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Corriere di Como Mercoledì 26 Novembre 2008 8 Corriere di Como Mercoledì 26 Novembre 2008 9 Primo Piano Il giallo del 28 aprile 1945 Quanto avvenne in riva al Lario divide ancora gli storici «Claretta si disperava Poi una scarica di mitra» La figlia di Dorina Mazzola rivela gli appunti della madre sulla fine della donna «Rendo questa mia te- stimonianza per amore della verità». Firmato: Dorina Mazzola. Una don- na di Mezzegra che nel 1945 aveva 19 anni. E vide qual- cosa in grado di stravolge- re la versione ufficiale del- la fucilazione di Benito Mussolini e Claretta Pe- tacci. La figlia racconta che subì intimidazioni e inviti a tenere il silenzio, e qualcuno le gettò addirit- tura una bomba (disinne- scata) in casa per terroriz- zarla. Dorina, però, negli anni Novanta, mezzo seco- lo dopo i fatti, decise di raccontare la sua verità: l’amante del duce sarebbe stata uccisa davanti a casa Mazzola, nella strada che scende dalla villa dei De Maria a Bonzanigo, la mattina del 28 aprile ’45. Secondo la versione uffi- ciale, invece, Mussolini e Claretta Petacci vennero fucilati nel pomeriggio davanti al cancello di Villa Belmonte. La versione di Dorina Mazzola è già stata ripresa da più studiosi, tra i quali Giorgio Pisanò, autore del libro “Gli ultimi cinque secondi di Mussolini”. Quel che segue, però, è una testimonianza che – pur concordando perfetta- mente con quanto pubbli- cato finora – rappresenta un inedito. È il riassunto di una serie di fogli, appun- ti e bozze che Dorina Maz- zola consegnò personal- mente alla primogenita, Albertina Vanini, che ac- cetta di rileggerli «in ono- re della mamma». Ecco gli stralci più im- portanti. Legge Alberti- na, prestando la voce a mamma Dorina Mazzola, morta nel 2001. «Quando uccisero il duce e Claretta Petacci gli storici diedero una versione ufficiale che non compresi mai. Perché volevano nascondere la verità? Forse perché Cla- retta Petacci fu uccisa so- lo per errore, o perché sa- peva troppo bene che l’uo- mo che amava e che aveva seguito a scapito della propria vita non era mor- to dinanzi al cancello di Villa Belmonte a Giulino di Mezzegra in seguito a una regolare e formale fu- cilazione. Dopo quello che accadde, si sparse la voce che per cinquant’anni non si poteva parlare e per me- glio far recepire il concet- to lasciavano biglietti in- timidatori di chi sapeva e parlicchiava in giro». Il racconto vola veloce a quella mattina del 28 apri- le ’45, attorno alle 9. «Come aprii la finestra della mia camera sentii subito che in casa De Maria stavano litigando. Sentivo la Lia (De Ma- ria, ndr) che piangeva, e gridava di- sperata e diceva: “Ma sono cose da capitare in casa mia?”. E mentre ascoltavo vedevo uo- mini che si aggiravano nel cortile nei dintor- ni della por- ta della stalla, o cantina, e tra questi uno solo mi col- pì, per la sua testa così cal- va che luccicava nuda fino al girocollo della canottie- ra o della maglia. E si muo- veva con passetti corti e quasi zoppicante scompa- riva davanti ai miei occhi dietro la siepe del cortile. Mentre una giovane donna intanto si affacciava alla finestra del porticato gri- dando “aiuto, aiuto”, ma qualcuno subito la trasci- nò in casa. Sentivo urla, e pianto, sedie cadere per terra, e colpi di pistola che sparavano all’interno del- la casa, colpi distanziati di pochi minuti e alcuni di pochi secondi l’uno dall’altro». Quella «giovane donna» che urlava sarebbe Claret- ta Petacci. L’uomo calvo, presumibilmente, Musso- lini. Ricominciano gli spari. «Il tempo passava, poi a un tratto sentii spa- rare, e vidi scariche di mi- tra, colpi di pistola tutto nel cortile. Sembrava un campo di battaglia, poi tutto cessò». Nel frattem- po, l’orologio segna circa le 11 del mattino. Dorina, nascosta dietro un muc- chio di rottami, vede due partigiani che trascinano un uomo esanime, potreb- be essere Mussolini ma lei non ne riconosce il viso. «Ecco che dalla curva della strada, fatta a gomi- to, spunta- vano fuori tre uomini a braccet- to, che ve- nivano avanti con passo len- to, e la don- na che sta- va dietro di loro gli si portò da- vanti get- tandosi in ginocchio ai piedi di quell’uomo in cappotto militare che stava nel mezzo tra i due partigiani. […], io ve- devo quell’uomo dal cap- potto col bavero rialzato che lo ricopriva dalla testa ai piedi, poi capivo che non era a braccetto, ma sor- retto sotto le ascelle, lo trasportavano di peso, la testa era un po’ reclinata, le braccia penzolanti, le gambe non piegava. Però sorretto in piedi quasi a non voler dimostrare che era un uomo morto. […] La donna si tirava i capelli, sembrava pazza, e scoppiò in un gran pianto. Ma tra singhiozzi e pianti urlò una frase: “Come vi siete ridotto!”». Il racconto di Dorina (letto dalla figlia) diventa improvvisamente tragico. Parte una scarica di mi- tra, Claretta non si vede più. «Mentre mi spostavo dai rottami vidi la donna che stava per prendere la via che scendeva, ma una scarica di mitra fece fuo- co, e i proiettili trovando lo spazio nel vuoto sulla strada piombarono per primo sul mucchio dei rot- tami, falciando poi il mu- ro della sostra (una specie di stalla, ndr) e della mia casa. Sentivo uomini urla- re, e donne che strillavano di spavento, sembrava che i partigiani stavano per spaccare il cielo. La prima parola che udii da loro fu questa: ”Pezzo di m…, guarda là, guarda cos’hai fatto, che cosa ti è venuto in mente di spara- re, asino. Da dove sei arri- vato? È quella la maniera di sparare, pezzo di m…? Non farti incontrare”. Un partigiano gridava: “Se ti incontro ti lego le budella al collo!”