Dispense Di Economia Politica

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  • Universit di Brescia

    Facolt di Economia

    DISPENSE DI

    ECONOMIA POLITICA

    Prof. Giulio PALERMO

    Tel 030 29 88 824

    Fax 030 29 88 837

    [email protected]

    http://www.eco.unibs.it/~palermo

    ANNO ACCADEMICO 2008-09

  • PREMESSA

    Un insegnante di economia che si rispetti dovrebbe innanzi tutto selezionare con la

    massima cura gli argomenti degni di essere insegnati, dando spazio a quelli pi utili alla

    comprensione (e alla risoluzione) dei problemi economici, senza scendere a compromessi con

    quanto insegnano i colleghi (soprattutto quelli per i quali non ha alcun rispetto scientifico). In

    questo corso, invece, io scendo a compromessi e, siccome la cosa non mi piace, provo ad

    offrire qualche giustificazione.

    Ai fini della comprensione delle dinamiche del capitalismo, la microeconomia, ad

    esempio, non ha granch da insegnare. Non solo si tratta di una teoria incapace di risolvere le

    questioni che essa stessa pone, ma proprio le questioni che pone hanno poco a che fare con

    quelli che, secondo me, sono i problemi del mondo economico. In definitiva, questa teoria si

    riduce ad un'apologia (peraltro contraddittoria) del capitalismo, nella sua versione

    ultraliberista, e poco pi. Eppure anch'io, come molti, la insegno.

    Il processo di omologazione degli insegnamenti economici, guidato dalle universit

    americane e dai loro think tank liberisti ha ormai prodotto un forte conformismo scientifico in

    cui l'autonomia scientifica dell'insegnante si riduce alla scelta del manuale pi accattivante sul

    piano formale, essendo i contenuti per lo pi standardizzati. E anche qui, come fan tutti, io

    pure suggerisco il manuale di turno, scegliendolo tra quelli che vanno per la maggiore e

    limitandomi giusto a minimizzare il danno.

    Il problema infatti che, stando cos le cose, uno studente che segua un percorso

    troppo diverso dal cammino omologante ha pi problemi che vantaggi. Nella misura in cui i

    temi alternativi su cui ha riflettuto siano veramente utili alla comprensione del mondo, si

    trova certo in posizione vantaggiosa rispetto ai suoi colleghi ben omologati. Ma, nel suo

    percorso di studi incontrer ostacoli maggiori, non avendo a disposizione quel corpo di

    conoscenze che invece la maggior parte degli altri insegnanti assumeranno per noto.

    Se la mia difesa si fermasse qui non avrebbe avuto senso scrivere questa premessa.

    Sono infatti ben cosciente del fatto che accettare un simile compromesso significa partecipare

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  • attivamente al processo di omologazione scientifica. Se dunque ho scelto di insegnare anch'io

    molti degli argomenti tipici dei corsi di microeconomia e macroeconomia, perch mi sono

    riservato il diritto di evidenziarne i limiti, le contraddizioni, le falsit, le premesse ideologiche

    e le implicazioni perverse, criticando il manuale, come si dovrebbe fare con ogni testo sacro.

    La demistificazione della teoria economica aiuta infatti, secondo me, a riflettere, a scoprire

    l'essenza che si cela dietro l'apparenza, a ricercare le proprie priorit scientifiche. Questa la

    sola ragione per me valida per insegnare la teoria dominante.

    Certo sottraggo spazio e tempo agli argomenti che, secondo me, sono pi direttamente

    utili a capire quelli che io considero i problemi economici pi gravi. Ma, anche per una

    questione di umilt scientifica, non credo che il vero problema sia di far passare i miei

    messaggi o quelli degli economisti che, secondo me, meglio centrano il problema. Credo

    invece che esista una sola difesa, individuale e collettiva, contro i processi di omologazione e

    indottrinamento, quale che ne sia l'ideologia fondante: lo studio critico.

    Per questo il programma che ho da offrire, anche se fatico ad ammetterlo, frutto di

    duri compromessi e, ciononostante, ne sono soddisfatto. Ma forse, senza tutte queste

    giustificazioni, la verit pi semplice: come molti dei miei colleghi, anch'io non sono un

    insegnante degno di rispetto. Sar lo spirito critico dello studente a giudicare.

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  • PROGRAMMA DEL CORSO

    DESCRIZIONE DEL CORSO

    Le scuole di pensiero economico esistenti adottano definizioni diverse delleconomia

    politica. In senso generale, leconomia politica studia i rapporti di produzione e distribuzione

    del reddito e della ricchezza nella societ. Secondo limpostazione dominante, leconomia

    politica si suddivide nella microeconomia e nella macroeconomia. Queste due discipline, in

    realt, hanno origini storiche diverse e sviluppano concezioni teoriche in gran parte

    incompatibili tra loro.

    La microeconomia ha origine verso la fine del XIX secolo dal contributo di tre

    economisti, Lon Walras, Stanley William Jevons e Carl Menger, oggi riconosciuti come i

    fondatori della scuola neoclassica. Tale scuola, divenuta ormai egemonica a livello

    accademico, sviluppa una concezione liberista delleconomia, secondo la quale lo stato deve

    limitare al massimo il proprio intervento nelleconomia, lasciando il massimo spazio alle

    relazioni di mercato. Dal punto di vista teorico, la microeconomia si occupa del singolo

    consumatore e della singola impresa. Attraverso il modello di equilibrio economico generale e

    leconomia del benessere, essa offre un quadro normativo per valutare lefficienza delle

    diverse forme di organizzazione dei mercati.

    La macroeconomia prende invece ispirazione dallopera delleconomista inglese John

    Maynard Keynes, vissuto nel XX secolo. Essa sviluppa una concezione del sistema capitalista

    come sistema instabile e si pone come obiettivo la sua regolazione attraverso interventi diretti

    dello stato. Dal punto di vista teorico, la macroeconomia si concentra sulle relazioni tra le

    variabili economiche aggregate, come la produzione, i consumi, gli investimenti e il reddito

    nazionale. Essa offre un quadro interpretativo direttamente applicabile ai problemi di politica

    economica.

    La nascita delleconomia politica tuttavia antecedente sia alla microeconomia, sia

    alla macroeconomia. Essa ha origine nel XVII secolo con il contributo degli economisti

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  • classici e riceve un nuovo impulso critico nel XIX secolo con lopera di Karl Marx. Per dar

    conto di questi diversi approcci, il corso si suddivide in tre parti: l'economia classica e

    marxiana, la macroeconomia e la microeconomia.

    REQUISITI INDISPENSABILI

    Il corso non richiede alcuna propedeuticit.

    OBIETTIVI

    Il corso si propone di favorire la comprensione degli aspetti economici della societ

    capitalista e di mettere in luce sia gli interessi comuni, sia quelli contrapposti che si

    intrecciano nei processi economici e politici. Particolare importanza data alla critica teorica

    come strumento attivo per sviluppare una propria interpretazione dei problemi economici.

    INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

    1. Giulio Palermo, Dispense di Economia politica (le stai leggendo)

    2. Giulio Palermo, Il Mito del Mercato Globale, Manifestolibri [pp. 9-43, 64-118].

    3. AA.VV., Letture di economia classica e marxiana

    I testi indicati sono scaricabili dal sito http://www.eco.unibs.it/~palermo oppure possono

    essere reperiti presso le librerie la matricola e club.

    La dispensa al punto 1 raccoglie tutto il materiale discusso in aula. Essa sintetizza e

    commenta i seguenti testi (cui si rimanda per chiarimenti ed approfondimenti):

    1. John Sloman, Elementi di economia, Il Mulino. [Esclusa la terza parte].

    2. Mario Cassetti, Concorrenza, valore e crescita: modelli di economia classica, Franco

    Angeli. [Esclusi i paragrafi contrassegnati con lasterisco].

    3. Alessandro Roncaglia, Lineamenti di economia politica, Laterza [Solo i paragrafi 1-

    11].

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  • 4. Olivier Blanchard, Macroeconomia, Il Mulino. [Solo appendici 2 e 3 e glossario].

    Il testo al punto 2 una sorta di contro-manuale critico della microeconomia.

    La dispensa al punto 3 raccoglie varie letture, tra cui le parti dei libri di Cassetti e Roncaglia

    che utilizziamo nel corso.

    Il manuale di riferimento il libro di Sloman.

    Su richiesta saranno date indicazioni alternative in lingua inglese o francese per gli studenti

    con problemi linguistici.

    METODO DIDATTICO

    Lezioni in aula Esercitazioni Seminari Assistenza individuale dopo le lezioni e nellorario di ricevimento NB: Tutti i servizi didattici sono aperti anche ai non iscritti al corso o alla facolt.

    VALUTAZIONE

    La valutazione si basa su una prova finale scritta. Leventuale uso di libri o appunti

    durante lesame sar deciso allinizio del corso di comune accordo con gli studenti.

    comunque facolt di ogni studente richiedere una prova integrativa orale.

    SERVIZI IN LINGUA STRANIERA

    Attivit di assistenza studenti anche in lingua inglese e francese Possibilit di sostenere lesame in lingua inglese o francese.

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  • INDICE

    INTRODUZIONE E INQUADRAMENTO STORICO

    1. Cenni di storia del pensiero economico

    2. Dal feudalesimo al capitalismo

    3. Limpostazione moderna allo studio delleconomia

    I. ECONOMIA CLASSICA E MARXIANA

    1. La concorrenza

    2. La concorrenza come meccanismo di armonia sociale in Adam Smith

    3. La concorrenza e il conflitto tra capitalisti e proprietari terrieri in David Ricardo

    4. Concorrenza, sfruttamento e alienazione in Karl Marx

    II. MACROECONOMIA

    1. Problematiche macroeconomiche

    2. La determinazione del reddito nazionale e la politica fiscale

    3. Moneta e politica monetaria

    4. Il modello IS-LM

    III. MICROECONOMIA

    1. Introduzione

    2. Domanda individuale e domanda di mercato

    3. Elasticit e aggiustamento dei mercati

    4. Offerta dellimpresa e offerta di mercato

    5. Forme di mercato

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  • INTRODUZIONE E INQUADRAMENTO STORICO

    1. Cenni di storia del pensiero economico

    [Bibliografia di riferimento: Roncaglia, paragrafi 1-7]

    LA NASCITA DELLECONOMIA POLITICA CLASSICA

    Il termine economia politica viene dal greco: okos = casa, nmos = legge, plis sono le citt stato dellantica Grecia.

    La nascita delleconomia politica come scienza autonoma si deve, secondo alcuni storici del pensiero economico, a William Petty, nel XVII secolo: il suo obiettivo di descrivere,

    non di giudicare, il funzionamento della societ, misurando i fenomeni economici e

    individuando leggi economiche, cio relazioni sistematiche tra i diversi aspetti della

    realt economica che operano indipendentemente dalla volont dei soggetti economici.

