Dispensa Esame Malattie Infettive
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Facoltà di Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Foggia
“Malattie Infettive”
Prof. G. Angarano
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Programma del Corso di Malattie Infettive Prof. G. Angarano
Epatite Virale Acuta e Cronica (HAV, HBV, HCV, HDV, HEV, HGV).
Infezione da HIV; AIDS e sindromi correlate.
Infezioni del tratto digestivo: intossicazioni alimentari, tossinfezioni, infezioni intestinali
(Staphylococcus aureus, Colera, E. coli, Salmonella, Shigella, Yersinia enterocolitica,
Clostridium difficile...).
Parassitosi Intestinali diffuse nel nostro Paese: Amebiasi, Teniasi, Idatidosi, Ossiuriasi,
Ascaridiasi, Anchilostomiasi.
Malattie Esotiche a rischio d’infezione in Italia o per i viaggiatori: Malaria, Leishmaniosi,
Schistosomiasi, Filariosi.
Parotite Epidemica.
Esantemi e Malattie Esantematiche: Morbillo, Rosolia, Varicella (Herpes zoster),
Megaloeritema Infettivo, Esantema Critico, Scarlattina, Erisipela. Altri esantemi
vescicolari, Esantemi non infettivi (allergici).
Infezioni da Herpes Virus: HSV-1, HSV-2, VZV, EBV, CMV.
Infezioni in corso di gravidanza: TORCH, in particolare la Toxoplasmosi.
Infezioni da Rickettsie (Rickettsiosi esantematiche).
Infezioni del SNC: meningiti, encefaliti, ascessi cerebrali.
Malattia di Lyme da Borrelia burgdorferi, Leptospirosi.
Tetano e Botulismo.
Sepsi e Shock settico.
Endocarditi infettive.
Brucellosi.
Infezioni nosocomiali o ospedaliere in particolare nell’ospite immunocompromesso.
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Epatiti Virali Acute e Croniche
Le Epatiti Virali sono processi infiammatori acuti o cronici del fegato causati dai virus epatotropi
o epatitici (HV o Hepatitis virus) distinti in Virus dell’epatite A, B, C, D, E, e G.
Tutti i virus epatitici provocano le epatiti acute, i virus B, C, D e G possono provocare le epatiti
croniche, mentre le epatiti da virus A ed E non cronicizzano mai, sono autolimitanti e spesso
guariscono spontaneamente.
L’Epatite Virale Acuta è un processo infiammatorio acuto del fegato caratterizzato da
degenerazione, rigonfiamento e necrosi degli epatociti infettati, a cui segue rigenerazione
epatocitaria e flogosi mesenchimale, con > degli indici di citolisi soprattutto delle transaminasi.
Dal punto di vista Clinico le epatiti acute spesso sono asintomatiche o oligosintomatiche, mentre
le forme sintomatiche sono caratterizzate da 4 periodi:
periodo di incubazione: di durata variabile a seconda del virus dell’epatite, asintomatico anche
se nell’HBV si può avere un > transaminasi.
periodo preitterico: caratterizzato da sintomi aspecifici simil-influenzali cioè malessere
generale, astenia, febbricola o febbre, anoressia, nausea, vomito, diarrea, sensazione di peso
all’ipocondrio dx, raramente dolore intenso per infezione della capsula glissoniana.
periodo itterico (fase acuta): ittero di intensità variabile da subittero con bilirubinemia pari a
2-3 mg/dl, a ittero franco con bilirubinemia ≥ 5 mg/dl con colorazione giallastra della cute e
mucose, soprattutto le sclere data l’affinità tra bilirubina e fibre elastiche delle sclere, feci
ipocoliche, chiare da scarsa eliminazione fecale dello stercobilinogeno, urine ipercromiche,
iperpigmentate color marsala poiché la bilirubina diretta è solubile in acqua, supera il filtro renale
con eccessiva escrezione urinaria di urobilinogeno, epatomegalia di entità variabile...
Le Indagini di Laboratorio evidenziano un’alterazione degli indici di funzionalità epatica cioè >
indici di citolisi da necrosi epatocellulare con > transaminasi GOT o AST e soprattutto > GPT o
ALT; lieve > indici di colestasi cioè fosfatasi alcalina, bilirubinemia totale e frazionata...
periodo della convalescenza: spesso in questa fase si ha la sindrome post-epatitica con astenia,
malessere e sensazione di peso all’ipocondrio dx che tende a risolversi progressivamente con
normalizzazione delle transaminasi e restitutio ad integrum della struttura epatica.
L’Epatite Virale Cronica può essere definita come un processo infiammatorio caratterizzato da
necrosi, alterazioni delle fx epatiche e degli indici di citolisi di durata superiore ai 6 mesi.
Dal punto di vista Clinico le epatiti croniche sono asintomatiche per lunghi periodi di tempo,
caratterizzate da un > transaminasi, mentre solo nelle fasi avanzate si ha insufficienza epatica e
cirrosi con ittero, ipertensione portale con ascite cioè raccolta più o meno abbondante di liquido
sieroso trasudativo nel cavo peritoneale da ipoalbuminemia, edemi declivi, epatomegalia,
splenomegalia, ematemesi o melena da rottura delle varici esofagee con rapido decadimento
delle condizioni generali del pz.
Il Virus dell’Epatite A (HAV), scoperto nel 1973, è un virus ad RNA a singola catena,
inizialmente classificato come Enterovirus appartenente alla famiglia Picornaviridae, attualmente è
stato collocato nella famiglia degli Eparnavirus. Presenta un capside a simmetria icosaedrica con Ø
di 27 nm, privo di involucro esterno, resistente ai solventi, detergenti, pH acido per cui resiste al
succo acido gastrico, inoltre resiste alle alte e basse T°C, infatti può essere congelato a -20°C e
conservato per moltissimi anni, e viene disattivato solo a 100°C dopo 5 minuti.
Dal punto di vista Epidemiologico l’epatite A è diffusa in Africa, America Latina, Sud-Est
Asiatico, ex Unione Sovietica favorita dalle precarie condizioni socio-economiche e igienico-
sanitarie, con alta incidenza nei bambini dove spesso la malattia è asintomatica ma determina
immunità e protezione da reinfezioni. In Italia e altri paesi occidentali spesso l’infezione colpisce
soggetti che si recano nelle aree a rischio, soprattutto soggetti adulti non immunizzati.
La Trasmissione avviene per via orofecale attraverso l’ingestione di acqua e alimenti
contaminati da materiale fecale umano, consumati crudi o poco cotti come verdure, latte, frutti
di mare (molluschi), raramente per contatto diretto da persona a persona o per via parenterale in
seguito a trasfusioni di sangue o emoderivati, tossicodipendenza.
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Dal punto di vista Patogenetico il virus esercita un’azione citopatica diretta: ingerito con acqua o
alimenti contaminati, resiste all’ambiente acido gastrico, viene assorbito dalla mucosa intestinale e
attraverso il circolo portale raggiunge il fegato dove si lega a recettori presenti sulla superficie delle
cellule epatiche, penetra nell’epatocita, si libera del capside, si replica attivamente e viene
immagazzinato in vescicole che in seguito a lisi possono infettare le cellule epatiche adiacenti,
oppure vengono riversati nella bile ed eliminati con le feci, diffondendo il virus nell’ambiente,
soprattutto nel periodo di incubazione e prima settimana di malattia.
Dal punto di vista Clinico il periodo di incubazione è di 15-50 gg, spesso la malattia decorre in
maniera asintomatica oppure esordisce con febbre, malessere, astenia, nausea, dolori
addominali, fino alla comparsa di ittero con > transaminasi e bilirubina. L’epatite A ha un
decorso autolimitante con guarigione spontanea nel giro di 1 mese, senza mai cronicizzare e l’80-
90% dei pz presenta Ab protettivi in seguito al contatto con il virus, conferendo immunità duratura
che protegge da eventuali reinfezioni. Spesso si tratta di forme sporadiche con ittero assente, per cui
si parla di epatite anitterica, altre volte si ha una complicanza cioè l’epatite acuta colestatica in
seguito alla formazione di trombi nei piccoli dotti biliari intraepatici che impediscono il deflusso
della bile con ittero a iperbilirubinemia diretta con feci ipocoliche, urine ipercromiche, prurito
intenso, >> fosfatasi alcalina e bilirubina, > transaminasi, tali da simulare un ittero ostruttivo
extraepatico. Spesso la prognosi è buona con guarigione e restitutio ad integrum.
La Diagnosi dell’epatite A si basa sull’anamnesi valutando tutti i fattori di rischio e su test
sierologici come la tecnica immunoenzimatica Elisa e radioimmunologica per la ricerca degli
Ab specifici cioè IgM che compaiono nelle fasi di esordio e persistono per alcune settimane dopo la
guarigione, e IgG che compaiono 2-3 giorni dopo le IgM, persistono per tutta la vita con immunità
permanente, per cui sono Ab protettivi.
La Prevenzione dell’epatite A si basa su misure di carattere generale cioè miglioramento delle
condizioni igienico-sanitarie, evitare il consumo di cibo e acqua contaminati soprattutto nelle aree a
rischio. Inoltre è importante l’immunoprofilassi attiva con vaccino indicata nei soggetti che si
recano nelle aree a rischio, omosessuali, tossicodipendenti, emodializzati, familiari di pz affetti da
epatite A, soggetti affetti da malattie epatiche croniche. Il vaccino è costituito da un virus inattivo,
nei bambini viene somministrato in 3 dosi per via i.m. (muscolo deltoide) cioè una dose iniziale,
una dopo 1 mese e una dopo 6-12 mesi, negli adulti si somministrano 2 dosi a distanza di 6-12 mesi.
Il Virus dell’Epatite E (HEV) scoperto nel 1990, è di difficile classificazione perchè ha
caratteristiche simili ai Calicivirus e Alphavirus: è un virus a RNA a singola elica, non capsulato,
sferico con Ø di 32 nm, responsabile di epidemie in Africa, Russia, Messico e India, favorite da
condizioni igienico-sanitarie precarie, dove la trasmissione dell’infezione avviene per via
orofecale soprattutto attraverso l’acqua contaminata dalle feci.
In Italia l’epatite E rappresenta ~ il 10% delle forme non-A, non-B e non-C, spesso si tratta di forme
da importazione legate ai flussi migratori o a viaggi eseguiti nelle aree a rischio.
Tramite la sierodiagnosi è stato dimostrato che il virus dell’epatite E è molto diffuso in Europa nei
soggetti risultati negativi agli altri markers epatitici, per questo motivo il virus HEV deve essere
preso in considerazione quando ci troviamo di fronte ad un’epatite acuta a sierologia negativa.
Dal punto di vista Clinico dopo un periodo di incubazione di 2-8 settimane si ha astenia,
dispepsia, gastroenteriti, ittero, > transaminasi, eliminazione del virus con le feci. La malattia è
autolimitante con guarigione, senza mai cronicizzare, anche se nelle donne al 3° trimestre di
gravidanza spesso si ha l’insorgenza dell’epatite fulminante con morte nel 40% dei casi,
caratterizzata da necrosi epatica massiva con comparsa precoce di insufficienza epatica grave,
manifestazioni emorragiche da deficit dei fattori della coagulazione o da CID, encefalopatia
epatica acuta caratterizzata da tremori (flapping tremor o tremore a battito d’ala), difficoltà nel
linguaggio, amnesie, disorientamento temporo-spaziale, agitazione fino al coma nel giro di
qualche h. Inoltre il pz presenta ittero severo e ingravescente, << tempo di protrombina PT (<
25%), ipoalbuminemia con ascite, iperammoniemia, insufficienza renale acuta con oligo-
anuria, insufficienza cardiaca e respiratoria: l’unica possibilità terapeutica è il trapianto epatico.
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La Diagnosi di epatite E si basa sul test immunoenzimatico ELISA per la ricerca degli Ab nel siero
cioè le IgM che compaiono durante la fase acuta e permangono in circolo per alcune settimane, poi
compaiono le IgG che persistono a lungo in circolo come segno di infezione pregressa.
Il Virus dell’Epatite B (HBV) scoperto nel 1969, appartiene alla famiglia Hepadnaviridae, ha un
capside a simmetria sferica con Ø di 42 nm, costituito da un nucleo centrale o core contenente il
genoma virale e da un involucro esterno o envelope di natura lipoproteica.
Il genoma del virus B è costituito da una molecola di DNA circolare parzialmente a doppia elica,
infatti presenta un filamento corto incompleto a polarità positiva (S+) e un filamento lungo a
polarità negativa (L-) con ~ 3200 nucleotidi costituito da 4 geni sovrapposti (non contigui) a
lettura aperta che consentono di leggere il genoma più volte, in particolare il gene S che codifica
per l’Ag di superficie HBsAg presente sull’involucro virale e il gene C che codifica per l’Ag del
core virale HBcAg che è una proteina nucleocapsidica. Il gene C è preceduto dalla regione del
pre-core che codifica per la proteina strutturale HBeAg localizzata nello spessore del capside, la
cui presenza in circolo è indice di replicazione virale attiva cioè di viremia o infettività.
Poi abbiamo il gene P che codifica per la DNA polimerasi e il gene X.
In realtà il virus dell’epatite B si comporta come un virus a RNA: si lega ai recettori presenti sulla
superficie della cellula epatica, penetra nella cellula per endocitosi, si libera del suo rivestimento e
si ha l’integrazione tra il genoma virale e genoma della cellula ospite che rappresenta una
condizione necessaria ma non sufficiente per la cancerogenesi, iniziando la replicazione virale con
intervento di vari enzimi: l’enzima DNA polimerasi corregge l’errore di lettura del DNA
completando il tratto mancante a livello del filamento corto, l’enzima topoisomerasi nucleare
converte il DNA circolare aperto in DNA circolare chiuso covalentemente, l’enzima RNA polimerasi
trascrive un’elica del DNA circolare chiuso in RNA a singola elica con formazione dell’RNA
pregenomico che per intervento dell’enzima trascrittasi inversa viene convertito in DNA.
Per cui il virus HBV ha le stesse caratteristiche di variabilità genetica dei Retrovirus (HIV), infatti
la trascrittasi inversa, rispetto alla DNA polimerasi, non riesce a correggere gli errori di lettura del
DNA, per cui ad ogni ciclo di replicazione si formano virus mutanti molto eterogenei, capaci di
eludere il sistema immunitario, resistere alle terapie con IFN, vaccini e di cronicizzare.
Dal punto di vista Patogenetico il virus B non è citolitico ma il danno epatico è immunomediato
per azione dei linfociti T CD8+ e cellule NK che riconoscono gli Ag presenti sulla superficie delle
cellule epatiche infettate (Agc) e le aggrediscono. In caso di mutazioni genetiche si sviluppano dei
virus mutanti che riescono ad eludere il sistema di difesa immunitario, come la mutazione
puntiforme del gene pre-C con deficit di sintesi dell’HBeAg ad alto rischio di epatite fulminante.
Dal punto di vista Epidemiologico l’epatite B è diffusa in tutto il mondo, soprattutto in Asia,
Africa e Paesi Tropicali dove provoca 1 milione di morti/anno, mentre l’Italia è a moderata-media
endemia con picco più alto in Puglia e Campania, anche se il tasso di incidenza è diminuito negli
ultimi anni grazie alla vaccinazione anti-epatite B che è obbligatoria in tutti i bambini, controllo
delle trasfusioni di sangue e campagna di prevenzione contro l’AIDS con rapporti sessuali protetti.
La Trasmissione dell’infezione può avvenire in diversi modi:
− per via parenterale attraverso trasfusioni di sangue o emoderivati più rara rispetto al passato
grazie al controllo delle sacche di sangue.
− per via percutanea attraverso siringhe o aghi contaminati con rischio maggiore nei
tossicodipendenti e operatori sanitari, uso di strumenti non sterili, rasoi, pettini, forbici,
trattamenti estetici con strumenti non monouso come manicure, pedicure, tatuaggi, piercing.
− trasmissione mediante altri liquidi biologici: saliva, sudore, latte materno, liquido seminale e
secrezioni vaginali in particolare in caso di rapporti sessuali con partner diversi e non protetti.
− trasmissione da madre (HBsAg+) a feto per via transplacentare o verticale durante il passaggio
nel canale del parto. Il 90-100% dei neonati diventa portatore cronico del virus ad alto rischio di
sviluppare un’epatite cronica attiva con cirrosi ed epatocarcinoma, ecco perchè è importante
l’immunoprofilassi e la vaccinazione del neonato entro la 1^ settimana dopo la nascita.
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Dal punto di vista CLINICO dopo un periodo di incubazione di 60-120 gg l’epatite acuta esordisce
con malessere e anoressia, e dopo alcuni gg si ha la comparsa di ittero con urine ipercromiche e
cute giallastra e > transaminasi intorno alla 12^ settimana di malattia (3° mese).
Nell’85-90% dei casi si ha la guarigione, solo nell’1-3% dei casi si ha l’epatite fulminante con
mortalità nel 50% dei casi, mentre l’epatite cronica colpisce il 10% dei soggetti adulti favorita
dalla resistenza all’IFN, infezione da virus mutanti, immunodepressione da AIDS e terapia
immunosoppressiva in caso di linfomi e anti-rigetto post-trapianto.
Si parla di epatite B cronica se dopo 6 mesi di malattia il laboratorio evidenzia la persistenza di alti
livelli delle transaminasi e soprattutto di HBsAg, nel 60% dei casi evolve verso la cirrosi e
l’epatocarcinoma, mentre nel 40% dei casi si ha l’evoluzione verso lo stato di portatore sano di
HBsAg, per cui possiamo fare una distinzione tra:
epatite B cronica tipica: caratterizzata dalla presenza nel siero di HBsAg, HBeAg, DNA virale e
dalla presenza nel fegato dell’HBcAg a cui segue la comparsa delle IgM anti-Agc nel siero. In
genere si tratta di una forma asintomatica che raramente evolve verso la cirrosi.
epatite B cronica atipica: causata da virus B mutati, tra cui abbiamo la mutazione puntiforme
della regione pre-C, diffusa nel bacino del Mediterraneo, con deficit della sintesi dell’Age, per cui si
sviluppa un infezione atipica caratterizzata da HBeAg − nel siero, HBsAg, DNA virale e Ab anti-
Age + nel siero, Agc + nel fegato. Si tratta di forme cliniche severe con rapida evoluzione verso
la cirrosi o frequenti recidive con fasi di remissione alternate a fasi di replicazione attiva e
fluttuazione dei livelli delle transaminasi ALT.
stato di portatore cronico sano HBsAg+: forma asintomatica con transaminasi ALT normali,
HBsAg + nel siero, DNA virale −, HBeAg − nel siero e presenza di Ab anti-Age di classe IgM.