. […] Passavano i minuti, però lei, la donna, non arrivava. […] Io vede- vo tutte quelle facce stra- volte, barbe incolte, capel- li baruffati, ma capivo dai loro gesti e dai loro sguardi che qualcosa non era an- dato per il verso giusto». Dorina poi riconosce nel cadavere a braccetto dei partigiani «lo stesso uomo che si aggirava al mattino nel cortile dei De Maria». Molti sostengono – an- che basandosi sulla testi- monianza di Dorina Maz- zola – che Mussolini venne ucciso in casa De Maria e la Petacci sulla strada per scendere in paese. I parti- giani avrebbero quindi in- scenato una falsa fucila- zione attorno alle 16 da- vanti a Villa Belmonte di Giulino. Ancora Dorina: «Quando arrivai alla piaz- zetta della piccola fonta- nella (ore 16 circa) vidi su- bito sangue, mi si avvicinò il padrone della villa, sen- tii chiamarmi: “Signori- na!”, “Sì, signor Gilardoni, mi dica”. E cominciò a raccontarmi: dal viale Ri- membranze arrivò fin qui in piazzetta una macchina scura, trascinavano fuori un uomo morto, quasi nu- do, lo hanno poggiato per terra, lo hanno spogliato tutto, poi l’hanno lavato, mentre stavamo parlando un mitra sparò in alto, e vedemmo bene la nuvola del bruciato. La direzione era quella di Giulino». Albertina Vanini, nel leggere le memorie della madre, fatica a trattenere la commozione. Al termi- ne del racconto spiega di aver accettato di parlare «in onore della mamma», che «per cinquant’anni ha dovuto mantenere il silen- zio. Tutti i testimoni ocu- lari erano vittime di inti- midazioni, a mia mamma buttarono persino una bomba (disinnescata, ndr) in casa. Lei era rimasta sconvolta dalla morte di quella donna che, poi, col- legò a Claretta Petacci – continua Albertina – e io ricordo che Pierino, papà di Dorina, davanti al muro della casa (Mazzola, ndr) si commuoveva sempre, e ri- peteva: “Non abbiamo po- tuto fare niente per quella povera donna”». Quella donna, capirà poi Dorina, era Claretta Petacci, stroncata in strada da una raffica di mitra. Andrea Bambace LA VILLA In alto, casa De Maria a Bonzanigo di Mezzegra Secondo il racconto di Dorina Mazzola, Claretta Petacci, l’amante del duce (a destra), venne uccisa sulla strada che dalla villa scende verso il centro del paese (foto giovannisalici) (a.bam. ) “Piazzale 28 aprile 1945”. Non una lette- ra in più. Che a Mezzegra manchi ancora una “veri- tà vera”, lo si capisce per- sino dall’intitolazione della piazzetta principale. La dicitura è generica an- che per motivi di equili- brio: ogni parola in più po- trebbe urtare sensibilità politiche tutt’altro che sopite. Ma quel cartello, che dice tutto e niente, è il simbolo del giallo che av- volge la morte di Benito Mussolini e Claretta Pe- tacci. Catturati il 27 aprile 1945 nei pressi di Musso, il duce e la sua amante pas- sarono l’ultima notte a ca- sa di Giacomo e Lia De Maria, nella frazione di Bonzanigo di Mezzegra. È ancora un mistero quel che accadde il giorno successivo: secondo la ver- sione ufficiale del parti- giano Walter Audisio, il “colonnello Valerio”, Mus- solini e la Petacci vennero fucilati nel pomeriggio davanti al cancello di Villa Belmonte, a Giulino di Mezzegra. Secondo altre testimonianze, Mussolini venne ucciso la mattina in casa De Maria, e la Petacci fucilata poco più tardi nel- la strada che porta dai De Maria al paese. I partigia- ni avrebbero quindi insce- nato una falsa fucilazione a Villa Belmonte. Dare una versione defi- nitiva di quel 28 aprile è an- cora il sogno di molti sto- rici. Ciascuno racconta la “sua” verità. «Ho visto Mussolini in divisa – rac- conta Giuseppe Abbate, 74 anni, nato e cresciuto a Bonzanigo – Avevo 11 anni, sone, non sempre ha idee precise. Nessuno riuscirà a fare chiarezza: troppe versioni, ormai, sporcate dai protagonismi». Ma c’è ancora qualcosa da sco- prire? «Forse no, bisogna solo “pescare” nelle varie versioni. Per me sono stati uccisi qui. Davanti a Villa Belmonte». Sul muretto della villa c’è una croce che ricorda Mussolini. Passa un turista russo, Rolando Sulemanov. Arri- va da Mosca e, davanti alla stele, fa il segno della cro- ce. «Secondo me è stato un grande statista – dice – ha fatto tanto, ed è stato mes- so in ombra rispetto a Le- nin o Stalin». Finiamo così dal parro- co, don Luigi Barindelli. Chiediamo di una presun- ta stele di Mussolini, ri- sponde che «l’ha comprata un americano del Texas». Si dice che sappia parec- chio sui fatti del 28 aprile, ma lui allarga le braccia. «La storia ufficiale la sa- pete tutti, le altre zoppi- cano. Ma l’assoluta verità ancora non si sa. Perché venne dato il permesso di scattare la foto della stan- za dei De Maria, dove il du- ce dormì per l’ultima not- te, solo 4 o 5 giorni dopo?». Mostra una lastra di vetro, il negativo della famosa foto di Ugo Vincifori che immortalava la camera del duce e della Petacci. Si lascia sfuggire un com- mento: «È un po’ troppo in ordine…». Poi, aggiunge «Troppi protagonismi, nessuno riuscirà a fare chiarezza» Il vicesindaco, Vittorio