    Petty usa i termini di aritmetica politica o anatomia politica.

    Molti storici individuano nello scozzese Adam Smith (XVIII secolo), pi che in Petty, la nascita delleconomia politica classica. Nella rappresentazione di Smith, la societ

    divisa in tre classi sociali: capitalisti, proprietari terrieri e lavoratori. Il reddito nazionale,

    cio il valore di quello che viene prodotto in un anno nelleconomia, si distribuisce tra le

    tre classi sociali sotto forma di profitti, rendite e salari. Secondo Smith, i rapporti tra classi

    sociali non sono conflittuali, ma armonici. Il mercato lo strumento che permette di

    conciliare il perseguimento dellinteresse personale con la desiderabilit sociale.

    Secondo leconomista inglese David Ricardo (tra il XVIII e il XIX secolo) il compito principale delleconomia politica lo studio delle leggi che regolano la distribuzione del

    reddito tra le classi sociali. A differenza di Smith, Ricardo considera i rapporti tra classi

    sociali come necessariamente conflittuali e, nello scontro capitalisti proprietari terrieri,

    prende posizione in difesa dei capitalisti.

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  • Marx (XIX secolo) sviluppa la visione conflittuale della societ, schierandosi apertamente dal lato dei lavoratori. La sua critica riguarda non solo il capitalismo, ma anche la

    rappresentazione che ne fornisce leconomia politica borghese. Oltre a cercare di spiegare

    i meccanismi di funzionamento del sistema economico, Marx cerca di spiegare anche le

    ragioni per cui gli economisti tendono a rappresentarlo sposando il punto di vista delle

    classi dominanti.

    In generale, secondo la definizione degli economisti classici, leconomia politica una scienza sociale che studia le caratteristiche di un sistema sociale dal punto di vista della

    produzione, distribuzione e impiego del reddito.

    LA RIVOLUZIONE MARGINALISTA E LA MICROECONOMIA

    [Bibliografia di riferimento: Cassetti, capitolo 5]

    Nel 1870, compaiono tre testi di autori di diverse nazionalit, Lon Walras, Stanley William Jevons (fondatori della scuola neoclassica) e Carl Menger (fondatore della scuola

    austriaca) che diventano rapidamente i nuovi riferimenti teorici in materia economica,

    soppiantando gli approcci ricardiano e marxiano, allora assai diffusi.

    Il cambiamento radicale a livello teorico e metodologico rispetto allapproccio classico e marxiano porta a definire questa svolta teorica come una rivoluzione scientifica: la

    rivoluzione marginalista.

    Il termine marginalista fa riferimento alluso del calcolo differenziale come metodo universale di analisi delle questioni economiche. Secondo un importante economista e

    storico del pensiero economico, Joseph Schumpeter, ci che accomuna la scuola

    neoclassica e quella austriaca il rifiuto dellapproccio classico e marxiano basato sulla

    teoria oggettiva del valore e la proposta di una teoria del valore di tipo soggettivo. Luso

    del calcolo differenziale invece sviluppato unicamente dalla scuola neoclassica, dato che

    la scuola austriaca mantiene una posizione critica nei confronti del formalismo

    matematico. Da questo punto di vista sarebbe pi corretto parlare di rivoluzione

    soggettivista, piuttosto che marginalista.

    Lapproccio marginalista-soggettivista si basa su due aspetti fondamentali: (1) lutilit soggettiva come fondamento della teoria del valore; (2) lipotesi che i soli soggetti

    economici rilevanti siano gli individui, il che significa che tutte le proposizioni

    economiche devono essere costruite a partire da postulati riguardanti le regole di

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  • comportamento individuali (non c posto per soggetti aggregati quali le classi sociali,

    centrali nellimpostazione classica).

    Rispetto allimpostazione classica, basata sul concetto di classi sociali (e, in particolare nelle teorie di Ricardo e di Marx in cui tale rapporto di natura conflittuale), la scuola

    marginalista implica un cambiamento radicale di prospettiva in cui apparentemente non

    esiste alcun conflitto di interessi, ma un comune interesse allo scambio da parte di tutti gli

    individui. Lobiettivo economico per eccellenza diventa la soddisfazione del consumatore

    (dato il suo potere dacquisto). Lindividuo conta quindi innanzi tutto in quanto

    consumatore e non, come ad esempio nella teoria marxista, in quanto lavoratore. Secondo

    questa impostazione, un sistema economico che funziona bene un sistema in cui gli

    individui che hanno soldi per comprare trovano sul mercato i beni che essi desiderano. Il

    fatto che altri individui possono non avere mezzi per esprimere sul mercato i propri

    bisogni non incide sulla valutazione del buon funzionamento del sistema.

    Le ragioni dellaffermazione dellapproccio marginalista-soggettivista possono essere ricondotte, da una parte, ai problemi interni incontrati dalle teorie ricardiana e marxiana e,

    dallaltra, alle implicazioni politiche di queste teorie (in particolare di quella di Marx), le

    quali evidenziano gli aspetti conflittuali dei rapporti economici e politici del capitalismo

    con importanti implicazioni rivoluzionarie. Di fatto nel decennio 1870-80 diversi paesi

    europei (Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia) e gli Stati Uniti sono attraversati da

    moti rivoluzionari, seguiti da violente repressioni. In questo clima, gli ambienti

    accademici e borghesi accettano con favore la nuova impostazione basata su un rifiuto

    netto della teoria oggettiva del valore e i concetti ad essa legati di sfruttamento, e lotta di

    classe. Come nota Maurice Dobb, dei tre economisti protagonisti della rivoluzione

    soggettivista, solo Jevons pienamente cosciente della portata politica del nuovo

    approccio.

    Secondo una celebre definizione della scuola marginalista, leconomia la scienza che studia la condotta umana come relazione tra scopi e mezzi scarsi applicabili ad usi

    alternativi (Lionel Robbins). Mentre i desideri umani sono illimitati, le risorse disponibili

    per soddisfare tali desideri sono limitate. Tutti i problemi economici sono problemi di

    scarsit. Leconomia si occupa di stabilire il modo migliore per ottenere un certo scopo

    utilizzando le risorse scarse a disposizione.

    Con questa definizione, leconomia perde il suo carattere di scienza essenzialmente storica (nel senso che le diverse forme di organizzazione economica nei diversi contesti storici

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  • funzionano secondo principi e meccanismi diversi) per diventare, o almeno pretendere di

    diventare, una scienza universale valida, al pari delle scienze esatte quali la matematica o

    la fisica.

    Un tipico esempio di questo approccio economico il problema del consumatore che dispone di un certo reddito e deve decidere come impiegarlo per soddisfare al meglio i

    suoi bisogni e le sue preferenze. Un altro esempio il problema del produttore che deve

    decidere cosa e quanto produrre, che tecnica produttiva utilizzare nella ricerca del

    massimo profitto, utilizzando un certo capitale iniziale.

    LA RIVOLUZIONE KEYNESIANA E LA MACROECONOMIA

    Dal 1870 agli anni 20, il dibattito economico caratterizzato da una certa tranquillit che vede il consolidarsi della teoria neoclassica come scuola di pensiero dominante.

    I problemi economici degli anni 20 la deflazione, la caduta salariale, la disoccupazione e la crisi economica, accentuatasi tra il 1929 e il 1932 producono forti polemiche

    teoriche che portano allaffermazione della teoria di John Maynard Keynes.

    Dal punto di vista teorico, la rivoluzione keynesiana non pu essere posta sullo stesso piano di quella marginalista. Essa infatti non si basa su un cambiamento profondo della

    struttura concettuale della teoria dominante, quanto piuttosto sulla proposta di un diverso

    modo di gestire i problemi economici del tempo. La teoria di Keynes non si oppone alla

    teoria del valore e della distribuzione allora in vigore (quella neoclassica-marginalista);

    anzi si muove al suo interno, contestandone tuttavia un aspetto fondamentale: lassunto

    del pieno impiego delle risorse produttive (in particolare, del pieno impiego della forza

    lavoro disponibile). NB: nel linguaggio delleconomia ortodossa (non marxiana), la forza

    lavoro lofferta di lavoro, cio la popolazione in et lavorativa occupata o in cerca di

    occupazione.

    Sebbene la teoria neoclassica riconosca la possibilit di attriti che impediscano il raggiungimento dellequilibrio di pieno impiego, si suppone comunque che il sistema

    tenda verso di esso. Limplicazione di politica economica che periodi prolungati di

    disoccupazione non possono che dipendere da un livello troppo alto dei salari rispetto al

    livello dequilibrio di piena occupazione.

    Keynes contesta questa proposizione sostenendo che non esistono tendenze necessarie a muovere il sistema dei prezzi verso lequilibrio di piena occupazione e che lequilibrio

    pu invece fissarsi a qualsiasi livello di produzione e di occupazione.

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  • Rispetto allapproccio neoclassico basato sullanalisi del comportamento dei singoli soggetti economici come premessa indispensabile per discutere tutti i fenomeni

    economici, Keynes sposta laccento sullanalisi di variabili aggregate quali il consumo,

    loccupazione e il reddito nazionale. In questo senso la teoria keynesiana costituisce il

    fondamento di quella che in termini moderni si chiama macroeconomia, contrapponendosi

    alla teoria neoclassica che mantiene un approccio di tipo microeconomico.

    La teoria keynesiana si afferma soprattutto negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, con politiche di forte intervento pubblico nella maggior parte dei paesi

    occidentali. Anche a livello accademico, si delinea cos una separazione tra due filoni di

    ricerca: la microeconomia e la macroeconomia. In realt la distinzione indica soprattutto

    che ci troviamo di fronte a due approcci diversi alla scienza economica, lapproccio

    marginalista e quello keynesiano. I moderni libri di testo li presentano come

    complementari, ma in realt essi nascono e si sviluppano come antagonistici.

    LE LEGGI ECONOMICHE NELLE DIVERSE IMPOSTAZIONI METODOLOGICHE

    Una fondamentale differenza tra lapproccio classico e quello marginalista riguarda il metodo danalisi.

    Secondo la scuola classica, la societ si modifica nel tempo ed perci naturale studiare societ diverse nello spazio e nel tempo secondo teorie diverse. Le leggi economiche che

    leconomia politica cerca cambiano infatti anchesse nelle diverse forme sociali (o,

    secondo la terminologia di Marx, che leconomista che pi ha insistito sul carattere

    storico delle diverse forme di organizzazione della societ, modi di produzione). Le leggi

    di funzionamento della societ schiavistica sono diverse da quelle della societ feudale, da

    quelle della societ capitalista e da quelle della societ socialista.

