell’organizzazione del lavoro, effetti derivanti dall’organizzazione dell’unità produttiva in riferimento alle aperture stabilite, effetti sulle ristrutturazioni, verifica dell’andamento delle ore straordinarie e supplementari anche finalizzate a riproporzionamenti, definizione degli organici e delle mansioni. La comunicazione fra azienda e sindacato costituisce un aspetto importante in azienda 3 e tale importanza, secondo il Direttore del Personale di azienda 3, va ricondotta al “Contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti da imprese della distribuzione cooperativa” in cui la parte dedicata all’informazione sarebbe storicamente più ricca e più approfondita rispetto alla regolazione dei diritti di informazione nel Contratto nazionale del commercio delle aziende private. Il sistema di comunicazione fra impresa e sindacato in azienda 3 si traduce in un articolato sistema di diritti di informazione. Mentre a livello regionale e della struttura sindacale interna vengono poste al centro della comunicazione, prevista in un incontro annuale, tematiche più generali quali l’andamento economico, i piani di investimento dell’azienda e gli andamenti, la dinamica e la composizione degli organici, a livello di unità produttiva bisogna fare una distinzione fra canale super e canale iper. Infatti se per entrambi i canali gli incontri sono previsti semestralmente, per quanto riguarda le tematiche per il canale super è prevista informazione sulle tematiche attinenti l’organizzazione del lavoro e, solo su richiesta, informazioni relative ai lavoratori; mentre per il canale iper si prevede l’illustrazione del budget annuale e dei dati di consuntivo con particolare riferimento a quelli che riguardano la definizione del salario variabile, la composizione quantitativa degli organici per sesso, livello, tempo pieno o parziale e il numero dei lavoratori assunti suddivisi per contratto. Quindi in azienda 3 lo scambio di informazioni fra azienda e sindacato avviene a tutti i livelli e trova il culmine nella Commissione paritetica a livello regionale denominata Commissione Produttività che si riunisce almeno due volte l’anno con l’obiettivo di monitorare l’andamento dell’azienda attraverso la valutazione degli indicatori di gestione, con possibilità di approfondire i fattori che li hanno determinati. Secondo quanto riferiscono gli intervistati, la struttura organizzativa per distretti basata sulle regioni trova un naturale sbocco in una contrattazione regionale forte e radicata che stabilisce i paletti (che sono unici per quanto riguarda gli ipermercati mentre per i supermercati dipendono dalla grandezza dei negozi) per l’eventuale contrattazione nel punto vendita. Quindi il livello nazionale (contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti da imprese della distribuzione cooperativa) stabilisce i criteri generali, il livello regionale stabilisce un altro momento di discussione e di contrattazione che cerca di dare l’impianto nonché le regole generali per i territori con alcuni punti sull’organizzazione del lavoro e sul salario variabile che vengono in ultima analisi importati a livello di punto vendita. Per quanto riguarda questo livello, un funzionario sindacale intervistato sostiene l’importanza e la necessità del supporto della struttura sindacale esterna; che avviene attraverso la presenza costante di un funzionario sindacale nei negozi; e che sembra un fattore in grado di mantenere un collegamento fra strutture esterne e interne e una buona prassi di relazioni sindacali anche a livello di punto vendita, mantenendo l’armonizzazione delle relazioni sindacali dei due livelli, quello regionale e quello di negozio.

Per quanto riguarda le valutazioni fatte dagli intervistati sulle relazioni sindacali di azienda 3, un funzionario sindacale osserva che “diciamo che c’è spesso e volentieri una disponibilità che si presta però alcune volte sulla soluzione dei problemi qualche criticità c’è. Perché la disponibilità c’è ma nel momento in cui il problema viene affrontato e trova una difficile soluzione perché si trascina nel tempo questo non è un buon segnale” (int. 11). Anche il Direttore del personale di azienda 3, per

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cui il modello di relazioni sindacali di azienda 3 si basa su un modello concertativo, da un lato ribadisce il vantaggio di questo modello che si traduce nella partecipazione degli attori per il raggiungimento a volte conflittuale di decisioni condivise, quindi conseguentemente più stabili e certe, dall’altro indica il rischio che “la concertazione diventi un alibi per non fare niente, perché se la concertazione diventa immobilismo perché comunque alla fine bisogna mettersi d’accordo, basta che uno non è d’accordo e non se ne esce mai e diventa il modo migliore per come dire destrutturare la concertazione” (int. 26). Tuttavia, tra i modelli descritti da Regalia, il modello scelto dai sindacalisti e dirigenti d’impresa, vicino al modello di relazioni sindacali di azienda 3, è un misto fra il modello consultivo-partecipativo e quello contrattual-formalistico. Dal punto di vista dei sindacalisti e dirigenti di impresa intervistati, le relazioni sindacali di azienda 3 sarebbero caratterizzate non dalla mancanza di collaborazione e ricerca di intese fra le parti ma dalla difficoltà derivante dal tempo impiegato per raggiungere accordi.

Interessante è anche la valutazione delle relazioni sindacali di azienda 3 da parte dei delegati. Secondo i delegati, a cui sono stati sottoposti i modelli di Regalia, la relazione fra sindacato e impresa a livello di negozio è basata su un modello di tipo consultivo partecipativo secondo un delegato uiltucs , di tipo contrattual-formalistico secondo un delegato filcams secondo cui tutto avviene all’interno di regole predeterminate e rispettate a livello di negozio. Le relazioni sindacali secondo i delegati dipenderebbero poi dalla situazione economica del negozio (quando va bene anche le relazioni sono buone e viceversa) e anche a questo livello i delegati sostengono che i problemi sono più che altro relativi al tempo impiegato per trovare l’accordo.

Inoltre dalle interviste ai delegati, emergerebbe un problema intersindacale. Come osserva un delegato della Uiltucs, ci sarebbero problemi di natura storica nei rapporti fra Filcams e Uiltucs legati al rapporto privilegiato che la Filcams ha con l’azienda e che si concretizza in una continuità di rapporto. Problemi che riguardano e si riflettono soprattutto nello scambio di informazioni; la Filcams perverrebbe per prima ad avere informazioni mentre la Uiltucs perverrebbe ad averle in un secondo momento. Ma come affermano i delegati intervistati, tutto si risolverebbe nell’unità sindacale nel momento negoziale.

Il conflitto fra impresa e lavoratori è debole ma presente e risente del modello concertativo di relazioni sindacali di azienda 3 che a differenza di quanto si può immaginare si traduce nell’innalzamento delle richieste da parte dei lavoratori e nella mobilitazione dei lavoratori resa possibile dall’alto tasso di sindacalizzazione di azienda 3. Tuttavia la mobilitazione è più che altro simbolica e prelude a una successivo accordo. Oppure avviene per temi attuali su cui il confronto fra azienda e sindacato è ancora difficile come il tema delle esternalizzazioni che sta toccando soprattutto gli ipermercati e che può avere un impatto sull’occupazione dei negozi. Un delegato sindacale spiega che nonostante il contratto nazionale preveda l’esclusione dell’attività caratteristica delle aziende, in questo caso l’attività di vendita, dai processi di esternalizzazione, ultimamente, in forma sperimentale in alcuni ipermercati, alcune attività come quella delle centraliniste e del caricamento degli scaffali sono parzialmente esternalizzate; anche se per ora i processi di esternalizzazione non hanno effetti sull’occupazione. Secondo il delegato, i processi di esternalizzazione che stanno investendo gli ipermercati di azienda 3 sarebbero riconducibili alla richiesta di continuità da parte dei processi della logistica.

5.4.5 LA REGOLAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO

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LA SELEZIONE

La politica di gestione delle risorse umane di azienda 3 privilegia la crescita interna piuttosto che la selezione esterna e ciò vale anche per gli addetti ausiliari alla vendita. Attraverso la mappatura del potenziale, il censimento delle risorse umane, se non si riescono a individuare figure interne perché per esempio manca il carattere di una specifica professionalità ricercata, ci si rivolge all’esterno soprattutto ad esempio nel caso degli ipermercati come spiega il Direttore del personale di azienda 3: “negli ipermercati se nascono figure professionali nuove perché hanno a che fare magari con prodotti o con reparti nuovi noi facciamo prima una verifica interna laddove naturalmente questa verifica non dovesse dare risultati andiamo all’esterno, però diciamo privilegiamo la crescita interna” (int. 26). Normalmente quando inizia un processo di selezione questo riguarda soprattutto le attività di addetti alle operazioni di ausiliari alla vendita. Nel processo di selezione viene fatto un “planning annuo” in base agli andamenti e le vendite dell’anno precedente. Quindi, anno su anno, viene costruito un preventivo per una struttura di vendita che viene confrontato con gli organici che ci sono in quel momento nel negozio. Laddove ci sono carenze vengono previste delle assunzioni che cambiano a seconda dei livelli professionali di cui l’impresa ha bisogno. Quindi vi possono essere anni nei quali l’attività di selezione è abbastanza ridotta e ci possono essere anni in cui invece questa attività è una attività abbastanza rilevante o perché gli andamenti sono positivi o a volte soprattutto anche perché ci sono delle aperture. La durata del processo di selezione e la quantità del personale ricercato è da mettere in relazione a questi fattori. Nel caso della selezione del personale non qualificato in occasione di nuove aperture, molti mesi prima dell’apertura vengono fatti dei bandi di concorso esterni ( per bandi esterni si intendono delle inserzioni fatte sul mercato del lavoro. Una volta erano finanziate anche dai Fondi sociali europei ma ora no) piuttosto che anche delle normali inserzioni su quotidiani o si prendono in considerazione le moltissime domande spontanee. Nel caso dei bandi esterni, azienda 3 si affida al Ceref che è il centro di formazione regionale di studi cooperativi che è un ente che fa parte della Lega Coop (per questo il Ceref viene utilizzato anche dal sistema nell’insieme per attività di questo genere). Dopo la prima fase di raccolta dei nominativi, si fa un prima screening (il requisito minimo di scolarità corrisponde al diploma di scuola media superiore) dopo il quale le persone scelte vengono contattate per essere sottoposte a delle batterie di test psicoattitudinali; successivamente coloro che hanno superato la fase dei test psicoattitudinali, che normalmente vengono utilizzati quando il numero di persone è molto elevato, sono sottoposto a dei colloqui di gruppo che servono per verificare gli aspetti relazionali piuttosto che la capacità della persona di stare in gruppo. Dopo i colloqui di gruppo vengono fatti uno o due colloqui individuali superati i quali le persone vengono assunte.

La selezione del personale qualificato, come nel caso dei capireparto, prevede un colloquio di gruppo, un questionario psicoattitudinale, una prova di “assessment” per valutare le capacità gestionali ed organizzative e un colloquio individuale; infine, dopo queste 4 prove, c’è un colloquio con l’Ufficio risorse umane. Azienda 3, per selezionare il personale qualificato, si serve anche di società di consulenza esterna la cui funzione è quella di fare uno screening delle persone all’interno dei loro “data base” sulla base del profilo ricercato dall’azienda. Vengono quindi segnalati dei nominativi vicini al profilo ricercato e all’azienda spetta la scelta finale.

Ultimamente è in atto un esperimento che ha come fine quello di selezionare persone con competenze trasversali che, pur non avendo esperienze pregresse, potranno diventare direttamente capi negozio dopo un anno e mezzo di formazione.

LA FORMAZIONE E LE CARRIERE

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La formazione di azienda 3 in Lombardia è ben descritta nel bilancio sociale. Essa è affidata a un consorzio che opera dal 1982 come ente di formazione per tutte le aziende cooperative lombarde.

