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Geopolitica 2012
Dispensa per il corso di Geopolitica Prof. Giuseppe BETTONI Pagina 1
1. La guerra fredda
Nei nostri giorni, si descrive spesso la potenza degli USA come se la guerra fredda con
l’Unione Sovietica non avesse mai avuto luogo.
I giovani di oggi non avevano che pochi anni quando la rivalità tra Est e Ovest prese
fine e quando, nel 1991, l’Unione Sovietica è implosa. Non si può capire l’enorme potenza
militare degli USA di oggi se non si tiene conto di questo lungo periodo, quasi 40 anni, durante
il quale gli USA si sono opposti a quello che loro consideravano, giusto o sbagliato che potesse
essere, come il rischio di espansione del comunismo sovietico in Europa e nelle altri parti del
mondo.
Fortunatamente, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, non si sono mai fatti la guerra
direttamente. Queste due potenze detengono entrambe l’arma atomica e questo avrebbe
avuto certamente conseguenze spaventose sull’insieme stesso dell’umanità visto che
potevano lanciarle a migliaia di chilometri di distanza. La distruzione di una gran parte
dell’Europa, delle grandi città della Russia, ma anche indirettamente le ricadute radioattive che
avrebbero avuto luogo avrebbero praticamente reso invivibile il pianeta. I dirigenti Americani e
Sovietici hanno avuto la saggezza di non scatenare questa guerra, malgrado i pericoli ai quali
essi stessi hanno dovuto far fronte in diverse circostanze.
È per questo motivo che si è parlato di “guerra fredda” basata su quello che
chiamavamo l’”equilibrio del terrore”: grazie ai radar situati nell’Artico, il lancio dei missili da
uno di due campi avrebbe significato sicuramente la risposta immediata dell’altro. Ma questa
“guerra fredda” non ha escluso delle manovre geopolitiche indirette; ciascuna delle due
superpotenze si è impegnata in conflitti locali di cui alcuni sono diventati delle vere e proprie
guerre, ma senza che l’altro avversario intervenisse direttamente, per evitare una guerra
mondiale.
1.1 Perché la guerra fredda?
Retrospettivamente, non è inutile in effetti chiedersi perché USA e URSS si sono
opposti per decenni. Certo, l’ideologia dei bolscevichi che nel 1917 prendono il potere in
Russia, predicava la rivoluzione proletaria a livello mondiale contro il capitalismo, e gli USA
all’inizio degli anni ’20, apparivano come il Paese dove questo capitalismo era in piena
fioritura. Ma a differenza della maggior parte dei dirigenti Inglesi e Francesi, che dopo la prima
guerra mondiale desideravano una grande crociata contro il bolscevismo, i dirigenti Americani
si opponevano perché non condividevano questo punto di vista.
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Rockefeller approfitta così della scomparsa del petrolio di Baku sul mercato europeo
per asportare il suo petrolio in Europa. Delle grandi aziende americane hanno anche apportato
il loro aiuto all’URSS, notoriamente per la costruzione di fabbriche di automobili di famose
grandi dighe. È anche vero che negli USA la classe operaia, senza dubbio in ragione anche delle
sue convinzioni religiose in seno alla società americana, appariva molto meno sensibile al
marxismo di quanto invece non lo potesse essere negli altri Paesi europei.
Quanto ai dirigenti Sovietici, firmando il Patto germano‐sovietico dell’agosto del ’39,
mostravano che non rifiutarono un’intesa con una potenza capitalista che fino a quel
momento si era proclamata avversaria del più radicale comunismo. È stato l’improvviso
attacco tedesco nel giugno del ’41 che obbligò Stalin a rinunciare a questa che possiamo
definire un’illusione.
Nel dicembre del ’41, dopo il Giappone, Hitler ha dichiarato la guerra agli USA, e
questi si trovano alleati senza volerlo dell’URSS e che aiutavano già comunque nello sforzo di
guerra.
Alla conferenza di Yalta del febbraio del ’45, le relazioni tra Americani e Sovietici sono
sufficientemente buone perché questi possano intendersi sull’entrata in guerra dell’URSS
contro il Giappone nei tre mesi successivi, come anche sono d’accordo sulle nuove frontiere
con la Polonia. L’accordo non portava come si è sempre detto dopo sulla divisione dell’Europa,
ma sulla messa in moto di governi democratici nelle zone di occupazioni delle differenti eserciti
alleati in Europa. Nei Paesi che erano stati occupati dall’armata rossa, i Sovietici trasformano
immediatamente la nozione di “regime democratico” in regime controllato da un solo partito,
il partito comunista che era do obbedienza sovietica e che annunciava il regime di “democrazia
popolare”.
Nel marzo del ’46, Winston Churchill nel suo discorso agli Stati Uniti, aveva
denunciato quello che chiamò la “cortina di ferro” che i Sovietici avevano appena stabilito
attraverso tutta l’Europa per impedire i contatti tra Est e Ovest. Ma gli americano
continuavano a mantenere delle relazioni relativamente cortesi con l’URSS, dato che all’inizio
del ’48 proponevano loro, come ai Paesi “occupati”, di godere dell’aiuto americano per la
ricostruzione: il famoso piano Marshall. Stalin si oppone e vieta agli Stati dell’Europa centrale
che ormai erano suoi vassalli di accettare questo piano. Benché il socialismo in un solo Paese
fosse considerato il vero campione tra le due guerre, Stalin sembra persuaso all’indomani della
seconda guerra mondiale che il comunismo abbia delle vere chances di imporsi prima in
Europa e poi nel resto del mondo.
La rottura tra Americani e Sovietici, che porterà in seguito al conflitto di dimensioni
planetarie che durò decenni, si scatena in realtà a causa di poste in gioco territoriali di piccola
o piccolissima dimensione: la Cecoslovacchia e Berlino Ovest. Alla conferenza di Yalta e a
quella di Potsdam era stato convenuto che la Cecoslovacchia la cui parte occidentale era stata
liberata dagli Americani, sarebbe stata gestita da un governo di unione nazionale che avrebbe
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associato comunisti con membri del governo ceco che si erano nel frattempo rifugiati a Londra
dal 1939. L’esclusione progressiva di questi ultimi sotto la pressione di manifestazioni
comuniste (quello che si chiama il colpo di Praga del febbraio‐giugno del ’48) segna l’inizio
della rottura tra Americani e Sovietici fu consumata qualche giorno più tardi quando questi
ultimi decidono di impedire, attraverso il corridoio che attraversava le zone di occupazione, il
trasporto di ogni merce tra la parte occidentale della Germania e Berlino Ovest, cioè le zone di
occupazione Americane, Britanniche e Francesi di Berlino, come erano state definite alla
conferenza di Potsdam. Per i Sovietici questo blocco di Berlino doveva logicamente condurre
gli occidentali a rinunciare alla loro presenza nella vecchia capitale tedesca. Gli Americani
decidono di raccogliere la sfida e con un vero e proprio tour de force logistico realizzano un
ponte aereo militare che approvvigionerà Berlino Ovest a partire dal giugno del ’48 fino a
maggio del ’49.
Ci si può chiedere quello che sarebbe accaduto se l’Europa Occidentale e i suoi
dirigenti Americani, compreso il Presidente Truman, avessero rinunciato ad approvvigionare
Berlino per via aerea malgrado i rischi e le spese enormi che questo aveva rappresentato. Una
parte dell’opinione americana considerava che ci si dava troppo da fare per i tedeschi, i quali
erano pur sempre i nemici di tre anni prima. È verosimile immaginare che tutta l’Europa
Occidentale poteva in realtà finire sotto influenza sovietica se gli Americani avessero appunto
imposto quel famose ponte aereo marcando un po’ il limite della possibilità di occupazione dei
Sovietici. Soprattutto considerando quanto tutto il mondo intellettuale europeo,
particolarmente in Italia, si interessasse o fosse comunque filocomunista all’inizio sicuramente
filosovietico. Il vero volto dell’URSS arriva nel mondo occidentale non tanto con il processo di
destalinizzazione, quanto con la pubblicazione di Arcipelago gulag dello scrittore russo
Aleksandr Solzenicyn.
1.2 La NATO È questo il dato geopolitico essenziale: quello che ha permesso di sviluppare la
cosiddetta democrazia sia sul piano sociale che culturale, nei Paesi dell’Europa occidentale
sotto la protezione degli USA, nonostante l’opinione pubblica spesso abbia manifestato la sua
ritenzione contro un’America considerata troppo presente e troppo direttiva.
Le società dell’Europa orientale, ivi compresa l’ex Unione Sovietica, non hanno avuto
questa possibilità e, dato geopolitico fondamentale, presentano ancora oggi rispetto all’Europa
occidentale numerosi ritardi e difficoltà che derivano da quello che viene designato come
“post‐comunismo”.