Bianchi Il parroco, don Luigi Barindelli » Le voci di Mezzegra Dorina Mazzola Primo Piano » L’obiettivo di Villa Saporiti Le leggende smentite Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 il locale venne letteralmente stravolto da una serie di modifiche; poi dei mobili non si seppe più nulla. Iniziarono a diffondersi ricostruzioni più o meno ardite, per esempio quella che dà per venduti da tempo a misteriosi acquirenti tutti gli arredi della camera Il progetto rimasto sulla carta Circa 5 anni fa la Provincia mise a punto un piano per realizzare un percorso incentrato sugli ultimi giorni di vita di Mussolini L’operazione si arenò, ma lo schema dell’epoca è la base sui cui contano gli assessori provinciali Ivano Polledrotti e Achille Mojoli per rilanciare l’idea Ecco la camera dell’ultima notte di Mussolini Per la prima volta dopo 35 anni rispuntano gli arredi della stanza passata alla storia (e.c.) «Non è stato cambiato nessun dettaglio, niente. È tutto come quella notte». Il proprietario di tutti gli arredi presenti nella camera da letto di casa De Maria nelle fatidiche ore tra il 27 e il 28 aprile 1945 non si spinge più in là. Ha chiesto - e ottenuto - di non figurare in alcun modo e dunque di mantenere l’anonimato. Ciò che conta, però, è che quasi 40 anni dopo la verità sugli arredi finiti quasi per caso a fare da spettatori muti della storia con la “S” maiuscola sono tuttora esistenti. E pure conserva- ti in maniera pressoché perfetta. Le immagini che oggi pubblica il “Corriere di Como” in esclusiva sono le prime, dopo tanti anni, che testimonia- no la conservazione dei cimeli. La storia di questi arredi, tra l’altro, è piuttosto curiosa. Nei giorni immediatamente successivi alla fucilazione di Benito Mussolini e Claretta Petacci venne im- pedito a fotografi e giornalisti in arrivo da ogni parte d’Italia di immortalare la stanza. Un piccolo tassello del giallo storico per eccellenza che ha contribui- to ad alimentare da subito dubbi su co- me si fossero realmente svolti i fatti di quelle ore tragiche. Soltanto 4 giorni dopo, stando almeno alle testimonian- ze indirette tramandate fino ai giorni nostri, un ristrettissimo numero di fo- tografi poté immortalare l’ambiente che ospitò il duce e l’amante. Negli anni del dopoguerra, la camera di casa De Maria rimase poi pratica- mente immutata, custodita dai coniugi Lia e Giacomo che ne erano proprietari. L’abitazione, che si erge in un angolo della frazione Bonzanigo, a Mezzegra, divenne meta per i pellegrinaggi dei fa- scisti in cerca di testimonianze dirette degli ultimi giorni del capo del fasci- smo. Visite non di massa ma continue, che però stranamente hanno lasciato in eredità pochissime testimonianze foto- grafiche pubbliche. Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, la svolta. La stanza che ospitò la prigionia del duce e della Petacci ven- ne letteralmente stravolta da una serie di modifiche che l’hanno trasformata in ciò che è oggi, un bagno. Con l’addio dei De Maria alla casa, poi, dei mobili che la arredavano non si seppe più nulla. Inizia- rono a diffondersi, però, leggende e ricostruzioni più o meno ardite. Basti pensare che a Mezzegra, ancora oggi, la voce co- mune dà per venduti da tempo a misteriosi ac- quirenti tutti i mobili della camera. Altre ver- sioni, se possibile anco- ra più “hard”, hanno so- stenuto fino a oggi addi- rittura la distruzione, quando non la misteriosa sparizione dei mobili. Da ieri - con le prove filmate mo- strate nel corso del programma di Etv “30 Denari” - leggende e dicerie sono de- finitivamente cancellate. Oggi, con le immagini che si possono vedere in que- sta pagina, una piccola grande verità intorno alla vicenda è chiarita. Il letto su cui si coricarono per poche ore tra il 27 e il 28 aprile 1945 Mussolini e la sua amante è praticamente perfetto. Conservate in maniera mirabile persino lenzuola, coperte e federe. Stesso di- scorso per i comodini ai lati del letto, su cui sono visibili anche i due quadretti con soggetti religiosi che campeggiava- no anche in casa De Maria. Il proprie- tario degli arredi ha ricollocato prati- camente nella stessa posizione di 63 an- ni fa il piccolo lavabo con la struttura in ferro battuto e uno specchio alla som- mità. Presenti, nella stanza ricostruita con gli arredi storici, anche la cassapan- ca coperta dalla stessa tela fiorata del 1945 e le sedie poste alla base del letto. Dentro la stessa cassapanca, ecco la scodella, i piatti, i bicchieri e la botti- glia in vetro che servirono a Mussolini e a Claretta per consumare l’ultimo pa- sto a base di polenta e latte. Un tuffo nel- la storia, o forse in una storia. Minore, forse, ma senza versioni alternative. Nell’immagine sopra, la ricostruzione con i mobili originali della stanza dove Mussolini e la Petacci trascorsero l’ultima notte. In alto a destra, la stanza immortalata nel 1945. Sotto, le stoviglie originali dell’ultimo pasto del duce (foto ©giovannisalici.com) «Il percorso storico porterà soldi, turisti e lavoro» Questi i benefici stimati dalla Provincia per l’itinerario dedicato alla morte del duce Uno dei rari cartelli collocati a Mezzegra in ricordo dei fatti dell’aprile 1945. Il progetto per un itinerario storico ne prevede altri (foto ©giovannisalici.com) Una turista davanti alla croce