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Geopolitica 2012 Dispensa per il corso di Geopolitica Prof. Giuseppe BETTONI Pagina 1 1. La guerra fredda Nei nostri giorni, si descrive spesso la potenza degli USA come se la guerra fredda con l’Unione Sovietica non avesse mai avuto luogo. I giovani di oggi non avevano che pochi anni quando la rivalità tra Est e Ovest prese fine e quando, nel 1991, l’Unione Sovietica è implosa. Non si può capire l’enorme potenza militare degli USA di oggi se non si tiene conto di questo lungo periodo, quasi 40 anni, durante il quale gli USA si sono opposti a quello che loro consideravano, giusto o sbagliato che potesse essere, come il rischio di espansione del comunismo sovietico in Europa e nelle altri parti del mondo. Fortunatamente, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, non si sono mai fatti la guerra direttamente. Queste due potenze detengono entrambe l’arma atomica e questo avrebbe avuto certamente conseguenze spaventose sull’insieme stesso dell’umanità visto che potevano lanciarle a migliaia di chilometri di distanza. La distruzione di una gran parte dell’Europa, delle grandi città della Russia, ma anche indirettamente le ricadute radioattive che avrebbero avuto luogo avrebbero praticamente reso invivibile il pianeta. I dirigenti Americani e Sovietici hanno avuto la saggezza di non scatenare questa guerra, malgrado i pericoli ai quali essi stessi hanno dovuto far fronte in diverse circostanze. È per questo motivo che si è parlato di “guerra fredda” basata su quello che chiamavamo l’”equilibrio del terrore”: grazie ai radar situati nell’Artico, il lancio dei missili da uno di due campi avrebbe significato sicuramente la risposta immediata dell’altro. Ma questa “guerra fredda” non ha escluso delle manovre geopolitiche indirette; ciascuna delle due superpotenze si è impegnata in conflitti locali di cui alcuni sono diventati delle vere e proprie guerre, ma senza che l’altro avversario intervenisse direttamente, per evitare una guerra mondiale. 1.1 Perché la guerra fredda? Retrospettivamente, non è inutile in effetti chiedersi perché USA e URSS si sono opposti per decenni. Certo, l’ideologia dei bolscevichi che nel 1917 prendono il potere in Russia, predicava la rivoluzione proletaria a livello mondiale contro il capitalismo, e gli USA all’inizio degli anni ’20, apparivano come il Paese dove questo capitalismo era in piena fioritura. Ma a differenza della maggior parte dei dirigenti Inglesi e Francesi, che dopo la prima guerra mondiale desideravano una grande crociata contro il bolscevismo, i dirigenti Americani si opponevano perché non condividevano questo punto di vista.

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Geopolitica  2012  

Dispensa per il corso di Geopolitica Prof. Giuseppe BETTONI  Pagina 1  

 

1. La guerra fredda 

  Nei nostri giorni, si descrive spesso la potenza degli USA come se la guerra fredda con 

l’Unione Sovietica non avesse mai avuto luogo.   

  I giovani di oggi non avevano che pochi anni quando  la rivalità tra Est e Ovest prese 

fine  e  quando, nel  1991,  l’Unione  Sovietica  è  implosa. Non  si può  capire  l’enorme potenza 

militare degli USA di oggi se non si tiene conto di questo lungo periodo, quasi 40 anni, durante 

il quale gli USA si sono opposti a quello che loro consideravano, giusto o sbagliato che potesse 

essere, come  il rischio di espansione del comunismo sovietico  in Europa e nelle altri parti del 

mondo. 

  Fortunatamente,  gli  Stati Uniti e  l’Unione  Sovietica, non  si  sono mai  fatti  la  guerra 

direttamente.  Queste  due  potenze  detengono  entrambe  l’arma  atomica  e  questo  avrebbe 

avuto  certamente  conseguenze  spaventose  sull’insieme  stesso  dell’umanità  visto  che 

potevano  lanciarle  a  migliaia  di  chilometri  di  distanza.  La  distruzione  di  una  gran  parte 

dell’Europa, delle grandi città della Russia, ma anche indirettamente le ricadute radioattive che 

avrebbero avuto luogo avrebbero praticamente reso invivibile il pianeta. I dirigenti Americani e 

Sovietici hanno avuto la saggezza  di non scatenare questa guerra, malgrado i pericoli ai quali 

essi stessi hanno dovuto far fronte in diverse circostanze.   

  È  per  questo  motivo  che  si  è  parlato  di  “guerra  fredda”  basata  su  quello  che 

chiamavamo  l’”equilibrio del terrore”: grazie ai radar situati nell’Artico,  il  lancio dei missili da 

uno di due campi avrebbe significato sicuramente la risposta immediata dell’altro. Ma questa 

“guerra  fredda”  non  ha  escluso  delle  manovre  geopolitiche  indirette;  ciascuna  delle  due 

superpotenze si è  impegnata  in conflitti  locali di cui alcuni sono diventati delle vere e proprie 

guerre, ma  senza  che  l’altro  avversario  intervenisse  direttamente,  per  evitare  una  guerra 

mondiale. 

 

 

1.1 Perché la guerra fredda?  

  Retrospettivamente,  non  è  inutile  in  effetti  chiedersi  perché  USA  e  URSS  si  sono 

opposti  per  decenni.  Certo,  l’ideologia  dei  bolscevichi  che  nel  1917  prendono  il  potere  in 

Russia, predicava  la  rivoluzione proletaria  a  livello mondiale  contro  il  capitalismo, e  gli USA 

all’inizio  degli  anni  ’20,  apparivano  come  il  Paese  dove  questo  capitalismo  era  in  piena 

fioritura. Ma a differenza della maggior parte dei dirigenti Inglesi e Francesi, che dopo la prima 

guerra mondiale desideravano una grande crociata contro il bolscevismo, i dirigenti Americani 

si opponevano perché non condividevano questo punto di vista. 

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  Rockefeller approfitta così della scomparsa del petrolio di Baku sul mercato europeo 

per asportare il suo petrolio in Europa. Delle grandi aziende americane hanno anche apportato 

il  loro  aiuto  all’URSS, notoriamente per  la  costruzione di  fabbriche di  automobili di  famose 

grandi dighe. È anche vero che negli USA la classe operaia, senza dubbio in ragione anche delle 

sue  convinzioni  religiose  in  seno  alla  società  americana,  appariva molto meno  sensibile  al 

marxismo di quanto invece non lo potesse essere negli altri Paesi europei. 

  Quanto ai dirigenti Sovietici, firmando  il Patto germano‐sovietico dell’agosto del ’39, 

mostravano  che  non  rifiutarono  un’intesa  con  una  potenza  capitalista  che  fino  a  quel 

momento  si  era  proclamata  avversaria  del  più  radicale  comunismo.  È  stato  l’improvviso 

attacco  tedesco  nel  giugno  del  ’41  che  obbligò  Stalin  a  rinunciare  a  questa  che  possiamo 

definire un’illusione.  

  Nel  dicembre  del  ’41,  dopo  il Giappone, Hitler  ha  dichiarato  la  guerra  agli USA,  e 

questi si trovano alleati senza volerlo dell’URSS e che aiutavano già comunque nello sforzo di 

guerra. 

Alla conferenza di Yalta del febbraio del ’45, le relazioni tra Americani e Sovietici sono 

sufficientemente  buone  perché  questi  possano  intendersi  sull’entrata  in  guerra  dell’URSS 

contro  il Giappone nei  tre mesi successivi, come anche sono d’accordo sulle nuove  frontiere 

con la Polonia. L’accordo non portava come si è sempre detto dopo sulla divisione dell’Europa, 

ma sulla messa in moto di governi democratici nelle zone di occupazioni delle differenti eserciti 

alleati  in Europa. Nei Paesi che erano stati occupati dall’armata rossa,  i Sovietici trasformano 

immediatamente la nozione di “regime democratico” in regime controllato da un solo partito, 

il partito comunista che era do obbedienza sovietica e che annunciava il regime di “democrazia 

popolare”.  

  Nel  marzo  del  ’46,  Winston  Churchill  nel  suo  discorso  agli  Stati  Uniti,  aveva 

denunciato  quello  che  chiamò  la  “cortina  di  ferro”  che  i  Sovietici  avevano  appena  stabilito 

attraverso  tutta  l’Europa  per  impedire  i  contatti  tra  Est  e  Ovest.  Ma  gli  americano 

continuavano a mantenere delle relazioni relativamente cortesi con  l’URSS, dato che all’inizio 

del  ’48  proponevano  loro,  come  ai  Paesi  “occupati”,  di  godere  dell’aiuto  americano  per  la 

ricostruzione:  il famoso piano Marshall. Stalin si oppone e vieta agli Stati dell’Europa centrale 

che ormai erano suoi vassalli di accettare questo piano. Benché  il socialismo  in un solo Paese 

fosse considerato il vero campione tra le due guerre, Stalin sembra persuaso all’indomani della 

seconda  guerra mondiale  che  il  comunismo  abbia  delle  vere  chances  di  imporsi  prima  in 

Europa e poi nel resto del mondo. 

  La rottura tra Americani e Sovietici, che porterà  in seguito al conflitto di dimensioni 

planetarie che durò decenni, si scatena in realtà a causa di poste in gioco territoriali di piccola 

o  piccolissima  dimensione:  la  Cecoslovacchia  e  Berlino  Ovest.  Alla  conferenza  di  Yalta  e  a 

quella di Potsdam era stato convenuto che la Cecoslovacchia la cui parte occidentale era stata 

liberata dagli Americani, sarebbe stata gestita da un governo di unione nazionale che avrebbe 

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associato comunisti con membri del governo ceco che si erano nel frattempo rifugiati a Londra 

dal  1939.  L’esclusione  progressiva  di  questi  ultimi  sotto  la  pressione  di  manifestazioni 

comuniste  (quello  che  si  chiama  il  colpo di Praga del  febbraio‐giugno del  ’48)  segna  l’inizio 

della  rottura  tra Americani e Sovietici  fu  consumata qualche giorno più  tardi quando questi 

ultimi decidono di  impedire, attraverso il corridoio che attraversava  le zone di occupazione,  il 

trasporto di ogni merce tra la parte occidentale della Germania e Berlino Ovest, cioè le zone di 

occupazione  Americane,  Britanniche  e  Francesi  di  Berlino,  come  erano  state  definite  alla 

conferenza di Potsdam. Per  i Sovietici questo blocco di Berlino doveva  logicamente condurre 

gli  occidentali  a  rinunciare  alla  loro  presenza  nella  vecchia  capitale  tedesca.  Gli  Americani 

decidono di  raccogliere  la sfida e con un vero e proprio  tour de  force  logistico  realizzano un 

ponte  aereo militare  che  approvvigionerà  Berlino Ovest  a  partire  dal  giugno  del  ’48  fino  a 

maggio del ’49. 