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2. Gli Stati Uniti e la NATO: sicurezza collettiva o protezione di una potenza?
Possiamo considerare che le relazioni degli USA con i Paesi della NATO siano
decisamente dei rapporti geopolitici, la costituzione di questa organizzazione politica e militare
nel 1949, all’inizio della guerra fredda, era chiaramente in funzione di un rapporto di forza dato
che aveva come missione effettiva di opporsi all’espansione sovietica nell’Europa occidentale.
In effetti, all’indomani della seconda guerra mondiale, l’URSS aveva imposto il potere dei
partiti comunisti come sua diretta emanazione in sei Paesi europei che erano occupati
dall’armata rossa: Polonia, Cecoslovacchia, Germania orientale, Ungheria, Romania, Bulgaria.
La NATO era destinata a riparare l’Europa da un eventuale attacco sovietico e l’elemento
essenziale di questa struttura erano sicuramente gli USA.
Il ruolo del Canada, questo immenso Stato subpolare quasi vuoto per 4/5 della sua
dimensione (uno dei più vasti Stati del mondo, con quasi 10 milioni di Km², per soli 30 milioni
di abitanti), era quello di un ghiacciaio situato al di là dell’Oceano Glaciale Artico e al di sopra
del quale i radar avrebbero avuto il tempo di individuare i missili Sovietici prima che potessero
raggiungere gli Stati Uniti. Questi due grandi Stati dell’America del Nord da una parte e
dall’altra di una frontiera di 6 000 Km quasi tutti rettilinei, sono praticamente inseparabili:
parlano la stessa lingua (ad eccezione del Québec che è francofono), storie e culture molto
comparabili, importantissimi scambi tra loro due, esportazione di petrolio canadese, ecc.
Era completamente diverso il discorso dell’Europa dall’altro lato dell’Atlantico, dove i
primi Paesi membri della NATO (Regno Unito, Francia, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo,
Portogallo, Danimarca, Norvegia, Islanda, seguiti dalla Grecia e la Turchia nel 1955) sono molto
diversi gli uni dagli altri per lingua e tradizioni politiche, non hanno molti rapporti con gli Stati
Uniti almeno all’epoca, eccezion fatta delle isole Britanniche. Ma sono per la maggior parte dei
Paesi che un’offensiva sovietica poteva invadere in qualche giorno e che facilmente si
trovavano a portata di bombardieri e di missili Sovietici. E quella che si chiama allora Germania
Ovest, attraversata dalla “cortina di ferro”, che sembrava essere la più vulnerabile. Ecco
perché l’essenziale delle forze militari della NATO stazionavano su quel territorio. Non è poi
altro se non l’ennesimo paradosso tedesco, dato che questi Paesi si ricostruivano dalle rovine
di una guerra (come il Giappone) grazie all’aiuto degli Americani, per ridiventare in seguito la
terza potenza economica mondiale.
2.1 Dopo la fine della guerra fredda
Dopo l’implosione dell’URSS e la scomparsa dei regimi comunisti che le erano stati
fedeli, il ruolo geopolitico della NATO era molto meno chiaro, dato che l’antagonismo di queste
due potenze su tutta una parte dell’Europa non esiste più. Nei Paesi Europei, particolarmente
in Francia e Italia dove le idee marxiste avevano avuto grande riscontro, una parte notevole
dell’opinione pubblica vedeva in realtà nella NATO una delle forme di dominazione americana
sull’Europa. Fin dal 1966, il Generale De Gaulle aveva deciso, senza trovare alcun tipo di
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obiezione nei suoi connazionali, che la Francia si sarebbe ritirata dalla NATO, cioè dal
dispositivo militare (pur restando membro dell’Alleanza Atlantica), dato che la Francia ormai
aveva la propria potenza nucleare.
All’inizio degli anni ’80, con la crisi detta degli “euromissili” (cioè l’istallazione di
missili nucleari Americani in Germania, in risposta all’istallazione di missili Sovietici a media
portata nei Paesi dell’Europa orientale), si è posta la questione tra i dirigenti Americani della
ripartizione degli interessi strategici maggiori negli USA con il mantenimento dello status quo
in Europa contro l’Unione Sovietica. Una volta che questa era implosa, alcuni dirigenti hanno
dichiarato che era ora di ridurre l’enorme costo che gli Stati Uniti investivano nella difesa in
Europa. Pensiamo ad esempio alla permanenza di 100 mila soldati Americani in Germania.
Eppure ancora oggi, nel 2012, la NATO esiste ancora.
Nel 1999, per la prima volta dalla sua creazione, l’organizzazione ha anche
ufficialmente fatto una guerra contro uno Stato europeo, la Serbia. D'altronde, fu soprattutto
su richiesta degli Europei che il ruolo degli Americani è stato decisivo per mettere fine a quel
dramma jugoslavo. Ma ancora di più, il numero degli Stati europei che hanno chiesto di aderire
alla NATO è aumentato: oramai ci sono Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, e in seguito
Bulgaria, Romania, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovacchia e Slovenia.
A causa dell’implosione nel 1991 della Federazione comunista jugoslava, l’esplosione
di combattimenti tra nazionalisti Serbi e Croati, poi in Bosnia tra Cattolici, Ortodossi e
Musulmani, ha fatto temere alcuni dirigenti dei Paesi dell’Unione Europea che tali conflitti
potessero moltiplicarsi in quella che Lacoste definisce Europa mediana, nei Paesi che erano
stati liberati dalla dominazione comunista e le cui frontiere erano oggetto di diverse contese.
Così la Francia e il Regno Unito hanno inviato, sotto l’egida delle Nazioni Unite, delle forze di
interposizione in Jugoslavia, ma queste si trovarono ben presto prese in trappola tra i
combattimenti. Gli Americani, sollecitati a intervenire, dichiararono prima di tutto di non voler
implicare la loro potenza in questo conflitto che non era di rilievo della NATO, dato che
nessuno degli Stati membri era minacciato. Dopo aver creduto giusto, su richiesta della Turchia
e dell’Arabia Saudita, di fornire delle armi ai musulmani Bosniaci, il governo americano (sotto
la presidenza Clinton), su richiesta dei Francesi e dei Britannici obbligò i Serbi a togliere
l’assedio di Sarajevo e, nel 1995, impose ai belligeranti quelli che vennero chiamati gli Accordi
di Daytona per una ripartizione della Bosnia in tre zone autonome sotto il controllo della
NATO.
Nel 1999, il conflitto in Kosovo tra Serbi e Albanesi prese una forma purtroppo
spettacolare di esodo di massa di musulmani che fuggivano dalla minaccia di un vero e proprio
genocidio fatto governo serbo. Questa situazione aveva provocato grande emozione in Europa
occidentale, la NATO e soprattutto l’aviazione americana decisero di intervenire effettuando
dei bombardamenti massicci sulla Serbia, malgrado le proteste della Russia. A dispetto delle
rivendicazioni di indipendenza dei Kosovari, il territorio del Kosovo è sotto il controllo di diversi
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contingenti forniti da Stati Europei membri della NATO e degli Americani, le cui forze sono
anche posizionate in Macedonia, altra Repubblica ex‐jugoslava minacciata di ripartizione
etnica.
2.2 la NATO dopo l’11 settembre
Immediatamente dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 a New York, tutti gli Stati
europei membri della NATO hanno sostenuto gli USA, dichiarando che si sentivano tutti sotto
mira tramite questa aggressione e quindi solidali con gli USA. Detto ciò il governo americano
ha voluto agire solo con le proprie forze quando decise di colpire tutti i covi terroristici che si
trovavano in Afghanistan. Gli strateghi Americani non volevano essere obbligati a discutere i
loro piani con partner della NATO, come avevano dovuto fare regolarmente nel 1999 al
momento della guerra nel Kosovo.
Nel 2003, la guerra di Iraq ha provocato una grave crisi tra USA e alcuni Paesi che
facevano parte della NATO e dell’Unione Europea. Se il governo britannico, così come quello
italiano e spagnolo, malgrado l’opposizione delle loro opinioni pubbliche, sostennero l’azione
condotta da Washington, la Germania e la Francia si sono assolutamente opposte. La Turchia,
che comunque è anch’essa membro della NATO e vicina dell’Iraq, e che doveva inizialmente far
parte della coalizione, decise infine di rifiutare. Viceversa, i nuovi membri della NATO e
dell’Unione Europea, più particolarmente la Polonia, hanno sostenuto con forza la politica del
Presidente americano. Il Segretario della Difesa americana dell’epoca, Donald Rumsfeld, ha
potuto così opporre nel suo discorso una “vecchia Europa” timorosa (i più vecchi membri della
Comunità Europa a parte l’Italia berlusconiana) a una “nuova Europa” giudicata piena di
ardore, formata soprattutto da tutti i nuovi membri ex‐comunisti dell’Unione Europea e dal
Regno Unito. La posizione dei vecchi Paesi comunisti dell’Europa centrale e orientale si spiega
in parte per il timore antico rispetto alla Russia e per la loro volontà di avvicinarsi sempre di più
al nuovo alleato americano.
