1.1 Campi d’impiego dell’oleodinamica...(oleodinamica, pneumatica, elettrica, meccanica,...

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Fluid Power Research Laboratory Note introduttive - 1 - 1. NOTE INTRODUTTIVE 1.1 Campi d’impiego dell’oleodinamica L’oleodinamica, in inglese fluid power, si occupa dello studio e della progettazione dei sistemi, e ovviamente di tutti i sottosistemi e componenti che ne fanno parte, capaci di trasferire potenza attraverso l’impiego di un fluido (olio, acqua o una loro miscela). L’oleodinamica offre molteplici vantaggi: controllo della direzione del moto, trasporto energetico a distanza, autolubrificazione, standardizzazione dei componenti, moti lineari, rapidità di risposta, ma deve altresì fare i conti con i seguenti svantaggi: fughe, attriti, temperatura e viscosità, contaminazione del fluido, sollecitazioni a fatica indotte dalle oscillazioni di pressione, costi di produzione proporzionali alle basse tolleranze, condizionamento termico del fluido. I campi d’impiego dell’oleodinamica sono moltissimi e i principali sono di seguito elencati. Aeronautica: flapper, carrello, timone, freni. Marina: sterzatura, calettatura elica, pinne stabilizzatrici, verricelli. Mobile: caricatori, escavatori, dumper, carrelli, gru, mezzi spazzaneve, macchine da miniera, agricole, forestali. Industriale: macchine utensili, presse oleodinamiche, robotica. Automotive: frenatura, sterzatura, sospensioni, selezione e innesto marce, fasatura variabile e lubrificazione di motori a combustione interna. 1.2 Sistemi di trasmissione della potenza I sistemi oleodinamici sono utilizzati per trasferire potenza meccanica da una sorgente di energia, spesso chiamata motore primo, a un’utenza finale che svolge un compito assegnato. Tecnicamente parlando questa funzione viene assolta dalle macchine, il cui compito è quello di realizzarla in modo efficiente e con buona affidabilità durante la loro vita operativa. In quest’ottica i sistemi oleodinamici possono essere considerati strutture più o meno complesse di generazione, trasferimento, elaborazione e utilizzo della potenza idraulica. La loro progettazione è strettamente legata al compito finale. In generale, tuttavia, una soluzione ideale mira ad avere un sistema di trasferimento della potenza che assicuri il miglior compromesso tra la sorgente di energia scelta (disponibile) e la macchina motrice finale. In figura 1 è schematizzato un diagramma a blocchi del flusso di potenza in un sistema oleodinamico. La potenza meccanica P m fornita da un motore primo, ad esempio un motore elettrico o termico, come prodotto di coppia C e velocità angolare Z (ovvero di forza F e velocità lineare v), viene trasferita all’utenza finale, la macchina che compie il lavoro, che fornisce all’esterno ancora una potenza meccanica. In base alle grandezze in ingresso e in uscita alla trasmissione di potenza è possibile classificare in 4 diverse categorie il sistema secondo quanto indicato in tabella 1. Fig. 1: diagramma a blocchi del flusso di potenza da una sorgente di energia verso un utilizzatore namic ioni, selezio la potenza enz ati per trasferire potenza meccanic ti per trasferire potenza me he svolge un compito volge un compito assegnato. asseg pito è quello di realizzarla in mod lo di reali a i sistemi oleodinamici possono emi oleodinamici p elaborazione e utilizzo della pote zione e utilizzo del enerale, tuttavia, una soluzi tuttavia, una so one id lior compromesso tra la sorgente mpromesso tra la s atizzato un diagramma a diagramma a blocchi d bl a potenza meccanica a potenza meccanica P P m fornita d coppia opp C e velocità angolare e velocità ango Z (o che compie il lavoro, che fornisc he compie il lavoro, che base alle grandezze in ingre ase alle grandezze in ma secondo quanto ind condo qua Fig. 1: diagramma a bloc : diagramm Samp am m m m m m m m m m m m m m m m a a a a a a a a m m m m m m m m m m m m pages istemi, e ovviamente di stemi, e ovviame so l’impiego di un fluido ’impiego di un f cipali sono di seguito elenca ipali sono di se , verricelli. , verrice pazzan pazzaneve, macchine eve, m ar arce, f ce, f

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Fluid Power Research Laboratory Note introduttive

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1. NOTE INTRODUTTIVE

1.1 Campi d’impiego dell’oleodinamica

L’oleodinamica, in inglese fluid power, si occupa dello studio e della progettazione dei sistemi, e ovviamente di tutti i sottosistemi e componenti che ne fanno parte, capaci di trasferire potenza attraverso l’impiego di un fluido (olio, acqua o una loro miscela).L’oleodinamica offre molteplici vantaggi:• controllo della direzione del moto, • trasporto energetico a distanza,• autolubrificazione,• standardizzazione dei componenti,• moti lineari,• rapidità di risposta,ma deve altresì fare i conti con i seguenti svantaggi:• fughe,• attriti,• temperatura e viscosità,• contaminazione del fluido,• sollecitazioni a fatica indotte dalle oscillazioni di pressione,• costi di produzione proporzionali alle basse tolleranze,• condizionamento termico del fluido.I campi d’impiego dell’oleodinamica sono moltissimi e i principali sono di seguito elencati.• Aeronautica: flapper, carrello, timone, freni.• Marina: sterzatura, calettatura elica, pinne stabilizzatrici, verricelli.• Mobile: caricatori, escavatori, dumper, carrelli, gru, mezzi spazzaneve, macchine da miniera, agricole, forestali.• Industriale: macchine utensili, presse oleodinamiche, robotica.• Automotive: frenatura, sterzatura, sospensioni, selezione e innesto marce, fasatura variabile e lubrificazione di

motori a combustione interna.

1.2 Sistemi di trasmissione della potenza

I sistemi oleodinamici sono utilizzati per trasferire potenza meccanica da una sorgente di energia, spesso chiamata motore primo, a un’utenza finale che svolge un compito assegnato. Tecnicamente parlando questa funzione viene assolta dalle macchine, il cui compito è quello di realizzarla in modo efficiente e con buona affidabilità durante la loro vita operativa. In quest’ottica i sistemi oleodinamici possono essere considerati strutture più o meno complesse di generazione, trasferimento, elaborazione e utilizzo della potenza idraulica. La loro progettazione è strettamente legata al compito finale. In generale, tuttavia, una soluzione ideale mira ad avere un sistema di trasferimento della potenza che assicuri il miglior compromesso tra la sorgente di energia scelta (disponibile) e la macchina motrice finale. In figura 1 è schematizzato un diagramma a blocchi del flusso di potenza in un sistema oleodinamico.

La potenza meccanica Pm fornita da un motore primo, ad esempio un motore elettrico o termico, come prodotto di coppia C e velocità angolare (ovvero di forza F e velocità lineare v), viene trasferita all’utenza finale, la macchina che compie il lavoro, che fornisce all’esterno ancora una potenza meccanica.In base alle grandezze in ingresso e in uscita alla trasmissione di potenza è possibile classificare in 4 diverse categorie il sistema secondo quanto indicato in tabella 1.