che ricorda la morte di Mussolini e della Petacci (foto © giovannisalici.com) Il progetto per un itinerario storico-culturale sul Lago di Como, interamente dedicato alle ultime ore di vita di Be- nito Mussolini, esiste già. Venne messo a punto circa 5 anni fa dall’amministrazione provinciale di Como per farlo poi inserire in un Programma integrato di sviluppo locale. L’operazione - anche per le polemiche suscitate dal solo trapelare dell’ipotesi - si are- nò, ma lo schema dell’epoca è la base sui cui contano gli as- sessori provinciali Ivano Pol- ledrotti e Achille Mojoli per rilanciare l’idea. «Il progetto - si legge nella nota introduttiva del proget- to - prevede la messa a siste- ma dei luoghi significativi at- traverso l’apposizione di car- tellonistica e arredo urbano ad hoc, e prevede il culmine nella valorizzazione di alcuni luoghi espositivi individuati nel già esistente Museo della Resistenza di Dongo e nella nuova struttura espositiva di Mezzegra». L’obiettivo finale è «rilanciare e rafforzare il settore turistico in Alto La- rio». Oltre a Dongo e Mezze- gra, per quanto riguarda i luoghi simbolo individuati all’epoca per allargare il per- corso, figurano nel documen- to provinciale anche il punto di Musso dove l’autocolonna con Mussolini a bordo venne fermata dai partigiani e il punto dove a Dongo vennero fucilati i gerarchi fascisti. Il cardine dell’itinerario, però, rimarrebbe ovviamente Mezzegra, il paese dove mate- rialmente si consumò l’epilo- go del giallo storico sulla fine del duce e della sua amante. Per il piccolo Comune è pre- vista la realizzazione di una «struttura museale vera e propria, realizzata con scopo illustrativo e didattico e con vocazione di polo di attrazio- ne del cittadino lariano». Tra le attrattive, «una mostra permanente», una «bibliote- ca» intesa come «luogo di ri- cerca» collegato telematica- mente ad altri siti simili. Già delineati anche i profili degli utenti-tipo, «dallo stu- dente al ricercatore universi- tario, fino al turista culturale o l’anziano che ha vissuto i fatti storici descritti». All’epoca - ma resta da ve- rificare tecnicamente se l’ipotesi può essere confer- mata - la sede ideale del nuovo polo era individuata nella scuola elementare comunale di Mezzegra, non utilizzata. Vi si arriverebbe dopo un per- corso per i luoghi storici di Mezzegra (casa De Maria e il cancello di Villa Belmonte su tutti). Il costo dell’operazio- ne era stimato in 68mila euro. Per quanto riguarda Musso, invece, l’ipotesi era la ri- strutturazione di un vecchio laboratorio-magazzino sulla via Regina per destinarlo a spazio funzionale dedicato ai fatti dell’aprile ’45 e, in gene- rale, della Seconda guerra mondiale. Nei 200 metri qua- drati di superficie, dovrebbe- ro trovare posto una sala espositiva di cimeli dell’epo- ca, vetrine dedicate a singoli temi, uno spazio commercia- le, una sala proiezioni per fil- mati e conferenze, una sala studi. A chiudere almeno questa prima terna di interventi messi nero su bianco, la rea- lizzazione di un vasto Museo della Resistenza a Dongo, nel Palazzo Manzi. Un interven- to che, in parte, con uno stan- ziamento pubblico di oltre 200mila euro, ha trovato una prima attuazione ma che do- vrebbe essere notevolmente ampliata. La spesa comples- siva ipotizzata nel progetto della Provincia, infatti, quantifica una spesa finale di 678mila euro. Lo spazio attua- le destinato a esposizione museale passerebbe da 80 me- tri quadri a 460, e prevedereb- be una sala proiezioni dotata di un palco con 21 posti a se- dere, un’area biblioteca e due sale dedicate alla Resistenza comasca e alla 52esima Bri- gata Garibaldi. In chiusura, l’itinerario creerebbe «miglioramento della dotazione culturale dell’ara, destagionalizzazio- ne del turismo, indotto occu- pazionale, introiti per l’eco- nomia locale». Versioni contrastanti Quando uccisero il duce e Claretta Petacci gli storici diedero una versione ufficiale che non compresi mai Perché volevano nascondere la verità? Forse perché la Petacci fu uccisa solo per errore scendevo dalla montagna con mio fratello minore. “Andiamo a vedere Mus- solini”, gli dissi. E lo vidi. In piedi, vestito da milita- re. Poi, alle 3.30, sentii il mitra “cantare”. Per me venne ucciso al cancello di Villa Belmonte». Pochi parlano, pochissi- mi sanno, e chi sa, spesso si trincera dietro l’anoni- mato. Secondo Vittorio Bianchi, vicesindaco del paese, «gli anziani sono stanchi di parlarne, e non vogliono rispolverare vec- chi contrasti che non è op- portuno alimentare. Chi sa, ormai pochissime per- che «entrambe le versioni hanno delle falle. Perché inscenare una finta fucila- zione a Villa Belmonte? Era pericoloso. Ma perché gli esecutori non hanno voluto testimoni, e perché i gerarchi (all’interno del- la colonna Mussolini, ndr) vennero fucilati a Dongo e lui no?». Tanti, troppi “perché”. Che hanno acceso e accen- dono ancora oggi animi storici e politici. Il prete si congeda con un aneddoto: «Trent’anni fa, quando do- vevo dire una messa in suf- fragio per Mussolini, mi chiamò a casa un anonimo dicendomi che non dovevo farlo. Sapete cosa gli ri- sposi? Che le messe in suf- fragio si dicono per i pec- catori. E che se lui mi aves- se firmato una carta in cui dichiarava che Mussolini era un santo, non avrei detto la messa».