    Secondo lapproccio marginalista invece, anche se le forme sociali cambiano nel tempo, il problema economico di fondo rimane sempre lo stesso in ogni societ e in ogni epoca:

    come utilizzare nel migliore dei modi le risorse a propria disposizione. Si tratta

    evidentemente di domande diverse che vengono sollevate dai due approcci, ognuna delle

    quali porta ad assumere determinate ipotesi come punto di partenza dellanalisi. Come

    vedremo, nella teoria marginalista si insiste sul ruolo delle preferenze individuali, le quali

    determinano i criteri di scelta allinterno di un ventaglio di opzioni disponibili. Questo

    porta ad assumere sia le preferenze, sia il set di scelte a disposizione di ciascun soggetto

    come un dato da cui partire, non come fenomeni da spiegare.

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  • Il fatto che i diversi approcci teorici si pongano domande diverse rende difficile parlare di progresso teorico come nelle altre scienze.

    IDEOLOGIA E TEORIA ECONOMICA

    Parallelamente allaffermazione dellapproccio marginalista si sviluppa la convinzione che la teoria economica debba essere estranea ad ogni tipo di giudizio di valore. Questo

    porta alla distinzione netta tra economia positiva ed economia normativa: la prima

    produce analisi descrittive (di ci che ), mentre la seconda produce analisi prescrittive (di

    ci che dovrebbe essere secondo particolari posizioni etiche).

    Secondo questa impostazione, solo a livello normativo necessario introdurre giudizi di valore, mentre nellanalisi positiva la teoria non riflette altro che giudizi di fatto.

    Questa distinzione ha dato luogo ad un lungo dibattito nel quale si evidenziato come la stessa economia positiva, non possa considerarsi estranea alla visione ideologica e ai

    giudizi di valore delleconomista. Come sostiene leconomista svedese Gunnar Myrdal,

    premio Nobel nel 1974, loggettivit nella ricerca sociale non pu mai essere assoluta e

    universale poich necessariamente riflette, se non altro nella definizione del problema da

    analizzare e nella scelta degli strumenti danalisi (ma a volte anche nelle conclusioni

    teoriche), le convinzioni e i valori del teorico, i quali non possono considerarsi al di sopra

    delle parti.

    Le categorie analitiche di qualsiasi teoria positiva riflettono necessariamente una particolare visione del mondo. Non possibile immaginare una teoria economica che sia

    indipendente da una particolare visione del mondo poich leconomista egli stesso parte

    della societ che studia e la posizione che egli ricopre nella societ influisce

    necessariamente sul suo modo di vedere le cose, di individuare i problemi economici e di

    definire le priorit della ricerca teorica.

    Loggettivit nella ricerca sociale non pu mai essere assoluta e universale poich necessariamente riflette, se non altro nella definizione del problema da analizzare e nella

    scelta degli strumenti danalisi (ma a volte anche nelle conclusioni teoriche), le

    convinzioni e i valori del teorico, i quali, in un mondo fatto di interessi contrastanti, non

    possono in alcun modo considerarsi al di sopra delle parti.

    Spesso, tuttavia, la visione (di parte) delle teorie economiche presentata dai loro sostenitori come se fosse invece super partes, cio come se si trattasse di un punto di vista

    neutrale, unanimemente condivisibile, ispirato al semplice perseguimento del bene

    13

  • comune. Il problema che, il bene comune, ammesso che esista in una societ fatta di

    interessi contrastanti quale il capitalismo, non facilmente identificabile.

    Da un punto di vista marxista, la teoria economica borghese non affatto neutrale ma riflette semplicemente la visione, le aspirazioni e le preoccupazioni della classe dominante

    del capitalismo: la borghesia. Il motivo per cui le proposizioni della teoria borghese

    appaiono neutrali sul piano dei valori che implicitamente la teoria prende per dato il

    sistema capitalista e sposa il punto di vista della sua classe dominante.

    Secondo Marx ed Engels la storia dei rapporti economici storia di lotta di classe e, cos come la societ evolve secondo gli interessi contrastanti delle diverse classi sociali, la

    morale stessa sempre una morale di classe. Chiaramente, secondo lapproccio marxista,

    la classe dominante che ha interesse a presentare la propria morale come eterna e

    universale ed sempre la classe dominante che ha interesse a rivendicare la neutralit

    della propria visione dei rapporti economici sostenendo che la (propria) teoria si fonda sul

    principio del bene comune.

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  • 2. Dal feudalesimo al capitalismo

    [Bibliografia di riferimento: Roncaglia, paragrafi 8-11]

    Nel corso tratteremo spesso del mercato. Il mercato pu essere definito come il luogo nel quale avvengono le transazioni economiche, gli scambi di merci contro denaro. Nella

    teoria economica, il termine non si riferisce necessariamente a particolari luoghi fisici,

    bens indica una rete di relazioni tra operatori economici, anche distanti tra loro, che

    scambiano uno stesso tipo di bene.

    Il mercato esiste da molto tempo ed presente anche in societ come la Grecia antica, o nellepoca feudale. Ma rispetto a quellepoca il ruolo del mercato nella societ

    profondamente cambiato. Nella societ capitalista, che loggetto principale del nostro

    studio, il mercato svolge un ruolo primario nei processi di produzione e distribuzione delle

    risorse. Rispetto alla forma sociale che ha preceduto il capitalismo la societ feudale i

    rapporti di mercato hanno subito uno sviluppo enorme trasformando le relazioni sociali sia

    da un punto di vista quantitativo, sia qualitativo.

    Per comprendere meglio il ruolo del mercato nelle diverse forme sociali, analizziamo, seppure in termini molto generali, lorganizzazione della societ feudale e il ruolo che in

    essa svolgeva il mercato.

    Tre classi sociali: nobilt, clero e servi della gleba. I nobili detengono il potere politico. I servi della gleba sono obbligati a fornire le corves, ossia devono dedicare parte del loro

    tempo di lavoro ai nobili, ai quali va tutto il prodotto delle terre padronali (fondi

    dominici). I servi della gleba pagano inoltre le decime al clero, che sono una forma di

    tassa pari a circa un decimo del prodotto. Quello che rimane utilizzato dal servo della

    gleba e la sua famiglia per il sostentamento. Lattivit economica tutta organizzata

    attorno al nobile e il suo castello dal quale domina le terre circostanti. Le famiglie

    nobiliari costituiscono in gran parte unit produttive autosufficienti.

    Il mercato riguarda solo una parte minima degli scambi che avvengono nella societ e riguarda quasi esclusivamente scambi che non sono strettamente necessari alla

    sopravvivenza delle singole unit produttive e alla riproduzione del sistema. I servi della

    gleba consumano direttamente il prodotto delle terre servili e non hanno modo di entrare

    in possesso di denaro. Le decime sono pagate in natura. I nobili ottengono il prodotto

    delle terre padronali in natura e solo una parte di questo viene scambiato sul mercato per

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  • lo pi in cambio di prodotti manufatti provenienti da artigiani che vivono nelle vicinanze

    del castello, nel dominio del nobile; unaltra parte viene invece da lontano (pietre

    preziose, spezie, tessuti).

    La transizione al capitalismo avvenuta con tempi diversi nei diversi paesi. Prima in Olanda e in Inghilterra intorno al XVII secolo, pi lentamente in altri paesi.

    Fattori che hanno inciso sul processo di transizione: 1. Crescita degli scambi, crescita delle citt (in cui si sviluppa lartigianato e in cui si

    riversano i servi della gleba che fuggono dalle campagne).

    2. Sviluppo dei commerci a lunga distanza (che aumenta i desideri dei nobili, i beni

    oggetto di scambio sul mercato e lo sfruttamento dei servi della gleba, dando luogo a

    rivolte e fughe di massa dalle campagne).

    3. Nascita del putting out system (sistema di lavoro a domicilio in cui il mercante porta ai

    suoi lavoranti le materie prime e poi ritira il prodotto pagando in forma di denaro un

    salario al livello di sussistenza).

    4. Prima rivoluzione agricola (inizio XVIII secolo). Si diffonde lallevamento del

    bestiame e del pascolo. Diminuisce il numero di lavoratori agricoli allontanando i

    servi della gleba dalle terre che fino ad allora avevano coltivato. Le terre vengono

    recintate permettendo ai nobili di ottenere maggiori redditi grazie alle nuove

    tecnologie agricole. Nasce cos la propriet privata della terra (il dominio politico del

    nobile sulla regione si trasforma in un diritto esclusivo allo sfruttamento economico

    della terra) e quello che Marx chiamer lesercito industriale di riserva (esercito di

    potenziali lavoratori disponibili per quei mercanti che decidono di sviluppare una

    propria attivit manifatturiera). Si instaura cos il rapporto di lavoro salariato e la

    separazione tra lavoratore e propriet dei mezzi di produzione.

    I cambiamenti non sono solo quantitativi, ma anche qualitativi: i fenomeni descritti modificano infatti le istituzioni stesse che regolano linterazione sociale, portando alla

    scomparsa delle istituzioni feudali e allinstaurarsi di istituzioni capitalistiche.

    Il capitalismo si regge sul rapporto di lavoro salariato. Lestendersi dei rapporti di mercato supera gradualmente gli scambi occasionali di particolari beni e il mercato tende a

    diventare la principale istituzione che regola i rapporti tra i cittadini. Al mercato non

    vanno pi soltanto le eccedenze rispetto alle capacit di autoconsumo, come nel

    feudalesimo. La vendita sul mercato diventa invece lobiettivo stesso della produzione. Il

    16

  • progressivo estendersi dei mercati tende ad abbracciare sempre nuovi aspetti dei rapporti

    sociali.

    Ma il vero salto qualitativo si ha con lemergere del mercato del lavoro, in cui possibile comprare e vendere le prestazioni lavorative, e con laffermarsi della compravendita della

    forza lavoro come principale forma di produzione delle merci. Questa trasformazione

    modifica sostanzialmente i rapporti sociali facendo dipendere lesistenza di ampi strati

    della popolazione i lavoratori dai rapporti di mercato.

    Il processo di emersione del mercato del lavoro particolarmente violento ed importante ricordare che tanto nella letteratura marxista, quanto in quella non marxista, gli storici

    hanno evidenziato la resistenza della societ civile allinstaurazione dei rapporti di

    mercato. Affinch infatti potesse crearsi un mercato del lavoro, fu necessaria

    lespropriazione dei lavoratori i quali, mentre si liberavano dei vincoli imposti dalle

    istituzioni feudali, si trovavano al tempo stesso privi di qualsiasi mezzo per sopravvivere e

    furono quindi costretti a vendere la propria forza lavoro al miglior offerente. Con la

    trasformazione della forza lavoro in merce da scambiarsi sul mercato, la vita stessa dei

    lavoratori diventa soggetta alle dinamiche imposte dalle leggi del mercato, le quali si

    affermano indipendentemente dalla volont e dai desideri dei singoli soggetti economici.