Fig. 1: diagramma a blocchi del flusso di potenza da una sorgente di energia verso un utilizzatore

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ati per trasferire potenza meccanicti per trasferire potenza mehe svolge un compito volge un compito assegnato. asseg

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Fluid Power Research Laboratory Note introduttive

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Spesso i sistemi di trasmissione della potenza sono classificati in base alla tecnologia/tecnologie utilizzate (oleodinamica, pneumatica, elettrica, meccanica, elettromeccanica). In tabella 2 sono confrontate alcune proprietà comuni alle diverse trasmissioni per illustrarne i rispettivi vantaggi e svantaggi. Si può osservare che i sistemi oleodinamici presentano sempre un valore elevato della proprietà considerata.

All’interno di un sistema di trasmissione della potenza è possibile individuare tre elementi funzionali fondamentali (vedere figura 1):• un gruppo di alimentazione (abbreviato in GA) che converte la potenza entrante nel prodotto di pressione p e

portata in volume Q (potenza idraulica Pi);• un gruppo di regolazione e controllo (abbreviato in GRC) le cui grandezze di ingresso e uscita sono sempre

pressione e portata;• un gruppo di utilizzazione (abbreviato in GU) che converte la potenza idraulica in potenza meccanica.Inoltre è possibile parlare di un quarto gruppo ausiliario che, pur non partecipando alla regolazione della potenza, è sempre presente e comprende in genere serbatoi, filtri, scambiatori di calore, ecc.All’interno di ognuno di questi gruppi si assiste a una dissipazione di potenza, indicata con Pp, di cui si tiene conto introducendo un rendimento del gruppo, funzione del gruppo stesso e del rendimento dei suoi componenti costitutivi. Lo studio iniziale che verrà condotto, tuttavia, prevede di considerare componenti ideali, cioè con rendimento unitario. Nonostante ciò si potranno avere rendimenti inferiori a indicare che le trasformazioni e il controllo delle grandezze in uscita dal sistema comportano inevitabili dissipazioni energetiche.L’analisi di un circuito oleodinamico può essere condotta in due forme diverse, cui corrispondono finalità differenti e complementari:1) la prima (modello funzionale) prevede un’analisi qualitativa del circuito oleodinamico, rappresentato secondo la

simbologia prevista da un’apposita normativa ISO 1219 (schema simbologico equivalente), che permette di inter-pretare il funzionamento dell’impianto e l’interazione esistente tra gli elementi che lo compongono;

2) la seconda (modello matematico), sempre preceduta dalla precedente indagine, comporta l’analisi quantitativa del sistema che consente di ricavarne le caratteristiche che descrivono il funzionamento dell’impianto; essa comporta la scrittura di un modello matematico che può essere:

• stazionario, con equazioni algebriche lineari e non lineari,• dinamico, con equazioni algebrico/differenziali di ordine uno o superiore, lineari e non lineari, a

coefficienti costanti e variabili, alle derivate totali o parziali.

Tab. 1: classificazione delle trasmissioni di potenza in base alle grandezze entranti e uscenti nel sistema

Tipologia di Sistema Ingresso Uscita

rotazionale / rotazionale coppia e velocità angolare coppia e velocità angolare

rotazionale / traslazione coppia e velocità angolare forza e velocità lineare

traslazione / rotazionale forza e velocità lineare coppia e velocità angolare

lineare / lineare forza e velocità lineare forza e velocità lineare

Tab. 2: confronto tra alcune proprietà delle diverse trasmissioni

Proprietà trasmissioneValore

Alto Medio Basso

Densità di potenza (rapporto potenza / peso) Oleodinamica Pneumatica Elettrica, Meccanica,

Elettro-Meccanica

Coppia su inerzia Oleodinamica Pneumatica Elettrica, Meccanica,Elettro-Meccanica

Velocità su tempo di risposta Oleodinamica Elettrica,Elettro-Meccanica

Pneumatica,Meccanica

Controllabilità Oleodinamica,Elettro-Meccanica

Elettrica, Pneumatica,Elettro-Meccanica Meccanica

Rigidezza del sistema Oleodinamica Meccanica Elettrica, Pneumatica,Elettro-Meccanica

Campo di velocità Oleodinamica,Elettro-Meccanica

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Fluid Power Research Laboratory Note introduttive

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Per passare dal modello funzionale a quello matematico esistono modalità automatiche o automatizzate ed è anche possibile utilizzare codici di simulazione appositamente sviluppati a parametri concentrati e di fluidodinamica computazionale. Tuttavia il primo passo per la comprensione di un circuito e del suo modello matematico è, e resta, l’interpretazione corretta del suo schema simbologico equivalente.Nell’esempio visibile in figura 2 si riconoscono, partendo da sinistra, un motore elettrico che trascina in rotazione una pompa a cilindrata fissa che, aspirando fluido da un serbatoio generalmente a pressione ambiente (che d’ora in avanti verrà assunta come riferimento relativo pari a 0 bar), lo invia sia a una valvola limitatrice di pressione (VL) che a un distributore, cioè una valvola di controllo della direzione, a 4 bocche e 3 posizioni (D4/3). La bocca P (alimentazione) di quest’ultimo è connessa alla pompa, quella T permette il ritorno del fluido a serbatoio una volta attraversato uno scambiatore di calore e un filtro (gruppo di condizionamento) e le bocche A e B sono connesse all’utilizzatore, un attuatore lineare a doppio effetto (martinetto) ovvero un motore rotativo.

Il distributore stabilisce delle logiche di connessione tra le bocche citate. Nella posizione di riposo, garantita da molle di centraggio, le bocche sono chiuse (centro chiuso). Immaginando di movimentare verso il basso il cassetto (elemento mobile) del distributore, azionando il solenoide superiore, in modo che il quadrato centrale a bocche chiuse venga sostituito da quello in alto a frecce parallele, si realizza la connessione di P con A e T con B. Viceversa azionando il solenoide in basso si realizzano le connessioni P con B e A con T (frecce incrociate). Finché il distributore rimane in posizione di riposo, la pompa, una volta trascinata in rotazione, invia fluido in un ramo chiuso causando un immediato innalzamento della pressione (fluido idealmente incomprimibile) che porta la VL in regolazione e permette di limitare la pressione massima nel circuito al suo valore di taratura p*. Quando si commuta il distributore nella posizione a frecce parallele si realizza la corsa di rientro dello stelo (ovvero la rotazione del motore), essendo la pompa connessa alla camera superiore del martinetto e la camera inferiore in comunicazione con il serbatoio. Viceversa nella posizione a frecce incrociate si ottiene la fuoriuscita del martinetto, essendo alimentata la camera sottostante e connessa a scarico quella lato stelo.Sul ramo inferiore si osserva la presenza di un gruppo costituito da uno strozzatore e una valvola di non ritorno. Il primo ha il compito di generare una contropressione sulla linea di scarico durante la fase di rientro dello stelo, introducendo una resistenza al deflusso della portata, e di permettere un controllo del carico che, in questo caso, è di tipo trascinante e tenderebbe a sfuggire, perché non equilibrato dalla pressione nella camera inferiore. La seconda ha invece il compito di evitare un inutile innalzamento della pressione, con conseguente maggiore dispendio energetico, nella fase di fuoriuscita dello stelo, perché permette il bypass dello strozzatore.In derivazione sullo stesso ramo è anche presente una valvola limitatrice di pressione (ha lo stesso simbolo di quella nel GA) utile a limitare la pressione, durante la corsa di rientro, al suo valore di taratura nel tratto di circuito compreso tra lo strozzatore e la bocca di ingresso del martinetto.Si comprende quindi che nello schema di figura 2 sono presenti a sinistra il gruppo di alimentazione (GA), al centro quello di regolazione e controllo (GRC) e a destra il gruppo di utilizzazione (GU).