Alcune volte nonostante la sieroconversione con scomparsa dell’HBeAg e comparsa degli Ab anti-
HBeAg, il virus continua a replicarsi, per cui si parla di epatite cronica in fase attiva con >
transaminasi, DNA virale + ad alto rischio di cirrosi epatica e carcinoma epatocellulare.
La Diagnosi si basa sull’esame sierologico valutando la presenza dei markers specifici dell’HBV
utili per stabilire in quale fase della malattia si trova il pz e per la scelta terapeutica, tra cui abbiamo:
HBsAg o Ag di superficie (Ag Australia, Dane): compare nel siero sin dalla fase di incubazione,
resta in circolo nella fase acuta e per un certo periodo di tempo nella fase di convalescenza..
HBeAg: la presenza dell’Age nel siero indica che il virus è in una fase di replicazione attiva con
presenza dell’HBV-DNA cioè si tratta di soggetti viremici ad alto rischio di trasmettere l’infezione
in altri individui.
HBcAg o Ag del core virale: viene ricercato su coltura di cellule epatiche prelevate con biopsia.
Gli Ab anti-Agc di classe IgM sono i primi a comparire nel siero, presenti a titolo elevato nella fase
acuta della malattia e nei mesi successivi. Il periodo che intercorre tra la scomparsa dell’Ags e la
comparsa degli Ab anti-Ags nel siero è detto periodo finestra immunologica per cui la diagnosi
avviene solo grazie alla presenza degli Ab anti-Agc che rappresentano il marker sierologico più
sensibile e specifico per la diagnosi di infezione acuta o recente da HBV.
Gli Ab anti-Agc di classe IgG compaiono nella fase di convalescenza e persistono per tutta la vita.
In caso di Guarigione la sierodiagnosi evidenzia: sieroconversione con scomparsa dell’HBeAg nel
siero e comparsa di Ab anti-Age di classe IgM entro 3-4 sett. dall’inizio della malattia, con <
progressiva della replicazione virale a livello epatico fino alla normalizzazione ALT e scomparsa
del DNA virale nel siero (PCR), inoltre sieroconversione con scomparsa HBsAg nel siero e
comparsa dopo alcune settimane degli Ab anti-Ags di classe IgG che conferiscono immunità
permanente al pz, proteggendo dalle reinfezioni.
La Biopsia epatica con esame istologico e immunoistochimico è utile per valutare l’entità del
danno epatico, soprattutto la presenza di cirrosi o cancerizzazione, di monitorare la terapia con
IFN, di valutare la presenza dell’Agc (diagnosi eziologica) e la fase dell’infezione da HBV.
La Terapia delle forme acute raramente necessita di farmaci sintomatici cioè antiemetici (vomito),
nutrizione parenterale in caso di anoressia severa e vomito, antistaminici in caso di prurito, vitamine
liposolubili per via parenterale in caso di colestasi protratta, dieta equilibrata, mentre nelle forme
croniche si ricorre all’IFNα per via i.m. 1 volta/die per 4 mesi, alla dose di 5 milioni di UI,
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bloccando la replicazione virale nel 40% dei casi con sieroconversione cioè scomparsa dell’HBeAg
e comparsa di Ab anti-Age, mentre le recidive si hanno nell’1-2% dei casi.
Nei portatori asintomatici la terapia con IFN deve essere evitata perchè può aggravare la malattia,
mentre nelle forme croniche terminali l’unica possibilità è il trapianto epatico.
La Prevenzione si basa su misure di carattere generale evitando tutte le possibili fonti di contagio.
L’immunoterapia attiva avviene con vaccino ottenuto con la tecnica del DNA ricombinante
trasferendo il gene S in un lievito innocuo (Saccaromyces cerevisiae). In Italia il vaccino è
obbligatorio dal 1991 per tutti i neonati, si basa su 3 somministrazioni cioè una al 3° mese, una al 5°
mese e una all’11°-13° mese con risposta eccellente nel 100% dei bambini, tranne in caso di
infezioni da virus mutanti e infezioni trasmesse da mamme in gravidanza in fase di replicazione
virale attiva. In caso di trasmissione da mamma HBsAg+ a feto si somministrano entro 12-24 h
dalla nascita la 1^ dose del vaccino anti-HBV + una dose di Ig di classe IgG anti-HBV, poi si
prosegue con la somministrazione delle 3 dosi tipiche del vaccino anti-HBV.
La vaccinazione è raccomandata nei soggetti a rischio cioè tossicodipendenti, omosessuali,
conviventi di portatori cronici, personale sanitario...
Il Virus dell’Epatite D (HDV, delta δ) scoperto nel 1977, è un virus a RNA a singola elica
circolare, con Ø di 37 nm, difettivo perchè necessita della contemporanea presenza del virus
dell’epatite B per infettare le cellule epatiche.
Dal punto di vista Clinico si possono avere coinfezioni cioè infezioni simultanee da HBV e HDV
con decorso della malattia tipico dell’epatite B o sovrainfezioni in soggetti portatori cronici del
virus B con infezione severa a rischio di epatite fulminante o rapida evoluzione verso la cirrosi.
La Diagnosi si basa sulla ricerca delle IgM anti-AgD (δ) che compaiono nelle fasi acute e IgG che
persistono per diverse settimane, monitoraggio delle transaminasi e biopsia epatica.
I soggetti immunizzati per una epatite B pregressa o mediante il vaccino anti-epatite B sono protetti
anche dall’epatite D, mentre in caso di sovrainfezioni si ricorre alla terapia con IFNα ad alte dosi e
per lunghi periodi di tempo, fino al trapianto di fegato nelle forme più severe.
Il Virus dell’Epatite C (HCV) scoperto nel 1989 appartiene alla fam. Flaviviridae (flavivirus,
pestivirus) costituito da un capside di 50-60 nm di Ø, rivestito dall’envelope di natura lipidica, il
genoma virale è costituito da una molecola di RNA a singola elica di ~ 9400 nucleotidi formato da:
− geni che codificano per proteine strutturali (S): gene C codifica per la proteina del core C22
nucleocapsidica, geni E1 ed E2 (NS1) codificano per proteine dell’envelope (determinanti Ag).
− geni che codificano per proteine non strutturali o enzimatiche (NS): geni NS2, NS3, NS4, NS5
codificano per vari enzimi cioè proteasi, elicasi, trascrittasi, RNA polimerasi.
Mediante tecniche di biologia molecolare è stato dimostrato che il genoma dell’HCV spesso va in
contro a mutazioni spontanee a livello delle regioni E1, E2, NS2 costituite da sequenze variabili e
ipervariabili, infatti sono stati identificati 6 genotipi molto eterogenei dal punto di vista
epidemiologico e clinico: in Italia il genotipo più rappresentato è il genotipo 1 (50%), in particolare
il genotipo 1b post-trasfusionale, responsabile di una forma clinica severa e resistente alla
terapia con IFN. Il genotipo 1a è più diffuso in USA, il genotipo 1b e i genotipi 2a-2b sono diffusi
anche in Giappone, il genotipo 3 è diffuso in Inghilterra e Scozia soprattutto tra i tossicodipendenti,
il genotipo 4 in Africa, mentre i genotipi 5 e 6 sono diffusi in Africa, Asia ed altri paesi.
Quindi dal punto di vista Epidemiologico l’epatite C è diffusa in tutto il mondo, la trasmissione
avviene per via parenterale attraverso trasfusioni di sangue o emoderivati soprattutto nei soggetti
affetti da talassemia o emofilia (coagulopatia congenita che necessita del fattore VIII), oppure
trasmissione per via percutanea soprattutto nei tossicodipendenti e personale sanitario per uso di
aghi infetti, raramente per via sessuale, trasmissione verticale da madre a feto, mentre nel 40% dei
casi la via di trasmissione è sconosciuta.
La Patogenesi dell’epatite C non è stata ancora chiarita, probabilmente il danno epatico è
immunomediato, mentre la persistenza del virus con cronicizzazione è legata alle frequenti
mutazioni spontanee che consentono al virus di eludere le difese immunitarie.
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Dal punto di vista CLINICO il periodo di incubazione in media è di 42 gg (15-160 gg), nel 75-
85% dei casi l’infezione è asintomatica oppure si manifesta con sintomi aspecifici cioè febbre,
malessere generale, mialgia, anoressia, nausea, raramente dolore addominale e ittero, mentre le
indagini di laboratorio evidenziano un notevole > transaminasi ALT.
Nell’85% dei casi si ha l’evoluzione verso l’epatite cronica: lo stato di portatore cronico è
segnalato dalla persistenza in circolo per oltre 6 mesi delle transaminasi ALT e dell’RNA virale
nel siero e nel fegato, il pz presenta astenia persistente, mentre l’ecografia epatica + biopsia con
esame citoistologico evidenziano una flogosi lieve o moderata o fibrosi di grado lieve che evolve
lentamente e progressivamente verso la cirrosi epatica nel giro di 20-30 anni e rischio di sviluppare
l’epatocarcinoma in 10 anni. L’evoluzione è molto più rapida nei soggetti HIV+ e alcolisti.
Lo stato di portatore sano è caratterizzato da transaminasi normali e biopsia epatica normale ma
spesso si tratta di soggetti viremici cioè in grado di trasmettere la malattia.
La Diagnosi si basa sulla sierodiagnosi per la ricerca degli Ab nel siero con la tecnica
immunoenzimatica ELISA di 2^ e 3^ generazione e il test RIBA (Recombinant Immunoblot Assay)
per evitare i falsi +, immobilizzando le proteine virali su un filtro di nitrocellulosa messo a contatto
con il siero del pz: dopo ~ 6 settimane dall’inizio della malattia si ha la comparsa nel siero di Ab di
classe IgM diretti contro la proteina strutturale C22 (E2) e la proteina enzimatica C33 (NS3),
dopo 6-12 mesi si ha la comparsa delle IgG dirette contro la proteina enzimatica C-100 (NS4). In realtà la diagnosi di certezza avviene mediante la PCR (Polymerase Chain Reaction,
amplificazione genica) utile per la ricerca dell’RNA virale nel siero e fegato valutando la viremia,
consentendo la diagnosi precoce dell’infezione perchè l’RNA virale compare nel siero
precocemente, molte settimane prima degli Ab anti-HCV, valutando se si tratta di portatori
asintomatici, di forme acute o croniche ed è molto utile per monitorare la terapia con IFN.
La Terapia con IFNα è indicata in caso di epatite cronica attiva, cirrosi allo stadio A di Child:
l’IFNα è dotato di attività antiproliferativa, immunomodulante e antivirale, viene somministrato per
via sottocutanea 3 volte/sett per 6-12 mesi, alla dose di 3-6 milioni di U con remissione completa
nel 25% dei pz e temporanea nel 50% dei pz con recidive in seguito alla sospensione della terapia.
La terapia più efficace è quella con IFN pegilato 2a-2b + ribavirina con risultati buoni soprattutto
nelle forme da genotipo 1a, 2, 3 e 4. L’IFN pegilato è un IFN ricombinante dotato di una clearance
ridotta e > emivita farmacologica per cui può essere somministrato solo 1 volta/settimana.
La risposta alla terapia è + se si ha la normalizzazione delle transaminasi e soprattutto la
scomparsa HVC-RNA nel siero persistenti nel tempo dopo la sospensione della terapia.
La terapia con IFN è Controindicata in caso di pz che presentano una grave patologia sistemica
o patologia d’organo extraepatica, malattie epatiche non virali cioè emocromatosi, morbo di
Wilson, steatosi, epatiti autoimmuni, inoltre cirrosi epatica scompensata, cardiopatie come IMA
recente, insufficienza cardiaca congestizia, ipertensione arteriosa grave, diabete mellito
scompensato, malattie autoimmunitarie (LES) o altre malattie trattate con corticosteroidi,
piastrinopenia severa, donne in gravidanza o che allattano per evitare danni al feto e neonato.
La Prevenzione si basa sul rispetto delle norme igieniche generali, uso di strumenti sterili per
interventi chirurgici e trattamenti estetici, protezione dei rapporti sessuali a rischio.
Esistono altri potenziali virus dell’epatite, anche se il loro ruolo patogeno è ancora in fase di studio:
− virus G (HGV): scoperto nel 1994, a trasmissione parenterale, asintomatico nel 90% dei casi,
altre volte provoca epatiti croniche con coinfezione da virus dell’epatite C, valutabile con la PCR.
− virus F o French virus isolato la prima volta dalle feci di pz francesi, virus TT, SEN virus.
− virus epatitici minori cioè CMV, EBV, Coxsackievirus, Herpesvirus.
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AIDS (Sindrome da immunodeficienza acquisita)
L’AIDS o Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (Acquired Immuno-Deficiency
Syndrome) è una sindrome caratterizzata da un deficit ingravescente delle difese immunitarie
con immunodepressione e insorgenza di infezioni opportunistiche e neoplasie.
Dal punto di vista STORICO la sindrome è stata descritta per la prima volta nel 1981 quando negli
Stati Uniti furono diagnosticati numerosi casi di polmonite da Pneumocystis carinii e di sarcoma di
Kaposi in soggetti di sesso M omosessuali, soprattutto a New York e San Francisco.
Nel 1983 Luc Montagnier isolò il virus dai linfonodi di un malato chiamandolo LAV o
lymphadenopathy virus o HTLV-III o retrovirus T linfocitario umano di tipo III mentre nel 1984 è
stato indicato con la sigla HIV o Human Immunodeficiency Virus, attualmente inserito nella
fam. dei Lentivirus che è una sottofamiglia dei Retrovirus umani, e sono stati identificati 2
sierotipi cioè HIV-1 diffuso in America, Europa e Asia, e HIV-2 diffuso in Africa.
Dal punto di vista EPIDEMIOLOGICO probabilmente l’epidemia è originata negli anni 50
nell’Africa equatoriale in seguito alla trasmissione del virus dell’immunodeficienza delle
scimmie (SIV) all’uomo, per contatto con sangue infetto durante la caccia o riti tribali, favorita
dalle precarie condizioni igienico-sanitarie e socio-economiche.
Verso la fine degli anni ’70 l’infezione si è diffusa nelle isole dei Caraibi (Haiti) e negli Stati Uniti,
soprattutto a New York e San Francisco, e Nord Europa, favorita da intensi scambi commerciali e
turistici, diffusione del turismo sessuale, trasfusioni di sangue ed emoderivati infetti.
Dall’inizio dell’epidemia ad oggi l’infezione ha colpito oltre 50 milioni di soggetti in tutto il
mondo, di cui 48 milioni sono adulti e 5 milioni bambini con età < 15 anni.
L’infezione è più diffusa nei paesi in via di sviluppo, in particolare in Africa Sub Sahariana con 28
milioni di casi, 7 milioni nei paesi del Sud-Est asiatico, soprattutto India e Thailandia, dove la
situazione è drammatica a causa degli alti costi delle terapie per cui l’unica speranza è quella di
ottenere un vaccino efficace.
Nel mondo occidentale l’infezione è meno diffusa: 1 milione nel Nord America, 1,7 milioni
nell’America Latina, 600.000 casi in Europa Occidentale, soprattutto Spagna, Francia e Italia.
Ogni anno si verificano ~ 5 milioni di nuovi casi, di cui 3 milioni nell’Africa Sub Sahariana, con
mortalità pari a ~ 3 milioni/anno in tutto il mondo.
In Italia i primi casi furono segnalati nel 1983 a trasmissione eterosessuale tra siero+: dall’inizio
dell’epidemia ad oggi sono stati segnalati ~ 48000 casi di AIDS con picco più alto nel 1995. Il tasso
di incidenza più alto si registra in Lombardia, Lazio, Emilia Romagna e Toscana con ~ 4-5 nuovi
casi/100000 abitanti/anno, mentre nelle regioni del Sud Italia è di 1-2 casi/100000 abitanti/anno.
La TRASMISSIONE dell’HIV in genere avviene per via sessuale soprattutto in caso di rapporti
occasionali con partner diversi e non protetti poiché il virus presente nel liquido seminale e nelle
secrezioni vaginali entra nell’organismo in presenza di piccole lesioni genitali o anali preesistenti o
che si verificano durante il rapporto.
La trasmissione materno-fetale da mamma sieropositiva può avvenire per via transplacentare
(pre-partum) o per via verticale durante il passaggio del feto attraverso il canale del parto (intra-
partum) in seguito al contatto tra il sangue materno e fetale durante le contrazioni oppure per
ingestione di secrezioni cervico-vaginali infette. La trasmissione post-partum si verifica durante
l’allattamento al seno. La trasmissione materno-fetale è molto diffusa nei paesi sottosviluppati
mentre nei paesi occidentali è notevolmente < grazie alla terapia antiretrovirale in gravidanza, parto
cesareo e allattamento artificiale.
La trasmissione per via parenterale attraverso trasfusioni di sangue o emoderivati infetti è meno
diffusa rispetto al passato grazie al controllo delle sacche di sangue e dei donatori.
La trasmissione per via percutanea è diffusa nei tossicodipendenti e personale sanitario in seguito
allo scambio o contatto con siringhe infette. La trasmissione può avvenire anche attraverso
strumenti non sterili per la manicure, pedicure, piercing, tatuaggi, forbici, rasoi...
La trasmissione non avviene mediante la saliva, lacrime, sudore, urine, feci, secrezioni nasali,
vomito anche se il virus può essere presente in questi liquidi biologici, come in caso di emorroidi
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sanguinanti con eliminazione del virus attraverso le feci. Inoltre non avviene attraverso stoviglie,
asciugamani, utensili, telefoni e puntura di insetti ematofagi come le zanzare.
Dal punto di vista Morfologico il virus HIV presenta un capside rivestito da un mantello esterno o
envelope. Il capside presenta una forma cilindrica allungata o a bastoncino di 90-110 nm,
contiene il genoma virale, enzimi e varie proteine come la proteina p24.
Il mantello è costituito dalla glicoproteina gp120 extracitoplasmatica che favorisce il legame con
il recettore CD4 e gp41 transmembranaria che favorisce l’adesione tra envelope e membrana
della cellula ospite.
Il genoma virale è rappresentato da 2 copie uguali di RNA a singola elica costituite da vari geni
strutturali che sono comuni a tutti i retrovirus cioè:
– sequenze LTR (Long Terminal Repeat): presenti alle estremità del genoma, regolano
l’integrazione, l’espressione genica e la replicazione del virus.
– gene gag: codifica per le proteine strutturali del capside virale.