    La separazione tra lavoro e mezzi di produzione quindi la caratteristica fondamentale

    delle societ capitaliste.

    La divisione in classi sociali che viene a prevalere in tre classi: capitalisti, lavoratori e proprietari terrieri. I capitalisti sono i proprietari dei mezzi di produzione, pagano un

    salario ai lavoratori e sono proprietari del prodotto del processo produttivo. La vendita sul

    mercato di tale prodotto, in condizioni normali, consente al capitalista di ottenere un

    profitto. I proprietari terrieri ottengono una rendita come remunerazione dellaffitto della

    terra. I lavoratori ottengono un salario in forma monetaria che spendono nellacquisto di

    beni necessari alla sussistenza.

    Questa divisione in classi ovviamente evolve nel tempo e assume configurazioni diverse nei diversi contesti: ad esempio diversi individui possono percepire redditi in parte da

    capitale e in parte da lavoro e le dimensioni delle tre classi possono essere assai diverse se

    si confrontano diversi periodi o diversi paesi. In particolare il ruolo dei proprietari terrieri

    diminuito notevolmente nel corso della storia del capitalismo e la struttura interna della

    classe capitalista diventata pi articolata, con la separazione pi o meno netta tra

    17

  • capitale industriale e capitale finanziario. La divisione in classi sociali rimane comunque

    il tratto distintivo del modo di produzione capitalistico che loggetto del nostro corso.

    Fattori che hanno inciso sullaumento di produttivit nello sviluppo del capitalismo: 1. Invenzione della macchina a vapore che costituisce laspetto principale della

    rivoluzione industriale basata sul sistema di fabbrica che consente una stretta

    sorveglianza del capitalista-imprenditore sui lavoratori (disciplina, orari rigidi, ritmi di

    lavoro controllati).

    2. Seconda rivoluzione agricola basata sullintroduzione delle macchine nel lavoro dei

    campi e sulluso dei fertilizzanti artificiali ottenuti grazie ai progressi della chimica.

    3. Produzione su larga scala dellenergia elettrica e suo utilizzo in numerosi campi

    (illuminazione, forza motrice per i macchinari industriali).

    4. Pi di recente: micreoelettronica e informatica che permettono lo sviluppo

    dellautomatizzazione e modificano i rapporti di lavoro nelle fabbriche e negli uffici.

    5. Trasporti: passaggio dalla diligenza al treno, dalle navi a vela a quelle a vapore,

    diffusione dellautomobile e del trasporto aereo.

    6. Comunicazioni: telegrafo e telefono, radio e televisione, fax e posta elettronica.

    18

  • 3. Limpostazione moderna allo studio delleconomia

    [Bibliografia di riferimento: Sloman, introduzione]

    IL PROBLEMA ECONOMICO

    Limpostazione di fondo dei moderni manuali di economia quella dellapproccio marginalista integrato con la teoria keynesiana. Nel menzionare i problemi economici si

    parla di moneta, produzione, consumo, ma non si parla invece di distribuzione del reddito,

    la quale, come abbiamo visto, il grande tema degli economisti classici, n delle questioni

    di sfruttamento e alienazione, care a Marx.

    Il problema economico fondamentale la scarsit e tutte le questioni economiche sono presentate in termini di equilibrio tra domanda e offerta. Nella microeconomia i concetti

    di domanda e di offerta sono riferiti ai singoli individui, nella macroeconomia la domanda

    e lofferta sono invece concetti aggregati, che si riferiscono cio ad aggregati di individui.

    Microeconomia. La microeconomia studia il comportamento dei singoli soggetti (consumatori, imprese) e da esso deriva le leggi di funzionamento della societ nel suo

    complesso. Ogni societ, implicitamente o esplicitamente, effettua tre tipi di scelte: quali

    beni produrre, come produrli, per chi produrli. La microeconomia risponde a queste

    domande prendendo come punto di partenza le scelte individuali e valutandole dal punto

    di vista individualistico.

    Macroeconomia. La macroeconomia studia invece direttamente il comportamento di aggregati, come il reddito nazionale, gli investimenti, i consumi e i problemi che si

    affrontano sono quelli dellinflazione, della crescita della produzione, della

    disoccupazione, dellequilibrio della bilancia dei pagamenti.

    LA FRONTIERA DELLE POSSIBILIT PRODUTTIVE

    Consideriamo un sistema semplificato in cui esistono solo due beni x1 e x2. Se tutte le risorse produttive esistenti (lavoro, capitale, terra) fossero utilizzate per produrre x1,

    utilizzando le tecniche pi efficiente, si otterrebbero 7 milioni di unit di x1.

    Alternativamente, se tutte le risorse fossero utilizzate per produrre x2, si otterrebbero

    ottenendo 8 milioni di unit di x2. esistono poi tutta una serie di casi intermedi in cui parte

    delle risorse utilizzata per produrre x1 e parte utilizzata per produrre x2. Linsieme delle

    combinazioni di x1 e x2 che possono essere realizzate efficientemente con le risorse

    19

  • esistenti prende il nome di frontiera delle possibilit produttive. Tale insieme pu essere

    rappresentato graficamente come una curva decrescente sul piano cartesiano (x1, x2).

    Il concetto di frontiera delle possibilit produttive pu essere utilizzato per esprimere alcuni concetti tipici della microeconomia e della macroeconomia.

    In microeconomia, si parla di costo-opportunit. Come vedremo, secondo lapproccio microeconomico, ogni scelta comporta il sacrificio delle altre alternative possibili. La

    migliore alternativa tra quelle scartate costituisce il costo-opportunit della scelta. In

    questo caso il costo opportunit esprime il numero di unit di x1 cui si deve rinunciare per

    incrementare di ununit la produzione di x2. Secondo unipotesi diffusa, la frontiera delle

    possibilit produttive concava, il che significa che il costo-opportunit crescente.

    In macroeconomia, il concetto di frontiera delle possibilit produttive pu essere utilizzato per evidenziare i problemi di un sottoutilizzo delle risorse produttive. In tal caso, il

    sistema non riesce a realizzare combinazioni produttive sulla frontiera e porta invece alla

    produzione di punti interni alla frontiera.

    LO SCAMBIO DI MERCATO COME FENOMENO NATURALE

    Tutto questo apparato teorico, comprendente la macroeconomia e la microeconomia, si basa sullipotesi che gli individui abbiano una propensione naturale a scambiare e a

    perseguire il guadagno personale e che i rapporti di mercato emergano spontaneamente

    come risposta a tali propensioni naturali.

    Questo modo di vedere le cose non esente da critiche. 1. Che la scarsit sia un problema universale caratteristico di tutte le societ un fatto

    contestato dagli storici economici i quali evidenziano invece come la scarsit sia un

    fenomeno tipico della societ capitalista per due ragioni: primo, col balzo in avanti

    nella produzione della ricchezza realizzato con lavvento del capitalismo si avuto

    parallelamente un balzo in avanti nella produzione della povert; secondo, la scarsit

    delle risorse definita in relazione allipotesi di bisogni illimitati, i quali tuttavia nelle

    societ precapitalistiche erano di fatto limitati e determinati da fattori legati alla

    tradizione.

    2. La stessa ipotesi fondamentale delleconomia ortodossa secondo cui la societ di

    mercato nasca dalla propensione naturale delluomo allo scambio (come riteneva

    Smith e come ritengono gli economisti neoclassici) non trova alcun riscontro storico:

    come sostiene lo storico economico Karl Polanyi gli atti individuali di baratto erano

    20

  • del tutto eccezionali nelle societ primitive e nei grandi imperi come lantico Egitto,

    Roma, la Cina e lEuropa medievale, i quali si basavano invece su meccanismi sociali

    di distribuzione indipendenti dallo scambio diretto tra singoli soggetti.

    3. La propensione allo scambio, che lindividuo della societ capitalista percepisce come

    naturale, si sviluppa invece solo col procedere del capitalismo. Partire dallo scambio

    isolato come fondamento del mercato dunque un falso storico.

    4. Lo stesso commercio a lunga distanza non era affatto basato sul mercato e lo scambio

    di equivalenti, bens sulla rapina, lespropriazione violenta, il colonialismo. In altri

    casi, gli scambi avvenivano senza alcun meccanismo di do ut des, ma

    semplicemente in forma di dono.

    5. Lipotesi che il movente dellattivit economica sia il guadagno personale anchessa

    storicamente falsa e pu essere considerata valida soltanto allinterno dellinterazione

    sociale di tipo capitalistico.

    21

  • I

    ECONOMIA CLASSICA E MARXIANA

    1. La concorrenza

    [Bibliografia di riferimento: Cassetti, capitolo 1]

    Il concetto di concorrenza e la teoria economica. Due fattori generali determinano la concorrenza:

    1. lesistenza di un beneficio scarso, insufficiente a soddisfare tutti i partecipanti

    allinterazione sociale;

    2. un atteggiamento conflittuale, non solidale, tra soggetti interscambiabili tra loro.

    I rapporti tra interesse personale e benessere sociale costituiscono linterrogativo fondamentale della ricerca economica e le diverse teorie della concorrenza forniscono

    risposte diverse a tale interrogativo.

    Non essendoci nessuna istituzione che coordina esplicitamente le decisioni individuali di produzione e di consumo, come mai il risultato empirico non il caos? La risposta di

    Smith che la concorrenza un meccanismo che tende a rendere coerenti (ex post) le

    decisioni individuali ed perci grazie alla concorrenza se nel sistema di mercato le

    decisioni individuali si ricompongono in modo armonioso.

    La risposta che daranno in modo in parte diverso Marx e Keynes che il fatto che nel capitalismo non si generi il caos non completamente vero, visto che tutti i sistemi

    capitalisti sono caratterizzati da ricorrenti crisi e difficolt di impiegare tutte le risorse

    disponibili. Secondo Marx e Keynes, queste difficolt dipendono dai limiti stessi della

    concorrenza come meccanismo dominante di coordinamento delle decisioni individuali.

    22

  • 2. La concorrenza come meccanismo di armonia sociale in Adam Smith

    [Bibliografia di riferimento: Cassetti, capitolo 2]

    Due opere principali: Teoria dei sentimenti morali e Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (comunemente chiamato La ricchezza delle nazioni).

    Il teorema della mano invisibile: linterazione tra individui egoisti che perseguono il proprio interesse personale produce risultati economici socialmente desiderabili a patto

    che non ci siano barriere economiche o restrizioni istituzionali al perseguimento delle

    attivit economiche e alloperare della concorrenza.

    Il concetto di sovrappi e la teoria del valore. Consideriamo un processo produttivo in cui si produce grano a mezzo di grano e lavoro:

    a l b

    a = quantit di grano immessa nel processo produttivo;

    l = quantit di lavoro immessa nel processo produttivo;

    b = quantit di grano ottenuta dal processo produttivo.

    Indichiamo con w il salario per unit di lavoro espresso in termini di grano, o saggio di

    salario (reale) e assumiamo che esso sia un dato del problema e che sia fissato al livello di

    sussistenza del lavoratore.

    S = b (a + wl)

    S il sovrappi, cio la parte del prodotto che eccede la necessit di sussistenza dei

    lavoratori e la ricostituzione dei mezzi di produzione. Il sovrappi pu essere consumato

    dai capitalisti e dai proprietari terrieri o pu essere reinvestito. In questultimo caso si ha

    un sistema in espansione in cui la produzione aumenta di anno in anno (produzione su

    scala allargata).

    La capacit di produrre un sovrappi deriva dal lavoro, non dalla terra come ritenevano i fisiocrati. Il lavoro la fonte della ricchezza.

    23

  • Lestendersi della divisione del lavoro la principale causa dellaumento della produttivit del lavoro.

    Il sovrappi si forma in tutti i settori e la sua dimensione dipende dal grado di sviluppo dalla divisione del lavoro. In un sistema in cui si producono beni di diversa natura si pone

    un problema nella misurazione del sovrappi: i beni prodotti (output) e i beni utilizzati

    come mezzi di produzione (input) possono essere diversi il che rende problematico

    determinare il sovrappi in termini fisici e rapportarlo ai mezzi di produzione per ottenere

    una misura del saggio di profitto. (NB: anche in presenza di input e output comprendenti

    lo stesso insieme di beni, sufficiente che la composizione delloutput e quella dellinput

    siano diverse a impedire una misurazione del saggio di profitto in termini fisici).

    Esprimendo i diversi input e output in termini di valore possibile misurare il sovrappi e calcolare il saggio di profitto.

    Problema del valore: come si determina il valore delle merci? Valore duso e valore di scambio: il valore duso la propriet di un bene di soddisfare un dato bisogno; il valore

    di scambio il rapporto con cui una quantit di un bene si scambia sul mercato con

    quantit di altri beni (prezzo relativo).

    Lavoro contenuto. Smith: In ogni tempo e luogo caro ci che costa molto lavoro, a buon mercato ci che si pu avere con pochissimo lavoro.

    Consideriamo un modello grano standardizzato (in cui cio i parametri siano definiti in modo tale che loutput sia pari ad ununit):

    a l 1

    a = quantit di grano immessa nel processo produttivo;

    l = quantit di lavoro immessa nel processo produttivo;

    b = 1 (si ottiene ununit di grano dal processo produttivo).

    Si pu utilizzare anche la seguente notazione pi compatta:

    [a, l] 1

    con a < 1 come condizione affinch il processo sia vitale.

    Introduciamo lipotesi di rendimenti di scala costanti:

    24

  • [a, l] per > 0.

    Con queste ipotesi, determiniamo il lavoro contenuto in ununit di grano:

    [a, l] 1 [a2, al] a

    [a3, a2l] a2

    [an, an-1l] an-1

    si tratta di una serie geometrica di ragione a, la quale pari a l/(1 a), se, come nel nostro

    caso, a < 1:

    = l + al + a2l + a3l + + an-1l + = l/(1 a)

    Come si vede il lavoro contenuto () maggiore del semplice lavoro diretto (l). Secondo Smith il concetto di lavoro contenuto tiene conto solo dei redditi da lavoro, ma

    non tiene conto del profitto e della rendita, i quali sono centrali nel capitalismo. Se infatti

    tutto il valore prodotto dal lavoro andasse al lavoratore in forma di salario, non ci sarebbe

    spazio per il profitto e la rendita. Affinch possano esistere altre categorie di reddito

    accanto al salario, il prezzo del bene non pu essere pari ai salari pagati per produrre il

    bene stesso. NB: nella teoria classica per profitto non si intende la remunerazione del

    capitalista per la sua attivit di direzione e coordinamento del processo produttivo, bens si

    intende la quota di reddito di cui il capitalista si appropria in virt dellaver anticipato il

    capitale. per questo, come vedremo in un attimo, che nel definire il saggio di profitto si

    rapporta il profitto al capitale anticipato.

    Lavoro comandato. Il valore di una merce determinato dal lavoro che essa pu acquistare (non dal lavoro che occorso per produrla): com = p/w.

    w il saggio di salario monetario: quantit di moneta per unit di lavoro (w = wp). Smith si riferisce allo scambio di merci contro lavoro, lo scambio capitalistico per

    eccellenza, quello tra capitalisti e lavoratori.

    25

  • Che relazione esiste tra e com ? Vogliamo dimostrare che < com. Il lavoro che si pu acquistare vendendo una merce maggiore del lavoro occorso per produrla. La ragione

    che il prezzo della merce pu scomporsi in tre componenti: la parte che remunera il lavoro

    (salario), quella che remunera il capitale (profitto) e quella che remunera la terra (rendita).

    Solo nel caso in cui tutto il reddito ricavato dalla vendita del prodotto andasse interamente

    al lavoro, il lavoro comandato sarebbe uguale al lavoro contenuto. Qualora invece esistano

    parti del valore prodotto che sono attribuite al capitalista (il profitto) o al proprietario

    terriero (la rendita), il reddito del lavoratore (il salario) non pu che diminuire. In questo

    modo, il capitalista che vende al prezzo p una merce che contiene ore di lavoro, riceve una quantit di denaro superiore rispetto a quella necessaria a remunerare il lavoro.

    Questo significa che la quantit di lavoro che il capitalista comanda (com) superiore al lavoro contenuto nella merce ().

    Consideriamo la relazione tra e com in termini analitici. Tralasciando per semplicit la rendita, il prezzo pu essere espresso come somma dei costi

    sostenuti per produrre la merce, pi un profitto di cui si appropria il capitalista (avendo

    egli anticipato i mezzi di produzione).

    Ricavi costi + profitti

    In termini unitari (dividendo per q):

    p costi unitari + profitti unitari.

    Per avere una misura del guadagno del capitalista, il profitto viene riferito alla quantit di

    capitale anticipato. Si definisce allora il saggio del profitto (r):

    r = profitti / valore del capitale anticipato.

    Il prezzo pu allora essere espresso cos:

    p = (pa + wl)(1 + r)

    26

  • dove: (pa + wl) il costo unitario e r(pa + wl) il profitto unitario [NB: nel testo di

    Cassetti c un errore di battitura a pag. 22. Non (pa + w) il costo unitario e r(pa + w) il profitto unitario].

    Per confrontare e com conviene riscrivere lequazione del prezzo come segue:

    p = (pa + wl)(1 + r)

    = pa(1 + r) + wl(1 + r)

    Consideriamo ora il lavoro comandato:

    com = p/w = (p/w)a(1 + r) + l(1 + r) (p/w) [1 a(1 + r)] = l(1 + r)

    (p/w) = l(1 + r) / [1 a(1 + r)] = l / [1/(1 + r) a]

    Ricordando che = l/(1 a) e che 1/(1 + r) < 1, segue che: 1. com 2. com = solo se r = 0.

    Si noti che il lavoro comandato pu fare da misura del valore di scambio delle merci ma non pu spiegare questultimo poich esso dipende da p e w che sono altri valori di

    scambio. Il lavoro comandato non pu quindi risolvere il problema del valore inteso come

    problema di determinare gli elementi che fanno s che una merce abbia un certo valore: se

    per determinare il valore di scambio di una merce (il prezzo) si deve gi conoscere il suo

    prezzo, la teoria risulta contraddittoria e il ragionamento diventa circolare.

    La questione che il lavoro contenuto e il lavoro comandato rispondono a due interrogativi diversi: con il concetto di lavoro contenuto si tenta di spiegare il valore di

    scambio delle merci (i loro prezzi); con il concetto di lavoro comandato si fornisce invece

    semplicemente una misura alternativa (rispetto a quella monetaria) del valore di scambio

    delle merci.

    Questa distinzione non chiara in Smith, il quale invece propone di utilizzare il lavoro comandato anche come teoria del valore di scambio delle merci. A tale scopo Smith

    elabora una teoria additiva del valore secondo cui le tre componenti del prezzo (salario

    unitario, profitto unitario e rendita unitaria) gravitano attorno ai loro livelli naturali.

    27

  • Il prezzo che consente di pagare i salari, i profitti e le rendite ai loro saggi naturali prende il nome di prezzo naturale, che si distingue dal prezzo di mercato il quale il prezzo

    effettivo prevalente sul mercato. Il prezzo naturale forma loggetto dellanalisi di Smith

    poich verso di esso che il sistema gravita continuamente. Lo scopo quindi quello di

    distillare le forze dominanti e persistenti che muovono il sistema economico, astraendo

    dai fattori secondari e contingenti che influiscono giorno per giorno sui prezzi di mercato.

    Il salario naturale determinato dal livello di sussistenza dei lavoratori. Quando il salario reale differisce dal salario naturale entrano in gioco due tipi di meccanismi: fattori

    istituzionali (diverse capacit di coalizzarsi e di condurre un conflitto da parte dei

    lavoratori e dei capitalisti) e fattori demografici (nel breve periodo i salari sono stimolati

    dalla domanda, il che fa aumentare la popolazione riportando il salario verso il livello di

    sussistenza). Il salario naturale perci quel livello del salario che consente alla domanda

    e allofferta di lavoro di crescere allo stesso tasso. La teoria del salario di Smith, per molti

    versi, anticipa la teoria della popolazione di Malthus.

    Per effetto della concorrenza tra i capitalisti, se esiste libert nel trasferire i capitali da un ramo produttivo allaltro, il tasso di profitto tender ad uguagliarsi in tutti i settori. La

    concorrenza tra acquirenti e tra venditori assicura che il prezzo di mercato graviti attorno

    al prezzo naturale (breve periodo). La concorrenza tra i capitalisti assicura luniformit del

    saggio di profitto (lungo periodo). La possibilit che il prezzo effettivo si mantenga ad un

    livello superiore rispetto al prezzo naturale (e che i saggi di profitto non siano uniformi)

    dipende dallesistenza di asimmetrie informative (segreti che impediscano ai capitalisti di

    conoscere i saggi di profitto in tutti i settori) e regolamentazioni dei mercati (che

    istituzionalizzino il monopolio o comunque restringano la concorrenza ad un numero

    limitato di partecipanti).

    La libera circolazione del lavoro e del capitale spinge i salari e i profitti verso i loro saggi naturali e fa tendere il prezzo di mercato verso il prezzo naturale. Il mercato tende quindi

    ad autoregolarsi. La ricerca del guadagno personale il fattore trainante del sistema.

    Non esiste in Smith una vera e propria teoria del livello naturale della rendita. In ogni caso, dal punto di vista della determinazione del valore di una merce, il problema

    della teoria dei prezzi naturali che salario, profitto e rendita sono essi stessi dei valori.

    28

  • 3. La concorrenza e il conflitto tra capitalisti e proprietari terrieri in David Ricardo

    [Bibliografia di riferimento: Cassetti, capitolo 3]

    Approvazione delle leggi sul grano nel 1816: tariffe doganali che impediscono di fatto limportazione di derrate alimentari pi a buon mercato allestero. Questo tiene alta la

    rendita a scapito dei profitti (essendo i salari gi al livello di sussistenza).

    Abolizione delle leggi sul grano nel 1846: egemonia politica della borghesia. Per Ricardo il problema fondamentale delleconomia politica la determinazione delle

    leggi che regolano la distribuzione del reddito tra le classi sociali.

    Secondo Ricardo il saggio di profitto dellintera economia dipende dal saggio di profitto del settore agricolo, nel quale si producono i beni di sussistenza che costituiscono il

    salario dei lavoratori.

    Per determinare il saggio di profitto nel settore agricolo, si deve determinare innanzi tutto la rendita agricola.

    MODELLO GRANO: esistono terre con diversi gradi di fertilit. La produttivit in termini di grano si misura sulle ordinate, mentre sulle ascisse si misura la quantit di lavoro

    utilizzata su ciascuna terra.

    Sloman, Elementi di economia, Il Mulino, 2002

    MODELLO GRANO (SENZA RENDITA)

    G

    L1

    A

    LL2 L3 L4

    B C D

    WA WB WC WD

    LA LB LC LD

    w

    29

  • LA = L1 il numero di lavoratori sulla terra A.

    LB = L2 L1 il numero di lavoratori sulla terra B.

    LA GA la produzione complessiva sulla terra A. LB GB la produzione complessiva sulla terra B.

    Il saggio di salario reale w sia dato e fissato al livello di sussistenza. Monte salari (Wi): ammontare dei salari pagati ai lavoratori della terra i (i = A, B, C, D).

    Essendo dato il saggio di salario reale w, il monte salari pari a:

    WA = LA w WB = LB w

    Monte profitti (i): ammontare dei profitti ottenuti sulla terra i (i = A, B, C, D). Se non ci fossero rendite:

    A = (GA w) LA B = (GB w) LB

    il saggio di profitto sarebbe pi alto per le terre pi fertili:

    rA > rB > rC > rD

    dove ri = i/Wi , i = A, B, C, D (i e Wi sono rispettivamente il profitto totale e il capitale anticipato sulla terra i).

    Tuttavia, la concorrenza tra capitalisti per ottenere le terre pi fertili porter questi ad

    offrire affitti pi elevati, il che, nel lungo periodo, imporr un saggio di profitto unico su

    tutte le terre (quello prevalente sulla terra meno fertile, chiamata anche terra marginale):

    30

  • rA = rB = rC = rD.

    La rendita fondiaria sar perci maggiore sulle terre pi fertili e poi via via minore, fino ad essere nulla sulla terra marginale.

    Sloman, Elementi di economia, Il Mulino, 2002

    MODELLO GRANO

    G

    L1

    A

    LL2 L3 L4

    B C D

    WA WB WC WD

    RCRBRA

    w

    Grazie allipotesi che la produzione di grano richiede come input solo grano e lavoro (e non anche altre merci) possibile calcolare il sovrappi agricolo in termini fisici e,

    rapportandolo al grano usato come input, il saggio di profitto. Una volta determinato il

    saggio di profitto nel settore agricolo (in termini fisici, senza conoscere i prezzi delle

    merci), la concorrenza tra capitalisti porter questo saggio di profitto ad estendersi anche

    allindustria, determinando il prezzo relativo tra grano e prodotti industriali. In altri

    termini il valore di scambio tra grano e prodotti industriali sar fissato al livello che

    garantisce luniformit del saggio di profitto nei diversi settori.

    Da un punto di vista dinamico, se si immagina che col procedere dello sviluppo economico vengano coltivate terre via via meno fertili, il saggio di profitto

    nellagricoltura tender a diminuire progressivamente (poich compresso tra un saggio di

    salario dato e una rendita unitaria crescente), facendo diminuire il saggio di profitto

    dellintera economia. Inoltre il fatto che le rendite (che tendono ad aumentare col

    procedere dello sviluppo) siano destinate al consumo o allinvestimento improduttivo

    31

  • sottrae risorse utilizzabili per laccumulazione del capitale, il quale costituisce il motore

    dello sviluppo. In questo modo leconomia tende verso la stato stazionario (stato in cui il

    tasso di crescita delleconomia pari a zero). Questa prospettiva pu tuttavia essere

    allontanata dal progresso tecnico, al quale comunque Ricardo non assegna unimportanza

    particolare.

    Sloman, Elementi di economia, Il Mulino, 2002

    TENDENZA VERSO LO STATO STAZIONARIO

    G

    L1

    A

    LL2 L3 L4

    B C D

    WA WB WC WD

    RCRBRA

    WE

    E

    RD

    L5

    w

    Vediamo in termini formali come si determinano le variabili distributive e i prezzi. MODELLO GRANO:

    si abbiano tre tipi di terra (A, B, C) caratterizzati da livelli crescenti di produttivit su cui

    si utilizzano tecnologie a rendimenti di scala costanti.

    [ai, li] 1 i = A, B, C.

    Terra A: [aA = 0.3, lA = 0.10] 1 Terra B: [aB = 0.3, lB = 0.15] 1 Terra C: [aC = 0.3, lC = 0.20] 1

    In assenza di rendite, i prezzi sarebbero i seguenti:

    p = (pai + wli)(1 + ri) i = A, B, C

    32

  • e i saggi di profitto sarebbero:

    ri = [p (pai + wli)] / (pai + wli) i = A, B, C.

    Il salario reale w sia pari a 2 unit di grano: w = 2.

    Ponendo p = 1 ( w = w = 2):

    rA = 100 % rB = 66 % rC = 43 %.

    La concorrenza tuttavia impone luniformit dei saggi di profitto pari a quello sulla terra marginale (la terra C):

    rA = rB = rC = 43 %.

    La rendita sulle terre A e B sar data perci da:

    i = p (pai + wli)(1 + rBi) i = A, B.

    MODELLO GRANO-FERRO. Supponiamo ora che accanto al settore agricolo che produce grano esista un settore industriale che produce ferro. Supponiamo anche che il grano sia

    utilizzato come mezzo di produzione del ferro, mentre il ferro non sia utilizzato nella

    produzione del grano. Possiamo allora rappresentare il sistema economico con due

    espressioni relative al processo di produzione di grano (sulla terra marginale) e al

    processo di produzione di ferro:

    [a11, l1] 1 unit di grano [a12, l2] 1 unit di ferro

    dove a11 e a12 sono rispettivamente le quantit di grano necessarie a produrre ununit di

    grano e ununit di ferro.

    Il sistema dei prezzi allora il seguente:

    33

  • p1 = (p1a11 + wl1)(1 + r)

    p2 = (p1a12 + wl2)(1 + r)

    Il sistema contiene tre incognite (p1, p2 e r, mentre w dato). Fissiamo il prezzo del grano

    pari a 1.

    1 = (a11 + wl1)(1 + r)

    p2 = (a12 + wl2)(1 + r)

    Lidea di Ricardo, ricordiamolo, che il saggio di profitto dellintero settore agricolo quello determinato sulla terra marginale (dove pu essere calcolato in termini fisici) e che

    esso, per effetto della concorrenza tra i capitalisti nei diversi settori produttivi, si estenda

    allintera economia. In effetti, con le ipotesi introdotte possibile determinare r dalla sola

    prima equazione e poi sostituirlo nella seconda equazione per determinare p2.

    r = [1 (a11 + wl1)] / (a11 + wl1)

    p2 = (a12 + wl2) / (a11 + wl1)

    Come si vede, con la coltivazione di terre meno fertili, scende il saggio di profitto nel settore agricolo (r) e, per lipotesi di uniformit del saggio di profitto nelleconomia,

    scende il prezzo del ferro (p2).

    MODELLO DI SRAFFA. Si tratta di una generalizzazione del modello di Ricardo in cui ambedue i settori utilizzano come mezzi di produzione merci prodotte in ambedue i settori

    (in realt nel modello di Sraffa si considerano n merci). Questo fa cadere la possibilit di

    determinare il saggio di profitto in termini fisici (nel solo settore agricolo) prima della

    determinazione dei prezzi relativi poich ora loutput (il grano) e gli input (il grano e il

    ferro) sono beni eterogenei.

    Con le ipotesi di Sraffa, il sistema diventa:

    p1 = (p1a11 + p2a21 + wl1)(1 + r)

    p2 = (p1a12 + p2a22 + wl2)(1 + r)

    34

  • A questo punto il saggio di profitto (r) deve essere determinato simultaneamente ai prezzi relativi (p1 e p2). Sraffa, a differenza di Ricardo, non tratta il saggio di salario (w) come

    fissato al livello di sussistenza. Fissando p1 = 1, rimangono tre incognite e due equazioni.

    Si hanno allora due possibilit:

    1. Fissando w (come faceva Ricardo), si determinano p2 e r

    2. Fissando r, si determinano p2 e w.

    In ogni caso, si dimostra che tra w e r esiste una relazione monotona inversa. Questo risultato generalizza il risultato di Ricardo che, ricordiamolo, era basato su un modello ad

    un solo bene (grano). La determinazione esatta delle due variabili distributive dipende

    per da fattori esterni al modello (quali la forza contrattuale delle parti sociali).

    Questo risultato evidenzia la natura conflittuale dei rapporti tra classi sociali e si contrappone allidea di Smith secondo cui la concorrenza un processo di interazione

    armoniosa che conduce al bene comune.

    35

  • 4. Concorrenza, sfruttamento e alienazione in Karl Marx

    [Bibliografia di riferimento: Napoleoni; Cassetti, capitolo 4]

    IL MODO DI PRODUZIONE CAPITALISTA

    Secondo Marx, tutte le societ divise in classi sono caratterizzate da rapporti di sfruttamento (della classe che si appropria dei frutti del lavoro sulla classe che lavora).

    La specificit del capitalismo rispetto agli altri modi di produzione non sta nellesistenza in esso della propriet privata e del mercato, ma nellestensione della propriet privata e

    del mercato alla sfera produttiva: il modo di produzione capitalista si regge sul lavoro

    salariato, il quale presuppone la propriet privata dei mezzi di produzione e la

    mercificazione della forza lavoro (la sua trasformazione in merce).

    Il lavoro salariato si basa sulla concorrenza tra lavoratori liberi. Ma, come sottolinea Marx, si tratta di una doppia libert, tutta particolare: i lavoratori sono (1) liberi di vendere

    la propria forza lavoro sul mercato e (2) liberi, nel senso di non avere pi vincoli rispetto

    alla terra e ai mezzi produzione da cui, nel rapporto feudale, traevano sostentamento.

