Dispense d Autore DIRITTO AMMINISTRATIVO...unitario di ente pubblico; ne è derivato un impegno...

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Dispense d’Autore DIRITTO AMMINISTRATIVO La nuova nozione di Amministrazione pubblica: organismi di diritto pubblico, imprese pubbliche, in house, società a partecipazione pubblica, AuthoritiesRicostruzioni d’Autore, giurisprudenza più significativa e recentissima, prime tracce su cui confrontarsi a lezione Dispensa relativa a prima Lezione gratuita di amministrativo Roma, Teatro Italia, via Bari, 2 ottobre 2019, ore 13.30 Palermo e Milano, 5 ottobre 2019 Streaming, 5 ottobre 2019

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  • Dispense d’Autore

    DIRITTO AMMINISTRATIVO

    “La nuova nozione di Amministrazione pubblica: organismi di diritto pubblico, imprese pubbliche, in house, società a partecipazione pubblica, Authorities”

    Ricostruzioni d’Autore, giurisprudenza più significativa e recentissima, prime tracce su cui confrontarsi a lezione

    Dispensa relativa a prima Lezione gratuita di amministrativo Roma, Teatro Italia, via Bari, 2 ottobre 2019, ore 13.30 Palermo e Milano, 5 ottobre 2019 Streaming, 5 ottobre 2019

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    SCHEMA DELLA LEZIONE

    Il Corso di diritto amministrativo può prendere avvio da punti di partenza diversi:

    dall‘esame delle posizioni soggettive che caratterizzano il diritto amministrativo, così dando atto della evoluzione in senso sostanziale dell‟interesse legittimo e delle importanti conseguenze che la

    stessa ha avuto nel plasmare in senso fortemente i meccanismi rimediale azionabili innanzi al G.A. e

    il volto stesso della giustizia amministrativa;

    in modo più classico e manualistico, dall‘analisi delle fonti del diritto amministrativo, per mettere in risalto come, anche nel diritto amministrativo, il sistema delle fonti è sempre più articolato,

    multilivello e comprensivo di non pochi istituti di soft law.

    Si preferisce, quest‘anno, prendere avvio dai Soggetti, con l‘intento di porre in risalto come, non solo nelle

    posizioni soggettive coinvolte e nelle fonti di disciplina, ma ancor prima nei soggetti del diritto

    amministrativo, questa branca è stata attraversata da cambiamenti profondi, molti dovuti all‘influenza

    europea, che hanno comportato una riperimetrazione del campo di azione delle regole del diritto

    amministrativo.

    Che si intende oggi per Pubblica Amministrazione e sulla base di quali criteri si sciolgono gli

    interrogativi in merito alla qualificazione di un determinato soggetto come soggetto privato o come Pubblica

    Amministrazione?

    Scontato il rilievo applicativo della soluzione da dare, caso per caso, al tema della qualificazione di un ente

    come pubblico.

    Solo per fare alcuni primi cenni, dalla qualificazione pubblica di un ente discendono infatti, sul piano della

    disciplina, conseguenze significative: 1) il potere di auto-organizzazione (art. 2, D. Lgs. n. 165 del 2001); 2)

    l‘applicazione della disciplina in tema di procedimento amministrativo e di accesso (legge n. 241 del 1990);

    3) un regime giuridico degli atti connotato da imperatività, esecutività ed esecutorietà; 4) l‘assoggettamento

    alla giurisdizione del g.a.

    Volendo indicare i punti salienti lungo i quali si articolerà la Lezione, ci si occuperà, dapprima della

    nozione di PA, delle tendenze ad un approccio sostanziale e funzionale ormai maturate in giurisprudenza e

    dottrina, per poi soffermarsi sulle nozioni di derivazione europea:

    organismo di diritto pubblico;

    impresa pubblica;

    in house.

    Si ritornerà, quindi, nei confini nazionali per esaminare la più classica, ma sempre ricorrente, questione

    della natura giuridica delle società a partecipazione pubblica, cogliendo l‘occasione per dare atto dei

    punti salienti della disciplina che delle società in questione ha introdotto il d. lgs. 19 agosto 2016, n. 175, in

    specie facendo il punto sul complicato tema della responsabilità degli amministratori, delle azioni

    esercitabili e della giurisdizione (civile o erariale) da interessare.

    Infine, si inizierà a svolgere lo sguardo alle Autorità indipendenti, per mettere a fuoco:

    tratti strutturali e funzionali caratterizzanti e collocazione istituzionale, dando atto della recente presa di posizione di Corte cost., 31 gennaio 2019, n. 13;

    conseguenze della natura amministrativa delle autorità: procedimento, accesso, sindacato giurisdizionale. La questione del potere regolamentare. L‘ammissibilità del ricorso straordinario.

    poteri sanzionatori e regole di condotta procedimentali (con esame delle posizioni espresse da Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens, in tema di contraddittorio, da Corte cost., 10

    maggio 2019, n. 117, in tema di diritto al silenzio, da Corte cost., 21 marzo 2019, n. 63, e da

    Cons. St., Sez. VI, 14 maggio 2019, n. 3134, in tema di retroattività favorevole);

    tutela giurisdizionale, riparto alla luce di C. Cost. nn. 204/2004, 191/2006 e 140/2007 e delle novità introdotte dal Cpa; il sindacato; il rito;

    responsabilità civile delle Autorità per omessa vigilanza

    sindacato sulla discrezionalità tecnica delle Autorità indipendenti, con l‘intento di metterne a fuoco intensità e limiti, dare atto delle esigenza di pienezza espresse dalla Corte Edu e delle tendenze

    giurisprudenziali al sindacato di maggiore attendibilità);

    legittimazione processuale a proporre ricorso da parte delle Autorità.

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    SOMMARIO

    1. L’affermarsi di un approccio sostanziale e sempre più “funzionale” (e quindi cangiante) di pubblica Amministrazione.

    1.1. Cons. di Stato, sez. VI, n. 8634 del 2015: sulla nozione di ente pubblico. 2. Le nozioni europee di Amministrazione. L’approccio “sostanziale” e funzionale”. Cons. St.,

    A.P., 25 giugno 2018, n. 9, e i direttori dei musei, non aventi la cittadinanza italiana, ma quella di altro Stato dell’Unione europea.

    2.1. Organismo di diritto pubblico: il rilievo applicativo della nozione. 2.1.1. Le esigenze di interesse generale a carattere non industriale o commerciale: il rilievo da

    assegnare alla natura concorrenziale del contesto in cui opera l’ente. Cass. Sez. un., 28 marzo 2019, n. 8673 e T.A.R. Lazio, 26 aprile 2019, n. 5327.

    2.1.1.1. Il caso Aci Global: Cass. Sez. un., 28 marzo 2019, n. 8673 2.1.2. Organismo di diritto pubblico in parte qua. La teoria del contagio. Rinvio per la non

    applicazione della teoria del contagio alle imprese pubbliche. 2.2. Impresa pubblica. Nozione e differenze rispetto all’organismo di diritto pubblico. 2.2.1. Appalti non rientranti nell’ambito di applicazione della disciplina dei settori speciali. Non si

    applica la teoria del contagio. La disciplina applicabile e i connessi profili di giurisdizione Cons. St., A.P., 1 agosto 2011, n. 16, e T.a.r. Lazio, 26 aprile 2019, n. 5327.

    2.2.1.1. Il Caso Poste: T.a.r. Lazio, 26 aprile 2019, n. 5327 2.3. Le società in house: nozione e indicazione dei principali problemi che saranno esaminati a

    Lezione. 2.3.1. L’in house: modello generale alternativo alla gara o modello “eccezionale”? L’art. 192, d.

    lgs. n. 50 del 2016: la parola alla Corte di giustizia. Cons. St., sez. V, 7 gennaio 2019, n.138

    2.3.2. Cass., sez. I, sentenza 20 dicembre 2016 - 7 febbraio 2017, n. 3196: la fallibilità delle società in house.

    2.3.2.1. Tar Calabria, sez. III, 21 febbraio 2018, n. 496: la giurisdizione del g.o. in caso di domanda di risarcimento dei danni conseguenti al fallimento di una società in house, asseritamente derivante dalle condotte del socio pubblico.

    2.3.3. Cass., sez. unite 27 marzo 2017, n. 7759: la giurisdizione del g.o. nelle procedure di reclutamento del personale.

    2.3.4. Cassazione, sez. unite, 2 febbraio 2018 n. 2584: in house e fondazione. 2.3.5. Cons. Stato, sez V,29 maggio 2017, n. 2533: affidamento in house e rito speciale ex art.

    120 c.p.a. 2.4. Società a partecipazione pubblica: la natura e i principali problemi. 2.4.1. La responsabilità degli amministratori delle società partecipate e delle società in house: il

    concorso di azioni. L’art. 12, d.lgs. n. 175 del 201, e la sua portata interpretativa alla luce del percorso giurisprudenziale: da Cass. civ., Sez. Un., 19 dicembre 2009, n. 26806 a, per le società in house, Cass. civ., Sez. Un., 25 novembre 2013, n. 26283, fino a Cass. civ., Sez. un., 13 settembre 2018, n. 22406

    2.4.2. Cass. sezioni unite, 14 settembre 2017, n. 21299: la giurisdizione del g.o. negli atti di nomina e revoca degli amministratori delle società pubbliche partecipate. La distinzione tra atti “uti socius” a atti “iure imperii”.

    2.4.3. Cass., sez. unite, n. 21588 del 2013: la giurisdizione del g.o. sugli atti di acquisizione e dismissione delle partecipazioni societarie.

    2.4.3.1. Tar Cagliari, sentenza n. 244 del 2017. 3. Autorità indipendenti: natura giuridica e primi profili problematici. 3.1. AGCM come giudice a quo: Corte cost. 31 gennaio 2019, n. 13 3.2. Cons. St., n. 2182 del 2016: il potere normativo da parte delle Autorità amministrative

    indipendenti 3.3. Rinvio alla Dispensa integrale. 4. Le prime tracce da non trascurare

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    LA GIURISPRUDENZA PIÙ SIGNIFICATIVA, DI CUI SI SUGGERISCE LA LETTURA

    1. L’affermarsi di un approccio sostanziale e sempre più “funzionale” (e quindi cangiante) di pubblica Amministrazione.

    Il policentrismo autarchico e autonomistico, sviluppatosi in attuazione dei principi di decentramento

    amministrativo e di valorizzazione delle autonomie locali, tanto auspicati dall‘art. 5 Cost., ha comportato il

    moltiplicarsi, accanto allo Stato, di una molteplicità di enti volti al perseguimento di un pubblico interesse.