Fig. 2: esempio di schema simbologico equivalente di un impianto oleodinamico

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Fluid Power Research Laboratory Macchine volumetriche

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11. MACCHINE VOLUMETRICHE

Una macchina volumetrica rotativa (pompa o motore) è costituita dall’insieme di N camere il cui volume Vi variain funzione della posizione angolare dell’albero tra un valore massimo Vmax e un valore minimo Vmin. Le cameresono periodicamente poste in comunicazione con l'ambiente di aspirazione (o ammissione) e quello di mandata (oscarico).Una macchina volumetrica ideale (pompa o motore oleodinamico) ha trafilamenti nulli, lavora in assenza di attrito, ècostituita da elementi strutturali indeformabili alla pressione e alla temperatura ed è tale che la connessione conl’ambiente di aspirazione (ammissione) e di mandata (scarico) delle camere a volume variabile che la costituiscono èistantanea e ha luogo proprio quando la pressione del fluido contenuto nella generica camera a volume variabileassume valore uguale alla pressione presente nell’ambiente di mandata ovvero di aspirazione. Affermare che lamacchina ha trafilamenti nulli implica l’assenza di giochi tra le parti che la costituiscono, mentre definirla a paretiindeformabili implica materiali costituenti infinitamente rigidi e che, pertanto, non risentono degli effetti legati allapressione e alla temperatura.

11.1 Classificazione

Le macchine volumetriche sono classificate in base a come sono realizzate le camere a volume variabile.In figura 1 sono riportate le tipologie più diffuse.

Nelle macchine a pistoni le camere a volume variabile sono generate dal moto alterno di N pistoni all’interno di uncorpo cilindri. Nella tipologia assiale a corpo inclinato (bent axis), il corpo cilindri ruota attorno a un asse inclinatorispetto all’asse dell’albero. Esistono vari modi per connettere il corpo cilindri all’albero. In figura 2 è riportata unamacchina in cui tale connessione è realizzata tramite un sistema pistone-bielletta. Infatti, i pistoni sono connessitramite degli snodi sferici a delle biellette, le quali a sua volta sono connesse tramite un ulteriore snodo sferico a unaflangia solidale all’albero.

Fig. 1: classificazione delle macchine volumetriche

Fig. 2: pompa a pistoni assiali a corpo inclinato con trascinamento tramite pistone-bielletta

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Fluid Power Research Laboratory Macchine volumetriche

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In figura 3 è visibile una pompa in cui la connessione tra albero e blocco cilindri (tamburo) avviene tramite unacoppia di ingranaggi a dentatura frontale. In questo caso i pistoni non hanno una funzione di trascinamento come nelcaso precedente. Nella figura 4 invece il trascinamento del tamburo è affidato a un doppio albero cardanico.

Nelle macchine a piastra inclinata (swash plate) il corpo cilindri è coassiale rispetto all’albero e le teste dei pistoni, sucui sono montati dei pattini a sostentamento idrostatico, appoggiano su una piastra montata inclinata rispettoall’albero. Nella tipologia a corpo cilindri rotante (figura 5) quest’ultimo è posto in rotazione dall’albero, mentre lapiastra inclinata rimane fissa. Poiché i pattini sono costretti a giacere sulla piastra inclinata, la rotazione dell’alberogenera un moto alternativo dei pistoni all’interno del tamburo. Nel caso particolare della pompa di figura 5 è possibilevariare l’inclinazione della piastra, modificando in questo modo la corsa massima dei pistoni e quindi la cilindratadella macchina.Nella versione a corpo cilindri fisso (figura 6) la piastra inclinata ruota insieme all’albero, mentre i cilindri sonoalloggiati direttamente nel corpo pompa e hanno un moto puramente alternativo. La distribuzione del fluido avvienetramite valvole di non ritorno (distribuzione automatica).

Fig. 3: pompa a pistoni assiali a corpo inclinato con trascinamento tramite ingranaggi

Fig. 4: pompa a pistoni assiali a corpo inclinato con trascinamento tramite albero cardanico

Fig. 5: pompa a pistoni assiali a piastra inclinata a corpo cilindri rotante (Casappa LVP 48)

Fig. 6: pompa a pistoni assiali a piastra inclinata a corpo cilindri fisso

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Fluid Power Research Laboratory Macchine volumetriche

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Nelle macchine a pistoni radiali gli assi dei pistoni sono disposti come una stella attorno all’asse dell’albero.Nella versione a corpo cilindri rotante (figura 7) i pistoni sono alloggiati all’interno di un rotore e i pattini sulla lorotesta, grazie alla forza centrifuga e all’azione della pressione, vengono mantenuti in contatto contro la pista discorrimento dello statore. Quest’ultimo è montato eccentrico rispetto all’asse dell’albero e in questo modo è possibilegenerare il moto alternativo dei pistoni all’interno del rotore. Nella pompa di figura 7 è possibile variare la cilindratamodificando l’eccentricità dello statore rispetto al rotore: con eccentricità nulla i pistoni non hanno più un motoalterno e quindi la cilindrata si azzera.Nella versione a corpo cilindri fisso (figura 8), i pistoni sono alloggiati direttamente nel corpo della macchina ericevono il moto da un eccentrico solidale all’albero. La distribuzione del fluido avviene tramite valvole di nonritorno. Questa tipologia di macchina può essere ovviamente solo a cilindrata fissa.

Nelle macchine a ingranaggi le camere a volume variabile sono generate dall’ingranamento di due ruote dentate.In figura 9 è mostrata una pompa a ingranaggi esterni. La ruota di sinistra (motrice) è connessa all’albero e ruota insenso orario, portando in rotazione la ruota di destra (condotta). In questo modo nella parte inferiore della zonad’ingranamento, dove i denti delle due ruote si allontanano tra di loro, si crea uno spazio che è occupato dal fluidoproveniente dal condotto inferiore (bocca di aspirazione). Pertanto l’olio riempie i vani tra un dente e l’altro e vienetrasportato lungo le due periferie nella zona di ingranamento superiore dove i denti delle due ruote si avvicinano,generando una regione a volume decrescente. Di conseguenza l’olio presente nei vani è forzato a fluire verso la boccadi mandata.

Nelle macchine a ingranaggi interni la ruota motrice è a dentatura esterna, mentre la ruota condotta è a dentaturainterna. Nelle macchine con lunetta (figura 10) è presente un elemento fisso, detto appunto lunetta (crescent ininglese), che ha la funzione di separare gli ambienti di alta e bassa pressione. Nel funzionamento da pompa,imponendo una rotazione in senso antiorario alla ruota interna, nella zona d’ingranamento di destra si genera unvolume crescente tra i vani dei denti che viene occupato dal fluido proveniente dalla bocca di aspirazione. Incorrispondenza della lunetta i vani delle due ruote sono trasportati nel lato di mandata, dove il riavvicinamento deidenti costringe il fluido a uscire dalla bocca di mandata.Nelle macchine getoror (figura 11) la differenza tra il numero di denti della ruota esterna e interna è pari a uno. In talmodo è possibile, sagomando opportunamente i profili dei denti, generare N punti di contatto tra le due ruote che

Fig. 7: pompa a pistoni radiali a corpo cilindri rotante Fig. 8: pompa a pistoni radiali a corpo cilindri fisso

Fig. 9: pompa a ingranaggi esterni

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Fluid Power Research Laboratory Macchine volumetriche

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delimitano N camere pari al numero di denti della ruota esterna. Nel funzionamento da pompa, imponendo unarotazione al rotore interno in senso orario, le camere in basso aumentano di volume e pertanto sono connesseall’aspirazione, mentre quelle in alto sono connesse alla mandata essendo a volume decrescente.