2.3 L’Europa, tra Washington e il mondo musulmano
La crisi suscitata dall’intervento americano in Iraq pone la questione delle relazioni di
lungo periodo tra gli USA e taluni Paesi della UE dalla fine della guerra fredda. Quando il Regno
Unito, che rifiuta la moneta comune, cerca di fare della UE una semplice zona di libero scambio
e la più estesa possibile (posizione uguale a quella dei Paesi Scandinavi), la Francia e la
Germania desiderano che la UE mantenga anche un insieme geopolitico coerente, malgrado la
sua estensione, con una diplomazia comune e con un’autonoma potenza rispetto agli USA.
Questi ultimi sono, al contrario, favorevoli alla strategia britannica di libero scambio come
all’ingresso di nuovi membri nell’UE, trasformandola così in un’entità sempre meno coerente
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e governabile. Ecco perché la diplomazia americana fa da sempre campagna per l’accettazione
dell’ingresso della Turchia nella UE.
L’estensione dell’Unione Europea verso Est aumenta il numero di Stati vicini della
Russia (tra cui l’Ucraina candidato potenziale all’integrazione europea). Questi Paesi temono
un ritorno della Russia a potenza di oppressione e quindi cercano di mettersi sotto tutela
americana. Washington disporrebbe così, molto più della NATO, di una vera influenza
determinante in seno all’Unione Europea, annichilendo così tutte le velleità di potenza di
quest’ultima.
Oggi un grande problema geopolitico degli USA non è una futura salita di potenza
dell’Unione Europea, ancor meno di quella della Russia, ma l’aggravarsi dei suoi rapporti con il
mondo musulmano, a questo proposito il dato geografico è evidente: è l’Europa, dal
Mediterraneo alla Russia meridionale che è direttamente in contatto con l’essenziale del modo
musulmano e che dovrà preparasi a far fronte ai contraccolpi del conflitto israelo‐palestinese e
al confronto tra gli islamisti e gli Americani.
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3. Stati Uniti e mondo musulmano
Nel contesto della guerra che gli Americani portano avanti dal 2003 in Iraq non è
inutile ricordare che è in questo Paese che è cominciata la prima guerra mondiale, uno dei
primi insediamenti Americani in Medio Oriente.
Si trattava prima di tutto di petrolio e della costituzione, nel 1928, della Iraq
Petroleum Company per riprendere l’attività della Turkish Petroleum, la compagnia germano‐
turca che aveva cominciato, prima del conflitto, lo sfruttamento dei giacimenti di Kirkuk e
Mossul. Ma, a quest’epoca, in materia di petrolio e di Medio Oriente, il contesto geopolitico è
quello di una grande rivalità anglo americana.
Dalla fine della prima guerra mondiale, gli Americani cercano di sfruttare le ricchezze
petrolifere del Medio Oriente. Ma per questo devono prima liberarsi dei Britannici. Ci
riusciranno nel 1945. Seguiranno i tempi del nazionalismo arabo quindi dell’islamismo.
Negli anni ‘80, spingendo alla lotta l’Iraq di Saddam Hussein contro l’Iran di Khomeini,
gli occidentali hanno aperto il vaso di Pandora che, dalla guerra del golfo alla guerra d’Iraq
passando per la guerra d’Afghanistan, non smette di minacciare gli equilibri internazionali.
3.2 L’America e il Medio Oriente: dall’inizio un affare di petrolio
I Britannici avevano un vantaggio: quello che ormai si chiama Iraq era occupato dalle
loro truppe, quelle dell’esercito delle truppe indiane, arrivato durante la prima guerra
mondiale per combattere l’esercito turco in quella che era chiamata Mesopotamia. Intendono
controllarci i giacimenti petroliferi (quelli di Arabia non erano stati ancora scoperti), ma
possiedono già quelli dell’Iran, sfruttati dalla Anglo‐Persian Oil Company (divenuta in seguito
Anglo‐Iranian e oggi la BP, British Petroleum). L’argomentazione britannica era che i beni della
Turkish Petroleum Company costituivano un bottino di guerra da dividere tra vincitori, gli
Americani fecero pressione per accedere al petrolio iracheno. Il capitale della Iraq Petroleum
Company è diviso in quattro parti da 23,75%: le grandi compagnie britanniche la Anglo‐Persian
e la Shell, ne hanno due; la Compagnia francese dei petroli, creata espressamente, ne ha una,
così come il Consorzio americano. Ma, nel 1934, gli Americani, più particolarmente la Gulf,
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hanno la metà della concessione del Kuwait e, soprattutto, nel 1933, quella che diverrà la
Arammo ottiene la concessione per 60 anni sulla metà del territorio saudita.
Nel Medio Oriente l’immagine dell’America, è allora molto buona agli occhi dei
nazionalisti arabi, perché questa non ha partecipato alla spartizione dei territori sotto mandato
tra “colonialisti” Inglesi e Francesi (Iraq, Giordania, Palestina per i primi, Siria e Libano per i
secondi), sotto l’egida della Società delle Nazioni.
Nel 1945, il Presidente Roosevelt di ritorno da Yalta, incontra il Re Abd al‐Aziz ibn
Saud e suggellano l’accordo storico che garantisce il sostegno degli USA all’Arabia Saudita.
L’anno dopo è inaugurata la base americana di Dahran, in piena zona petrolifera. Due anni più
tardi, all’arrivare della prima guerra arabo‐israeliana, il governo americano resta relativamente
neutro. Certo, riconosce Israele, ma l’URSS l’aveva anticipato e la Francia sarebbe presto
divenuta il principale sostegno militare degli Israeliani.
Nel 1952, la Turchia aderisce alla NATO e si avvicina agli Stati Uniti per proteggersi
dalle rivendicazioni di Stalin sulla regione di Trebisonda nel Mar Nero che era stata occupata in
passato dalle truppe zariste.
Nel 1951, la crisi della nazionalizzazione della Iran Petroleum Company avrà grandi
conseguenze geopolitiche. In effetti la Gran Bretagna aveva organizzato il boicotto delle
esportazioni del petrolio iraniano. Il Primo Ministro iraniano Mossadegh, che ha l’appoggio del
partito di sinistra Toudeh, si avvicina all’URSS e cerca di far destituire il giovane Shah. I Servizi
Segreti Americani organizzano un colpo di Stato che metterà Mossadegh fuori gioco. Nel ’54, lo
Shah, senza ritornare sul principio di nazionalizzazione del petrolio, ne affida lo sfruttamento
così come la distribuzione a un Consorzio che unisce le otto grandi compagnie dell’epoca:
cinque americane, due britanniche e una francese. Da quel giorno e per 25 anni i rapporti
economici e militari saranno molto stretti tra Stati Uniti e Iran in piena espansione.
3.3 Una nuova minaccia di grandi dimensione: il terrorismo islamista
Per gli Americani le conseguenze della “guerra del Golfo” si sono rilevate essere
molto pericolose. La prima risiede nel fatto che la maggior parte degli arabi hanno giudicato gli
USA come se avessero voluto aggredire il mondo arabo in maniera deliberata, nella misura in
cui l’Iraq baasista era il solo Paese a volere ancora fare l’unità e anche il solo a poter
veramente combattere Israele. Una conseguenza molto meno evidente, ma che si rileverà
dieci anni più tardi la più pericolosa per gli Americani, fu che un certo numero di sauditi, e
particolarmente la potente confraternita Wahhabite (movimento politico e religioso
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conservatore), stimò che la guerra del Golfo era stata per gli Americani un pretesto e un modo
di insediarsi in Arabia, cioè sul territorio sacro all’Islam.
L’Arabia tutta intera è, in effetti, considerata come Horm ‐sacra‐ e non solamente la
Mecca e Medina, che sono completamente vietate ai non musulmani e, a fortiori, ai cristiani e
agli ebrei. Osama bin Laden, forte del suo prestigio di jihadista e ricchissimo oltretutto, ha
dunque richiesto alla dinastia saudita la partenza delle basi americane insediate in Arabia dal
1990. A discapito di aver ragione, decide quindi di condurre una lunga lotta contro
l’”imperialismo giudeo‐cristiano” per cacciare gli Americani dall’Arabia e gli ebrei da
Gerusalemme, il terzo luogo santo dell’Islam. Passando ad un nuovo livello di azione, Osama
bin Laden USA la sua fortuna e le sue conoscenze dell’Afghanistan per insediare il suo rifugio e
i campi di armamento di Al‐Qaeda, con l’appoggio dei talebani, arrivati al potere a Kabul dopo
il 1996, e dei servizi segreti pakistani.