  Ci  si  può  chiedere  quello  che  sarebbe  accaduto  se  l’Europa  Occidentale  e  i  suoi 

dirigenti Americani,  compreso  il Presidente Truman, avessero  rinunciato ad approvvigionare 

Berlino per via aerea malgrado i rischi e le spese enormi che questo aveva rappresentato. Una 

parte dell’opinione americana considerava che ci si dava troppo da fare per  i tedeschi,  i quali 

erano  pur  sempre  i  nemici  di  tre  anni  prima.  È  verosimile  immaginare  che  tutta  l’Europa 

Occidentale poteva in realtà finire sotto influenza sovietica se gli Americani avessero appunto 

imposto quel famose ponte aereo marcando un po’ il limite della possibilità di occupazione dei 

Sovietici.  Soprattutto  considerando  quanto  tutto  il  mondo  intellettuale  europeo, 

particolarmente in Italia, si interessasse o fosse comunque filocomunista all’inizio sicuramente 

filosovietico.  Il vero volto dell’URSS arriva nel mondo occidentale non tanto con il processo di 

destalinizzazione,  quanto  con  la  pubblicazione  di  Arcipelago  gulag  dello  scrittore  russo 

Aleksandr Solzenicyn.  

 

1.2 La NATO   È  questo  il  dato  geopolitico  essenziale:  quello  che  ha  permesso  di  sviluppare  la 

cosiddetta  democrazia  sia  sul  piano  sociale  che  culturale,  nei  Paesi  dell’Europa  occidentale 

sotto la protezione degli USA, nonostante l’opinione pubblica spesso abbia manifestato la sua 

ritenzione contro un’America considerata troppo presente e troppo direttiva.  

  Le società dell’Europa orientale, ivi compresa l’ex Unione Sovietica, non hanno avuto 

questa possibilità e, dato geopolitico fondamentale, presentano ancora oggi rispetto all’Europa 

occidentale  numerosi  ritardi  e  difficoltà  che  derivano  da  quello  che  viene  designato  come 

“post‐comunismo”.  

 

 

 

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2. Gli Stati Uniti e la NATO: sicurezza collettiva o protezione di una potenza? 

  Possiamo  considerare  che  le  relazioni  degli  USA  con  i  Paesi  della  NATO  siano 

decisamente dei rapporti geopolitici, la costituzione di questa organizzazione politica e militare 

nel 1949, all’inizio della guerra fredda, era chiaramente in funzione di un rapporto di forza dato 

che aveva come missione effettiva di opporsi all’espansione sovietica nell’Europa occidentale. 

In  effetti,  all’indomani  della  seconda  guerra mondiale,  l’URSS  aveva  imposto  il  potere  dei 

partiti  comunisti  come  sua  diretta  emanazione  in  sei  Paesi  europei  che  erano  occupati 

dall’armata  rossa: Polonia, Cecoslovacchia, Germania orientale, Ungheria, Romania, Bulgaria. 

La  NATO  era  destinata  a  riparare  l’Europa  da  un  eventuale  attacco  sovietico  e  l’elemento 

essenziale di questa struttura erano sicuramente gli USA.  

  Il  ruolo del Canada, questo  immenso Stato subpolare quasi vuoto per 4/5 della sua 

dimensione (uno dei più vasti Stati del mondo, con quasi 10 milioni di Km², per soli 30 milioni 

di abitanti), era quello di un ghiacciaio situato al di là dell’Oceano Glaciale Artico e al di sopra 

del quale i radar avrebbero avuto il tempo di individuare i missili Sovietici prima che potessero 

raggiungere  gli  Stati  Uniti.  Questi  due  grandi  Stati  dell’America  del  Nord  da  una  parte  e 

dall’altra  di  una  frontiera  di  6  000  Km  quasi  tutti  rettilinei,  sono  praticamente  inseparabili: 

parlano  la  stessa  lingua  (ad eccezione del Québec  che è  francofono),  storie e  culture molto 

comparabili, importantissimi scambi tra loro due, esportazione di petrolio canadese, ecc. 

  Era completamente diverso il discorso dell’Europa dall’altro lato dell’Atlantico, dove i 

primi Paesi membri della NATO (Regno Unito, Francia, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, 

Portogallo, Danimarca, Norvegia, Islanda, seguiti dalla Grecia e la Turchia nel 1955) sono molto 

diversi gli uni dagli altri per lingua e tradizioni politiche, non hanno molti rapporti con gli Stati 

Uniti almeno all’epoca, eccezion fatta delle isole Britanniche. Ma sono per la maggior parte dei 

Paesi  che  un’offensiva  sovietica  poteva  invadere  in  qualche  giorno  e  che  facilmente  si 

trovavano a portata di bombardieri e di missili Sovietici. E quella che si chiama allora Germania 

Ovest,  attraversata  dalla  “cortina  di  ferro”,  che  sembrava  essere  la  più  vulnerabile.  Ecco 

perché  l’essenziale delle  forze militari della NATO  stazionavano  su quel  territorio. Non è poi 

altro se non l’ennesimo paradosso tedesco, dato che questi Paesi si ricostruivano dalle rovine 

di una guerra (come  il Giappone) grazie all’aiuto degli Americani, per ridiventare  in seguito  la 

terza potenza economica mondiale. 

 

2.1 Dopo la fine della guerra fredda 

  Dopo  l’implosione dell’URSS e  la  scomparsa dei  regimi  comunisti  che  le erano  stati 

fedeli, il ruolo geopolitico della NATO era molto meno chiaro, dato che l’antagonismo di queste 

due potenze su tutta una parte dell’Europa non esiste più. Nei Paesi Europei, particolarmente 

in Francia e  Italia dove  le  idee marxiste avevano avuto grande  riscontro, una parte notevole 

dell’opinione pubblica vedeva in realtà nella NATO una delle forme di dominazione americana 

sull’Europa.  Fin  dal  1966,  il  Generale  De  Gaulle  aveva  deciso,  senza  trovare  alcun  tipo  di 

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obiezione  nei  suoi  connazionali,  che  la  Francia  si  sarebbe  ritirata  dalla  NATO,  cioè  dal 

dispositivo militare  (pur  restando membro dell’Alleanza Atlantica), dato che  la Francia ormai 

aveva la propria potenza nucleare. 

  All’inizio  degli  anni  ’80,  con  la  crisi  detta  degli  “euromissili”  (cioè  l’istallazione  di 

missili nucleari Americani  in Germania,  in  risposta  all’istallazione di missili  Sovietici  a media 

portata nei Paesi dell’Europa orientale), si è   posta  la questione tra  i dirigenti Americani della 

ripartizione degli  interessi strategici maggiori negli USA con  il mantenimento dello status quo 

in Europa contro  l’Unione Sovietica. Una volta che questa era  implosa, alcuni dirigenti hanno 

dichiarato che era ora di  ridurre  l’enorme costo che gli Stati Uniti  investivano nella difesa  in 

Europa. Pensiamo ad esempio alla permanenza di 100 mila soldati Americani in Germania. 

  Eppure ancora oggi, nel 2012, la NATO esiste ancora.  

  Nel  1999,  per  la  prima  volta  dalla  sua  creazione,  l’organizzazione  ha  anche 

ufficialmente fatto una guerra contro uno Stato europeo, la Serbia. D'altronde, fu soprattutto 

su richiesta degli Europei che  il ruolo degli Americani è stato decisivo per mettere fine a quel 

dramma jugoslavo. Ma ancora di più, il numero degli Stati europei che hanno chiesto di aderire 

alla  NATO  è  aumentato:  oramai  ci  sono  Polonia,  Repubblica  Ceca,  Ungheria,  e  in  seguito 

Bulgaria, Romania, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovacchia e Slovenia.  

  A causa dell’implosione nel 1991 della Federazione comunista jugoslava, l’esplosione 

di  combattimenti  tra  nazionalisti  Serbi  e  Croati,  poi  in  Bosnia  tra  Cattolici,  Ortodossi  e 

Musulmani,  ha  fatto  temere  alcuni  dirigenti  dei  Paesi  dell’Unione  Europea  che  tali  conflitti 

potessero moltiplicarsi  in quella  che  Lacoste definisce Europa mediana, nei Paesi  che erano 

stati  liberati dalla dominazione comunista e  le cui frontiere erano oggetto di diverse contese. 

Così  la Francia e  il Regno Unito hanno  inviato, sotto  l’egida delle Nazioni Unite, delle forze di 

interposizione  in  Jugoslavia,  ma  queste  si  trovarono  ben  presto  prese  in  trappola  tra  i 

combattimenti. Gli Americani, sollecitati a intervenire, dichiararono prima di tutto di non voler 

implicare  la  loro  potenza  in  questo  conflitto  che  non  era  di  rilievo  della  NATO,  dato  che 

nessuno degli Stati membri era minacciato. Dopo aver creduto giusto, su richiesta della Turchia 

e dell’Arabia Saudita, di fornire delle armi ai musulmani Bosniaci, il governo americano (sotto 

la  presidenza  Clinton),  su  richiesta  dei  Francesi  e  dei  Britannici  obbligò  i  Serbi  a  togliere 

l’assedio di Sarajevo e, nel 1995, impose ai belligeranti quelli che vennero chiamati gli Accordi 

di  Daytona  per  una  ripartizione  della  Bosnia  in  tre  zone  autonome  sotto  il  controllo  della 

NATO. 

  Nel  1999,  il  conflitto  in  Kosovo  tra  Serbi  e  Albanesi  prese  una  forma  purtroppo 

spettacolare di esodo di massa di musulmani che fuggivano dalla minaccia di un vero e proprio 

genocidio fatto governo serbo. Questa situazione aveva provocato grande emozione in Europa 

occidentale,  la NATO e soprattutto  l’aviazione americana decisero di  intervenire effettuando 

dei bombardamenti massicci sulla Serbia, malgrado  le proteste della Russia. A dispetto delle 

rivendicazioni di indipendenza dei Kosovari, il territorio del Kosovo è sotto il controllo di diversi 

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contingenti  forniti da  Stati  Europei membri della NATO  e degli Americani,  le  cui  forze  sono 

anche  posizionate  in  Macedonia,    altra  Repubblica  ex‐jugoslava  minacciata  di  ripartizione 

etnica. 