Nel 1964 Lynn L. Charlson, fondatore della Char-Lynn Co. di Minneapolis (USA) ottenne il brevetto per unamacchina costituita da una coppia di ruote identiche a quelle utilizzate per realizzare le gerotor, in cui tuttaviaall’anello a dentatura interna è impedito di ruotare, mentre la ruota a dentatura esterna si muove al suo internorealizzando così un rotismo ad asse mobile (macchina orbitale). In particolare la ruota interna compie un motocomposto da due rotazioni: una rotazione attorno al proprio asse, il quale a sua volta ruota in senso opposto attornoall’asse della ruota fissa. Questo componente è utilizzato quale motore o anche come unità volumetrica di retroazionenelle idroguide. Il rotore interno è connesso all’albero del motore tramite un alberino cardanico (figura 12).

Le pompe a lobi (figura 13) sono costituite da due rotori con profili coniugati di cui uno collegato all’albero motore.Il rotore condotto è portato in rotazione sincrona con il primo grazie a una coppia di ingranaggi a dentatura esterna.Infatti, in questo caso i due rotori non sono in grado di scambiarsi con continuità una forza che assicuri una rotazionesincrona. Nel componente di figura 13 il rotore di destra ruota in senso orario e ovviamente quello di sinistra in sensoantiorario. In tal modo si genera nelle parte superiore un volume crescente che permette di aspirare il fluido, mentrenella parte inferiore il volume è decrescente. Anche in questo caso, come nelle pompe a ingranaggi esterni, esiste unvolume di trasporto costante. Nel caso di figura 13, per ridurre il grado di irregolarità di portata (vedere a pag. 111),sono presenti due stadi in parallelo con rotori sfasati di 90°.Le pompe a palette sono costituite da un rotore nel quale possono scorrere radialmente N palette la cui testa, pereffetto della pressione sulla radice, è mantenuta in contatto sulla pista interna di uno statore. In questo caso le camerea volume variabile sono delimitate internamente dal rotore, esternamente dallo statore e lateralmente da due palette.Nella tipologia a rotore non equilibrato (figura 14) la pista di scorrimento ha una forma circolare ed è eccentricarispetto al rotore, in tal modo la rotazione dell’albero genera delle camere a volume variabile. In questo tipo dimacchine è possibile variare la cilindrata cambiando l’eccentricità tra statore e rotore. Nella versione a rotoreequilibrato (figura 15), l’asse dello statore coincide con l’asse del rotore, ma la pista statorica ha una forma allungatache permette la formazione delle camere a volume variabile.

Fig. 10: pompa a ingranaggi interni con lunetta Fig. 11: macchina gerotor

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Fluid Power Research Laboratory Valvole di controllo della pressione

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21.2 Valvola limitatrice di pressione pilotata

21.2.1 Principio di funzionamento

La considerazione di valvole dotate di stadio pilota e, pertanto, di limitatrici di pressione pilotate è conseguenzadel fatto che, in limitatrici ad azionamento diretto, lo spostamento dell’otturatore (ad esempio a spillo) deve risultaretale da smaltire attraverso lo spigolo pilotante che si viene a generare portate che possono divenire considerevoli.Questo implica spostamenti assiali di una certa entità che comportano un incremento del coefficiente di non idealitàdella molla. Si potrebbe tentare di rimediare abbassando per quanto possibile la costante elastica della molla, il che aparità di altre condizioni richiederebbe un incremento del numero di spire della molla stessa. Ciò considerato, lamolla necessaria per una valvola limitatrice di pressione a comando diretto, particolarmente se di taglia rilevante,ovvero se impegnata a dover smaltire portate considerevoli, risulterebbe di ingombro assiale inaccettabile. Sipreferisce allora ricorrere a una limitatrice pilotata, perché in questo modo è possibile minimizzare il coefficiente dinon idealità 1. Questi concetti, anche se solo accennati, conservano validità generale.La valvola limitatrice pilotata (VLP) è in effetti costituita da due valvole (figura 13):• uno stadio pilota che gestisce unicamente linee di pilotaggio,• uno stadio principale che gestisce esclusivamente linee di potenza.

Lo stadio pilota possiede un elemento elastico con precarico variabile, mentre la molla dello stadio principale non ètarabile e, dato il suo modesto precarico, può essere chiamata molletta. Anche gli strozzatori presenti nel corpo dellavalvola giocano ruoli molto diversi:• quello di sinistra è uno strozzatore funzionale (Sf) ed è essenziale per il funzionamento della valvola, perché ha il

compito di disaccoppiare il livello di pressione intrattenuto dallo stadio pilota in regolazione da quello presente amonte dello stadio principale;

• quello di destra è invece uno strozzatore dinamico (Sd), con il compito di smorzare le oscillazioni dello stadioprincipale.

La pressione p indotta dal carico, che ipotizziamo crescente, si riporta staticamente, attraverso le linee di pilotaggio,su entrambe le superfici di influenza S dello stadio principale e sulla superficie di influenza s dello stadio pilota cherimangono inizialmente chiusi. Il primo, poiché le forze di pressione in apertura e in chiusura si equilibrano e ilcontributo della molletta, per quanto piccolo, fa pendere la bilancia a favore di queste ultime (figura 14), il secondo,perché la forza di pressione agente in apertura non riesce a equilibrare quella della molla tarabile.Tuttavia l’aumento della pressione del carico porterà a una condizione di equilibrio sullo stadio pilota:

(33)che inizierà a regolare intrattenendo, a monte di sé, la sua pressione di taratura:

(34)

Questa si esercita anche sul lato molla dello stadio principale. Lo strozzatore funzionale, ora attraversato da unaportata di pilotaggio, introduce una caduta di pressione tale da disaccoppiare la pressione p* da quella del carico checontinua a salire. La forza in chiusura pertanto rimane ora costante. In questo modo, anche sullo stadio principale, sipuò arrivare a una condizione di equilibrio in regolazione:

(35)

Fig. 13: valvola limitatrice di pressione pilotata con simbolo ISO semplificato e dettagliato

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Fluid Power Research Laboratory Valvole di controllo della pressione

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Si osserva che, a parte il piccolo contributo dovuto alla molletta, la pressione di linea viene limitata al valore p*deciso dallo stadio pilota. È evidente che senza lo strozzatore funzionale non sarebbe possibile disaccoppiare lapressione di linea dal valore di pressione imposto dallo stadio pilota e di conseguenza lo stadio principale nonpotrebbe regolare. Si può allora affermare che lo stadio principale governa la linea di potenza, mentre lo stadio pilotadetermina le condizioni per avere la regolazione. Nello strozzatore dinamico si realizza generalmente un flussolaminare che introduce un effetto smorzante sul moto del cassetto dello stadio principale.

21.2.2 Messa a vent e regolazioni su più livelli di pressione

La limitatrice pilotata presenta altri vantaggi rispetto alla soluzione ad azionamento diretto, oltre che allapossibilità di smaltire portate maggiori. Utilizzando un distributore D2/2, che collega la linea di pilotaggio internacon il serbatoio (valvola di vent), è possibile porre a zero la pressione px (figura 15). In tal caso la regolazione dellostadio principale vale:

(36)

che dato il debole precarico della molletta assume valori molto bassi, poco più della pressione di serbatoio. In talmodo è possibile mettere a scarico la linea a monte, ad esempio durante la fase di avvio di una pompa (vedereesempio a pagina 21). Un ulteriore vantaggio è di poter utilizzare uno stadio pilota esterno per poter far lavorare lavalvola a due o più pressioni di taratura selezionabili dall’utente.