Scopo istituzionale di questo ente è quello di progettare ed erogare programmi formativi con l’obiettivo di qualificare il personale operante ai diversi livelli. Dal 2004, in modo più organico, il consorzio, in stretta relazione con il Direttore del Personale e in collaborazione con L’Ufficio sviluppo risorse umane, segue totalmente l’attività formativa di azienda 3 in Lombardia. In questo senso i consulenti del consorzio si occupano quindi di:

1) analizzare i fabbisogni formativi aziendali2) progettare e gestire i programmi formativi “istituzionali”3) collaborare con la Scuola di azienda 3 nella progettazione di percorsi

formativi specifici4) proporre alla Direzione del Personale il piano formativo aziendale5) definire la partecipazione ai corsi di Scuola di azienda 3 e a eventuali

corsi esterni, organizzati da altre società di consulenza

L’attività formativa rivolta ai neo assunti riguarda la presentazione dell’azienda (la trasmissione dei valori), la parte normativa (la legge 626 sulla sicurezza sui luoghi di lavoro), la parte giuridico-contrattuale (i diritti e doveri del lavoratore) e la parte commerciale (le tecniche di vendita). In particolare la formazione rivolta ai capi reparto e agli specialisti di supermercati e ipermercati è più strutturata. La formazione dei capi reparto prevede un percorso formativo della durata di 14 giornate, distribuito su 4 mesi; la formazione dei capi reparto riguarda la presentazione dell’azienda (più strutturata di quella prevista per gli addetti alla vendita), una parte commerciale, un’area di gestione economica (come gestire un conto economico di reparto e le variabili gestionali come le vendite, la produttività…) e infine le modalità di gestione di un gruppo, la parte più rilevante della formazione. La formazione degli “specialisti dei freschi” di supermercati e ipermercati, avviene attraverso un percorso formativo (teorico e pratico) di circa un anno. Dopo una valutazione attenta i “corsisti” possono essere inseriti in azienda con la qualifica di addetti specialisti dei reparti freschi.

Infine c’è la formazione riguardante progetti particolari come il servizio di telefonia mobile “Coop voce” o quello per rendere formatori gli “specialisti dei freschi”.

Nel 2006 l’attività formativa di azienda 3 si è realizzata nei seguenti corsi riportati in tabella (tab. 5.18).Tab. 5.18 Attività formativa per genere

Corso Uomini Donne Totale626 formazione e addestramento 336 (49%) 497 (60%) 833 (55%)Preapertura Cremona 41 (6%) 99 (12%) 140 (9%)Specialistica 137 (20%) 47 (6%) 184 (12%)Neo assunti 156 (27%) 170 (21%) 326 (22%)Fruttalorto 18 (3%) 11 (1%) 29 (2%)Totale 688 (100%) 824 (100%) 1.512 (100%)

Di cui: Iper 1.232 Super 251 Sede 9

Fonte:elaborazione su dati forniti dall’ azienda

I dati testimoniano oltre la formazione obbligatoria sulla legge 626 anche un sistema di formazione generale più marcato per quanto riguarda gli ipermercati. Nel complesso il sistema di formazione di azienda 3 rispecchia la filosofia dell’azienda che traspare dalle parole del Direttore del personale di azienda 3 che facendo riferimento alla formazione dei neo –assunti, prevalentemente addetti ausiliari alla vendita, dice “quel che conta è la gente le risorse chi hai dentro come si presenta le cose che fanno ecc quindi l’investimento sulla risorsa è importantissimo quindi quando tu assumi una persona l’assumi perché è importante che ricopra quel posto ma siccome quando l’assumi, l’assumi seriamente e se l’assumi seriamente gli fai anche la formazione

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tu comunque hai un costo quindi se a quel punto l’assunzione che tu fai è una assunzione che come dire guarda al futuro di quella persona è utile alla persona ma è utile anche all’impresa perché la cosa più importante per una azienda della grande distribuzione è avere persone brave” (int. 26).

In azienda 3 la formazione non è legata solo alla formazione iniziale dei neo-assunti, ma è legata anche a percorsi di carriera orizzontali e verticali che investono indistintamente il personale non qualificato e qualificato. Infatti, come già detto precedentemente, la politica di gestione del personale di azienda 3 tende a privilegiare la mobilità interna rispetto alla selezione esterna. Come avviene normalmente per la selezione, le carriere del personale avvengono soprattutto nelle fasi di sviluppo di azienda 3 legate principalmente all’apertura di nuovi negozi e riguardano tutto il personale di azienda 3, quindi anche il personale non qualificato. Generalmente le carriere in azienda 3 sono verticali.

Il processo di gestione delle carriere avviene in occasione dei bandi interni, emanati una volta all’anno o ogni due anni a seconda delle necessità. I bandi interni sono delle comunicazioni fatte direttamente dall’impresa a tutti i suoi dipendenti e si basano su due meccanismi. Il primo meccanismo prevede la segnalazione dell’interessamento a un percorso di crescita professionale da parte degli stessi lavoratori a cui segue una valutazione. Il secondo meccanismo prevede la valutazione delle persone che secondo i capi intermedi possono intraprendere una crescita professionale. Gli strumenti utilizzati per la gestione delle carriere sono la valutazione della prestazione e la valutazione del potenziale. La valutazione della prestazione corrisponde al giudizio del capo sull’operato del lavoratore mentre la valutazione del potenziale corrisponde al giudizio sulla possibilità del lavoratore di ricoprire ruoli diversi da quello che sta ricoprendo. La valutazione del potenziale avviene attraverso metodologie specifiche che sono test psicoattitudinali, colloqui di gruppo, colloqui individuali che hanno lo scopo di verificare le capacità gestionali - organizzative. Se la valutazione del potenziale è positiva le persone vengono staccate dalla loro attività e viene costruito per loro un percorso di formazione normalmente della durata media di un anno per poi, fatto questo percorso di formazione, entrare in ruolo con dei piani di addestramento che vengono fatti per ogni singola persona per arrivare infine a fare quella figura professionale che gli è stata imputata. Ad esempio, nel caso dei capireparto, la maggior parte dei capireparto provengono da crescite professionali interne soprattutto nei supermercati dove la mobilità interna di queste figure è maggiore che negli ipermercati. Molti dei capireparto sono inizialmente addetti alle operazioni ausiliari alla vendita, poi hanno magari svolto qualche percorso intermedio tra l’addetto alle operazioni ausiliari alla vendita e il capo reparto come ad esempio nel caso del vice caporeparto o del coordinatore di un reparto per poi infine, dopo un periodo di formazione, diventare capireparto, a tempo pieno se precedentemente erano a part-time.

In azienda 3 oltre ai percorsi di carriera verticali, sono previsti anche percorsi di carriera orizzontali, all’interno dello stesso ruolo professionale, come nel caso di un caporeparto di un negozio di 1.000 metri quadrati che viene mandato a lavorare in un negozio di 3.000 metri quadrati, o di tipo gestionale soprattutto per gli addetti ausiliari alla vendita, come nel caso di un lavoratore che chieda il trasferimento in un negozio più vicino a casa.

I MECCANISMI DI INCENTIVAZIONE

Uno strumento di incentivazione è quello del salario variabile. Il salario variabile in azienda 3 è regolato dalla contrattazione integrativa. Secondo il contratto integrativo regionale la regolazione del salario avviene attraverso parametri negoziati fra le parti a livello regionale che valgono per tutti i negozi (tuttavia esistono casi particolari di negozi soggetti a importanti ristrutturazioni per cui è prevista la revisione dei parametri). I parametri previsti per i supermercati sono: il risultato

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complessivo di Canale, la produttività, le differenze inventariali e la qualità del servizio. Il salario variabile dei supermercati è compreso tra un minimo di 170 euro a un massimo di 1.300 euro. I parametri previsti per gli ipermercati sono: le differenze inventariali, la produttività, le vendite al netto dell’ IVA sulla sommatoria delle ore lavorate, il risultato complessivo di Canale e la qualità del servizio. Il salario variabile dei supermercati è compreso tra un minimo di 254 euro e un massimo di 1508 euro. Il salario variabile dei supermercati e ipermercati è poi riproporzionato in base all’entità della prestazione lavorativa (full time/ part time).

A parte gli indici di natura tecnico-economica, merita un’attenzione particolare l’indice relativo alla qualità. È un indice che ha lo scopo di collegare la partecipazione dei lavoratori agli obiettivi dell’azienda ed è in funzione dei seguenti parametri:

1) cortesia2) ordine e pulizia3) tempi di attesa alle casse4) tempi di attesa ai banchi5) presenza del prodotto6) freschezza ed igiene7) presenza di prodotti scadutiOgni parametro (tranne l’ultimo per il quale è prevista l’ispezione dei funzionari) è valutato

attraverso interviste effettuate a soci e clienti presso il punto vendita ai quali è chiesto di esprimere un giudizio attraverso un voto da 1 a 10 per ogni singolo parametro descritto. I punteggi sono poi ponderati sui pesi attribuiti a ciascun parametro e alla fine viene fatta una media che rappresenta il voto complessivo dell’anno.

Tra le valutazioni fatte dagli intervistati sul salario variabile, una considerazione importante è quella relativa al vantaggio derivante dall’appartenenza di azienda 3 a una struttura federata che consente, per quanto riguarda il salario variabile, la vicinanza dei parametri negoziati a livello regionale alla realtà dei negozi: in proposito il Direttore del Personale di azienda 3 osserva “per noi è un po’ più facile riuscire a strutturare dei parametri monitorando i poli sul territorio perché sono imprese molto grandi ma concentrate sui singoli territori” (int. 26).

Per il personale qualificato (dal caporeparto in su), oltre al salario variabile di tipo collettivo, è previsto un salario variabile di tipo individuale; che è basato su un “mix” tra gli andamenti della propria struttura di vendita e una scheda di valutazione che invece riguarda parametri personali valutati una volta all’anno dal proprio capo. In quest’ultimo caso c’è una parte di quota del salario individuale che viene erogata in base al raggiungimento di obiettivi dati dal capo l’anno precedente.

LA GESTIONE DEL TEMPO DI LAVORO E DELLE TIPOLOGIE CONTRATTUALI

L’organizzazione del tempo di lavoro avviene per turni e costituisce un tema importante oggetto della regolazione collettiva a livello di contrattazione integrativa regionale e a livello di punto vendita. Ma il contratto integrativo regionale, mentre prevede per i supermercati una definizione dei turni concordata con le R.S.U. sulla base delle situazioni specifiche dei negozi (anche se nei negozi più piccoli come i supermercati, prevale il turno spezzato), per gli ipermercati gli schemi di orario previsti sono specificati e sono: l’orario spezzato, l’orario a turno, una combinazione di turni e orario spezzato. La maggiore articolazione dei turni degli ipermercati rispecchia modelli organizzativi più complessi per questa tipologia di vendita: secondo il Direttore del Personale di azienda 3 “ gli ipermercati non sono a ciclo continuo ma ormai lo sono quasi perché un ipermercato apre alle e inizia la sua attività intorno alle cinque del mattino e normalmente la finisce intorno alle 11 mezzanotte non sono come le fabbriche degli anni 70 a ciclo continuo però in qualche modo iniziano ad assomigliarci dal punto di vista del modello perché i caricamenti vengono fatti a negozio chiuso la sistemazione viene fatta a negozio chiuso le attività iniziano a svolgersi intorno

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alle 6 del mattino per finire intorno alle 11 anche perché spesso gli ipermercati sono aperti fino alle 10 di sera” (int. 26).

Uno strumento importante di gestione della flessibilità del tempo di lavoro è il part-time (generalmente 20-24 ore settimanali) che viene regolato dalla contrattazione fra impresa e sindacato. Il part-time è sia orizzontale sia verticale e la predominanza dell’uso di un tipo sull’altro dipende dalla singola struttura di vendita. Nel contratto integrativo regionale di azienda 3 è dedicata una parte specifica alla regolazione del part-time. In essa si sottolinea l’importanza del part-time per il raggiungimento di obiettivi quali la possibilità di consentire maggiore flessibilità della forza lavoro e la funzionalità alla necessità di offrire un migliore servizio alla clientela. Tuttavia nel bilancio sociale si prevede la definizione dell’utilizzo del lavoro a tempo parziale nell’ambito del confronto sull’organizzazione del lavoro, attraverso la programmazione degli orari di lavoro anche al fine di salvaguardare il diritto del lavoratore alla gestione del tempo di lavoro tanto che il Direttore del Personale di azienda 3 dice “ noi tendiamo a contrattualizzare il part-time con l’organizzazione sindacale cercando di essere più precisi possibile; il vero problema del part time è quello di avere la possibilità di avere orari certi cioè se tu hai un orario se tu lavori in un luogo che ti permette di avere degli orari che orientativamente sono degli orari similari settimana su settimana questo ti permette anche di far coincidere eventualmente atre attività” (int. 26). Inoltre al fine di determinare i riproporzionamenti nella struttura di vendita ed i passaggi a tempo pieno è prevista la possibilità per il personale di presentare domanda in merito e nel caso di eccedenze di domande rispetto alle necessità, la precedenza, di norma, nell’ambito della stessa specializzazione e dello stesso punto vendita, è determinata dalla valutazione comparativa dei seguenti criteri:

1) carichi familiari2) personale con orario settimanale più ridotto3) capacità tecnico professionali4) anzianità di servizioUn altro aspetto relativo al part-time, regolato dalla contrattazione integrativa regionale, è quello

relativo al lavoro supplementare cioè alle ore eccedenti il part-time. La regolazione del lavoro supplementare per il canale dei supermercati e quello degli ipermercati deve essere giustificato da oltre che dall’accordo fra le parti, da specifiche esigenze organizzative e commerciali che nel caso degli ipermercati vengono individuate quali:1) la partecipazione ai corsi di formazione (esempio corsi in formazione e lavoro)2) campagne promozionali (esempio 3 x 2, campagne promozionali a tema)3) intensificazione dell’attività di vendita in periodi (Natale, Pasqua, etc…) o collegata ad iniziative particolari4) periodi di aperture straordinarie al pubblico5) periodi caratterizzati da elevate assenze del personale (ferie, malattie, corsi di formazione)6) periodi lavorativi antecedenti l’apertura al pubblico di una nuova unità di vendita7) inventari8) eventi straordinari non originati da intensificazione dell’attività di vendita (eventi naturali o sociali, ristrutturazioni, etc.).

Si evidenzia nel contratto integrativo di azienda 3, soprattutto per gli ipermercati, la necessità di

contenere il ricorso alle ore supplementari e l’impegno dell’azienda a destinare una quota adeguata della riduzione delle ore supplementari al riproporzionamento degli orari di lavoro dei lavoratori a tempo parziale, naturalmente sempre se i lavoratori lo vogliano.

Nell’ottica della conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, è in corso in un ipermercato della provincia di Milano la sperimentazione delle “isole tempo” per i lavoratori della barriera cassa che hanno così la possibilità di autodeterminarsi gli orari attraverso un meccanismo conciliativo dei bisogni sia dell’azienda sia del lavoratore. L’organizzazione del lavoro ad isole prevede che i lavoratori componenti ogni unità organizzativa (isola) determinino autonomamente la distribuzione del proprio tempo di lavoro, variando la collocazione temporale su base giornaliera e settimanale, in

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funzione delle necessità di copertura delle posizioni di lavoro corrispondenti ai flussi di vendita prevista. Questa sperimentazione è in una fase di valutazione per capire se è esportabile dentro altre strutture di vendita e a quanto pare, secondo il direttore del personale di azienda 3, fino ad ora sta dando buoni risultati.

Per il personale qualificato è richiesta molta disponibilità in materia di tempo di lavoro e questa richiesta è da mettere in relazione alla responsabilità di cui sono investiti questi lavoratori; come emerge bene dalle parole del Direttore del Personale di azienda 3 “la disponibilità è un fatto contingente magari legato a situazioni specifiche a situazioni particolari; è però sicuramente un elemento importante soprattutto per figure che hanno un livello di responsabilità tale che non possono permettersi di abbandonare il processo a metà strada; ecco se uno fa il direttore di ipermercato è un direttore di ipermercato quindi ha come dire da governare un processo continuo di attività e quindi il livello di disponibilità è assolutamente intrinseco” (int. 26).

Nel complesso, azienda 3 gestisce la flessibilità della forza lavoro attraverso la gestione della flessibilità del tempo di lavoro. Nei momenti di picchi (Natale, Pasqua) l’azienda utilizza i lavoratori a tempo pieno e a part-time a tempo indeterminato che sono già presenti nell’organico.

Come spiega bene il Direttore del Personale di azienda 3 “ nei momenti di picchi tu hai x persone in un negozio e utilizzi queste x persone per 48 ore in media per 12 settimane; mentre nei periodi in cui l’andamento delle vendite è più basso come a gennaio o febbraio, fai lavorare le stesse persone per 32 ore in media per 12 settimane in modo da ricomporre la media annua delle ore lavorative” (int. 26).

Pertanto azienda 3 utilizza poco la flessibilità dell’impiego delle tipologie contrattuali.Vi sono i contratti di inserimento e ultimamente l’apprendistato. Pochi sono i contratti stagionali

( per cui il contratto nazionale delle cooperative prevede l’indicazione di causali specifiche) e pochissimi gli interinali.

6. LO STUDIO COMPARATIVO DEI CASI

6.1 LE AZIENDE: STORIA E CARATTERISTICHE

La caratteristica più importante che contraddistingue le tre aziende è la natura della proprietà: azienda 1 fa parte di un grande gruppo multinazionale estero, azienda 2 una grande azienda italiana,

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azienda 3 una catena cooperativa. In Italia la storia di azienda 1 è più recente di quella di azienda 2 e 3 e, a differenza di queste, la storia di azienda 1 è contraddistinta da acquisizioni di proprietà di aziende italiane di grande distribuzione sia per quanto riguarda gli ipermercati sia per quanto riguarda i supermercati. Nel caso dei supermercati, azienda 1 ha acquisito una proprietà che in passato era a partecipazione statale.

Oltre a differenze storiche, vi sono differenze anche dal punto di vista dell’organizzazione delle aziende. Ci sono differenze dal punto di vista dei formati di vendita, più vari in azienda 1 e 3, e dal punto di vista della presenza sul territorio, più importante nel caso di azienda 1, i cui negozi sono presenti in tutta Italia e non solo nel centro nord come nel caso di azienda 2 e 3.

6.2 LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA

Iniziando dalla prima fase della struttura organizzativa del processo produttivo, la produzione dei prodotti freschi è affidata ai dipendenti delle aziende di grande distribuzione mentre la produzione dei prodotti confezionati, su cui le aziende di grande distribuzione mettono il proprio marchio per certificarne la qualità, è in parte esternalizzata ad altre aziende.

Per quanto riguarda gli acquisti e la logistica, ci sono delle differenze. In azienda 1 e 2 gli acquisti e la logistica sono centralizzati in un deposito di proprietà delle aziende (tranne nel caso della logistica degli ipermercati e dei negozi di prossimità di azienda 1 che si riforniscono autonomamente) mentre in azienda 3 sono esternalizzati a un consorzio. Tuttavia nel caso di azienda 2 e più marcatamente nel caso di azienda 1, la logistica è in gran parte esternalizzata a cooperative. In azienda 2, a differenza di azienda 1, i trasporti e il ricevimento delle merci sono affidati ai dipendenti dell’azienda.

Per quanto riguarda la vendita, gli strumenti di controllo dei prodotti venduti consentono di controllare anche gli acquisti. Inoltre nel caso di azienda 3 la vendita non si limita solo ai prodotti ma si estende anche ad altri servizi.

L’ organizzazione della gestione delle risorse umane delle aziende della grande distribuzione ricalca la segmentazione organizzativa e professionale del mercato interno del lavoro delle aziende: è centralizzata nelle sedi direttive per quanto riguarda il personale qualificato (dai capi-reparto in su), mentre è decentrata in parte nei negozi per quanto riguarda il personale operativo generico. Dal punto di vista dell’organizzazione della gestione delle risorse umane è interessante comprendere la misura della “specializzazione funzionale” della direzione19 (tab. 6.1).

Nei supermercati di azienda 1, 2 e 3 non esiste una Direzione del personale né un Ufficio del personale e/o relazioni sindacali che sono invece presenti nella sede centrale dell’azienda.

Quindi nei supermercati non c’è alcuna forma di specializzazione della direzione delle risorse umane. Un ulteriore aspetto che consente di comprendere lo “stile di direzione” è rappresentato dalla misura dell’autonomia accordata ai livelli dirigenziali intermedi in materia di gestione delle risorse umane che nei supermercati di azienda 1 e 2 sono i direttori di negozio mentre nei supermercati di azienda 3 sono i due “assistenti al personale” (circa 20 negozi a testa) che si occupano di attività legate al personale in una logica decentrata. L’autonomia dei dirigenti intermedi è più alta nei supermercati di azienda 1 e più bassa nei supermercati di azienda 3 dove le decisioni sono prese soprattutto dalla Direzione del personale che si trova nella sede centrale dell’azienda (anche se è bene sottolineare che nei supermercati le decisioni dei dirigenti intermedi si basano sempre su direttive impartite dalla sede centrale). Le questioni ove tale autonomia si esercita maggiormente sono quelle attinenti agli orari e, a seguire, l’organizzazione del lavoro e la programmazione della formazione; più limitata è invece l’autonomia per quanto riguarda i percorsi

19 Per specializzazione funzionale si intende la presenza, nell’unità considerata o nel gruppo di appartenenza, di alcune funzioni specifiche quali l’Ufficio Personale, l’Ufficio Risorse Umane e l’Ufficio per le Relazioni Sindacali. La presenza congiunta di queste funzioni determina il grado di specializzazione.

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di carriera e le controversie. È interessante poi comprendere il modo in cui tale autonomia viene gestita di fronte al bisogno di compiere determinate scelte organizzative o riguardanti i singoli lavoratori: se trattando in modo diretto il personale interessato o se invece coinvolgendo il sindacato. La prevalenza nelle tre aziende è quella delle decisioni prese da soli o trattando con gli interessati. Solo nel caso dell’organizzazione del lavoro e del tempo di lavoro c’è il coinvolgimento del sindacato anche se in questi stessi casi è possibile la regolazione unilaterale dell’impresa o la regolazione congiunta fra impresa e lavoratori.

Tab. 6.1 Questioni su cui intervengono i dirigenti intermedi nei supermercati e modalità di intervento

Organizz. del lavoro, ambiente,

mobilità interna (ruoli e mansioni)

Orari, straordinari, turni,

ferie e permessi

Sanzioni disciplinari,

reclami, controversie

Aumenti, incentivi, carriera

Programmazione della formazione

Azienda 1 Trattando con la rappresentanza

sindacale o decidendo da soli

o trattando con gli interessati

Trattando con la rappresentanza

sindacale o decidendo da soli

o trattando con gli interessati

Decidendo da soli o trattando con gli

interessati

Decidendo da soli o trattando

con gli interessati

Decidendo da soli o trattando con gli

interessati

Azienda 2 Trattando con la rappresentanza

sindacale

Decidendo da soli o trattando con gli

interessati

Regolazione della sede centrale

Regolazione della sede

centrale

Decidendo da soli o trattando con gli

interessatiAzienda 3 Regolazione

della sede centrale

Decidendo da soli o trattando con gli

interessati (solo nei casi singoli e

non nel caso di modifiche generali)

Regolazione della sede centrale

Regolazione della sede

centrale

Regolazione della sede centrale

Per quanto riguarda gli ipermercati la situazione è diversa (tab. 6.2). Negli ipermercati di azienda 1 è presente un Ufficio risorse umane e/o formazione del personale e un responsabile risorse umane che si occupa di relazioni sindacali mentre la Direzione del personale si trova nella sede centrale. Negli ipermercati di azienda 3 invece la gestione delle risorse umane è interamente centralizzata nella Direzione del personale che si trova nella sede centrale; tuttavia esistono in ogni ipermercato di azienda 3 degli assistenti al personale. Negli ipermercati il maggiore decentramento della gestione delle risorse umane si rileva anche nel ruolo assegnato ai direttori di negozio e ai capireparto. Questi, oltre ad avere responsabilità commerciali, ridotte dalla tendenza alla centralizzazione, detengono la responsabilità dell’organizzazione di coloro con cui lavorano. L’autonomia dei dirigenti intermedi è più alta negli ipermercati di azienda 1 e più bassa negli ipermercati di azienda 3 dove le decisioni sono prese soprattutto dalla Direzione del personale che si trova nella sede centrale dell’azienda. Nel complesso, la prevalenza è quella delle decisioni prese da soli o trattando con gli interessati. Le questioni ove tale autonomia si esercita maggiormente sono quelle attinenti al tempo di lavoro. Il sindacato viene coinvolto solo nel caso dell’organizzazione del lavoro degli ipermercati di azienda 1 e nel caso del tempo di lavoro degli ipermercati di azienda 3 quando è soggetto a modifiche generali.

Tab. 6.2 Modalità di intervento dei dirigenti intermedi negli ipermercati

Organizz. del lavoro, ambiente,

mobilità interna (ruoli e mansioni)

Orari, straordinari, turni,

ferie e permessi

Sanzioni disciplinari,

reclami, controversie

Aumenti, incentivi, carriera

Programmazione della formazione

Azienda 1 Trattando con la Decidendo da soli Decidendo da soli Decidendo da Decidendo da soli o

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rappresentanza sindacale

o trattando con gli interessati

o trattando con gli interessati (solo

per le sanzioni di carattere

conservativo, non per quelle di

carattere espulsivo)

soli o trattando con gli interessati

trattando con gli interessati

Azienda 3 Regolazione della sede

centrale

Decidendo da soli o trattando con gli

interessati (solo nei casi singoli e

non nel caso di modifiche generali)

Regolazione della sede centrale

Regolazione della sede

centrale

Regolazione della sede centrale

6.3 IL PERSONALE

Il nucleo operativo delle aziende (più numeroso in azienda 1 che in azienda 2 e 3) è costituito per la maggior parte dal personale addetto alle vendite (concentrato soprattutto negli ipermercati in azienda 1 mentre nei supermercati in azienda 2 e 3), che lavora nei negozi, e dalla dirigenza, che si concentra nelle sedi centrali. La struttura organizzativa dei punti-vendita è piramidale. Nei supermercati, alla base ci sono gli addetti alla vendita, soprattutto donne, che comprendono le cassiere, i banconieri che servono ai banchi dei prodotti freschi, gli addetti ai reparti che si occupano degli scaffali; per queste figure è prevista la possibilità della promiscuità delle mansioni. A un gradino superiore vi sono gli “specialisti” di determinati prodotti che li confezionano e/o vendono direttamente al cliente. Proseguendo nella scala gerarchica, vi sono poi i capireparto, che seguono gli addetti ad una determinata merceologia: le casse sono un reparto a sé con un suo caporeparto. Infine c’è il direttore, a volte coadiuvato da qualche uomo di staff, che è responsabile del negozio. In azienda 2 la struttura organizzativa dei supermercati è leggermente più gerarchizzata rispetto ad azienda 1 e 2 e prevede accanto ai capi la figura di un vice.

Negli ipermercati vi è un livello intermedio tra reparto e direzione denominato di solito “sezione”: un caposezione segue una parte del negozio come ad esempio il caposettore del reparto cinefoto-ottica che segue il reparto informatica, televisione, grandi elettrodomestici, piccoli elettrodomestici.

Nei negozi di vicinato, che sono piccoli supermercati, la struttura organizzativa è più semplice ma più confusa dal punto di vista degli inquadramenti contrattuali.

La struttura piramidale dei negozi si riflette nell’accentramento dei processi decisionali più debole negli ipermercati ma più marcato nei supermercati dove anche chi come il caporeparto e il direttore del negozio teoricamente gode di maggiore autonomia, in pratica dipende dalla decisioni della sede centrale.

Il personale delle aziende di grande distribuzione ha un’età prevalentemente compresa tra i 30-40 anni (anche se, per quanto riguarda i negozi, l’età del personale è da mettere in relazione all’anzianità del punto vendita: più il negozio è vecchio più aumenta l’età dei lavoratori); è costituito soprattutto da donne, meno presenti in azienda 2 dove la più alta presenza maschile è riconducibile alla logistica (in azienda 2 il ricevimento delle merci è affidato, a differenza di azienda 1 e 3, ai dipendenti dell’azienda), che occupano le posizioni basse della struttura organizzativa dei negozi come addette ausiliarie alla vendita mentre gli uomini occupano le posizioni dirigenziali che vanno dal caporeparto al direttore del punto vendita. Gli extracomunitari rappresentano una piccolissima parte del personale delle aziende.

Il contratto prevalentemente impiegato è quello a tempo indeterminato, nella forma del part-time nel caso delle donne, seguito dal contratto a tempo determinato. In azienda 2, dove è più bassa la

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presenza femminile, il part-time è meno utilizzato che in azienda 1 e 3; probabilmente perché in azienda 2 la logistica, che è più internalizzata che in azienda 1 e 3, occupa soprattutto lavoratori full time.

Nel caso degli ipermercati di azienda 1 la prevalenza di lavoratori senza figli indicherebbe, relativamente alle donne impiegate a part-time, la presenza di un part-time involontario.

6.4 LE RELAZIONI SINDACALI

I tre sindacati confederali sono presenti nelle tre aziende. In azienda 3 è più marcata la presenza della Filcams e più debole la presenza della Fisascat rispetto ad azienda 1 e 2. Nel complesso, la densità sindacale in azienda 3 nel 2005 risulta del 41%, mentre non si hanno dati in merito per quanto riguarda azienda 1 e 2 anche se la densità sindacale di azienda 1 (dovuta soprattutto ai molti iscritti degli ipermercati) parrebbe superiore a quella di azienda 2.

L’articolazione delle relazioni sindacali prevede un livello nazionale, regionale, territoriale/di singolo insediamento tranne in azienda 3 in cui, nella regolazione di secondo livello, non c’è il livello territoriale e quello nazionale. Ai vari livelli sono previste fasi di negoziazione e di informazione. I temi più importanti oggetto di negoziazione e informazione previsti dal contratto integrativo sono a livello nazionale e regionale organici e relative dinamiche, organizzazione del lavoro, strategie aziendali in tema di sviluppo e investimenti, organizzazione del lavoro (orari, appalti e terziarizzazione), mercato del lavoro. Il tema più importante previsto a livello di negozio è invece l’organizzazione dell’orario di lavoro. Per quanto riguarda specificatamente l’informazione fra le parti, sono previsti incontri più strutturati e meno frequenti a livello nazionale, regionale mentre a livello di negozio e a livello territoriale sono previsti incontri in base alle necessità. In azienda 3 l’informazione fra le parti trova la massima espressione nella Commissione paritetica a livello regionale denominata Produttività che si riunisce almeno due volte l’anno con l’obiettivo di monitorare l’andamento dell’azienda attraverso la valutazione degli indicatori di gestione, con possibilità di approfondire i fattori che li hanno determinati.

Oltre al quadro generale e oggettivo delle relazioni sindacali delle aziende che emerge dai contratti integrativi aziendali è importante rifarsi anche alle informazioni e valutazioni degli intervistati.

In azienda 1 e 3 le relazioni sindacali avvengono soprattutto rispettivamente a livello territoriale e regionale, mentre in azienda 2 le relazioni sindacali sono fortemente centralizzate a livello nazionale. A questi livelli le relazioni sindacali di azienda 1 e 3 sono giudicate buone sia da parte del sindacato sia da parte dell’impresa che entrambi, di fronte ai tre modelli descritti da Regalia, riferiscono di un modello di relazioni sindacali vicino a quello consultivo partecipativo nel caso di azienda 1 e vicino a una sintesi del modello consultivo-partecipativo e contrattual- formalistico nel caso di azienda 3. In azienda 2 invece i sindacalisti intervistati riferiscono di un riconoscimento puramente formale del sindacato da parte dell’impresa che si traduce in un atteggiamento “adattivo” del sindacato alle decisioni dell’impresa; i sindacalisti e i dirigenti di azienda 2 intervistati, posti di fronte ai modelli di Regalia, valutano il modello di relazioni sindacali di azienda 2 vicino a una sintesi del modello contrattual-formalistico e di quello del pragmatismo flessibile.

Come già detto i contratti integrativi delle tre aziende prevedono anche relazioni sindacali a livello di negozio. Queste incontrano innanzitutto un problema la cui origine va ricercata nella struttura del comparto della grande distribuzione. Infatti la frammentazione delle unità che compongono il comparto si traduce nella necessità dell’azienda di accentrare le relazioni sindacali e la gestione delle risorse umane, accompagnata dalla difficoltà del sindacato ad appoggiarsi su strutture di rappresentanza altrettanto disperse e al suo bisogno di centralizzare le linee politiche della periferia (Negrelli, 1989). In secondo luogo, sulle relazioni sindacali a livello di punto vendita, emerge dalle interviste ai delegati, un quadro valutativo che non sempre coincide con quello

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inerente i livelli superiori di relazioni sindacali. Sembrerebbe piuttosto emergere una situazione in cui se le relazioni sindacali non sono buone (nel senso di scarsa formalizzazione dei rapporti tendente, per rifarsi ai modelli di Regalia, all’allontanamento dai modelli consultivo partecipativo e contrattual-formalistico e all’avvicinamento al modello del pragmatismo flessibile) a livelli più centrali, non lo sono neanche a livello di punto vendita; viceversa se le relazioni sindacali sono buone ai livelli più centrali, a livello di punto vendita le relazioni sindacali possono essere buone o non buone.

Nel caso di azienda 1 un fattore generale di condizionamento delle relazioni sindacali a livello di punto vendita è stato il cambiamento della proprietà dei supermercati.

Secondo i delegati dei supermercati di azienda 1, un fattore di peggioramento delle relazioni sindacali a livello di punto vendita sarebbe stato il passaggio di proprietà ai francesi. Sottoponendo i modelli di relazioni sindacali di Regalia ad alcuni delegati di supermercati di azienda 1 che hanno lavorato nel periodo dell’Iri, emergerebbe un passaggio da un modello vicino a quello consultivo-partecipativo proprio del periodo dell’Iri a un modello attuale vicino a quello del pragmatismo flessibile passando da un modello vicino a quello contrattual-formalistico proprio del periodo intermedio della privatizzazione italiana dei supermercati di azienda 1; in proposito commenta un delegato di un supermercato di azienda 1 “a livelli alti i rapporti col sindacato sono buoni ma a livello di negozio i delegati non vengono presi in considerazione” e un altro delegato dice che “mentre una volta l’azienda comunicava e si confrontava con le rappresentanze sindacali e poi agiva, oggi fa il contrario” (int. 13 e 14); e la mancanza di comunicazione fra le parti assume un peso ancora più rilevante della mancanza di negoziazione (già poco frequente nel periodo delle partecipazioni statali), se rapportata al sistema sviluppato dei diritti di informazione proprio dei supermercati di azienda 1 nel periodo delle partecipazioni statali. Il passaggio di proprietà ai francesi non avrebbe influito tanto sulle relazioni sindacali ai livelli delle strutture sindacali esterne quanto su quelle interne ai negozi. Ci sarebbe in questo caso una diversità in termini di relazioni sindacali fra il livello centrale e quello dei negozi.

In azienda 2 le relazioni sindacali a livello di negozio sono quasi inesistenti, si risolvono in un incontro informativo fra le parti e la situazione è ancora più grave di fronte alla centralizzazione delle relazioni sindacali a livello nazionale e alla loro lontananza dal livello di unità produttiva in assenza di comunicazione fra i livelli; secondo la valutazione dei delegati dei supermercati di azienda 2 il modello di relazioni sindacali di azienda 2 sarebbe vicino a quello del pragmatismo flessibile. Ci sarebbe in questo caso omogeneità fra le valutazioni fatte dai sindacalisti sulle relazioni sindacali di azienda 2 ai livelli più centrali e quelle fatte dai delegati al livello di punto vendita, accomunate dalla compresenza del modello del pragmatismo flessibile.

In azienda 3 le buone relazioni sindacali a livello regionale si tradurrebbero, secondo le valutazioni dei delegati, in buone relazioni sindacali a livello di negozio. Nel caso di azienda 3 le valutazioni dei delegati sulle relazioni sindacali a livello di punto vendita si concentrano sul modello consultivo- partecipativo (delegato uiltucs) e sul modello contrattual-formalistico (delegato filcams secondo cui “al di fuori delle regole non si va”). La differente valutazione del delegato filcams è da ricondurre forse all’organizzazione più burocratica e rigida di questa organizzazione sindacale che si riflette anche sulla scelta di un modello di relazioni sindacali, quello appunto contrattual- formalistico, molto formale. Comunque c’è una certa omogeneità di valutazioni delle relazioni sindacali ai livelli centrali e di negozio accomunate dalla compresenza dei due modelli suddetti. Tuttavia in azienda 3 al di là delle differenti valutazioni dei delegati sulle relazioni sindacali a livello di negozio, esisterebbe piuttosto un problema intersindacale fra Uiltucs e Filcams in relazione all’acquisizione di informazioni conseguente alla posizione privilegiata della Filcams nel rapporto con l’azienda; problema che tuttavia si risolve nell’unità di consensi fra i delegati nel momento della contrattazione con l’impresa.

Quindi in generale le relazioni sindacali a livello di punto vendita risentono innanzitutto di due fattori esterni ai negozi. Un primo fattore di influenza è quello delle relazioni sindacali ai livelli più centrali. Un secondo fattore di influenza sulle relazioni sindacali di punto vendita, nel caso dei

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supermercati di azienda 1, è stato il cambiamento della proprietà. Ma questi fattori non sono sufficienti. Le relazioni sindacali a livello di punto vendita risentono di altri fattori, interni ai negozi, e ciò vale soprattutto nei casi dove il quadro di partenza delle relazioni sindacali ai livelli più centrali sono buone (come nel caso di azienda 1 e 3). Le valutazioni dei delegati devono poi essere messe in relazione a diversi fattori che condizionano le relazioni sindacali dei singoli negozi e quindi le valutazioni stesse. Tra i fattori più importanti vanno ricordati: 1) la partecipazione dei lavoratori e la densità sindacale dei negozi dipendenti dall’anzianità del negozio; più il negozio è giovane e più è facile che aumenti il numero dei lavoratori atipici con conseguente disaffezione alla partecipazione alle assemblee e all’iscrizione al sindacato 2) la tradizione sindacale e la “storicità” dei delegati che si riflette nell’abilità a trattare con l’impresa 3) l’unità fra le rappresentanze sindacali unitarie 4) l’anzianità del responsabile del negozio; più è giovane meno è abituato a trattare col sindacato e viceversa 5) la situazione economica del negozio (quando è buona c’è maggiore apertura dell’azienda al sindacato) 6) l’ appoggio del sindacato dall’esterno 7) il sindacato di appartenenza dei delegati.

Ad esempio, i fattori 1,2,3,4, sono importanti nel determinare l’esito delle relazioni sindacali dei negozi di azienda 1; soprattutto dei negozi “vecchi” cioè soprattutto di quei supermercati che provengono da una diversa proprietà e da una diversa situazione sindacale prima di essere stati acquisiti da azienda 1 e in cui, a differenza dei negozi aperti da poco, quei fattori, nel loro segno positivo, avrebbero limitato il peggioramento delle relazioni sindacali. E ciò non vale solo per i supermercati in cui la natura della proprietà era a partecipazione statale e dunque diversa della natura privata dei supermercati di oggi, ma anche ne caso degli ipermercati di azienda 1 in cui la natura della proprietà era privata e italiana; in entrambi i casi le relazioni sindacali dei negozi sarebbero peggiorate nel momento dell’acquisizione francese ma nei negozi “vecchi” alcuni fattori avrebbero limitato questo peggioramento.

Quindi, in ultima analisi, la proprietà passata dei supermercati e ipermercati “vecchi”di azienda 1 sarebbe ancora oggi capace attraverso i fattori 1,2,3,4 di condizionare le relazioni sindacali dei negozi.

In azienda 1 le relazioni sindacali a livello di negozio sarebbero dunque eterogenee. A differenza di azienda 1 in cui i suddetti fattori giocano un ruolo importante, a seconda della

loro presenza o assenza, nell’esito delle relazioni sindacali a livello di punto vendita, in azienda 3 è il fattore 6 invece ad essere importante nello spiegare perchè in azienda le relazioni sindacali a livello centrale sono buone e buone sono anche le relazioni sindacali a livello di punto vendita. Il buon rapporto fra l’impresa e la Filcams (che costituisce il sindacato col maggior numero di iscritti) a livello di punto vendita dipende dalla presenza costante di un funzionario sindacale nei negozi; e ciò sembra un fattore in grado di mantenere un collegamento fra strutture esterne e interne e una buona prassi di relazioni sindacali anche a livello di punto vendita, mantenendo l’armonizzazione delle relazioni sindacali dei due livelli, quello regionale e quello di negozio.

La mobilitazione dei lavoratori delle tre aziende è poco presente; avviene più che altro per la chiusura del contratto del commercio o per il rinnovo del contratto integrativo oppure, nel caso del singolo negozio, per problemi specifici come la condizione dei negozi o l’interpretazione del contratto integrativo soprattutto nella parte relativa al tempo di lavoro.

Nella tabella qui sotto viene in parte riassunto quanto detto sopra (tab. 6.3).

Tab. 6.3 Modelli di relazioni sindacali ai diversi livelli di articolazione, riconoscimento del sindacato da parte dell’impresa, livelli al centro delle relazioni sindacali

Relazioni sindacali a

livello nazionale

Relazioni sindacali a

livello regionale

Relazioni sindacali a

livello territoriale

Relazioni sindacali a

livello di punto vendita

Riconoscimento del sindacato da

parte dell’impresa

Livelli al centro delle

relazioni sindacali

Azienda 1 Negoziazione di tipo

collaborativo

Negoziazione di tipo

collaborativi

Negoziazione di tipo

collaborativo

Negoziazione poco sviluppata

Sostanziale Territoriale

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Azienda 2 Negoziazione di tipo adattivo

Scambio di informazioni

Scambio di informazioni

Scambio di informazioni

Formale Nazionale

Azienda 3 - Negoziazione di tipo

Collaborativi

- Negoziazione diffusa

Sostanziale Regionale

6.5 LA REGOLAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO

SELEZIONE, FORMAZIONE E CARRIERE

Selezione, formazione e carriere costituiscono oggetti di regolazione diretta da parte dell’impresa all’interno delle politiche di gestione delle risorse umane. Come già detto, la gestione delle risorse umane delle aziende della grande distribuzione ricalca la segmentazione organizzativa e professionale del mercato interno del lavoro delle aziende: è centralizzata nelle sedi direttive per quanto riguarda il personale qualificato (dai capi-reparto in su), mentre è decentrata nei negozi per quanto riguarda il personale operativo generico. Organizzativamente, la gestione delle risorse umane è uno dei non molti ambiti di autonomia decisionale, sia pur all’interno di parametri ben precisi, propri dei direttori dei negozi o dei reparti dei grandi ipermercati. Infatti emerge dalle interviste, in linea con la letteratura, che i direttori dei grandi ipermercati oltre ad essere responsabili della gestione economica e finanziaria e della gestione commerciale del negozio, sono responsabili della gestione delle risorse umane, sia in termini di disegno degli sviluppi professionali sia di gestione delle relazioni sindacali; questa maggiore autonomia degli ipermercati nei rapporti con la centrale si riflette anche nell’organizzazione interna e si rileva anche nel ruolo assegnato ai capireparto. Questi, oltre ad avere responsabilità commerciali, ridotte dalla tendenza alla centralizzazione, detengono la responsabilità dell’organizzazione di coloro con cui lavorano (Cavaliere, 2002).

Di seguito verranno approfonditi in modo comparativo gli aspetti della selezione, formazione e carriere delle tre aziende, tenendoli suddivisi a seconda che si parli di personale non qualificato o qualificato. Selezione, formazione e carriere sono fortemente intrecciate. Per questo motivo, nella loro descrizione, potrà esserci un reciproco sconfinamento.

personale non qualificato

La selezione del personale non qualificato riguarda gli addetti ausiliari alla vendita che costituiscono il nucleo professionale principale delle aziende della grande distribuzione.

La selezione avviene normalmente sulla base dei curricula pervenuti ai punti vendita, ma negli ultimi tempi non è infrequente, nei punti vendita, la vista di cartelli che invitano a presentare candidature per l’inserimento. E’ sempre più frequente la richiesta di un diploma di scuola media superiore. Il titolo di studio, si può aggiungere, è assunto dalle aziende come indicatore della presenza di quelle competenze sociali e relazionali (i social skills di cui parla la letteratura sulla formazione professionale) che sono richiesti per qualsiasi mansione a contatto con la clientela,

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anche se molto poco qualificata per altri aspetti, come quella delle cassiere.Tuttavia, il titolo di studio per i lavoratori non qualificati non è una discriminante determinante.

Nel processo di selezione è molto importante l’età, la dinamicità e la disponibilità delle persone a lavorare sui turni e ad essere flessibili.

Al di là di questo quadro generale, esistono delle differenze relative al processo di selezione del personale non qualificato delle tre aziende studiate non tanto per le modalità del processo, quanto per gli attori che ne sono coinvolti.

In azienda 2 il processo di selezione degli addetti ausiliari alla vendita è interno all’azienda, in azienda 1 è interno all’azienda ma con il supporto della consulenza di società di selezione, in azienda 3 è esterno all’azienda, affidato a un consorzio. Inoltre in azienda 2, a differenza che in azienda 1 e 3, il processo di selezione degli addetti ausiliari alla vendita è legato a percorsi di carriera.

Azienda 1, nel caso dei supermercati, quando i numeri sono grossi, si affida a società di selezione per una prima “scrematura” e poi procede con un processo di selezione interno all’azienda: contatta i candidati e assieme al responsabile di funzione che ha richiesto la persona procede a colloqui di gruppo o individuali a seconda delle necessità e del profilo professionale ricercato. Per quanto riguarda il personale non qualificato degli ipermercati, il processo di selezione è direttamente interno all’azienda.

In azienda 2 il processo di selezione è interno all’azienda ed è legato in alcuni casi ai percorsi di carriera. Infatti, all’interno del processo di selezione generale degli addetti ausiliari alla vendita che avviene attraverso un colloquio generale dove si presenta l’azienda al candidato e dove si verificano le esperienze pregresse del candidato, è prevista la selezione di una particolare figura del personale non qualificato, chiamata C.D.N. (carriera di negozio) su cui, per particolari abilità accertate nella fase di selezione, l’azienda decide di puntare inserendola in un percorso di carriera che inizia dalle mansioni più semplici e può arrivare fino alla gestione del negozio.

In azienda 3 il processo di selezione avviene soprattutto in occasione dell’apertura dei negozi. Azienda 3 affida il processo di selezione al Ceref che è il centro di formazione regionale di studi cooperativi (un ente che fa parte della Lega Coop). Dopo la prima fase di raccolta dei nominativi, si fa uno “screening” dopo il quale le persone scelte vengono contattate per essere sottoposte a delle batterie di test psicoattitudinali; successivamente coloro che hanno superato la fase dei test psicoattitudinali, che normalmente vengono utilizzati quando il numero di persone è molto elevato, sono sottoposte a dei colloqui di gruppo che servono per verificare gli aspetti relazionali piuttosto che la capacità della persona di stare in gruppo. Dopo i colloqui di gruppo vengono fatti uno o due colloqui individuali superati i quali le persone vengono assunte.

La formazione riguarda poco il personale non qualificato, cioè gli addetti ausiliari alla vendita e generalmente si limita alla formazione iniziale: si fa un po’ di formazione iniziale su come stare in cassa e un po’ anche ai banconieri. Ma mentre in azienda 1 e 2 la formazione iniziale è interna all’azienda, in azienda 3 la formazione del personale non qualificato è esterna all’azienda ed è più strutturata; è affidata a un consorzio esterno che la segue in stretta collaborazione con la Direzione del Personale e che si traduce anche nella diffusione dei valori cooperativistici ai lavoratori.

Tuttavia, oltre alla formazione iniziale, vi sono dei casi in cui la formazione è legata a dei percorsi di carriera anche se è bene premettere, soprattutto per quanto riguarda azienda 1 e 2, che i casi di passaggio dalla vendita semplice a mansioni di responsabilità non sono molto frequenti e l’impressione è che tra cassiere e addetti ai reparti da un lato e figure qualificate dall’altro vi sia una certa separazione; che si riflette in un alto turn –over o in casi, non rari, di “intrappolamento” che vedono la stessa persona lavorare per molti anni nello stesso negozio.

In azienda 1 bisogna fare una distinzione tra supermercati e ipermercati. Generalmente, nel caso dei lavoratori non qualificati dei supermercati la carriera si traduce in una carriera orizzontale. Cioè la carriera è legata a un aumento di responsabilità all’interno dello stesso livello di inquadramento e non a un passaggio di livello oppure al passaggio dal part- time al tempo pieno. In proposito un delegato di un supermercato osserva invece che ai tempi in cui i supermercati di

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azienda 1 erano proprietà dell’Iri, c’era più meritocrazia e possibilità di crescita anche verticale. Nel caso degli ipermercati invece, vengono evidenziati i potenziali e sottoposti ad “assessment” una volta all’anno per una crescita, ad esempio, da addetto vendita a caporeparto. Però la maggior parte degli addetti non sono evolutivi per cui i passaggi di carriera per questi lavoratori sono rari e non c’è una valutazione così attenta. Quando invece vengono individuati degli “addetti evolutivi” allora è previsto un particolare percorso di carriera. Gli “addetti evolutivi” generalmente vengono segnalati dal direttore dell’ipermercato sulla base della valutazione nel corso dell’anno dell’operato della persona; normalmente sono dei terzi livelli, dei secondi di reparto e comunque delle persone che vengono valutate come potenziali e che quindi vengono sottoposte ad “assesment”. Se ritenuti idonei vengono affiancati a un tutor e inseriti in un percorso di formazione della durata di un anno. Alla fine di questo percorso una valutazione determina il superamento o meno del periodo di prova.

In azienda 2 la formazione è legata al C.D.N. che inizialmente viene selezionato come addetto ausiliario alle vendite ma, a differenza degli altri ausiliari selezionati, è legato a un percorso di carriera; si tratta quindi di una figura quasi più legata al processo di selezione esterno all’azienda che a quello della carriera interna all’azienda. Dopo un periodo duro di formazione interna della durata di due anni che prevede orari difficili e spostamenti da un magazzino all’altro in cui il C.D.N. si occupa soltanto di operazioni di cassa piuttosto che del rifornimento o dello scarico dei camion, il C.D.N. può diventare direttamente addetto alle vendite (terzo livello), una sorta di capoturno che, oltre a svolgere mansioni pratiche, si occupa di comandare gli addetti allo scarico e ricevimento merci. Ha quindi in questo caso anche una funzione organizzativa.

Quindi in azienda 1 la mobilità interna del personale non qualificato si traduce quando c’è, nel caso dei supermercati, in mobilità orizzontale e, nel caso degli ipermercati, in una rarissima mobilità verticale; mentre in azienda 2 la mobilità interna del personale non qualificato è legata alla figura del C.D.N. che però, come già detto, è una figura più legata al processo di selezione. In sostanza in azienda 1 e 2 i percorsi di carriera verticali per il personale non qualificato sono rari.

In azienda 3 invece i percorsi di carriera sono sia orizzontali che verticali e investono indistintamente personale qualificato e non qualificato. Il processo di gestione delle carriere avviene in occasione dei bandi interni, emanati una volta all’anno o ogni due anni a seconda delle necessità. I bandi interni sono delle comunicazioni fatte direttamente dall’impresa a tutti i suoi dipendenti e si basano su due meccanismi. Il primo meccanismo prevede la segnalazione dell’interessamento a un percorso di crescita professionale da parte degli stessi lavoratori a cui segue una valutazione. Il secondo meccanismo prevede la valutazione delle persone che secondo i capi intermedi possono intraprendere una crescita professionale. Gli strumenti utilizzati per la gestione delle carriere sono la valutazione della prestazione e la valutazione del potenziale. La valutazione della prestazione corrisponde al giudizio del capo sull’operato del lavoratore mentre la valutazione del potenziale corrisponde al giudizio sulla possibilità del lavoratore di ricoprire ruoli diversi da quello che sta ricoprendo. La valutazione del potenziale avviene attraverso metodologie specifiche che sono test psicoattitudinali, colloqui di gruppo, colloqui individuali. Se la valutazione del potenziale è positiva le persone vengono staccate dalla loro attività e viene costruito per loro un percorso di formazione normalmente della durata media di un anno per poi, fatto questo percorso di formazione, entrare in ruolo con dei piani di addestramento che vengono fatti per ogni singola persona per arrivare infine a fare quella figura professionale che gli è stata imputata. Ad esempio, nel caso dei capireparto, la maggior parte dei capireparto provengono da crescite professionali interne, cioè dagli addetti ausiliari alla vendita, soprattutto nei supermercati dove la mobilità interna di queste figure è maggiore che negli ipermercati. Molti dei capireparto sono inizialmente addetti alle operazioni ausiliari alla vendita, poi hanno magari svolto qualche percorso intermedio tra l’addetto alle operazioni ausiliari alla vendita e il capo reparto come ad esempio nel caso del vice caporeparto o del coordinatore di un reparto per poi infine, dopo un periodo di formazione, diventare capireparto, a tempo pieno se precedentemente erano a part-time. In azienda 3 oltre ai percorsi di carriera verticali, sono previsti anche percorsi di carriera orizzontali, all’interno dello stesso ruolo professionale, come nel caso di un caporeparto di un negozio di 1.000 metri quadrati

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che viene mandato a lavorare in un negozio di 3.000 metri quadrati, o di tipo gestionale soprattutto per gli addetti ausiliari alla vendita, come nel caso di un lavoratore che chieda il trasferimento in un negozio più vicino a casa.

Qui sotto, viene riassunto in una tabella quanto detto (tab. 6.4).

Tab. 6.4 Modalità del processo di selezione, formazione e carriere del personale non qualificato

Azienda 1 Azienda 2 Azienda 3Selezione Processo di selezione interno

all’azienda con il supporto di società di selezione

Processo di selezione interno all’azienda

Processo di selezione esterno all’azienda, affidato a un

consorzioFormazione Formazione interna all’azienda Formazione interna all’azienda Formazione esterna all’azienda,

affidata a un consorzioCarriere Mobilità orizzontale e verticale

poco diffusaMobilità verticale poco diffusa Mobilità verticale e orizzontale

diffusa

personale qualificato

Per personale qualificato si intende l’insieme delle figure professionali, dal caporeparto in su, compresi gli specialisti, fino al direttore del negozio. La selezione, la formazione e le carriere del personale qualificato delle aziende di grande distribuzione sono processi più strutturati rispetto agli stessi previsti per il personale non qualificato, com’è ovvio che sia.

Partendo dalla selezione, in azienda 1 bisogna fare una distinzione fra la selezione del personale qualificato dei supermercati e quella del personale qualificato degli ipermercati. Per quanto riguarda i supermercati, esiste una direzione risorse umane di gruppo che si occupa della selezione del personale qualificato. Per quanto riguarda invece gli ipermercati, nel caso dei capireparto ci sono due modalità di selezione: o una ricerca esterna che avviene attraverso l’ausilio di società di selezione o attraverso candidature spontanee o la ricerca di nominativi attraverso conoscenze o infine tramite un allievato, che avviene ogni 6 mesi, che può essere interno, legato a un percorso di carriera, o esterno, legato al processo di selezione. Gli allievi esterni vengono assunti con un contratto a termine della durata di un anno e sono sottoposti a un percorso di formazione soggetto a valutazioni da cui dipende la possibilità di diventare caporeparto.

Le figure specialistiche di azienda 1 vengono generalmente selezionate dall’esterno senza particolari processi di selezione.

In azienda 2 il processo di selezione del personale qualificato è interno all’azienda e spesso legato alla figura del C.D.N.; si fa iniziare a lavorare il personale qualificato selezionato con mansioni basse perché secondo un intervistato “anche chi viene assunto, che sa già che laureato dovrà fare l’ispettore e occuparsi di certe cose viene comunque fatto passare per un certo iter nei negozi perché è inutile che gestisca poi dopo gli orari di turno senza sapere quanto ci si metta a scaricare un camion” (int. 19). C’è in questo senso una sorta di socializzazione del personale qualificato alle mansioni dei lavoratori che un giorno dovranno gestire.

In azienda 3 la selezione del personale qualificato è esterna e affidata al consorzio Ceref anche se la scelta finale spetta all’Ufficio risorse umane. Azienda 3, per selezionare il personale qualificato, si serve anche di società di consulenza esterna. Ultimamente è in atto un esperimento che ha come fine quello di selezionare persone con competenze trasversali che, pur non avendo esperienze pregresse, potranno diventare direttamente capi negozio dopo un anno e mezzo di formazione.

Generalmente nelle aziende della grande distribuzione la formazione del personale qualificato investe le figure specialistiche e i livelli manageriali e per quest’ultime figure la formazione è legata ai percorsi di carriera. Per quanto riguarda le figure specialistiche, è prevista una formazione tecnica approfondita perché c’è la necessità di conoscere bene il prodotto che si vende e, nel caso

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dei prodotti alimentari, saperlo tagliare. Inoltre per queste figure c’è formazione sulla modalità di servizio perchè c’è un approccio alla clientela.

In azienda 1 la formazione delle figure specialistiche avviene attraverso l’affiancamento agli uomini di mestiere che provengono da strutture di sede interne all’azienda e che girano i punti vendita e trasmettono la formazione alle squadre.

In azienda 2 la formazione delle figure specialistiche è interna ed è fatta nella sede centrale.In azienda 3 la formazione delle figure specialistiche è affidata a un Consorzio esterno. Mentre le figure specialistiche costituiscono parte del personale qualificato non soggetto però a

processi di mobilità interna, le figure manageriali, dal caporeparto in su hanno possibilità di crescita professionale.

Nella gestione delle carriere del personale qualificato, nel caso di azienda 1, come è stato già fatto precedentemente, bisogna fare un discorso diverso fra supermercati e ipermercati. Infatti una discriminante importante della mobilità interna di azienda 1 è il formato del punto vendita. Per i lavoratori qualificati dei supermercati la carriera è verticale (dal caporeparto al caposettore e da questo al responsabile del punto vendita). I passaggi di carriera avvengono per la persona che viene ritenuta adatta a ricoprire la nuova posizione. I percorsi di carriera sono interni, cioè si decide di investire su persone che lavorano già nel supermercato. Quando non si trova la persona all’interno del punto vendita la si cerca in un altro punto vendita dell’azienda che fa esubero o poco fatturato e questa possibilità ad esempio nel caso della ricerca di un caporeparto è facilitata anche dagli accorpamenti di reparti che prevedono non più un caporeparto per ogni singolo reparto ma un caporeparto a capo di più reparti. Solo nel caso delle figure dirigenziali può capitare che vengano “rubati” direttori alla concorrenza. Negli ipermercati dove il contesto professionale è più rigido e le professionalità sono più marcate è difficile che ci sia una forte mobilità fra i reparti. La carriera del personale qualificato degli ipermercati è basata sulla valutazione della “performance” attraverso una scheda di valutazione. Inoltre un accurato sistema informativo consente di far incontrare colui che potenzialmente è ritenuto valido con la posizione professionale che si è liberata all’interno dell’organico. La strategia di azienda 1 è quella di legare i percorsi di carriera del personale qualificato a negozi diversi da quelli di origine per ragioni diverse, tra cui la possibilità di esprimersi meglio con il comando di una squadra di lavoratori che non si conosce. Quando non si trova un lavoratore nel proprio negozio lo si prende da un altro negozio dell’azienda.

Nel caso di azienda 2 la mobilità interna del personale qualificato è verticale ed è facilitata molto dalla presenza delle figure dei vice e quindi dalla struttura dell’organizzazione dei punti vendita molto gerarchizzata. Nel caso invece non si trovi la persona all’interno del negozio la si cerca in un altro negozio dell’azienda.

Nel caso di azienda 3 i percorsi di carriera del personale qualificato sono sia orizzontali che verticali e di questo ho già parlato precedentemente nella parte dedicata al personale non qualificato.

Qui sotto, viene riassunto in una tabella quanto detto (tab. 6.5).

Tab 6.5 Modalità del processo di selezione, formazione e carriere del personale qualificato

Azienda 1 Azienda 2 Azienda 3Selezione Processo di selezione interno

all’azienda con il supporto di società di selezione, a volte legato a percorsi di carriera

Processo di selezione interno all’azienda, a volte legato a

percorsi di carriera

Processo di selezione esterno all’azienda, affidato a un

consorzio, a volte legato a percorsi di carriera

Formazione Formazione interna all’azienda Formazione interna all’azienda Formazione esterna all’azienda, affidata a un consorzio

Carriere Mobilità verticale Mobilità verticale Mobilità orizzontale e verticale

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I MECCANISMI DI INCENTIVAZIONE

La flessibilità del lavoro rappresenta un elemento essenziale in un settore come quello della grande distribuzione caratterizzato da un’elevata variabilità e stagionalità delle vendite. Nelle grandi imprese analizzate nell’indagine, la gestione della flessibilità del lavoro riguarda essenzialmente tre argomenti: la retribuzione a incentivo, il tempo di lavoro e i contratti di impiego.

Le retribuzione a incentivo è basata sul salario variabile regolato congiuntamente da impresa e sindacato. Il salario variabile coinvolge tutti i lavoratori, da quelli a livello impiegatizio ai quadri. Il salario variabile è legato a parametri di produttività basati sul formato di vendita del negozio. Ma mentre in azienda 1 e 2 il salario variabile è legato soltanto a parametri di produttività, in azienda 3 il salario variabile è legato anche a un indicatore relativo alla qualità che ha l’obiettivo di coinvolgere i lavoratori negli obiettivi dell’azienda. Inoltre mentre in azienda 3 i parametri con cui viene definito il salario variabile dei punti vendita sono stabiliti a livello regionale, in azienda 1 e 2 i parametri sono definiti a livello nazionale con la conseguenza di una più difficile armonizzazione alle specificità dei singoli negozi. Azienda 3 è l’azienda in cui è più alto l’importo massimo mentre Azienda1 è l’azienda in cui è più basso l’importo minimo del salario variabile (importo minimo che dal 1997 si aggirava sulle 300 mila lire è che è inglobato nella busta paga (tab. 6.8). Azienda 2 è l’azienda in cui è più alto l’importo minimo mentre azienda 1 è l’azienda in cui è più basso l’importo massimo (tab. 6.6).

Tab. 6.6 Importo minimo e massimo (espresso in euro) del salario variabile

Importo minimo Importo massimoAzienda 1 150 1.200Azienda 2 430 1.300Azienda 3 170 (super); 254 (iper) 1.300 (super); 1.508 (iper)

Il salario variabile in rapporto alla retribuzione fissa è maggiore in azienda 2 che nelle altre aziende (tenendo conto della retribuzione fissa di un ausiliario alle vendite che più o meno è uguale nelle tre aziende, 1.600 euro lordi per un ausiliario alle vendite full time, e tenendo conto del valore del salario variabile vicino a una cifra che si aggira attorno all’importo minimo).

I lavoratori qualificati delle aziende di grande distribuzione oltre a rientrare all’interno del salario variabile, rientrano anche nel sistema premiante gestito direttamente dall’impresa. Già i capireparto che sono inquadrati al secondo livello impiegatizio rientrano all’interno del sistema premiante dell’impresa basato sul raggiungimento degli obiettivi.

LA GESTIONE DEL TEMPO DI LAVORO E DELLE TIPOLOGIE CONTRATTUALI

Per quanto riguarda il tempo di lavoro, oltre al sistema di turnazione, uno strumento importante di gestione della flessibilità del tempo di lavoro nelle aziende di grande distribuzione è il part-time. L’utilizzo del part-time è regolato dalla contrattazione integrativa (nella grande distribuzione la contrattazione del lavoro a tempo parziale si è diffusa già a metà degli anni ’70).

Azienda 1 fa uso del part-time orizzontale nel caso dei supermercati e del part-time verticale e ciclico nel caso degli ipermercati dove è possibile l’utilizzo di clausole elastiche.

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Azienda 2 fa uso solo del part-time verticale ma utilizza rispetto alle altre due aziende un turno di lavoro in più, chiamato “turnino” (un turno in più oltre al turno normale e spezzato), che le consente un’ampia gestione della flessibilità del tempo di lavoro. Inoltre le clausole elastiche (cioè la possibilità di spostare l’orario di lavoro del part-time) applicate al part-time diventano uno strumento in più di gestione della flessibilità del tempo di lavoro che si aggiunge al “turnino”.

Dal punto di vista della regolazione, in azienda 2 il part-time trova solo una regolazione a livello centrale che non prevede riproporzionamenti mentre in azienda 1 e 3 la regolazione dell’orario di lavoro e il part-time sono al centro della contrattazione a livello nazionale (e territoriale) nel primo caso, a livello regionale e di punto vendita con una tendenza al riproporzionamento, cioè alla trasformazione del lavoro supplementare del part-time nell’avvicinamento progressivo e graduale al tempo pieno, nel secondo caso . Ma mentre in azienda 1 non sempre è possibile raggiungere intese sull’orario di lavoro e sull’utilizzo del part-time a livello di negozio, in azienda 3 la contrattazione sul part-time, e in termini più generali sull’orario di lavoro a livello di negozio, è una prassi diffusa e riflesso di una regolazione strutturata all’interno del contratto integrativo regionale. Nel contratto integrativo regionale di azienda 3, al fine di determinare i riproporzionamenti nella struttura di vendita ed i passaggi a tempo pieno, è prevista la possibilità per il personale di presentare domanda in merito e nel caso di eccedenze di domande rispetto alle necessità, la precedenza, di norma, nell’ambito della stessa specializzazione e dello stesso punto vendita, è determinata dalla valutazione comparativa di criteri quali i carichi familiari, la capacità tecnico professionale e l’anzianità di servizio. Inoltre in azienda 3 la regolazione del lavoro supplementare, le ore in più del part-time, per il canale dei supermercati e quello degli ipermercati deve essere giustificato oltre che dall’accordo fra le parti, da specifiche esigenze organizzative e commerciali.

Mentre la gestione della flessibilità del tempo di lavoro per il personale non qualificato, basata soprattutto sull’utilizzo del sistema di turnazione e del part-time, è regolata dalla contrattazione integrativa, la gestione del tempo di lavoro per il personale qualificato è regolata direttamente dall’impresa; che si traduce, dal caporeparto in su, in una richiesta di disponibilità di tempo.

Un altro elemento di gestione della flessibilità da parte delle aziende di grande distribuzione è l’utilizzo di forme contrattuali atipiche.

Azienda 1 utilizza contratti a tempo determinato, lavoro stagionale e contratti di lavoro interinale nelle feste e nei momenti dei picchi. Inoltre utilizza molti contratti di apprendistato.

Azienda 2, oltre ai contratti a tempo determinato, utilizza anche molti contratti di inserimento.Azienda 3 utilizza un bassissimo numero di contratti a tempo determinato nei momenti di picchi

e nel complesso la prevalenza di contratti a tempo indeterminato è quasi assoluta. Tutto ciò è riconducibile alla strategia di azienda 3 di gestire la flessibilità della forza lavoro soprattutto attraverso la gestione della flessibilità del tempo di lavoro dell’organico presente nei negozi.

Le modalità di gestione della flessibilità delle aziende sono riassunte nella tabella seguente (tab. 6.7).

Tab. 6.7 Modalità di gestione della flessibilità

Meccanismi di incentivazione

Tempo di lavoro Tipologie contrattuali

Azienda 1 Salario variabile legato a parametri di produttività

stabiliti a livello nazionale

Regolazione collettiva (nazionale, territoriale e poco

diffusa a livello di negozio) del tempo di lavoro basata su sistema

di turnazione e part-time con possibilità di clausole elastiche

Contratti a tempo determinato, di lavoro stagionale, di lavoro interinale, di apprendistato

Azienda 2 Salario variabile legato a parametri di produttività

stabiliti a livello

Regolazione collettiva (nazionale) del tempo di lavoro basata su sistema di turnazione

Contratti a tempo determinato e di inserimento

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nazionale (con “turnino”) e part-time con clausole flessibili

Azienda 3 Salario variabile legato a parametri di produttività

e qualità stabiliti a livello regionale

Regolazione collettiva (regionale e diffusa a livello di negozio) del

tempo di lavoro basata su sistema di turnazione e part-time con

tendenza al riproporzionamento

Contratti a tempo determinato ma netta prevalenza dei contratti a tempo

indeterminato

CONCLUSIONI

Nelle conclusioni si risponderà alle domande di ricerca attraverso i risultati che sono emersi; che possono essere divisi in due parti: una parte relativa alle caratteristiche strutturali e occupazionali e l’altra relativa alla regolazione del rapporto di lavoro del settore.

Nella prima parte, come primo interrogativo di partenza, ci si chiedeva se l’area metropolitana milanese fosse soggetta al processo di industrializzazione della distribuzione. I dati indicano un processo di industrializzazione della distribuzione nell’area milanese negli anni ’90, attenuata rispetto agli anni ’80, che tuttavia potrebbe aver subito un ridimensionamento nel periodo 1996-

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2001; ridimensionamento in termini numerici e non dimensionali visto che in quello stesso periodo si assiste ad un consolidamento delle strutture di grande distribuzione. I dati relativi al periodo 2000-2005 mostrano che il processo di industrializzazione della distribuzione nell’area milanese è ancora in atto e che è dovuto soprattutto alla modernizzazione della distribuzione alimentare; al contrario, si osserva in questo periodo un ridimensionamento della distribuzione non alimentare riconducibile al calo numerico e occupazionale dei grandi magazzini. Oltre a questi due fenomeni opposti, va sottolineato lo sviluppo consistente della distribuzione specializzata nei primi anni del 2000.

Il secondo interrogativo era relativo all’ipotesi di Sassen sulla polarizzazione crescente delle condizioni occupazionali del personale come effetto della terziarizzazione nelle grandi città e del conseguente sviluppo dei servizi delle città globali. In primo luogo, i dati sull’occupazione ci mostrano come siano soprattutto le donne ad essere occupate nella grande distribuzione (la differenza occupazionale tra donne e uomini è più rilevante nei grandi magazzini tranne nel caso della distribuzione specializzata e dei cash and carry che rimangono ancora forme di grande distribuzione a prevalenza maschile). In secondo luogo, secondo quanto emerge dai dati e dalle interviste, le donne caratterizzerebbero un settore per lo più formato professionalmente da giovani poco istruiti, prevalentemente impiegati a part-time in mansioni dequalificate e a bassa retribuzione; questo secondo aspetto, in relazione all’ipotesi di Sassen, colloca la grande distribuzione tra i settori che subiscono gli effetti negativi della terziarizzazione nelle grandi città; effetti negativi che nella grande distribuzione sono subiti soprattutto dalle donne.

Nella seconda parte, quella relativa alla regolazione del rapporto di lavoro nella grande distribuzione, gli interrogativi di fondo erano quattro: ci si chiedeva se l’organizzazione della gestione delle risorse umane fosse accentrata nella sede centrale delle aziende o decentrata nei negozi, se i modelli di relazioni sindacali di Regalia fossero ancora validi, quali fossero i fattori causali alla base dell’esistenza di uno o dell’altro modello e infine in che misura un modello di relazioni sindacali caratterizzasse tutti i livelli di contrattazione. Attraverso gli studi di caso, si può rispondere alla prima domanda, dicendo che l’organizzazione della gestione delle risorse umane è più decentrata in azienda 1 e più accentrata in azienda 3; in generale, che nei supermercati è accentrata nella sede centrale delle aziende mentre negli ipermercati è più decentrata nei negozi; inoltre la gestione delle risorse umane dei dirigenti intermedi è prevalentemente unilaterale o congiunta con gli interessati (riguarda tutti gli aspetti della regolazione del rapporto di lavoro tranne quelli relativi alle sanzioni e alla carriera che vengono regolati dalla sede centrale delle aziende) mentre la rappresentanza sindacale, in alternativa alla regolazione unilaterale dell’impresa o alla regolazione congiunta con gli interessati, viene coinvolta soltanto nelle decisioni attinenti all’organizzazione del lavoro e al tempo di lavoro; ciò a prova del fatto che le relazioni sindacali avvengono prevalentemente a livello centrale e fuori dai negozi.

Per quanto riguarda il secondo interrogativo, i modelli di relazioni sindacali descritti da Regalia sono validi, seppur non completamente, ancora oggi; nel senso che le relazioni sindacali che emergono dallo studio delle tre aziende si avvicinano a quei modelli o meglio le relazioni sindacali delle tre aziende sono interpretabili attraverso quei modelli.

In ordine al terzo interrogativo, l’ipotesi era che la natura della proprietà di una azienda condizionasse lo stile del “management” e in ultima analisi le modalità di regolazione del rapporto di lavoro. Ci si aspettava che la natura della proprietà di azienda 1, in passato a partecipazione statale, e la natura cooperativistica di azienda 3, per ragioni diverse che sono descritte nella premessa metodologica della ricerca, fossero alla base di un riconoscimento sostanziale del sindacato da parte dell’azienda e del suo coinvolgimento nella regolazione del rapporto di lavoro. Diversamente, ci si aspettava che la natura famigliare della proprietà di azienda 2 fosse alla base di un riconoscimento puramente formale del sindacato da parte dell’azienda e del tentativo del management di escludere il sindacato dalla regolazione del rapporto di lavoro. In effetti da quanto emerge dagli studi di caso, l’ipotesi risulta verificata: ad azienda 1 e 3 corrisponde, a livello aziendale - nazionale, un modello di relazioni sindacali di tipo consultivo partecipativo mentre nel

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caso di azienda 2 corrisponde un modello di relazioni sindacali di tipo del pragmatismo flessibile teso ad escludere il sindacato dalla regolazione del rapporto di lavoro; che si traduce nella preferenza di azienda 2 a regolare direttamente il rapporto di lavoro. Inoltre, la mobilitazione dei lavoratori è la stessa nelle tre aziende e (in mancanza di un dato preciso sugli scioperi) sembrerebbe essere una prova del fatto che se un’azienda sceglie di regolare il rapporto di lavoro attraverso la gestione diretta delle risorse umane ( azienda 2) e non attraverso le relazioni sindacali (azienda 1 e 3), il consenso ottenuto è lo stesso. In particolare l’incentivo economico (in azienda 2 i parametri minimi e massimi del salario variabile sono più alti che in azienda 2 e 3) parrebbe essere un sostituto funzionale della mancanza di relazioni sindacali.

L’ultimo interrogativo di ricerca era relativo ai livelli di contrattazione delle aziende e in particolare alla possibilità che uno stesso modello di relazioni sindacali caratterizzasse tutti i livelli di contrattazione. Il risultato che emerge dagli studi di caso è che in azienda 2 e 3 lo stesso modello di relazioni sindacali a livello aziendale – nazionale caratterizza anche gli altri livelli di contrattazione. Mentre in azienda 1 fra il livello aziendale-nazionale e quelli periferici c’è divergenza; in particolare se il modello di relazioni sindacali a livello aziendale-nazionale è quello consultivo - partecipativo, il modello di relazioni sindacali a livello di punto vendita è quello del pragmatismo flessibile. Questa divergenza è riconducibile ancora alla natura della proprietà dell’azienda o meglio al suo cambiamento. Il cambiamento della natura della proprietà di azienda 1, da una natura a partecipazione statale a una privata, ha influenzato solo la relazioni sindacali a livello di punto vendita mentre non ha modificato le relazioni sindacali a livello centrale nazionale; e il condizionamento del cambiamento della natura della proprietà sulle relazioni sindacali a livello di punto vendita è stato più forte nei negozi “giovani” (i negozi aperti da poco) in cui la vecchia proprietà non può limitare il cambiamento e in cui fattori come la bassa densità sindacale dei negozi, il debole potere della rappresentanza sindacale e la mancanza dell’appoggio del sindacato dall’esterno non hanno potuto arginare gli effetti del cambiamento della proprietà. Quindi uno stesso modello di relazioni sindacali non caratterizza tutti i livelli di contrattazione solo nel caso in cui c’è stato un cambiamento della natura della proprietà in grado di cambiare le relazioni sindacali solo a livello periferico, quello di negozio, e non a livello centrale.

I risultati della ricerca, anche alla luce della letteratura, pongono delle riflessioni e delle problematiche per quanto riguarda le implicazioni di “policy”. In primo luogo, la grande distribuzione, per le caratteristiche strutturali e occupazionali, è un settore che richiederebbe un contratto di categoria diverso da quello attuale che comprende realtà produttive diverse fra loro.

In secondo luogo, nel settore della grande distribuzione si sono sviluppate relazioni di lavoro mediate collettivamente, che hanno l’effetto di porre un freno a una possibile polarizzazione accentuata delle caratteristiche occupazionali secondo pure logiche di mercato (Regalia, 1990; 2000); e abbiamo visto, secondo quanto emerge dalla ricerca, che ciò avviene in modo dipendente dalla natura della proprietà dell’azienda. Tuttavia, le relazioni di lavoro mediate collettivamente si sviluppano quasi soltanto a livello centrale a conferma in parte della tesi di Negrelli secondo cui l’elevato grado di accentramento derivante essenzialmente dalla dispersione territoriale delle unità di vendita e degli esercizi e una struttura del personale a piramide, con la base molto estesa di lavoratori con basse qualifiche, limitate possibilità di carriera, iter professionali molto semplici, avrebbe come effetto quello di favorire la contrattazione collettiva aziendale svolta a livello centrale nazionale, indebolendo così l’azione a livello di strutture periferiche, sia manageriali sia sindacali.

Oggi, nella grande distribuzione, le relazioni di lavoro mediate collettivamente in grado di limitare la polarizzazione delle caratteristiche occupazionali assumono importanza non solo a livello centrale ma anche a livello delle strutture periferiche, in particolare per due motivi: prima di tutto, per la tendenza, che emerge dalla ricerca, di un decentramento dell’organizzazione della gestione delle risorse umane negli ipermercati che sposterebbe in questo caso il problema della regolazione del rapporto di lavoro nelle unità di vendita e che per ora si risolve per lo più nella gestione diretta dei lavoratori da parte dell’impresa; poi, per il bisogno, che traspare dalle interviste ai delegati sindacali di supermercati e ipermercati delle aziende, di un maggior coinvolgimento

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della rappresentanza sindacale nella regolazione del rapporto di lavoro; bisogno che è più pressante nei casi (come in azienda 2) in cui manca l’armonizzazione tra i livelli più centrali (nazionale, regionale, territoriale) e il livello periferico (di unità di vendita) delle relazioni sindacali aziendali, in cui cioè, in ultima analisi, le richieste dei lavoratori non vengono negoziate dal sindacato ai livelli più centrali. Tutto ciò, oltre alla problematica relativa al contratto di categoria del commercio e alla possibilità di un contratto specifico per il settore della grande distribuzione, sottolinea, nel caso della grande distribuzione, la problematica generale non solo relativa al rapporto fra contrattazione nazionale di categoria e contrattazione integrativa ma anche relativa al rapporto fra i livelli su cui si articola la contrattazione integrativa.

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APPENDICE

Tabella A Variabili utilizzate nelle elaborazioni e loro descrizione

Variabile descrizione Add81 Numero di addetti nelle unità locali nel 1981

Add91 Numero di addetti nelle unità locali nel 1991

Add96 Numero addetti nelle unità locali nel 1996

Add01 Numero addetti nelle unità locali nel 2001

Indadd81-91 Indice di variazione assoluto del numero di addetti nelle unità locali, 1981-1991 (1981=100)[(add91/add81)x100

Indadd91-96 Indice di variazione assoluto del numero di addetti nelle unità locali, 1991-1996 (1991=100)[(add96/add91)x100]

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Indadd96-01 Indice di variazione assoluto del numero di addetti nelle unità locali, 1996-2001 (1996=100)[(add01/add96)x100]

Indadd00-05 Indice di variazione assoluto del numero di addetti nelle unità locali, 2000-2005 (2000=100)[(add05/add00)x100]

%add81 Peso occupazionale (per numero di addetti nelle unità locali) rispetto al totale dell’economia nel 1981

%add91 Peso occupazionale (per numero di addetti nelle unità locali) rispetto al totale dell’economia nel 1991

%add96 Peso occupazionale (per numero di addetti nelle unità locali) rispetto al totale dell’economia nel 1996

Ind%add 81-91 Indice di variazione del peso occupazionale rispetto al totale dell’economia, 1981-1991 (1981=100) [(%add91%add81)x100

Ind%add 91-96 Indice di variazione del peso occupazionale rispetto al totale dell’economia, 1981-1991 (1991=100) [(%add96%add91)x100

Madd81 Media degli addetti per unità locale nel 1981

Madd91 Media degli addetti per unità locale nel 1991

Madd96 Media degli addetti per unità locale nel 1996

Madd01 Media degli addetti per unità locale nel 2001

Indmadd 81-91 Indice di variazione della media addetti per unità locale, 1981-1991 [(madd 91/madd81)x100]

Indmadd 91-96 Indice di variazione della media addetti per unità locale, 1991-1996 [(madd 96/madd91)x100]

Indmadd 96-01 Indice di variazione della media addetti per unità locale, 1996-2001 [(madd 01/madd96)x100]

Indunità 00-03 Indice di variazione assoluto del numero di unità locali, 2000-2003 (2000=100)[(unità03/unità00)x100]

Indunità 00-05 Indice di variazione assoluto del numero di unità locali, 2000-2005 (2000=100)[(unità05/unità00)x100]

Indsuperficie 99-04 Indice di variazione assoluto della superficie di vendita, 1999-2004 (1999=100)[(superficie04/superficie99)x100]

Indsuperficie 00-03 Indice di variazione assoluto della superficie di vendita, 2000-2003 (2000=100)[(superficie03/superficie00)x100]

Gli intervistati

I testimoni privilegiati: le interviste esplorative

Organizzazione Ruolo intervistato/a

Filcams funzionario (12/06) (intervista 1) Uiltucs segretario regionale (12/06) (intervista 2) Fisascat segretario regionale (02/07) (intervista 3) Fisascat funzionario (03/07) (intervista 4)

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Fisascat funzionario(03/07) (intervista 5) Federdistribuzione responsabile area lavoro (02/07) (intervista 6) Filcams funzionario (03/07) (intervista 7) Federdistribuzione resp. area territorio-sindacato (03/07) (intervista 8) Uiltucs segretario generale (03/07) (intervista 9) Filcams funzionario (06/07) (intervista 10) Filcams funzionario (04/07) (intervista 11) Ceref formatore (07/07) (intervista 12)

Interlocutori aziendali: le interviste degli studi dei casi

Azienda 1

delegato sindacale di supermercato (04/07) (intervista 13)delegato sindacale di supermercato (04/07) (intervista 14)delegato sindacale di ipermercato (05/07) (intervista 15)delegato sindacale di ipermercato (06/07) (intervista 16) responsabile risorse umane ipermercati (04/07) (intervista 17)responsabile risorse umane supermercati (03/07) (intervista 18)

Azienda 2

delegato sindacale di supermercato (02/07) (intervista 19)delegato sindacale di supermercato (03/07 (intervista 20)delegato sindacale di supermercato (03/07) (intervista 21)responsabile di negozio (06/07) (intervista 22)

Azienda 3

delegato sindacale di supermercato (05/07) (intervista 24)delegato sindacale di ipermercato (04/07) (intervista 25) direttore del personale (04/07) (intervista 26)

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