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Il giallo del 28 aprile 1945 Quanto avvennein riva al Lario

divide ancora gli storici

«Claretta si disperavaPoi una scarica di mitra»La figlia di Dorina Mazzola rivela gli appunti della madre sulla fine della donna

«Rendo questa mia te-stimonianza per amoredella verità». Firmato:Dorina Mazzola. Una don-na di Mezzegra che nel 1945aveva 19 anni. E vide qual-cosa in grado di stravolge-re la versione ufficiale del-la fucilazione di BenitoMussolini e Claretta Pe-tacci. La figlia raccontache subì intimidazioni einviti a tenere il silenzio, equalcuno le gettò addirit-tura una bomba (disinne-scata) in casa per terroriz-zarla. Dorina, però, neglianni Novanta, mezzo seco-lo dopo i fatti, decise diraccontare la sua verità:l’amante del duce sarebbestata uccisa davanti a casaMazzola, nella strada chescende dalla villa dei DeMaria a Bonzanigo, lamattina del 28 aprile ’45.Secondo la versione uffi-ciale, invece, Mussolini eClaretta Petacci vennerofucilati nel pomeriggiodavanti al cancello di VillaB e l m o n t e.

La versione di DorinaMazzola è già stata ripresada più studiosi, tra i qualiGiorgio Pisanò, autore dellibro “Gli ultimi cinquesecondi di Mussolini”.

Quel che segue, però, èuna testimonianza che –pur concordando perfetta-mente con quanto pubbli-cato finora – r appresentaun inedito. È il riassuntodi una serie di fogli, appun-ti e bozze che Dorina Maz-zola consegnò personal-mente alla primogenita,Albertina Vanini, che ac-cetta di rileggerli «in ono-re della mamma».

Ecco gli stralci più im-portanti. Legge Alberti-na, prestando la voce amamma Dorina Mazzola,morta nel 2001. «Quandouccisero il duce e ClarettaPetacci gli storici diederouna versione ufficiale chenon compresi mai. Perchévolevano nascondere laverità? Forse perché Cla-retta Petacci fu uccisa so-lo per errore, o perché sa-peva troppo bene che l’uo -

mo che amava e che avevaseguito a scapito dellapropria vita non era mor-to dinanzi al cancello diVilla Belmonte a Giulinodi Mezzegra in seguito auna regolare e formale fu-cilazione. Dopo quello cheaccadde, si sparse la voceche per cinquant’anni nonsi poteva parlare e per me-glio far recepire il concet-to lasciavano biglietti in-timidatori di chi sapeva eparlicchiava in giro».

Il racconto vola veloce aquella mattina del 28 apri-le ’45, attorno alle 9. «Comeaprii la finestra della miacamera sentii subito chein casa De Maria stavanol i t i ga n d o.Sentivo laLia (De Ma-ria, ndr) chepiangeva, egridava di-sperata ediceva: “Masono coseda capitarein casamia?”. Em e n t rea s c o l t avovedevo uo-mini che sia ggir avanonel cortilenei dintor-ni della por-ta della stalla, o cantina, etra questi uno solo mi col-pì, per la sua testa così cal-va che luccicava nuda finoal girocollo della canottie-ra o della maglia. E si muo-veva con passetti corti equasi zoppicante scompa-riva davanti ai miei occhidietro la siepe del cortile.Mentre una giovane donnaintanto si affacciava allafinestra del porticato gri-dando “aiuto, aiuto”, maqualcuno subito la trasci-nò in casa. Sentivo urla, epianto, sedie cadere perterra, e colpi di pistola chesparavano all’interno del-la casa, colpi distanziati dipochi minuti e alcuni dipochi secondi l’unodall’a l t ro » .

Quella «giovane donna»

che urlava sarebbe Claret-ta Petacci. L’uomo calvo,presumibilmente, Musso-lini. Ricominciano glispari. «Il tempo passava,poi a un tratto sentii spa-rare, e vidi scariche di mi-tra, colpi di pistola tuttonel cortile. Sembrava uncampo di battaglia, poitutto cessò». Nel frattem-po, l’orologio segna circale 11 del mattino. Dorina,nascosta dietro un muc-chio di rottami, vede duepartigiani che trascinanoun uomo esanime, potreb-be essere Mussolini ma leinon ne riconosce il viso.

«Ecco che dalla curvadella strada, fatta a gomi-

to, spunta-vano fuoritre uominia braccet-to, che ve-n iva n oavanti conpasso len-to, e la don-na che sta-va dietro diloro gli siportò da-vanti get-tandosi ing i n o c ch i oai piedi diquell’uomoin cappottom i l i t a re

che stava nel mezzo tra idue partigiani. […], io ve-devo quell’uomo dal cap-potto col bavero rialzatoche lo ricopriva dalla testaai piedi, poi capivo che nonera a braccetto, ma sor-retto sotto le ascelle, lotrasportavano di peso, latesta era un po’ re cl i n at a ,le braccia penzolanti, legambe non piegava. Peròsorretto in piedi quasi anon voler dimostrare cheera un uomo morto. […] Ladonna si tirava i capelli,sembrava pazza, e scoppiòin un gran pianto. Ma trasinghiozzi e pianti urlòuna frase: “Come vi sieteridotto!”».

Il racconto di Dorina(letto dalla figlia) diventaimprovvisamente tragico.

Parte una scarica di mi-tra, Claretta non si vedepiù. «Mentre mi spostavodai rottami vidi la donnache stava per prendere lavia che scendeva, ma unascarica di mitra fece fuo-co, e i proiettili trovandolo spazio nel vuoto sullastrada piombarono perprimo sul mucchio dei rot-tami, falciando poi il mu-ro della sostra (una speciedi stalla, ndr) e della miacasa. Sentivo uomini urla-re, e donne che strillavanodi spavento, sembrava chei partigiani stavano perspaccare il cielo. La primaparola che udii da loro fuquesta: ”Pezzo di m…,guarda là, guarda làcos’hai fatto, che cosa ti èvenuto in mente di spara-re, asino. Da dove sei arri-vato? È quella la manieradi sparare, pezzo di m…?Non farti incontrare”. Unpartigiano gridava: “Se tiincontro ti lego le budellaal collo!”. […] Passavano iminuti, però lei, la donna,non arrivava. […] Io vede-vo tutte quelle facce stra-volte, barbe incolte, capel-li baruffati, ma capivo dailoro gesti e dai loro sguardiche qualcosa non era an-dato per il verso giusto».