Infatti, realizzando la configurazione di figura 16 è possibile selezionare due livelli di pressione di regolazione p1* ep2* < p1*, oltre che la messa a vent, a seconda della posizione del distributore D4/3. Nella posizione 1 il pilotaggio Xè chiuso e quindi la pressione di regolazione è decisa dalla taratura p1* dello stadio pilota interno. Nella posizione 2 siha la messa a vent come nel caso di figura 15. Infine, nella posizione 3 la valvola VL2 è connessa in parallelo allostadio pilota interno che è tarato a un valore più alto e quindi non può regolare, dato che la pressione sulla linea Xviene limitata a p2*. In sintesi, i tre valori di pressione regolata sono:1) p = p1* + fm / S2) p = fm / S3) p = p2* + fm / S

Fig. 14: forze agenti sullo stadio principale in funzione della pressione di monte

Fig. 15: valvola limitatrice con distributore di vent Fig. 16: valvola con due livelli di taratura e messa a vent

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30.4 Esempio di controllo load sensing per pompa a pistoni assiali

30.4.1 Descrizione del componente

Il controllo load sensing illustrato in figura 19 è montato sulle pompe Rexroth serie A10VSO e include in ununico corpo i limitatori di pressione differenziale (DPL) e assoluto (APL). Nella condizione di riposo i due cassettiidentici connettono la bocca A, collegata all’attuatore di regolazione della cilindrata, a scarico tramite la bocca T,mentre la bocca P rimane chiusa. La pressione di mandata agisce, grazie a un foro radiale e assiale su ciascuncassetto, sulle superfici di influenza di sinistra e tende a spostare i cassetti verso destra, comprimendo le due coppie dimolle tarabili. Nella camera delle molle del DPL agisce la pressione di LS, che giunge tramite un canaleperpendicolare al piano di sezione, mentre nella camera delle molle dell’APL la pressione è quella della bocca T.Lo schema idraulico dell’intero controllo è riportato in figura 20, in cui uno strozzatore variabile simula undistributore proporzionale. Con controlli non in regolazione, la cilindrata della pompa è mantenuta al massimo grazieall’attuatore di contrasto di superficie a e alla molla non tarabile, mentre l’intervento di uno dei due controlli provocal’innalzamento della pressione nell’attuatore di regolazione di superficie A con conseguente riduzione di cilindrata.

Per pressioni di mandata inferiori a p*, il limitatore differenziale regola in modo da garantire pp = pu + sp. Quandoinvece la pressione di mandata raggiunge p*, regola il limitatore assoluto in modo che pp = p* (saturazione inpressione). In tal caso, poiché la caduta di pressione sul distributore sarà inferiore a sp, il limitatore assoluto saràconnesso alla bocca T tramite il cassetto del limitatore differenziale, il quale a sua volta rimarrà a riposo. I risaltipreposti al controllo delle sezioni di passaggio sono indicati con 1 per P-A e con 2 per A-T.Lo strozzatore fisso St1 permette la messa a scarico del segnale di LS quando il distributore è chiuso: tale soluzioneviene utilizzata se il distributore non prevede questa opzione nella posizione di riposo. Viceversa lo strozzatore St1non è strettamente necessario.La coppia di strozzatori St2 è realizzata su un tappo che può essere ruotato tramite un cacciavite. Nella posizioneillustrata in figura 19 gli strozzatori sono aperti, mentre vengono chiusi ruotando il tappo di 90°. Tali strozzatoripermettono di abbassare il guadagno in pressione del controllo per evitare problemi di instabilità.

Fig. 19: sezione del limitatore assoluto e differenziale di una pompa Rexroth A10VSO

Fig. 20: schema ISO del controllo

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30.4.2 Modello di simulazione

Il modello in ambiente Simcenter Amesim che riproduce il circuito di figura 20 è illustrato in figura 21. Nellaparte in alto si riconoscono i due cassetti del limitatore differenziale e assoluto. La pompa è simulata con un modelloideale, in cui il fattore di modulazione della cilindrata è calcolato in base all’equilibrio di una massa rotante, la qualesimula la piastra inclinata di una pompa a pistoni assiali. A sua volta l’angolo di inclinazione della piastra vienedeciso dalle forze scambiate dai due attuatori di regolazione e di contrasto. Il carico è simulato con un generatoreideale di pressione, mentre il distributore con uno strozzatore variabile.I principali parametri della simulazione sono i seguenti.• Velocità del motore primo = 1500 giri/min.• Cilindrata della pompa = 71 cm3/giro, con inclinazione massima della piastra di 16°.• Attuatori: diametro di A = 27.7 mm, diametro di a = 13 mm, molletta con precarico 290 N e rigidezza 4 N/mm.• Valvole APL e DPL:

• diametro cassetto = 7 mm, • diametro foro intercettato dai risalti = 4 mm, • corsa dei cassetti per cui la bocca A vede sia P che T = 0.1 mm,• taratura DPL: sp = 20 bar• taratura APL: p* = 270 bar.

• Diametri strozzatori St2 = 0.6 mm.• Strozzatore che simula il distributore: con segnale di comando 100% di apertura genera una caduta di pressione di

1 bar quando attraversato da 30 L/min.La prima prova viene eseguita imponendo una rampa di pressione al carico da 0 a 300 bar in 100 s e mantenendocostante e pari a 0.5 il segnale di ingresso al distributore. In figura 22 sono riportate le pressioni alla mandata dellapompa e la pressione di LS a valle del distributore (a monte della non ritorno); inoltre è anche diagrammata la lorodifferenza. In figura 23 è riportata la portata inviata all’utenza.Si osserva che fintanto che la pressione di mandata si mantiene al di sotto di p*, la differenza di pressione ai capi deldistributore è costante a pari a circa 20 bar (valore di sp) e di conseguenza anche la portata rimane costante. Quandosi raggiunge sulla mandata la pressione di 270 bar (valore di p*), la pressione viene mantenuta costante, pertantol’ulteriore aumento della pressione del carico provoca la riduzione della portata (condizione di saturazione inpressione), fino alla chiusura della non ritorno.

Fig. 21: modello Simcenter Amesim del limitatore assoluto e differenzialeSFSam

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La seconda simulazione invece prevede un carico costante di 100 bar e un segnale di ingresso al distributore variabilelinearmente da 1 a 0.1 in 100 s. In figura 24 sono riportate nuovamente le pressioni, mentre in figura 25 la sezione dipassaggio del distributore e la portata all’utente. Si osserva che all’inizio della simulazione l’apertura del distributoreè tale da generare una caduta di pressione inferiore a 20 bar, pertanto il limitatore differenziale non regola e la pompaè mantenuta a cilindrata massima, erogando la massima portata (saturazione in portata). A circa 25 s il limitatoredifferenziale entra in regolazione, mantenendo la caduta di pressione sul distributore costante. Di conseguenza laportata inviata è proporzionale alla sezione del distributore e quindi al comando fornito dall’utente.