    La libert giuridica di disporre di se stessi si affianca cos alla necessit economica di vendere se stessi. Laltra faccia della medaglia di questa libert lobbligo di cercarsi un

    padrone a cui vendere liberamente la propria forza lavoro. Questi sono i due aspetti

    contraddittori della libert economica dei rapporti capitalistici.

    Nella concezione marxiana, la libert personale e luguaglianza giuridica, in presenza di unasimmetria economica (il monopolio di classe della propriet dei mezzi di produzione)

    sono i presupposti stessi dello sfruttamento.

    Anzi, storicamente, proprio la condizione di libert giuridica, associata alla privazione del lavoratore della propriet dei mezzi di produzione, che consente (giuridicamente) e

    impone (economicamente) ai lavoratori di vendere la propria forza lavoro come

    condizione di sopravvivenza.

    IL CAPITALISMO COME SISTEMA MISTIFICATO

    Nel capitalismo, l'uguaglianza nei rapporti giuridici offusca l'asimmetria di classe nei rapporti economici.

    36

  • Scopo dell'indagine scientifica allora spiegare le condizioni storiche di origine e di sviluppo del capitalismo e svelare l'essenza economica dei rapporti di sfruttamento, che si

    nascondono dietro l'apparenza del libero scambio.

    LA CRITICA DELL'ECONOMIA POLITICA

    Invece di svelare l'essenza asimmetrica dei rapporti sociali, l'economia borghese presenta i rapporti capitalistici come rapporti naturali ed eterni.

    Le condizioni capitalistiche sono cos analizzate come se fossero universali, invece che come condizioni storiche transitorie.

    L'economia politica finisce cos per presentare il sistema esistente come espressione di rapporti necessari e immutabili.

    PRODUZIONE, CIRCOLAZIONE E SFRUTTAMENTO

    Per quanto riguarda lo sfruttamento, la critica marxiana delleconomia politica borghese riguarda laver trascurato il processo produttivo, riducendo lanalisi economica allo studio

    del processo di circolazione. Questo impedisce di cogliere lorigine dello sfruttamento

    nella sfera produttiva e porta a ricercarne le cause nello scambio ineguale nella sfera della

    circolazione (monopolio, asimmetrie giuridiche, eccetera).

    Lo sfruttamento, secondo Marx, nasce invece nella sfera della produzione, non in quella della circolazione.

    TEORIA DEL VALORE-LAVORO

    Marx utilizza il concetto di lavoro contenuto come fondamento del valore di scambio.

    LAVORO E FORZA LAVORO

    A differenza degli economisti che lo precedono, Marx distingue tra forza lavoro e lavoro. La forza lavoro linsieme di capacit fisiche ed intellettuali impiegate dai lavoratori nel

    processo produttivo, il quale si distingue dal lavoro effettivamente erogato.

    Quello che il capitalista acquista dal lavoratore la forza lavoro, non il lavoro. La forza lavoro la sola merce da cui possibile estrarre lavoro ed perci la sola merce che ha il

    potere di creare valore.

    37

  • Come per ogni altra merce utilizzata come input nella produzione, lobiettivo del capitalista quello di sfruttarne al meglio (in termini qualitativi) e al massimo (in termini

    quantitativi) il suo utilizzo nel processo produttivo.

    Lestrazione della massima quantit di lavoro dalla forza lavoro uno degli obiettivi del capitalista esattamente come suo obiettivo estrarre la massima quantit di ferro da una

    miniera di ferro.

    LA COMPRAVENDITA DELLA FORZA LAVORO

    Nel capitalismo, il processo di produzione necessariamente preceduto da un momento importante nella sfera della circolazione: lacquisto della forza lavoro da parte del

    capitalista. Questa compra-vendita, come la compra-vendita di qualsiasi altra merce,

    avviene ad un prezzo (il salario) esattamente equivalente al valore della forza lavoro (cio

    al lavoro contenuto nei beni che il lavoratore deve consumare per conservarsi e

    mantenersi). Si tratta dunque di uno scambio di equivalenti.

    Nel processo produttivo vero e proprio, il capitalista estrae poi dalla forza lavoro acquistata il lavoro che serve a valorizzare il capitale accumulato. Qui il capitalista entra

    in possesso di una quantit di lavoro maggiore di quella che ha pagato poich la durata

    della giornata lavorativa superiore al tempo di lavoro necessario a produrre i beni che

    formano il salario del lavoratore.

    Quando si completato il processo produttivo, il capitalista ha ottenuto dal lavoratore pi lavoro di quello che gli ha anticipato in forma di salario: lo scambio dunque tra entit

    disuguali.

    VALORE D'USO E VALORE DI SCAMBIO DELLA FORZA LAVORO

    Il valore duso della forza lavoro, ossia il valore che si ottiene dall'uso della forza lavoro, il lavoro incorporato nei beni prodotti dal lavoratore. Tuttavia il suo valore di scambio

    (il salario) fissato, in base alla concorrenza tra i lavoratori, al livello di sussistenza.

    La differenza tra il valore duso della forza lavoro e il suo valore di scambio definisce il plusvalore.

    38

  • PLUSVALORE E SFRUTTAMENTO

    Il plusvalore si crea perch il lavoratore lavora per un numero di ore maggiore rispetto alle ore di lavoro necessarie a produrre i beni salario che riceve come remunerazione del suo

    lavoro. Tale lavoro addizionale prende il nome di pluslavoro.

    Lesistenza di un pluslavoro descrive la condizione di sfruttamento del lavoratore. Nella produzione capitalistica, il pluslavoro viene appropriato dal capitalista in forma di

    profitto. Mentre il pluslavoro comune a tutte le societ divise in classi, il plusvalore

    (cio il pluslavoro trasformato in valore di scambio) tipico della societ capitalista.

    Il valore aggiuntivo di cui si appropria il capitalista dipende dalla peculiarit della forza lavoro rispetto a tutte le altre merci: la forza lavoro la sola merce capace di creare

    valore.

    LEGGE DEL VALORE E SFRUTTAMENTO

    Lo sfruttamento capitalistico non affatto una violazione della legge generale del valore (il valore-lavoro). Alloperaio non affatto pagato meno di quello che gli spetti secondo

    la teoria del valore. Al contrario, proprio il fatto che il capitalista acquista la forza lavoro

    pagandola al suo valore che gli consente di ottenere un profitto, mettendola a lavoro per

    un periodo superiore a quello necessario a reintegrare i mezzi di sussistenza che formano

    il salario reale.

    IL VALORE DELLE MERCI

    M = C + l

    M = C + V+ S

    C = capitale costante o lavoro morto (lavoro indiretto contenuto nel bene). Il capitale costante dato dallinsieme dei mezzi di produzione prodotti in un tempo precedente a

    quello del processo produttivo in esame. Il suo valore quindi quello che si incorpora in

    tali mezzi di produzione e viene trasferito nel valore della merce prodotta.

    l = V + S = lavoro diretto o lavoro vivo. Il lavoro diretto si suddivide in lavoro necessario, o capitale variabile (V), e plusvalore (S).

    Il capitale variabile (V) dato dai beni salario che remunerano la forza lavoro del lavoratore. Il suo valore quindi quello che si incorpora nei beni che il lavoratore riceve

    39

  • in forma di salario. Questa parte del capitale chiamata variabile perch il valore che

    produce supera il proprio valore: tralasciando per un momento il capitale costante, C, il

    capitalista anticipa il capitale variabile V, il quale produce un valore pari a V + S). Questo

    accade perch il lavoratore lavora per un tempo superiore a quello strettamente necessario

    a riprodurre i beni che formano il suo salario.

    Il plusvalore (S) definito dalla differenza tra il valore prodotto dal lavoro diretto (l) e il lavoro necessario (V). Tale differenza (S = l V) lespressione in valore del pluslavoro

    effettuato dal lavoratore.

    Il rapporto tra plusvalore (S) e capitale variabile (V) definisce il saggio di plusvalore o saggio di sfruttamento:

    = S / V

    Marx definisce inoltre la composizione organica del capitale come il rapporto tra capitale costante (valore dei mezzi di produzione) e capitale variabile (valore dei salari dei

    lavoratori):

    COC = C / V

    Quando i capitali costante e variabile sono esaminati nei loro aspetti materiali (invece che in termini di valore) tale rapporto prende il nome di composizione tecnica del capitale.

    Il saggio di profitto dato dal rapporto tra il plusvalore e il capitale complessivo anticipato:

    r = S / (C + V)

    Esempio. Consideriamo un processo produttivo in cui si produce 1 chilo di grano al giorno, con una giornata lavorativa di 8 ore (prendiamo la giornata lavorativa come unit

    temporale di riferimento). Un chilo di grano incorpora dunque 8 ore di lavoro diretto [l =

    8].

    In aggiunta a queste 8 ore di lavoro diretto, supponiamo che siano necessarie altre 4 ore di

    lavoro indiretto, incorporato nel grano utilizzato come semente, o capitale costante [C =

    4].

    40

  • Il lavoro totale necessario alla produzione di 1 chilo di grano (M) allora pari a 12 ore. In

    altri termini, 1 chilo di grano incorpora 12 ore di lavoro e quindi vale 12 ore di lavoro.

    Il salario reale giornaliero, per una giornata lavorativa di 8 ore, sia pari a 1/2 di chilo di

    grano.

    Allora, il lavoro necessario a riprodurre la giornata lavorativa del lavoratore (fatta di 8

    ore) pari a 6 ore [V = 6].

    In altri termini, il mezzo chilo di grano che il lavoratore riceve come remunerazione della

    giornata lavorativa, o capitale variabile, incorpora (vale) 6 ore di lavoro.

    Il plusvalore (S) dunque pari a due ore di lavoro, cio alla differenza tra le 8 ore di

    lavoro della giornata lavorativa del lavoratore (l) e le 6 ore di capitale variabile [S = l V

    = 8 6].

    Il saggio di sfruttamento () risulta quindi pari a [S / V = 2/8]. Con questi dati, lequazione del valore (M = C + V + S) la seguente: 12 = 4 + 6 + 2.

    PLUSVALORE, PROFITTO E SFRUTTAMENTO

    Esaminiamo la relazione tra saggio di profitto e saggio di sfruttamento:

    r = S / (C + V)

    r = (S/V) / (C/V + V/V)

    r = / (COC + 1)

    Dal confronto tra r e , Marx ricava tre proposizioni: 1. r > 0 > 0 2. r ; r = solo se C = 0 (ossia se non esiste capitale costante) 3. r cresce al crescere di .