Dorina poi riconosce nelcadavere a braccetto deipartigiani «lo stesso uomoche si aggirava al mattinonel cortile dei De Maria».

Molti sostengono – an -che basandosi sulla testi-monianza di Dorina Maz-zola – che Mussolini venneucciso in casa De Maria ela Petacci sulla strada perscendere in paese. I parti-giani avrebbero quindi in-scenato una falsa fucila-zione attorno alle 16 da-vanti a Villa Belmonte diGiulino. Ancora Dorina:«Quando arrivai alla piaz-zetta della piccola fonta-nella (ore 16 circa) vidi su-bito sangue, mi si avvicinòil padrone della villa, sen-tii chiamarmi: “Signori -na!”,“Sì, signor Gilardoni,mi dica”. E cominciò araccontarmi: dal viale Ri-

membranze arrivò fin quiin piazzetta una macchinascura, trascinavano fuoriun uomo morto, quasi nu-do, lo hanno poggiato perterra, lo hanno spogliatotutto, poi l’hanno lavato,mentre stavamo parlandoun mitra sparò in alto, evedemmo bene la nuvoladel bruciato. La direzioneera quella di Giulino».

Albertina Vanini, nelleggere le memorie dellamadre, fatica a trattenerela commozione. Al termi-ne del racconto spiega diaver accettato di parlare«in onore della mamma»,che «per cinquant’anni hadovuto mantenere il silen-zio. Tutti i testimoni ocu-lari erano vittime di inti-midazioni, a mia mammabuttarono persino unabomba (disinnescata, ndr)in casa. Lei era rimastasconvolta dalla morte diquella donna che, poi, col-legò a Claretta Petacci –continua Albertina – e ioricordo che Pierino, papàdi Dorina, davanti al murodella casa (Mazzola, ndr) sicommuoveva sempre, e ri-peteva: “Non abbiamo po-tuto fare niente per quellapovera donna”». Quelladonna, capirà poi Dorina,era Claretta Petacci,stroncata in strada da unaraffica di mitra.

Andrea Bambace

LA VILLAIn alto, casa DeMaria a Bonzanigodi MezzegraSecondo ilracconto di DorinaMazzola, ClarettaPetacci, l’amantedel duce (a destra),venne uccisa sullastrada che dallavilla scende versoil centro del paese(foto giovannisalici)

(a.bam.) “Piazzale 28aprile 1945”. Non una lette-ra in più. Che a Mezzegramanchi ancora una “veri -tà vera”, lo si capisce per-sino dall’intitolazionedella piazzetta principale.La dicitura è generica an-che per motivi di equili-brio: ogni parola in più po-trebbe urtare sensibilitàpolitiche tutt’altro chesopite. Ma quel cartello,che dice tutto e niente, è ilsimbolo del giallo che av-volge la morte di BenitoMussolini e Claretta Pe-tacci. Catturati il 27 aprile1945 nei pressi di Musso, ilduce e la sua amante pas-sarono l’ultima notte a ca-sa di Giacomo e Lia DeMaria, nella frazione diBonzanigo di Mezzegra.

È ancora un misteroquel che accadde il giornosuccessivo: secondo la ver-sione ufficiale del parti-giano Walter Audisio, il

“colonnello Valerio”, Mus-solini e la Petacci vennerofucilati nel pomeriggiodavanti al cancello di VillaBelmonte, a Giulino diMezzegra. Secondo altretestimonianze, Mussolinivenne ucciso la mattina incasa De Maria, e la Petaccifucilata poco più tardi nel-la strada che porta dai DeMaria al paese. I partigia-ni avrebbero quindi insce-nato una falsa fucilazionea Villa Belmonte.

Dare una versione defi-nitiva di quel 28 aprile è an-cora il sogno di molti sto-rici. Ciascuno racconta la“sua” verità. «Ho vistoMussolini in divisa – rac -conta Giuseppe Abbate, 74anni, nato e cresciuto aBonzanigo – Avevo 11 anni,

sone, non sempre ha ideeprecise. Nessuno riusciràa fare chiarezza: troppeversioni, ormai, sporcatedai protagonismi». Ma c’èancora qualcosa da sco-prire? «Forse no, bisognasolo “p e s c a re ” nelle varieversioni. Per me sono statiuccisi qui. Davanti a VillaBelmonte». Sul murettodella villa c’è una croceche ricorda Mussolini.Passa un turista russo,Rolando Sulemanov. Arri-va da Mosca e, davanti allastele, fa il segno della cro-ce. «Secondo me è stato ungrande statista – dice – hafatto tanto, ed è stato mes-so in ombra rispetto a Le-nin o Stalin».

Finiamo così dal parro-co, don Luigi Barindelli.

Chiediamo di una presun-ta stele di Mussolini, ri-sponde che «l’ha comprataun americano del Texas».