30.5 Esempi di distributori load sensing commercializzati

Esaminati i concetti a livello teorico, si propone ora un’analisi di alcuni distributori load sensing, così da chiarirecome vengano effettivamente messe in pratica le idee esposte. La trattazione è focalizzata sulla compensazione dellapressione, pertanto anche la descrizione del componente sarà improntata a questo fine; per lo stesso motivo glischemi degli impianti proposti saranno semplificati. In dettaglio si riporteranno due esempi di distributori pre-compensati, tre esempi di distributori post-compensati e, infine, un sistema ibrido, come riassunto in tabella 1.

Fig. 22: pressione del carico (LS), di mandata e caduta di pressione sul distributore con sezione di passaggio fissa

Fig. 23: portata all’utenza con distributore a sezione di passaggio fissa e carico variabile

Fig. 24: pressione del carico (LS), di mandata e caduta di pressione sul distributore con sezione di passaggio variabile

Fig. 25: sezione di passaggio variabile del distributore e portata all’utenza

Tab. 1: sintesi dei distributori proposti

Pre-compensati Post-compensati Ibridi

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PVB60 di Danfoss PVB100 di Danfoss

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30.5.1 Distributori pre-compensati: modulo PVB60 del gruppo Danfoss PVG60

Appare utile iniziare con il modulo PVB60 facente parte del gruppo di regolazione PVG60 di Danfoss, poiché èuno dei primi distributori apparsi sul mercato.La sua sezione longitudinale è riportata in figura 26: in alto si notano il compensatore locale che ospita al suo internouna valvola unidirezionale, al centro il cassetto principale (è l’elemento che determina l’area di passaggio) e, più inbasso, delle valvole preposte alla limitazione dei segnali locali di pressione (antishock e anticavitazione). Sulla destraè indicata la posizione del modulo elettro-idraulico PVE, mentre sulla sinistra è visibile parte della leva perl’azionamento meccanico di emergenza.Relativamente alle bocche, la mandata della pompa P è localizzata in alto, mentre in basso si identificano le bocche diconnessione A e B con l’utenza comandata. Inoltre LS indica gli ambienti in cui vige la pressione di load sensing e Tgli ambienti dove è presente la pressione di scarico.Per ciò che concerne la logica di funzionamento, con il cassetto principale in posizione di riposo il distributore sipresenta a centro chiuso e, come giusto che sia, il compensatore è normalmente aperto e il segnale di LS è posto ascarico. La commutazione del cassetto, ad esempio verso destra, ha il fine di mettere in connessione la mandata con labocca A: tale spostamento mette in collegamento anche la linea di load sensing con la stessa bocca A, in lieveanticipo rispetto alla connessione con la mandata. In dettaglio, il segnale del carico è prelevato grazie al sistema difori interni al cassetto e quindi, facendolo passare in valvole selettrici al fine di isolarne il maggiore, inviato al gruppodi alimentazione. Contestualmente la bocca B è posta a scarico. La commutazione del cassetto in senso contrario creaovviamente la connessione inversa, P con B e A con T.Introdotto il componente nella sua globalità, ora l’interesse si concentra sul compensatore che si riporta in figura 27con anche il suo schema simbologico nelle condizioni di riposo. La pressione di alimentazione (bocca P) noninfluenza l'equilibrio del cassetto, perché le facce esposte sono, in ogni caso, uguali fra loro. In condizioni diregolazione attraverso lo spigolo pilotante del cassetto sarà presente una caduta di pressione. Sul cassetto delcompensatore locale agiscono le seguenti pressioni:• a destra, in apertura, l’informazione di pressione proveniente dal carico pLS (letta dalla bocca A ovvero B) e

trasmessa attraverso uno dei due condotti gemelli presenti nel corpo del cassetto principale,• a sinistra, in chiusura, la pressione pm = pLS + sc, grazie all’equilibrio del cassetto.Si osservi inoltre che la pLS, tramite un canale tratteggiato che attraversa orizzontalmente il distributore e che, a suavolta, intercetta un canale verticale, arriva a confrontarsi sull’elemento mobile della selettrice (shuttle valve) conl’informazione di pressione più elevata risultante da precedenti confronti (effettuati da altre valvole selettrici) tra icarichi connessi a ulteriori moduli PVB. Dal confronto nella selettrice sortirà la pressione maggiore che viene avviatasulla linea LSout all’esterno del modulo stesso.

Fig. 26: sezione del modulo PVB60 di DanfossSam

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Fluid Power Research Laboratory Sistemi di sterzatura idrostatici

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34. SISTEMI DI STERZATURA IDROSTATICI

34.1 Il servosterzo

34.1.1 Principio di funzionamento

Uno sterzo meccanico tradizionale (figura 1) è costituito da un volante collegato, tramite un albero a doppio giunto cardanico, a un pignone che si impegna su una cremagliera. Le estremità della cremagliera sono collegate, per mezzo di cerniere sferiche, ai braccetti di sterzo, a loro volta vincolati ai quadrilateri che portano il mozzo ruota mediante una cerniera piana (in tal modo i braccetti si comportano come aste sollecitate solo a trazione o compressione). Ruotando il volante si comanda direttamente l’orientamento delle ruote e sul volante si avverte la coppia resistente generata dall’attrito tra pneumatico e fondo stradale. Il servosterzo oleodinamico (hydrostatic steering unit) è simile a una scatola di sterzo meccanico a cremagliera (figura 2), che presenta però il notevole vantaggio di poter essere azionato grazie all’intervento di un attuatore idraulico.

In particolare si hanno le seguenti differenze:• nella scatola di sterzo è inserito un attuatore a doppio effetto e stelo passante solidale a un’estremità con l’asta a

cremagliera,• nella sede del pignone è ubicato un distributore rotante a posizionamento continuo. La posizione di riposo del

distributore è stabilita da una barra di torsione che, in assenza di sollecitazioni e quindi del comando, garantisce il posizionamento relativo tra cassetto e camicia.

Lo schema simbologico equivalente è riportato in figura 3a, in cui si riconoscono gli elementi essenziali di un servosistema oleodinamico, ovvero il gruppo di alimentazione (1), il distributore a posizionamento continuo (2) su cui è imposto il comando Y0, un attuatore lineare (3) e la retroazione negativa di posizione (4) ottenuta collegando meccanicamente la camicia del distributore con lo stelo dell’attuatore.

Fig. 1: sterzo meccanico a cremagliera Fig. 2: servosterzo

Fig. 3: schema simbologico equivalente di un servosterzo (a) e rappresentazione del distributore come un ponte di Graetz (b)Sam

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Ovviamente in questo caso il comando è la rotazione del volante, ma per facilità di rappresentazione si farà riferimento a una traslazione Y0.Il distributore ha un centro in by-pass e può essere rappresentato come quattro strozzatori variabili collegati secondo un ponte di Graetz (figura 3b), la cui sezione di passaggio dipende dalla posizione relativa tra cassetto e camicia.Nella posizione di riposo, intrattenuta dalla barra di torsione, il ponte risulta bilanciato in quanto A0 = A1. In questa configurazione la portata di olio proveniente dal gruppo di alimentazione incontrerà la stessa resistenza nei due percorsi P-R-T e P-L-T. Inoltre la caduta di pressione P-T sarà equamente suddivisa sugli strozzatori A0 e A1 e di conseguenza si avrà:

(1)

che comporta una forza nulla sull’attuatore.Immaginiamo ora di impartire una rotazione al volante, ovvero uno spostamento del cassetto verso destra. Questo provocherà un aumento della sezione di passaggio A0 tra P ed L (e di conseguenza anche tra R e T) e allo stesso tempo una riduzione della sezione A1 tra P ed R (e tra L e T). Tale sbilanciamento del ponte farà crescere la pressione sulla bocca L, mentre la pressione sulla bocca R tenderà alla pressione di serbatoio. Si genererà quindi una differenza di pressione tra le due camere dell’attuatore che pertanto si sposterà verso destra. A causa però della retroazione, anche la camicia si sposterà verso destra inseguendo il cassetto. Il movimento dell’intero sistema continuerà fino a quando il guidatore non interromperà la rotazione mantenendo fermo il volante in una nuova posizione. A questo punto la camicia sarà in grado di “raggiungere” il cassetto riportando la valvola nella posizione di centro, alla quale corrisponde una differenza di pressione nulla tre le camere dell’attuatore. È così pertanto possibile far traslare l’attuatore di una quantità Y proporzionale al comando Y0.Il ragionamento è analogo se si applica un comando verso sinistra. Si deve osservare che:• lo sforzo esercitato dal guidatore è solo quello di torcere la barra di torsione, perché il carico esterno viene vinto

dalla forza idraulica,• la velocità con cui si muove l’attuatore dipende dalla velocità con cui il guidatore ruota il volante e non dalla

portata Qp generata dal gruppo di alimentazione,• in condizioni di funzionamento normale il distributore non lavora nelle posizioni estreme, quindi A0 e A1 non si

chiudono mai completamente; di conseguenza non tutta la portata Qp alimenta l’attuatore, ma una quota in eccesso va direttamente a serbatoio tramite il distributore.

È necessario distinguere tra il caso in cui la sterzatura viene effettuata a vettura ferma, ad esempio nelle manovre di parcheggio, o con vettura in movimento. Nel primo caso la forza esterna data dall’attrito tra gli pneumatici e il suolo persiste fino a quando il guidatore sta ruotando il volante e si azzera quando il volante è fermo.Invece mentre viene percorsa una curva, raggiunta una certa condizione di sterzata gli pneumatici del veicolo sono soggetti a una coppia raddrizzante. Questa, tramite i braccetti di sterzo e la cremagliera, si trasmette sino a fare ruotare il pignone. Nel caso in cui non si intrattenga la posizione del volante, il pignone trasmette la rotazione, oltre che alla camicia, anche al cassetto e quindi al volante tramite la barra di torsione. Questa non subirà, in effetti, una torsione dal momento che le forze che si oppongono alla rotazione sono solo quelle di attrito tra camicia e carcassa del distributore che è in condizioni di bypass. Volendo invece percorrere la curva sarà necessario tenere fermo il volante, il che comporta una torsione sulla barra che, consentendo il moto relativo della camicia rispetto al cassetto (ora fermo), mantiene il ponte di Graetz sbilanciato, originando in questo modo una differenza di pressione ai capi dell’attuatore di sterzo; la forza che si genera è tale da uguagliare quella che tenta di raddrizzare gli pneumatici.Il sistema descritto permette anche la sterzatura manuale nel caso in cui il gruppo di alimentazione non funzioni o si verifichi una perdita di olio dal circuito. La sterzatura è garantita dal finecorsa tra il cassetto e la camicia che limita a un valore massimo lo spostamento (rotazione) relativo tra i due. Facendo riferimento alla figura 4, si immagini un’interruzione tra la pompa e il servosterzo.

Fig. 4: condizione di sterzatura manuale con gruppo di alimentazione non funzionante

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A seguito del comando Y0 inizialmente non accade nulla, non essendoci portata attraverso il distributore, il quale arriva pertanto nella condizione di funzionamento estrema di sinistra. A questo punto però il cassetto va in battuta contro la camicia, che quindi viene anch’essa spostata. Dato che la camicia è connessa all’attuatore, il guidatore, come in uno sterzo meccanico, è in grado di sterzare, applicando ovviamente una forza maggiore e funzione del carico esterno Fe.Tuttavia l’attuatore può essere spostato solo se si cortocircuitano le due camere e a questo scopo è presente una valvola di non ritorno che collega le bocche P e T.

34.1.2 Il sistema TRW

34.1.2.1 I componenti principaliIl sistema di sterzatura idrostatica realizzato dalla TRW è presentato nella figura 5. Il servosterzo è costituito da

pochi elementi fondamentali:• un distributore rotante (rotary valve) a posizionamento continuo con centro in bypass,• un pignone (pinion) a denti elicoidali solidale alla barra di torsione (torsion bar) che permette il centraggio del

cassetto del distributore rispetto alla camicia,• un cilindro a doppio effetto il cui stelo termina, su un lato, con una cremagliera (rack),• una carcassa in cui sono ricavate sia la camicia del cilindro che la sede del distributore rotante avente 4 bocche per

il collegamento con la pompa, il serbatoio e le camere del cilindro,• tubi di collegamento a bassa pressione,• un serbatoio,• una pompa a cilindrata fissa.

In figura 6 è mostrato l’assieme del distributore rotante con la camicia (sleeve) in sezione montata sul cassetto (spool), mentre in figura 7 è riportata una sezione dell’attuatore lineare a stelo passante le cui estremità sono collegate ai braccetti dello sterzo (steering rod) tramite snodi sferici. Il distributore rotante è supportato da un cuscinetto a sfere disposto anteriormente al pignone e da una boccola d’acciaio a monte della stessa.

Fig. 5: sistema di sterzatura idrostatico della TRW con anche vista in trasparenza della carcassa

Fig. 6: distributore rotante con la camicia in sezioneSam

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40. SISTEMI DI FRENATURA ELETTROIDRAULICI

40.1 Generalità

L’impianto di frenatura in un autoveicolo deve assolvere tre compiti diversi:• consentire l’arresto del veicolo in casi di emergenza, funzione che comporta il più elevato possibile momento

frenante,• permettere il controllo della velocità con momenti frenanti e decelerazioni non eccessive e un uso del freno anche

prolungato (per questo l’azionamento deve essere realizzato in modo da non affaticare troppo il guidatore),• assicurare l’arresto di stazionamento del veicolo, soprattutto nei parcheggi in pendenza.Generalmente queste tre funzioni sono realizzate da un impianto in cui si possono distinguere un sistema di servizio, usato durante la marcia del veicolo, un sistema secondario, anche questo usato durante la marcia e nato per garantirsi da guasti improvvisi, e un sistema di freno stazionario (freno a mano) usato in fase di parcheggio.Un esempio di impianto frenante è riportato in figura 1. Per evitare al guidatore uno sforzo eccessivo sul pedale del freno (1) il sistema è dotato di un servofreno (2), il più delle volte pneumatico, che comanda direttamente una pompadoppia (3) che, prelevando fluido da un serbatoio sovrastante dotato di setto separatore (4), alimenta due condotti collegati ai cilindri di frenatura anteriori (5) e posteriori (6), quelli cioè che azionano le ganasce del freno, il quale può essere a disco o a tamburo. In alcune vetture è inoltre presente un correttore di frenata (7).

Va detto però che la soluzione descritta non è l’unica usata. In alcune vetture particolarmente economiche, ad esempio, non è previsto il servofreno e la forza necessaria è ottenuta mediante una serie di leveraggi, mentre in altri casi l’impianto è costituito nell’ordine da pedale, pompa e servofreno che, in questo caso, non amplifica la forza applicata dal guidatore, ma piuttosto il livello di pressione del fluido di lavoro.