Questo era risaputo dalla CIA. Al‐Qaeda (cioè la “base”, quella delle molteplici reti
islamiche) aveva già realizzato dei gravi attentati, quali quelli contro l’ambasciata americana in
Kenya nel 1998 o contro una nave USA ad Aden nel 2000 e il governo americano aveva invano
richiesto al regime dei talebani, al potere a Kabul, l’estradizione di Osama bin Laden
dall’Afghanistan.
Detto ciò questo non impediva, fino all’estate del 2001, che gli Americani fossero
ancora in fase di negoziazione con i talebani e i servizi segreti pakistani, per la costruzione di
un gasdotto attraverso l’Afghanistan con l’obiettivo di collegare i giacimenti di gas del
Turkmenistan alla costa pakistana dell’Oceano Indiano.
Gli attentati dell’11 settembre 2001 su New York e Washington hanno rilevato agli
Americani la terribile minaccia costituita da Al‐Qaeda, l’efficacia delle sue reti costituite
segretamente negli USA e attraverso numerosi Paesi a 15 000 Km di distanza dalle sue basi e la
straordinaria determinazione dei suoi terroristi preparati al suicidio (sauditi erano 15 dei
kamikaze su 19). A partire dal mese di ottobre i bombardamenti Americani sono cominciati
sull’Afghanistan, notoriamente a partire dalla base di Diego Garcia nell’Oceano Indiano e le
basi americane immediatamente insediate, con l’accordo di Vladimir Putin, nell’ex Repubblica
sovietica dell’Asia centrale. Ma, nell’eliminare Al‐Qaeda e i talebani, occorreva ottenere
l’accordo del Pakistan che li aveva fin là sostenuti.
Una gran parte dell’esercito pakistano, particolarmente durante la guerra
dell’Afghanistan, aveva aderito alle tesi islamiste, i suoi quadri intermediari e i suoi servizi
segreti avevano, oltretutto, largamente approfittato delle consegne di armi americane per i
diversi partiti islamismi afgani. Dopo il primo bombardamento militare sull’Afghanistan,
numerosi partiti pakistani hanno chiamato dei volontari per la jihad per andare a combattere
accanto ai talebani. Il Presidente pakistano dell’epoca, il Generale Pervez Musharraf, che aveva
preso il potere con un colpo di Stato nel 1999, era come la maggior parte dei quadri superiori
dell’esercito in contatto stretto con il Pentagono. È lui che ha preso quindi il rischio (ottenendo
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un sostanzioso finanziamento per il suo Paese), di allearsi in qualche modo agli Americani,
quanto meno chiudendo la frontiera con l’Afghanistan per impedire il ripiego dei talebani. Il
rischio non era piccolo e il Generale Pervez Musharraf sfuggì a diversi attentati che venivano
condotti dalla rete degli islamismi, più o meno clandestini.
Se i militari islamismi avessero preso ufficialmente il potere in Pakistan e se la
situazione in Afghanistan si fosse dovuta aggravare, l’India non sarebbe rimasta senza dubbio
impotente. Perché sono proprio quei militari pakistani di tendenza islamista che hanno sempre
alimentato il conflitto con l’esercito indiano nel Kashmir. I due Stati, ricordiamolo, dispongono
entrambi dell’arma nucleare.
3.4 Il contraccolpo degli attentati dell’11 settembre 2001
Le cause della guerra nella quale gli USA si sono lanciati in Iraq nel 2003 sono
molteplici, ma vanno considerate come un contraccolpo di quegli attentati, purtroppo,
spettacolari condotti dai kamikaze islamismi per via aerea a New York e a Washington. Le due
torri gemelle colpite successivamente in pieno giorno, distrutte dall’incendio, crollanti l’una
dopo l’altra in diretta TV in mondovisione, furono un dramma che ha condizionato dall’ora in
poi ogni azione degli Americani, più dell’attacco aereo giapponese di Pearl Harbor del 7
dicembre 1941.
Occorre oramai considerare nei ragionamenti geopolitici il fatto che la reazione di
tutta la Nazione americana è in larga misura determinata, e senza dubbio ancora per anni, dal
trauma del World Trade Center e dalla preoccupazione che quell’evento possa in qualche
modo riprodursi.
Gorge W. Bush, appena eletto presidente e tra l’altro in modo anche incerto, aveva in
realtà un programma “isolazionista”, dato che durante la sua campagna elettorale, accusava il
suo concorrente democratico Al Gore di perseguire la linea del suo predecessore: Bill Clinton.
Lo shock degli attentati dell’11 settembre trasforma il personaggio Bush, persuaso,
dalle sue convinzioni religiose evangeliste, nell’incaricato di lanciare una nuova “crociata”
contro il terrorismo islamista. È stato ancor di più spinto in questa direzione dal fatto che
buona parte delle personalità del partito repubblicano che lo consigliavano erano quei
neoconservatori partigiani della cosiddetta “maniera forte”. La stessa che secondo loro aveva
provocato la caduta del comunismo.
Questo argomento è sbagliato: Ronald Reagan non aveva replicato con una prova di
forza all’invasione sovietica dell’Afghanistan, ma lo aveva fatto con delle strategie indirette,
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accelerando la corsa all’armamento e fornendo, via Pakistan e Arabia Saudita, dei missili terra‐
aria ai combattenti afgani, facendo così perdere ai Sovietici il controllo dei cieli afgani.
In compenso, sono numerosi quelli che in Europa e nell’insieme del mondo credono
che la guerra in Iraq si spieghi fondamentalmente con il desiderio delle compagnie americane
di accedere ai giacimenti petroliferi iracheni. Probabilmente, ma questo non implica il voler
fare una guerra. In effetti per avere del petrolio, bastava ai dirigenti Americani, di eliminare
l’embargo al quale l’Iraq era sottomesso fin dal 1991 dato che Saddam Hussein non
domandava meglio se non vendere i propri idrocarburi. Senza dubbio avrebbe accettato degli
accordi che permettevano alle compagnie occidentali di partecipare alle ricerche petrolifere.
Questo avrebbe permesso di far togliere quel boicottaggio internazionale che lo colpiva fin dal
1990. L’america ne avrebbe tratto gran profitto, ma non avrebbe potuto sbarazzarsi della sua
persona.
Il concatenarsi dei fatti e delle convinzioni ideologiche ha spinto i dirigenti Americani
a distogliere la loro attenzione verso un altro nemico: Saddam Hussein, Presidente dell’Iraq,
accusato di opprimere il suo popolo e di minacciare la pace mondiale, peggio, era persino
sospettato di avere rapporti con Bill Laden, che non era stato nel frattempo possibile eliminare
in Afghanistan. Molto bene orchestrati, questi pretesti potevano sembrare plausibili. Saddam
Hussein, malgrado la sconfitta nel ’91, era pur sempre al potere e disponeva di armi, si
credeva, di distruzione di massa. Probabilmente avrebbe avuto la possibilità di procurarsele in
segreto via Corea del Nord o Pakistan così come avrebbe potuto stabilire un’alleanza con Al‐
Qaeda in modo da vendicarsi degli Americani stessi.
In compenso, le conseguenze pericolose che questa guerra avrebbe potuto avere
furono passate sotto silenzio dagli Stati Uniti, e questo nonostante la messa in guardia da parte
delle Nazioni Unite e di governi come la Francia e la Germania; persino a dispetto di riserve
molto discrete di alcuni Generali Americani i quali si preoccupavano di impegnarsi in un
conflitto in un Paese così vasto e con un numero inizialmente limitato di effettivi.
Non ci fu nulla da fare. L’amministrazione repubblicana di George W. Bush rimase
imperterrita, convinta della superiorità militare degli USA e del sostegno popolare che gli
abitanti dell’Iraq gli avrebbero portato, non appena eliminato Saddam Hussein.
3.5 La proiezione della potenza americana in Iraq provoca, in una gran parte del
mondo, una fase grave di tensione geopolitica
Si sa che principalmente usando la loro potenza aerea unita alle tecniche di radar o
comunque di mira molto sofisticate, gli Stati Uniti hanno riportato in Iraq una vittoria molto
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rapida impiegando tutto sommato delle forze relativamente poco numerose. Agli occhi degli
strateghi del Pentagono, queste forze dovevano essere sufficienti, soprattutto se teniamo
conto della capacità tecnica ultra sofisticata di cui questo esercito americano disponeva.