– gene env (envelope): codifica per la glicoproteina gp160 dell’envelope da cui derivano la gp120
e gp41, da cui dipende l’infettività del virus.
– gene pol (polimerasi): codifica per gli enzimi trascrittasi inversa, proteasi, ribonucleasi e
integrasi, necessari per la replicazione virale.
Il virus HIV, a differenza degli altri retrovirus, presenta alcuni geni specifici cioè:
– gene VIF (virion infectivity factor): neutralizza l’effetto inibitorio esercitato dall’enzima
APOBEC3G dell’ospite.
– gene VPR (viral protein R): > la replicazione virale e promuove l’infezione dei macrofagi da
parte di HIV.
– gene TAT (transcriptional activator): favorisce l’estensione dei trascritti primari.
– gene REV (regulator of viral gene expression): favorisce l’asportazione dal nucleo dell’RNA
virale parzialmente processato.
– gene NEF (negative effector): < l’espressione di CD4 da parte della cellula infettata e
l’espressione di MHC-I, e > il rilascio di particelle virali infettive.
– gene VPU (viral protein U): < l’espressione di CD4 da parte della cellula infetatta e favorisce il
rilascio del virus.
Il Ciclo Biologico dell’HIV inizia con l’interazione del complesso glicoproteico Env con CD4 e
con i recettori per le chemochine espressi su un linfocita T helper.
I virioni responsabili dell’infezione sono presenti nel sangue, sperma e altri liquidi biologici, e
possono essere trasmessi per contatto sessuale, attraverso punture con aghi infetti o attraverso
passaggio transplacentare da madre a figlio.
Il complesso Env è una struttura glicoproteica derivante dal legame non covalente tra la subunità
transmembrana gp41 e la subunità extracitoplasmatica gp120.
Il complesso Env è espresso sulla superficie del virione in forma trimerica dove media una
serie di tappe sequenziali che si concludono con la fusione dell’envelope virale con la
membrana della cellula bersaglio.
La prima tappa di questo processo è il legame tra la subunità gp120 e CD4 che determina una
modifica della conformazione della gp120 favorendo il suo legame ad alcuni recettori per
chemochine che, a sua volta, modifica la conformazione della gp41 che determina l’esposizione di
una regione idrofobica detta peptide di fusione in grado di inserirsi nella membrana cellulare,
promuovendone la fusione con l’envelope virale.
Al termine del ciclo vitale del virus nella cellula infettata vengono liberati nuovi virioni in grado di
legarsi ad altre cellule non infettate, propagando l’infezione.
Inoltre, le gp120 e gp41 vengono espresse sulla membrana plasmatica delle cellule infettate anche
prima che il virus venga rilasciato e possono mediare la fusione tra una cellula infettata e una non
infettata esprimente CD4 e i corecettori, consentendo al genoma HIV di passare direttamente da
una cellula all’altra. Tra i recettori per chemochine più importanti che agiscono da corecettori per HIV favorendo
l’ingresso del virus nella cellula bersaglio, abbiamo CXCR4 e CCR5.
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I vari ceppi virali riescono a riconoscre in modo specifico i vari corecettori attraverso le diverse
varianti della gp120:
– i ceppi HIV T-tropici o linfotropi esprimono una gp120 che lega CXCR4 espressa sui linfociti
T CD4+, per cui sono capaci di infettare e replicarsi nei linfociti T CD4+, e sono detti ceppi X4.
– i ceppi HIV M-tropici esprimono una gp120 che lega CCR5 espressa sui macrofagi e alcuni
linfociti T di memoria, per cui sono capaci di infettare e di replicarsi solo nei macrofagi, e sono
detti ceppi R5.
– i ceppi a doppio trofismo esprimono una gp120 capace di legare sia CXCR4 sia CCR5, per cui
sono capaci di infettare i linfociti T CD4+ e i macrofagi, e sono detti ceppi R5X4.
Negli individui sieropositivi si verifica una fase precoce in cui prevale la produzione di virus M-
tropici e una fase tardiva in cui prevale la produzione di virus T-tropici che sono più virulenti
forse perché causano la perdita dei linfociti T più velocemente rispetto ai ceppi M-tropici.
E’ stato dimostrato che in caso di mutazione genetica con deficiti dei recettori CCR5 si ha
resistenza alle infezioni da HIV, confermando che questi recettori sono importanti nella
patogenesi dell’infezione. Quando il virus HIV penetra nella cellula bersaglio si ha subito l’attivazione degli enzimi
contenuti nel core virale, attivando il ciclo biologico del virus.
Il core nucleoproteico si dissolve, l’enzima trascrittasi inversa trascrive l’RNA genomico in
DNA a doppia elica che entra nel nucleo insieme all’integrasi virale che catalizza l’inserzione
del DNA virale nel genoma della cellula ospite, costituendo il provirus che può rimanere
inattivo per mesi o anni senza essere trascritto e senza produrre nuove proteine virali o
virioni, permettendo all’infezione di rimanere latente. La trascrizione dei geni del provirus è regolata dalle sequenze LTR situate a monte dei geni
strutturali del virus, contenenti le sequenze di poliadenilazione, la sequenza promotrice TATA
box e i siti di legame per i fattori di trascrizione della cellula ospite NF-kB e SP1.
La trascrizione è potenziata da varie citochine e altri stimoli fisiologici per i linfociti T e i
macrofagi, ad es. IL-2, TNF e linfotossina stimolano l’espressione dei geni di HIV nei linfociti
T, mentre IL-1, IL-3, IL-6, TNF, IFN-γ e GM-CSF stimolano la trascrizione genica e la
replicazione di HIV nei monociti-macrofagi.
Si tratta di eventi molto importanti nella patogenesi dell’AIDS perché rappresentano il meccanismo
principale attraverso cui la fase di latenza dell’infezione da HIV si conclude, avviando la
replicazione virale. Per cui negli individui sieropositivi le infezioni ricorrenti potenziano la
replicazione virale e aumentano la diffusione dell’infezione.
Dato che la trascrizione del genoma di HIV da parte dell’RNA polimerasi è inefficiente, infatti
questo complesso enzimatico interrompe la sua azione prima di portare a termine la
trascrizione completa del genoma virale, dando origine a corte sequenze di mRNA non
funzionali, si ha l’intervento della proteina Tat che si lega alla catena di mRNA nascente
aumentando l’efficienza dell’RNA polimerasi di centinaia di volte, permettendo il
completamento della trascrizione e la produzione di mRNA virali completi e funzionali che
vengono tradotti in proteine che vengono assemblate per formare i virioni maturi infettanti.
Il processo di espressione dei geni di HIV può essere diviso in una fase precoce in cui vengono
espressi i geni regolatori Rev, Tat e Nef, e una fase tardiva in cui vengono espressi i geni
strutturali env, gag e pol, seguito dall’assemblaggio del genoma virale completo che viene
impacchettato nel complesso nucleoproteico formato dalle proteine p15, p17 e p24 codificate dal
gene gag e dagli enzimi codificati dal gene pol, cioè trascrittasi inversa, proteasi, ribonucleasi e
integrasi, necessari per il successivo ciclo di integrazione del virus.
Il complesso nucleoproteico virale viene rivestito da un involucro derivante per gemmazione
dalla membrana della cellula infettata dopo il suo rilascio del virus stesso.
I linfociti T naïve sono resistenti all’infezione da HIV perché contengono una forma attiva di un
enzima che introduce mutazioni nel genoma del virus.
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Questo enzima è detto APOEBC3G (APOlipoprotein B mRNA-editing Enzyme Catalytic
polypeptide-like editing complex 3), appartenente alla famiglia degli enzimi citidina-deaminasi
che inibiscono la replicazione dei retrovirus.
L’APOEBC3G agisce sostituendo una citosina con un uracile nel DNA virale prodotto dalla
trascrittasi inversa, creando mutazioni che inibiscono l’ulteriore replicazione del DNA.
L’attivazione dei linfociti T converte la forma attiva di APOCEB3G in una forma complessata,
inattiva, ma anche il virus HIV nel corso dell’evoluzione ha sviluppato meccanismi per eludere
le difese della cellula ospite, producendo la proteina Vif che si lega all’APOCEB3G favorendo la
sua degradazione da parte di proteasi cellulari.
La Patogenesi dell’infezione da HIV prevede varie fasi:
infezione iniziale e disseminazione: il virus HIV penetra nell’organismo attraverso le
mucose epiteliali dove le cellule dendritiche catturano il virus e migrano nei linfonodi,
trasferendo mediante contatto diretto cellula-cellula il virus ai linfociti T CD4+ ed entro pochi
giorni dal contagio si osserva la replicazione virale nei linfonodi responsabile di una viremia con
ingresso in circolo di un elevato n° di virioni che favorisce la comparsa della fase di infezione
acuta o precoce, detta sindrome acuta da HIV caratterizzata da sintomi aspecifici.
La viremia favorisce la disseminazione sistemica del virus con infezione dei linfociti T helper, m
acrofagi e cellule dendritiche dei tessuti linfoidi periferici.
fase di latenza clinica: l’organismo nelle prime settimane reagisce con una risposta
immunitaria cellulo-mediata con intervento dei linfociti T citotossici CD8+ che distruggono i linfociti
TCD4+ circolanti, mentre la risposta umorale con attivazione policlonale dei linfociti B determina
un’iperproduzione di Ab caotica alti livelli in circolo di Ab anti-gp120 e anti-gp41, che
consentono di < la viremia plasmatica ma non sono in grado di rimuovere il virus a livello
intracellulare, dando luogo alla fase di infezione latente cioè il soggetto è sieropositivo (HIV+)
ma non presenta l’AIDS.
In questa fase il virus continua a replicarsi nei linfonodi, milza, fegato, midollo osseo e cellule
gliali del SNC, mantenendo una minima viremia plasmatica, per cui la malattia è silente o
asintomatica dal punto di vista clinico ma non dal punto di vista biologico.
fase di infezione cronica: caratterizzata da un deficit severo delle difese immunitarie con
linfociti T CD4+ < 200 unità/mm3, viremia plasmatica spiccata, tali da favorire la comparsa del
quadro clinico di AIDS conclamato.
Il principale meccanismo attraverso cui l’HIV determina immunodeficienza con perdita della
funzione dell’immunità innata e specifica, soprattutto cellulo-mediata, è un effetto citopatico
diretto sui linfociti T CD4+ infetti, favorendo l’apoptosi o interferendo con la normale sintesi
proteica dei linfociti oppure in seguito a fusione tra la membrana plasmatica dei linfociti infetti
e dei linfociti non infetti attraverso l’interazione tra gp120 e CD4, formando cellule giganti
plurinucleate, cioè sincizi che possono essere letali per i linfociti T infetti e sani.
Inoltre, l’immunodeficienza può essere dovuta all’infezione dei macrofagi, cellule dendritiche e
cellule follicolari dendritiche.
I macrofagi infettati da HIV sono relativamente resistenti agli effetti citopatici di HIV, per cui
possono rappresentare un importante serbatoio del virus, come dimostrato dal fatto che in molti
tessuti di pz affetti da AIDS, inclusi cervello e polmone, la quantità di virus associata ai
macrofagi supera quella associata ai linfociti.
Inoltre, nei macrofagi si può avere un’alterazione della funzione di presentazione dell’Ag e della
produzione di citochine.
Anche le cellule dendritiche riescono a resistere all’effetto citopatico dell’HIV ma durante il
processo di presentazione dell’Ag le cellule dendritiche infettate stabiliscono forti contatti con i
linfociti T naïve, trasmettendo l’infezione ai linfociti.
Le cellule dendritiche follicolari (FDC) presenti nella milza e nei centri germinativi dei
linfonodi intrappolano grandi quantità di virus sulla loro superficie, per cui le FDC possono
essere uccise dal virus oppure a causa della grande quantità di HIV accumulato sulla loro
superficie possono favorire l’infezione dei macrofagi e linfociti T CD4+ nel linfonodo.
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I Meccanismi di Elusione Immunitaria da parte di HIV sono diversi:
‒ l’HIV presenta un tasso di mutazione estremamente elevato a causa della scarsa precisione della
trascrittasi inversa, per cui riesce a sfuggire al riconoscimento da parte degli Ab o dei linfociti T
generati contro le proteine virali prima che queste subiscano la mutazione.
‒ le cellule infettate dal virus possono sfuggire all’azione dei linfociti CTL poiché è < l’espressione
delle molecole MHC-I sulla loro superficie (dovuta all’azione della proteina virale Nef).
‒ il virus HIV può inibire le risposte immunitarie cellulo-mediate a causa di uno sbilanciamento delle
sottopopolazioni linfocitarie TH1 e TH2 a favore dei TH2 con > della produzione di citochine di tipo
TH2 in grado di inibire l’immunità cellulo-mediata, aumentando la suscettibilità dell’ospite alle
infezioni da parte di patogeni intracellulari, compreso lo stesso HIV.
I Serbatoi cellulari responsabili della produzione del virus HIV e del turnover virale sono
rappresentati per il 90% dai linfociti T CD4+ infettati a breve emivita, pari ad 1 giorno, presenti in
circolo, e in parte dai macrofagi infettati, dotati di emivita più lunga, pari a 2 settimane, e forse
dai linfociti T di memoria infettati in modo latente.
Dal punto di vista Clinico si fa una distinzione tra varie fasi:
fase di infezione acuta primaria: si verifica dopo 3-6 settimane dal contagio, è asintomatica
nel 25-50% dei pz oppure si manifesta con sintomi aspecifici simil influenzali o mononucleosici
con esantema cutaneo maculo-papuloso, linfoadenopatia, febbre, faringodinia, astenia,
artromialgie, cefalea, raramente nausea, vomito, diarrea, epatosplenomegalia, disturbi
neurologici reversibili cioè perdita di memoria, disorientamento e alterazioni della personalità.
fase di latenza clinica: asintomatica dal punto di vista clinico ma non dal punto di vista
biologico perchè la replicazione virale continua con progressiva < linfociti T CD4+ e deficit della
risposta immunitaria cellulo-mediata. Alcune volte si ha la sindrome linfoadenopatica LAS con
interessamento di 2 o più linfonodi in sede retronucale, laterocervicale e ascellare che sono > di
volume, tumefatti, indolenti, mobili, di consistenza parenchimatosa, raramente splenomegalia.
fase ARC o complesso AIDS-correlato (AIDS Related Complex): rappresenta il periodo di
transizione tra fase di latenza clinica e fase di AIDS conclamato che in assenza di terapia è di 10-12
anni, caratterizzato da almeno 2 sintomi clinici tra sudorazioni notturne, febbre persistente,
astenia ingravescente, diarrea intermittente, calo ponderale > 10% del peso corporeo,
linfoadenopatia generalizzata, dermatite seborroica grave e resistente alla terapia, associate a
2 o più alterazioni del sistema immunitario correlabili all’infezione HIV come la < n° linfociti T
CD4+ nel sangue periferico e inversione del rapporto CD4/CD8 (Th/Ts) (< 1).
AIDS conclamato: rappresenta la fase sintomatica dell’infezione da HIV con linfociti T
CD4+ < 200-100 /mm3 e insorgenza di infezioni opportunistiche o neoplasie.
La nuova Classificazione CDC (Centers for Diseases Control and Prevention) del 1993 tiene
conto sia delle manifestazioni cliniche sia delle alterazioni biologiche in particolare del livello dei
linfociti T CD4+ (v.n.: 750 ± 250 cell/µl) che possono essere > 500/mm3, = 200-499/mm3, <
200/mm3 per cui si fa una distinzione tra:
categoria A (A1, A2, A3): pz asintomatico o con infezione acuta primaria o linfoadenopatia
generalizzata persistente (LAS).
categoria B (B1, B2, B3): pz sintomatico con patologie attribuibili all’HIV o patologie complicate
dall’HIV cioè angiomatosi bacillare, candidosi orofaringea, candidosi vulvovaginale, displasia
cervicale o carcinoma cervicale in situ, herpes zoster disseminato, sintomi costituzionali cioè
febbre e diarrea persistenti per oltre 1 mese, sudorazioni notturne e calo ponderale > 10% del
peso corporeo, leucoplachia orale villosa, neuropatia periferica...
categoria C (C1, C2, C3): pz con AIDS conclamato con sviluppo di infezioni opportunistiche o
neoplasie tra cui le polmoniti ricorrenti, TBC e carcinoma invasivo della cervice uterina che
nella vecchia classificazione di Atlanta del 1986, basata solo su parametri clinici, non venivano
considerati.
Dal punto di vista Clinico l’AIDS è caratterizzato da manifestazioni neurologiche, infezioni
opportunistiche, neoplasie, sindromi organo-specifiche... (markers o indicatori di progressione).
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Le Manifestazioni Neurologiche si hanno nel 70% dei pz e sono distinte in manifestazioni
neurologiche primarie dovute al trofismo spiccato del virus HIV per le cellule nervose e
manifestazioni neurologiche secondarie a infezioni opportunistiche o neoplasie in corso di AIDS.
Tra le manifestazioni neurologiche primarie abbiamo:
meningite acuta asettica: si manifesta nelle fasi iniziali in seguito alla diffusione nel liquor
dell’HIV, caratterizzata da febbre, cefalea, rigidità nucale che tende a risolversi spontaneamente.
AIDS-dementia complex (ADC): dovuta all’effetto citotossico del virus sulle cellule gliali
della sostanza bianca sottocorticale (astrociti e oligodendrociti) con degenerazione e atrofia
cerebrale, demenza progressiva, difficoltà di concentrazione e ideazione, amnesie, alterazioni
del tono dell’umore, confusione mentale, disorientamento temporo-spaziale, mielopatie con
deficit motori cioè deambulazione ad andatura incerta, perdita di equilibrio, astenia agli arti
inferiori, tremori, paralisi degli arti superiori e inferiori o tetraparesi, incontinenza fecale e
urinaria da perdita del tono sfinteriale.
La RMN e TAC evidenziano l’atrofia cortico-cerebrale con lesioni focali o diffuse della sostanza
bianca, ipodense, l’esame del liquor evidenzia alti livelli dell’Ag p24 dovuto alla replicazione
virale nelle cellule nervose. I farmaci antiretrovirali possono migliorare il quadro clinico.
neuropatie periferiche: alterazioni della sensibilità, movimenti e riflessi, polineuropatia
distale sensitiva con dolore urente (bruciante) a mani e piedi.
Tra le manifestazioni neurologiche secondarie abbiamo: encefalite da CMV, leucoencefalopatia
multifocale progressiva da virus JC, neurotoxoplasmosi, meningoencefalite da Criptococcus
neoformans, linfoma cerebrale primitivo.