    L‘eterogeneità strutturale, funzionale e teleologica degli stessi non ha consentito di elaborare un modello

    unitario di ente pubblico; ne è derivato un impegno decennale di giurisprudenza e la dottrina nella

    definizione di criteri sintomatici della natura pubblicistica dell’ente.

    È sul punto ormai da tempo prevalso un approccio sostanzialistico, senza dubbio influenzato dal diritto

    europeo, dalle relative nozioni di amministrazione pubblica e, prima ancora, dalla sua generale tendenza a

    riconoscere prevalenza della sostanza sulla forma e, più in generale, a ritenere neutrale la forma giuridica.

    Sulla base di tale impostazione sostanzialista e funzionale, non è necessario che un determinato ente sia

    qualificato come pubblico o privato da una determinata norma, importante e decisivo essendo che ricorrano

    specifici indici rivelatori della natura pubblicistica.

    L‘influsso europeo nell‘affermarsi di tale impostazione sostanziale e teleologica di ente pubblico è evidente e

    se ne tratterà di seguito.

    Nella disciplina europea, infatti, la nozione di p.a. non formale ma sostanzialistica: emblematiche, al

    riguardo, le categorie dell‘organismo di diritto pubblico, dell‘impresa pubblica e dei soggetti in house.

    Al contempo, va sempre più affermandosi la tesi secondo cui il riconoscimento della natura pubblica può

    aver luogo, non necessariamente per qualsivoglia aspetto della vita e della struttura dell‘ente, ma solo a certi

    fini e rispetto a certi istituti.

    In tali termini si è sviluppata la concezione (in origine europea ma sempre più seguita dalla giurisprudenza

    nazionale), di P.A., ispirata alla c.d. logica delle geometrie variabili.

    1.1. Cons. di Stato, sez. VI, n. 8634 del 2015: sulla nozione di ente pubblico.

    Nella pronuncia indicata, la VI sezione del Consiglio di Stato torna a sostenere che la definizione di ente

    pubblico va ricostruita sulla base di un approccio di tipo dinamico. In particolare, si rimarca un concetto

    ―elastico‖ di ente pubblico, in forza del quale il connotato pubblicistico investe, l‘ente, non nella totalità delle

    sue manifestazioni e comportamenti ma con riguardo a specifici istituti e settori. Ne discende, pertanto, la

    possibilità che, all‘interno di un medesimo ente, convivano elementi di diritto privato e di diritto pubblico.

    (omissis)

    7. Innanzitutto, sul piano dei principi, anche in considerazione del fatto che la sentenza di primo grado

    affronta la questione profusamente, il Collegio ritiene di dover ribadire – richiamando a tal fine le

    considerazioni già svolte da questa Sezione, proprio con riferimento alla c.d. Università libere, nella

    sentenza 26 maggio 2015, n. 2660 – che l’individuazione dell’ente pubblico debba avvenire in base a

    criteri non “statici” e “formali”, ma “dinamici” e “funzionali”.

    Ciò implica che il criterio da utilizzare per tracciare il perimetro del concetto di ente pubblico muta a

    seconda dell’istituto o del regime normativo che deve essere applicato.

    La nozione di ente pubblico nell’attuale assetto ordinamentale non può, dunque, ritenersi fissa ed

    immutevole. Non può ritenersi, in altri termini, che il riconoscimento ad un determinato soggetto della

    natura pubblicistica a certi fini, ne implichi automaticamente e in maniera automatica la integrale

    sottoposizione alla disciplina valevole in generale per la pubblica amministrazione.

    Al contrario, l’ordinamento si è ormai orientato verso una nozione “funzionale” e “cangiante” di ente

    pubblico. Si ammette senza difficoltà che uno stesso soggetto possa avere la natura di ente pubblico a

    certi fini e rispetto a certi istituti, e possa, invece, non averla ad altri fini, conservando rispetto ad altri

    istituti regimi normativi di natura privatistica.

    8. Giova precisare che la c.d. nozione funzionale di ente pubblico che qui si accoglie non contrasta con la

    previsione contenuta nell’art. 4 della legge n. 70 del 1975, in base alla quale, come ricordato dal T.a.r.,

    ―nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge‖.

    La nozione ―funzionale‖ e ―dinamica‖ non predica, infatti, che un soggetto possa essere qualificato come

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    ―pubblico‖ a prescindere dall‘esistenza di una base legislativa che sottoponga quel soggetto ad un regime

    pubblicistico.

    Al contrario, alla base della qualificazione funzionale di ente pubblico ci deve essere sempre un

    fondamento normativo da cui derivano, per quell’ente, obblighi e doveri, oppure prerogative e poteri,

    di natura pubblicistica.

    9. Nel settore degli appalti pubblici, ad esempio, ciò che fa dell‘organismo di diritto pubblico (ad onta della

    veste formale che può essere privatistica) un soggetto equiparato alla pubblica amministrazione (e, quindi,

    sostanzialmente e funzionalmente un ente pubblico) è proprio la disciplina legislativa che espressamente lo

    sottopone al regime dell‘evidenza pubblica.

    Con la conseguenza che l‘organismo di diritto pubblico diviene pubblica amministrazione non sempre e

    comunque (in maniera fissa e immutevole), ma solo nello svolgimento di quel tratto di attività esplicitamente

    sottoposto ad una disciplina di diritto amministrativo. Il che, peraltro, consente di giustificare, anche sul

    piano costituzionale, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo che non avrebbe spazio se dovesse

    predicarsi la natura privatistica dell‘organismo di diritto pubblico, perché si avrebbe una controversia tra due

    soggetti (il partecipante alla gara e la stazione appaltante) entrambi privati.

    L’equiparabilità dell’organismo di diritto pubblico alla pubblica amministrazione rappresenta ormai

    un risultato interpretativo assodato, eppure non vi è alcuna norma legislativa che espressamente istituisca

    (ove si aderisse a un‘interpretazione formalistica dell‘art. 4 legge n. 70 del 1975) l‘organismo di diritto

    pubblico come ente pubblico. Al fine di predicare l‘equiparazione si ritiene sufficiente l‘esistenza di una

    norma che (in questo caso espressamente) lo rende destinatario di obblighi di diritto amministrativo.

    Parimenti, è altrettanto pacifico che la sottoposizione dell’organismo di diritto pubblico alla disciplina

    dell’ente pubblico non valga sempre e comunque, qualsiasi attività esso svolta. Si tratta al contrario, di

    una equiparazione settoriale, funzionale e dinamica, perché strettamente legata all’affidamento dei

    contratti.

    Quando svolge altre attività, l‘organismo di diritto pubblico dismette la sua veste pubblicistica e soggiace di

    regola al diritto privato.

    Esso è, quindi, un ente pubblico dinamico, funzionale e cangiante.

    10. Questa connotazione funzionale non caratterizza soltanto l’organismo di diritto pubblico, ma

    rappresenta ormai un connotato di molti altri soggetti.

    Sempre più di frequente il legislatore sottopone certi soggetti, prescindendo dalla veste formale che essi

    possono avere, ad obblighi di natura amministrativa o attribuisce loro poteri di natura amministrativa.

    Si pensi, solo per fare qualche esempio: al gestore del servizio pubblico rispetto alla disciplina del diritto di

    accesso ai documenti amministrativi (art. 23 legge 7 agosto 1990, n. 241); alle società strumentali o titolari di

    funzioni amministrative esternalizzate, sottoposte alle norme procedimento amministrativo ex art. 29 della

    legge n. 241 del 1990 (se si tratta di società con totale o prevalente capitale pubblico) o ai soli principi ex art.

    1, comma 1, ter legge n. 241 del 1990 negli altri casi; alle società a controllo pubblico rispetto all‘obbligo di

    reclutare il personale nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui

    all‘art. 35, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (secondo quanto previsto dall‘art. 19

    dello schema di decreto legislativo recante il ―Testo unico delle società a partecipazione pubblica‖ che nella

    sostanza ribadisce quanto già previsto, a legislazione vigente, dall‘art. 18 del decreto legge 25 giugno 2008,

    n. 112, convertito, con modifiche, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133).

    Quando un ente viene dalla legge sottoposto a regole di diritto pubblico, quell’ente, limitatamente allo

    svolgimento di quell’attività procedimentalizzata, diviene, di regola, “ente pubblico” a prescindere

    dalla sua veste formale. Deve essere ribadito che lo diviene non in maniera statica ed immutevole, ma

    dinamica e mutevole, perché dismette quella veste quando svolge altre attività non

    procedimentalizzate.

    11. Si tratta di una conclusione che trova riscontro (e un fondamento normativo generale) nell’art. 7,

    comma 2, del Codice del processo amministrativo, il quale, recependo a sua volta una nozione funzionale

    e cangiante di pubblica amministrazione, statuisce espressamente che ―per pubbliche amministrazioni, ai fini

    del presente codice, si intendono anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto del

    principio del procedimento amministrativo‖. Il che implica che, come regola generale, la giurisdizione

    amministrativa segue la procedimentalizzazione dell’attività e prescindere dalla veste formale del

    soggetto la cui attività è procedimentalizzata.

    Sotto tale profilo, può leggersi come un‘eccezione che conferma la regola, senza, però, contraddirla nella sua

    valenza di principio, la previsione contenuta nell‘art. 19, comma 4, ultimo periodo, del già menzionato

    schema di decreto legislativo recante il ―Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica‖,

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    approvato dal Consiglio dei Ministri in attuazione dell‘articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124, che, pur

    procedimentalizzando le procedure di reclutamento del personale delle società a controllo pubblico, dispone,

    in deroga a quanto previsto dall‘art.7, comma 2, Cod. proc. Amm. che ―Resta ferma la giurisdizione

    ordinaria sulla validità dei provvedimenti e delle procedure di reclutamento del personale‖, risolvendo

    così, per tabulas, un dibattito giurisprudenziale che aveva visto su posizioni contrapposte, in punto di

    giurisdizione, il Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, ordinanza 23 novembre 2010, n. 5379; Sez. VI,

    ordinanza 20 dicembre 2010, n. 5808 ) e le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. Cass.Sez. Un. Ord.

    22 dicembre 2011, n. 28329).

    12. In tutti gli esempi richiamati la qualificazione pubblicistica, seppur dinamica e funzionale, avviene

    comunque sulla base di un dato normativo che sottopone il soggetto ad obblighi pubblicistici, in

    ossequio, quindi, a quanto previsto dall’art. 4 della legge n. 70 del 1975.

    Non sempre, tuttavia, il campo di applicazione soggettivo dei regimi pubblicistici previsti dal legislatore è

    puntualmente delineato. In alcuni casi, infatti, il legislatore, anziché indicare analiticamente i soggetti

    sottoposti al campo di applicazione della relativa disciplina, fa rinvio ad una nozione generale di pubblica

    amministrazione.

    È quello che accade nel caso oggetto del presente giudizio. Il campo di applicazione soggettivo degli

    obblighi in materia di trasparenza dettati dal decreto legislativo n. 33 del 2013 è, infatti, delineato dall‘art.

    11, comma 1, il quale fa rinvio alle pubbliche amministrazioni di cui all‘articolo 1, comma 2, del decreto

    legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che, a sua volta, stabilisce: ―Per amministrazioni pubbliche si intendono

    tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni

    educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i

    Comuni, le Comunità montane. e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti

    autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni,

    tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del

    Servizio sanitario nazionale l‟Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni

    (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300‖.

    La disposizione menziona, nell‘elenco, l‘‖ente pubblico non economico‖, senza però fornire alcun criterio

    definitorio ulteriore per la sua esatta individuazione. E poiché nell‘ordinamento manca una nozione generale

    fissa e immutevole di ―ente pubblico‖, sorge il problema della sua delimitazione e della possibilità di

    includervi anche le c.d. Università libere.

    Proprio in questi casi – quando cioè il legislatore menziona l‘ente pubblico come destinatario di una

    disciplina pubblicistica, ma senza fornire espliciti criteri per stabilire in che misura possano considerarsi, a

    quei fini, enti pubblici anche soggetti che, sebbene formalmente privati, presentano alcuni indici di pubblicità

    – sorgono le maggiori incertezze interpretative.

    13. Il criterio utilizzato dal T.a.r. per risolvere la questione, a prescindere dalla pur sussistente condivisibilità

    nel caso in oggetto del risultato cui concretamente giunge (le Università libere non sono enti pubblici ai fini

    del decreto trasparenza) non è, in linea generale, condivisibile.

    La premessa del ragionamento del TAR. presenta, infatti, un elemento di criticità.

    Valorizzando la previsione di cui all‘art. 4 legge n. 70 del 1975, il T.a.r. presuppone l‘esistenza di uno

    scenario che, in realtà, l‘ordinamento non conosce più da tempo (e forse non ha mai conosciuto). Uno

    scenario in cui legislatore attribuisce univocamente e formalmente la qualifica di ente pubblico ad una

    cerchia delimitata di soggetti, i quali, in virtù della qualificazione pubblicistica formalmente ricevuta,

    soggiacciono in maniera fissa ed immutevole, ad ogni tipo di disciplina dedicata all‘ente pubblico.

    È uno scenario che non corrisponde all’attuale assetto ordinamentale, caratterizzato da una crescente

    complessità, in cui, anche per rispondere alla corrispondente complessità dei bisogni da soddisfare, si

    fa spesso ricorso alla c.d. “ibridazione” delle forme giuridiche e si attenuano i confini tra diritto

    pubblico e diritto privato.

    Forme giuridiche privatistiche vengono così utilizzate per perseguire interessi pubblicistici e,

    all’opposto, figure soggettive pubblicistiche vengono sempre spesso sottoposte a regimi di diritto

    privato.

    Significativa conferma di questa fungibilità delle forme giuridiche è fornita proprio dall’art. 1 della

    legge n. 241 del 1990. L‘articolo che apre la disciplina generale del procedimento amministrativo prevede,

    infatti, al comma 1-bis, la c.d. amministrazione secondo strumenti di diritto privato (―La pubblica

    amministrazione, nell‟adozione degli atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme del diritto

    privato, salvo che la legge disponga diversamente‖) e al comma 1-ter, quasi simmetricamente, l‘attività

    amministrativa procedimentalizzata svolta da soggetti privati (―I soggetti preposti all‟esercizio di attività

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    amministrative assicurano il rispetto dei criteri e dei principi di cui al comma 1‖).

    14. In questo contesto, un approccio meramente formalistico non pare adeguato all‘evoluzione normativa e

    giurisprudenziale che ha interessato la nozione di pubblica amministrazione.

    Risulta, al contrario, preferibile un criterio che, valorizzando opzioni ermeneutiche che hanno trovato

    spesso riscontro nella giurisprudenza comunitaria, nell’ambito della quale la nozione di “pubblica

    amministrazione” (spesso invocata dai trattati anche per delimitare il campo di operatività delle

    libertà fondamentali) si allarga e si restringe in funzione dalla ratio dell’istituto e dell’esigenza

    sostanziale da soddisfare, privilegiando più la sostanza che la forma e risolvendo i casi incerti dando

    rilievo centrale ai criteri teleologico e sistematico.

    Senza che in ciò debba rilevarsi alcuna violazione in questo del principio di legalità sancito dall‘ancora

    vigente art. 4 della legge n. 70 del 1975, perché tra i criteri di interpretazione della legge l‘art. 12 delle

    preleggi richiamano espressamente, specie per sopperire a carenze del dato testuale/letterale, proprio il

    criterio teleologico (―l‟intenzione del legislatore‖) e il sistema normativo nel suo complesso (―secondo la

    connessione di esse‖).

    (omissis)

    2. Le nozioni europee di Amministrazione. L’approccio “sostanziale” e funzionale”. Cons. St., A.P., 25 giugno 2018, n. 9, e i direttori dei musei, non aventi la cittadinanza italiana, ma quella di altro Stato dell’Unione europea.

    Come evidenziato, l‘approccio sostanziale e funzionale è tipico della nozione europea di Amministrazione. È

    quindi importante passare in rassegna ciascuna delle nozioni europee e i connessi problemi che le stesse

    hanno posto e continuano a porre.

    Prima ancora, con l‘intento di evidenziare l‘approccio funzionale che il diritto europeo segue

    nell‘elaborazione della nozione di pubblica Amministrazione, è utile il raffronto tra la definizione

    giurisprudenziale di Pubblica amministrazione ormai costantemente fornita dai giudici europei al fine di

    stabilire l‘ambito di operatività della deroga al principio della libera circolazione dei lavoratori all‘interno

    della Comunità (art. 45 del Trattato sul Funzionamento dell‘Unione europea), prevista per gli impieghi nella

    pubblica amministrazione dall‘art. 45, § 4, del TFUE, e quella elaborata, sempre in sede giurisprudenziale,

    allo scopo di individuare gli apparati degli ordinamenti dei singoli Stati membri nei cui confronti devono

    considerarsi operanti gli obblighi e i divieti previsti dalle stesse norme comunitarie, sì da poter imputare agli

    Stati di appartenenza le relative violazioni.

    Quanto al primo dei due suindicati settori, è noto che principio fondamentale della costruzione comunitaria è

    quello della libertà di circolazione dei lavoratori, in forza del quale il cittadino di uno Stato membro può

    accedere alle opportunità lavorative offerte in un altro Stato della Comunità alle stesse condizioni assicurate

    al cittadino dello Stato ospitante, sia per quel che riguarda l‘accesso al lavoro, sia per quel che attiene alle

    condizioni di impiego e al trattamento economico.

    Sennonché, l‘art. 45 del Trattato, dopo aver enunciato il suddetto principio, dispone al paragrafo 4 che la

    sua operatività incontra un limite allorché si tratti di impieghi nella Pubblica amministrazione: in

    giurisprudenza si è avvertita, quindi, la necessità di ricostruire la nozione di Pubblica amministrazione in

    sede di delimitazione dell‘esatto ambito applicativo dell‘indicato limite frapposto al pieno dispiegarsi del

    principio di libertà di circolazione dei lavoratori in ambito comunitario.

    La Corte di Giustizia, muovendo dalla premessa per cui, stante il carattere fondamentale dei principi di libera

    circolazione e parità di trattamento dei lavoratori, non può riconoscersi alle deroghe di cui al citato paragrafo

    4 dell‘art. 39 ―una portata più ampia di quella connessa al perseguimento del loro specifico scopo‖, onde

    evitare la sottrazione alla libera circolazione di un numero rilevante di posti, ha formulato una definizione

    particolarmente restrittiva di Pubblica amministrazione: in primo luogo, infatti, ha affermato che non

    sono sussumibili in siffatta nozione gli enti preposti alla gestione di attività che, pur avendo connotazioni

    pubblicistiche, rivestono carattere imprenditoriale, quali per esempio i servizi di trasporto o di distribuzione

    di gas o energia.

    In ogni caso il giudice europeo, optando per un‘accezione restrittiva di Pubblica amministrazione, ha

    sostenuto che la stessa debba essere elaborata ricorrendo ai criteri della ―partecipazione diretta o indiretta

    all‟esercizio dei pubblici poteri‖ o della ―tutela degli interessi generali dello Stato e degli enti pubblici‖: è

    necessario, quindi, perché operi la deroga al principio della libertà di circolazione dei lavoratori, che si tratti

    di impieghi implicanti la titolarità o l‘esercizio di compiti di responsabilità da parte del dipendente ovvero la

    gestione di interessi squisitamente pubblicistici.

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    La richiamata posizione della Corte di Giustizia è stata di recente ricostruita e valorizzata da Cons. St., A.P.,

    25 giugno 2018, n. 9, intervenuta con riguardo alla questione relativa alla legittimità della scelta di

    ammettere alla procedura di selezione dei direttori dei musei candidati non aventi la cittadinanza

    italiana, ma quella di altro Stato dell’Unione europea.

    Nel verificare la portata applicativa dell‘eccezione di nazionalità di cui al richiamato paragrafo 4

    dell‘articolo 45 del TFUE, la Plenaria -richiamando gli orientamenti espressi dalla Corte di Giustizia- ritiene

    che, trattandosi di eccezione, deve seguirsi un atteggiamento interpretativo di estremo rigore, la c.d. ‗riserva

    di nazionalità‘ dovendo essere limitata a ―quanto strettamente necessario‖ a salvaguardare gli interessi

    sottesi all‘adozione di tale misura, venendo in considerazione per i soli impieghi nell‘amministrazione

    pubblica ―che hanno un rapporto con attività specifiche della pubblica amministrazione in quanto incaricata

    dell‟esercizio dei pubblici poteri e responsabile della tutela degli interessi generali dello Stato (…)‖, nonché

    connotate da ―una partecipazione diretta e specifica all‟esercizio di pubblici poteri‖; la stessa Corte di

    Giustizia, del resto, ha escluso che in sede di perimetrazione dell‘ambito applicativo della riserva di

    nazionalità possa trovare applicazione il c.d. criterio del contagio secondo cui è sufficiente che la figura di

    che trattasi eserciti anche un solo potere di carattere pubblicistico nel complesso dei compiti attribuiti,

    optando per il ben più stringente criterio della prevalenza, in forza del quale è invece necessario che i poteri

    di matrice pubblicistica, autoritativa e coercitiva assumano valenza prevalente in relazione al complesso dei

    compiti attribuiti.

    2.1. Organismo di diritto pubblico: il rilievo applicativo della nozione.

    All‘approccio sostanziale cui si è fatto cenno nei paragrafi precedente non sono estranee le nozioni di

    organismo di diritto pubblico e di impresa pubblica rilevanti in sede di delimitazione dell‘ambito soggettivo

    di efficacia delle disposizioni dettate dal Codice dei contratti pubblici rispettivamente per gli appalti ordinari

    e per quelli c.d. speciali.

    Riproducendo il contenuto delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE del 26 febbraio 2014

    (confermative del precedente impianto normativo di cui alle direttive nn. 17 e 18/2004), l‘art. 3, comma 1,

    lett. d) del d.lgs. n. 50 del 2016 definisce l‘organismo di diritto pubblico come qualsiasi soggetto, anche in

    forma societaria:

    1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non

    industriale o commerciale;

    2) dotato di personalità giuridica;

    3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri

    organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui

    organo d‘amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è

    designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.

    Secondo il costante insegnamento del giudice europeo, tali elementi devono sussistere necessariamente in

    modo cumulativo, sicché in assenza di una sola di tali tre condizioni, un organismo non può essere

    considerato di diritto pubblico, e dunque amministrazione aggiudicatrice.

    Prima di richiamare taluni profili più di altri al centro dell‘attenzione giurisprudenziale di questi anni, giova

    indicare le implicazioni applicative della qualificazione di un determinato ente in termini di organismo di

    diritto pubblico.

    Su un primo e principale versante, essa assume rilievo in sede di delimitazione dell‘ambito di operatività

    rationae personae della disciplina eurounitaria (e nazionale di recepimento) delle procedure di

    aggiudicazione degli appalti: la qualificazione del singolo ente in termini di organismo di diritto pubblico

    comporta quindi, in primo luogo, il doveroso rispetto delle direttive europee in tema di appalti.

    A tale prima conseguenza di tipo sostanziale è strettamente connessa quella, di diritto interno, a

    connotazione squisitamente processuale.

    Dalla qualificazione della stazione appaltante in termini di organismo di diritto pubblico, come tale tenuta a

    osservare la disciplina unionale per l‘affidamento dell‘appalto, deriva infatti il radicarsi della giurisdizione

    esclusiva del giudice amministrativo quanto al contenzioso non afferente alla fase dello svolgersi del

    rapporto contrattuale.

    Proseguendo in questa sommaria indicazione delle implicazioni operative derivanti dalla verifica

    dell‘effettiva estensione della nozione in esame, deve aversi riguardo al settore dell‘accesso agli atti di gara.

    A tenore dell‘art. 23, l. n. 241 del 1990, infatti, sono tenuti ad assicurare l‘ostensione degli atti solo talune

    tipologie di soggetti, tra cui innanzitutto le Pubbliche amministrazioni: se si ritiene, come si dirà, che a certe

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    Pag. 10 a 44

    condizioni la nozione di Pubblica amministrazione debba essere perimetrata sulla base del diritto europeo e

    dalle sue accezioni di amministrazione pubblica, può concludersi nel senso che anche gli organismi di diritto

    pubblico, ancorché formalmente privati per il diritto nazionale, debbano soggiacere alla normativa in tema di

    accesso.

    A tale conclusione, dapprima raggiunta in sede giurisprudenziale, è pervenuto il Legislatore nel modificare la

    l. n. 241 del 1990.

    Il riscritto art. 22, infatti, nel delimitare l‘ambito di operatività della disciplina in tema di accesso, fornisce la

    nozione di ―Pubblica amministrazione‖ cui riconduce «tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto

    privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o

    comunitario»: se ne inferisce, allora, che anche gli organismi di diritto pubblico, limitatamente all‘attività

    che espletano in tale qualità, in specie quella di stazioni appaltanti, dovranno soggiacere alla disciplina in

    tema di ostensione (Cons. St., A.P., n. 13 del 2016).

    La penetrazione nell‘ordinamento interno della nozione di organismo di diritto pubblico potrebbe sortire

    effetti anche al di fuori del diritto amministrativo, sostanziale e processuale.

    Il problema è, in particolare, quello relativo all‘assoggettabilità allo statuto penale della Pubblica

    amministrazione dei soggetti operanti in strutture che, pur avendo veste societaria e quindi tendenzialmente

    privatistica alla stregua dei tradizionali (ma non certo indiscussi) criteri di identificazione di diritto interno,

    siano tuttavia qualificabili come organismi di diritto pubblico, come tali tenuti ad espletare attività

    procedimentalizzata e oggettivamente pubblicistica in sede di individuazione dei soggetti cui affidare

    l‘esecuzione di appalti.

    Si consideri, al riguardo, che, ai sensi dell‘art. 357 c.p. sono pubblici ufficiali, come tali perseguibili ai sensi

    degli artt. 317 ss. c.p., i soggetti abilitati a formare o manifestare la volontà della Pubblica amministrazione.

    2.1.1. Le esigenze di interesse generale a carattere non industriale o commerciale: il rilievo da assegnare alla natura concorrenziale del contesto in cui opera l’ente. Cass. Sez. un., 28 marzo 2019, n. 8673 e T.A.R. Lazio, 26 aprile 2019, n. 5327.

    Il primo dei tre suindicati requisiti costitutivi della nozione di Odp è quello che ha posto maggiori problemi

    interpretativi.

    Con riferimento a tale requisito, la Corte di Giustizia ha specificato come i bisogni di carattere non

    industriale o commerciale siano una species dei bisogni di carattere generale: per tale ragione, l‘interprete è

    chiamato preliminarmente ad accertare che l‘attività dell‘ente sia rivolta a soddisfare bisogni di carattere

    generale e, poi, a verificare se questi ultimi abbiano carattere non industriale o commerciale.

    Secondo la Corte di Giustizia, la natura non industriale o commerciale dei bisogni istituzionalmente

    soddisfatti può dirsi sussistente allorché si tratti di bisogni che da un lato sono soddisfatti in modo diverso

    dall‘offerta di servizi e beni sul mercato e, dall‘altro, al cui soddisfacimento lo Stato preferisce provvedere

    direttamente ovvero con modalità organizzative tali da consentirgli di mantenere un‘influenza dominante.

    L‘esame oggettivo suggerito dalla Corte riguarda il contesto e le modalità specifiche in cui si svolge

    l’attività dell’ente.

    In particolare, il fatto che il soggetto operi in un contesto concorrenziale non è considerato di per sé

    sufficiente, ma non è neppure ritenuto un fattore irrilevante, dato che l‘esistenza di una concorrenza può

    costituire un indizio a sostegno del fatto che un bisogno di interesse generale ha carattere industriale o

    commerciale.

    Secondo i giudici comunitari occorre prendere in considerazione diversi fattori e in particolare se il soggetto:

    a) opera in normali condizioni di mercato,

    b) persegue scopi di lucro e

    c) subisce le perdite commerciali connesse all‘esercizio della sua attività.

    In queste ultime ipotesi, si potrebbe invero difficilmente sostenere che i bisogni generali perseguiti abbiano

    carattere non industriale o commerciale. Da questo approccio fattuale consegue che non vi sarebbe alcuna

    ragione per applicare in questo ambito le direttive europee in materia di appalti, proprio in considerazione del

    fatto che un soggetto che persegue uno scopo di lucro e che assume i rischi connessi alla propria attività non

    si impegnerà in un procedimento di aggiudicazione di un appalto a condizioni che non siano

    economicamente giustificate, non potendo quindi contravvenire ai principi di trasparenza e concorrenzialità

    che costituiscono il fondamento stesso della normativa comunitaria in materia di appalti pubblici.

    Come è stato di recente ribadito, quindi, per definire la natura di organismo di diritto pubblico, è necessario,

    per quel che in questa sede si esamina, che la società si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle

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    Pag. 11 a 44

    economiche, non fondando la propria attività principale su criteri di rendimento, efficacia e redditività e non

    assumendo su di sè i rischi collegati allo svolgimento di tale attività, destinati, viceversa a ricadere

    sull‘amministrazione controllante (Cass. Sez. un., 28 marzo 2019, n. 8673).

    Un chiarimento merita il tema dei rapporti tra regime concorrenziale cui l’attività è assoggettata e

    riconoscibilità dell’elemento finalistico che si esamina.

    Come sopra cennato, la giurisprudenza europea assegna rilievo indiziario, ma non dirimente nel senso di

    escludere la qualificabilità in termini di organismo di diritto pubblico, alla circostanza che il soggetto operi

    in un contesto concorrenziale: se certo non si tratta di un fattore irrilevante, dato che l‘esistenza di una

    concorrenza può costituire un indizio a sostegno del fatto che un bisogno di interesse generale ha carattere

    industriale o commerciale, non può tuttavia escludersi che sia qualificabile come organismo un soggetto che

    pure operi in un mercato aperto e concorrenziale.

    Come di recente ribadito, invero, si tratta esclusivamente di un indizio presuntivo, superabile con prova

    contraria, e non di un elemento dirimente, la verifica dovendo essere condotta .alla stregua di un approccio

    non già formalistico ma funzionale, che tenga conto delle concrete modalità di azione della società (Cass.

    Sez. un., 28 marzo 2019, n. 8673. In termini, T.A.R. Lazio, 26 aprile 2019, n. 5327, che, con riferimento a

    Poste S.P.A., ha optato per la natura di organismo di diritto pubblico valorizzando, tra l‘altro, che la stessa è

    tuttora concessionaria del cosiddetto servizio postale universale, implicante la fornitura obbligatoria – con

    correlativi esborsi statali a parziale copertura degli oneri – di servizi essenziali di consegna di lettere e

    pacchi, ad un prezzo controllato, a tutti i Comuni italiani, come dimostra il preannuncio di una procedura di

    infrazione da parte della Commissione Europea, in presenza della decisione di non recapitare più la posta a

    4.000 Comuni, in quanto servizio ritenuto non remunerativo. Di diverso avviso, Cass. Sez. un., 1 marzo

    2018, n. 4899, che ha invece valorizzato come la società Poste Italiane, benchè incaricata dell‘espletamento

    del ―servizio postale universale‖, sia attualmente titolare di attività anche di tipo finanziario, o comunque

    non attinenti al servizio di consegna della corrispondenza: servizio, anche quest‘ultimo, ormai svolto in

    regime di concorrenza.

    2.1.1.1. Il caso Aci Global: Cass. Sez. un., 28 marzo 2019, n. 8673

    Si riportano i passaggi rilevanti della citata pronuncia.

    (omissis)

    Funzionale alla motivazione del presente giudizio è una premessa di ordine sistematico e generale.

    La categoria dell‘organismo di diritto pubblico è stata elaborata nel diritto Eurounitario al fine di individuare

    le c.d. amministrazioni aggiudicatrici, ossia i soggetti tenuti al rispetto delle procedure di evidenza pubblica

    imposte dalle stesse norme dell‘Unione Europea. Tale categoria, applicabile solo nell‘ambito dei contratti

    pubblici, costituisce il precipitato della c.d. nozione sostanzialistica di Pubblica Amministrazione, avallata

    dalla legislazione Europea, ribadita dalla giurisprudenza Eurounitaria e interna (Cons. di Stato Ad. Plenaria

    13/2016) e preordinata – per il mezzo della valorizzazione del ―fine‖ perseguito da un determinato soggetto

    rispetto alla sua qualificazione giuridica – ad evitare che la privatizzazione puramente formale di enti

    pubblici possa determinare una sostanziale elusione delle normative Europee.

    La sedes materiae è da rinvenirsi nelle direttive n. 17 e 18 del 2004, recepite dal previgente D.Lgs. n. 163 del

    2006, (c.d. Codice dei contratti pubblici), nel quale, all‘art. 3, comma 26, era contenuta la definizione di

    organismo di diritto pubblico, attualmente riprodotta nel D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 3, lett. d). Secondo

    quest‘ultima norma si definisce organismo di diritto pubblico, ―qualsiasi organismo, anche in forma

    societaria, istituito per soddisfare specificamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non

    industriale o commerciale, dotato di personalità giuridica e la cui attività sia finanziata in modo

    maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico,

    oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo

    d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è

    designata dallo stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico‖.

    I suddetti requisiti devono intendersi come cumulativi (secondo quanto stabilito dalla Corte di Giustizia

    15 gennaio 1998, in C- 44/96, caso ―Mannesman‖) e di conseguenza la mancanza anche di uno solo di essi

    porta ad escludere lo status di organismo di diritto pubblico e alla disapplicazione della normativa

    comunitaria sugli appalti pubblici. L’interpretazione di tali requisiti deve essere svolta adottando un

    approccio di tipo funzionale “che consenta di perseguire gli obiettivi di non discriminazione e tutela

    della concorrenza che la disciplina degli appalti pubblici si pone di perseverare‖ (Corte di Giustizia 10

    novembre 1998, in C-360/96, caso Arhnhem, e 15 gennaio 1998, in C-44/96, infine 5 ottobre 2017, in C-

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    Pag. 12 a 44

    567/15).

    Al riguardo non pongono particolari problemi di ordine interpretativo il requisito della personalità giuridica

    – che deve essere inteso come sinonimo, in senso ampio, di soggettività giuridica, essendo riconducibili nel

    suo alveo anche gli enti di fatto – e il requisito dell’influenza pubblica dominante – che è integrato dal

    verificarsi di almeno uno dei tre fattori (partecipazione, finanziamento o controllo pubblico) previsti dalla

    norma -, mentre, il requisito c.d. “teleologico‖ ha richiesto molteplici interventi da parte della

    giurisprudenza nazionale ed, in particolare, Eurounitaria volti a definirne delle linee guida

    all‘interpretazione.

    Innanzitutto, in merito all‘espressione ―specificatamente‖, si è detto (Corte di Giustizia 15 gennaio 1998, in

    C-44/96) che essa indica la volontà del legislatore di vincolare all‘applicazione delle norme sugli appalti

    pubblici solo i soggetti istituiti allo scopo specifico di soddisfare interessi di carattere generale aventi

    carattere non industriale e commerciale e la cui attività risponda a tali esigenze. Peraltro non risulta

    necessario che l’organismo eserciti questa attività di interesse generale in modo esclusivo, potendo il

    medesimo soggetto svolgere altre attività, addirittura con carattere prevalente. In secondo luogo, in

    merito al significato di ―bisogni generali‖ occorre precisare che questi costituiscono una categoria più ampia

    all‘interno della quale deve essere rinvenuta la sotto-categoria dei bisogni ―non industriali e commerciali‖, i

    quali devono essere individuati in base al contesto di riferimento e delle finalità perseguite dalle direttive in

    tema di appalti (si veda Corte di Giustizia 27 febbraio 2003, in C373/2000).

    In merito alla portata applicativa di quest‘ultimo requisito, il profilo interpretativo di maggiore rilevanza è

    costituito dalla possibilità di definire organismo pubblico anche quello che opera in un regime

    concorrenziale.

    A seguito di molteplici oscillazioni da parte della giurisprudenza Eurounitaria (si ricordino i due leading

    cases Corte di Giustizia 15 gennaio 1998 C-44/96, ―Mannesman‖ e Corte di Giustizia 10 novembre 1998, in

    C-360/96, ―BFI Holding‖, orientati nel senso di considerare l‘agire in concorrenza come un semplice

    elemento indiziario, superabile; Corte di Giustizia 10 maggio 2001, in C223/99, ―Agorà‖ c. Ente Autonomo

    Fiera internazionale di Milano, orientata nel senso di escludere la qualifica di organismo di diritto pubblico

    nel caso esso agisse in concorrenza e con metodo economico), deve essere condiviso l’orientamento –

    recepito anche dal Consiglio di Stato nella pronuncia oggetto del presente ricorso che non considera

    determinante il mero fatto che la società operi in un mercato concorrenziale ai fini dell’esclusione della

    sua qualifica di organismo di diritto pubblico. Si tratta infatti esclusivamente di un indizio presuntivo,

    superabile con prova contraria, e non di un elemento dirimente.

    È verosimile, in un mercato i cui connotati sono sempre più complessi, che in alcuni casi i bisogni di ordine

    generale possano presentare una notevole rilevanza economica inducendo anche operatori economici privati

    a collocarsi nel settore (e senza che ciò incida sulla possibilità di qualificare l‘organismo della cui natura si

    controverte come organismo di diritto pubblico). Si giunge, pertanto, a concludere per la non

    incompatibilità tra lo svolgimento di attività di impresa e l’operatività in settori contrassegnati da

    un’economia di mercato, da un lato, e la qualificabilità dell’ente come organismo di diritto pubblico,

    dall’altro. La nozione di organismo di diritto pubblico, di conseguenza, in quanto funzionale alla

    liberalizzazione dei mercati e alla trasparenza, deve essere estensivamente intesa (sul punto si veda Corte di

    Giustizia, 27 febbraio 2003, in C-373/00) e nella valutazione degli indici richiesti dalla norma deve essere

    privilegiato ad un approccio formalistico – un approccio funzionale che tenga conto delle concrete modalità

    di azione della società.

    In ragione di ciò, accanto alle esigenze di natura strettamente classificatoria, ve ne sono di ulteriori che si

    pongono nella direzione del perseguimento del c.d. ―effetto utile‖ ai sensi delle direttive comunitarie. Nella

    specie, come sostiene la Corte di Giustizia nella già citata sentenza C-567/15 par. 31, ―alla luce degli

    obiettivi delle direttive in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici, volte a escludere sia il rischio che

    gli offerenti o candidati nazionali siano preferiti nell‘attribuzione di appalti da parte delle amministrazioni

    aggiudicatrici, sia la possibilità che un ente finanziato o controllato dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali

    o da altri organismi di diritto pubblico, si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche, (…)

    la nozione di organismo pubblico deve essere interpretata in modo funzionale ed ampia‖ (par. 20 Corte

    Giustizia 5 ottobre 2017, in C-567/15).

    12.- Non può essere revocato in dubbio che le considerazioni sopra svolte si applicano, non solo nel caso di

    organismo di diritto pubblico che opera in un sistema concorrenziale, ma anche alla società che svolga altre

    attività di lucro oltre e quella di interesse generale, nonchè al caso in cui la stessa non sia interamente

    detenuta da un altro soggetto qualificabile come amministrazione aggiudicatrice ai sensi del diritto

    comunitario ma abbia delle partecipazioni private.

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    Pag. 13 a 44

    La possibilità che una società che si qualifichi come organismo di diritto pubblico svolga attività

    ulteriori rispetto a quella oggetto di interesse generale è infatti pacificamente ammessa dalla

    giurisprudenza Eurounitaria (Corte di Giustizia 15 gennaio 1998, in C44/96), la quale è orientata nel senso

    di estendere la disciplina dei contratti pubblici anche agli appalti posti in essere dall‘organismo nell‘ambito

    di attività che non rispondano ad esigenze di ordine generale. Si tratta della applicazione della c.d. teoria del

    contagio, nata in seno alla sentenza Mannesman, volta ad evitare la formazione di zone franche all‘interno

    delle quali si realizzi una indebita elusione della normativa comunitaria, nonchè a perseguire la certezza del

    diritto, in forza della quale non è possibile scindere i campi di azione di un medesimo ente. È opportuno

    precisare, peraltro, che sotto questo particolare profilo gli organismi di diritto pubblico si distinguono dalle

    c.d. imprese pubbliche regolate dalla direttiva 2004/17, recepita dal D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 3, lett. d), che

    operano nei c.d. settori speciali (D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 114) alle quali non si applica la teoria del

    contagio alla luce della lettura incrociata dell‘art. 20, comma 1, Dir. 2004/17 e art. 12 Dir. 2004/18.

    La giurisprudenza di questa Corte – in due controversie riguardanti Poste Italiane – ha stabilito che

    non sono soggetti alla disciplina dell’evidenza pubblica gli altri servizi diversi da quelli riguardanti i

    servizi postali (D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 120) nella misura in cui siano stati liberalizzati (si veda Cass.

    8511/2012, con riferimento ad un appalto per servizio c.d. “postamat”) o che non rilevino direttamente

    ai fini dell’espletamento del servizio pubblico (Cass. 4988/2018 in relazione ad un appalto riguardante

    il servizio sostitutivo di mensa). Tali imprese non solo svolgono prevalentemente attività che si inseriscono

    in un contesto di mercato concorrenziale ma hanno anche una finalità economica e industriale. In ragione di

    ciò, non risulterebbe funzionale sottoporre tali attività alla disciplina fissata per i contratti pubblici nè rileva

    che l‘impresa pubblica si sia autonomamente vincolata a tali regole – dal momento che esse operano già in

    condizioni normali di mercato sopportando i rischi ad esso connessi.

    13.- Da ultimo, non può guidare la valutazione il fatto che la società non sia totalmente detenuta

    dall‘amministrazione controllante. Gli organismi di diritto pubblico non è necessario che sottostiano alle

    medesime regole previste per la società in house in tema di controllo analogo, stante la diversa natura dei due

    istituti.

    14.- In ragione di quanto finora affermato, per definire la natura di organismo di diritto pubblico di

    un soggetto, alla luce dei criteri enucleati al D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 3, lett. d), occorrerà avere

    riguardo, in primo luogo, al tipo di attività svolta dalla società e all’accertamento che tale attività sia

    rivolta alla realizzazione di un interesse generale, ovvero che sia necessaria affinchè la pubblica

    amministrazione possa soddisfare le esigenze di interesse generale alle quali è chiamata e, in secondo

    luogo, che tale società si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche (si veda, la già

    citata Corte di Giustizia 5 ottobre 2017, in C-567/15; nonchè, con riferimento al criterio di

    economicità, Cass. 8225/2010). In particolare, in merito a quest’ultimo profilo, è necessario, in primo

    luogo, che la società non fondi la propria attività principale su criteri di rendimento, efficacia e

    redditività e che non assuma su di sè i rischi collegati allo svolgimento di tale attività i quali devono

    ricadere sull’amministrazione controllante (Cass. 8225/2010). In secondo luogo, il servizio d’interesse

    generale che ne costituisce l’oggetto non può essere rifiutato per ragioni di convenienza economica.

    15.- In conclusione ai fini della qualificazione di una società come organismo di diritto pubblico, per stabilire

    se essa agisca per un fine di interesse generale, occorrerà procedere ad una valutazione in concreto degli

    elementi di fatto e di diritto che connotano l‘agire della stessa.

    16.- Per quanto riguarda la qualificazione di Aci Global come organismo di diritto pubblico, non sussistono

    dubbi in ordine alla sussistenza dei requisiti riguardanti la titolarità della personalità giuridica e il

    finanziamento e controllo maggioritario da parte di ACI, ente pubblico non economico. A questo proposito

    non risulta dirimente il richiamo operato dalla ricorrente alla possibilità che la partecipazione di ACI, allo

    stato dei fatti totalitaria, potrebbe essere ceduta in futuro, in virtù di previsione statutaria, posto che al

    giudice spetta esaminare la situazione di tale società al momento dell‘aggiudicazione dell‘appalto di cui

    trattasi. (Corte di Giustizia 5 ottobre 2017, in C-567/15 p. 47 in fine). Peraltro la qualità soggettiva della

    controllante (ente pubblico non economico) che è titolare della predetta partecipazione totalitaria non ha

    carattere casuale ma è da porre in connessione con la finalità d‘interesse pubblico perseguite dalla società

    controllata (Aci Global). Tale rilievo conduce all‘esame del requisito teleologico. Al riguardo, in primo

    luogo, si deve affermare che Aci Global è stata istituita al precipuo scopo di svolgere l‘attività di pubblico

    interesse consistente nel soccorso e assistenza stradale, a cui il tracciamento elettronico dei veicoli, oggetto

    dell‘appalto in esame, risulta strettamente funzionale. Tale servizio ha natura essenziale rispetto alla

    realizzazione della funzione pubblica di carattere generale a cui è chiamata istituzionalmente ACI (ente

    controllante) che nel proprio statuto prevede in modo espresso lo scopo di promuovere il miglioramento della

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    Pag. 14 a 44

    sicurezza stradale e l‘attuazione di forme di assistenza tecnica e stradale. In secondo luogo, non rileva che

    tale attività sia svolta unitamente ad altre attività (riguardanti, come emerge dall‘art. 2 dello statuto

    societario, la ―pulizia e lavaggio delle aree interessate da incidenti o altri eventi‖; ―il commercio all‘ingrosso

    di mezzi di soccorso, ricambi e accessori per veicoli a motore‖) aperte al mercato concorrenziale in quanto

    l‘esistenza di una concorrenza articolata non consente di per sè di concludere per la mancanza di un interesse

    generale (Corte di Giustizia 5 ottobre 2017, in C-567/15 p. 40). Non costituisce elemento dirimente neanche

    il fatto che le ulteriori attività svolte possano fruttare degli utili in quanto questi sono direttamente assegnati

    all‘ente pubblico, unico socio, in tal modo contribuendo a realizzare l‘interesse generale di una data

    collettività. L‘Aci Global, peraltro, non opera in condizioni normali di mercato o affidandosi a criteri

    economici. Essa, istituita specificamente per adempiere alla mission di ACI di assistenza qualificata ai

    veicoli, non può rifiutare lo svolgimento del servizio che le venga richiesto da parte di ACI – nello specifico

    da parte dei clienti iscritti – anche nel caso in cui lo stesso si riveli svolto in perdita o in condizioni

    diseconomiche. Sotto questo profilo non persegue alcun fine di redditività o di profitto. Inoltre, come

    evidenziato nel controricorso a pag. 33, Aci Global per l‘attività di soccorso stradale gode di una

    significativa porzione di clientela costituita dai soci ACI e non incassa direttamente il compenso per il

    servizio erogato, essendo remunerata direttamente dall‘ente pubblico controllante, non operando, pertanto,

    neanche sotto questo profilo in condizione di simmetria concorrenziale.

    17.- Tutti gli elementi fattuali rilevati conducono, in conclusione, a ritenere che per l‘attività oggetto

    dell‘appalto pubblico dedotto in giudizio Aci Global operi come organismo di diritto pubblico, in quanto del

    tutto coincidente con l‘interesse generale per cui la società è sorta. Tale univoco riscontro risulta assorbente

    rispetto alle considerazioni riguardante il regime del ripianamento delle perdite e quello riguardante

    l‘erogabilità di finanziamenti pubblici a sostegno del riequilibrio della situazione economico patrimoniale

    della società. Tuttavia, deve rilevarsi che la stessa parte ricorrente non esclude la possibilità della società di

    ricorrere a finanziamenti pubblici, i quali dalla documentazione in atti (che questa Corte può esaminare in

    relazione alla natura del giudizio) risultano, peraltro, essere stati erogati anche in funzione di ripianamento

    delle perdite.

    2.1.2. Organismo di diritto pubblico in parte qua. La teoria del contagio. Rinvio per la non applicazione della teoria del contagio alle imprese pubbliche.

    Non è infrequente il caso di enti che, muniti di personalità giuridica e sottoposti all‘influenza pubblica

    dominante, svolgono molteplici attività, alcune delle quali soltanto volte al soddisfacimento di bisogni

    generali a carattere non industriale o commerciale: si tratta di verificare se la disciplina pubblicistica debba

    essere osservata anche quando la prestazione da affidare sia strumentale all‘espletamento di una tipologia di

    attività non rivolta al soddisfacimento dei bisogni suddetti.

    È il problema relativo all‘ammissibilità di un ―organismo di diritto pubblico in parte qua‖.

    In senso contrario si è al riguardo espressa la Corte di Giustizia nel noto caso Mannesmann, causa C-44/96,

    che ha aderito alla c.d. teoria del contagio.

    Ad avviso della Corte, infatti, al fine della qualificazione di un ente come organismo di diritto pubblico non

    è necessario che l’ente abbia in via esclusiva o prevalente lo scopo di soddisfare bisogni di interesse

    generale non aventi carattere commerciale o industriale, ben potendo perseguire, oltre che tale scopo,

    anche (se del caso in via prevalente) quello di soddisfare interessi con carattere commerciale o

    industriale; secondo la Corte, infatti, ―lo status di organismo di diritto pubblico non dipende

    dall‟importanza relativa, nell‟attività dell‟organismo medesimo, del soddisfacimento di bisogni di interesse

    generale aventi carattere non industriale o commerciale‖.

    In particolare, osserva la Corte che la condizione posta dalla direttiva, ―secondo cui l‟organismo dev‟essere

    stato istituito per soddisfare „specificatamente‟ bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale

    o commerciale non implica che esso sia incaricato unicamente di soddisfare bisogni del genere‖, e dunque

    l‘ente è da qualificare organismo di diritto pubblico anche se ―la soddisfazione dei bisogni di interesse

    generale costituisce solo una parte relativamente poco rilevante delle attività effettivamente svolte‖

    dall‘Ente.

    Di recente, in termini, Cass. Sez. un., 28 marzo 2019, n. 8673, secondo cui va riconosciuta la possibilità

    che una società che si qualifichi come organismo di diritto pubblico svolga attività ulteriori rispetto a quella

    oggetto di interesse generale, con conseguente estensione della disciplina dei contratti pubblici anche agli

    appalti posti in essere dall‘organismo nell‘ambito di attività che non rispondano ad esigenze di ordine

    generale. La teoria del contagio -chiariscono le Sezioni unite- è volta ad evitare la formazione di zone

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    franche all‘interno delle quali si realizzi una indebita elusione della normativa comunitaria, nonchè a

    perseguire la certezza del diritto, in forza della quale non è possibile scindere i campi di azione di un

    medesimo ente.

    Si rinvia ai successivi paragrafi per la non applicabilità della teoria del contagio alle imprese pubbliche.

    2.2. Impresa pubblica. Nozione e differenze rispetto all’organismo di diritto pubblico.

    Altra nozione europea di peculiare rilevanza applicativa nel settore dei contratti pubblici è quella di impresa

    pubblica, tenuta a applicare la disciplina dell‘evidenza pubblica limitatamente agli appalti afferenti ai settori

    speciali (acqua, trasporti, energia, telecomunicazioni, cui la nuova direttiva ha aggiunto le poste).

    Segnatamente, con riferimento ai settori speciali, riproducendo il contenuto dell‘abrogato art. 217, d.lgs. n.

    163 del 2006, l‘art. 114, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016, dispone che ―le disposizioni di cui al presente Capo

    si applicano, altresì, agli enti aggiudicatori che sono amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche

    che svolgono una delle attività previste dagli articoli da 115 a 121; si applicano altresì ai tutti i soggetti che

    pur non essendo amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche, annoverano tra le loro attività una o

    più attività tra quelle previste dagli articoli da 115 a 121 ed operano in virtù di diritti speciali o esclusivi‖.

    Accanto alle ―amministrazioni aggiudicatrici‖ di cui all‘art. 3, comma 1, lett. a), del Codice dei contratti

    pubblici, nel novero dei soggetti tenuti all‘applicazione della disciplina a evidenza pubblica nei settori

    speciali rientrano, quindi, anche le cosiddette imprese pubbliche, nonché tutti i soggetti che, pur non essendo

    amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche, operino nel campo dei settori speciali in virtù di diritti

    speciali o esclusivi.

    Più nel dettaglio, secondo quanto previsto dall‘art. 3, comma 1, lett. t), d.lgs. n. 50 del 2016, con il termine

    ―imprese pubbliche‖ debbono intendersi ―le imprese sulle quali le amministrazioni aggiudicatrici possono

    esercitare, direttamente o indirettamente un‟influenza dominante o perché ne sono proprietarie, o perché vi

    hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle norme che disciplinano dette imprese‖.

    In base alla norma citata, l‘influenza dominante deve ritenersi presunta quando le Amministrazioni

    aggiudicatrici, direttamente o indirettamente, riguardo all‘impresa, alternativamente o cumulativamente:

    1) detengono la maggioranza del capitale sottoscritto;

    2) controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall‘impresa;

    3) possono designare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza

    dell‘impresa.

    A differenza di quanto previsto per l’organismo di diritto pubblico, si prescinde in questo caso dal fine

    perseguito, riconoscendosi valenza decisiva al legame tra l’impresa e la Pubblica amministrazione

    “dominante”. La categoria sopra definita comprende pertanto non soltanto le aziende autonome e gli enti

    pubblici economici, ma anche le società di capitali a prevalente partecipazione pubblica o comunque a

    dominanza pubblica.

    In altri termini, debbono essere considerate imprese pubbliche quelle entità che svolgono un’attività

    economica sotto l’influenza dominante, diretta o indiretta, di una o più amministrazioni aggiudicatrici,

    ma nel rispetto dei principi della normale gestione commerciale e cioè sopportandone tutti i rischi, ivi

    compreso quello di fallire.

    Ebbene, le imprese pubbliche rientrano, giusta le definizioni rispettivamente fornite dall‘art. 3, comma 1,

    lett. e) e t), d.lgs. n. 50 del 2016, tra gli enti aggiudicatori tenuti all‘osservanza della disciplina degli appalti

    nei settori speciali ex art. 114 d.lgs. cit., mentre non sono, in quanto tali, contemplate tra le amministrazioni

    aggiudicatrici tenute all‘osservanza della disciplina degli appalti nei settori ordinari.

    2.2.1. Appalti non rientranti nell’ambito di applicazione della disciplina dei settori speciali. Non si applica la teoria del contagio. La disciplina applicabile e i connessi profili di giurisdizione Cons. St., A.P., 1 agosto 2011, n. 16, e T.a.r. Lazio, 26 aprile 2019, n. 5327.

    L‘art. 14, d.lgs. n. 50 del 2016, prescrive tuttavia che la disciplina dei settori speciali non si applica agli

    appalti che gli enti aggiudicatori aggiudicano per scopi diversi dall’esercizio delle loro attività di cui

    agli artt. da 115 a 121.

    L‘assoggettabilità dell‘affidamento di un servizio alla disciplina dettata per i settori speciali non può essere,

    pertanto, desunta applicando un criterio solo soggettivo, relativo cioè al fatto che ad affidare l‘appalto sia un

    ente operante nei settori speciali, ma anche in applicazione di un parametro di tipo oggettivo, attento alla

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    Pag. 16 a 44

    riferibilità del servizio all‘attività speciale.

    La stessa giurisprudenza europea ha sostenuto che le previsioni dettate in materia di settori speciali devono

    essere applicate restrittivamente, con conseguente inapplicabilità della c.d. teoria del contagio elaborata a

    far data dal caso Mannesman con riguardo, tuttavia, alla diversa figura dell‘organismo di diritto pubblico.

    Allorché emerga, quindi, che l‘appalto del cui affidamento un‘impresa pubblica deve farsi carico sia escluso

    dall‘ambito di applicazione della disciplina dei settori speciali, in quanto da aggiudicare per scopi diversi

    dall‘esercizio delle specifiche missioni rientranti nei settori speciali, e non legato a tali missioni da vincolo di

    strumentalità, non troverà applicazione la disciplina di evidenza pubblica dettata per i settori speciali.

    Ci si chiede, tuttavia, se questi stessi appalti, non assoggettati alla disciplina prevista per i settori speciali,

    finiscano per ricadere nell‘ambito di applicazione di altra disciplina pubblicistica o se, viceversa, rimangano

    assoggettati al diritto privato.

    Come chiarito, da Cons. St., A.P., 1 agosto 2011, n. 16, in astratto si profilano quattro possibili soluzioni:

    1. applicazione della disciplina dei settori ordinari; 2. applicazione della disciplina inerente ai contratti esclusi, ora normati dall‘art. 4 del d.lgs. n. 50 del 2016; 3. applicazione dei principi a tutela della concorrenza contenuti nei Trattati dell‘Unione europea; 4. applicazione del diritto privato. Sul versante delle implicazioni processuali, l‘opzione per una delle prime tre ipotesi determina il radicarsi

    della giurisdizione del giudice amministrativo; viceversa, optando per l‘ultima si radica quella del giudice

    ordinario.

    Allorché la stazione appaltante sia un’impresa pubblica va certo esclusa la prima delle quattro prospettate

    opzioni, non potendo l‘appalto escluso dai settori speciali ricadere nei settori ordinari: e invero, se nel caso

    di amministrazioni aggiudicatrici, che sono soggetti di diritto pubblico, non sembrano esservi ostacoli ad

    ammettere che, per i loro appalti estranei ai settori speciali, si riespande l‘applicazione della disciplina degli

    appalti dei settori ordinari, diversamente, nel caso delle imprese pubbliche - che sono enti aggiudicatori nei

    settori speciali, ma non sono contemplati tra le amministrazioni aggiudicatrici nei settori ordinari, per gli

    appalti aggiudicati per scopi diversi dalle loro attività nei settori speciali, la sottrazione alla disciplina dettata

    per i settori speciali non comporta l‘espansione della disciplina inerente ai settori ordinari.

    Non ammessa l‘applicabilità -all‘affidamento dell‘appalto escluso dai settori speciali- della disciplina dettata

    per i settori ordinari, è necessario verificare se sia o meno allo stesso applicabile la disciplina inerente ai

    contratti esclusi di cui all‘art. 4, d.lgs. n. 50 del 2016 nella parte in cui dispone che l‘affidamento dei contratti

    pubblici esclusi in tutto o in parte dall‘ambito dell‘applicazione oggettiva del Codice avviene nel rispetto dei

    principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, proporzionalità, tutela dell‘ambiente e

    efficienza energetica.

    Come osservato da Cons. St., A.P., 1 agosto 2011, n. 16, la norma (il vecchio art. 27, d. lgs. n. 163 del 2006,

    ora riprodotto all‘art. 4, d.lgs. n. 50 del 2016) è volta ad imporre il rispetto di regole minimali di evidenza

    pubblica, a tutela della concorrenza e del mercato.

    Senonché, tali regole minimali sono imposte:

    a) da un lato solo ai soggetti che ricadono nell‘ambito di applicazione del codice appalti e delle direttive

    europee di cui costituisce recepimento;

    b) dall‘altro lato, a condizione che vengano in considerazione contratti nominati ma esenti, e non anche

    contratti estranei.

    È necessario, pertanto, chiarire la distinzione tra le due tipologie, aventi una diversa ratio, degli appalti esenti

    e degli appalti estranei.

    Gli appalti esenti sono quelli in astratto rientranti nei settori di intervento delle direttive, ma che ne vengono

    esclusi per ragioni lato sensu di politica europea, quali, ad es., gli appalti segretati, o i servizi di arbitrato e

    conciliazione, o acquisto o locazione di terreni e fabbricati, e le stesse concessioni di servizi.

    Gli appalti estranei sono quelli esclusi perché sono del tutto al di fuori dei settori di intervento delle direttive

    o dello stesso ordinamento comunitario, quali gli appalti da eseguirsi al di fuori del territorio dell‘Unione, o

    quali gli appalti aggiudicati dagli enti aggiudicatori dei settori speciali per fini diversi dall‘esercizio delle

    attività nei settori speciali.

    In conclusione, il citato art. 4 impone il rispetto dei principi del Trattato a tutela della concorrenza ai soggetti

    tenuti al rispetto del Codice appalti, in relazione ai contratti esclusi ma non anche ai contratti del tutto

    estranei agli scopi e all‘oggetto del codice e delle direttive comunitarie.

    Sicché, secondo il ragionamento seguito dalla Plenaria, gli appalti che le imprese pubbliche intendono

    affidare per scopi che non hanno a che fare con le specifiche missioni rientranti nei settori speciali, oltre a

    non essere assoggettati a quella disciplina di settore, sono da considerare estranei, sicché non sono agli stessi

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    estensibili i principi dei Trattati a tutela della concorrenza; consegue, sul versante processuale, il difetto di

    giurisdizione del giudice amministrativo sulle relative controversie e il radicarsi, quindi, della giurisdizione

    del giudice ordinario.

    Ben diversa, come accennato, l’ipotesi in cui a dover affidare un appalto per scopi non strumentali

    rispetto alle specifiche missioni rientranti nei settori speciali sia un’amministrazioni aggiudicatrici, in

    specie un organismo di diritto pubblico; in casi siffatti, si riespande la disciplina degli appalti dei

    settori ordinari.

    È quanto di recente ribadito da T.a.r. Lazio, 26 aprile 2019, n. 5327, che, nell’affrontare il dedotto

    profilo di giurisdizione, ha qualificato, nella suindicata prospettiva., come organismo di diritto

    pubblico, e non semplicemente come impresa pubblica, Poste S.p.A.

    2.2.1.1. Il Caso Poste: T.a.r. Lazio, 26 aprile 2019, n. 5327

    Il Tar Lazio, con ordinanza n. 5327 del 2019, sottopone alla Cgue, ai sensi dell‘art. 267 Tfue, i seguenti

    quesiti di diritto:

    1) se la società Poste Italiane s.p.a., in base alle sue caratteristiche, debba essere qualificata ―organismo di

    diritto pubblico‖, ai sensi dell‘art 3, comma 1, lettera d) del d.lgs. n. 50 del 2016 e delle direttive comunitarie

    di riferimento (2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE);

    2) se detta società sia tenuta a svolgere procedure contrattuali ad evidenza pubblica solo per l‘aggiudicazione

    degli appalti, che siano direttamente riferibili all‘attività propria dei settori speciali, di cui alla direttiva

    2014/25/UE, in applicazione della quale la stessa natura di organismo di diritto pubblico dovrebbe ritenersi

    assorbita nelle regole della parte II° del Codice degli appalti, con piena autonomia negoziale – e regole

    esclusivamente privatistiche – per l‘attività contrattuale non attinente, in senso stretto, a tali settori, tenuto

    conto dei principi dettati dalla direttiva 2014/23/UE;

    4) se la medesima società, per i contratti da ritenere estranei alla materia, propria dei settori speciali, resti

    invece – ove in possesso dei requisiti di organismo di diritto pubblico – soggetta alla direttiva generale

    2014/24/UE (e quindi alle regole contrattuali ad evidenza pubblica), anche ove svolgente – in via evolutiva

    rispetto all‘originaria istituzione – attività prevalentemente di stampo imprenditoriale e in regime di

    concorrenza, ostando ad una diversa lettura la direttiva 2014/24/UE, per contratti conclusi da

    Amministrazioni aggiudicatrici; il ―considerando‖ n. 21 e l‘art. 16 della citata direttiva 2014/23/UE, d‘altra

    parte, pongono solo un parametro presuntivo, per escludere la natura di organismo di diritto pubblico per le

    imprese, che operino in condizioni normali di mercato, essendo comunque chiaro, in base al combinato

    disposte delle medesime disposizioni, il prioritario riferimento alla fase istitutiva dell‘Ente, ove quest‘ultimo

    sia destinato a soddisfare ―esigenze di interesse generale‖;

    5) se comunque, in presenza di uffici in cui si svolgono, promiscuamente, attività inerenti al settore speciale

    e attività diverse, il concetto di ―strumentalità‖ – rispetto al servizio di specifico interesse pubblico – debba

    essere inteso in modo non restrittivo, ostando, a quest‘ultimo riguardo, i principi di cui al ―considerando‖ n.

    16, nonché gli articoli 6 e 13 della direttiva 2014/25/UE, che richiamano – per l‘individuazione della

    disciplina applicabile – il concetto di ―destinazione‖ ad una delle attività, disciplinate dal Codice dei contratti

    pubblici. Deve essere chiarito, pertanto, se possano essere ―destinate‖ al settore speciale di riferimento –

    anche con le modalità vincolistiche attenuate, proprie dei settori esclusi – tutte le attività funzionali al settore

    stesso, secondo le intenzioni della stazione appaltante (ivi compresi, pertanto, i contratti inerenti la

    manutenzione sia ordinaria che straordinaria, la pulizia, gli arredi, nonché i servizi di portierato e di custodia

    degli uffici, o altre forme di utilizzo di questi ultimi, se intese come servizio per la clientela), restando

    effettivamente privatizzate solo le attività ―estranee‖, che il soggetto pubblico o privato può esercitare

    liberamente in ambiti del tutto diversi, con disciplina esclusivamente riconducibile al codice civile e

    giurisdizione propria del giudice ordinario (di quest‘ultimo tipo ad esempio, per quanto qui interessa, è

    certamente il servizio bancario svolto da Poste Italiane, ma non altrettanto potrebbe dirsi con riferimento alla

    fornitura e all‘utilizzo degli strumenti di comunicazione elettronica, se posti al servizio dell‘intero ambito di

    attività del Gruppo, pur essendo particolarmente necessari appunto per l‘attività bancaria). Non sembra

    peraltro inutile sottolineare lo ―sbilanciamento‖, indotto dall‘interpretazione restrittiva attualmente

    prevalente, introducendosi nella gestione di settori assimilabili o contigui regole totalmente diverse, per

    l‘affidamento di lavori o servizi: da una parte, le minuziose garanzie imposte dal Codice dei contratti per

    l‘individuazione dell‘altro contraente, dall‘altra la piena autonomia negoziale dell‘imprenditore, libero di

    operare contrattazioni in funzione esclusiva dei propri interessi economici, senza alcuna delle garanzie di

    trasparenza, richieste per i settori speciali e per quelli esclusi;

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    6) se infine l‘indizione – con le forme di pubblicità previste a livello sia nazionale che comunitario – di una

    procedura di gara ad evidenza pubblica, a norma del codice degli appalti, possa rilevare ai fini

    dell‘individuazione dell‘area di destinazione dell‘appalto, ovvero dell‘attinenza di quest‘ultimo al settore

    speciale di riferimento, in senso conforme all‘ampliata nozione di ―strumentalità‖, di cui al precedente

    quesito n. 5), ovvero – in via subordinata – se l‘eccezione di difetto di giurisdizione del giudice

    amministrativo, sollevata dallo stesso soggetto che abbia indetto tale procedura di gara, o da soggetti che a

    detta procedura abbiano vittoriosamente partecipato, possa considerarsi abuso del diritto ai sensi dell‘art. 54

    della Carta di Nizza, quale comportamento che – pur non potendo incidere, di per sé, sul riparto di

    giurisdizione – rileva quanto meno ai fini risarcitori e delle spese di giudizio, poiché lesivo del legittimo

    affidamento dei partecipanti alla gara stessa, ove non vincitori e ricorrenti in sede giurisdizionale.

    2.3. Le società in house: nozione e indicazione dei principali problemi che saranno esaminati a Lezione.

    L‘affidamento in house rappresenta una modalità, alternativa all‘applicazione della disciplina comunitaria in

    materia di appalti e servizi pubblici, per effetto della quale una Pubblica amministrazione si avvale, al fine di

    reperire determinati beni e servizi ovvero per erogare alla collettività prestazioni di pubblico servizio, di

    soggetti sottoposti al suo penetrante controllo.

    L‘istituto, dapprima elaborato dalla giurisprudenza europea a partira dalla notissima sentenza Teckal del 18

    novembre 1999, causa C-107/98, poi delineato dalle direttive europee, è stato pedissequamente recepito

    nell‘ordinamento interno a opera del d.lgs. n. 50 del 2016, il quale ha così definitivamente codificato le

    condizioni al ricorrere delle quali la Pubblica amministrazione è legittimata a disporre l‘affidamento diretto

    del servizio in luogo del ricorso all‘outsourcing.

    Segnatamente, riproducendo il contenuto delle citate direttive, l‘art. 5, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, nel

    testo modificato dall‘art. 6, d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 (c.d. primo correttivo), stabilisce che una concessione

    o un appalto pubblico, nei settori ordinari o speciali, aggiudicati da un‘Amministrazione aggiudicatrice o da

    un ente aggiudicatore a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato, non rientra nell‘ambito

    di applicazione del presente codice ove siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

    a. l‘Amministrazione aggiudicatrice o l‘ente aggiudicatore eserciti sulla persona giuridica affidataria un

    controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi (elemento strutturale del rapporto in house);

    b. oltre l’80 per cento delle attività della persona giuridica controllata sia effettuata nello svolgimento

    dei compiti a essa affidati dall’Amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche

    controllate dall‘Amminist