 

2.2 la NATO dopo l’11 settembre 

  Immediatamente dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 a New York, tutti gli Stati 

europei membri della NATO hanno sostenuto gli USA, dichiarando che si sentivano tutti sotto 

mira tramite questa aggressione  e quindi solidali con gli USA. Detto ciò il governo americano 

ha voluto agire solo con le proprie forze quando decise di colpire tutti i covi terroristici che si 

trovavano    in Afghanistan. Gli strateghi Americani non volevano essere obbligati a discutere  i 

loro  piani  con  partner  della  NATO,  come  avevano  dovuto  fare  regolarmente  nel  1999  al 

momento della guerra nel Kosovo.  

  Nel 2003,  la guerra di  Iraq ha provocato una grave  crisi  tra USA e alcuni Paesi  che 

facevano parte della NATO e dell’Unione Europea. Se  il governo britannico, così come quello 

italiano e spagnolo, malgrado  l’opposizione delle  loro opinioni pubbliche, sostennero  l’azione 

condotta da Washington, la Germania e la Francia si sono assolutamente opposte. La Turchia, 

che comunque è anch’essa membro della NATO e vicina dell’Iraq, e che doveva inizialmente far 

parte  della  coalizione,  decise  infine  di  rifiutare.  Viceversa,  i  nuovi  membri  della  NATO  e 

dell’Unione Europea, più particolarmente la Polonia, hanno sostenuto con forza la politica del 

Presidente  americano.  Il  Segretario  della Difesa  americana  dell’epoca, Donald  Rumsfeld,  ha 

potuto così opporre nel suo discorso una “vecchia Europa” timorosa (i più vecchi membri della 

Comunità  Europa  a  parte  l’Italia  berlusconiana)  a  una  “nuova  Europa”  giudicata  piena  di 

ardore,  formata  soprattutto da  tutti  i nuovi membri ex‐comunisti dell’Unione Europea e dal 

Regno Unito. La posizione dei vecchi Paesi comunisti dell’Europa centrale e orientale si spiega 

in parte per il timore antico rispetto alla Russia e per la loro volontà di avvicinarsi sempre di più 

al nuovo alleato americano. 

 

2.3 L’Europa, tra Washington e il mondo musulmano 

  La crisi suscitata dall’intervento americano in Iraq pone la questione delle relazioni di 

lungo periodo tra gli USA e taluni Paesi della UE dalla fine della guerra fredda. Quando il Regno 

Unito, che rifiuta la moneta comune, cerca di fare della UE una semplice zona di libero scambio 

e  la  più  estesa  possibile  (posizione  uguale  a  quella  dei  Paesi  Scandinavi),  la  Francia  e  la 

Germania desiderano che la UE mantenga anche un insieme geopolitico coerente, malgrado la 

sua  estensione,  con una diplomazia  comune  e  con un’autonoma potenza  rispetto  agli USA. 

Questi  ultimi  sono,  al  contrario,  favorevoli  alla  strategia  britannica  di  libero  scambio  come 

all’ingresso di  nuovi membri nell’UE, trasformandola così in un’entità sempre meno coerente 

Geopolitica  2012  

Dispensa per il corso di Geopolitica Prof. Giuseppe BETTONI  Pagina 7  

e governabile. Ecco perché la diplomazia americana fa da sempre campagna per l’accettazione 

dell’ingresso della Turchia nella UE.  

  L’estensione  dell’Unione  Europea  verso  Est  aumenta  il  numero  di  Stati  vicini  della 

Russia  (tra cui  l’Ucraina candidato potenziale all’integrazione europea). Questi Paesi  temono 

un  ritorno  della  Russia  a  potenza  di  oppressione  e  quindi  cercano  di mettersi  sotto  tutela 

americana.  Washington  disporrebbe  così,  molto  più  della  NATO,  di  una  vera  influenza 

determinante  in  seno  all’Unione  Europea,  annichilendo  così  tutte  le  velleità  di  potenza  di 

quest’ultima. 

  Oggi un  grande problema  geopolitico degli USA non è una  futura  salita di potenza 

dell’Unione Europea, ancor meno di quella della Russia, ma l’aggravarsi dei suoi rapporti con il 

mondo  musulmano,  a  questo  proposito  il  dato  geografico  è  evidente:  è  l’Europa,  dal 

Mediterraneo alla Russia meridionale che è direttamente in contatto con l’essenziale del modo 

musulmano e che dovrà preparasi a far fronte ai contraccolpi del conflitto israelo‐palestinese e 

al confronto tra gli islamisti e gli Americani.   

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Geopolitica  2012  

Dispensa per il corso di Geopolitica Prof. Giuseppe BETTONI  Pagina 8  

 

 

Geopolitica (2) 

 3. Stati Uniti e mondo musulmano 

 

  Nel  contesto  della  guerra  che  gli Americani  portano  avanti  dal  2003  in  Iraq  non  è 

inutile  ricordare  che è  in questo Paese  che è  cominciata  la prima guerra mondiale, uno dei 

primi insediamenti Americani in Medio Oriente.  

  Si  trattava  prima  di  tutto  di  petrolio  e  della  costituzione,  nel  1928,  della  Iraq 

Petroleum Company per riprendere l’attività della Turkish Petroleum, la compagnia germano‐

turca  che  aveva  cominciato,  prima  del  conflitto,  lo  sfruttamento  dei  giacimenti  di  Kirkuk  e 

Mossul. Ma, a quest’epoca, in materia di petrolio e di Medio Oriente, il contesto geopolitico è 

quello di una grande rivalità anglo americana.  

  Dalla fine della prima guerra mondiale, gli Americani cercano di sfruttare le ricchezze 

petrolifere  del  Medio  Oriente.  Ma  per  questo  devono  prima  liberarsi  dei  Britannici.  Ci 

riusciranno nel 1945. Seguiranno i tempi del nazionalismo arabo quindi dell’islamismo.  

  Negli anni ‘80, spingendo alla lotta l’Iraq di Saddam Hussein contro l’Iran di Khomeini, 

gli occidentali hanno aperto  il  vaso di Pandora  che, dalla guerra del golfo alla guerra d’Iraq 

passando per la guerra d’Afghanistan, non smette di minacciare gli equilibri internazionali.  

 

 

3.2 L’America e il Medio Oriente: dall’inizio un affare di petrolio 

 

  I Britannici avevano un vantaggio: quello che ormai si chiama Iraq era occupato dalle 

loro  truppe,  quelle  dell’esercito  delle  truppe  indiane,  arrivato  durante  la  prima  guerra 

mondiale per combattere l’esercito turco in quella che era chiamata Mesopotamia. Intendono 

controllarci  i  giacimenti  petroliferi  (quelli  di  Arabia  non  erano  stati  ancora  scoperti),  ma 

possiedono già quelli dell’Iran, sfruttati dalla Anglo‐Persian  Oil Company  (divenuta in seguito 

Anglo‐Iranian e oggi la BP, British Petroleum). L’argomentazione britannica era che i beni della 

Turkish  Petroleum  Company  costituivano  un  bottino  di  guerra  da  dividere  tra  vincitori,  gli 

Americani fecero pressione per accedere al petrolio  iracheno.  Il capitale della  Iraq Petroleum 

Company è diviso in quattro parti da 23,75%: le grandi compagnie britanniche la Anglo‐Persian 

e la Shell, ne hanno due; la Compagnia francese dei petroli, creata espressamente, ne ha una, 

così  come  il Consorzio  americano. Ma, nel 1934,  gli Americani, più particolarmente  la Gulf, 

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Dispensa per il corso di Geopolitica Prof. Giuseppe BETTONI  Pagina 9  

hanno  la metà  della  concessione  del  Kuwait  e,  soprattutto,  nel  1933,  quella  che  diverrà  la 

Arammo ottiene la concessione per 60 anni sulla metà del territorio saudita.  

  Nel  Medio  Oriente  l’immagine  dell’America,  è  allora  molto  buona  agli  occhi  dei 

nazionalisti arabi, perché questa non ha partecipato alla spartizione dei territori sotto mandato 

tra “colonialisti”  Inglesi e Francesi  (Iraq, Giordania, Palestina per  i primi, Siria e Libano per  i 

secondi), sotto l’egida della Società delle Nazioni. 

  Nel 1945,  il Presidente Roosevelt di  ritorno da  Yalta,  incontra  il Re Abd  al‐Aziz  ibn 

Saud  e  suggellano  l’accordo  storico  che  garantisce  il  sostegno  degli USA  all’Arabia  Saudita. 

L’anno dopo è inaugurata la base americana di Dahran, in piena zona petrolifera. Due anni più 

tardi, all’arrivare della prima guerra arabo‐israeliana, il governo americano resta relativamente 

neutro.  Certo,  riconosce  Israele, ma  l’URSS  l’aveva  anticipato  e  la  Francia  sarebbe  presto 

divenuta il principale sostegno militare degli Israeliani.  

  Nel 1952,  la Turchia aderisce alla NATO e  si avvicina agli Stati Uniti per proteggersi 

dalle rivendicazioni di Stalin sulla regione di Trebisonda nel Mar Nero che era stata occupata in 

passato dalle truppe zariste. 

  Nel 1951,  la  crisi della nazionalizzazione della  Iran Petroleum Company avrà grandi 

conseguenze  geopolitiche.  In  effetti  la  Gran  Bretagna  aveva  organizzato  il  boicotto  delle 

esportazioni del petrolio iraniano. Il Primo Ministro iraniano Mossadegh, che ha l’appoggio del 

partito di sinistra Toudeh, si avvicina all’URSS e cerca di far destituire il giovane Shah. I Servizi 

Segreti Americani organizzano un colpo di Stato che metterà Mossadegh fuori gioco. Nel ’54, lo 

Shah, senza ritornare sul principio di nazionalizzazione del petrolio, ne affida  lo sfruttamento 

così  come  la  distribuzione  a  un  Consorzio  che  unisce  le  otto  grandi  compagnie  dell’epoca: 

cinque  americane,  due  britanniche  e  una  francese. Da  quel  giorno  e  per  25  anni  i  rapporti 

economici e militari saranno molto stretti tra Stati Uniti e Iran in piena espansione. 