Le Infezioni Opportunistiche in corso di AIDS si manifestano quando i livelli dei linfociti T
CD4+ sono < 200/mm3, per cui il sistema immunitario non riesce più a controllare i microrganismi
presenti nell’ambiente e nel nostro organismo con riattivazione endogena di microrganismi prima
silenti, e insorgenza di infezioni opportunistiche da protozoi, batteri, funghi e virus.
Tra le Infezioni opportunistiche da protozoi abbiamo:
Pneumocystis carinii: è responsabile di una polmonite interstiziale nel 60-80% dei pz con
AIDS rappresentando l’infezione opportunistica più frequente, spesso da riattivazione di una
pregressa infezione contratta nell’infanzia, asintomatica. Si manifesta con tosse secca, febbricola,
poi si ha flogosi della membrana alveolo-capillare con essudato che impedisce gli scambi gassosi
con > permeabilità della membrana alveolo-capillare, edema polmonare acuto non cardiogeno e
insufficienza respiratoria acuta con dispnea ingravescente e cianosi (ARDS).
L’Rx Torace evidenzia il tipico aspetto a vetro smerigliato, mentre la diagnosi eziologica si ha
con l’analisi del lavaggio bronchiolo-alveolare BAL evidenziando cisti e trofozoiti.
La terapia si basa sul cotrimossazolo (trimetoprim) + sulfametossazolo o clindamicina-primachina.
La profilassi con cotrimossazolo ha < drasticamente l’incidenza delle polmoniti da P. carinii.
Toxoplasma gondii: nei pz con AIDS si ha la riattivazione del parassita con toxoplasmosi
cerebrale o neurotoxoplasmosi con meningite, encefalite, meningo-encefalite...
La TC con m.d.c. e RMN evidenziano la presenza di lesioni multiple o focali ipodense circondate
da edema, la sierodiagnosi consente la ricerca di Ab specifici nel siero.
La terapia e la profilassi si basano sulla pirimetamina + clindamicina o sulfadiazina, associati
all’acido folico essendo farmaci mielotossici, corticosteroidi o diuretici per < l’edema cerebrale e
migliorare il quadro clinico.
Cryptosporidium parvum e Isospora belli provocano nei pz con AIDS una grave enterite
con numerose scariche diarroiche, acquose con perdita fino a 15 lt/die di liquidi ed elettroliti,
disidratazione e squilibrio idroelettrolitico, dolore addominale crampiforme, nausea, vomito.
Il Cryptosporidium parvum può provocare anche colangiti, colecistiti e pancreatiti.
La diagnosi si basa su esame parassitologico delle feci per la ricerca delle oocisti e
immunofluorescenza con Ab monoclonali.
La terapia si basa su paromomicina o azitromicina in caso di criptosporidiosi, cotrimossazolo in
caso di isosporiasi, associati al ripristino dell’equilibrio idroelettrolitico.
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Tra le Infezioni opportunistiche da batteri abbiamo:
Micobatteri: nei pz con AIDS si possono avere infezioni da micobatteri atipici soprattutto da
Micobacterium avium-intracellulare e da Micobacterium tuberculosis responsabile della TBC che è
30 volte più frequente rispetto alla popolazione sana sottoforma di riattivazione o nuova infezione.
I micobatteri atipici provocano un’infezione sistemica con interessamento di polmoni, apparato
digerente, fegato, milza, linfonodi e midollo osseo, caratterizzata da febbre, malessere generale,
astenia, inappetenza, calo ponderale (cachessia), sudorazione notturna, tosse, dispnea e
insufficienza respiratoria, diarrea e dolori addominali, pancitopenia cioè anemia, leucopenia e
piastrinopenia, > fosfatasi alcalina.
La TBC nei pz con AIDS è caratterizzata da manifestazioni polmonari ed extrapolmonari cioè
linfoadenopatie generalizzate, pericarditi, meningiti, encefaliti, sepsi...
La Diagnosi avviene mediante l’esame microscopico e colturale dell’espettorato colorato con di
Ziehl-Neelsen che evidenzia il fenomeno dell’acido alcol-resistenza cioè i micobatteri colorati con
fucsina fenicata basica al 5% non sono decolorati con alcool etilico ed acido solforico mentre gli
altri batteri sono decolorati. Per la diagnosi rapida è utile la PCR, mentre l’Rx Torace è utile solo
nelle fasi iniziali evidenziando lesioni cavitarie agli apici polmonari con adenopatia ilare e
mediastinica, la reazione intradermica alla tubercolina di Mantoux è ─ nelle fasi avanzate con
deficit immunitario.
La terapia nel caso dei micobatteri atipici si basa su claritromicina, etambutolo, rifabutina mentre in
caso di TBC isoniazide, rifampicina, etambutolo.
altre infezioni batteriche: polmoniti da Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenziae,
Pseudomonas aeruginosa, enterocoliti da Salmonella, Shigella, Campylobacter, sepsi recidivanti
da Salmonelle non tifoidi cioè Salmonella enteritidis e tiphymurium, neurosifilide da Treponema
pallidum con lesioni cutanee da vasculiti necrotizzanti, meningite, retinite e sordità.
Tra le Infezioni opportunistiche da funghi o miceti abbiamo:
Candida albicans e glabrata: responsabili della candidosi del cavo orale o mughetto con
pseudomembrane biancastre a livello del palato e lingua con bruciore e secchezza del cavo orale,
spesso diffuse all’esofago con pirosi, disfagia e dolore retrosternale o alla trachea e bronchi con
tosse, dispnea e insufficienza respiratoria. La terapia avviene con fluconazolo o ketoconazolo.
Criptococcus neoformans: meningoencefalite subacuta, polmonite interstiziale.
Histoplasma capsulatum: infezione sistemica con meningite, pancitopenia,
epatosplenomegalia, linfoadenomegalia, perdita di peso e febbre. La terapia si basa
sull’amfotericina B.
Tra le Infezioni opportunistiche da virus abbiamo:
Herpes virus: CMV, Herpes simplex, VZV, EBV, HHV6 e 8 nei pz immunocompetenti dopo
l’infezione primaria restano silenti nell’organismo mentre negli immunodepressi sono riattivati
provocando delle infezioni opportunistiche disseminate a prognosi severa, considerando che gli
herpes virus sono virus linfotropi che agiscono come cofattori della replicazione virale.
Il CMV è responsabile di manifestazioni sistemiche cioè retinite necrotizzante mono o bilaterale
con lesioni necrotico-emorragiche, distacco di retina e cecità, enterocolite con diarrea
mucosanguinolenta, dolori addominali crampiformi, anoressia, calo ponderale, esofagite con
ulcera solitaria di grandi dimensioni, dolore retrosternale e odinofagia, manifestazioni
polmonari cioè dispnea, cianosi e ipossiemia, encefalite con cefalea, febbre, alterazioni del tono
dell’umore fino al coma.
La terapia e la profilassi si basano sulla somministrazione del ganciclovir o foscarnet.
L’Herpes virus simplex 1 provoca vescicole e ulcere cutanee sanguinanti e dolorose a livello del
volto e tronco, mentre l’Herpes virus simplex 2 interessa la mucosa orale, genitale e perianale.
Raramente si ha esofagite con ulcere multiple di piccole dimensioni con disfagia, dolore
retrosternale e odinofagia.
Il Virus VZV provoca infezioni in seguito a riattivazione endogena a livello dei gangli nervosi
sensitivi con lesioni disseminate multimetameriche, ulcerazioni con dolore urente,
sovrainfezioni batteriche e batteriemia. La terapia si basa sull’acyclovir.
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Il Virus EBV è responsabile della leucoplachia villosa orale con chiazzette biancastre ai lati
della lingua ed è associato al linfoma di Burkitt (t 8;14).
Il virus HHV6 spesso si associa alla retinite da CMV mentre l’HHV8 al sarcoma di Kaposi.
Poliomavirus JC o SV40: nei soggetti con AIDS provoca la leucoencefalopatia multifocale
progressiva (LMP) con distruzione degli oligodendrociti della sostanza bianca sottocorticale e
demielinizzazione focale progressiva con disturbi del linguaggio, visus e memoria, deficit
sensitivo-motori, disturbi dei nervi cranici soprattutto del nervo ottico con cecità e morte nel
giro di 4-6 mesi. La RMN è l’indagine più utile per la diagnosi.
Tra le Neoplasie associate all’AIDS abbiamo il sarcoma di Kaposi, linfomi e cervicocarcinoma.
Il Sarcoma di Kaposi è un’angiosarcoma cioè una neoplasia di origine vascolare multifocale o
diffusa, distinta in forma classica mediterranea diffusa nel bacino del mediterraneo soprattutto nei
soggetti anziani di sesso M, forma epidemica africana diffusa in Africa soprattutto in soggetti di
sesso M omosessuali HIV+ spesso associata all’infezione da HHV8 trasmessa per via sessuale, e
forma iatrogena da terapia immunosoppressiva, reversibile alla sospensione della terapia.
Il sarcoma di Kaposi si manifesta con macule rosso-violacee, rotonde o ovali, irregolari,
localizzate a livello della cute delle mani e piedi, mucose superficiali e viscerali che evolvono in
placche o noduli di consistenza duro-elastica che nelle fasi avanzate tendono a confluire in
chiazze voluminose con erosioni cutanee, ipercheratosi, infiltrazione del tessuto sottocutaneo e
muscoli. Nei pz con AIDS il sarcoma interessa soprattutto la cute del volto e punta del naso,
mucosa orale e genitale associato a manifestazioni in vari organi ed apparati cioè linfoadenopatie,
febbricola, tosse secca, dispnea da sforzo, raramente versamento pleurico di natura emorragica,
diarrea emorragica, edema della mucosa intestinale fino all’ostruzione, ittero ingravescente...
La diagnosi avviene mediante biopsia delle lesioni con esame istologico.
La terapia a seconda dei casi avviene con crioterapia, radioterapia, polichemioterapia sistemica per
via e.v. con adriamicina, bleomicina e vincristina o vinblastina.
I Linfomi si manifestano nel 5-10% dei pz con AIDS conclamato con rischio 120 volte > rispetto ai
soggetti sani, direttamente proporzionale al deficit dei linfociti T CD4, tra cui abbiamo i linfomi
cerebrali primitivi e i linfomi non Hodgkin (LNH) che in genere sono linfomi a cellule B,
indifferenziati ad alto grado di malignità come il linfoma di Burkitt spesso associato all’infezione da
EBV, virus oncogene associato alla traslocazione t(8;14), amplificazione del gene c-myc e
mutazione del gene Ras, si manifesta con febbre, calo ponderale, sudorazione, linfoadenomegalia
generalizzata e interessamento del SNC, tratto gastroenterico, polmoni, fegato e midollo osseo.
La diagnosi avviene con biopsie linfonodali o osteomidollari con esame istologico, mentre la
stadiazione avviene con la TAC o RMN. La terapia si basa sulla polichemioterapia + terapia
antiretrovirale ma spesso la remissione è parziale con prognosi infausta.
Il Carcinoma invasivo della cervice uterina è favorito dalle infezioni croniche da
Papillomavirus sierotipi 16 e 18 (virus oncogene) correlate alle abitudini sessuali, per cui nei
soggetti a rischio è importante lo screening mediante Pap-test con esame citologico su striscio
cervico-vaginale ed esame colposcopico con esame istologico, utili per la diagnosi precoce della
malattia in fase asintomatica, valutando la presenza della displasia lieve, moderata o severa CIN
(neoplasia cervicale intraepiteliale) o del carcinoma in situ: se si interviene nelle fasi iniziali è
possibile evitare l’evoluzione verso il carcinoma invasivo con guarigione nel 90% dei casi.
Infine nei pz con AIDS si verificano le Sindromi Organo-Specifiche spesso primitive,
idiopatiche o ad eziologia sconosciuta, altre volte secondarie alle terapie:
manifestazioni respiratorie: polmoniti interstiziali.
manifestazioni ematologiche: pancitopenia cioè anemia, leucopenia, piastrinopenia da
linfomi, infezione opportunistiche, terapia immunosoppressiva in caso di linfomi. E’ importante la
somministrazione dell’Epo, fattori stimolanti le colonie GM-CSF, G-CSF, trasfusioni di sangue.
manifestazioni dei reni e vie urinarie: nefropatie da HIV o farmaci nefrotossici con sclerosi
glomerulare segmentale focale fino all’insufficienza renale nel giro di 1 anno.
manifestazioni cardiache: miocardiopatia dilatativa con insufficienza cardiaca congestizia,
endocardite batterica acuta da Staphylococcus aureus nei tossicodipendenti.
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manifestazioni reumatiche: artriti reattive, Sindrome di Sjögren con interessamento delle
ghiandole salivari e lacrimali con secchezza del cavo orale e oculare.
manifestazioni endocrino-metaboliche: insufficienza surrenalica, disfunzioni organi genitali.
cachessia HIV-correlata (Wasting Syndrome): perdita involontaria di peso > 10% in 1 mese,
diarrea cronica con più di 2 scariche/giorno per 30 gg, astenia cronica e febbre per oltre 30 gg. La DIAGNOSI di HIV-AIDS si basa sul Test Immunoenzimatico ELISA (Enzyme Linked
Immuno-Sorbent Assay) utile per la ricerca degli Ab anti-HIV soprattutto contro la gp41 e gp120
che restano nell’organismo per tutta la vita. Nei test Elisa di ultima generazione si usano Ag puri
prodotti in provetta che vengono fatti assorbire alla pareti della provetta, si introduce il siero del pz
e Ab anti-IgG umane marcati con un enzima (perossidasi, fosfatasi): il test è + se avviene la
reazione Ag-Ab indicata dalla reazione enzimatica con variazione di colore del siero.
Il test ha una sensibilità del 95% ma è poco specifico, a rischio di falsi + cioè Elisa + in assenza di
infezione come nei soggetti con deficit del sistema immunitario da leucemie, linfomi, malattie
autoimmuni, oppure falsi ─ cioè Elisa ─ in presenza di infezione in caso di infezione recente con
assenza di Ab nel siero, infatti il periodo che intercorre tra il contagio e la comparsa di Ab specifici
è detto finestra immunitaria ed è variabile da 6 settimane fino a 6 mesi dal contagio. Per cui in caso di test Elisa + si ricorre al Western Blotting (WB) sensibile e specifico utile per la diagnosi di
conferma di AIDS: un lisato del virus HIV ottenuto da colture cellulari viene sottoposto ad
elettroforesi denaturante separando le proteine virali in base al PM, ottenendo diverse bande di
migrazione che mediante elettroforesi sono trasferite su una membrana di nitrocellulosa che viene
tagliata in piccole strisce trasversali ciascuna contenente una proteina diversa cioè gp120, gp41,
p24, incubandole con il siero del pz: il test è + se la reazione Ag-Ab avviene contemporaneamente
su 2 o più bande contenenti gli Ag virali con variazione di colore, mentre in caso di test − o dubbio
bisogna ripeterlo dopo alcuni mesi. Tra i Metodi Diretti abbiamo la PCR molto sensibile, è utile nei casi dubbi soprattutto in caso di
test Elisa ─ e Western Blotting +, consente la diagnosi precoce dell’infezione, di valutare la
viremia cioè l’attività replicativa del virus o n° di copie di RNA virale in 1 ml di plasma,
monitorare il decorso della malattia, risposta alla terapia antiretrovirale e velocità di
evoluzione verso l’AIDS che > con l’> viremia plasmatica: la presenza di HIV-RNA > 104 indica
una progressione verso l’AIDS entro 5 anni.
Il monitoraggio dell’RNA virale deve avvenire prima di iniziare la terapia antiretrovirale, durante la
terapia e ogni 3-4 mesi per monitorare la risposta alla terapia. Una volta stabilito che il soggetto è siero+ è importante la conta dei linfociti T CD4 per valutare a
quale categoria della classificazione CDC appartiene il pz cioè in quale fase si trova il pz.
La TERAPIA dell’infezione da HIV avviene mediante la terapia antiretrovirale che ha lo scopo di
bloccare la replicazione virale, favorire la ripresa del sistema immunitario, rallentare l’evoluzione
verso l’AIDS conclamato migliorando la qualità di vita del pz e favorendo una maggiore
sopravvivenza. I farmaci antiretrovirali in base al meccanismo d’azione sono distinti in:
inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa (NRTI): Zidovudina (Retrovir), Didanosina,
Lamivudina, Stavudina, Zalcitabina.
inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa (NNRTI): Nevirapina, Efavirenz.
inibitori delle proteasi (PI): Indinavir, Ritonavir, Saquinavir, Nelfinavir.
inibitori della fusione: Enfuvirtide.
Attualmente si ricorre alla terapia anti-HIV di associazione potente HAART (highly active
antiretroviral therapy) con somministrazione contemporanea di 3 farmaci dotati di meccanismo
d’azione diverso nelle varie fasi del ciclo vitale del virus cioè 1 PI + 2 NRTI, 1 NNRTI + 2 NRTI, 3
NRTI. La terapia è efficace se il pz assume i farmaci in modo corretto con adeguata aderenza alla
terapia, non si hanno fenomeni di resistenza o effetti collaterali con progressiva < viremia (HIV-
RNA) fino alla negativizzazione nel giro di 24 sett. (PCR) e > linfociti T CD4+.
Tra gli effetti collaterali abbiamo la sindrome metabolica che insorge dopo 6 mesi o 1-2 anni
dall’inizio della terapia con alterazioni del metabolismo glicidico e lipidico cioè lipodistrofia con
> colesterolo e trigliceridi, perdita di tessuto adiposo sottocutaneo a livello degli arti superiori
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e inferiori, natiche e volto, > tessuto adiposo a livello della pancia, seno e regione cervico-
dorsale con aspetto a gobba di bufalo. Altre complicanze sono mielodepressione con anemia e
neutropenia, neuropatie periferiche, nausea, diarrea, alopecia, osteonecrosi...
La Prevenzione primaria ha lo scopo di evitare qualsiasi fonte di contagio.