    LA TRASFORMAZIONE DEI VALORI IN PREZZI

    Se i beni si scambiassero secondo i loro valori contenuti, in presenza di processi produttivi a diversa composizione organica del capitale, ma con uno stesso valore del capitale

    anticipato (C + V), il plusvalore (S) risulterebbe differente nei diversi settori. Infatti, per

    lipotesi di concorrenza tra i lavoratori, il saggio di sfruttamento () tende ad essere uniforme nei vari settori economici, il che significa che il plusvalore generato in ogni

    settore proporzionale al capitale variabile anticipato (S = V). Ma, allora, se diverso il

    41

  • plusvalore, diverso anche il tasso di profitto (r) nei vari settori, visto che per ipotesi il

    capitale totale anticipato nei diversi settori lo stesso.

    La concorrenza tra capitalisti impone invece luniformit del saggio di profitto. Infatti il capitalista nel decidere i propri investimenti guarda al saggio di profitto, cio al profitto

    per unit di capitale investito [S / (C + V)], e la concorrenza tra capitalisti tende a rendere

    tale saggio uniforme. Perci, se i settori hanno diverse composizioni organiche del

    capitale (Ci / Vi Cj / Vj), affinch possa realizzarsi un saggio del profitto uniforme [Si / (Ci + Vi) = Sj / (Cj + Vj)] il rapporto di scambio tra i beni (pi / pj) non pu riflettere il

    rapporto tra i lavori contenuti (Mi / Mj). In altre parole i prezzi pi e pj non possono

    coincidere semplicemente con i valori contenuti Mi e Mj, bens devono divergere da essi,

    in modo tale da garantire luniformit del saggio di profitto (ri = rJ).

    Il fatto che i prezzi relativi siano uguali ai valori relativi solo in una circostanza molto particolare (quella in cui la composizione organica del capitale sia la stessa nei due settori)

    significa che, in generale, le merci non possono scambiarsi secondo i loro lavori contenuti.

    Lo stesso problema pu essere posto affermando che, in ipotesi di composizioni organiche del capitale diverse nei due settori, se le merci si scambiassero secondo i loro lavori

    contenuti, non potrebbe realizzarsi luniformit del saggio del profitto. Nello schema

    marxiano, infatti, luniformit del saggio di profitto richiede che il prezzo del bene

    prodotto nel settore a pi alta composizione organica del capitale sia maggiore del lavoro

    contenuto nel bene stesso e che, viceversa il prezzo del bene prodotto nel settore a pi

    bassa composizione organica del capitale sia minore del lavoro contenuto nel bene stesso.

    LA SOLUZIONE MARXIANA

    Marx ritiene che il problema della trasformazione dei valori in prezzi di produzione possa essere risolto mantenendo la derivazione del sistema dei prezzi a partire dal sistema dei

    valori (operazione centrale nella metodologia marxiana) e analizzando il trasferimento di

    plusvalore dai settori a bassa composizione organica del capitale verso i settori a pi alta

    composizione organica del capitale come condizione necessaria per il livellamento dei

    saggi di profitto settoriali.

    Definendo C / V come la composizione media del capitale dellintera economia, Marx raggiunge le seguenti conclusioni:

    1. se Ci / Vi > C / V pi > Mi ; se Ci / Vi < C / V pi < Mi.

    42

  • 2. Trattandosi di una pura redistribuzione intersettoriale del plusvalore: i profitti totali

    sono uguali al plusvalore totale.

    3. Il valore complessivo delle merci rimane invariato se misurato in termini di lavoro

    incorporato o di prezzi di produzione.

    LERRORE DI MARX E LA SOLUZIONE CORRETTA

    Nella letteratura marxista e non marxista, il problema della trasformazione dei valori in prezzi di produzione oggetto di acceso dibattito. Secondo linterpretazione standard di

    tale dibattito, le tre conclusioni di Marx sono errate a causa di unincoerenza logica

    dovuta al fatto che nelle equazioni di Marx i prezzi di produzione vengono introdotti per

    valutare gli output del processo produttivo, ma non anche gli input (come se, in Marx, gli

    input venissero pagati ai valori invece che ai prezzi di produzione).

    La soluzione corretta del problema passa dunque per lapplicazione dei prezzi di produzione anche agli input (il primo economista a proporre tale modifica leconomista

    russo Dmitriev, la proposta poi sviluppata da Von Bortkiewicz e da Sraffa).

    Tuttavia, in tal caso, non c alcun bisogno di partire dai valori-lavoro: i prezzi possono essere applicati direttamente alle quantit fisiche delle merci, il che fa cadere la logica

    marxiana secondo cui i valori precedono logicamente i prezzi e ne sono la causa profonda.

    La teoria del valore-lavoro sarebbe in tal caso semplicemente sbagliata e inutile.

    IL PROBLEMA DELLA TRASFORMAZIONE NEL DIBATTITO TEORICO

    Il dibattito sul problema della trasformazione svolge un ruolo cruciale nel confronto tra approccio marxista e approcci alternativi. Secondo i critici pi radicali della teoria

    marxista, il problema della trasformazione sufficiente a far cadere lintero edificio

    teorico marxiano.

    Una posizione meno radicale e pi coerente consiste nel lasciar cadere le implicazioni dellimpianto marxiano basate sulla teoria del valore-lavoro conservando tutte le altri parti

    della teoria marxiana e marxista che non dipendono da tale teoria (alienazione, lotta di

    classe, crisi, contraddizioni del capitalismo, materialismo storico, imperialismo, ).

    Una terza linea, quella della trasformazione corretta, consiste nel modificare lanalisi marxiana dello sfruttamento sulla base della trasformazione di Von Bortkievicz e di

    Sraffa, evidenziando comunque la contrapposizione di interessi tra la classe sociale dei

    lavoratori e quella dei capitalisti. Ricordiamo infatti che, se si segue questimpostazione,

    43

  • valgono i risultati di Sraffa secondo cui esiste una relazione inversa tra saggio di salario e

    saggio di profitto.

    Contro queste posizioni, alcuni economisti marxisti difendono la trasformazione marxiana sostenendo che essa non incorpori alcuna incoerenza logica e che, al contrario, il vizio

    logico sta in chi critica la teoria marxiana senza capirne la logica. Questi economisti

    sostengono che la soluzione di Von Bortkievicz Sraffa risponde in realt ad una

    domanda diversa da quella posta da Marx e che, invece, rispetto alla problematica

    marxiana, la trasformazione pu essere risolta in modo coerente mantenendo la centralit

    della teoria del valore-lavoro.

    ESERCITO INDUSTRIALE DI RISERVA E CRISI

    La teoria marxiana del salario basata sullesercito industriale di riserva. Nei periodi di espansione della domanda e della produzione, la concorrenza tra i capitalisti per

    accaparrarsi i lavoratori fa crescere i salari. Laumento del prezzo della forza lavoro,

    facendo diminuire il tasso di profitto, rallenta laccumulazione del capitale. Il ciclo si

    inverte e si ha la crisi, la quale non deriva da sproporzioni nella crescita dei diversi settori,

    ma dal fatto che la produzione realizzata non riesce ad essere venduta ai prezzi che i

    capitalisti si attendevano. Con la crisi, diminuisce la domanda di lavoro e si riforma

    lesercito industriale di riserva, ponendo le basi per una nuova fase di accumulazione.

    Nel corso di questi cicli si modificano i rapporti tra le classi sociali: la formazione di associazioni dei lavoratori e dei padroni modifica i rapporti di forza esistenti e pu

    allontanare il salario dal livello di sussistenza; inoltre il progresso tecnico, in periodi di

    crescita salariale, tende a risparmiare lavoro.

    La spiegazione marxiana della crisi, come crisi generale del sistema economico, radicalmente diversa dalle spiegazioni ortodosse che si basano sul presupposto che tutto il

    reddito percepito dagli agenti del sistema economico sia speso. Secondo questultima

    spiegazione, infatti, una caduta della domanda in un settore deve necessariamente

    accompagnarsi ad una crescita della domanda in altri settori (dato che si esclude la

    possibilit che il denaro possa essere tesaurizzato nel periodo corrente per essere speso in

    periodi futuri), cosicch la crisi non sarebbe mai generale, ma solo settoriale.

    44

  • PRODUZIONE CAPITALISTICA E ALIENAZIONE

    Nella critica del capitalismo, accanto al problema dello sfruttamento, Marx si sofferma sull'alienazione derivante dal processo di mercificazione.

    Il processo produttivo ha due aspetti: processo lavorativo e processo di valorizzazione. Nel processo lavorativo, il lavoratore utilizza i mezzi di produzione (materie prime,

    macchine, eccetera) per produrre valori duso, ossia beni utili a soddisfare determinati

    bisogni.

    Nel processo di valorizzazione, lo scopo della produzione la produzione di valori di scambio. Qui non loperaio che utilizza i mezzi di produzione, ma sono questi ultimi che

    utilizzano loperaio.

    Primo tipo di alienazione: i mezzi di produzione sono di propriet altrui. Nel sistema capitalista, il lavoratore produce beni che non gli appartengono; la sua vita dipende cos

    da fattori esterni, che il lavoratore non controlla e che, attraverso il meccanismo

    concorrenziale (che schiaccia il salario vero la sussistenza), si ritorcono contro il

    lavoratore stesso.

    Secondo tipo di alienazione: il lavoro non usa gli strumenti per i propri fini, ma esso stesso strumento di valorizzazione dei mezzi di produzione. La finalit ultima del sistema

    diventa la produzione di valori di scambio e la valorizzazione del capitale (la ricerca del

    profitto); il lavoro solo il mezzo attraverso cui questo fine viene realizzato.

    45

  • II

    MACROECONOMIA

    1. Problematiche macroeconomiche

    [Bibliografia di riferimento: Sloman, capitolo 7]

    OBIETTIVI MACROECONOMICI

    La macroeconomia si occupa di quattro temi fondamentali: la crescita del prodotto, loccupazione, linflazione e i rapporti internazionali. A ciascun tema corrisponde un

    obiettivo di politica economica: crescita continua e stabile, piena occupazione, stabilit

    dei prezzi, equilibrio della bilancia dei pagamenti. Val la pena di notare che rispetto alla

    problematica degli economisti classici e di Marx i problemi affrontati sono

    completamente diversi: non si parla pi di distribuzione del reddito, di classi sociali, di

    sfruttamento, di alienazione del lavoratore.

    Per analizzare questi quattro obiettivi macroeconomici, consideriamo le componenti della domanda aggregata. La domanda aggregata data dalla spesa totale per lacquisto di beni

    e servizi effettuata dalleconomia in un dato periodo:

    Yd = C + I + G + X

    Yd: Domanda aggregata

    C: Consumo delle famiglie

    I: Investimenti delle imprese

    G: spesa pubblica

    X: Esportazioni

    46

  • Attraverso gli strumenti di politica economica a disposizione del governo e della banca centrale possibile influenzare queste quattro var