 

 

3.3 Una nuova minaccia di grandi dimensione: il terrorismo islamista 

 

  Per  gli  Americani  le  conseguenze  della  “guerra  del  Golfo”  si  sono  rilevate  essere 

molto pericolose. La prima risiede nel fatto che la maggior parte degli arabi hanno giudicato gli 

USA come se avessero voluto aggredire il mondo arabo in maniera deliberata, nella misura in 

cui  l’Iraq  baasista  era  il  solo  Paese  a  volere  ancora  fare  l’unità  e  anche  il  solo  a  poter 

veramente  combattere  Israele.  Una  conseguenza molto meno  evidente, ma  che  si  rileverà 

dieci anni più  tardi  la più pericolosa per gli Americani,  fu  che un  certo numero di  sauditi, e 

particolarmente  la  potente  confraternita  Wahhabite  (movimento  politico  e  religioso 

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Dispensa per il corso di Geopolitica Prof. Giuseppe BETTONI  Pagina 10  

conservatore), stimò che la guerra del Golfo era stata per gli Americani un pretesto e un modo 

di insediarsi in Arabia, cioè sul territorio sacro all’Islam.  

  L’Arabia tutta  intera è,  in effetti, considerata come Horm ‐sacra‐ e non solamente  la 

Mecca e Medina, che sono completamente vietate ai non musulmani e, a fortiori,  ai cristiani e 

agli  ebrei. Osama  bin  Laden,  forte  del  suo  prestigio  di  jihadista  e  ricchissimo  oltretutto,  ha 

dunque richiesto alla dinastia saudita  la partenza delle basi americane  insediate  in Arabia dal 

1990.  A  discapito  di  aver  ragione,  decide  quindi  di  condurre  una  lunga  lotta  contro 

l’”imperialismo  giudeo‐cristiano”  per  cacciare  gli  Americani  dall’Arabia  e  gli  ebrei  da 

Gerusalemme,  il terzo  luogo santo dell’Islam. Passando ad un nuovo  livello di azione, Osama 

bin Laden USA la sua fortuna e le sue conoscenze dell’Afghanistan per insediare il suo rifugio e 

i campi di armamento di Al‐Qaeda, con l’appoggio dei talebani, arrivati al potere a Kabul dopo 

il 1996, e dei servizi segreti pakistani.  

  Questo era  risaputo dalla CIA. Al‐Qaeda  (cioè  la  “base”, quella delle molteplici  reti 

islamiche) aveva già realizzato dei gravi attentati, quali quelli contro l’ambasciata americana in 

Kenya nel 1998 o contro una nave USA ad Aden nel 2000 e il governo americano aveva invano 

richiesto  al  regime  dei  talebani,  al  potere  a  Kabul,  l’estradizione  di  Osama  bin  Laden 

dall’Afghanistan.  

  Detto  ciò  questo  non  impediva,  fino  all’estate  del  2001,  che  gli Americani  fossero 

ancora  in fase di negoziazione con  i talebani e  i servizi segreti pakistani, per  la costruzione di 

un  gasdotto  attraverso  l’Afghanistan  con  l’obiettivo  di  collegare  i  giacimenti  di  gas  del 

Turkmenistan alla costa pakistana dell’Oceano Indiano.  

  Gli attentati dell’11 settembre 2001 su New York e Washington hanno   rilevato agli 

Americani  la  terribile  minaccia  costituita  da  Al‐Qaeda,  l’efficacia  delle  sue  reti  costituite 

segretamente negli USA e attraverso numerosi Paesi a 15 000 Km di distanza dalle sue basi e la 

straordinaria  determinazione  dei  suoi  terroristi  preparati  al  suicidio  (sauditi  erano  15  dei 

kamikaze  su 19). A partire dal mese di ottobre  i bombardamenti Americani  sono  cominciati 

sull’Afghanistan, notoriamente a partire dalla base di Diego Garcia nell’Oceano  Indiano e  le 

basi americane immediatamente insediate, con l’accordo di Vladimir Putin, nell’ex Repubblica 

sovietica  dell’Asia  centrale.  Ma,  nell’eliminare  Al‐Qaeda  e  i  talebani,  occorreva  ottenere 

l’accordo del Pakistan che li aveva fin là sostenuti. 

  Una  gran  parte  dell’esercito  pakistano,  particolarmente  durante  la  guerra 

dell’Afghanistan,  aveva  aderito  alle  tesi  islamiste,  i  suoi  quadri  intermediari  e  i  suoi  servizi 

segreti avevano, oltretutto,  largamente approfittato delle  consegne di armi americane per  i 

diversi  partiti  islamismi  afgani.  Dopo  il  primo  bombardamento  militare  sull’Afghanistan, 

numerosi partiti pakistani hanno chiamato dei volontari per  la jihad per andare a combattere 

accanto ai talebani. Il Presidente pakistano dell’epoca, il Generale Pervez Musharraf, che aveva 

preso il potere con un colpo di Stato nel 1999, era come la maggior parte dei quadri superiori 

dell’esercito in contatto stretto con il Pentagono. È lui che ha preso quindi il rischio (ottenendo 

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Dispensa per il corso di Geopolitica Prof. Giuseppe BETTONI  Pagina 11  

un  sostanzioso  finanziamento  per  il  suo  Paese),  di  allearsi  in  qualche modo  agli Americani, 

quanto meno chiudendo  la  frontiera con  l’Afghanistan per  impedire  il  ripiego dei  talebani.  Il 

rischio non era piccolo e  il Generale Pervez Musharraf sfuggì a diversi attentati che venivano 

condotti dalla rete degli islamismi, più o meno clandestini. 

  Se  i  militari  islamismi  avessero  preso  ufficialmente  il  potere  in  Pakistan  e  se  la 

situazione  in Afghanistan si fosse dovuta aggravare,  l’India non sarebbe rimasta senza dubbio 

impotente. Perché sono proprio quei militari pakistani di tendenza islamista che hanno sempre 

alimentato il conflitto con l’esercito indiano nel Kashmir. I due Stati, ricordiamolo, dispongono 

entrambi dell’arma nucleare. 

 

 

3.4 Il contraccolpo degli attentati dell’11 settembre 2001 

 

  Le  cause  della  guerra  nella  quale  gli  USA  si  sono  lanciati  in  Iraq  nel  2003  sono 

molteplici,  ma  vanno  considerate  come  un  contraccolpo  di  quegli  attentati,  purtroppo, 

spettacolari condotti dai kamikaze islamismi per via aerea a New York e a Washington. Le due 

torri  gemelle  colpite  successivamente  in pieno  giorno, distrutte dall’incendio,  crollanti  l’una 

dopo l’altra in diretta TV  in mondovisione, furono un dramma che ha condizionato dall’ora in 

poi  ogni  azione  degli  Americani,  più  dell’attacco  aereo  giapponese  di  Pearl  Harbor  del    7 

dicembre 1941. 

  Occorre  oramai  considerare  nei  ragionamenti  geopolitici  il  fatto  che  la  reazione  di 

tutta la Nazione americana è in larga misura determinata, e senza dubbio ancora per anni, dal 

trauma  del World  Trade  Center  e  dalla  preoccupazione  che  quell’evento  possa  in  qualche 

modo riprodursi. 

  Gorge W. Bush, appena eletto presidente e tra l’altro in modo anche incerto, aveva in 

realtà un programma “isolazionista”, dato che durante la sua campagna elettorale, accusava il 

suo concorrente democratico Al Gore di perseguire la linea del suo predecessore: Bill Clinton. 

  Lo  shock degli attentati dell’11  settembre  trasforma  il personaggio Bush, persuaso, 

dalle  sue  convinzioni  religiose  evangeliste,  nell’incaricato  di  lanciare  una  nuova  “crociata” 

contro  il  terrorismo  islamista.  È  stato  ancor  di  più  spinto  in  questa  direzione  dal  fatto  che 

buona  parte  delle  personalità  del  partito  repubblicano  che  lo  consigliavano  erano    quei 

neoconservatori partigiani della cosiddetta “maniera forte”. La stessa che secondo  loro aveva 

provocato la caduta del comunismo. 

  Questo argomento è sbagliato: Ronald Reagan non aveva replicato con una prova di 

forza all’invasione  sovietica dell’Afghanistan, ma  lo aveva  fatto  con delle  strategie  indirette, 

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Dispensa per il corso di Geopolitica Prof. Giuseppe BETTONI  Pagina 12  

accelerando la corsa all’armamento e fornendo, via Pakistan e Arabia Saudita, dei missili terra‐

aria ai combattenti afgani, facendo così perdere ai Sovietici il controllo dei cieli afgani. 

  In compenso, sono numerosi quelli che  in Europa e nell’insieme del mondo credono 

che la guerra in Iraq si spieghi fondamentalmente con il desiderio delle compagnie americane 

di accedere ai giacimenti petroliferi  iracheni. Probabilmente, ma questo non  implica  il voler 

fare una guerra.  In effetti per avere del petrolio, bastava ai dirigenti Americani, di eliminare 

l’embargo  al  quale  l’Iraq  era  sottomesso  fin  dal  1991  dato  che  Saddam  Hussein  non 

domandava meglio se non vendere i propri idrocarburi. Senza dubbio avrebbe accettato degli 

accordi che permettevano alle compagnie occidentali di partecipare alle  ricerche petrolifere. 

Questo avrebbe permesso di far togliere quel boicottaggio internazionale che lo colpiva fin dal 

1990. L’america ne avrebbe tratto gran profitto, ma non avrebbe potuto sbarazzarsi della sua 

persona.  

  Il concatenarsi dei fatti e delle convinzioni ideologiche ha spinto i dirigenti Americani 

a distogliere  la  loro attenzione verso un altro nemico: Saddam Hussein, Presidente dell’Iraq, 

accusato  di  opprimere  il  suo  popolo  e  di minacciare  la  pace mondiale,  peggio,  era  persino 

sospettato di avere rapporti con Bill Laden, che non era stato nel frattempo possibile eliminare 

in Afghanistan. Molto bene orchestrati, questi pretesti potevano sembrare plausibili. Saddam 

Hussein, malgrado  la  sconfitta  nel  ’91,  era  pur  sempre  al  potere  e  disponeva  di  armi,  si 

credeva, di distruzione di massa. Probabilmente avrebbe avuto la possibilità di procurarsele in 

segreto via Corea del Nord o Pakistan così come avrebbe potuto stabilire un’alleanza con Al‐

Qaeda in modo da vendicarsi degli Americani stessi. 