I ricercatori italiani dell’Istituto Superiore della Sanità coordinati da Barbara Ensoli hanno
realizzato il Vaccino TAT diretto contro la proteina regolatoria dell’HIV-1, importante per la
replicazione virale che rispetto alle proteine strutturali resta invariata nei vari sottotipi virali, per cui
il vaccino potrà essere utilizzato in tutte le popolazioni, soprattutto nelle aree in via di sviluppo
dove l’infezione è epidemica. Dopo una fase sperimentale negli animali con ottimi risultati
(scimmia) si è passati alla sperimentazione nell’uomo (Roma, Milano): nella 1^ fase durata 2 anni è
stato dimostrato che il vaccino è sicuro e ben tollerato nell’uomo e nella maggior parte dei soggetti
sia sani che sieropositivi e non sottoposti ad altre terapie ha determinato una risposta immune
specifica con produzione di Ab diretti contro la proteina TAT in grado di bloccare la replicazione
virale e lo sviluppo della malattia. Attualmente siamo nella 2^ fase della sperimentazione con
vaccinazione di un n° maggiore di volontari in Italia e Africa, sia nel protocollo preventivo in
soggetti sani ma ad alto rischio di infezione sia nel protocollo terapeutico in pz che si trovano in
stadi diversi della malattia trattati o meno con terapia anti-retrovirale con risultati tra 2-3 anni.
Infezioni dell’Apparato Digerente
Le Infezioni dell’Apparato Digerente in genere sono causate da batteri come Staphylococcus aureus, Escherichia coli, Vibrio cholerae, Salmonella, Shigella, Yersinia, altre volte da virus
come Enterovirus e Rotavirus, protozoi come Entamoeba histolytica, Giardia lamblia,
Balantidium coli, Cryptosporidium parvum, miceti come Candida albicans, elminti come
Schistosoma mansoni.
In condizioni normali l’organismo presenta vari meccanismi di difesa nei confronti delle infezioni
dell’apparato digerente cioè flora batterica residente, acidità gastrica, peristalsi intestinale,
MALT (tessuto linfatico associato alle mucose), GALT (tessuto linfatico associato all’intestino),
produzione delle IgAs da parte dei linfonodi mesenterici.
La flora batterica intestinale è costituita da Staphylococchi, Streptococchi, Lattobacilli, Lieviti a
livello del tenue, Enterobacteriaceae e Bacteroides (Bacterium bifidum) a livello del colon dove la
flora è costituita da ~ 1000 miliardi di batteri per ogni gr di contenuto intestinale.
Le infezioni dell’apparato digerente sono distinte in base alla sede colpita in gastroenteriti,
enteriti, enterocoliti e coliti, in base ai meccanismi eziopatogenetici in intossicazioni
alimentari, tossinfezioni ed infezioni intestinali.
Le INTOSSICAZIONI ALIMENTARI sono causate da tossine elaborate al di fuori dell’organismo
ospite da parte di microrganismi presenti negli alimenti, tra cui abbiamo l’intossicazione
stafilococcica da Staphylococcus aureus batterio Gram+, che si verifica in seguito all’ingestione
di alimenti contaminati dall’enterotossina stafilococcica soprattutto panna, creme o mascarpone
consumati crudi, conservati a T°C ambiente e non in frigorifero, tenendo conto che
l’enterotossina è termoresistente infatti resiste per 30 min a 100°C ed è sufficiente una piccola
quantità di enterotossina per scatenare la sintomatologia.
Dal punto di vista CLINICO dopo un periodo di incubazione di 1-6 h, l’intossicazione esordisce in
maniera brusca con nausea, vomito, dolori addominali crampiformi, diarrea con feci liquide,
raramente muco-sanguinolenta, in genere a decorso favorevole con risoluzione nel giro di 8-10 h.
La DIAGNOSI è di sospetto se l’intossicazione si manifesta in altri soggetti che hanno consumato
lo stesso alimento, mentre la diagnosi di certezza avviene mediante esame microscopico e
colturale dei cibi sospetti, sierodiagnosi per la ricerca dell’enterotossina come l’immunodiffusione,
immunofluorescenza, emoagglutinoinibizione.
La TERAPIA è sintomatica e in caso di disidratazione bisogna somministrare liquidi ed elettroliti per
via parenterale. La Profilassi consiste nel conservare gli alimenti cucinati nel frigorifero a 4°C.
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Le TOSSINFEZIONI sono infezioni intestinali a patogenesi mista cioè dovute sia all’azione
dell’enterotossina elaborata negli alimenti al di fuori dell’organismo sia all’azione
dell’enterotossina prodotta nel lume intestinale, tra cui abbiamo le tossinfezioni da:
– Bacillus cereus: Gram+, sporigeno, la tossinfezione si deve sia all’ingestione di alimenti
contenenti l’enterotossina, soprattutto creme per dolci, gelati e purea di patate, sia all’azione
dell’enterotossina prodotta nell’intestino in seguito alla germinazione delle spore.
– Clostridium perfringens: Gram+, sporigeno, presente nella carne cruda. La cottura distrugge la
forma vegetativa mentre le spore resistono e se la carne viene lasciata a T°C ambiente, le spore
danno origine a nuove forme vegetative che elaborano l’enterotossina che viene ingerita e agisce
insieme all’enterotossina elaborata dalle spore nel tubo digerente.
– Vibrio parahaemolyticus: Gram─, asporigeno, l’infezione si manifesta in seguito all’ingestione
di cibi crudi o poco cotti contaminati dall’enterotossina, come pesce, frutti di mare, crostacei.
Le INFEZIONI INTESTINALI sono legate alla presenza dell’agente eziologico nel tubo
gastroenterico e possiamo fare una distinzione tra:
infezioni da germi enterotossigeni cioè batteri che non invadono e non danneggiano la mucosa
intestinale ma producono tossine responsabili di diarrea secretoria, acquosa, non infiammatoria,
associata a dolori addominali crampiformi e vomito, senza febbre e senza leucociti nelle feci,
come ad esempio le infezioni da Vibrio cholerae ed E. coli enterotossica.
infezioni da germi enteroinvasivi cioè batteri che invadono la mucosa intestinale, si moltiplicano
e producono tossine ad azione citotossica con necrosi delle cellule epiteliali, caratterizzate da
diarrea infiammatoria di tipo dissenterica, spesso muco-ematica con leucociti nelle feci,
associata a febbre, tenesmo rettale, dolori addominali, nausea, vomito, fino alla disidratazione
nelle forme più severe, come nel caso delle infezioni da Salmonella, Shigella, Yersinia
enterocolitica, E. coli enteroinvasiva, Staphylococcus aureus, Clostridium difficile.
Le Infezioni Intestinali da batteri enterotossigeni più importanti sono quelle da Vibrio
cholerae ed E. coli enterotossica.
Il COLERA è una enterite acuta provocata dall’enterotossina colerica o coleragene elaborata dal
Vibrio cholerae, bacillo Gram─ appartenente alla fam. Vibrionaceae, asporigeno, aerobio
obbligato, forma bastoncellare incurvata a virgola, mobile perchè dotato di un flagello polare lungo
con movimenti rapidi e vibranti, cresce in poche h in terreni selettivi a pH alcalino come l’acqua
peptonata (salata), ecco perchè sopravvive nel mare per più di 1 anno, mentre non resiste al calore,
essiccamento e pH acido, inoltre è glucosio+, maltosio
+ e saccarosio
+ cioè fermenta i carboidrati.
Inoltre presenta l’Ag H flagellare, termostabile, aspecifico, e l’Ag O somatico, termolabile, specifico,
dotato di attività endotossinica distinto mediante sieroagglutinazione in Ag O di tipo A, B e C che
hanno consentito di identificare 3 sierotipi diversi cioè sierotipo Ogawa con Ag O1 (AB), sierotipo
Inaba con Ag O (AC), sierotipo Hikojima con Ag O (ABC), cosiddetti in base al luogo dove sono
stati isolati la prima volta.
Il colera può essere causato anche dal Vibrio El Tor che rispetto al Vibrio cholerae ha la proprietà
di agglutinare le emazie di pollo, non provoca l’emolisi delle emazie di pecora, non fermenta i
carboidrati, in coltura è resistente ad alcuni antibiotici come la polimixina B.
Dal punto di vista EPIDEMIOLOGICO il colera è endemico in India e Sud-Est asiatico: le
principali epidemie sono scoppiate in India perchè è un paese ad alta densità demografica e la
popolazione si concentra maggiormente lungo le rive del fiume Gange che rappresenta il focolaio di
diffusione della malattia, favorita dalle condizioni igieniche precarie, mancanza di sistemi di
depurazione del fiume contaminato dalle feci umane e dal fatto che il fiume Gange è costituito da
acqua mista dolce-salata e presenta una T°C favorevole alla sopravvivenza del vibrione.
Un’altra area endemica è la valle dello Yangtze Kiang in Cina con epidemie ogni 4-5 mesi.
A partire dal 1800 con i primi flussi migratori, soprattutto quelli di tipo religioso, si sono verificate
numerose pandemie come la 7^ pandemia del 1961 da Vibrio El Tor che ha interessato anche
l’Europa. Nel 1973-74 si sono avute epidemie con centinaia di casi in Puglia nella zona di Bari,
Campania e Sardegna con alcune decine di morti. Nel 1990-91 la pandemia si è estesa al Sud
America, nel 1997 c’è stata una grossa epidemia in Albania con estensione alla Grecia e Turchia.
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La Trasmissione dell’infezione avviene per via oro-fecale in seguito all’ingestione di acqua o
cibi contaminati dalle feci di soggetti affetti da colera che eliminano 107-10
9 vibrioni/ml di feci
liquide (rapporto malati/portatori = 1/10) soprattutto verdure, crostacei (aragoste, gambero),
molluschi e cozze (mitili) lavate con acqua di mare inquinata come spesso è successo in Puglia.
La trasmissione può avvenire anche per contatto diretto interumano.
Dal punto di vista Patogenetico il colera si manifesta se la [vibrioni] è alta per poter superare la
barriera acido gastrica e raggiungere l’intestino tenue, ecco perchè i soggetti più a rischio sono i
gastroresecati, pz con gastrite atrofica e acloridria, pz che usano antiacidi o bicarbonato. I vibrioni si
moltiplicano rapidamente sulla superficie della mucosa dell’intestino tenue (ileo), raggiungendo una
carica batterica elevatissima senza penetrare nell’epitelio perchè non sono enteroinvasivi.
Il Vibrio cholerae elabora l’enterotossina colerica o tossina coleragene (90 kD) costituita da 1
subunità A circondata da 5 subunità B: le subunità B si legano a recettori specifici presenti sulla
superficie delle cellule enteriche (gangliosidi M) permettendo alla subunità A di penetrare negli
enterociti e di liberare il frammento A1 dotato di attività citotonica cioè stimola la fx cellulare
attivando l’adenilato-ciclasi con iperproduzione di AMPc intracellulare (adenosin-monofosfato
ciclico) con ipersecrezione di Cl─, ridotto assorbimento di Na
+ con diarrea di tipo secretiva.
Dal punto di vista CLINICO dopo un periodo di incubazione di 1-5 gg il colera insorge bruscamente
con numerose scariche diarroiche fino a 50-100/die, acquose, biancastre, contenenti fiocchi di
muco con tipico aspetto ad acqua di riso, formati da ammassi di vibrioni, associati a vomito, senza
dolori addominali, tenesmo e febbre.
La diarrea e il vomito provocano una notevole perdita di liquidi ed elettroliti (K+, HCO3
−) fino a 15
lt/24h con disidratazione con perdita di K+ cioè ipopotassiemia con crampi muscolari all’addome
e arti, perdita di HCO3─ fino all’acidosi metabolica, emoconcentrazione con > HCT e > peso
specifico del plasma che risulta iperviscoso in seguito alla notevole perdita di liquidi, fino allo
shock ipovolemico caratterizzato da pallore della cute e mucose, sudorazione algida e vischiosa,
tachicardia, ipotensione arteriosa con polso debole (Pmax = 70 mmHg, Pmin non apprezzabile),
ipotermia cutanea < 35°C perchè le arteriole capillari sono vuote, sete intensa, bocca e lingua
asciutte, occhi infossati e secchi, guance scavate, naso affilato (facies della mummia), pliche
cutanee ipoelastiche, addome incavato a barca senza segni di reazione peritoneale e soprattutto
oligo-anuria, calo ponderale evidente fino al 60% del peso corporeo.
I pz non trattati possono andare in contro a morte per collasso cardiocircolatorio, acidosi
metabolica, insufficienza renale da ipoperfusione persistente con necrosi tubulare acuta.
La DIAGNOSI di certezza avviene mediante l’esame microscopico delle feci a fresco colorate
secondo Gram, su campo oscuro osservando l’ipermobilità rotatoria dei vibrioni con aspetto di
stelle cadenti che sfuggono dal campo microscopico, mentre la colorazione con fucsina evidenzia
la tipica forma a virgola. Si possono usare terreni semplici costituiti da acqua peptonata con pH 8.5
in cui si semina un tampone rettale o una sospensione fecale e se avviene la crescita batterica si
trapianta il materiale in terreni solidi differenziali, come il terreno di Monsur con colonie cellulari
nere, oppure il terreno agar TCBS tiosolfato-citrato-bile-saccarosio con colonie gialle.
La sieroagglutinazione è utile solo per valutare il sierotipo.
La TERAPIA si basa soprattutto sul ripristino dell’equilibrio idroelettrolitico e terapia antibiotica.
Il ripristino dell’equilibrio idroelettrolitico deve essere tempestivo fino a 100 ml/min in 1-2 h,
mediante la soluzione di Dacca o soluzione 5-4-1 costituita da 5 gr di NaCl, 4 gr di NaHCO3─
(bicarbonato di sodio), 1 gr di KCl (cloruro di potassio), in 1 litro di H2O distillata in cui si
aggiunge una soluzione glucosata a 5% che favorisce l’assorbimento intestinale di Na+ e H2O.
La somministrazione avviene per via e.v. in caso di diarrea e vomito gravi, mentre avviene per os
nelle forme lievi-moderate in assenza di vomito.
In alternativa si può usare una soluzione costituita da 600 ml di soluzione fisiologica, 400 ml di
soluzione glucosata al 33%, 17 ml di KCl, 25 ml di NaHCO3─ usata anche nei bambini.
Le soluzioni fisiologiche semplici devono essere evitate perchè possono sovraccaricare il cuore sx
provocando edema polmonare.
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E’ importante monitorare la reidratazione: il pz deve riposare su letti speciali muniti di una
bilancia e un buco centrale collegato ad un secchio graduato, valutando le perdite che si hanno
attraverso la diarrea, vomito, urine, controllando costantemente polso arterioso, P arteriosa, diuresi
e peso specifico del plasma (v.n. 1025).
Gli antibiotici di prima scelta sono le tetracicline e fluorochinoloni (ciprofloxacina) per via e.v. o per
os, alla dose di 500 mg 4 volte/die per 3 gg, oppure la doxiciclina o cotrimossazolo.
La Profilassi si basa sull’isolamento del pz e denuncia del caso, chemioprofilassi con tetracicline e
cotrimossazolo, miglioramento delle condizioni igieniche, depurazione delle acque, bere acqua
potabile o in bottiglia confezionata nelle aree a rischio, evitare il consumo di verdure crude, frutti di
mare. Il vaccino costituito da vibrioni uccisi non è molto usato perchè fornisce una protezione di
breve durata pari a 3-6 mesi nel 30-50% dei casi.
L’Escherichia coli è un bacillo Gram─ appartenente alla fam. Enterobacteriaceae, fa parte della
flora batterica intestinale, vie urinarie, cute e vagina (saprofita), asporigeno, capsulato, talvolta
provvisto di ciglia o flagelli, dotato dell’Ag O somatico gruppo-specifico perchè presente in tutti i
ceppi, termostabile, di natura lipopolisaccaridica, distinto mediante prove di sieroagglutinazione in
~ 170 sierotipi, Ag K capsulare (103 sierotipi) e Ag H ciliare tipo-specifico, termolabile (56).
L’E. coli comprende vari ceppi responsabili di enteriti cioè E. coli enterotossigena, enteroinvasiva,
enteropatogena ed enteroemorragica.
L’E. coli enterotossigena ETEC è responsabile della diarrea del viaggiatore e delle enteriti in
età pediatrica, diffuse in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo cioè Africa,
America Latina, Asia favorite dalle condizioni igienico-sanitarie precarie.
La diarrea del viaggiatore colpisce soggetti che si recano nei paesi a rischio in seguito
all’ingestione di cibo e acqua contaminati, ma può essere causata anche da Giardia lamblia,
Rotavirus, Shigelle e Salmonelle.
Le enteriti in età pediatrica si manifestano sottoforma di focolai epidemici nelle comunità cioè asili,
orfanotrofi, reparti di pediatria, soprattutto nei bambini allattati con latte artificiale.
L’enterite è scatenata dall’enterotossina termolabile (TL) colera-simile perchè non invade la
mucosa, attiva l’adenilato-ciclasi con > AMPc intracellulare, ipersecrezione di H2O e sali con
conseguente diarrea di tipo secretiva, senza muco, sangue e leucociti, associata a febbricola,
dolori addominali crampiformi, vomito e disidratazione nei casi più gravi.
La Diagnosi si basa sulla coprocoltura, test radioimmunologici ed immunoenzimatici per
identificare i ceppi di E. coli.
La Terapia è sintomatica nelle forme lievi mentre nei casi più gravi è importante correggere
l’equilibrio idroelettrolitico e somministrare antibiotici soprattutto tetracicline e cloramfenicolo nei
lattanti, fluorochinoloni nei soggetti adulti come la ciprofloxacina in caso di diarrea dei viaggiatori.
La Profilassi prevede il miglioramento delle condizioni igieniche, isolamento dei soggetti colpiti,
antibioticoterapia con fluorochinoloni, utili anche nel caso delle infezioni da Salmonella e Shigella.
L’E. coli enteroinvasiva EIEC è responsabile di enterocoliti che si verificano in seguito alla
invasione e moltiplicazione del microrganismo nella mucosa soprattutto a livello dell’ileo e del
colon con necrosi e ulcerazioni degli strati superficiali, raramente si ha l’invasione del torrente
circolatorio con batteriemia, endocarditi, meningiti o ascessi.
I Sintomi sono simili alla shigellosi cioè febbre alta, diarrea muco-sanguinolenta, in genere a
risoluzione spontanea, mentre la disidratazione e squilibri idroelettrolitici interessano soprattutto
lattanti e soggetti defedati.
La Diagnosi si basa sulla coprocoltura escludendo la Shigella, visto che l’E. coli fa parte della
flora batterica intestinale e la sua presenza nelle feci è poco indicativa.
La Terapia e la Profilassi si basa sulla somministrazione di antibiotici cioè cloramfenicolo,
ampicillina, amoxicillina, cotrimossazolo, fluorochinoloni, correggendo gli squilibri idroelettrolitici.
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L’E. coli enteropatogena EPEC spesso provoca enteriti epidemiche nelle comunità infantili, senza
invadere la mucosa e senza produrre enterotossine ma colonizza il digiuno e ileo prossimale
dove elabora una citotossina detta verotossina simile all’enterotossina di Shigella dysenteriae.