Si dice che sappia parec-chio sui fatti del 28 aprile,ma lui allarga le braccia.«La storia ufficiale la sa-pete tutti, le altre zoppi-cano. Ma l’assoluta veritàancora non si sa. Perchévenne dato il permesso discattare la foto della stan-za dei De Maria, dove il du-ce dormì per l’ultima not-te, solo 4 o 5 giorni dopo?».Mostra una lastra di vetro,il negativo della famosafoto di Ugo Vincifori cheimmortalava la cameradel duce e della Petacci. Silascia sfuggire un com-mento: «È un po’ troppo inordine…». Poi, aggiunge

«Troppi protagonismi, nessuno riuscirà a fare chiarezza»

Il vicesindaco, Vittorio Bianchi Il parroco, don Luigi Barindelli

» Le voci di Mezzegra

Dorina Mazzola

Primo Piano

» L’obiettivo di Villa Saporiti

Le leggende smentite Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 il localevenne letteralmente stravolto da una serie di modifiche; poi dei mobili non si seppepiù nulla. Iniziarono a diffondersi ricostruzioni più o meno ardite, per esempio quellache dà per venduti da tempo a misteriosi acquirenti tutti gli arredi della camera

Il progetto rimasto sulla carta Circa 5 anni fa la Provincia mise a punto unpiano per realizzare un percorso incentrato sugli ultimi giorni di vita di MussoliniL’operazione si arenò, ma lo schema dell’epoca è la base sui cui contanogli assessori provinciali Ivano Polledrotti e Achille Mojoli per rilanciare l’idea

Ecco la camera dell’ultima notte di MussoliniPer la prima volta dopo 35 anni rispuntano gli arredi della stanza passata alla storia

( e. c. ) «Non è stato cambiato nessundettaglio, niente. È tutto come quellanotte». Il proprietario di tutti gli arredipresenti nella camera da letto di casaDe Maria nelle fatidiche ore tra il 27 e il28 aprile 1945 non si spinge più in là. Hachiesto - e ottenuto - di non figurare inalcun modo e dunque di mantenerel’anonimato. Ciò che conta, però, è chequasi 40 anni dopo la verità sugli arredifiniti quasi per caso a fare da spettatorimuti della storia con la “S” maiuscolasono tuttora esistenti. E pure conserva-ti in maniera pressoché perfetta.

Le immagini che oggi pubblica il“Corriere di Como” in esclusiva sono leprime, dopo tanti anni, che testimonia-no la conservazione dei cimeli. La storiadi questi arredi, tra l’altro, è piuttostocuriosa. Nei giorni immediatamentesuccessivi alla fucilazione di BenitoMussolini e Claretta Petacci venne im-pedito a fotografi e giornalisti in arrivoda ogni parte d’Italia di immortalare lastanza. Un piccolo tassello del giallostorico per eccellenza che ha contribui-to ad alimentare da subito dubbi su co-me si fossero realmente svolti i fatti diquelle ore tragiche. Soltanto 4 giornidopo, stando almeno alle testimonian-ze indirette tramandate fino ai giorninostri, un ristrettissimo numero di fo-tografi poté immortalare l’ambienteche ospitò il duce e l’a m a n t e.

Negli anni del dopoguerra, la cameradi casa De Maria rimase poi pratica-mente immutata, custodita dai coniugiLia e Giacomo che ne erano proprietari.L’abitazione, che si erge in un angolodella frazione Bonzanigo, a Mezzegra,divenne meta per i pellegrinaggi dei fa-scisti in cerca di testimonianze direttedegli ultimi giorni del capo del fasci-smo. Visite non di massa ma continue,che però stranamente hanno lasciato ineredità pochissime testimonianze foto-grafiche pubbliche.

Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio deglianni ’70, la svolta. La stanza che ospitòla prigionia del duce e della Petacci ven-ne letteralmente stravolta da una serie

di modifiche che l’hanno trasformatain ciò che è oggi, un bagno. Con

l’addio dei De Maria allacasa, poi, dei mobili chela arredavano non siseppe più nulla. Inizia-rono a diffondersi, però,leggende e ricostruzionipiù o meno ardite. Bastipensare che a Mezzegra,ancora oggi, la voce co-mune dà per venduti datempo a misteriosi ac-quirenti tutti i mobilidella camera. Altre ver-sioni, se possibile anco-ra più “hard”, hanno so-stenuto fino a oggi addi-rittura la distruzione,

quando non la misteriosa sparizione deimobili. Da ieri - con le prove filmate mo-strate nel corso del programma di Etv“30 Denari” - leggende e dicerie sono de-finitivamente cancellate. Oggi, con leimmagini che si possono vedere in que-sta pagina, una piccola grande veritàintorno alla vicenda è chiarita.

Il letto su cui si coricarono per pocheore tra il 27 e il 28 aprile 1945 Mussolini ela sua amante è praticamente perfetto.Conservate in maniera mirabile persinolenzuola, coperte e federe. Stesso di-scorso per i comodini ai lati del letto, sucui sono visibili anche i due quadretticon soggetti religiosi che campeggiava-no anche in casa De Maria. Il proprie-tario degli arredi ha ricollocato prati-camente nella stessa posizione di 63 an-ni fa il piccolo lavabo con la struttura inferro battuto e uno specchio alla som-mità. Presenti, nella stanza ricostruitacon gli arredi storici, anche la cassapan-ca coperta dalla stessa tela fiorata del1945 e le sedie poste alla base del letto.

Dentro la stessa cassapanca, ecco lascodella, i piatti, i bicchieri e la botti-glia in vetro che servirono a Mussolini ea Claretta per consumare l’ultimo pa-sto a base di polenta e latte. Un tuffo nel-la storia, o forse in una storia. Minore,forse, ma senza versioni alternative.

Nell’immagine sopra, la ricostruzione con i mobili originali della stanza dove Mussolini e la Petacci trascorsero l’ultima notte. Inalto a destra, la stanza immortalata nel 1945. Sotto, le stoviglie originali dell’ultimo pasto del duce (foto ©giovannisalici.com)

«Il percorso storico porterà soldi, turisti e lavoro»Questi i benefici stimati dalla Provincia per l’itinerario dedicato alla morte del duce

Uno dei rari cartelli collocati a Mezzegra in ricordo dei fatti dell’aprile 1945. Il progetto per un itinerario storico ne prevede altri (foto ©giovannisalici.com)

Una turista davanti alla croce che ricorda la morte di Mussolini e della Petacci (foto © giovannisalici.com)

Il progetto per un itinerariostorico-culturale sul Lago diComo, interamente dedicatoalle ultime ore di vita di Be-nito Mussolini, esiste già.Venne messo a punto circa 5anni fa dall’amministr azioneprovinciale di Como per farlopoi inserire in un Programmaintegrato di sviluppo locale.L’operazione - anche per lepolemiche suscitate dal solotrapelare dell’ipotesi - si are-nò, ma lo schema dell’epoca èla base sui cui contano gli as-sessori provinciali Ivano Pol-ledrotti e Achille Mojoli perrilanciare l’idea.