  In  compenso,  le  conseguenze  pericolose  che  questa  guerra  avrebbe  potuto  avere 

furono passate sotto silenzio dagli Stati Uniti, e questo nonostante la messa in guardia da parte 

delle Nazioni Unite e di governi come  la Francia e  la Germania; persino a dispetto di  riserve 

molto  discrete  di  alcuni  Generali  Americani  i  quali  si  preoccupavano  di  impegnarsi  in  un 

conflitto in un Paese così vasto e con un numero inizialmente limitato di effettivi.  

  Non  ci  fu nulla da  fare.  L’amministrazione  repubblicana di George W. Bush  rimase 

imperterrita,  convinta  della  superiorità militare  degli  USA  e  del  sostegno  popolare  che  gli 

abitanti dell’Iraq gli avrebbero portato, non appena eliminato Saddam Hussein. 

 

 

3.5 La  proiezione  della  potenza  americana  in  Iraq  provoca,  in  una  gran  parte  del 

mondo, una fase grave di tensione geopolitica 

 

  Si sa che principalmente usando  la  loro potenza aerea unita alle tecniche di radar o 

comunque di mira molto sofisticate, gli Stati Uniti hanno  riportato  in  Iraq una vittoria molto 

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rapida  impiegando tutto sommato delle forze relativamente poco numerose.   Agli occhi degli 

strateghi  del  Pentagono,  queste  forze  dovevano  essere  sufficienti,  soprattutto  se  teniamo 

conto della capacità tecnica ultra sofisticata di cui questo esercito americano disponeva.  

  In realtà noi sappiamo quanto è stato lungo il processo di occupazione e di “bonifica” 

del  territorio  iracheno.  Fin  dall’inizio  spazzato  via  Saddam  Hussein  il  disordine  si  è  subito 

rivelato essere un grosso problema dell’Iraq. I rappresentanti Americani a Baghdad evocavano 

fin da maggio  2004  l’eventualità un  ritiro delle  truppe  americane, quindi, ben otto  anni  fa, 

anche se  l’Onu  in realtà ha sempre cercato di continuare a rimanere  in  Iraq sapendo bene  il 

tipo di complessità della situazione sul territorio.  

  La  sovranità  irachena è  stata  rimessa  sulla  carta nel giugno del 2004 a un governo 

formato da personaggi più o meno  legati agli Americani; fino al 2005 ancora non c’erano dei 

mezzi veri e propri per questo governo di poter assicurare il controllo e l’ordine in Iraq. 

  Immaginare,  anche  solo  in modo  parziale,  un  ritiro  completo  delle  forze  NATO  o 

legate  all’Onu,  suscita  non  poche  preoccupazioni  e  soprattutto  delle  grandi  conseguenze 

geopolitiche  nel Medio  Oriente.  Effettivamente  una  sconfitta  occidentale  in  Iraq,  cioè  una 

caduta dell’Iraq nel caos, un’eventuale addirittura esplosione in tre parti del suo territorio (una 

curda,  una  sciita,  una  sunnita)  significherebbe  una  grande  vittoria  per  tutto  il movimento 

integralista islamico nel mondo.  

  La guerra  lanciata dagli Americani  in  Iraq nel 2003 rappresenta per gli  islamismi una 

formidabile  opportunità  per  la  lotta  che  essi  conducono  contro  tutti  quei musulmani    che 

rifiutano di aderire alla causa integralista, una causa che ricordiamolo desidera un’applicazione 

della  Shari’a, a fini politici.    

  Gli  eventi  quindi  dell’Iraq,  costituiscono  un  capitolo  di  questa  grande  lotta  che  si 

sfoggia ormai da anni nei Paesi musulmani, tra  islamismi e musulmani democratici,  lotta non 

sprovvista di contraddizioni dato che, per mantenersi al potere,  le strutture di Stato mettono 

in opera, come in Algeria, delle forme di repressione così violenta che diventano degli alibi per 

i campioni dell’integralismo. 

  È questa situazione che deve essere tenuta presente per la lettura dei fenomeni della 

cosiddetta “primavera araba”. Primavera che ricordiamo ha toccato diversi Paesi, tra cui Libia e 

Egitto che hanno perso entrambi i propri dittatori, ma anche Algeria e Marocco hanno dovuto 

far fronte a delle forti pressioni popolari per vedere ridotto questo potere non democratico.  

  Ancora  oggi  la  Siria  rischia  di  esplodere  in  una  forma  di  guerra  civile.  E,  infatti,  in 

questa  chiave  di  lettura  che  deve  essere  presa  in  considerazione  la  situazione  che  noi 

chiamiamo di “Medio Oriente”, ma che  in realtà riguarda tutta una serie di Paesi musulmani 

che  avevano  una  struttura  di  Stato  certamente  non  democratica,  come Marocco,  Algeria, 

Tunisia, Libia, Egitto per il Nord Africa, ma anche quello che chiamiamo “vicino oriente” e cioè 

Libano, Siria, Arabia Saudita e tutti gli Emirati Arabi  ma anche Iraq, Iran fino all’Afghanistan. Si 

Geopolitica  2012  

Dispensa per il corso di Geopolitica Prof. Giuseppe BETTONI  Pagina 14  

tratta di quella fascia islamica che va dall’Oceano Atlantico fino a tutta l’Asia centrale andando 

ben  oltre  l’Afghanistan  con  il  problema  della  Valle  del  Fergana  che  riguarda  appunto  le  ex 

Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale.  

  La  rivolta  della  primavera  araba  ha  portato  la  riforma  costituzionale  relativamente 

importante in Marocco. Per quanto riguarda Tunisia, Libia, Egitto vediamo invece che si tratta 

di un vero e proprio cambiamento epocale. In Tunisia il dittatore Ben Ali è stato cacciato ed  è 

potuto salvarsi perché fuggito per tempo  in Arabia Saudita e più che altro negli Emirati Arabi 

ma  in questo momento  c’è un  grosso problema di  gestione di potere  in  Tunisia. Anche qui 

alcuni  movimenti  religiosi  islamisti  cercano  di  prendere  il  potere  facendosi  eleggere 

democraticamente, a scapito di partiti di opposizione che secondo alcuni però sono colpevoli 

di aver fatto compromessi con il regime precedente. Ad oggi la Tunisia non è definitivamente 

uscita dalla propria situazione di crisi post‐rivoluzionaria e certamente non può essere definita 

una vera e propria democrazia.  

  Per la Libia  e l’Egitto il discorso è molto diverso. L’Egitto ricordiamo era la patria del 

movimento  integralista  più  antico  che  esista  nel mondo  arabo,  e  comunque musulmano:  i 

Fratelli Musulmani.  La  caduta  di Mubarak  ha  comunque  sollevato  un  grosso  problema  di 

gestione  tra  corpo dei militari quello  che difendeva Mubarak,  il  corpo  laico ma non militare 

dello  Stato  che  si opponeva  a Mubarak  e,  in ultimo,  il movimento più  integralista  legato  ai 

Fratelli Musulmani. Ad oggi  l’Egitto non è ancora riuscito a superare  la fase Mubarak, c’è una 

giunta militare che gestisce il potere e non riesce ancora a transitare definitivamente verso la 

struttura  parlamentare  compiuta,  evitando  inoltre  rischi  di  guerra  civile  soprattutto  se 

ricordiamo  che  il  10%  della  popolazione  egiziana  è  cristiana  di  cultura  copta.  Per  quanto 

riguarda  la Libia  la situazione è ancora più delicata dopo  la tragica guerra civile scatenata da 

Gheddafi e il bombardamento fatto dai Britannici, Francesi ma anche Americani. La morte del 

dittatore ha  condotto  ad una  vera  e propria  confusione.  La dittatura di Gheddafi  riusciva  a 

tenere  insieme  diverse  parti  delle  culture  tribali  libiche. Oggi  la  Libia  ha  un  potere  ancora 

completamente  di  transizione,  sono  le  diverse  bande  armate  che  hanno  fatto  la  guerra  a 

Gheddafi  che  in  realtà  detengono  il  potere,  senza  essere  riusciti  ad  accordarsi  su  una 

transizione, seppur tribale,  verso un potere istituzionale corretto e legale.  

  Resta  ancora  la  questione  del Medio Oriente,  particolarmente  quella  della  Siria.  Il 

dittatore Bashar al‐Assad, che è uno dei punti chiave del potere nel Medio Oriente, ad oggi è 

abbandonato completamente dalla Lega Araba, continua a bombardare  i suoi stessi cittadini 

nella  città  di  Homs,  senza  però  riuscire  a  trovare  un’eventuale  via  di  sbocco.  Sembra 

ragionevole  immaginare  che  Bashar  al‐Assad  oramai  abbandonato  anche  dalla  Lega  Araba 

lascerà  il potere. Non si sa quando e con quali conseguenze. Occorre ricordare che  la Siria ha 

un problema enorme di frontiere con  la Turchia, con Israele, ma soprattutto, è  il finanziatore 

principale di buona parte dei movimenti integralisti degli hezbollah del Sud del Libano.  

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Dispensa per il corso di Geopolitica Prof. Giuseppe BETTONI  Pagina 15  

  In poche parole la Siria insieme all’Iran rappresentano oggi i punti più delicati e meno 

prevedibili  dell’evoluzione  futura  di  tutto  il  sistema  islamico  che  va  dall’Asia  centrale 

all’Atlantico. 

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4. Geopolitica del Mediterraneo 

L’importanza e la storicità delle relazioni tra i differenti settori delle due grandi facciate del Mediterraneo  euro‐arabo,  l’antico  confronto  tra  l’uno  e  l’altro, ma  anche  questa  tanto discusso  rilancio di un grande conflitto  tra civiltà  (cosa che non esclude gli  sforzi destinati a stabilire una complementarità tra nord e sud), tutto questo incita a ragionare in modo globale, ma analizzando l’estrema diversità delle situazioni geopolitiche di ciascuna di essere. 