L’E. coli enteroemorragica EHEC in genere viene trasmessa all’uomo in seguito all’ingestione di
carne bovina macinata, hamburger crudi o poco cotti, nell’intestino elabora 2 potenti citotossine
responsabili della colite emorragica, spesso associata a manifestazioni a carico del SNC e
urinarie come la sindrome uremico-emolitica con insufficienza renale acuta, anemia emolitica
microangiopatica e trombocitopenia.
Esiste anche il ceppo di E. coli enteroaderente EAEC responsabile di diarree persistenti nei
bambini delle aree tropicali e nei pz con AIDS.
Le infezioni intestinali enteroinvasive possono essere causate anche da Shigella, Salmonella,
Yersinia enterocolitica, Staphylococcus aureus, Clostridium difficile.
La Shigella è un batterio Gram− appartenente alla fam. Enterobacteriaceae, bastoncellare, privo di
capsula e flagelli (immobile), per cui presenta solo l’Ag O somatico che consente di distinguere 4
specie patogene cioè Shigella dysenteriae (bacillo di Shiga), flexneri, boydii e sonnei (A, B, C, D).
L’Ag O di natura lipopolisaccaridica (endotossina), termostabile, è comune a tutte le specie, mentre
Shigella dysenteriae in seguito ad autolisi libera la cosiddetta neurotossina di Shiga cioè
un’esotossina di natura proteica, termolabile, responsabile di manifestazioni intestinali e nervose.
Le Shigelle sono responsabili della Shigellosi o dissenteria bacillare cioè un’infezione
intestinale acuta che spesso colpisce bambini con età ≤ 5 anni: Shigella flexneri è diffusa nei Paesi a
clima caldo tropicali e subtropicali, favorita dalle condizioni igienico-sanitarie precarie, Shigella
sonnei è diffusa in USA ed Europa Occidentale, mentre Shigella dysenteriae è più rara rispetto al
passato ma è la forma più severa.
La trasmissione dell’infezione avviene per via oro-fecale per ingestione di alimenti o acqua
contaminata dalle feci rilasciate da soggetti infetti o portatori sani che continuano ad eliminare
le shigelle per molte settimane dopo la guarigione, oppure sono veicolate dalle mosche.
Le Shigelle resistono al succo acido gastrico, raggiungono l’ileo terminale e il colon, invadono le
cellule epiteliali della mucosa, si moltiplicano nella sottomucosa ed elaborano la tossina di Shiga
responsabile di colite ulcerosa con necrosi e ulcerazione dell’epitelio superficiale, formazione di
pseudomembrane costituite da fibrina, leucociti, residui cellulari, muco e batteri. Le ulcere di
piccole dimensioni guariscono spontaneamente senza esiti mentre quelle più grandi vengono
riparate da tessuto di granulazione con cicatrizzazione.
Dal punto di vista CLINICO la forma più severa è l’enterite da S. dysenteriae che dopo 2-4 gg di
incubazione, esordisce con febbre, scariche diarroiche muco-sanguinolente (dissenteria), dolori
addominali violenti senza reazioni di difesa, fino a disidratazione e manifestazioni
neurotossiche cioè convulsioni, meningismo, coma fino alla morte soprattutto nei bambini e
anziani defedati. Le enteriti da Shigella sonnei e flexneri sono più lievi e si risolvono in 3-4 gg.
La DIAGNOSI eziologica avviene mediante coprocoltura usando terreno differenziali agar S-S o
agar Mac Conkey considerando che le shigelle sono glucosio+ e catalasi
+, S. dysenteriae è
mannitolo+ mentre S. flexneri e sonnei sono mannitolo
−. L’esame microscopico diretto delle feci
evidenzia la presenza di globuli rossi e PMN mentre la sierodiagnosi non è utile perchè in genere
l’infezione si risolve in tempi brevi e perchè nel siero del pz sono presenti Ab per precedenti
shigellosi asintomatiche.
La TERAPIA si basa sulla somministrazione di antibiotici cioè fluorochinoloni (ciprofloxacina) negli
adulti e cefalosporine di 3^ generazione nei bambini, + correzione dell’equilibrio idroelettrolitico
nelle forme severe. La Profilassi si basa sul miglioramento delle condizioni igieniche cioè bonifica
delle aree contaminate dal materiale fecale, accurato lavaggio delle mani prima di manipolare gli
alimenti, isolamento del pz con denuncia obbligatoria al sistema sanitario.
La Salmonella è un batterio Gram− appartenente alla fam. Enterobacteriaceae, dotato di varie
strutture Ag che hanno consentito di individuare ~ 2200 sierotipi diversi cioè Ag O somatico di
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natura lipopolisaccaridica, termostabile perchè resiste a 100°C, Ag H flagellare di natura proteica e
Ag K capsulare termolabili a 60°C dopo 1 h.
Tra le specie patogene responsabili della salmonellosi abbiamo Salmonella typhi (bacillo di Elberth)
responsabile del tifo addominale, Salmonella paratyphi responsabile del paratifo, Salmonella
enteritidis e S. cholerae suis responsabili di tossinfezioni alimentari.
La Salmonella typhi è responsabile della Febbre Tifoide o Tifo Addominale (ileotifo, tifo =
greco → stupore) un’infezione intestinale acuta trasmessa per via orofecale in seguito
all’ingestione di alimenti o acqua contaminati dalle feci rilasciate nell’ambiente da portatori
sani o asintomatici che ospitano la salmonella per brevi periodi di tempo nell’intestino o portatori
cronici che ospitano la salmonella nella colecisti per tutta la vita. In genere l’infezione si verifica in
seguito all’ingestione di acqua potabile contaminata per anomalie del sistema fognario, cibo
contaminato durante la preparazione come verdure e frutti di mare crudi o poco cotti, carne, uova,
latte e derivati. I portatori presentano una carica batterica elevata, fino a 106-10
9 batteri/gr di feci.
Dal punto di vista Patogenetico la salmonella resiste al succo acido gastrico, raggiunge l’intestino
tenue, infiltrando mucosa e sottomucosa con infiammazione della lamina propria e placche di
Peyer, iperemia della mucosa e iperplasia linfatica, infiltra i linfonodi mesenterici e attraverso la
linfa raggiunge il dotto toracico e il circolo ematico provocando una batteriemia di breve durata
grazie alla fagocitosi da parte delle cellule del sistema monocito-macrofagico del fegato, milza,
midollo osseo e linfonodi, dove però la Salmonella non viene distrutta, anzi si moltiplica
attivamente e ritorna in circolo provocando una batteriemia secondaria con febbre persistente per
alcuni giorni. Le salmonelle raggiungono la colecisti e sono trasportate con la bile all’intestino
tenue provocando un ulteriore infiammazione fino alla necrosi della mucosa e sottomucosa con
formazione di escare giallo-verdastre per la presenza di bile, che tendono a staccarsi dopo alcuni
gg con formazione di un’ulcera superficiale che viene riparata con riepitelizzazione o formazione
di una cicatrice, raramente l’ulcera è profonda fino alla tonaca muscolare ad alto rischio di
enterorragia o perforazione intestinale con peritonite.
Dal punto di vista CLINICO dopo un periodo di incubazione di 8-14 gg, la malattia esordisce con
febbre che ha un andamento caratteristico della durata di 4 settimane, corrispondenti agli stadi
evolutivi dell’infezione che grazie all’uso tempestivo degli antibiotici si osservano raramente:
I settenario (invasione): il pz presenta febbre continua remittente con tipico andamento a dente
di sega o a scalini cioè > gradualmente di ~ 1/2 grado rispetto ai valori del giorno prima rilevati alla
stessa h, fino a raggiungere il picco di 39-41°C in 5^-6^ giornata che in assenza di terapia persiste
fino al termine del 3° settenario. Il pz presenta anche cefalea, dolori addominali modesti,
anoressia, stipsi, mentre all’esame obiettivo si osserva bradicardia relativa cioè la frequenza
cardiaca (polso) non > in modo proporzionale rispetto alla T°C corporea, meteorismo addominale
e gorgoglio ileocecale alla palpazione dovuto alla presenza di liquidi e gas nell’intestino.
II settenario: il pz presenta febbre alta, continua e soprattutto profonde alterazioni del sensorio
che configurano il cosiddetto stato tifoso o stuporoso con apatia, astenia, anoressia, pz
adinamico, raramente delirio e allucinazioni visive o uditive. All’esame obiettivo si osserva
bradicardia relativa, lingua a dardo cioè a punta di freccia, bianca al centro, arrossata ai
margini e all’apice, con mucosa disepitelizzata e asciutta, addome tumefatto (gonfio), dolore
addominale diffuso con meteorismo e gorgoglio ileocecale marcati, epatosplenomegalia con
milza allungata a lingua di cane, di consistenza molle e dolente alla palpazione, alvo diarroico
anche se la manifestazione patognomonica della 2^ settimana è la comparsa delle roseole tifose
formate da 5-6 papule di 1-2 mm di Ø, leggermente rilevate sulla cute addominale o alla base degli
emitoraci, di colore rosa-pallido, dovute a vasodilatazione dei capillari dermici che tendono a
scomparire con la digitopressione.
In realtà le roseole si manifestano solo nel 30% dei pz, sono fugaci e scompaiono nel giro di 24h.
III settenario: il pz presenta i sintomi e segni della 2^ settimana, anche se la bradicardia
relativa regredisce e la febbre diventa intermittente o remittente con notevole oscillazione
della T°C corporea. Inoltre si possono avere delle complicanze in seguito al distacco dell’escara
cioè enteroraggia raramente massiva con melena (feci nerastre) fino allo shock ipovolemico, e
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soprattutto perforazione intestinale con peritonite (addome acuto) caratterizzato da dolore violento
di tipo trafittivo, a colpo di pugnale, reazione di difesa addominale con contrattura di tipo
lignea della muscolatura, alvo chiuso a feci e gas, comparsa della falce aerea
sottodiaframmatica all’Rx diretto dell’addome, febbre alta, tachicardia e leucocitosi neutrofila.
IV settenario: risoluzione della febbre per lisi, ripristino del sensorio, scomparsa dei sintomi
e segni addominali, ripristino della diuresi...
La DIAGNOSI si basa sull’emocoltura che è + nel periodo compreso tra il 1° e 2° settenario,
mentre nel 4° è negativa, mentre la coprocoltura è + intorno alla 3^ settimana quando il parassita
invade le placche di Peyer, consentendo di stabilire lo stato di portatore cronico ma per la diagnosi
di certezza è necessaria la sierodiagnosi con reazione di sieroagglutinazione di Widal che risulta
+ nell’85-90% dei casi all’inizio della 2^ settimana con comparsa degli Ab specifici di classe IgM
diretti contro gli Ag O e H con > titolo Ab di 4 volte tra siero prelevato nella fase acuta e siero
prelevato nella fase di convalescenza.
La TERAPIA si basa sulla somministrazione delle cefalosporine di 3^ generazione come il
ceftriaxone, associato ai fluorochinoloni come la ciprofloxacina che bloccano l’evoluzione della
malattia con prognosi favorevole, evitando gli effetti collaterali del cloramfenicolo usato in passato,
mielotossico con aplasia e ipoplasia midollare, e i fenomeni di resistenza al cloramfenicolo. Nei pz
con grave stato tossico si somministrano anche i corticosteroidi come il Prednisone migliorando il
quadro clinico. In caso di disidratazione è necessario ripristinare l’equilibrio idroelettrolitico con
infusione di soluzioni saline e glucosate, trasfusioni di sangue in caso di emorragie massive,
intervento chirurgico d’urgenza in caso di perforazione intestinale.
La Profilassi si basa sul miglioramento delle condizioni igieniche per impedire la contaminazione di
acqua e alimenti, evitare il consumo di alimenti a rischio, riconoscimento e sterilizzazione dei
portatori cronici mediante ciprofloxacina e colecistectomia, denuncia obbligatoria dei casi di
infezione e isolamento dei soggetti malati fino a quando 3 coprocolture eseguite dopo la
sospensione della terapia risultano negative, vaccinazione delle categorie a rischio come gli addetti
ai servizi di approvvigionamento idrico, raccolta e distribuzione del latte, personale delle cucine...
Il vaccino più efficace è quello con germi vivi e attenuati (ceppo Ty21a) con protezione per 2 anni.
La Yersinia enterocolitica è un batterio Gram─ appartenente alla fam. Enterobacteriaceae,
bastoncellare, asporigeno, aerobio facoltativo, presenta l’endotossina lipopolisaccaridica ed elabora
un’enterotossina termostabile a T°C ambiente (25°C) e a basse temperature come i cibi conservati
in frigorifero a 4°C. E’ responsabile di un’enterocolite invasiva molto frequente nel Nord Europa e
Canada, nonché USA, Sud America, Africa e Asia.
La trasmissione dell’infezione può avvenire da animali affetti da diarrea febbrile (cani, maiali)
oppure per contagio diretto interumano.
Il microrganismo invade la tonaca mucosa e il tessuto linfatico del tenue, con iperemia della
mucosa, infiltrazione leucocitaria, necrosi ed ulcerazioni, tumefazione dei linfonodi mesenterici e
dell’appendice, determinando alcune volte la condizione di portatore asintomatico cioè il pz
elimina il batterio con le feci per lunghi periodi di tempo, oppure dopo un periodo di incubazione di
2-11 gg provoca enterocolite con diarrea, febbre e dolori addominali, raramente vomito,
adenomesenterite, flogosi appendicolare con sintomi simili all’appendicite acuta, ecco perchè
spesso si ricorre erroneamente alla chirurgia, manifestazioni extraintestinali come la sindrome di
Reiter con congiuntivite, uretrite e artrite.
La Diagnosi avviene con emocoltura e coprocoltura per la ricerca di Yersinia enterocolitica,
sieroagglutinazione, test immunoenzimatico ELISA, immunofluorescenza e fissazione del C
tenendo conto che gli Ab compaiono nel siero nella fase acuta e persistono per 2-6 mesi.
La Terapia avviene con ampicillina, tetracicline, cotrimossazolo, cefalosporine di 3^ generazione.
La Colite Pseudomembranosa è una lesione flogistica-necrotica del colon caratterizzata
dalla formazione di pseudomembrane, detta anche colite iatrogena perchè nella maggior parte dei
casi è causata dalla somministrazione prolungata di antibiotici ad ampio spettro d’azione,
soprattutto la clindamicina, lincomicina, ampicillina, cefalosporine, che uccidono la flora
batterica intestinale aerobica a favore di quella anaerobica, favorendo la colonizzazione
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dell’intestino da parte del Clostridium difficile, batterio Gram+, sporigeno, anaerobio obbligato
così chiamato perchè è difficile da coltivare, elabora la tossina A o enterotossina, citotonica perchè
stimola le normali fx cellulari, e la tossina B o citotossina che danneggia le cellule intestinali con
formazione di pseudomembrane costituite da materiale necrotico-fibrino-purulento e muco,
aderenti alla mucosa, con infiltrato di PMN nella lamina propria, riempimento delle cripte
ghiandolari da parte di essudato purulento e distruzione della ghiandola.
I Sintomi in genere si manifestano dopo alcuni giorni dall’inizio della terapia antibiotica o 1-2
settimane dalla loro sospensione, con diarrea acquosa, spesso mucosanguinolenta, febbre, dolori
addominali e leucocitosi. Tra le complicanze abbiamo shock ipovolemico e perforazione del colon
ad alto rischio di mortalità.
La Diagnosi si basa sulla colonscopia osservando le pseudomembrane, erosioni e necrosi della
mucosa, test Elisa e immunofluorescenza diretta per la ricerca del Clostridium e tossine nelle feci.
La Terapia consiste nel sospendere la somministrazione dell’antibiotico che ha scatenato la
malattia che alcune volte è sufficiente a fare regredire la sintomatologia, altrimenti si ricorre alla
somministrazione della vancomicina o metronidazolo, eventualmente associati a soluzioni
elettrolitiche e proteine.
Lo Staphylococcus aureus normalmente fa parte della flora batterica intestinale ma può
diventare patogeno quando viene a costituire la parte più cospicua della flora Gram+ come in
seguito all’uso prolungato di antibiotici ad ampio spettro d’azione, soprattutto cloramfenicolo,
tetracicline e neomicina, oppure deficit dei sistemi di difesa dell’ospite come nei neonati
prematuri e soggetti anziani, provocando un’enterocolite invasiva e lesioni anatomo patologiche
simili alla colite pseudomembranosa. L’esordio è brusco con febbre, dolori addominali, nausea,
vomito e diarrea con feci liquide, ricche di muco, talora ematiche, fino alla disidratazione e
squilibri idroelettrolitici con oligo-anuria e shock ipovolemico, fatale nei neonati prematuri.
La Diagnosi su basa sulla coprocoltura e striscio di materiale fecale colorato ricercando lo S.
aureus. La Terapia si basa sulla correzione dell’equilibrio idroelettrolitico, bisogna subito
interrompere la terapia antibiotica a largo spettro e somministrare un farmaco attivo verso lo S.
aureus come la vancomicina e teicoplanina per os o per via e.v. in caso di batteriemia.
Parassitosi Intestinali Diffuse nel nostro Paese (Italia)
Le Parassitosi intestinali sono infezioni intestinali diffuse nei paesi tropicali e subtropicali
favorite dalle precarie condizioni igienico-sanitarie e socio-economiche ma spesso si verificano
anche in Italia dove alle infezioni da parassiti autoctoni (locali) spesso si associano le parassitosi
esotiche o da importazione che colpiscono soggetti che si recano nelle aree a rischio e le
parassitosi degli immigrati dovute all’incremento dei flussi migratori.
Dal punto di vista Eziologico abbiamo le parassitosi intestinali da protozoi come l’amebiasi e le
parassitosi da elminti o vermi come la teniasi, idatidosi, ossiuriasi, ascaridiasi, anchilostomiasi.
L’AMEBIASI è un’infezione del colon causata da Entamoeba histolytica (protozoo) trasmessa
all’uomo per via orofecale in seguito all’ingestione di acqua, frutta o verdura contaminati dalle
feci contenenti le cisti rilasciate da portatori asintomatici, raramente per contatto diretto
interumano attraverso mani sporche o rapporti sessuali: le cisti ingerite resistono al pH acido-
gastrico e dopo varie trasformazioni danno origine ai trofozoiti (forma vegetativa) da cui possono
originare nuove cisti che vengono eliminate con le feci da portatori sani, asintomatici, oppure i
trofozoiti si impiantano sulla mucosa del colon, invadono la parete ed elaborano enzimi citolitici e
proteolitici responsabili di lesioni della mucosa e sottomucosa con necrosi e ulcere a bottone di camicia di 1-2 cm di Ø che nei casi più gravi possono interessare anche la tonaca muscolare e
sierosa fino alla perforazione con peritonite.