In realtà noi sappiamo quanto è stato lungo il processo di occupazione e di “bonifica”
del territorio iracheno. Fin dall’inizio spazzato via Saddam Hussein il disordine si è subito
rivelato essere un grosso problema dell’Iraq. I rappresentanti Americani a Baghdad evocavano
fin da maggio 2004 l’eventualità un ritiro delle truppe americane, quindi, ben otto anni fa,
anche se l’Onu in realtà ha sempre cercato di continuare a rimanere in Iraq sapendo bene il
tipo di complessità della situazione sul territorio.
La sovranità irachena è stata rimessa sulla carta nel giugno del 2004 a un governo
formato da personaggi più o meno legati agli Americani; fino al 2005 ancora non c’erano dei
mezzi veri e propri per questo governo di poter assicurare il controllo e l’ordine in Iraq.
Immaginare, anche solo in modo parziale, un ritiro completo delle forze NATO o
legate all’Onu, suscita non poche preoccupazioni e soprattutto delle grandi conseguenze
geopolitiche nel Medio Oriente. Effettivamente una sconfitta occidentale in Iraq, cioè una
caduta dell’Iraq nel caos, un’eventuale addirittura esplosione in tre parti del suo territorio (una
curda, una sciita, una sunnita) significherebbe una grande vittoria per tutto il movimento
integralista islamico nel mondo.
La guerra lanciata dagli Americani in Iraq nel 2003 rappresenta per gli islamismi una
formidabile opportunità per la lotta che essi conducono contro tutti quei musulmani che
rifiutano di aderire alla causa integralista, una causa che ricordiamolo desidera un’applicazione
della Shari’a, a fini politici.
Gli eventi quindi dell’Iraq, costituiscono un capitolo di questa grande lotta che si
sfoggia ormai da anni nei Paesi musulmani, tra islamismi e musulmani democratici, lotta non
sprovvista di contraddizioni dato che, per mantenersi al potere, le strutture di Stato mettono
in opera, come in Algeria, delle forme di repressione così violenta che diventano degli alibi per
i campioni dell’integralismo.
È questa situazione che deve essere tenuta presente per la lettura dei fenomeni della
cosiddetta “primavera araba”. Primavera che ricordiamo ha toccato diversi Paesi, tra cui Libia e
Egitto che hanno perso entrambi i propri dittatori, ma anche Algeria e Marocco hanno dovuto
far fronte a delle forti pressioni popolari per vedere ridotto questo potere non democratico.
Ancora oggi la Siria rischia di esplodere in una forma di guerra civile. E, infatti, in
questa chiave di lettura che deve essere presa in considerazione la situazione che noi
chiamiamo di “Medio Oriente”, ma che in realtà riguarda tutta una serie di Paesi musulmani
che avevano una struttura di Stato certamente non democratica, come Marocco, Algeria,
Tunisia, Libia, Egitto per il Nord Africa, ma anche quello che chiamiamo “vicino oriente” e cioè
Libano, Siria, Arabia Saudita e tutti gli Emirati Arabi ma anche Iraq, Iran fino all’Afghanistan. Si
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tratta di quella fascia islamica che va dall’Oceano Atlantico fino a tutta l’Asia centrale andando
ben oltre l’Afghanistan con il problema della Valle del Fergana che riguarda appunto le ex
Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale.
La rivolta della primavera araba ha portato la riforma costituzionale relativamente
importante in Marocco. Per quanto riguarda Tunisia, Libia, Egitto vediamo invece che si tratta
di un vero e proprio cambiamento epocale. In Tunisia il dittatore Ben Ali è stato cacciato ed è
potuto salvarsi perché fuggito per tempo in Arabia Saudita e più che altro negli Emirati Arabi
ma in questo momento c’è un grosso problema di gestione di potere in Tunisia. Anche qui
alcuni movimenti religiosi islamisti cercano di prendere il potere facendosi eleggere
democraticamente, a scapito di partiti di opposizione che secondo alcuni però sono colpevoli
di aver fatto compromessi con il regime precedente. Ad oggi la Tunisia non è definitivamente
uscita dalla propria situazione di crisi post‐rivoluzionaria e certamente non può essere definita
una vera e propria democrazia.
Per la Libia e l’Egitto il discorso è molto diverso. L’Egitto ricordiamo era la patria del
movimento integralista più antico che esista nel mondo arabo, e comunque musulmano: i
Fratelli Musulmani. La caduta di Mubarak ha comunque sollevato un grosso problema di
gestione tra corpo dei militari quello che difendeva Mubarak, il corpo laico ma non militare
dello Stato che si opponeva a Mubarak e, in ultimo, il movimento più integralista legato ai
Fratelli Musulmani. Ad oggi l’Egitto non è ancora riuscito a superare la fase Mubarak, c’è una
giunta militare che gestisce il potere e non riesce ancora a transitare definitivamente verso la
struttura parlamentare compiuta, evitando inoltre rischi di guerra civile soprattutto se
ricordiamo che il 10% della popolazione egiziana è cristiana di cultura copta. Per quanto
riguarda la Libia la situazione è ancora più delicata dopo la tragica guerra civile scatenata da
Gheddafi e il bombardamento fatto dai Britannici, Francesi ma anche Americani. La morte del
dittatore ha condotto ad una vera e propria confusione. La dittatura di Gheddafi riusciva a
tenere insieme diverse parti delle culture tribali libiche. Oggi la Libia ha un potere ancora
completamente di transizione, sono le diverse bande armate che hanno fatto la guerra a
Gheddafi che in realtà detengono il potere, senza essere riusciti ad accordarsi su una
transizione, seppur tribale, verso un potere istituzionale corretto e legale.
Resta ancora la questione del Medio Oriente, particolarmente quella della Siria. Il
dittatore Bashar al‐Assad, che è uno dei punti chiave del potere nel Medio Oriente, ad oggi è
abbandonato completamente dalla Lega Araba, continua a bombardare i suoi stessi cittadini
nella città di Homs, senza però riuscire a trovare un’eventuale via di sbocco. Sembra
ragionevole immaginare che Bashar al‐Assad oramai abbandonato anche dalla Lega Araba
lascerà il potere. Non si sa quando e con quali conseguenze. Occorre ricordare che la Siria ha
un problema enorme di frontiere con la Turchia, con Israele, ma soprattutto, è il finanziatore
principale di buona parte dei movimenti integralisti degli hezbollah del Sud del Libano.
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In poche parole la Siria insieme all’Iran rappresentano oggi i punti più delicati e meno
prevedibili dell’evoluzione futura di tutto il sistema islamico che va dall’Asia centrale
all’Atlantico.
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4. Geopolitica del Mediterraneo
L’importanza e la storicità delle relazioni tra i differenti settori delle due grandi facciate del Mediterraneo euro‐arabo, l’antico confronto tra l’uno e l’altro, ma anche questa tanto discusso rilancio di un grande conflitto tra civiltà (cosa che non esclude gli sforzi destinati a stabilire una complementarità tra nord e sud), tutto questo incita a ragionare in modo globale, ma analizzando l’estrema diversità delle situazioni geopolitiche di ciascuna di essere.
Il Mediterraneo è in qualche sorta per ogni cittadino un eccellente campo di allenamento alla geopolitica, dato che il suo studio ci obbliga a tener conto della localizzazione di una grande diversità di eredità storica e a far combinare dei rapporti di forza di dimensioni molto diverse, partendo da conflitti locali e arrivando a conflitti planetari; basti pensare al conflitto per il petrolio oggi.
Vedremo che occorre anche prevedere un insieme Geopolitico Mediterraneo ben più esteso in modo da includere i Paesi del Medio oriente e le lotte che sono ancora in corso oggi. Questo ampliamento a Est, di quello che possiamo chiamare, in senso geopolitico, il mondo Mediterraneo, non fa altro che ricordarci l’estensione dei grandi imperi fin dall’antichità, come quello dei Persiani o quello di Alessandro, ma anche gli Abbasidi e quello degli ottomani con la sua implosione nel 1920 e la sua frammentazione nelle frontiere attuali. Tuttavia, se il ragionamento geopolitico permette retrospettivamente di meglio comprendere le rivalità di potere, la difficoltà è ancor più grande per i problemi geopolitici attuali, che sono in piena evoluzione e dove possono prodursi cambiamenti inattesi.
La maggior parte delle numerose tensioni geopolitiche che si manifestano nel mediterraneo sono quelle che derivano da rivalità tra poteri territorialmente vicini gli uni agli altri (Israeliani e Palestinesi, Turchi e Curdi, Catalani e Castigliani, serbi e Bosniaci). Non corrisponde molto all’immagine geopolitica che spesso abbiamo del Mediterraneo. Esso sarebbe luogo di un grande scontro tra Nord e Sud, quest’ultimi dovrebbero essere “sotto‐sviluppati” in seguito alla dominazione coloniale esercitata su di essi dai Paesi del Nord.
Le conseguenze di questa colonizzazione non sarebbero mai scomparse. In realtà questa rappresentazione è considerata solo da islamisti integralisti o dai “neo‐conservatori” americani dall’altra, un Mediterraneo parte del mondo dove si consumerebbe quello scontro tra civiltà.
4.1 Il Mediterraneo insieme geopolitico molto particolare
Il Mediterraneo è mondialmente conosciuto in quanto insieme geopolitico ed è d’altronde il solo grande insieme geopolitico che sia designato dal nome di una distesa marina. Questo è il quadro naturale dove funziona da secoli oramai un vero e proprio sistema che possiamo chiamare “fenomeno mediterraneo”. Questo può essere definito dalla molteplicità delle interazioni dirette per via marittima tra i numerosi paesi situati intorno a questa stessa distesa di mare, dei passaggi e degli distretti verso gli oceani ne facilitano, inoltre, gli interventi navali venuti da altre parti del mondo. E’ ispirata da questo modello l’espressione
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Mediterraneo americano che è sicuramente meno conosciuto, lo chiamiamo più facilmente Mediterraneo delle Antille o dell’America Centrale. Quanto all’espressione Mediteranno asiatico, essa suscita la collera del governo cinese che esige che si parli solo di Mar della Cina del sud. Il Baltico anche è un mare quasi completamente chiuso, ma è sette volte più piccolo e non si estende che tra paesi europei le cui culture sono molto simili, quando il Mediterraneo è lungo quattromila chilometri e si trova chiuso tra tre continenti. E’ questo che noi chiamiamo Mediterraneo euro‐arabo o euro‐musulmano.
Con Stati di diversa dimensione, il Mediterraneo è considerato oggi come un insieme geopolitico. Tuttavia, si tratta di un insieme geopolitico molto particolare, dovuto al fatto non solo di questa stessa distesa di mare che ne occupa il centro, ma anche e soprattutto in ragione delle grandi differenze che oppongono la parte nord alla parte sud delle sue rive. Queste sono molto diverse dato che a nord, l’Europa, oggi Unione Europea, e a sud l’Africa, il mondo arabo e più in maniera generale in mondo musulmano. Ciascuna di queste rive fa parte dell’insieme continentale o geopolitico di cui è bordo marino, ma è anche frontiera della distesa di mare. In tutto il mondo gli altri grandi insiemi geopolitici sono principalmente terrestri; non sono continui intorno a una grande distesa marina e soprattutto non includono più delle periferie di insiemi tanto diversi, persino antagonisti (come accadeva negli antichi imperi). E’ esattamente il contrario per quanto riguarda il Mediterraneo che è nei fatti un insieme formato intorno al mare da parti terrestri molto diverse geograficamente (a esclusione della somiglianza climatica). Certo abbiamo delle rappresentazioni che sono soggettive, ma in geopolitica questi tipi di grandi discorsi che invocano la Storia, la religione e la civiltà hanno una grande importanza. Il Mediterraneo può essere concepito come un insieme antagonistico, formato dalle relazioni conflittuali permanenti che esistono tra due o più sottoinsiemi: un fronte tra due eserciti o un fronte tra due masse d’aria sono anche considerati come degli insiemi.
Per vedere più chiaramente il tutto, possiamo fare riferimento al ragionamento di base dei matematici, ai rudimenti della teoria degli insieme e applicarla particolarmente a degli insiemi spaziali. E’ intellettualmente legittimo di formare con il pensiero con dei paesi situati intorno al Mediterraneo, un insieme più vasto nominandolo Mediterraneo o insieme Mediterraneo: il mare a quel punto ne diventa il sottoinsieme. Ciò detto, esiste un altro insieme geopolitico che è stato ufficialmente costituito da una parte e dall’altra di una distesa marina ancor più vasta. Si tratta della NATO che è un insieme geopolitico, più particolarmente militare, associante degli Stati situati da parte ed altra dell’Atlantico del Nord. Ma questi diversi Stati sono alleati e condividono dei valori comuni, o almeno, una opposizione fondamentale a un avversario comune. Non è per niente il caso del Mediterraneo i cui Stati della facciata nord, ivi compresa la Turchia, fanno tutti parte della NATO a eccezione dell’Albania; gli Stati della ex‐ Jugoslavia erano sotto controllo o protezione delle truppe della NATO. Costituito contro l’Unione Sovietica all’inizio della Guerra Fredda, la NATO guarda oggi verso sud e verso il Medio Oriente, verso il mondo arabo e musulmano. Le forze della NATO sono oramai ufficialmente impegnate in Afganistan contro i talebani. Il Mediterraneo è una zona di contatto, più o meno conflittuale, tra alcune aree di civiltà diverse, seppur in realtà queste zone di contatto riguardino solo le loro rispettive periferie. Il mondo musulmano che si
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distende per la parte più importante sulla parte nord dell’Africa e sud dell’Asia, su un arco di dodicimila chilometri che va dall’Atlantico al Pacifico, è più in contatto (anche conflittuale) con il mondo indiano e il mondo cinese e su un arco di cinquemila chilometri con l’Africa nera. Mentre l’area della civiltà europea (quella chiamata mondo cristiano) è, come sappiamo, formato di due grandi sottoinsiemi, da una parte l’America del nord e sud ed è lontano dal mondo musulmano, e dell’altra parte l’Europa che invece è vicina su uno dei suoi lati col mondo musulmano. Se rappresentiamo in modo schematico l’Europa con un rettangolo, il lato sud corrisponde al Mediterraneo e al Mar Nero. Occorre notare che il lato est del rettangolo, quello che va dagli Orali al Caucaso, è segnato (cosa raramente ricordata) da una grande avanzata verso nord del mondo musulmano, cosa che potrebbe tagliare in due l’immenso stato della Russia. Certo, soprattutto nei giorni nostri dove delle violente proiezioni di potenza possono farsi a migliaia di chilometri, le grandi distanze che separano i grandi insiemi geopolitici non significano assenza di conflitto tra forze politiche ufficiali o clandestine che pretendono essere o di un lato o dell’altro lato. Ne sono la prova la Guerra del Golfo (1991), gli attentati del 20 settembre, e soprattutto la guerra d’Iraq dal 2003.
4.2 Il famoso scontro delle civiltà
Prendendo pretesto dal conflitto Israele –arabo a proposito delle Palestina, il quale riguarda solo una parte dei suoi territori, seppur carichi di valore geopolitico ma di dimensioni minuscole comparate alle dimensioni del mondo arabo, le imprecazioni dei movimenti islamisti contro gli ebrei e i cristiani hanno riportato alla memoria conflitti religiosi del Medioevo. Questi sono stati modernizzati nel concetto e rilanciati sotto una forma laicizzata di conflitto tra civiltà. Questo è il termine neutrale scelto dal politologo americano Samuel Huntington per trattare, in linea di massima sul piano planetario, delle religioni e dei conflitti nel suo testo. Un’opera che ha provocato grande emozione in tutto il mondo. Gli attentati del World trade Center sono stati considerati come illustrazione drammatica di quello che veniva teorizzato da Huntington quattro anni prima.
Le sue tesi furono prima di tutto rifiutate nel mondo intellettuale europeo e americano che preferivano invece parlare dell’unità delle “religioni del libro”. Ma anche la diplomazia americana che giudicava fastidioso l’evocare nei media una specie di scontro tra cristiani e musulmani cinque anni dopo la Guerra del Golfo erano in realtà contro questo libro. Dopo gli attentati le tesi di Huntington furono giudicate premonitrici, ma soprattutto fin dall’inizio avevano suscitato negli ambienti islamisti integralisti grande entusiasmo. Secondo questi, avevano così la conferma che il mondo giudeo‐ cristiano conducesse una guerra di lungo periodo contro il mondo musulmano. Così avevano il diritto di controbattere.