Il  Mediterraneo  è  in  qualche  sorta  per  ogni  cittadino  un  eccellente  campo  di allenamento alla geopolitica, dato che il suo studio ci obbliga a tener conto della localizzazione di una grande diversità di eredità storica e a far combinare dei rapporti di forza di dimensioni molto  diverse,  partendo  da  conflitti  locali  e  arrivando  a  conflitti  planetari;  basti  pensare  al conflitto per il petrolio oggi. 

Vedremo che occorre anche prevedere un  insieme Geopolitico Mediterraneo ben più esteso in modo da includere i Paesi del Medio oriente e le lotte che sono ancora in corso oggi. Questo ampliamento a Est, di quello che possiamo chiamare,  in  senso geopolitico,  il mondo Mediterraneo, non fa altro che ricordarci l’estensione dei grandi imperi fin dall’antichità, come quello dei Persiani o quello di Alessandro, ma anche gli Abbasidi e quello degli ottomani con la sua  implosione  nel  1920  e  la  sua  frammentazione  nelle  frontiere  attuali.  Tuttavia,  se  il ragionamento geopolitico permette  retrospettivamente di meglio  comprendere  le  rivalità di potere,  la difficoltà  è  ancor più  grande per  i problemi  geopolitici  attuali,  che  sono  in piena evoluzione e dove possono prodursi cambiamenti inattesi. 

La  maggior  parte  delle  numerose  tensioni  geopolitiche  che  si  manifestano  nel mediterraneo sono quelle che derivano da rivalità tra poteri territorialmente vicini gli uni agli altri  (Israeliani  e  Palestinesi,  Turchi  e  Curdi,  Catalani  e  Castigliani,  serbi  e  Bosniaci).  Non corrisponde  molto  all’immagine  geopolitica  che  spesso  abbiamo  del  Mediterraneo.  Esso sarebbe  luogo di un  grande  scontro  tra Nord e  Sud, quest’ultimi dovrebbero essere  “sotto‐sviluppati” in seguito alla dominazione coloniale esercitata su di essi dai Paesi del Nord. 

Le  conseguenze  di  questa  colonizzazione  non  sarebbero  mai  scomparse.  In  realtà questa  rappresentazione  è  considerata  solo da  islamisti  integralisti o dai  “neo‐conservatori” americani dall’altra, un Mediterraneo parte del mondo dove si consumerebbe quello scontro tra civiltà. 

4.1 Il Mediterraneo insieme geopolitico molto particolare 

Il  Mediterraneo  è  mondialmente  conosciuto  in  quanto  insieme  geopolitico  ed  è d’altronde il solo grande insieme geopolitico che sia designato dal nome di una distesa marina. Questo  è  il quadro naturale dove  funziona da  secoli oramai un  vero  e proprio  sistema  che possiamo chiamare “fenomeno mediterraneo”. Questo può essere definito dalla molteplicità delle  interazioni dirette per via marittima tra  i numerosi paesi situati  intorno a questa stessa distesa  di  mare,  dei  passaggi  e  degli  distretti  verso  gli    oceani  ne  facilitano,  inoltre,  gli interventi navali venuti da altre parti del mondo. E’  ispirata da questo modello  l’espressione 

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Mediterraneo americano che è  sicuramente meno conosciuto,    lo chiamiamo più  facilmente Mediterraneo  delle  Antille  o  dell’America  Centrale.  Quanto  all’espressione  Mediteranno asiatico, essa suscita la collera del governo cinese che esige che si parli solo di Mar della Cina del sud. Il Baltico anche è un mare quasi completamente chiuso, ma è sette volte più piccolo e non si estende che tra paesi europei le cui culture sono molto simili,  quando il Mediterraneo è lungo quattromila chilometri e si trova chiuso tra tre continenti. E’ questo che noi chiamiamo  Mediterraneo euro‐arabo o euro‐musulmano. 

Con Stati di diversa dimensione,  il Mediterraneo è considerato oggi come un  insieme geopolitico. Tuttavia, si tratta di un insieme geopolitico molto particolare, dovuto al fatto non solo  di  questa  stessa  distesa  di mare  che  ne  occupa  il  centro, ma  anche  e  soprattutto  in ragione  delle  grandi  differenze  che  oppongono  la  parte  nord  alla  parte  sud  delle  sue  rive. Queste sono molto diverse dato che a nord, l’Europa, oggi Unione Europea, e a sud l’Africa, il mondo arabo e più in maniera generale in mondo musulmano. Ciascuna di queste rive fa parte dell’insieme  continentale  o  geopolitico  di  cui  è  bordo marino, ma  è  anche  frontiera  della distesa  di mare.  In  tutto  il   mondo  gli  altri  grandi  insiemi  geopolitici  sono  principalmente terrestri; non sono continui  intorno a una grande distesa marina e soprattutto non  includono più delle periferie di  insiemi  tanto diversi, persino  antagonisti  (come  accadeva negli  antichi imperi).  E’  esattamente  il  contrario  per  quanto  riguarda  il Mediterraneo  che  è  nei  fatti  un insieme  formato  intorno  al  mare    da  parti  terrestri  molto  diverse  geograficamente  (a esclusione  della  somiglianza  climatica).  Certo  abbiamo  delle  rappresentazioni  che  sono soggettive, ma in geopolitica questi tipi di grandi discorsi che invocano la Storia, la religione e la  civiltà  hanno  una  grande  importanza.  Il  Mediterraneo  può  essere  concepito  come  un insieme antagonistico,  formato dalle  relazioni conflittuali permanenti che esistono  tra due o più  sottoinsiemi:  un  fronte  tra  due  eserciti  o  un  fronte  tra  due masse  d’aria  sono  anche considerati come degli insiemi.  

Per vedere più chiaramente il tutto, possiamo fare riferimento al ragionamento di base dei matematici,  ai  rudimenti  della  teoria  degli  insieme  e  applicarla  particolarmente  a  degli insiemi spaziali. E’  intellettualmente  legittimo di formare con  il pensiero con dei paesi situati intorno  al  Mediterraneo,  un  insieme  più  vasto  nominandolo  Mediterraneo  o  insieme Mediterraneo:  il mare  a  quel  punto  ne  diventa  il  sottoinsieme.    Ciò  detto,  esiste  un  altro insieme geopolitico che è stato ufficialmente costituito da una parte e dall’altra di una distesa marina ancor più vasta. Si tratta della NATO che è un insieme geopolitico, più particolarmente militare,  associante  degli  Stati  situati    da  parte  ed  altra  dell’Atlantico  del  Nord. Ma  questi diversi  Stati  sono  alleati  e  condividono  dei  valori  comuni,  o  almeno,  una  opposizione fondamentale a un avversario comune.   Non è per niente  il caso del Mediterraneo  i cui Stati della  facciata  nord,  ivi  compresa  la  Turchia,  fanno  tutti  parte  della  NATO  a  eccezione dell’Albania; gli Stati della ex‐ Jugoslavia erano sotto controllo o protezione delle truppe della NATO. Costituito contro l’Unione Sovietica all’inizio della Guerra Fredda,  la NATO guarda oggi verso sud e verso  il Medio Oriente, verso  il mondo arabo e musulmano. Le forze della NATO sono oramai ufficialmente  impegnate  in Afganistan contro  i  talebani.    Il Mediterraneo è una zona di  contatto, più o meno  conflittuale,  tra alcune aree di  civiltà diverse,  seppur  in  realtà queste zone di contatto riguardino solo le loro rispettive periferie. Il mondo musulmano che si 

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distende per  la parte più  importante sulla parte nord dell’Africa e sud dell’Asia, su un arco di dodicimila chilometri che va dall’Atlantico al Pacifico, è più in contatto (anche conflittuale) con il mondo  indiano e  il mondo  cinese e  su un arco di  cinquemila  chilometri  con  l’Africa nera. Mentre  l’area  della  civiltà  europea  (quella  chiamata  mondo  cristiano)  è,  come  sappiamo, formato di due grandi  sottoinsiemi, da una parte  l’America del nord e  sud ed è  lontano dal mondo musulmano,  e  dell’altra  parte  l’Europa  che  invece  è  vicina  su  uno  dei  suoi  lati  col mondo musulmano. Se rappresentiamo in modo schematico l’Europa con un rettangolo, il lato sud corrisponde al Mediterraneo e al Mar Nero. Occorre notare che  il  lato est del rettangolo, quello  che  va  dagli  Orali  al  Caucaso,  è  segnato  (cosa  raramente  ricordata)  da  una  grande avanzata verso nord del mondo musulmano, cosa che potrebbe tagliare in due l’immenso stato della  Russia.  Certo,  soprattutto  nei  giorni  nostri  dove  delle  violente  proiezioni  di  potenza possono  farsi  a  migliaia  di  chilometri,  le  grandi  distanze  che  separano  i  grandi  insiemi geopolitici  non  significano  assenza  di  conflitto  tra  forze  politiche  ufficiali  o  clandestine  che pretendono essere o di un lato o dell’altro lato. Ne sono la prova la Guerra del Golfo (1991), gli attentati del 20 settembre, e soprattutto la guerra d’Iraq dal 2003. 

 

4.2 Il famoso scontro delle civiltà 

Prendendo  pretesto dal  conflitto  Israele  –arabo  a  proposito delle  Palestina,  il quale riguarda solo una parte dei suoi territori, seppur carichi di valore geopolitico ma di dimensioni minuscole comparate alle dimensioni del mondo arabo, le imprecazioni dei movimenti islamisti contro  gli  ebrei  e  i  cristiani  hanno  riportato  alla memoria  conflitti  religiosi  del Medioevo. Questi sono stati modernizzati nel concetto e rilanciati   sotto una forma  laicizzata di conflitto tra civiltà. Questo è  il termine neutrale scelto dal politologo americano Samuel Huntington per trattare,  in  linea di massima  sul piano planetario, delle  religioni e dei conflitti nel  suo  testo. Un’opera che ha provocato   grande emozione  in tutto  il mondo. Gli attentati del World trade Center sono stati considerati come illustrazione drammatica di quello che veniva teorizzato da Huntington quattro anni prima.  