Dal punto di vista CLINICO dopo un periodo di incubazione di 2-4 settimane l’amebiasi intestinale
esordisce con diarrea prima lieve poi severa fino a 10-30 scariche diarroiche/die, muco-
sanguinolente, meteorismo, dolore addominale esacerbato dalla palpazione, febbricola,
cachessia con dimagrimento e anoressia, raramente complicanze ad alto rischio di mortalità come
l’enterorragia in seguito a lesione dei vasi parietali, perforazione intestinale e peritonite.
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Nel 40% dei casi ha la disseminazione dei trofozoiti per via ematica in altri organi con
manifestazioni extraintestinali soprattutto al fegato con ascesso epatico da necrosi colliquativa del
parenchima epatico, dolore all’ipocondrio dx, febbre alta e malessere generale, inoltre l’ascesso
può perforarsi nello spazio subfrenico, cavità pleurica dx, polmone dx con pleurite e ascesso
polmonare che può anche perforarsi in un bronco con vomica di materiale bruno-rossastro simile
alla cioccolata, e possono verificarsi lesioni cutanee necrotico-ulcerative a livello perianale.
La DIAGNOSI si basa sull’esame microscopico a fresco delle feci, colonscopia con biopsie per
la ricerca delle cisti e trofozoiti (mobili), ripetendo l’esame nei giorni successivi.
La colonscopia consente di escludere la presenza di altre malattie come la retto-colite ulcerosa
cronica emorragica e il carcinoma del colon di tipo ulcerato, ma deve essere evitata in caso di
perforazione intestinale. La sierodiagnosi con test immunoenzimatico ELISA, emoagglutinazione
indiretta... consentono di valutare la presenza di Ab specifici.
L’ecografia epatica + biopsia con esame cito-istologico, TAC, RMN consentono di valutare le
localizzazioni extraintestinali.
La TERAPIA si basa sulla somministrazione del metronidazolo e paromomicina utili anche nella
chemioprofilassi dei portatori asintomatici per bloccare la diffusione dell’infezione.
La Profilassi si basa sul miglioramento delle condizioni igieniche evitando la contaminazione del
cibo e acqua da parte delle feci umane.
La TENIASI è una parassitosi dovuta a vermi della famiglia Tenidae cioè Taenia saginata e solium
che sono vermi piatti o platelminti appartenenti al gruppo dei cestodi: Taenia saginata è un verme
lungo 3-19 mt costituito da una testa o scolice munita di 4 ventose, un collo e un corpo o strobila
formato da ~ 2000 proglottidi contenenti l’apparato sessuale dove avviene il deposito delle uova,
Taenia solium è un verme lungo 3-5 mt costituito da una testa o scolice munita di numerosi
uncini e 4 ventose, un corpo o strobila contenente ~ 1000 proglottidi immature, lunghe e strette.
Dal punto di vista Epidemiologico la teniasi da Taenia saginata è diffusa in Europa, Italia
compresa (Piemonte), la teniasi da T. solium è endemica in Africa, Asia e America Latina, mentre
in Europa sono stati segnalati vari casi in Germania.
Il Ciclo Biologico si svolge in 2 ospiti: l’ospite definitivo è rappresentato dall’uomo, l’ospite
intermedio è rappresentato dai bovini (bue) in caso di Taenia saginata e dai suini (maiale,
cinghiale) in caso di Taenia solium, ecco perchè queste parassitosi sono rare nei paesi dove la
religione proibisce il consumo della carne bovina (India) e suina (musulmani).
Ricordiamo che nel caso di Taenia saginata l’infezione nell’uomo si deve al verme adulto, mentre
nel caso di Taenia solium oltre alla teniasi si verifica anche la cisticercosi dovuta alla forma larvale.
La trasmissione dell’infezione all’uomo si verifica in seguito all’ingestione di carne bovina o
suina poco cotta o cruda contenente la forma larvale del parassita, detta cisticerco (muscoli): il
cisticerco aderisce mediante le ventose alla parete intestinale dando origine nel giro di 5-12
settimane al verme adulto che in media sopravvive nell’intestino per 2-4 anni, oppure oltre 25 anni.
In genere l’uomo ospita solo un verme, per cui si parla di verme solitario: il verme adulto rilascia le
proglottide gravide che tramite movimenti autonomi raggiungono lo sfintere anale oppure sono
espulse verso l’ambiente esterno con le feci, dove le proglottidi si rompono liberando nel terreno le
uova. Le uova vengono ingerite dall’ospite intermedio (bovini, suini) dove a livello duodenale si
schiudono e liberano le larve esacante che mediante gli uncini perforano la parete intestinale e
raggiungono per via ematica i muscoli trasformandosi in cisticerchi: il ciclo biologico si ripete se
l’uomo mangia la carne di questi animali.
In caso di Taenia solium il cisticerco può perforare la parete intestinale e per via ematica si diffonde
in vari organi ed apparati, soprattutto occhi e cervello, per cui si parla di cisticercosi.
Dal punto di vista CLINICO la teniasi spesso è asintomatica, oppure si manifesta con alterazioni
dell’alvo di modesta entità, dolore addominale, meteorismo e prurito anale in seguito al
movimento delle proglottidi.
La cisticercosi oltre alle manifestazioni intestinali, è caratterizzata da manifestazioni oculari cioè
irite, corioretinite, distacco della retina, e manifestazioni cerebrali cioè cefalea, vomito,
ipertensione endocranica, necrosi del tessuto nervoso per schiacciamento dei vasi e morte del pz.
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La DIAGNOSI di teniasi si basa sul tecniche di centrifugazione con formalina-etere di un
campione fecale o della mucosa anale prelevato mediante un cellofan adesivo ricercando le uova
sferiche con Ø di 30-40 μm, contenenti l’embrione esacanto munito di uncini (oncosfera).
La diagnosi di cisticercosi prevede anche la ricerca del parassita in sede extraintestinale, mediante
la TAC, RMN, ecografia, nonché la tecnica immunoenzimatica ELISA e l’immunofluorescenza.
La TERAPIA si basa sulla somministrazione del praziquantel attivo contro le forme adulte e larvali.
La Profilassi si basa su controlli veterinari della carne dopo la macellazione, rispetto delle norme di
igiene nelle stalle, mangiare carne ben cotta, surgelare la carne (-10°C).
L’IDATIDOSI è una parassitosi da Echinococcus granulosis (Cestode) responsabile della
idatidosi cistica diffusa in America Latina, Australia, Nuova Zelanda, Africa ed alcuni paesi
Europei come l’Italia soprattutto nelle popolazioni dedite alla pastorizia, allevamento e
macellazione del bestiame (Sardegna, Sicilia) dove il cane rappresenta l’ospite definitivo per la
forma adulta, mentre la pecora a pascolo libero rappresenta l’ospite intermedio per la forma
larvale detta cisti idatidea o idatide delimitata da una parete costituita dalla membrana esterna o
pericistio, osteocisti e membrana proligera contenente il liquido idatideo, numerose cisti figlie, la
sabbia idatidea responsabile di manifestazioni tossico-allergiche in caso di rottura della cisti.
La trasmissione dell’infezione all’uomo avviene per ingestione accidentale delle uova rilasciate
dal cane o per contatto diretto cane-bestiame-uomo, per cui si tratta di una antropozoonosi.
Il Ciclo Biologico inizia quando il cane si nutre dei visceri di pecore parassitate dalle cisti idatidee:
nell’intestino del cane si ha la formazione del verme adulto, il distacco delle proglottidi gravide
dallo strobilo ed espulsione con le feci di ~ 600 uova ogni 2 settimane contenenti l’embrione
esacanto, contaminando il terreno dove le uova riescono a resistere per ~ 2 anni e possono essere
ingerite dalle pecore quando brucano in profondità nel suolo e non strappando l’erba come fa il bue.
Se le uova sono ingerite dall’uomo raggiungono il duodeno dove si schiudono e liberano l’embrione
esacanto che mediante gli uncini perfora la parete intestinale e per via portale raggiunge il fegato
dove si forma la cisti idatidea.
Dal punto di vista Clinico l’idatidosi cistica è asintomatica nelle fasi iniziali perchè la cisti è di
piccole dimensioni, poi si accresce lentamente fino a raggiungere le dimensioni di 10-12 cm nel
giro di 10 anni con tipica forma a testa di feto che comprime le strutture circostanti scatenando la
sintomatologia cioè senso di peso all’ipocondrio dx, epatomegalia, ittero da compressione delle
vie biliari, febbricola, dispepsia. Raramente si ha la guarigione con calcificazione della parete e
morte della cisti mentre spesso si ha la lacerazione della parete cistica con fuoriuscita di una
piccola quantità di liquido idatideo e insorgenza di manifestazioni tossico-allergiche cioè febbricola,
prurito, crisi d’asma, orticaria con eosinofilia, oppure la rottura della cisti in peritoneo, vie
biliari o vena cava con disseminazione delle cisti figlie e di una grossa quantità di liquido idatideo
con shock anafilattico fino alla morte. Nel 60-70% dei casi le larve superano il filtro epatico e
attraverso il sangue raggiungono vari organi con idatidosi secondaria cioè:
idatidosi polmonare: la cisti si accresce e comprime i bronchi alveolari provocando febbre, tosse,
dolore toracico e dispnea. In caso di rottura della cisti in un bronco si ha la vomica con emissione
massiva di liquido e sabbia idatidea, sovrainfezioni batteriche e atelettasia polmonare.
idatidosi cerebrale: ipertensione endocranica.
idatidosi renale: coliche renali con eliminazione di materiale idatideo con le urine.
idatidosi splenica: splenomegalia e dolore all’ipocondrio sx.
idatidosi ossea: osteolisi con fratture ossee spontanee.
La DIAGNOSI spesso avviene casualmente mediante un’Ecografia epatica, Rx torace, TAC o RMN
richiesti per altri motivi o durante un’esplorazione laparoscopica con diagnosi intraoperatoria. La
biopsia epatica deve essere evitata perchè favorisce la disseminazione delle cisti figlie in altre sedi
con idatidosi secondaria o reazioni anafilattiche. Il test immunoenzimatico Elisa e
l’emoagglutinazione indiretta con emazie di pecora consentono la ricerca degli Ag di echinococco.
La TERAPIA è chirurgica in caso di cisti voluminose, sintomatiche, mentre in caso di cisti multiple,
inoperabili si ricorre all’agoaspirazione ecoguidata e somministrazione di albendazolo e
praziquantel, favorendo la < di volume della cisti e la sua morte.
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La Profilassi consiste nella sterilizzazione del cane e bestiame.
L’OSSIURIASI è una parassitosi da nematodi intestinali cioè da Enterobius vermicularis o
gregorii, (fam. Oxyuriade, Enterobiasi), diffusa nei paesi a clima freddo e temperato, tra cui
l’Italia, soprattutto nelle comunità infantili favorita dalle condizioni igieniche precarie dove la
trasmissione dell’infezione avviene per via oro-fecale mettendo le mani sporche in bocca con
autoinfestazione, oppure attraverso biancheria, lenzuola, pigiami contaminati.
Le uova ingerite raggiungono il duodeno dove liberano la larva (L3) e nel giro di 4 settimane si
trasforma in verme adulto: in seguito all’accoppiamento i M muoiono e sono espulsi con le feci,
mentre le F gravide durante le h notturne migrano verso lo sfintere anale, dove a contatto con l’aria
vanno in contro a disidratazione e morte, rilasciando ~ 16.000 uova che matureranno entro la
mattina dopo, contenenti la larva allo stadio L3. Alcune volte le larve risalgono dallo sfintere anale
nell’intestino con retroinfestazione dando origine ad altri vermi adulti.
Dal punto di vista CLINICO l’ossiuriasi si manifesta con prurito anale e perianale intenso,
dovuto alla migrazione della F durante la notte, responsabile di insonnia, irritabilità e lesioni da
grattamento, inoltre anoressia, dolore alla palpazione della fossa iliaca dx, diarrea, alcune volte
il verme raggiunge la vagina provocando prurito vulvare, edema e leucorrea.
La Diagnosi avviene applicando un nastro adesivo a livello della cute anale, da eseguire al
risveglio, prima della toilette, osservando al microscopio le uova ovoidali, delimitate da un guscio
trasparente che consente di osservare le larve allo stadio L3.
La Terapia avviene con mebendazolo e sali di piperazina sia nel pz che nei suoi familiari
La Profilassi si basa sul rispetto delle norme igieniche: lavarsi bene le mani, igiene intima
accurata, cambiare e lavare tutti i giorni il pigiama, lenzuola, biancheria intima...
L’ASCARIDIASI è una parassitosi da nematodi intestinali cioè da Ascaris lumbricoides (fam.
Ascaridae), diffusa nei Paesi a clima caldo o temperato (T°C ≥ 17°C), dove colpisce oltre 1
miliardo di persone, con trasmissione dell’infezione per via oro-fecale in seguito a ingestione di
cibi contaminati, soprattutto acqua, frutta e verdura, oppure mettendo le mani sporche in bocca.
Le uova ingerite si schiudono nell’intestino liberando le larve (L3) che penetrano nella mucosa
intestinale e per via ematica raggiungono il fegato, cuore dx, alveoli polmonari, risalgono verso la
faringe dove sono deglutite e ritornano nell’intestino tenue dove si trasformano in vermi adulti che
aderiscono alla parete intestinale: le F dopo l’accoppiamento depongono ~ 200.000 uova/die,
ovoidali, dotate di un guscio spesso, con superficie mammellonata. Le uova sono eliminate con le
feci maturando in 3-4 settimane nei terreni umidi a 25-30°C.
Dal punto di vista CLINICO l’ascaridiasi spesso è asintomatica, altre volte le larve provocano la
Sindrome di Loeffler con polmonite eosinofila fugace, febbricola, tosse secca o con
espettorazione mucosa, mentre i vermi adulti provocano una parassitosi intestinale grave con
dolori addominali, nausea, vomito, anoressia, calo ponderale, alterazioni dell’alvo con stipsi
alternata a diarrea, fino ad occlusione intestinale in caso di vermi di grosse dimensioni e
aggrovigliati, volvolo, appendicite, perforazione intestinale con peritonite, ostruzione del dotto
coledoco con ittero e coliche biliari, ostruzione del dotto pancreatico con pancreatite acuta.
La Diagnosi si basa su tecniche di centrifugazione del campione fecale per la ricerca delle uova.
La Terapia avviene con albendazolo, mebendazolo, sali di piperazina, chirurgia in caso di
complicanze. La Profilassi si basa sul miglioramento delle condizioni igieniche evitando la
dispersione delle feci umane e la contaminazione dell’acqua, frutta e verdura.
L’ANCHILOSTOMIASI è una parassitosi da nematodi intestinali cioè da Ancylostoma
duodenale o Necator americanus, diffusi nel bacino del mediterraneo, India, Sud-Est Asiatico,
America Latina e USA. Si tratta di vermi di piccole dimensioni (1-2 cm), costituiti da una capsula
buccale munita di denti aguzzi piegati ad uncino o lamine taglienti semilunari. Inoltre la capsula
buccale presenta gli orifizi di sbocco di ghiandole secernenti sostanze tossiche e anticoagulanti.
La trasmissione dell’infezione avviene per via percutanea con ingresso delle larve soprattutto nei
soggetti che camminano a piedi nudi oppure mettendo le mani sporche di terra in bocca, poiché le
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larve crescono in terreni fertili o sabbiosi, miniere e gallerie: le larve raggiungono per via ematica il
cuore dx, capillari e alveoli polmonari, attraverso l’albero respiratorio giungono alla faringe,
vengono deglutite e raggiungono il tenue dove nel giro di 20 gg si trasformano in vermi adulti (500-
3000) che aderiscono tenacemente alla mucosa mediante le strutture buccali, attraverso le strutture
taglienti provocano lesioni della mucosa, rilasciando sostanze tossiche e anticoagulanti responsabili
di anemia sideropenica. In seguito all’accoppiamento le F gravide di Ancylostoma duodenale
producono ~ 9000 uova/die, le F di Necator americanus 20000-30000 uova/die: le uova eliminate
con le feci resistono in terreni umidi, a 25-30°C, protetti dai raggi UV solari, con trasformazione
dell’embrione in larva rabtidoide che fuoriesce perforando il guscio, si trasforma in larva
strongiloide e poi in larva infestante (L3) che può penetrare nell’uomo per via percutanea.
Dal punto di vista CLINICO nel punto di penetrazione delle larve si ha una dermatite con prurito,
lesioni da grattamento, eritema e vescicole. Alcune volte la larva resta in superficie con
dermatite serpiginosa con eruzione cutanea lineare e tortuosa.
A livello polmonare le larve alcune volte provocano la sindrome di Löffler con polmonite
eosinofila transitoria mentre a livello del tenue i vermi adulti provocano la parassitosi intestinale
con dolori addominali, anoressia, nausea, vomito, diarrea muco-sanguinolenta da
microulcerazioni emorragiche, fino ad anemia ipocromica sideropenica detta anemia di San
Gottardo, luogo dove si è verificata per la prima volta tra i minatori che camminavano scalzi.
La Diagnosi si basa sull’esame parassitologico delle feci con tecniche di centrifugazione con
formil-etere per valutare la presenza delle uova, mentre la ricerca delle larve avviene mettendo il
campione fecale su carta da filtro con carbone attivo, a T°C di 20-26°C in condizioni di umidità.
La Terapia avviene con mebendazolo, albendazolo, flubendazolo.
La Profilassi consiste nel proteggersi con guanti e stivali nelle aree a rischio.
Malattie Esotiche a rischio d’infezione in Italia o per i viaggiatori
Malaria
La Malaria è una parassitosi provocata da sporozoi del genere Plasmodium cioè Plasmodium
falciparum, vivax, ovale e malariae, endemica nei paesi tropicali e subtropicali dove la
trasmissione dell’infezione all’uomo avviene in seguito a puntura della zanzara femmina del
genere Anopheles, soprattutto durante la stagione delle piogge, con incidenza > 300 milioni di
nuovi casi/anno e 2 milioni di decessi/anno.
I soggetti affetti da emoglobinopatie genetiche come il deficit di G6PDH (favismo), talassemia e
anemia falciforme sono più resistenti alla malaria poiché i plasmodi ricavano energia dal
metabolismo anaerobio del glucosio in acido lattico e ricavano dall’Hb gli amminoacidi per la
sintesi proteica.