Va ricordato che questa formula famosa, “ scontro di civiltà” lascia intendere che in realtà le due civiltà fossero unite e compatte, una contro l’altra. Da notare che Huntington passa quasi sotto silenzio, nel suo libro, il conflitto tra israeliani e palestinesi. Allo stesso modo non tratta quasi per nulla dei conflitti tra India e Pakistan, dove i musulmani sono numerosi. In realtà Huntington parla particolarmente di un conflitto tra mondo musulmano/mondo
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cristiano, che considera in realtà come conseguenza del sempre più grande numero di giovani musulmani, legato alla grande crescita demografica delle società mussulmane. E’ questo quindi lo shock dello scontro delle civiltà che dovrebbe portare a un nuovo modello mondiale: un sovraccarico demografico del mondo musulmano, che è effettivamente triplicato negli ultimi quarant’anni. Sarebbe la causa della spinta che si eserciterebbe sul mondo cristiano. Come una placca tettonica, l’islam sovraccarico e sovrappopolato respingerebbe quindi la placca della civiltà europea chiamata civiltà nord americana.
Il cosiddetto “scontro delle civiltà” sarebbe quindi dovuto alla pressione demografica ineguale. Ma il mondo musulmano, con oltre 1,5 miliardi di abitanti, la cui superficie è considerevole (soprattutto in Africa), ha una densità Km2 ancora molto debole (salvo il caso di Java e del Bangladesh), cosa spiegata dalle enormi distese desertiche o di steppe, facendo concentrare la popolazione in spazi relativamente ridotti come la vallata del Nilo. Ma il Mondo Arabo, cioè la parte della popolazione musulmana maggiormente coinvolta dal fenomeno dell’aridità, è molto ridotto contando poco più di 250 milioni di abitanti. Una dimensione debole per poter giustificare l’espansione di tutto il mondo musulmano il quale invece è toccato più nella sua parte ricca di acqua e tropicale (Pakistan, Bangladesh, Indonesia, Nigeria). Ma cosa ancora più importante, le risorse del mondo arabo non sono legate solo all’agricoltura dato che dispone delle riserve di idrocarburi più ricche del mondo. Addirittura alcuni, nel mondo musulmano, le chiamano “dono di dio”. Questo permette al mondo arabo delle entrate sostanziose: la tesi secondo la quale quel reddito sarebbe accaparrato dalle compagnie petrolifere occidentali è falsa. Infatti quel petrolio è stato nazionalizzato da oltre vent’anni in tutti i Paesi Arabi (e sono i più ricchi di questi Paesi che finanziano i terroristi musulmani).
Huntington, nella sua spiegazione dello scontro delle civiltà, ripone tutto sul sotto‐insieme arabo e in parte iraniano (anche questo Paese ricco di idrocarburi): ben poca cosa, con il suo quarto di miliardo, per poter spiegare tutta la sua dinamica di conflitto di civiltà.
I segni di questa conflittualità esistono, ma sono più che altro presenti nella periferia di quest’insieme musulmano, laddove c’è contatto con altre civiltà e soprattutto sul fronte settentrionale del mondo Arabo, cioè proprio nell’insieme geopolitico Mediterraneo.
Quindi, piuttosto che evocare le cause generali di una espansione del mondo musulmano, è necessario analizzare precisamente i diversi problemi geopolitici che si hanno nel Mediterraneo, dato che molti di questi si ripercuotono tra loro e si accavallano. E soprattutto non dobbiamo dimenticare che numerosi di questi conflitti si svolgono all’interno degli stessi Paesi Arabi (come nel caso dell’Algeria con la guerra civile del 1992‐2002). Seppur non dobbiamo trascurare l’eco mondiale e il suo effetto di questo concetto di “scontro delle civiltà”.
4.3 Una serie di conflitti geopolitici all’interno del mondo musulmano tra Stato e movimenti islamisti.
Il libro di Huntington è stato oggetto di commenti molto favorevoli nell’ambiente degli integralisti islamici di tutti i paesi. Infatti rafforza implicitamente il loro discorso quanto
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all’opposizione fondamentale tra le due “civiltà” dei due “mondi”, il mondo” giudeo‐cristiano” che avrebbe secondo loro l’obiettivo di nuocere sistematicamente al mondo musulmano in tutti i modi, attizzandone le divisioni, e combattendolo con la guerra come in Iraq, soprattutto pervertendolo. Questo discorso islamista ha come obiettivo prima di tutto di convincere e di obbligare l’insieme dei musulmani al fatto che devono conformarsi alla sharia (la legge coranica) e che devono allontanarsi da ogni forma di modernizzazione occidentale (al di fuori dei mezzi tecnici). A seconda dei vari paesi a cui facciamo riferimento, esistono diversi movimenti integralisti islamici, il più antico dei quali è senza dubbio quello dei fratelli musulmani nato in Egitto e divenuto il suo principale protagonista fin dagli anni venti. Questo movimento alla sua nascita si batteva contro l’influenza occidentale in Egitto. Ma c’è stata anche una conseguenza legata ai cambiamenti politici che si sono prodotti in Turchia dopo la sconfitta della Prima Guerra mondiale. I fratelli musulmani denunciarono l’abolizione del califfato fatta da Mustafa Kemal, il quale decise di laicizzare la società turca e di rompere con i paesi arabi del Medio Oriente, colpevoli per Kemal di aver tradito l’Impero Ottomano durante la Guerra Mondiale, prendendo parte alla “ rivolta araba” (1916) fomentata dai britannici. Il movimento dei fratelli musulmani, dopo la Seconda Guerra mondiale agli inizi degli anni cinquanta, entra in conflitti con il regime egiziano del colonnello Nasser colpevole per loro di combinare nazionalismo arabo con socialismo. La dura repressione di cui furono vittime i fratelli musulmani, diede loro l’immagine di democratici ingiustamente oppressi da un regime. E fu in quel periodo che gli slogan che spingevano a imporre la sharia come sola forma di organizzazione della società mussulmana, che iniziarono ad avere eco all’interno del mondo intellettuale egiziano, più di quanto ormai non riuscissero gli slogan marxisti. Ma ancora di più fu lo stimolo nell’islam sciita fu la rivoluzione radicale del 1979, condotta dal clero iraniano, contro lo shah dell’Iran, colpevole di modernizzare in modo autoritario il proprio paese. Questo spinse gli islamisti anche sunniti a portare avanti una politica di islamizzazione nella propria azione politica. Ma la massa dei musulmani soprattutto delle città (2/3 della popolazione) e degli intellettuali non intendevano rinunciare, per conformarsi alla sharia, a tutta una serie di idee e di pratiche sociali che, non esistendo all’inizio dei tempi dell’islam, non erano interdette direttamente dal Corano, imponendosi progressivamente con la diffusione della cultura occidentale all’epoca della colonizzazione. Si viene così a creare una sorta di concorrenza che prende delle forme sempre più violente per il controllo delle istituzioni statali tra gli intellettuali musulmani “occidentalizzati” e modernizzatori, ma che denunciano l’imperialismo occidentale, e quegli intellettuali islamisti che usano come un dogma politico la lettura che essi fanno del Corano, per imporre la loro autorità alla popolazione. Il grande argomento degli islamisti è: denunciare le manifestazioni dell’imperialismo occidentale, il suo sostegno a Israele e l’invasione dell’Iraq è, d’altra parte, accusare i media occidentali e le idee che diffondono, di pervertire le donne mussulmane incitandole a non rispettare in modo stretto le regole della sharia.
Altro argomento che sviluppano gli islamisti: vogliono ristabilite il califfato, il comando di tutti i musulmani abolito da Mustafa Kemal nel 1923; ma soprattutto vorrebbero ricostruire l’identità geopolitica dell’”umma” cioè la comunità dei musulmani, unità che sarebbe, secondo loro, stata sistematicamente distrutta dalle colonizzazioni per indebolire il mondo
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musulmano. Certamente questa tesi si basa, giustamente, sulla ripartizione tra britannici e francesi del Medio Oriente all’indomani dell’implosione dell’Impero Ottomano, trovando pretesto nei “mandati” che erano affidati loro dalla Società delle Nazioni. Al contrario le frontiere dei vari stati del Maghreb (a esclusione delle regioni sahariane) sono estremamente antiche; tra l’altro avallate dall’Impero Ottomano, sono state semplicemente recuperate dal colonizzatore francese. Detto ciò il discorso degli islamisti sul ristabilire l’unità geopolitica dell’umma cade sull’esistenza, ormai da diversi anni, di Stati diversi che sono divenuti membri dell’ONU. L’importanza dei movimenti islamisti è diversa da paese a paese, secondo le loro caratteristiche geopolitiche, e si scontra a una diversa resistenza da parte del sistema statale. Era il caso sicuramente per l’Egitto e la Tunisia. Resta ora da vedere come riusciranno ad evolvere questi due paesi. La Tunisia ha dato per ora una maggioranza relativa al partito islamista nella gestione del proprio potere, senza però scivolare verso una dittatura di tipo iraniano. L’Egitto resta ad oggi privo di Mubarak, sotto il controllo di una giunta militare. L’obiettivo sarebbe quello di giungere a delle elezioni democratiche. Occorre però porsi il problema sulla carta dei limiti geopolitici di questi due mondi: quello arabo‐musulmano, quello giudeo‐cristiano. In effetti, spazialmente, i problemi non sono semplici, oltretutto carichi di valore; ciascuno di loro è oggetto di sentimenti e di discorsi contraddittori. Mentre si discute correntemente in termini di insiemi spaziali, mondo musulmano mondo cristiano o mondo europeo, limitandosi a schizzare delle delimitazioni schematiche, tracciarne sulla carta del Mediterraneo i limiti precisi è un’operazione ben più delicata, ma è indispensabile. In effetti, il mare non è una sorta di no man’s land, non lo è mai stato e negli ultimi decenni del ventesimo secolo, i movimenti migratori da sud verso nord, hanno assunto dimensioni considerevoli. A sud una gran parte della popolazione, soprattutto urbana, usa quotidianamente delle vestigia positive o negative delle colonizzazioni (a cominciare dall’uso della lingua) e attraverso la radio e la televisione, la popolazione è informata su quello che accade in Europa, dove vivono molte delle loro famiglie. Oggi decine di milioni di uomini e donne di cultura mussulmana vivono del nord del Mediterraneo. Alcuni sono ormai europei veri e propri potremmo dire, perché sono nati come i loro antenati su quella terra, per esempio nei Balcani (Bosnia, Albania,) o nei quartieri di Istanbul, la parte europea di questa Turchia, la cui domanda di adesione all’UE solleva tanti dibattiti. Ma sono nati anche in Europa occidentale sei milioni circa di persone di cultura mussulmana, con genitori venuti da Maghreb, Turchia, Medio Oriente oppure Pakistan e Bangladesh. A questi dobbiamo aggiungere almeno altri sei milioni di musulmani che sono immigrati in tempi recenti. Oltretutto in Europa queste persone si concentrano prevalentemente in grandi agglomerazioni urbane e ancora più precisamente in certi quartieri del centro o della periferia.
Questo solleva non pochi problemi geopolitici e a livello locale anche molto gravi; non solo per i cosiddetti europei di origine, ma anche e soprattutto per gli islamisti. In effetti questi ultimi temono che nelle grandi città europee, i musulmani pratichino sempre meno la loro religione, lasciandosi andare a dei costumi di tipo occidentale. E’ un pericolo molto alto, secondo loro, anche perché avrebbe un eco molto importante nei paesi da cui queste persone vengono. Così gli islamisti non sono favorevoli all’immigrazione dei musulmani in paesi che non lo sono. Detto ciò sempre più musulmani emigrano, e la soluzione islamista consiste nel
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favorire il loro raggruppamento in quartieri dove sono sempre più maggioritari e dove la sharia potrebbe essere addirittura praticata, di fatto, se non ufficialmente nel diritto. Già oggi questo pone un grosso problema geopolitico che, pur ponendosi su territori ridotti, riguardano una quantità molto importante di popolazione.
5. Questione di Metodo
Occorre chiaramente distinguere il mar Mediterraneo, la distesa marina con le sue rive e dal tracciato più o meno complicato , da ciò che correntemente nei media e nelle riflessioni di geopolitica viene indicato come “il Mediterraneo” e cioè l’insieme dei Paesi che lo circondano. Questo insieme mediterraneo e ben più esteso che la semplice distesa marina e le regioni più vicine alle sponde. Prima di tutto perché alcuni di questi Stati si affacciano anche sull’Atlantico (Marocco, Spagna, Francia). I loro territorî si estendono fino a migliaia di chilometri lontano dalle coste mediterranee e, se sembra evidente distinguere una Francia , per esempio, mediterranea da una Francia atlantica a causa di clima, paesaggio, cultura, ecc., occorre considerare il peso complessivo dello stesso Paese. Allo stesso tempo occorre considerare implicitamente l’insieme mediterraneo fino a 2.000 Km all’interno del Sahara, per tener conto dei giacimenti petroliferi che sono una caratteristica geopolitica dell’Algeria, della Libia.
Questo Mar Mediterraneo i cui contorni complessi, soprattutto al nord, sono il frutto di scontri tettonici, è un dato della Geologia. Si tratta di un insieme naturale dai limiti ben precisi e che noi non possiamo, su di una carta, modificarne i contorni.
5.1 Formare degli insiemi mediterranei più o meno estesi
Sulla carta, intorno al Mediterraneo, possiamo raggruppare dei Paesi dando vita a degli insiemi, almeno nella nostra immaginazione, più o meno estesi in funzione dei dei punti di vista e dei diversi ragionamenti (per esempio in funzione d’una caratteristica climatica comune, come l’aridità estiva). A quel punto otterremmo, sempre sulla carta, degli insiemi accavallati gli uni agli altri e che, a titolo diverso, definiremo come mediterranei.
Ma possiamo anche formare un insieme prendendo non solo in considerazione gli stati che sono direttamente sulle rive del Mediterraneo. Per esempio possiamo considerare anche gli Stati e le forze che vi hanno una grande importanza nelle situazioni geopolitiche situate sulle sponde di questa distesa marina. Per meglio comprendere il ruolo dei piccoli stati costieri del vicino oriente, come Libano, ma anche Siria, Giordania, è indispensabile considerare gli Stati situati ben più all’Est: l’Iraq con le sue conseguenze possibili del suo conflitto, ma anche l’Iran, questo stato islamico il cui presidente dichiara apertamente che “occorre cancellare Israele dalla Carta geografica”. Occorre considerare l’Arabia saudita la cui frontiera più occidentale (nel Golfo di Aqaba) è solo a 200 Km dalle coste del Mediterraneo e a 250 Km dal
Geopolitica 2012
Dispensa per il corso di Geopolitica Prof. Giuseppe BETTONI Pagina 23
Canale di Suez. Kabul certo si trova a 4.000 Km dal Mediterraneo, ma sappiamo tutti che quello che vi sta accadendo dal 2001 ha un’importanza enorme per il Mediterraneo e per l’Europa. Questo per il ruolo dei Talebani, per al‐Qaida, ma soprattutto perché il 90% della produzione mondiale di eroina viene dall’Afghanistan giunge a noi attraverso un circuito mafioso che parte dalle catene montuose del Sud dell’Asia centrale, passando per il Caucaso, la Turchia e i Balcani .
Va sempre tenuto presente, nella costruzione di un grande insieme geopolitico Mediterraneo, integrare il fatto che questi diversi Stati del Medio Oriente, che non sono direttamente affacciati sul Mar Mediterraneo, ma che invece fanno parte del mondo Arabo .e musulmano, detengono un dato geologico e geopolitico capitale: la ricchezza degli idrocarburi. La più importante riserva si trova nella zona di subduzione Mesopotamica, dove quella placca he è l’Arabia sprofonda sotto quella iraniana.
I Paesi che noi possiamo includere nell’insieme Mediterraneo possono essere caratterizzati da dati climatici molto comparabili: lungo periodo di aridità e forte caldo in estate. Sono le caratteristiche del clima che i geografi chiamano “mediterraneo”e che si estende dal Sud della Spagna e del Portogallo e che arriva fino all’Afghanistan, cioè una zona climatica di 8.000 Km di estensione. Oltre Jalalabad, vicina al Pakistan, cominciano i Paesi dei Monsoni, dove l’estate è la stagione della pioggia. A questo proposito occorrerebbe considerare meglio gli effetti provocati dal riscaldamento climatico del pianeta. In questa parte del mondo questo probabilmente aumenterebbe l’effetto dell’aridità, della siccità. Le regioni meridionali che devono già far fronte a un’estate senza pioggia e molto calda, l’aridità diventerebbe ancora più forte e questo mentre il peso demografico sta aumentando. Delle rivalità geopolitiche nuove, legate al controllo dell’acqua (già scarsa) aumenterebbero tra i diversi Stati e molto probabilmente anche tra i loro stessi territori interni.
Questo insieme Mediterraneo ci spinge a considerare anche il Portogallo, benché i Portoghesi amino definirsi unicamente come Atlantici. La siccità estiva del Mediterraneo colpisce fortemente anche la parte meridionale del loro Paese. I portoghesi, grazie alle loro importanti sedizioni navali, hanno sempre giocato un ruolo importante nel Mediterraneo, trascinando con loro, oltretutto, Castigliani e Italiani alla scoperta del mondo attraverso l’Atlantico. Alla fine, da una parte all’altra del mediterraneo che conta 4.000 Km, è utile per vederci più chiaro, estendere a più di 7.000 Km la dimensione del grande insieme geopolitico mediterraneo. Dobbiamo quindi contare una trentina di Stati diversi.