«Il progetto - si legge nellanota introduttiva del proget-to - prevede la messa a siste-ma dei luoghi significativi at-traverso l’apposizione di car-tellonistica e arredo urbanoad hoc, e prevede il culminenella valorizzazione di alcuniluoghi espositivi individuatinel già esistente Museo dellaResistenza di Dongo e nellanuova struttura espositiva diMezzegra». L’obiettivo finaleè «rilanciare e rafforzare ilsettore turistico in Alto La-rio». Oltre a Dongo e Mezze-gra, per quanto riguarda iluoghi simbolo individuatiall’epoca per allargare il per-corso, figurano nel documen-to provinciale anche il puntodi Musso dove l’a u t o c o lo n n acon Mussolini a bordo vennefermata dai partigiani e ilpunto dove a Dongo vennerofucilati i gerarchi fascisti.

Il cardine dell’itiner ario,però, rimarrebbe ovviamenteMezzegra, il paese dove mate-rialmente si consumò l’epilo -go del giallo storico sulla finedel duce e della sua amante.Per il piccolo Comune è pre-vista la realizzazione di una«struttura museale vera e

propria, realizzata con scopoillustrativo e didattico e convocazione di polo di attrazio-ne del cittadino lariano». Trale attrattive, «una mostrapermanente», una «bibliote-ca» intesa come «luogo di ri-cerca» collegato telematica-mente ad altri siti simili.

Già delineati anche i profilidegli utenti-tipo, «dallo stu-dente al ricercatore universi-tario, fino al turista culturaleo l’anziano che ha vissuto ifatti storici descritti».

All’epoca - ma resta da ve-rificare tecnicamente sel’ipotesi può essere confer-mata - la sede ideale del nuovopolo era individuata nellascuola elementare comunaledi Mezzegra, non utilizzata.Vi si arriverebbe dopo un per-corso per i luoghi storici di

Mezzegra (casa De Maria e ilcancello di Villa Belmonte sututti). Il costo dell’operazio -ne era stimato in 68mila euro.Per quanto riguarda Musso,invece, l’ipotesi era la ri-strutturazione di un vecchiolaboratorio-magazzino sullavia Regina per destinarlo aspazio funzionale dedicato aifatti dell’aprile ’45 e, in gene-rale, della Seconda guerramondiale. Nei 200 metri qua-drati di superficie, dovrebbe-ro trovare posto una salaespositiva di cimeli dell’epo -ca, vetrine dedicate a singolitemi, uno spazio commercia-le, una sala proiezioni per fil-mati e conferenze, una salastudi.

A chiudere almeno questaprima terna di interventimessi nero su bianco, la rea-lizzazione di un vasto Museodella Resistenza a Dongo, nelPalazzo Manzi. Un interven-to che, in parte, con uno stan-ziamento pubblico di oltre200mila euro, ha trovato unaprima attuazione ma che do-vrebbe essere notevolmenteampliata. La spesa comples-siva ipotizzata nel progettodella Provincia, infatti,quantifica una spesa finale di678mila euro. Lo spazio attua-le destinato a esposizionemuseale passerebbe da 80 me-tri quadri a 460, e prevedereb-be una sala proiezioni dotatadi un palco con 21 posti a se-dere, un’area biblioteca e duesale dedicate alla Resistenzacomasca e alla 52esima Bri-gata Garibaldi.

In chiusura, l’itiner ariocreerebbe «miglioramentodella dotazione culturaledell’ara, destagionalizzazio-ne del turismo, indotto occu-pazionale, introiti per l’eco -nomia locale».

�Versioni contrastantiQuando ucciseroil duce e ClarettaPetacci gli storicidiedero unaversione ufficialeche noncompresi maiPerché volevanonascondere la verità?Forse perchéla Petacci fu uccisasolo per errore

scendevo dalla montagnacon mio fratello minore.“Andiamo a vedere Mus-solini”, gli dissi. E lo vidi.In piedi, vestito da milita-re. Poi, alle 3.30, sentii ilmitra “c a n t a re ”. Per mevenne ucciso al cancello diVilla Belmonte».

Pochi parlano, pochissi-

mi sanno, e chi sa, spesso sitrincera dietro l’anoni -mato. Secondo VittorioBianchi, vicesindaco delpaese, «gli anziani sonostanchi di parlarne, e nonvogliono rispolverare vec-chi contrasti che non è op-portuno alimentare. Chisa, ormai pochissime per-

che «entrambe le versionihanno delle falle. Perchéinscenare una finta fucila-zione a Villa Belmonte?Era pericoloso. Ma perchégli esecutori non hannovoluto testimoni, e perchéi gerarchi (all’interno del-la colonna Mussolini, ndr)vennero fucilati a Dongo elui no?».

Tanti, troppi “p e rch é ”.Che hanno acceso e accen-dono ancora oggi animistorici e politici. Il prete sicongeda con un aneddoto:« T re n t ’anni fa, quando do-vevo dire una messa in suf-fragio per Mussolini, michiamò a casa un anonimodicendomi che non dovevofarlo. Sapete cosa gli ri-sposi? Che le messe in suf-fragio si dicono per i pec-catori. E che se lui mi aves-se firmato una carta in cuidichiarava che Mussoliniera un santo, non avreidetto la messa».