40.2 Componenti

40.2.1 Servofreno

Il servofreno è il primo organo che viene azionato dal pedale del freno: il suo compito è di incrementare la forza applicata dal guidatore. Per comprenderne il funzionamento è necessario ricorrere ad alcune sezioni. In figura 2a tale organo è riportato in posizione di riposo, cioè quella mantenuta durante la marcia normale (non frenata) del veicolo, ed è possibile identificarne i componenti principali.In condizione di riposo il pistone 4 è mantenuto a contatto della parte sinistra della carcassa grazie alla molla 18, mentre la molla 14 spinge l’asta 7, collegata al pedale del freno, nella stessa direzione. La camera 2 è in depressione perché collegata al collettore di aspirazione del motore. Durante la marcia del veicolo la pressione nei collettori varia in un intervallo di valori anche abbastanza ampio al variare dell’apertura della valvola a farfalla e, in modo meno sensibile, del numero di giri del motore, mentre durante una frenata, e quindi con il pedale dell’acceleratore sollevato e la valvola a farfalla nella condizione di massima chiusura, la pressione oscilla debolmente attorno a 0.3 bar assoluti. Nei motori Diesel, non parzializzati, i collettori di aspirazione non hanno un livello di pressione sufficientemente basso. Esiste pertanto un organo aggiuntivo, il depressore, con una struttura del tutto simile a quella di una pompa a palette ma aspirante aria, che viene collegato a uno dei due alberi a camme. Con il depressore si riescono a raggiungere livelli di pressione inferiori a 0.1 bar assoluti ed è utilizzato ormai anche sui motori a benzina. Nella camera 2 del servofreno una valvola di non ritorno 9, collocata in corrispondenza della bocca di collegamento ai collettori di aspirazione (o al depressore), mantiene un livello di pressione pari al minimo raggiunto a partire dall’istante di rilascio del pedale del freno relativo alla frenata precedente. La camera di lavoro 8 è separata dalla 2

Fig. 1: schema di un generico impianto frenante

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(camera in depressione) mediante il pistone 4, sul quale si appoggiano il diaframma di gomma 3 e il distributore 5. In condizioni di riposo, figura 2a, il distributore 5 è aperto: le due camere (2 e 8) sono quindi collegate e alla stessa pressione. Nel momento in cui si preme il pedale del freno, l’asta 7 si sposta verso destra e chiude la comunicazione della camera 8 con la 2 aprendo quella con l’atmosfera (col numero 6 è indicato il filtro dell’aria su questo collegamento). In questa condizione, sul pistone 4 agisce una differenza di pressione con risultante nel verso dello spostamento dell’asta, cioè una risultante che incrementa la forza applicata dal guidatore al pedale di una quantità proporzionale alla differenza di pressione tra la camera 8 e la camera 2. Il pistone 4 è collegato a una seconda asta 1, che trasmette la forza generata dal pedale e amplificata dal servofreno alla pompa doppia. La configurazione di lavoro appena descritta è rappresentata nella figura 2b.

È importante notare che la trasmissione del moto alla pompa può avvenire senza l’aiuto del servomeccanismo, in modo da garantire la possibilità di frenare anche in caso di avaria di uno qualunque degli elementi sopra descritti, ovviamente con un maggiore sforzo sul pedale.La parte più complessa dell’organo in questione è sicuramente il distributore (5), di cui le figure seguenti riportano un ingrandimento. Lo schema simbologico equivalente del servofreno è il primo a essere riportato in figura 3.

In condizioni di riposo le camere 2 e 8, collegate mediante il condotto 19 (figura 4), si trovano entrambe alla medesima pressione, inferiore a quella atmosferica. Il collegamento è garantito dalla molla 14, che spinge l’asta 7 e l’otturatore 13, il quale va in battuta contro la guarnizione 11 allontanandola dalla sua sede 12 e portando a compressione la molla 15. Il ritorno dell’asta 7 è limitato dal lamierino 16. In condizione di riposo l’intero organo si dispone quindi nella configurazione sopra descritta.

(1) asta di azionamento della pompa doppia, (2) camera in depressione, (3) diaframma, (4) pistone di attuazione, (5) distributore, (6) filtro dell’aria, (7) asta azionata dal pedale, (8) camera di lavoro, (9) valvola di non ritorno, (14) molla dell’asta 7, (18) molla del pistone

Fig. 2: servofreno in condizioni di riposo a) e di lavoro b)

1. connessione a pressione atmosferica2. distributore a posizionamento continuo3. attuatore lineare4. retroazione di posizione5. sorgente di depressione6. pedale del freno7. asta di azionamento della pompa doppia

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Fluid Power Research Laboratory Sistemi di frenatura elettroidraulici

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Azionando il pedale del freno, e quindi muovendo l’asta 7 (figura 5), si muove anche l’otturatore 13. Quando la guarnizione 11 arriva in battuta contro la sua sede 12, che peraltro è solidale al pistone di lavoro 4, il condotto 19risulta chiuso e non è quindi più in grado di trasmettere un segnale di pressione (inferiore alla pressione atmosferica) alla camera di lavoro 8, la quale è ancora separata dall’ambiente a pressione atmosferica 10. Durante questa prima fase, la forza esercitata dal guidatore sul pedale è solo quella necessaria a comprimere la molla 14, mentre la forza trasmessa alla pompa doppia è ancora nulla.

La connessione tra questi ambienti si avrà solo con un ulteriore avanzamento dell’asta 7 (figura 6): in questo modo, infatti, l’otturatore 13 si stacca dalla guarnizione 11 creando il passaggio desiderato. A questo punto nella camera 8 la pressione si alza e il pistone 4 inizia a muoversi trasferendo il suo moto allo stelo 1 e quindi alla pompa doppia tramite la corona circolare esterna del disco di reazione di gomma 18. In questa fase anche il guidatore può esercitare direttamente una forza sullo stelo della pompa doppia tramite la parte centrale del disco di reazione.La deformabilità del disco di reazione permette al pistone, e quindi alla camicia, di spostarsi maggiormente rispetto all’otturatore, grazie allo schiacciamento del disco stesso sul bordo esterno e alla sua conseguente estrusione verso l’otturatore. In questo modo, quando il pedale del freno ha raggiunto una certa posizione imposta dal guidatore, la valvola ritorna nella posizione di centro, mantenendo nella camera di sinistra 8 un valore di pressione px tale per cui pmin < px < patm (figura 7). Chiamata A la superficie di influenza, la forza generata dell’attuatore vale:

(1)

1. asta azionamento pompa doppia2. camera in depressione4. pistone dell’attuatore6. filtro dell’aria7. asta azionata dal pedale 8. camera di lavoro 10. ambiente a pressione atmosferica 11. guarnizione con supporto rigido12. finecorsa guarnizione 1113. otturatore14. molla di contrasto15. molla di chiusura 16-17. finecorsa dell’otturatore 1318. disco di reazione19. condotto di collegamento (8 - 2)

Fig. 4: ingrandimento del distributore in posizione di riposo

Fig. 5: ingrandimento del distributore in posizione di centro chiuso

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finecorsa guarnizione 11inecorsa guarnizione 11. otturatoreottura

4. molla di contrasto4. molla di co15. molla di chiusura 15. molla di chiusura16-17. finecorsa dell’otturatore16-17. finecorsa dell’ottu18. disco di reazione18. disco di reazion19. condotto di collegamen19. condotto di collegame

osizione di riposone di ripo aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa