Bignami, Ernesto - Cos'è il fascismo. Saggio premiato nel decennale della rivoluzione
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Dispense d’Autore
DIRITTO AMMINISTRATIVO
“La nuova nozione di Amministrazione pubblica: organismi di diritto pubblico, imprese pubbliche, in house, società a partecipazione pubblica, Authorities”
Ricostruzioni d’Autore, giurisprudenza più significativa e recentissima, prime tracce su cui confrontarsi a lezione
Dispensa relativa a prima Lezione gratuita di amministrativo Roma, Teatro Italia, via Bari, 2 ottobre 2019, ore 13.30 Palermo e Milano, 5 ottobre 2019 Streaming, 5 ottobre 2019
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SCHEMA DELLA LEZIONE
Il Corso di diritto amministrativo può prendere avvio da punti di partenza diversi:
dall‘esame delle posizioni soggettive che caratterizzano il diritto amministrativo, così dando atto della evoluzione in senso sostanziale dell‟interesse legittimo e delle importanti conseguenze che la
stessa ha avuto nel plasmare in senso fortemente i meccanismi rimediale azionabili innanzi al G.A. e
il volto stesso della giustizia amministrativa;
in modo più classico e manualistico, dall‘analisi delle fonti del diritto amministrativo, per mettere in risalto come, anche nel diritto amministrativo, il sistema delle fonti è sempre più articolato,
multilivello e comprensivo di non pochi istituti di soft law.
Si preferisce, quest‘anno, prendere avvio dai Soggetti, con l‘intento di porre in risalto come, non solo nelle
posizioni soggettive coinvolte e nelle fonti di disciplina, ma ancor prima nei soggetti del diritto
amministrativo, questa branca è stata attraversata da cambiamenti profondi, molti dovuti all‘influenza
europea, che hanno comportato una riperimetrazione del campo di azione delle regole del diritto
amministrativo.
Che si intende oggi per Pubblica Amministrazione e sulla base di quali criteri si sciolgono gli
interrogativi in merito alla qualificazione di un determinato soggetto come soggetto privato o come Pubblica
Amministrazione?
Scontato il rilievo applicativo della soluzione da dare, caso per caso, al tema della qualificazione di un ente
come pubblico.
Solo per fare alcuni primi cenni, dalla qualificazione pubblica di un ente discendono infatti, sul piano della
disciplina, conseguenze significative: 1) il potere di auto-organizzazione (art. 2, D. Lgs. n. 165 del 2001); 2)
l‘applicazione della disciplina in tema di procedimento amministrativo e di accesso (legge n. 241 del 1990);
3) un regime giuridico degli atti connotato da imperatività, esecutività ed esecutorietà; 4) l‘assoggettamento
alla giurisdizione del g.a.
Volendo indicare i punti salienti lungo i quali si articolerà la Lezione, ci si occuperà, dapprima della
nozione di PA, delle tendenze ad un approccio sostanziale e funzionale ormai maturate in giurisprudenza e
dottrina, per poi soffermarsi sulle nozioni di derivazione europea:
organismo di diritto pubblico;
impresa pubblica;
in house.
Si ritornerà, quindi, nei confini nazionali per esaminare la più classica, ma sempre ricorrente, questione
della natura giuridica delle società a partecipazione pubblica, cogliendo l‘occasione per dare atto dei
punti salienti della disciplina che delle società in questione ha introdotto il d. lgs. 19 agosto 2016, n. 175, in
specie facendo il punto sul complicato tema della responsabilità degli amministratori, delle azioni
esercitabili e della giurisdizione (civile o erariale) da interessare.
Infine, si inizierà a svolgere lo sguardo alle Autorità indipendenti, per mettere a fuoco:
tratti strutturali e funzionali caratterizzanti e collocazione istituzionale, dando atto della recente presa di posizione di Corte cost., 31 gennaio 2019, n. 13;
conseguenze della natura amministrativa delle autorità: procedimento, accesso, sindacato giurisdizionale. La questione del potere regolamentare. L‘ammissibilità del ricorso straordinario.
poteri sanzionatori e regole di condotta procedimentali (con esame delle posizioni espresse da Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens, in tema di contraddittorio, da Corte cost., 10
maggio 2019, n. 117, in tema di diritto al silenzio, da Corte cost., 21 marzo 2019, n. 63, e da
Cons. St., Sez. VI, 14 maggio 2019, n. 3134, in tema di retroattività favorevole);
tutela giurisdizionale, riparto alla luce di C. Cost. nn. 204/2004, 191/2006 e 140/2007 e delle novità introdotte dal Cpa; il sindacato; il rito;
responsabilità civile delle Autorità per omessa vigilanza
sindacato sulla discrezionalità tecnica delle Autorità indipendenti, con l‘intento di metterne a fuoco intensità e limiti, dare atto delle esigenza di pienezza espresse dalla Corte Edu e delle tendenze
giurisprudenziali al sindacato di maggiore attendibilità);
legittimazione processuale a proporre ricorso da parte delle Autorità.
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DISPENSA DI DIRITTO AMMINISTRATIVO
Per una ricostruzione organica, R. GAROFOLI - G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Parte generale e speciale, XIII
ed. (Completamente rivista e aggiornata), settembre 2019, in libreria da qualche giorno
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SOMMARIO
1. L’affermarsi di un approccio sostanziale e sempre più “funzionale” (e quindi cangiante) di pubblica Amministrazione.
1.1. Cons. di Stato, sez. VI, n. 8634 del 2015: sulla nozione di ente pubblico. 2. Le nozioni europee di Amministrazione. L’approccio “sostanziale” e funzionale”. Cons. St.,
A.P., 25 giugno 2018, n. 9, e i direttori dei musei, non aventi la cittadinanza italiana, ma quella di altro Stato dell’Unione europea.
2.1. Organismo di diritto pubblico: il rilievo applicativo della nozione. 2.1.1. Le esigenze di interesse generale a carattere non industriale o commerciale: il rilievo da
assegnare alla natura concorrenziale del contesto in cui opera l’ente. Cass. Sez. un., 28 marzo 2019, n. 8673 e T.A.R. Lazio, 26 aprile 2019, n. 5327.
2.1.1.1. Il caso Aci Global: Cass. Sez. un., 28 marzo 2019, n. 8673 2.1.2. Organismo di diritto pubblico in parte qua. La teoria del contagio. Rinvio per la non
applicazione della teoria del contagio alle imprese pubbliche. 2.2. Impresa pubblica. Nozione e differenze rispetto all’organismo di diritto pubblico. 2.2.1. Appalti non rientranti nell’ambito di applicazione della disciplina dei settori speciali. Non si
applica la teoria del contagio. La disciplina applicabile e i connessi profili di giurisdizione Cons. St., A.P., 1 agosto 2011, n. 16, e T.a.r. Lazio, 26 aprile 2019, n. 5327.
2.2.1.1. Il Caso Poste: T.a.r. Lazio, 26 aprile 2019, n. 5327 2.3. Le società in house: nozione e indicazione dei principali problemi che saranno esaminati a
Lezione. 2.3.1. L’in house: modello generale alternativo alla gara o modello “eccezionale”? L’art. 192, d.
lgs. n. 50 del 2016: la parola alla Corte di giustizia. Cons. St., sez. V, 7 gennaio 2019, n.138
2.3.2. Cass., sez. I, sentenza 20 dicembre 2016 - 7 febbraio 2017, n. 3196: la fallibilità delle società in house.
2.3.2.1. Tar Calabria, sez. III, 21 febbraio 2018, n. 496: la giurisdizione del g.o. in caso di domanda di risarcimento dei danni conseguenti al fallimento di una società in house, asseritamente derivante dalle condotte del socio pubblico.
2.3.3. Cass., sez. unite 27 marzo 2017, n. 7759: la giurisdizione del g.o. nelle procedure di reclutamento del personale.
2.3.4. Cassazione, sez. unite, 2 febbraio 2018 n. 2584: in house e fondazione. 2.3.5. Cons. Stato, sez V,29 maggio 2017, n. 2533: affidamento in house e rito speciale ex art.
120 c.p.a. 2.4. Società a partecipazione pubblica: la natura e i principali problemi. 2.4.1. La responsabilità degli amministratori delle società partecipate e delle società in house: il
concorso di azioni. L’art. 12, d.lgs. n. 175 del 201, e la sua portata interpretativa alla luce del percorso giurisprudenziale: da Cass. civ., Sez. Un., 19 dicembre 2009, n. 26806 a, per le società in house, Cass. civ., Sez. Un., 25 novembre 2013, n. 26283, fino a Cass. civ., Sez. un., 13 settembre 2018, n. 22406
2.4.2. Cass. sezioni unite, 14 settembre 2017, n. 21299: la giurisdizione del g.o. negli atti di nomina e revoca degli amministratori delle società pubbliche partecipate. La distinzione tra atti “uti socius” a atti “iure imperii”.
2.4.3. Cass., sez. unite, n. 21588 del 2013: la giurisdizione del g.o. sugli atti di acquisizione e dismissione delle partecipazioni societarie.
2.4.3.1. Tar Cagliari, sentenza n. 244 del 2017. 3. Autorità indipendenti: natura giuridica e primi profili problematici. 3.1. AGCM come giudice a quo: Corte cost. 31 gennaio 2019, n. 13 3.2. Cons. St., n. 2182 del 2016: il potere normativo da parte delle Autorità amministrative
indipendenti 3.3. Rinvio alla Dispensa integrale. 4. Le prime tracce da non trascurare
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LA GIURISPRUDENZA PIÙ SIGNIFICATIVA, DI CUI SI SUGGERISCE LA LETTURA
1. L’affermarsi di un approccio sostanziale e sempre più “funzionale” (e quindi cangiante) di pubblica Amministrazione.
Il policentrismo autarchico e autonomistico, sviluppatosi in attuazione dei principi di decentramento
amministrativo e di valorizzazione delle autonomie locali, tanto auspicati dall‘art. 5 Cost., ha comportato il
moltiplicarsi, accanto allo Stato, di una molteplicità di enti volti al perseguimento di un pubblico interesse.
L‘eterogeneità strutturale, funzionale e teleologica degli stessi non ha consentito di elaborare un modello
unitario di ente pubblico; ne è derivato un impegno decennale di giurisprudenza e la dottrina nella
definizione di criteri sintomatici della natura pubblicistica dell’ente.
È sul punto ormai da tempo prevalso un approccio sostanzialistico, senza dubbio influenzato dal diritto
europeo, dalle relative nozioni di amministrazione pubblica e, prima ancora, dalla sua generale tendenza a
riconoscere prevalenza della sostanza sulla forma e, più in generale, a ritenere neutrale la forma giuridica.
Sulla base di tale impostazione sostanzialista e funzionale, non è necessario che un determinato ente sia
qualificato come pubblico o privato da una determinata norma, importante e decisivo essendo che ricorrano
specifici indici rivelatori della natura pubblicistica.
L‘influsso europeo nell‘affermarsi di tale impostazione sostanziale e teleologica di ente pubblico è evidente e
se ne tratterà di seguito.
Nella disciplina europea, infatti, la nozione di p.a. non formale ma sostanzialistica: emblematiche, al
riguardo, le categorie dell‘organismo di diritto pubblico, dell‘impresa pubblica e dei soggetti in house.
Al contempo, va sempre più affermandosi la tesi secondo cui il riconoscimento della natura pubblica può
aver luogo, non necessariamente per qualsivoglia aspetto della vita e della struttura dell‘ente, ma solo a certi
fini e rispetto a certi istituti.
In tali termini si è sviluppata la concezione (in origine europea ma sempre più seguita dalla giurisprudenza
nazionale), di P.A., ispirata alla c.d. logica delle geometrie variabili.
1.1. Cons. di Stato, sez. VI, n. 8634 del 2015: sulla nozione di ente pubblico.
Nella pronuncia indicata, la VI sezione del Consiglio di Stato torna a sostenere che la definizione di ente
pubblico va ricostruita sulla base di un approccio di tipo dinamico. In particolare, si rimarca un concetto
―elastico‖ di ente pubblico, in forza del quale il connotato pubblicistico investe, l‘ente, non nella totalità delle
sue manifestazioni e comportamenti ma con riguardo a specifici istituti e settori. Ne discende, pertanto, la
possibilità che, all‘interno di un medesimo ente, convivano elementi di diritto privato e di diritto pubblico.
(omissis)
7. Innanzitutto, sul piano dei principi, anche in considerazione del fatto che la sentenza di primo grado
affronta la questione profusamente, il Collegio ritiene di dover ribadire – richiamando a tal fine le
considerazioni già svolte da questa Sezione, proprio con riferimento alla c.d. Università libere, nella
sentenza 26 maggio 2015, n. 2660 – che l’individuazione dell’ente pubblico debba avvenire in base a
criteri non “statici” e “formali”, ma “dinamici” e “funzionali”.
Ciò implica che il criterio da utilizzare per tracciare il perimetro del concetto di ente pubblico muta a
seconda dell’istituto o del regime normativo che deve essere applicato.
La nozione di ente pubblico nell’attuale assetto ordinamentale non può, dunque, ritenersi fissa ed
immutevole. Non può ritenersi, in altri termini, che il riconoscimento ad un determinato soggetto della
natura pubblicistica a certi fini, ne implichi automaticamente e in maniera automatica la integrale
sottoposizione alla disciplina valevole in generale per la pubblica amministrazione.
Al contrario, l’ordinamento si è ormai orientato verso una nozione “funzionale” e “cangiante” di ente
pubblico. Si ammette senza difficoltà che uno stesso soggetto possa avere la natura di ente pubblico a
certi fini e rispetto a certi istituti, e possa, invece, non averla ad altri fini, conservando rispetto ad altri
istituti regimi normativi di natura privatistica.
8. Giova precisare che la c.d. nozione funzionale di ente pubblico che qui si accoglie non contrasta con la
previsione contenuta nell’art. 4 della legge n. 70 del 1975, in base alla quale, come ricordato dal T.a.r.,
―nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge‖.
La nozione ―funzionale‖ e ―dinamica‖ non predica, infatti, che un soggetto possa essere qualificato come
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―pubblico‖ a prescindere dall‘esistenza di una base legislativa che sottoponga quel soggetto ad un regime
pubblicistico.
Al contrario, alla base della qualificazione funzionale di ente pubblico ci deve essere sempre un
fondamento normativo da cui derivano, per quell’ente, obblighi e doveri, oppure prerogative e poteri,
di natura pubblicistica.
9. Nel settore degli appalti pubblici, ad esempio, ciò che fa dell‘organismo di diritto pubblico (ad onta della
veste formale che può essere privatistica) un soggetto equiparato alla pubblica amministrazione (e, quindi,
sostanzialmente e funzionalmente un ente pubblico) è proprio la disciplina legislativa che espressamente lo
sottopone al regime dell‘evidenza pubblica.
Con la conseguenza che l‘organismo di diritto pubblico diviene pubblica amministrazione non sempre e
comunque (in maniera fissa e immutevole), ma solo nello svolgimento di quel tratto di attività esplicitamente
sottoposto ad una disciplina di diritto amministrativo. Il che, peraltro, consente di giustificare, anche sul
piano costituzionale, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo che non avrebbe spazio se dovesse
predicarsi la natura privatistica dell‘organismo di diritto pubblico, perché si avrebbe una controversia tra due
soggetti (il partecipante alla gara e la stazione appaltante) entrambi privati.
L’equiparabilità dell’organismo di diritto pubblico alla pubblica amministrazione rappresenta ormai
un risultato interpretativo assodato, eppure non vi è alcuna norma legislativa che espressamente istituisca
(ove si aderisse a un‘interpretazione formalistica dell‘art. 4 legge n. 70 del 1975) l‘organismo di diritto
pubblico come ente pubblico. Al fine di predicare l‘equiparazione si ritiene sufficiente l‘esistenza di una
norma che (in questo caso espressamente) lo rende destinatario di obblighi di diritto amministrativo.
Parimenti, è altrettanto pacifico che la sottoposizione dell’organismo di diritto pubblico alla disciplina
dell’ente pubblico non valga sempre e comunque, qualsiasi attività esso svolta. Si tratta al contrario, di
una equiparazione settoriale, funzionale e dinamica, perché strettamente legata all’affidamento dei
contratti.
Quando svolge altre attività, l‘organismo di diritto pubblico dismette la sua veste pubblicistica e soggiace di
regola al diritto privato.
Esso è, quindi, un ente pubblico dinamico, funzionale e cangiante.
10. Questa connotazione funzionale non caratterizza soltanto l’organismo di diritto pubblico, ma
rappresenta ormai un connotato di molti altri soggetti.
Sempre più di frequente il legislatore sottopone certi soggetti, prescindendo dalla veste formale che essi
possono avere, ad obblighi di natura amministrativa o attribuisce loro poteri di natura amministrativa.
Si pensi, solo per fare qualche esempio: al gestore del servizio pubblico rispetto alla disciplina del diritto di
accesso ai documenti amministrativi (art. 23 legge 7 agosto 1990, n. 241); alle società strumentali o titolari di
funzioni amministrative esternalizzate, sottoposte alle norme procedimento amministrativo ex art. 29 della
legge n. 241 del 1990 (se si tratta di società con totale o prevalente capitale pubblico) o ai soli principi ex art.
1, comma 1, ter legge n. 241 del 1990 negli altri casi; alle società a controllo pubblico rispetto all‘obbligo di
reclutare il personale nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui
all‘art. 35, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (secondo quanto previsto dall‘art. 19
dello schema di decreto legislativo recante il ―Testo unico delle società a partecipazione pubblica‖ che nella
sostanza ribadisce quanto già previsto, a legislazione vigente, dall‘art. 18 del decreto legge 25 giugno 2008,
n. 112, convertito, con modifiche, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133).
Quando un ente viene dalla legge sottoposto a regole di diritto pubblico, quell’ente, limitatamente allo
svolgimento di quell’attività procedimentalizzata, diviene, di regola, “ente pubblico” a prescindere
dalla sua veste formale. Deve essere ribadito che lo diviene non in maniera statica ed immutevole, ma
dinamica e mutevole, perché dismette quella veste quando svolge altre attività non
procedimentalizzate.
11. Si tratta di una conclusione che trova riscontro (e un fondamento normativo generale) nell’art. 7,
comma 2, del Codice del processo amministrativo, il quale, recependo a sua volta una nozione funzionale
e cangiante di pubblica amministrazione, statuisce espressamente che ―per pubbliche amministrazioni, ai fini
del presente codice, si intendono anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto del
principio del procedimento amministrativo‖. Il che implica che, come regola generale, la giurisdizione
amministrativa segue la procedimentalizzazione dell’attività e prescindere dalla veste formale del
soggetto la cui attività è procedimentalizzata.
Sotto tale profilo, può leggersi come un‘eccezione che conferma la regola, senza, però, contraddirla nella sua
valenza di principio, la previsione contenuta nell‘art. 19, comma 4, ultimo periodo, del già menzionato
schema di decreto legislativo recante il ―Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica‖,
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approvato dal Consiglio dei Ministri in attuazione dell‘articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124, che, pur
procedimentalizzando le procedure di reclutamento del personale delle società a controllo pubblico, dispone,
in deroga a quanto previsto dall‘art.7, comma 2, Cod. proc. Amm. che ―Resta ferma la giurisdizione
ordinaria sulla validità dei provvedimenti e delle procedure di reclutamento del personale‖, risolvendo
così, per tabulas, un dibattito giurisprudenziale che aveva visto su posizioni contrapposte, in punto di
giurisdizione, il Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, ordinanza 23 novembre 2010, n. 5379; Sez. VI,
ordinanza 20 dicembre 2010, n. 5808 ) e le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. Cass.Sez. Un. Ord.
22 dicembre 2011, n. 28329).
12. In tutti gli esempi richiamati la qualificazione pubblicistica, seppur dinamica e funzionale, avviene
comunque sulla base di un dato normativo che sottopone il soggetto ad obblighi pubblicistici, in
ossequio, quindi, a quanto previsto dall’art. 4 della legge n. 70 del 1975.
Non sempre, tuttavia, il campo di applicazione soggettivo dei regimi pubblicistici previsti dal legislatore è
puntualmente delineato. In alcuni casi, infatti, il legislatore, anziché indicare analiticamente i soggetti
sottoposti al campo di applicazione della relativa disciplina, fa rinvio ad una nozione generale di pubblica
amministrazione.
È quello che accade nel caso oggetto del presente giudizio. Il campo di applicazione soggettivo degli
obblighi in materia di trasparenza dettati dal decreto legislativo n. 33 del 2013 è, infatti, delineato dall‘art.
11, comma 1, il quale fa rinvio alle pubbliche amministrazioni di cui all‘articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che, a sua volta, stabilisce: ―Per amministrazioni pubbliche si intendono
tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni
educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i
Comuni, le Comunità montane. e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti
autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni,
tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del
Servizio sanitario nazionale l‟Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni
(ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300‖.
La disposizione menziona, nell‘elenco, l‘‖ente pubblico non economico‖, senza però fornire alcun criterio
definitorio ulteriore per la sua esatta individuazione. E poiché nell‘ordinamento manca una nozione generale
fissa e immutevole di ―ente pubblico‖, sorge il problema della sua delimitazione e della possibilità di
includervi anche le c.d. Università libere.
Proprio in questi casi – quando cioè il legislatore menziona l‘ente pubblico come destinatario di una
disciplina pubblicistica, ma senza fornire espliciti criteri per stabilire in che misura possano considerarsi, a
quei fini, enti pubblici anche soggetti che, sebbene formalmente privati, presentano alcuni indici di pubblicità
– sorgono le maggiori incertezze interpretative.
13. Il criterio utilizzato dal T.a.r. per risolvere la questione, a prescindere dalla pur sussistente condivisibilità
nel caso in oggetto del risultato cui concretamente giunge (le Università libere non sono enti pubblici ai fini
del decreto trasparenza) non è, in linea generale, condivisibile.
La premessa del ragionamento del TAR. presenta, infatti, un elemento di criticità.
Valorizzando la previsione di cui all‘art. 4 legge n. 70 del 1975, il T.a.r. presuppone l‘esistenza di uno
scenario che, in realtà, l‘ordinamento non conosce più da tempo (e forse non ha mai conosciuto). Uno
scenario in cui legislatore attribuisce univocamente e formalmente la qualifica di ente pubblico ad una
cerchia delimitata di soggetti, i quali, in virtù della qualificazione pubblicistica formalmente ricevuta,
soggiacciono in maniera fissa ed immutevole, ad ogni tipo di disciplina dedicata all‘ente pubblico.
È uno scenario che non corrisponde all’attuale assetto ordinamentale, caratterizzato da una crescente
complessità, in cui, anche per rispondere alla corrispondente complessità dei bisogni da soddisfare, si
fa spesso ricorso alla c.d. “ibridazione” delle forme giuridiche e si attenuano i confini tra diritto
pubblico e diritto privato.
Forme giuridiche privatistiche vengono così utilizzate per perseguire interessi pubblicistici e,
all’opposto, figure soggettive pubblicistiche vengono sempre spesso sottoposte a regimi di diritto
privato.
Significativa conferma di questa fungibilità delle forme giuridiche è fornita proprio dall’art. 1 della
legge n. 241 del 1990. L‘articolo che apre la disciplina generale del procedimento amministrativo prevede,
infatti, al comma 1-bis, la c.d. amministrazione secondo strumenti di diritto privato (―La pubblica
amministrazione, nell‟adozione degli atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme del diritto
privato, salvo che la legge disponga diversamente‖) e al comma 1-ter, quasi simmetricamente, l‘attività
amministrativa procedimentalizzata svolta da soggetti privati (―I soggetti preposti all‟esercizio di attività
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amministrative assicurano il rispetto dei criteri e dei principi di cui al comma 1‖).
14. In questo contesto, un approccio meramente formalistico non pare adeguato all‘evoluzione normativa e
giurisprudenziale che ha interessato la nozione di pubblica amministrazione.
Risulta, al contrario, preferibile un criterio che, valorizzando opzioni ermeneutiche che hanno trovato
spesso riscontro nella giurisprudenza comunitaria, nell’ambito della quale la nozione di “pubblica
amministrazione” (spesso invocata dai trattati anche per delimitare il campo di operatività delle
libertà fondamentali) si allarga e si restringe in funzione dalla ratio dell’istituto e dell’esigenza
sostanziale da soddisfare, privilegiando più la sostanza che la forma e risolvendo i casi incerti dando
rilievo centrale ai criteri teleologico e sistematico.
Senza che in ciò debba rilevarsi alcuna violazione in questo del principio di legalità sancito dall‘ancora
vigente art. 4 della legge n. 70 del 1975, perché tra i criteri di interpretazione della legge l‘art. 12 delle
preleggi richiamano espressamente, specie per sopperire a carenze del dato testuale/letterale, proprio il
criterio teleologico (―l‟intenzione del legislatore‖) e il sistema normativo nel suo complesso (―secondo la
connessione di esse‖).
(omissis)
2. Le nozioni europee di Amministrazione. L’approccio “sostanziale” e funzionale”. Cons. St., A.P., 25 giugno 2018, n. 9, e i direttori dei musei, non aventi la cittadinanza italiana, ma quella di altro Stato dell’Unione europea.
Come evidenziato, l‘approccio sostanziale e funzionale è tipico della nozione europea di Amministrazione. È
quindi importante passare in rassegna ciascuna delle nozioni europee e i connessi problemi che le stesse
hanno posto e continuano a porre.
Prima ancora, con l‘intento di evidenziare l‘approccio funzionale che il diritto europeo segue
nell‘elaborazione della nozione di pubblica Amministrazione, è utile il raffronto tra la definizione
giurisprudenziale di Pubblica amministrazione ormai costantemente fornita dai giudici europei al fine di
stabilire l‘ambito di operatività della deroga al principio della libera circolazione dei lavoratori all‘interno
della Comunità (art. 45 del Trattato sul Funzionamento dell‘Unione europea), prevista per gli impieghi nella
pubblica amministrazione dall‘art. 45, § 4, del TFUE, e quella elaborata, sempre in sede giurisprudenziale,
allo scopo di individuare gli apparati degli ordinamenti dei singoli Stati membri nei cui confronti devono
considerarsi operanti gli obblighi e i divieti previsti dalle stesse norme comunitarie, sì da poter imputare agli
Stati di appartenenza le relative violazioni.
Quanto al primo dei due suindicati settori, è noto che principio fondamentale della costruzione comunitaria è
quello della libertà di circolazione dei lavoratori, in forza del quale il cittadino di uno Stato membro può
accedere alle opportunità lavorative offerte in un altro Stato della Comunità alle stesse condizioni assicurate
al cittadino dello Stato ospitante, sia per quel che riguarda l‘accesso al lavoro, sia per quel che attiene alle
condizioni di impiego e al trattamento economico.
Sennonché, l‘art. 45 del Trattato, dopo aver enunciato il suddetto principio, dispone al paragrafo 4 che la
sua operatività incontra un limite allorché si tratti di impieghi nella Pubblica amministrazione: in
giurisprudenza si è avvertita, quindi, la necessità di ricostruire la nozione di Pubblica amministrazione in
sede di delimitazione dell‘esatto ambito applicativo dell‘indicato limite frapposto al pieno dispiegarsi del
principio di libertà di circolazione dei lavoratori in ambito comunitario.
La Corte di Giustizia, muovendo dalla premessa per cui, stante il carattere fondamentale dei principi di libera
circolazione e parità di trattamento dei lavoratori, non può riconoscersi alle deroghe di cui al citato paragrafo
4 dell‘art. 39 ―una portata più ampia di quella connessa al perseguimento del loro specifico scopo‖, onde
evitare la sottrazione alla libera circolazione di un numero rilevante di posti, ha formulato una definizione
particolarmente restrittiva di Pubblica amministrazione: in primo luogo, infatti, ha affermato che non
sono sussumibili in siffatta nozione gli enti preposti alla gestione di attività che, pur avendo connotazioni
pubblicistiche, rivestono carattere imprenditoriale, quali per esempio i servizi di trasporto o di distribuzione
di gas o energia.
In ogni caso il giudice europeo, optando per un‘accezione restrittiva di Pubblica amministrazione, ha
sostenuto che la stessa debba essere elaborata ricorrendo ai criteri della ―partecipazione diretta o indiretta
all‟esercizio dei pubblici poteri‖ o della ―tutela degli interessi generali dello Stato e degli enti pubblici‖: è
necessario, quindi, perché operi la deroga al principio della libertà di circolazione dei lavoratori, che si tratti
di impieghi implicanti la titolarità o l‘esercizio di compiti di responsabilità da parte del dipendente ovvero la
gestione di interessi squisitamente pubblicistici.
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La richiamata posizione della Corte di Giustizia è stata di recente ricostruita e valorizzata da Cons. St., A.P.,
25 giugno 2018, n. 9, intervenuta con riguardo alla questione relativa alla legittimità della scelta di
ammettere alla procedura di selezione dei direttori dei musei candidati non aventi la cittadinanza
italiana, ma quella di altro Stato dell’Unione europea.
Nel verificare la portata applicativa dell‘eccezione di nazionalità di cui al richiamato paragrafo 4
dell‘articolo 45 del TFUE, la Plenaria -richiamando gli orientamenti espressi dalla Corte di Giustizia- ritiene
che, trattandosi di eccezione, deve seguirsi un atteggiamento interpretativo di estremo rigore, la c.d. ‗riserva
di nazionalità‘ dovendo essere limitata a ―quanto strettamente necessario‖ a salvaguardare gli interessi
sottesi all‘adozione di tale misura, venendo in considerazione per i soli impieghi nell‘amministrazione
pubblica ―che hanno un rapporto con attività specifiche della pubblica amministrazione in quanto incaricata
dell‟esercizio dei pubblici poteri e responsabile della tutela degli interessi generali dello Stato (…)‖, nonché
connotate da ―una partecipazione diretta e specifica all‟esercizio di pubblici poteri‖; la stessa Corte di
Giustizia, del resto, ha escluso che in sede di perimetrazione dell‘ambito applicativo della riserva di
nazionalità possa trovare applicazione il c.d. criterio del contagio secondo cui è sufficiente che la figura di
che trattasi eserciti anche un solo potere di carattere pubblicistico nel complesso dei compiti attribuiti,
optando per il ben più stringente criterio della prevalenza, in forza del quale è invece necessario che i poteri
di matrice pubblicistica, autoritativa e coercitiva assumano valenza prevalente in relazione al complesso dei
compiti attribuiti.
2.1. Organismo di diritto pubblico: il rilievo applicativo della nozione.
All‘approccio sostanziale cui si è fatto cenno nei paragrafi precedente non sono estranee le nozioni di
organismo di diritto pubblico e di impresa pubblica rilevanti in sede di delimitazione dell‘ambito soggettivo
di efficacia delle disposizioni dettate dal Codice dei contratti pubblici rispettivamente per gli appalti ordinari
e per quelli c.d. speciali.
Riproducendo il contenuto delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE del 26 febbraio 2014
(confermative del precedente impianto normativo di cui alle direttive nn. 17 e 18/2004), l‘art. 3, comma 1,
lett. d) del d.lgs. n. 50 del 2016 definisce l‘organismo di diritto pubblico come qualsiasi soggetto, anche in
forma societaria:
1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non
industriale o commerciale;
2) dotato di personalità giuridica;
3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri
organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui
organo d‘amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è
designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.
Secondo il costante insegnamento del giudice europeo, tali elementi devono sussistere necessariamente in
modo cumulativo, sicché in assenza di una sola di tali tre condizioni, un organismo non può essere
considerato di diritto pubblico, e dunque amministrazione aggiudicatrice.
Prima di richiamare taluni profili più di altri al centro dell‘attenzione giurisprudenziale di questi anni, giova
indicare le implicazioni applicative della qualificazione di un determinato ente in termini di organismo di
diritto pubblico.
Su un primo e principale versante, essa assume rilievo in sede di delimitazione dell‘ambito di operatività
rationae personae della disciplina eurounitaria (e nazionale di recepimento) delle procedure di
aggiudicazione degli appalti: la qualificazione del singolo ente in termini di organismo di diritto pubblico
comporta quindi, in primo luogo, il doveroso rispetto delle direttive europee in tema di appalti.
A tale prima conseguenza di tipo sostanziale è strettamente connessa quella, di diritto interno, a
connotazione squisitamente processuale.
Dalla qualificazione della stazione appaltante in termini di organismo di diritto pubblico, come tale tenuta a
osservare la disciplina unionale per l‘affidamento dell‘appalto, deriva infatti il radicarsi della giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo quanto al contenzioso non afferente alla fase dello svolgersi del
rapporto contrattuale.
Proseguendo in questa sommaria indicazione delle implicazioni operative derivanti dalla verifica
dell‘effettiva estensione della nozione in esame, deve aversi riguardo al settore dell‘accesso agli atti di gara.
A tenore dell‘art. 23, l. n. 241 del 1990, infatti, sono tenuti ad assicurare l‘ostensione degli atti solo talune
tipologie di soggetti, tra cui innanzitutto le Pubbliche amministrazioni: se si ritiene, come si dirà, che a certe
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condizioni la nozione di Pubblica amministrazione debba essere perimetrata sulla base del diritto europeo e
dalle sue accezioni di amministrazione pubblica, può concludersi nel senso che anche gli organismi di diritto
pubblico, ancorché formalmente privati per il diritto nazionale, debbano soggiacere alla normativa in tema di
accesso.
A tale conclusione, dapprima raggiunta in sede giurisprudenziale, è pervenuto il Legislatore nel modificare la
l. n. 241 del 1990.
Il riscritto art. 22, infatti, nel delimitare l‘ambito di operatività della disciplina in tema di accesso, fornisce la
nozione di ―Pubblica amministrazione‖ cui riconduce «tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto
privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o
comunitario»: se ne inferisce, allora, che anche gli organismi di diritto pubblico, limitatamente all‘attività
che espletano in tale qualità, in specie quella di stazioni appaltanti, dovranno soggiacere alla disciplina in
tema di ostensione (Cons. St., A.P., n. 13 del 2016).
La penetrazione nell‘ordinamento interno della nozione di organismo di diritto pubblico potrebbe sortire
effetti anche al di fuori del diritto amministrativo, sostanziale e processuale.
Il problema è, in particolare, quello relativo all‘assoggettabilità allo statuto penale della Pubblica
amministrazione dei soggetti operanti in strutture che, pur avendo veste societaria e quindi tendenzialmente
privatistica alla stregua dei tradizionali (ma non certo indiscussi) criteri di identificazione di diritto interno,
siano tuttavia qualificabili come organismi di diritto pubblico, come tali tenuti ad espletare attività
procedimentalizzata e oggettivamente pubblicistica in sede di individuazione dei soggetti cui affidare
l‘esecuzione di appalti.
Si consideri, al riguardo, che, ai sensi dell‘art. 357 c.p. sono pubblici ufficiali, come tali perseguibili ai sensi
degli artt. 317 ss. c.p., i soggetti abilitati a formare o manifestare la volontà della Pubblica amministrazione.
2.1.1. Le esigenze di interesse generale a carattere non industriale o commerciale: il rilievo da assegnare alla natura concorrenziale del contesto in cui opera l’ente. Cass. Sez. un., 28 marzo 2019, n. 8673 e T.A.R. Lazio, 26 aprile 2019, n. 5327.
Il primo dei tre suindicati requisiti costitutivi della nozione di Odp è quello che ha posto maggiori problemi
interpretativi.
Con riferimento a tale requisito, la Corte di Giustizia ha specificato come i bisogni di carattere non
industriale o commerciale siano una species dei bisogni di carattere generale: per tale ragione, l‘interprete è
chiamato preliminarmente ad accertare che l‘attività dell‘ente sia rivolta a soddisfare bisogni di carattere
generale e, poi, a verificare se questi ultimi abbiano carattere non industriale o commerciale.
Secondo la Corte di Giustizia, la natura non industriale o commerciale dei bisogni istituzionalmente
soddisfatti può dirsi sussistente allorché si tratti di bisogni che da un lato sono soddisfatti in modo diverso
dall‘offerta di servizi e beni sul mercato e, dall‘altro, al cui soddisfacimento lo Stato preferisce provvedere
direttamente ovvero con modalità organizzative tali da consentirgli di mantenere un‘influenza dominante.
L‘esame oggettivo suggerito dalla Corte riguarda il contesto e le modalità specifiche in cui si svolge
l’attività dell’ente.
In particolare, il fatto che il soggetto operi in un contesto concorrenziale non è considerato di per sé
sufficiente, ma non è neppure ritenuto un fattore irrilevante, dato che l‘esistenza di una concorrenza può
costituire un indizio a sostegno del fatto che un bisogno di interesse generale ha carattere industriale o
commerciale.
Secondo i giudici comunitari occorre prendere in considerazione diversi fattori e in particolare se il soggetto:
a) opera in normali condizioni di mercato,
b) persegue scopi di lucro e
c) subisce le perdite commerciali connesse all‘esercizio della sua attività.
In queste ultime ipotesi, si potrebbe invero difficilmente sostenere che i bisogni generali perseguiti abbiano
carattere non industriale o commerciale. Da questo approccio fattuale consegue che non vi sarebbe alcuna
ragione per applicare in questo ambito le direttive europee in materia di appalti, proprio in considerazione del
fatto che un soggetto che persegue uno scopo di lucro e che assume i rischi connessi alla propria attività non
si impegnerà in un procedimento di aggiudicazione di un appalto a condizioni che non siano
economicamente giustificate, non potendo quindi contravvenire ai principi di trasparenza e concorrenzialità
che costituiscono il fondamento stesso della normativa comunitaria in materia di appalti pubblici.
Come è stato di recente ribadito, quindi, per definire la natura di organismo di diritto pubblico, è necessario,
per quel che in questa sede si esamina, che la società si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle
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economiche, non fondando la propria attività principale su criteri di rendimento, efficacia e redditività e non
assumendo su di sè i rischi collegati allo svolgimento di tale attività, destinati, viceversa a ricadere
sull‘amministrazione controllante (Cass. Sez. un., 28 marzo 2019, n. 8673).
Un chiarimento merita il tema dei rapporti tra regime concorrenziale cui l’attività è assoggettata e
riconoscibilità dell’elemento finalistico che si esamina.
Come sopra cennato, la giurisprudenza europea assegna rilievo indiziario, ma non dirimente nel senso di
escludere la qualificabilità in termini di organismo di diritto pubblico, alla circostanza che il soggetto operi
in un contesto concorrenziale: se certo non si tratta di un fattore irrilevante, dato che l‘esistenza di una
concorrenza può costituire un indizio a sostegno del fatto che un bisogno di interesse generale ha carattere
industriale o commerciale, non può tuttavia escludersi che sia qualificabile come organismo un soggetto che
pure operi in un mercato aperto e concorrenziale.
Come di recente ribadito, invero, si tratta esclusivamente di un indizio presuntivo, superabile con prova
contraria, e non di un elemento dirimente, la verifica dovendo essere condotta .alla stregua di un approccio
non già formalistico ma funzionale, che tenga conto delle concrete modalità di azione della società (Cass.
Sez. un., 28 marzo 2019, n. 8673. In termini, T.A.R. Lazio, 26 aprile 2019, n. 5327, che, con riferimento a
Poste S.P.A., ha optato per la natura di organismo di diritto pubblico valorizzando, tra l‘altro, che la stessa è
tuttora concessionaria del cosiddetto servizio postale universale, implicante la fornitura obbligatoria – con
correlativi esborsi statali a parziale copertura degli oneri – di servizi essenziali di consegna di lettere e
pacchi, ad un prezzo controllato, a tutti i Comuni italiani, come dimostra il preannuncio di una procedura di
infrazione da parte della Commissione Europea, in presenza della decisione di non recapitare più la posta a
4.000 Comuni, in quanto servizio ritenuto non remunerativo. Di diverso avviso, Cass. Sez. un., 1 marzo
2018, n. 4899, che ha invece valorizzato come la società Poste Italiane, benchè incaricata dell‘espletamento
del ―servizio postale universale‖, sia attualmente titolare di attività anche di tipo finanziario, o comunque
non attinenti al servizio di consegna della corrispondenza: servizio, anche quest‘ultimo, ormai svolto in
regime di concorrenza.
2.1.1.1. Il caso Aci Global: Cass. Sez. un., 28 marzo 2019, n. 8673
Si riportano i passaggi rilevanti della citata pronuncia.
(omissis)
Funzionale alla motivazione del presente giudizio è una premessa di ordine sistematico e generale.
La categoria dell‘organismo di diritto pubblico è stata elaborata nel diritto Eurounitario al fine di individuare
le c.d. amministrazioni aggiudicatrici, ossia i soggetti tenuti al rispetto delle procedure di evidenza pubblica
imposte dalle stesse norme dell‘Unione Europea. Tale categoria, applicabile solo nell‘ambito dei contratti
pubblici, costituisce il precipitato della c.d. nozione sostanzialistica di Pubblica Amministrazione, avallata
dalla legislazione Europea, ribadita dalla giurisprudenza Eurounitaria e interna (Cons. di Stato Ad. Plenaria
13/2016) e preordinata – per il mezzo della valorizzazione del ―fine‖ perseguito da un determinato soggetto
rispetto alla sua qualificazione giuridica – ad evitare che la privatizzazione puramente formale di enti
pubblici possa determinare una sostanziale elusione delle normative Europee.
La sedes materiae è da rinvenirsi nelle direttive n. 17 e 18 del 2004, recepite dal previgente D.Lgs. n. 163 del
2006, (c.d. Codice dei contratti pubblici), nel quale, all‘art. 3, comma 26, era contenuta la definizione di
organismo di diritto pubblico, attualmente riprodotta nel D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 3, lett. d). Secondo
quest‘ultima norma si definisce organismo di diritto pubblico, ―qualsiasi organismo, anche in forma
societaria, istituito per soddisfare specificamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non
industriale o commerciale, dotato di personalità giuridica e la cui attività sia finanziata in modo
maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico,
oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo
d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è
designata dallo stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico‖.
I suddetti requisiti devono intendersi come cumulativi (secondo quanto stabilito dalla Corte di Giustizia
15 gennaio 1998, in C- 44/96, caso ―Mannesman‖) e di conseguenza la mancanza anche di uno solo di essi
porta ad escludere lo status di organismo di diritto pubblico e alla disapplicazione della normativa
comunitaria sugli appalti pubblici. L’interpretazione di tali requisiti deve essere svolta adottando un
approccio di tipo funzionale “che consenta di perseguire gli obiettivi di non discriminazione e tutela
della concorrenza che la disciplina degli appalti pubblici si pone di perseverare‖ (Corte di Giustizia 10
novembre 1998, in C-360/96, caso Arhnhem, e 15 gennaio 1998, in C-44/96, infine 5 ottobre 2017, in C-
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567/15).
Al riguardo non pongono particolari problemi di ordine interpretativo il requisito della personalità giuridica
– che deve essere inteso come sinonimo, in senso ampio, di soggettività giuridica, essendo riconducibili nel
suo alveo anche gli enti di fatto – e il requisito dell’influenza pubblica dominante – che è integrato dal
verificarsi di almeno uno dei tre fattori (partecipazione, finanziamento o controllo pubblico) previsti dalla
norma -, mentre, il requisito c.d. “teleologico‖ ha richiesto molteplici interventi da parte della
giurisprudenza nazionale ed, in particolare, Eurounitaria volti a definirne delle linee guida
all‘interpretazione.
Innanzitutto, in merito all‘espressione ―specificatamente‖, si è detto (Corte di Giustizia 15 gennaio 1998, in
C-44/96) che essa indica la volontà del legislatore di vincolare all‘applicazione delle norme sugli appalti
pubblici solo i soggetti istituiti allo scopo specifico di soddisfare interessi di carattere generale aventi
carattere non industriale e commerciale e la cui attività risponda a tali esigenze. Peraltro non risulta
necessario che l’organismo eserciti questa attività di interesse generale in modo esclusivo, potendo il
medesimo soggetto svolgere altre attività, addirittura con carattere prevalente. In secondo luogo, in
merito al significato di ―bisogni generali‖ occorre precisare che questi costituiscono una categoria più ampia
all‘interno della quale deve essere rinvenuta la sotto-categoria dei bisogni ―non industriali e commerciali‖, i
quali devono essere individuati in base al contesto di riferimento e delle finalità perseguite dalle direttive in
tema di appalti (si veda Corte di Giustizia 27 febbraio 2003, in C373/2000).
In merito alla portata applicativa di quest‘ultimo requisito, il profilo interpretativo di maggiore rilevanza è
costituito dalla possibilità di definire organismo pubblico anche quello che opera in un regime
concorrenziale.
A seguito di molteplici oscillazioni da parte della giurisprudenza Eurounitaria (si ricordino i due leading
cases Corte di Giustizia 15 gennaio 1998 C-44/96, ―Mannesman‖ e Corte di Giustizia 10 novembre 1998, in
C-360/96, ―BFI Holding‖, orientati nel senso di considerare l‘agire in concorrenza come un semplice
elemento indiziario, superabile; Corte di Giustizia 10 maggio 2001, in C223/99, ―Agorà‖ c. Ente Autonomo
Fiera internazionale di Milano, orientata nel senso di escludere la qualifica di organismo di diritto pubblico
nel caso esso agisse in concorrenza e con metodo economico), deve essere condiviso l’orientamento –
recepito anche dal Consiglio di Stato nella pronuncia oggetto del presente ricorso che non considera
determinante il mero fatto che la società operi in un mercato concorrenziale ai fini dell’esclusione della
sua qualifica di organismo di diritto pubblico. Si tratta infatti esclusivamente di un indizio presuntivo,
superabile con prova contraria, e non di un elemento dirimente.
È verosimile, in un mercato i cui connotati sono sempre più complessi, che in alcuni casi i bisogni di ordine
generale possano presentare una notevole rilevanza economica inducendo anche operatori economici privati
a collocarsi nel settore (e senza che ciò incida sulla possibilità di qualificare l‘organismo della cui natura si
controverte come organismo di diritto pubblico). Si giunge, pertanto, a concludere per la non
incompatibilità tra lo svolgimento di attività di impresa e l’operatività in settori contrassegnati da
un’economia di mercato, da un lato, e la qualificabilità dell’ente come organismo di diritto pubblico,
dall’altro. La nozione di organismo di diritto pubblico, di conseguenza, in quanto funzionale alla
liberalizzazione dei mercati e alla trasparenza, deve essere estensivamente intesa (sul punto si veda Corte di
Giustizia, 27 febbraio 2003, in C-373/00) e nella valutazione degli indici richiesti dalla norma deve essere
privilegiato ad un approccio formalistico – un approccio funzionale che tenga conto delle concrete modalità
di azione della società.
In ragione di ciò, accanto alle esigenze di natura strettamente classificatoria, ve ne sono di ulteriori che si
pongono nella direzione del perseguimento del c.d. ―effetto utile‖ ai sensi delle direttive comunitarie. Nella
specie, come sostiene la Corte di Giustizia nella già citata sentenza C-567/15 par. 31, ―alla luce degli
obiettivi delle direttive in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici, volte a escludere sia il rischio che
gli offerenti o candidati nazionali siano preferiti nell‘attribuzione di appalti da parte delle amministrazioni
aggiudicatrici, sia la possibilità che un ente finanziato o controllato dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali
o da altri organismi di diritto pubblico, si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche, (…)
la nozione di organismo pubblico deve essere interpretata in modo funzionale ed ampia‖ (par. 20 Corte
Giustizia 5 ottobre 2017, in C-567/15).
12.- Non può essere revocato in dubbio che le considerazioni sopra svolte si applicano, non solo nel caso di
organismo di diritto pubblico che opera in un sistema concorrenziale, ma anche alla società che svolga altre
attività di lucro oltre e quella di interesse generale, nonchè al caso in cui la stessa non sia interamente
detenuta da un altro soggetto qualificabile come amministrazione aggiudicatrice ai sensi del diritto
comunitario ma abbia delle partecipazioni private.
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La possibilità che una società che si qualifichi come organismo di diritto pubblico svolga attività
ulteriori rispetto a quella oggetto di interesse generale è infatti pacificamente ammessa dalla
giurisprudenza Eurounitaria (Corte di Giustizia 15 gennaio 1998, in C44/96), la quale è orientata nel senso
di estendere la disciplina dei contratti pubblici anche agli appalti posti in essere dall‘organismo nell‘ambito
di attività che non rispondano ad esigenze di ordine generale. Si tratta della applicazione della c.d. teoria del
contagio, nata in seno alla sentenza Mannesman, volta ad evitare la formazione di zone franche all‘interno
delle quali si realizzi una indebita elusione della normativa comunitaria, nonchè a perseguire la certezza del
diritto, in forza della quale non è possibile scindere i campi di azione di un medesimo ente. È opportuno
precisare, peraltro, che sotto questo particolare profilo gli organismi di diritto pubblico si distinguono dalle
c.d. imprese pubbliche regolate dalla direttiva 2004/17, recepita dal D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 3, lett. d), che
operano nei c.d. settori speciali (D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 114) alle quali non si applica la teoria del
contagio alla luce della lettura incrociata dell‘art. 20, comma 1, Dir. 2004/17 e art. 12 Dir. 2004/18.
La giurisprudenza di questa Corte – in due controversie riguardanti Poste Italiane – ha stabilito che
non sono soggetti alla disciplina dell’evidenza pubblica gli altri servizi diversi da quelli riguardanti i
servizi postali (D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 120) nella misura in cui siano stati liberalizzati (si veda Cass.
8511/2012, con riferimento ad un appalto per servizio c.d. “postamat”) o che non rilevino direttamente
ai fini dell’espletamento del servizio pubblico (Cass. 4988/2018 in relazione ad un appalto riguardante
il servizio sostitutivo di mensa). Tali imprese non solo svolgono prevalentemente attività che si inseriscono
in un contesto di mercato concorrenziale ma hanno anche una finalità economica e industriale. In ragione di
ciò, non risulterebbe funzionale sottoporre tali attività alla disciplina fissata per i contratti pubblici nè rileva
che l‘impresa pubblica si sia autonomamente vincolata a tali regole – dal momento che esse operano già in
condizioni normali di mercato sopportando i rischi ad esso connessi.
13.- Da ultimo, non può guidare la valutazione il fatto che la società non sia totalmente detenuta
dall‘amministrazione controllante. Gli organismi di diritto pubblico non è necessario che sottostiano alle
medesime regole previste per la società in house in tema di controllo analogo, stante la diversa natura dei due
istituti.
14.- In ragione di quanto finora affermato, per definire la natura di organismo di diritto pubblico di
un soggetto, alla luce dei criteri enucleati al D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 3, lett. d), occorrerà avere
riguardo, in primo luogo, al tipo di attività svolta dalla società e all’accertamento che tale attività sia
rivolta alla realizzazione di un interesse generale, ovvero che sia necessaria affinchè la pubblica
amministrazione possa soddisfare le esigenze di interesse generale alle quali è chiamata e, in secondo
luogo, che tale società si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche (si veda, la già
citata Corte di Giustizia 5 ottobre 2017, in C-567/15; nonchè, con riferimento al criterio di
economicità, Cass. 8225/2010). In particolare, in merito a quest’ultimo profilo, è necessario, in primo
luogo, che la società non fondi la propria attività principale su criteri di rendimento, efficacia e
redditività e che non assuma su di sè i rischi collegati allo svolgimento di tale attività i quali devono
ricadere sull’amministrazione controllante (Cass. 8225/2010). In secondo luogo, il servizio d’interesse
generale che ne costituisce l’oggetto non può essere rifiutato per ragioni di convenienza economica.
15.- In conclusione ai fini della qualificazione di una società come organismo di diritto pubblico, per stabilire
se essa agisca per un fine di interesse generale, occorrerà procedere ad una valutazione in concreto degli
elementi di fatto e di diritto che connotano l‘agire della stessa.
16.- Per quanto riguarda la qualificazione di Aci Global come organismo di diritto pubblico, non sussistono
dubbi in ordine alla sussistenza dei requisiti riguardanti la titolarità della personalità giuridica e il
finanziamento e controllo maggioritario da parte di ACI, ente pubblico non economico. A questo proposito
non risulta dirimente il richiamo operato dalla ricorrente alla possibilità che la partecipazione di ACI, allo
stato dei fatti totalitaria, potrebbe essere ceduta in futuro, in virtù di previsione statutaria, posto che al
giudice spetta esaminare la situazione di tale società al momento dell‘aggiudicazione dell‘appalto di cui
trattasi. (Corte di Giustizia 5 ottobre 2017, in C-567/15 p. 47 in fine). Peraltro la qualità soggettiva della
controllante (ente pubblico non economico) che è titolare della predetta partecipazione totalitaria non ha
carattere casuale ma è da porre in connessione con la finalità d‘interesse pubblico perseguite dalla società
controllata (Aci Global). Tale rilievo conduce all‘esame del requisito teleologico. Al riguardo, in primo
luogo, si deve affermare che Aci Global è stata istituita al precipuo scopo di svolgere l‘attività di pubblico
interesse consistente nel soccorso e assistenza stradale, a cui il tracciamento elettronico dei veicoli, oggetto
dell‘appalto in esame, risulta strettamente funzionale. Tale servizio ha natura essenziale rispetto alla
realizzazione della funzione pubblica di carattere generale a cui è chiamata istituzionalmente ACI (ente
controllante) che nel proprio statuto prevede in modo espresso lo scopo di promuovere il miglioramento della
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sicurezza stradale e l‘attuazione di forme di assistenza tecnica e stradale. In secondo luogo, non rileva che
tale attività sia svolta unitamente ad altre attività (riguardanti, come emerge dall‘art. 2 dello statuto
societario, la ―pulizia e lavaggio delle aree interessate da incidenti o altri eventi‖; ―il commercio all‘ingrosso
di mezzi di soccorso, ricambi e accessori per veicoli a motore‖) aperte al mercato concorrenziale in quanto
l‘esistenza di una concorrenza articolata non consente di per sè di concludere per la mancanza di un interesse
generale (Corte di Giustizia 5 ottobre 2017, in C-567/15 p. 40). Non costituisce elemento dirimente neanche
il fatto che le ulteriori attività svolte possano fruttare degli utili in quanto questi sono direttamente assegnati
all‘ente pubblico, unico socio, in tal modo contribuendo a realizzare l‘interesse generale di una data
collettività. L‘Aci Global, peraltro, non opera in condizioni normali di mercato o affidandosi a criteri
economici. Essa, istituita specificamente per adempiere alla mission di ACI di assistenza qualificata ai
veicoli, non può rifiutare lo svolgimento del servizio che le venga richiesto da parte di ACI – nello specifico
da parte dei clienti iscritti – anche nel caso in cui lo stesso si riveli svolto in perdita o in condizioni
diseconomiche. Sotto questo profilo non persegue alcun fine di redditività o di profitto. Inoltre, come
evidenziato nel controricorso a pag. 33, Aci Global per l‘attività di soccorso stradale gode di una
significativa porzione di clientela costituita dai soci ACI e non incassa direttamente il compenso per il
servizio erogato, essendo remunerata direttamente dall‘ente pubblico controllante, non operando, pertanto,
neanche sotto questo profilo in condizione di simmetria concorrenziale.
17.- Tutti gli elementi fattuali rilevati conducono, in conclusione, a ritenere che per l‘attività oggetto
dell‘appalto pubblico dedotto in giudizio Aci Global operi come organismo di diritto pubblico, in quanto del
tutto coincidente con l‘interesse generale per cui la società è sorta. Tale univoco riscontro risulta assorbente
rispetto alle considerazioni riguardante il regime del ripianamento delle perdite e quello riguardante
l‘erogabilità di finanziamenti pubblici a sostegno del riequilibrio della situazione economico patrimoniale
della società. Tuttavia, deve rilevarsi che la stessa parte ricorrente non esclude la possibilità della società di
ricorrere a finanziamenti pubblici, i quali dalla documentazione in atti (che questa Corte può esaminare in
relazione alla natura del giudizio) risultano, peraltro, essere stati erogati anche in funzione di ripianamento
delle perdite.
2.1.2. Organismo di diritto pubblico in parte qua. La teoria del contagio. Rinvio per la non applicazione della teoria del contagio alle imprese pubbliche.
Non è infrequente il caso di enti che, muniti di personalità giuridica e sottoposti all‘influenza pubblica
dominante, svolgono molteplici attività, alcune delle quali soltanto volte al soddisfacimento di bisogni
generali a carattere non industriale o commerciale: si tratta di verificare se la disciplina pubblicistica debba
essere osservata anche quando la prestazione da affidare sia strumentale all‘espletamento di una tipologia di
attività non rivolta al soddisfacimento dei bisogni suddetti.
È il problema relativo all‘ammissibilità di un ―organismo di diritto pubblico in parte qua‖.
In senso contrario si è al riguardo espressa la Corte di Giustizia nel noto caso Mannesmann, causa C-44/96,
che ha aderito alla c.d. teoria del contagio.
Ad avviso della Corte, infatti, al fine della qualificazione di un ente come organismo di diritto pubblico non
è necessario che l’ente abbia in via esclusiva o prevalente lo scopo di soddisfare bisogni di interesse
generale non aventi carattere commerciale o industriale, ben potendo perseguire, oltre che tale scopo,
anche (se del caso in via prevalente) quello di soddisfare interessi con carattere commerciale o
industriale; secondo la Corte, infatti, ―lo status di organismo di diritto pubblico non dipende
dall‟importanza relativa, nell‟attività dell‟organismo medesimo, del soddisfacimento di bisogni di interesse
generale aventi carattere non industriale o commerciale‖.
In particolare, osserva la Corte che la condizione posta dalla direttiva, ―secondo cui l‟organismo dev‟essere
stato istituito per soddisfare „specificatamente‟ bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale
o commerciale non implica che esso sia incaricato unicamente di soddisfare bisogni del genere‖, e dunque
l‘ente è da qualificare organismo di diritto pubblico anche se ―la soddisfazione dei bisogni di interesse
generale costituisce solo una parte relativamente poco rilevante delle attività effettivamente svolte‖
dall‘Ente.
Di recente, in termini, Cass. Sez. un., 28 marzo 2019, n. 8673, secondo cui va riconosciuta la possibilità
che una società che si qualifichi come organismo di diritto pubblico svolga attività ulteriori rispetto a quella
oggetto di interesse generale, con conseguente estensione della disciplina dei contratti pubblici anche agli
appalti posti in essere dall‘organismo nell‘ambito di attività che non rispondano ad esigenze di ordine
generale. La teoria del contagio -chiariscono le Sezioni unite- è volta ad evitare la formazione di zone
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franche all‘interno delle quali si realizzi una indebita elusione della normativa comunitaria, nonchè a
perseguire la certezza del diritto, in forza della quale non è possibile scindere i campi di azione di un
medesimo ente.
Si rinvia ai successivi paragrafi per la non applicabilità della teoria del contagio alle imprese pubbliche.
2.2. Impresa pubblica. Nozione e differenze rispetto all’organismo di diritto pubblico.
Altra nozione europea di peculiare rilevanza applicativa nel settore dei contratti pubblici è quella di impresa
pubblica, tenuta a applicare la disciplina dell‘evidenza pubblica limitatamente agli appalti afferenti ai settori
speciali (acqua, trasporti, energia, telecomunicazioni, cui la nuova direttiva ha aggiunto le poste).
Segnatamente, con riferimento ai settori speciali, riproducendo il contenuto dell‘abrogato art. 217, d.lgs. n.
163 del 2006, l‘art. 114, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016, dispone che ―le disposizioni di cui al presente Capo
si applicano, altresì, agli enti aggiudicatori che sono amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche
che svolgono una delle attività previste dagli articoli da 115 a 121; si applicano altresì ai tutti i soggetti che
pur non essendo amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche, annoverano tra le loro attività una o
più attività tra quelle previste dagli articoli da 115 a 121 ed operano in virtù di diritti speciali o esclusivi‖.
Accanto alle ―amministrazioni aggiudicatrici‖ di cui all‘art. 3, comma 1, lett. a), del Codice dei contratti
pubblici, nel novero dei soggetti tenuti all‘applicazione della disciplina a evidenza pubblica nei settori
speciali rientrano, quindi, anche le cosiddette imprese pubbliche, nonché tutti i soggetti che, pur non essendo
amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche, operino nel campo dei settori speciali in virtù di diritti
speciali o esclusivi.
Più nel dettaglio, secondo quanto previsto dall‘art. 3, comma 1, lett. t), d.lgs. n. 50 del 2016, con il termine
―imprese pubbliche‖ debbono intendersi ―le imprese sulle quali le amministrazioni aggiudicatrici possono
esercitare, direttamente o indirettamente un‟influenza dominante o perché ne sono proprietarie, o perché vi
hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle norme che disciplinano dette imprese‖.
In base alla norma citata, l‘influenza dominante deve ritenersi presunta quando le Amministrazioni
aggiudicatrici, direttamente o indirettamente, riguardo all‘impresa, alternativamente o cumulativamente:
1) detengono la maggioranza del capitale sottoscritto;
2) controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall‘impresa;
3) possono designare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza
dell‘impresa.
A differenza di quanto previsto per l’organismo di diritto pubblico, si prescinde in questo caso dal fine
perseguito, riconoscendosi valenza decisiva al legame tra l’impresa e la Pubblica amministrazione
“dominante”. La categoria sopra definita comprende pertanto non soltanto le aziende autonome e gli enti
pubblici economici, ma anche le società di capitali a prevalente partecipazione pubblica o comunque a
dominanza pubblica.
In altri termini, debbono essere considerate imprese pubbliche quelle entità che svolgono un’attività
economica sotto l’influenza dominante, diretta o indiretta, di una o più amministrazioni aggiudicatrici,
ma nel rispetto dei principi della normale gestione commerciale e cioè sopportandone tutti i rischi, ivi
compreso quello di fallire.
Ebbene, le imprese pubbliche rientrano, giusta le definizioni rispettivamente fornite dall‘art. 3, comma 1,
lett. e) e t), d.lgs. n. 50 del 2016, tra gli enti aggiudicatori tenuti all‘osservanza della disciplina degli appalti
nei settori speciali ex art. 114 d.lgs. cit., mentre non sono, in quanto tali, contemplate tra le amministrazioni
aggiudicatrici tenute all‘osservanza della disciplina degli appalti nei settori ordinari.
2.2.1. Appalti non rientranti nell’ambito di applicazione della disciplina dei settori speciali. Non si applica la teoria del contagio. La disciplina applicabile e i connessi profili di giurisdizione Cons. St., A.P., 1 agosto 2011, n. 16, e T.a.r. Lazio, 26 aprile 2019, n. 5327.
L‘art. 14, d.lgs. n. 50 del 2016, prescrive tuttavia che la disciplina dei settori speciali non si applica agli
appalti che gli enti aggiudicatori aggiudicano per scopi diversi dall’esercizio delle loro attività di cui
agli artt. da 115 a 121.
L‘assoggettabilità dell‘affidamento di un servizio alla disciplina dettata per i settori speciali non può essere,
pertanto, desunta applicando un criterio solo soggettivo, relativo cioè al fatto che ad affidare l‘appalto sia un
ente operante nei settori speciali, ma anche in applicazione di un parametro di tipo oggettivo, attento alla
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riferibilità del servizio all‘attività speciale.
La stessa giurisprudenza europea ha sostenuto che le previsioni dettate in materia di settori speciali devono
essere applicate restrittivamente, con conseguente inapplicabilità della c.d. teoria del contagio elaborata a
far data dal caso Mannesman con riguardo, tuttavia, alla diversa figura dell‘organismo di diritto pubblico.
Allorché emerga, quindi, che l‘appalto del cui affidamento un‘impresa pubblica deve farsi carico sia escluso
dall‘ambito di applicazione della disciplina dei settori speciali, in quanto da aggiudicare per scopi diversi
dall‘esercizio delle specifiche missioni rientranti nei settori speciali, e non legato a tali missioni da vincolo di
strumentalità, non troverà applicazione la disciplina di evidenza pubblica dettata per i settori speciali.
Ci si chiede, tuttavia, se questi stessi appalti, non assoggettati alla disciplina prevista per i settori speciali,
finiscano per ricadere nell‘ambito di applicazione di altra disciplina pubblicistica o se, viceversa, rimangano
assoggettati al diritto privato.
Come chiarito, da Cons. St., A.P., 1 agosto 2011, n. 16, in astratto si profilano quattro possibili soluzioni:
1. applicazione della disciplina dei settori ordinari; 2. applicazione della disciplina inerente ai contratti esclusi, ora normati dall‘art. 4 del d.lgs. n. 50 del 2016; 3. applicazione dei principi a tutela della concorrenza contenuti nei Trattati dell‘Unione europea; 4. applicazione del diritto privato. Sul versante delle implicazioni processuali, l‘opzione per una delle prime tre ipotesi determina il radicarsi
della giurisdizione del giudice amministrativo; viceversa, optando per l‘ultima si radica quella del giudice
ordinario.
Allorché la stazione appaltante sia un’impresa pubblica va certo esclusa la prima delle quattro prospettate
opzioni, non potendo l‘appalto escluso dai settori speciali ricadere nei settori ordinari: e invero, se nel caso
di amministrazioni aggiudicatrici, che sono soggetti di diritto pubblico, non sembrano esservi ostacoli ad
ammettere che, per i loro appalti estranei ai settori speciali, si riespande l‘applicazione della disciplina degli
appalti dei settori ordinari, diversamente, nel caso delle imprese pubbliche - che sono enti aggiudicatori nei
settori speciali, ma non sono contemplati tra le amministrazioni aggiudicatrici nei settori ordinari, per gli
appalti aggiudicati per scopi diversi dalle loro attività nei settori speciali, la sottrazione alla disciplina dettata
per i settori speciali non comporta l‘espansione della disciplina inerente ai settori ordinari.
Non ammessa l‘applicabilità -all‘affidamento dell‘appalto escluso dai settori speciali- della disciplina dettata
per i settori ordinari, è necessario verificare se sia o meno allo stesso applicabile la disciplina inerente ai
contratti esclusi di cui all‘art. 4, d.lgs. n. 50 del 2016 nella parte in cui dispone che l‘affidamento dei contratti
pubblici esclusi in tutto o in parte dall‘ambito dell‘applicazione oggettiva del Codice avviene nel rispetto dei
principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, proporzionalità, tutela dell‘ambiente e
efficienza energetica.
Come osservato da Cons. St., A.P., 1 agosto 2011, n. 16, la norma (il vecchio art. 27, d. lgs. n. 163 del 2006,
ora riprodotto all‘art. 4, d.lgs. n. 50 del 2016) è volta ad imporre il rispetto di regole minimali di evidenza
pubblica, a tutela della concorrenza e del mercato.
Senonché, tali regole minimali sono imposte:
a) da un lato solo ai soggetti che ricadono nell‘ambito di applicazione del codice appalti e delle direttive
europee di cui costituisce recepimento;
b) dall‘altro lato, a condizione che vengano in considerazione contratti nominati ma esenti, e non anche
contratti estranei.
È necessario, pertanto, chiarire la distinzione tra le due tipologie, aventi una diversa ratio, degli appalti esenti
e degli appalti estranei.
Gli appalti esenti sono quelli in astratto rientranti nei settori di intervento delle direttive, ma che ne vengono
esclusi per ragioni lato sensu di politica europea, quali, ad es., gli appalti segretati, o i servizi di arbitrato e
conciliazione, o acquisto o locazione di terreni e fabbricati, e le stesse concessioni di servizi.
Gli appalti estranei sono quelli esclusi perché sono del tutto al di fuori dei settori di intervento delle direttive
o dello stesso ordinamento comunitario, quali gli appalti da eseguirsi al di fuori del territorio dell‘Unione, o
quali gli appalti aggiudicati dagli enti aggiudicatori dei settori speciali per fini diversi dall‘esercizio delle
attività nei settori speciali.
In conclusione, il citato art. 4 impone il rispetto dei principi del Trattato a tutela della concorrenza ai soggetti
tenuti al rispetto del Codice appalti, in relazione ai contratti esclusi ma non anche ai contratti del tutto
estranei agli scopi e all‘oggetto del codice e delle direttive comunitarie.
Sicché, secondo il ragionamento seguito dalla Plenaria, gli appalti che le imprese pubbliche intendono
affidare per scopi che non hanno a che fare con le specifiche missioni rientranti nei settori speciali, oltre a
non essere assoggettati a quella disciplina di settore, sono da considerare estranei, sicché non sono agli stessi
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estensibili i principi dei Trattati a tutela della concorrenza; consegue, sul versante processuale, il difetto di
giurisdizione del giudice amministrativo sulle relative controversie e il radicarsi, quindi, della giurisdizione
del giudice ordinario.
Ben diversa, come accennato, l’ipotesi in cui a dover affidare un appalto per scopi non strumentali
rispetto alle specifiche missioni rientranti nei settori speciali sia un’amministrazioni aggiudicatrici, in
specie un organismo di diritto pubblico; in casi siffatti, si riespande la disciplina degli appalti dei
settori ordinari.
È quanto di recente ribadito da T.a.r. Lazio, 26 aprile 2019, n. 5327, che, nell’affrontare il dedotto
profilo di giurisdizione, ha qualificato, nella suindicata prospettiva., come organismo di diritto
pubblico, e non semplicemente come impresa pubblica, Poste S.p.A.
2.2.1.1. Il Caso Poste: T.a.r. Lazio, 26 aprile 2019, n. 5327
Il Tar Lazio, con ordinanza n. 5327 del 2019, sottopone alla Cgue, ai sensi dell‘art. 267 Tfue, i seguenti
quesiti di diritto:
1) se la società Poste Italiane s.p.a., in base alle sue caratteristiche, debba essere qualificata ―organismo di
diritto pubblico‖, ai sensi dell‘art 3, comma 1, lettera d) del d.lgs. n. 50 del 2016 e delle direttive comunitarie
di riferimento (2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE);
2) se detta società sia tenuta a svolgere procedure contrattuali ad evidenza pubblica solo per l‘aggiudicazione
degli appalti, che siano direttamente riferibili all‘attività propria dei settori speciali, di cui alla direttiva
2014/25/UE, in applicazione della quale la stessa natura di organismo di diritto pubblico dovrebbe ritenersi
assorbita nelle regole della parte II° del Codice degli appalti, con piena autonomia negoziale – e regole
esclusivamente privatistiche – per l‘attività contrattuale non attinente, in senso stretto, a tali settori, tenuto
conto dei principi dettati dalla direttiva 2014/23/UE;
4) se la medesima società, per i contratti da ritenere estranei alla materia, propria dei settori speciali, resti
invece – ove in possesso dei requisiti di organismo di diritto pubblico – soggetta alla direttiva generale
2014/24/UE (e quindi alle regole contrattuali ad evidenza pubblica), anche ove svolgente – in via evolutiva
rispetto all‘originaria istituzione – attività prevalentemente di stampo imprenditoriale e in regime di
concorrenza, ostando ad una diversa lettura la direttiva 2014/24/UE, per contratti conclusi da
Amministrazioni aggiudicatrici; il ―considerando‖ n. 21 e l‘art. 16 della citata direttiva 2014/23/UE, d‘altra
parte, pongono solo un parametro presuntivo, per escludere la natura di organismo di diritto pubblico per le
imprese, che operino in condizioni normali di mercato, essendo comunque chiaro, in base al combinato
disposte delle medesime disposizioni, il prioritario riferimento alla fase istitutiva dell‘Ente, ove quest‘ultimo
sia destinato a soddisfare ―esigenze di interesse generale‖;
5) se comunque, in presenza di uffici in cui si svolgono, promiscuamente, attività inerenti al settore speciale
e attività diverse, il concetto di ―strumentalità‖ – rispetto al servizio di specifico interesse pubblico – debba
essere inteso in modo non restrittivo, ostando, a quest‘ultimo riguardo, i principi di cui al ―considerando‖ n.
16, nonché gli articoli 6 e 13 della direttiva 2014/25/UE, che richiamano – per l‘individuazione della
disciplina applicabile – il concetto di ―destinazione‖ ad una delle attività, disciplinate dal Codice dei contratti
pubblici. Deve essere chiarito, pertanto, se possano essere ―destinate‖ al settore speciale di riferimento –
anche con le modalità vincolistiche attenuate, proprie dei settori esclusi – tutte le attività funzionali al settore
stesso, secondo le intenzioni della stazione appaltante (ivi compresi, pertanto, i contratti inerenti la
manutenzione sia ordinaria che straordinaria, la pulizia, gli arredi, nonché i servizi di portierato e di custodia
degli uffici, o altre forme di utilizzo di questi ultimi, se intese come servizio per la clientela), restando
effettivamente privatizzate solo le attività ―estranee‖, che il soggetto pubblico o privato può esercitare
liberamente in ambiti del tutto diversi, con disciplina esclusivamente riconducibile al codice civile e
giurisdizione propria del giudice ordinario (di quest‘ultimo tipo ad esempio, per quanto qui interessa, è
certamente il servizio bancario svolto da Poste Italiane, ma non altrettanto potrebbe dirsi con riferimento alla
fornitura e all‘utilizzo degli strumenti di comunicazione elettronica, se posti al servizio dell‘intero ambito di
attività del Gruppo, pur essendo particolarmente necessari appunto per l‘attività bancaria). Non sembra
peraltro inutile sottolineare lo ―sbilanciamento‖, indotto dall‘interpretazione restrittiva attualmente
prevalente, introducendosi nella gestione di settori assimilabili o contigui regole totalmente diverse, per
l‘affidamento di lavori o servizi: da una parte, le minuziose garanzie imposte dal Codice dei contratti per
l‘individuazione dell‘altro contraente, dall‘altra la piena autonomia negoziale dell‘imprenditore, libero di
operare contrattazioni in funzione esclusiva dei propri interessi economici, senza alcuna delle garanzie di
trasparenza, richieste per i settori speciali e per quelli esclusi;
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6) se infine l‘indizione – con le forme di pubblicità previste a livello sia nazionale che comunitario – di una
procedura di gara ad evidenza pubblica, a norma del codice degli appalti, possa rilevare ai fini
dell‘individuazione dell‘area di destinazione dell‘appalto, ovvero dell‘attinenza di quest‘ultimo al settore
speciale di riferimento, in senso conforme all‘ampliata nozione di ―strumentalità‖, di cui al precedente
quesito n. 5), ovvero – in via subordinata – se l‘eccezione di difetto di giurisdizione del giudice
amministrativo, sollevata dallo stesso soggetto che abbia indetto tale procedura di gara, o da soggetti che a
detta procedura abbiano vittoriosamente partecipato, possa considerarsi abuso del diritto ai sensi dell‘art. 54
della Carta di Nizza, quale comportamento che – pur non potendo incidere, di per sé, sul riparto di
giurisdizione – rileva quanto meno ai fini risarcitori e delle spese di giudizio, poiché lesivo del legittimo
affidamento dei partecipanti alla gara stessa, ove non vincitori e ricorrenti in sede giurisdizionale.
2.3. Le società in house: nozione e indicazione dei principali problemi che saranno esaminati a Lezione.
L‘affidamento in house rappresenta una modalità, alternativa all‘applicazione della disciplina comunitaria in
materia di appalti e servizi pubblici, per effetto della quale una Pubblica amministrazione si avvale, al fine di
reperire determinati beni e servizi ovvero per erogare alla collettività prestazioni di pubblico servizio, di
soggetti sottoposti al suo penetrante controllo.
L‘istituto, dapprima elaborato dalla giurisprudenza europea a partira dalla notissima sentenza Teckal del 18
novembre 1999, causa C-107/98, poi delineato dalle direttive europee, è stato pedissequamente recepito
nell‘ordinamento interno a opera del d.lgs. n. 50 del 2016, il quale ha così definitivamente codificato le
condizioni al ricorrere delle quali la Pubblica amministrazione è legittimata a disporre l‘affidamento diretto
del servizio in luogo del ricorso all‘outsourcing.
Segnatamente, riproducendo il contenuto delle citate direttive, l‘art. 5, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, nel
testo modificato dall‘art. 6, d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 (c.d. primo correttivo), stabilisce che una concessione
o un appalto pubblico, nei settori ordinari o speciali, aggiudicati da un‘Amministrazione aggiudicatrice o da
un ente aggiudicatore a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato, non rientra nell‘ambito
di applicazione del presente codice ove siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
a. l‘Amministrazione aggiudicatrice o l‘ente aggiudicatore eserciti sulla persona giuridica affidataria un
controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi (elemento strutturale del rapporto in house);
b. oltre l’80 per cento delle attività della persona giuridica controllata sia effettuata nello svolgimento
dei compiti a essa affidati dall’Amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche
controllate dall‘Amminist