Le sue tesi furono prima di tutto rifiutate nel mondo intellettuale europeo e americano che  preferivano  invece  parlare  dell’unità  delle  “religioni  del  libro”. Ma  anche  la  diplomazia americana  che  giudicava  fastidioso  l’evocare nei media una  specie di  scontro  tra  cristiani  e musulmani cinque anni dopo la Guerra del Golfo erano in realtà contro questo libro. Dopo gli attentati  le  tesi  di  Huntington  furono  giudicate  premonitrici, ma  soprattutto  fin  dall’inizio avevano  suscitato  negli  ambienti  islamisti  integralisti  grande  entusiasmo.  Secondo  questi, avevano  così  la  conferma  che  il mondo  giudeo‐  cristiano  conducesse  una  guerra  di  lungo periodo contro il mondo musulmano. Così avevano il diritto di controbattere.  

Va  ricordato che questa  formula  famosa, “  scontro di civiltà”  lascia  intendere che  in realtà  le due  civiltà  fossero unite e  compatte, una  contro  l’altra. Da notare  che Huntington passa quasi sotto silenzio, nel suo libro, il conflitto tra israeliani e palestinesi. Allo stesso modo non tratta quasi per nulla dei conflitti tra India e Pakistan, dove i musulmani sono numerosi. In realtà  Huntington  parla  particolarmente  di  un  conflitto  tra  mondo  musulmano/mondo 

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cristiano, che considera in realtà come conseguenza del sempre più grande numero di giovani musulmani, legato alla grande crescita demografica delle società mussulmane. E’ questo quindi lo  shock dello  scontro delle  civiltà  che dovrebbe portare  a un nuovo modello mondiale: un sovraccarico demografico del mondo musulmano, che è effettivamente  triplicato negli ultimi quarant’anni. Sarebbe la causa della spinta che si eserciterebbe sul mondo cristiano. Come una placca  tettonica,  l’islam  sovraccarico  e  sovrappopolato  respingerebbe  quindi  la  placca  della civiltà europea chiamata civiltà nord americana. 

Il cosiddetto “scontro delle civiltà” sarebbe quindi dovuto alla pressione demografica ineguale.  Ma  il  mondo  musulmano,  con  oltre  1,5  miliardi  di  abitanti,  la  cui  superficie  è considerevole (soprattutto in Africa), ha una densità Km2 ancora molto debole (salvo il caso di Java  e  del  Bangladesh),  cosa  spiegata  dalle  enormi  distese  desertiche  o  di  steppe,  facendo concentrare la popolazione in spazi relativamente ridotti come la vallata del Nilo. Ma il Mondo Arabo,  cioè  la  parte  della  popolazione musulmana maggiormente  coinvolta  dal  fenomeno dell’aridità,  è molto  ridotto  contando  poco  più  di  250 milioni  di  abitanti.  Una  dimensione debole  per  poter    giustificare  l’espansione  di  tutto  il mondo musulmano  il  quale  invece  è toccato più nella sua parte ricca di acqua e tropicale (Pakistan, Bangladesh, Indonesia, Nigeria). Ma cosa ancora più importante, le risorse del mondo arabo non sono legate solo all’agricoltura dato  che  dispone  delle  riserve  di  idrocarburi  più  ricche  del mondo.  Addirittura  alcuni,  nel mondo musulmano, le chiamano “dono di dio”. Questo permette al mondo arabo delle entrate sostanziose:  la  tesi  secondo  la  quale  quel  reddito  sarebbe  accaparrato  dalle  compagnie petrolifere occidentali è falsa.  Infatti quel petrolio è stato nazionalizzato da oltre vent’anni  in tutti i Paesi Arabi (e sono i più ricchi di questi Paesi che finanziano i terroristi musulmani).  

Huntington,  nella  sua  spiegazione  dello  scontro  delle  civiltà,  ripone  tutto  sul  sotto‐insieme arabo e in parte iraniano (anche questo Paese ricco di idrocarburi): ben poca cosa, con il suo quarto di miliardo, per poter spiegare tutta la sua dinamica di conflitto di civiltà.  

I segni di questa conflittualità esistono, ma sono più che altro presenti nella periferia di quest’insieme  musulmano,  laddove  c’è  contatto  con  altre  civiltà  e  soprattutto  sul  fronte settentrionale del mondo Arabo, cioè proprio nell’insieme geopolitico  Mediterraneo. 

Quindi,  piuttosto  che  evocare  le  cause  generali  di  una  espansione  del  mondo musulmano, è necessario analizzare precisamente  i diversi problemi geopolitici che si hanno nel  Mediterraneo,  dato  che  molti  di  questi  si  ripercuotono  tra  loro  e  si  accavallano.  E soprattutto non dobbiamo dimenticare che numerosi di questi conflitti si svolgono all’interno degli stessi Paesi Arabi (come nel caso dell’Algeria con la guerra civile del 1992‐2002). Seppur non dobbiamo trascurare  l’eco mondiale e  il suo effetto di questo concetto di “scontro delle civiltà”. 

4.3  Una  serie  di  conflitti  geopolitici  all’interno  del  mondo musulmano tra Stato e movimenti islamisti.  

Il libro di Huntington è stato oggetto di commenti molto favorevoli nell’ambiente degli integralisti  islamici  di  tutti  i  paesi.  Infatti  rafforza  implicitamente  il  loro  discorso  quanto 

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all’opposizione fondamentale tra le due “civiltà” dei due “mondi”, il mondo” giudeo‐cristiano” che  avrebbe  secondo  loro  l’obiettivo di nuocere  sistematicamente  al mondo musulmano  in tutti i modi, attizzandone le divisioni, e combattendolo con la guerra come in Iraq, soprattutto pervertendolo. Questo discorso  islamista ha come obiettivo prima di tutto di convincere e di obbligare  l’insieme  dei  musulmani  al  fatto  che  devono  conformarsi  alla  sharia  (la  legge coranica) e che devono allontanarsi da ogni forma di modernizzazione occidentale (al di fuori dei  mezzi  tecnici).  A  seconda  dei  vari  paesi  a  cui  facciamo  riferimento,  esistono  diversi movimenti  integralisti  islamici,  il  più  antico  dei  quali  è  senza  dubbio  quello  dei  fratelli musulmani nato in Egitto e divenuto il suo principale protagonista fin dagli anni venti. Questo movimento  alla  sua  nascita  si  batteva  contro  l’influenza  occidentale  in  Egitto. Ma  c’è  stata anche una conseguenza  legata ai cambiamenti politici che si sono prodotti  in Turchia dopo  la sconfitta  della  Prima  Guerra  mondiale.  I  fratelli  musulmani  denunciarono  l’abolizione  del califfato fatta da Mustafa Kemal, il quale decise di laicizzare la società turca e di rompere con i paesi arabi del Medio Oriente, colpevoli per Kemal di aver tradito l’Impero Ottomano durante la Guerra Mondiale, prendendo parte alla “  rivolta araba”  (1916)  fomentata dai britannici.  Il movimento  dei  fratelli  musulmani,  dopo  la  Seconda  Guerra  mondiale  agli  inizi  degli  anni cinquanta, entra  in conflitti con  il regime egiziano del colonnello Nasser colpevole per  loro di combinare  nazionalismo  arabo  con  socialismo.  La  dura  repressione  di  cui  furono  vittime  i fratelli musulmani, diede loro l’immagine di democratici ingiustamente oppressi da un regime. E  fu  in  quel  periodo  che  gli  slogan  che  spingevano  a  imporre  la  sharia  come  sola  forma  di organizzazione della  società mussulmana,  che  iniziarono ad avere eco all’interno del mondo intellettuale egiziano, più di quanto ormai non riuscissero gli slogan marxisti. Ma ancora di più fu  lo  stimolo nell’islam  sciita  fu  la  rivoluzione  radicale del 1979, condotta dal clero  iraniano, contro  lo  shah  dell’Iran,  colpevole  di  modernizzare  in  modo  autoritario  il  proprio  paese. Questo  spinse gli  islamisti anche  sunniti a portare avanti una politica di  islamizzazione nella propria  azione  politica.  Ma  la  massa  dei  musulmani  soprattutto  delle  città  (2/3  della popolazione) e degli  intellettuali non  intendevano  rinunciare, per  conformarsi alla  sharia,   a tutta una serie di  idee e di pratiche sociali   che, non esistendo all’inizio dei  tempi dell’islam, non  erano  interdette  direttamente  dal  Corano,  imponendosi  progressivamente  con  la diffusione della  cultura occidentale all’epoca della  colonizzazione. Si viene  così a  creare una sorta  di  concorrenza    che  prende  delle  forme  sempre  più  violente  per  il  controllo  delle istituzioni  statali  tra  gli  intellettuali musulmani  “occidentalizzati”  e modernizzatori, ma  che denunciano  l’imperialismo  occidentale,  e  quegli  intellettuali    islamisti  che  usano  come  un dogma  politico  la  lettura  che  essi  fanno  del  Corano,  per  imporre  la  loro  autorità  alla popolazione.  Il  grande  argomento  degli  islamisti  è:  denunciare  le  manifestazioni dell’imperialismo occidentale,  il suo sostegno a  Israele e  l’invasione dell’Iraq è, d’altra parte, accusare  i media  occidentali  e  le  idee  che  diffondono,  di  pervertire  le  donne mussulmane incitandole a non rispettare in modo stretto le regole della sharia.  

Altro argomento che sviluppano gli islamisti: vogliono ristabilite il califfato, il comando di tutti i musulmani abolito da Mustafa Kemal nel 1923; ma soprattutto vorrebbero ricostruire l’identità  geopolitica  dell’”umma”  cioè  la  comunità  dei    musulmani,  unità  che  sarebbe, secondo  loro,  stata  sistematicamente  distrutta  dalle  colonizzazioni  per  indebolire  il mondo 

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musulmano.  Certamente  questa  tesi  si  basa,  giustamente,  sulla  ripartizione  tra  britannici  e francesi  del  Medio  Oriente  all’indomani  dell’implosione  dell’Impero  Ottomano,  trovando pretesto  nei  “mandati”  che  erano  affidati  loro  dalla  Società  delle  Nazioni.  Al  contrario  le frontiere dei vari stati del Maghreb (a esclusione delle regioni sahariane) sono estremamente antiche;  tra  l’altro avallate dall’Impero Ottomano,  sono  state  semplicemente  recuperate dal colonizzatore  francese.  Detto  ciò  il  discorso  degli  islamisti  sul  ristabilire  l’unità  geopolitica dell’umma cade sull’esistenza, ormai da diversi anni, di Stati diversi che sono divenuti membri dell’ONU.  L’importanza dei movimenti  islamisti è diversa da paese a paese,  secondo  le  loro caratteristiche geopolitiche, e si scontra a una diversa resistenza da parte del sistema statale. Era  il  caso  sicuramente  per  l’Egitto  e  la  Tunisia.  Resta  ora  da  vedere  come  riusciranno  ad evolvere  questi  due  paesi.  La  Tunisia  ha  dato  per  ora  una maggioranza  relativa  al  partito islamista nella  gestione del proprio potere,  senza però  scivolare  verso una dittatura di  tipo iraniano.  L’Egitto  resta  ad  oggi  privo  di Mubarak,  sotto  il  controllo  di  una  giunta militare. L’obiettivo  sarebbe  quello  di  giungere  a  delle  elezioni  democratiche.  Occorre  però  porsi  il problema sulla carta dei limiti geopolitici di questi due mondi: quello arabo‐musulmano, quello giudeo‐cristiano.  In  effetti,  spazialmente,  i problemi non  sono  semplici, oltretutto  carichi  di valore; ciascuno di  loro è oggetto di sentimenti e di discorsi contraddittori. Mentre si discute correntemente  in  termini  di  insiemi  spaziali, mondo musulmano mondo  cristiano  o mondo europeo,  limitandosi  a  schizzare  delle  delimitazioni  schematiche,  tracciarne  sulla  carta  del Mediterraneo i limiti precisi è un’operazione ben più delicata, ma è indispensabile. In effetti, il mare non è una sorta di no man’s land, non lo è mai stato e negli ultimi decenni del ventesimo secolo,  i movimenti migratori da sud verso nord, hanno   assunto dimensioni considerevoli. A sud una gran parte della popolazione, soprattutto urbana, usa quotidianamente delle vestigia positive o negative delle colonizzazioni (a cominciare dall’uso della lingua) e attraverso la radio e la televisione, la popolazione è informata su quello che accade in Europa, dove vivono molte delle loro famiglie. Oggi decine di milioni di uomini e donne di cultura mussulmana vivono del nord del Mediterraneo. Alcuni sono ormai europei veri e propri potremmo dire, perché sono nati  come  i  loro  antenati  su  quella  terra,  per  esempio  nei  Balcani  (Bosnia,  Albania,)  o  nei quartieri di  Istanbul,  la parte  europea di questa  Turchia,  la  cui domanda di  adesione  all’UE solleva tanti dibattiti. Ma sono nati anche in Europa occidentale sei milioni circa di persone di cultura mussulmana, con genitori venuti da Maghreb, Turchia, Medio Oriente  oppure Pakistan e Bangladesh. A questi dobbiamo aggiungere almeno altri sei milioni di musulmani che sono immigrati  in  tempi  recenti.  Oltretutto  in  Europa  queste  persone  si  concentrano prevalentemente in grandi agglomerazioni urbane e ancora più precisamente in certi quartieri del centro o della periferia. 

Questo solleva non pochi problemi geopolitici e a livello locale anche molto gravi; non solo per i cosiddetti europei di origine, ma anche e soprattutto per gli islamisti. In effetti questi ultimi  temono  che nelle  grandi  città  europee,  i musulmani pratichino  sempre meno  la  loro religione,  lasciandosi  andare  a  dei  costumi  di  tipo  occidentale.  E’  un  pericolo molto  alto, secondo loro, anche perché avrebbe un eco molto importante nei paesi da cui queste persone vengono. Così gli islamisti non sono favorevoli all’immigrazione dei musulmani in paesi che non lo  sono.  Detto  ciò  sempre  più musulmani  emigrano,  e  la  soluzione  islamista  consiste  nel 

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favorire il loro raggruppamento in quartieri dove sono sempre più maggioritari e dove la sharia potrebbe essere addirittura praticata, di fatto, se non ufficialmente nel diritto. Già oggi questo pone un grosso problema geopolitico che, pur ponendosi  su  territori  ridotti,  riguardano una quantità molto importante di popolazione. 

 

5. Questione di  Metodo 

Occorre chiaramente distinguere il mar Mediterraneo, la distesa marina con le sue rive e dal tracciato più o meno complicato , da ciò che correntemente nei media e nelle riflessioni di  geopolitica  viene  indicato  come  “il  Mediterraneo”  e  cioè  l’insieme  dei  Paesi  che  lo circondano. Questo insieme mediterraneo e ben più esteso che la semplice distesa marina e le regioni più vicine alle sponde. Prima di tutto perché alcuni di questi Stati si affacciano anche sull’Atlantico  (Marocco,  Spagna,  Francia).  I  loro  territorî  si  estendono  fino  a  migliaia  di chilometri  lontano dalle coste mediterranee e,  se  sembra evidente distinguere una Francia  , per esempio, mediterranea da una Francia atlantica a causa di clima, paesaggio, cultura, ecc., occorre  considerare  il  peso  complessivo  dello  stesso  Paese.  Allo  stesso  tempo  occorre considerare implicitamente l’insieme mediterraneo fino a 2.000 Km all’interno del Sahara, per  tener conto dei giacimenti petroliferi  che sono una caratteristica geopolitica dell’Algeria, della Libia. 

Questo Mar Mediterraneo  i cui contorni complessi, soprattutto al nord, sono  il frutto di  scontri  tettonici,  è un dato della Geologia.  Si  tratta di un  insieme naturale dai  limiti ben precisi e che noi non possiamo, su di una carta, modificarne i contorni. 

 

5.1 Formare degli insiemi mediterranei più o meno estesi 

Sulla  carta,  intorno  al Mediterraneo,  possiamo  raggruppare  dei  Paesi    dando  vita  a degli insiemi, almeno nella nostra immaginazione, più o meno estesi in funzione dei dei punti di  vista  e  dei  diversi  ragionamenti  (per  esempio  in  funzione  d’una  caratteristica  climatica comune,  come  l’aridità  estiva). A  quel  punto  otterremmo,  sempre  sulla  carta,  degli  insiemi  accavallati gli uni agli altri e che, a titolo diverso, definiremo come mediterranei. 

Ma possiamo anche formare un insieme prendendo non solo in considerazione gli stati che sono direttamente sulle rive del Mediterraneo.  Per esempio possiamo considerare anche gli  Stati e  le  forze  che  vi hanno una  grande  importanza nelle  situazioni  geopolitiche  situate sulle sponde di questa distesa marina. Per meglio comprendere il ruolo dei piccoli stati costieri del  vicino  oriente,  come  Libano, ma  anche  Siria, Giordania,  è  indispensabile  considerare  gli Stati situati ben più all’Est:  l’Iraq con  le sue conseguenze possibili del suo conflitto, ma anche l’Iran,  questo  stato  islamico  il  cui  presidente  dichiara  apertamente  che  “occorre  cancellare Israele  dalla  Carta  geografica”.    Occorre  considerare  l’Arabia  saudita  la  cui  frontiera  più occidentale (nel Golfo di Aqaba) è solo a 200 Km dalle coste del Mediterraneo e a 250 Km dal 

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Canale  di  Suez.    Kabul  certo  si  trova  a  4.000  Km  dal Mediterraneo, ma  sappiamo  tutti  che quello  che  vi  sta  accadendo  dal  2001  ha  un’importanza  enorme  per  il Mediterraneo  e  per l’Europa.   Questo per  il  ruolo dei Talebani, per al‐Qaida, ma  soprattutto perché  il 90% della produzione  mondiale  di  eroina  viene  dall’Afghanistan  giunge  a  noi  attraverso  un  circuito mafioso che parte dalle catene montuose del Sud dell’Asia centrale, passando per il Caucaso, la Turchia e i Balcani . 

Va  sempre  tenuto  presente,  nella  costruzione  di  un  grande  insieme  geopolitico Mediterraneo,  integrare  il  fatto  che  questi  diversi  Stati  del Medio  Oriente,  che  non  sono direttamente affacciati sul Mar Mediterraneo, ma che invece fanno parte del mondo Arabo .e musulmano, detengono un dato geologico e geopolitico capitale: la ricchezza degli idrocarburi. La più importante riserva si trova nella zona di subduzione Mesopotamica, dove quella placca he è l’Arabia sprofonda sotto quella iraniana. 

I  Paesi  che  noi  possiamo  includere  nell’insieme  Mediterraneo  possono  essere caratterizzati  da  dati  climatici molto  comparabili:  lungo  periodo  di  aridità  e  forte  caldo  in estate.  Sono  le  caratteristiche  del  clima  che  i  geografi  chiamano  “mediterraneo”e  che  si estende dal Sud della Spagna e del Portogallo e che arriva fino all’Afghanistan, cioè una zona climatica di 8.000 Km di estensione. Oltre Jalalabad, vicina al Pakistan, cominciano  i Paesi dei Monsoni,  dove  l’estate  è  la  stagione  della  pioggia.  A  questo  proposito  occorrerebbe considerare meglio  gli  effetti  provocati  dal  riscaldamento  climatico  del  pianeta.    In  questa parte  del mondo  questo  probabilmente  aumenterebbe  l’effetto  dell’aridità,  della  siccità.  Le regioni meridionali che devono già far fronte a un’estate senza pioggia e molto calda, l’aridità diventerebbe  ancora più  forte  e questo mentre  il peso demografico  sta  aumentando. Delle rivalità  geopolitiche  nuove,  legate  al  controllo  dell’acqua  (già  scarsa)  aumenterebbero  tra  i diversi Stati e molto probabilmente anche tra i loro stessi territori interni. 

Questo  insieme Mediterraneo  ci  spinge  a  considerare  anche  il  Portogallo,  benché  i Portoghesi  amino  definirsi  unicamente  come  Atlantici.    La  siccità  estiva  del Mediterraneo colpisce  fortemente anche  la parte meridionale del  loro Paese.  I portoghesi, grazie alle  loro importanti  sedizioni  navali,  hanno  sempre  giocato  un  ruolo  importante  nel Mediterraneo, trascinando  con  loro,  oltretutto,  Castigliani    e  Italiani  alla  scoperta  del mondo  attraverso l’Atlantico. Alla  fine, da una parte all’altra del mediterraneo che conta 4.000 Km, è utile per vederci più chiaro, estendere a più di 7.000 Km  la dimensione del grande  insieme geopolitico mediterraneo. Dobbiamo quindi contare una trentina di Stati diversi.