Nei paesi occidentali la malaria è stata eradicata grazie alla lotta contro la zanzara Anopheles
mediante disinfezione dell’ambiente con DDT e bonifica delle aree paludose, mentre spesso si
verificano casi di malaria esotica o da importazione tipica dei viaggiatori che si recano nelle aree
endemiche, malaria da flussi migratori e malaria aeroportuale con trasporto delle zanzare dalle aree
a rischio nei paesi occidentali.
Il Ciclo Biologico dei Plasmodi si compie in 2 ospiti, essendo parassiti endocellulari dixeni: l’uomo
rappresenta l’ospite intermedio dove avviene il ciclo asessuato o schizogonico, la zanzara
Anopheles rappresenta l’ospite definitivo dove avviene il ciclo sessuato o sporogonico:
ciclo schizogonico asessuato: la zanzara femmina Anopheles durante un normale pasto di
sangue inietta gli sporozoiti contenuti nelle sue ghiandole salivari che per via ematica raggiungono
il fegato dando origine al ciclo asessuato intraepatocitario cioè penetrano negli epatociti dove si
trasformano in schizonti da cui originano numerosi merozoiti che dopo alcuni giorni passano in
circolo in seguito a rottura della parete della cellula epatica.
In caso di P. vivax e ovale alcuni sporozoiti presenti nelle cellule epatiche si trasformano in
ipnozoiti che restano silenti per lunghi periodi di tempo prima di dare origine ai merozoiti e invadere
i globuli rossi, ecco perchè in questi casi si hanno frequenti recidive a distanza di molti mesi.
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I merozoiti presenti nel sangue penetrano nei globuli rossi dando luogo al ciclo asessuato
intraeritrocitario cioè si trasformano in trofozoiti con tipica forma di anello con castone di 2-3 μm
di Ø, citoplasma basofilo disposto concentricamente intorno ad un grosso vacuolo centrale in cui
viene degradata l’Hb con trasformazione del gruppo eme in emozina che è un pigmento bruno.
Il ciclo schizogonico ha la durata di 48 h nella malaria terzana da P. vivax, ovale e falciparum,
e 72 h nella malaria quartana da P. malariae, termina con la trasformazione del trofozoita in
schizonte con lisi dei globuli rossi che rilasciano i merozoiti e il pigmento malarico con
conseguente febbre preceduta da brividi, i merozoiti invadono altri globuli rossi ripetendo il ciclo
schizogonico, mentre il pigmento viene fagocitato dal sistema monocito-macrofagico e si deposita a
livello della milza e fegato provocando la melanosi con tipico colore bruno-scuro.
ciclo sessuato sporogonico: dopo alcuni cicli schizogonici i merozoiti presenti nei globuli
rossi danno origine a forme sessuate cioè i gametociti maschili e femminili detti micro e
macrogametociti che rappresentano le forme infettanti per la zanzara Anopheles che per deporre le
uova ha bisogno di sangue umano, per cui durante il pasto di sangue acquisisce i gametociti presenti
nei globuli rossi che nello stomaco della zanzara fuoriescono e diventano sessualmente maturi
producendo microgameti (M) e macrogameti (F) che in seguito a fecondazione danno origine allo
zigote che si trasforma in oocinete e in oocisti da cui originano migliaia di sporozoiti che migrano
nelle ghiandole salivari della zanzara e possono essere iniettati nell’uomo.
Dal punto di vista CLINICO il periodo di incubazione è di 6-10 gg per P. falciparum, 10-20 gg per
P. vivax e ovale, 21-30 gg per P. malariae. Nelle fasi iniziali in genere la malaria esordisce con
sintomi aspecifici cioè malessere, mialgie, tosse e cefalea, mentre tra i sintomi tipici abbiamo:
─ accesso febbrile con brividi di freddo scuotenti, di durata variabile da 15 min a 2 h, a cui segue
febbre alta fino a 39-41°C in seguito a lisi dei globuli rossi con liberazione in circolo dei merozoiti
e pigmento malarico che funge da pirogeno endogeno. In realtà la lisi delle emazie avviene in modo
irregolare nelle 24 h, per cui il pz presenta febbre irregolare, continua, e l’accesso febbrile tipico
della malaria si manifesta solo quando si è verificata la sincronizzazione del ciclo schizogonico.
Nella fase di defervescenza si hanno sudorazioni profuse con < T°C corporea in 2-3 h.
─ epatosplenomegalia da iperattività del SRE con iperplasia nel tentativo di rimuovere dal sangue il
pigmento malarico e frammenti di eritrociti.
─ anemia di natura emolitica da lisi dei globuli rossi con ittero a iperbilirubinemia indiretta.
Il Plasmodium falciparum è responsabile della febbre terzana maligna, terzana perchè
l’accesso febbrile si manifesta ogni 48 h (3 gg), maligna perchè è responsabile di parassitemia
spiccata con interessamento del 20% dei globuli rossi, mentre nei soggetti non immunizzati e non
trattati tempestivamente spesso si va in contro alla malaria perniciosa dovuta a cicli schizogonici
ripetuti con notevole distruzione dei globuli rossi, che si manifesta con febbre alta continua,
cefalea intensa, agitazione psicomotoria, convulsioni, coma profondo, nausea, vomito, crampi
addominali, astenia, anoressia, diarrea o dissenteria con disidratazione e collasso
cardiocircolatorio, epatomegalia con fegato di consistenza molle, anemia emolitica normocitica-
normocromica con ittero a iperbilirubinemia indiretta, ipoglicemia, insufficienza renale da
necrosi tubulare acuta con oligoanuria, iperazotemia, proteinuria ed emoglobinuria con
emissione di urine nere dovute alla presenza del pigmento malarico, per cui si parla di febbre
dell’acqua nera (black water fever) e insufficienza respiratoria (ARDS).
Spesso si ha la formazione di trombi nei capillari del microcircolo cerebrale, renale, epatico,
polmonare, fino alla CID con gravi fenomeni trombotico-emorragici a prognosi infausta.
Il Plasmodium vivax e ovale sono responsabili della febbre terzana benigna, terzana perchè
l’accesso febbrile si manifesta ogni 48 h, benigna perchè interessano solo il 2-5% dei globuli rossi,
con parassitemia bassa ad evoluzione favorevole, anche se si possono avere frequenti recidive
dovute agli ipnozoiti presenti nel fegato.
Il Plasmodium malariae è responsabile della febbre quartana benigna, quartana perchè
l’accesso febbrile si manifesta ogni 72h (4 gg), benigna perchè in genere la guarigione è spontanea,
anche se spesso persiste una lieve parassitemia silente responsabile di recidive che si
manifestano periodicamente anche per oltre 50 anni.
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Ricordiamo che nelle aree endemiche spesso si verifica la malaria cronica o viscerale evolutiva
nei soggetti con deficit delle difese immunitarie e non sottoposti a chemioprofilassi, caratterizzata
da splenomegalia enorme, epatomegalia, anemia, ritardo della crescita, calo ponderale,
cachessia fino alla morte soprattutto in età pediatrica.
La DIAGNOSI si basa sulla ricerca del parassita nello striscio di sangue periferico prelevato
durante l’acme febbrile e tecnica della goccia spessa ripetuta ogni 6-12 h: una goccia di sangue
viene fatta essiccare su un vetrino in acqua distillata, fissato con alcol metilico, colorato con Giemsa
e osservato al microscopio con obiettivo ad immersione:
− P. falciparum: i globuli rossi presentano forma e dimensioni normali, contengono 1-3 trofozoiti,
spesso si osservano le macchie di Maurer rosa scure, mentre lo schizonte contiene 8-32 merozoiti.
− P. vivax e ovale: interessano i reticolociti e solo il 2-5% dei globuli rossi che > di volume,
contengono 1 trofozoite e numerose granulazioni di colore rosa o granuli di Schüffner dovuti alla
degradazione dell’Hb con aspetto tigrato dei globuli rossi; lo schizonte contiene 12-24 merozoiti.
− P. malariae: colpisce globuli rossi invecchiati che presentano una < di volume, contengono 1
trofozoite, non ci sono granulazioni o macchie, mentre lo schizonte contiene 6-12 merozoiti.
La sierodiagnosi è utile solo per studi epidemiologici perchè gli Ab compaiono solo 10-15 gg dopo
l’esordio clinico e permangono a lungo dopo la guarigione.
La TERAPIA avviene con i farmaci antimalarici, distinti in:
schizonticidi ematici: attivi contro le forme ematiche asessuate, tra cui abbiamo chinino,
clorochina, meflochina, sulfamidici, solfoni, proguanil, pirimetamina, trimetropim, tetracicline.
schizonticidi tessutali: attivi contro le forme epatiche, come la primachina (8-aminochinoline).
In caso di malaria da P. vivax, ovale, malariae e ceppi di P. falciparum clorochina-sensibili si
somministrano gli schizonticidi ematici come la clorochina difosfato o solfato alla dose di 600 mg
per os, 300 mg dopo 6 h, 300 mg dopo 24 h e 300 mg dopo 48 h.
In caso di malaria da P. vivax e ovale la terapia prosegue con la somministrazione degli
schizonticidi tessutali cioè la primachina alla dose di 15 mg/die per 14 gg, da evitare nei pz affetti
da deficit del G6PDH perchè può favorire l’anemia perniciosa, e nelle donne in gravidanza dove si
somministrano il chinino e la clindamicina.
In caso di malaria da P. falciparum clorochina-resistente si usa la meflochina cloridrato mentre in
caso di resistenza alla meflochina si somministra il chinino + doxiciclina o chinino + proguanil.
In caso di malaria perniciosa da P. falciparum si somministra il chinino cloridrato per via e.v. alla
dose di 600 mg in 300 ml di soluzione fisiologica per 3 volte/die ed è necessario tenere
sottocontrollo le altre manifestazioni cliniche mediante diuretici in caso di oligoanuria, diazepam o
fenobarbital in caso di convulsioni, soluzioni glucosate in caso di ipoglicemia, emotrasfusioni in
caso di anemia severa, ventilazione assistita in caso di insufficienza respiratoria.
La Profilassi si basa sulla disinfezione con DDT e bonifica delle aree paludose per sterminare le
zanzare Anopheles, profilassi individuale indicata nei soggetti non immuni che si recano nelle aree
endemiche cioè uso di zanzariere, repellenti cutanei, insetticidi, evitare di stare all’aperto durante le
h notturne, alloggiare in luoghi muniti di condizionatori d’aria che riducono la vitalità delle zanzare,
e chemioprofilassi che deve iniziare una settimana prima della partenza e deve continuare per 4
settimane dopo il ritorno, mediante clorochina o meflochina + doxiciclina in caso P. falciparum
clorochina-resistente, primachina per evitare le recidive da P. vivax e ovale.
Leishmaniosi
Le Leishmaniosi sono malattie infettive provocate da protozoi appartenenti al genere Leishmania
trasmessi da animali domestici o selvatici all’uomo da insetti vettori del genere Phlebotomus cioè
insetti ematofagi che si nutrono del sangue fuoriuscito dai vasi e localizzato a livello del derma,
senza attingere dai capillari, sono insetti di piccole dimensioni, dotati di una gobba sul torace, corpo
e ali ricoperte da una peluria fine e dorata, volano in maniera molto silenziosa, non sopravvivono al
di sopra di 600-800 m di altitudine, mentre sopravvivono lungo le zone costiere, anche in Italia.
Dal punto di vista Eziologico si fa una distinzione tra ceppi viscerotropi responsabili della
Leishmaniosi viscerale e ceppi dermotropi responsabili della Leishmaniosi cutanea e mucocutanea:
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Leishmaniosi viscerale: dovuta al complesso della Leishmania donovani cioè L. donovani,
infantum e chagasi diffuse in Africa orientale, penisola arabica, India, bacino del Mediterraneo,
Italia compresa dove in genere l’infezione è dovuta al ceppo viscerotropo di L. infantum ed è più
frequente nei soggetti che si recano nelle aree endemiche e immunodepressi provocando infezioni
opportunistiche nei pz con AIDS.
Leishmaniosi cutanea del Vecchio Mondo o bottone d’Oriente: dovuta al complesso della
Leishmania tropica che comprende la L. tropica, major ed aethiopica diffusi in Medio Oriente,
Asia sud-occidentale, Africa, mentre in Italia e altri paesi del bacino del Mediterraneo è dovuta al
ceppo dermotropo di Leishmania infantum.
Leishmaniosi mucocutanea del Nuovo Mondo: dovuta a L. braziliensis e mexicana diffuse
in Brasile, Messico e altri paesi dell’America Latina.
Il Serbatoio naturale dell’infezione è rappresentato da cani domestici, cani selvatici o roditori: in
Italia il serbatoio dell’infezione è rappresentato dai cani in cui l’infezione è asintomatica nel 50%
dei casi oppure si manifesta con notevole calo di peso, caduta dei peli, incurvamento delle
unghie, congiuntiviti e soprattutto ulcere da cui le zanzare assumono gli amastigoti durante il
pasto di sangue: inizialmente l’amastigote è privo di flagello, sferico o ovale con Ø di 2-5 μm,
mentre nello stomaco della zanzara si trasforma in promastigote flagellato, mobile, lungo 15-20 μm,
che si moltiplica nel proventricolo per scissione binaria longitudinale, e migra nella valvola
esofagea dell’insetto, e da qui può essere trasmessa mediante puntura all’uomo dove i promastigoti
vengono subito fagocitati dai macrofagi del derma e ritrasformati in amastigoti: le leishmanie grazie
ai lipofosfoglicani di superficie riescono ad eludere il killing macrofagico per intervento dei
linfociti Th2 che rilasciano l’IL4 e IL10 che inibiscono la sintesi di citochine ad azione protettrice
da parte dei linfociti Th1 come IL1, TNF e IFNγ, per cui le leishmanie invadono le cellule del
sistema reticolo-endoteliale, dove si moltiplicano fino a distruggerle, provocando a seconda dei
ceppi patogeni la leishmaniosi cutanea, mucocutanea o viscerale per disseminazione in organi
ricchi di cellule del SRE cioè milza, fegato, midollo osseo e linfonodi.
Dal punto di vista CLINICO si fa una distinzione tra:
Leishmaniosi Viscerale: dopo un periodo di incubazione variabile da 4 a 10 mesi (range 10
gg-9 aa), esordisce con febbre alta per alcuni gg, a cui segue una fase di apiressia di 3-4 gg,
astenia, anoressia, malessere, diarrea, splenomegalia di consistenza parenchimatosa. Dopo
qualche settimana inizia il periodo di stato caratterizzato dai sintomi classici della malattia cioè
febbre continua o remittente con picco elevato nelle h serali, senza brividi e che recedono con
sudorazione profusa, splenomegalia voluminosa che occupa tutto l’ipocondrio sx, di consistenza
dura, epatomegalia, tumefazione dei linfonodi, cute scura, nerastra a livello dell’addome, mani
e piedi, da cui deriva il termine kala-azar o febbre nera, fino a cachessia con decadimento delle
condizioni generali del pz, aplasia midollare, dissenteria, insufficienza cardiaca e renale con
proteinuria ed ematuria, edemi, ascite e morte nel giro di 1-2 anni.
Il Laboratorio evidenzia pancitopenia da ipertrofia della milza con sequestro degli elementi
corpuscolati del sangue cioè anemia, leucopenia (neutropenia) e piastrinopenia a rischio di
emorragie, infezioni intercorrenti e morte nei soggetti non trattati.
La Diagnosi si basa sulla biopsia sternale con prelievo del midollo osseo o biopsia epatica con
esame parassitologico diretto, colorando con Giemsa e osservando il parassita all’interno dei
macrofagi. Le leishmanie crescono nei terreni agar con sangue di coniglio e antibiotici, come il
terreno NNN dove si ha la trasformazione dell’amastigote in promastigote. La sierodiagnosi si basa
sull’immunofluorescenza indiretta e test immunoenzimatico valutando la comparsa degli Ab nel
siero diretti contro gli Ag rappresentati dai promastigoti ottenuti in coltura (IgG).
Leishmaniosi Cutanea del Vecchio Mondo o bottone d’oriente: il periodo di incubazione
varia da 2 sett a 3 aa, è caratterizzata dalla comparsa di lesioni cutanee nel punto di inoculazione del
parassita, soprattutto al volto e arti che sono le parti più scoperte. Si fa una distinzione tra 3 forme:
forma secca: da L. tropica, si manifesta con una papula rossa che evolve lentamente verso il
nodulo o bottone di 2 cm di Ø, duro che va incontro a fenomeni necrotico-ulcerativi. L’ulcera
viene ricoperta da una crosta spessa e tenacemente aderente che distaccandosi mette in evidenza
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il segno di Montpellier cioè una radice profonda nel derma. In genere sono lesioni autolimitanti
che guariscono spontaneamente in 6-12 mesi, lasciando una cicatrice residua, antiestetica.
forma umida: da L. major, caratterizzata da un’ulcera più profonda, fino a 8 cm di Ø, ad
evoluzione più rapida, ad alto rischio di sovrainfezioni batteriche con linfadenite e linfangite.
forma cutanea diffusa: da L. aethiopica, caratterizzata da lesioni papulo-nodulari diffuse su
tutta la superficie corporea, senza ulcerazioni, fatali nei soggetti denutriti e immunodepressi.
Leishmaniosi Mucocutanea del Nuovo Mondo: la L. mexicana interessa solo la cute con
lesioni papulo-nodulari tendenti alla guarigione spontanea mentre L. braziliensis è responsabile
dell’espundia caratterizzata da lesioni cutanee granulomatose necrotizzanti che tendono a
diffondersi per contiguità o per via ematica alle mucose, soprattutto a livello dell’orofaringe, naso,
trachea, palato, provocando la distruzione dei tessuti molli e delle cartilagini con formazioni di
enormi cavità a rischio di sovrainfezioni batteriche, sepsi, polmonite da aspirazione e morte.
La Diagnosi si basa sulla biopsia delle lesioni cutanee con esame parassitologico diretto per la
ricerca degli amastigoti oppure sul test cutaneo alla leishmanina con inoculazione intradermica di
Ag di Leishmania: la reazione è + se dopo 48 h si ha la formazione di un granuloma in seguito a una
reazione immunitaria cellulo-mediata con intervento di macrofagi e linfociti T.
La Terapia delle leishmaniosi si basa sulla somministrazione dei derivati di antimonio pentavalente
cioè antimoniato di N-metilglutamina, pentamidina isetionato (Pentostam), amfotericina B
(antifungino). La Profilassi si basa sulla lotta ai vettori ed eliminazione dei serbatoi animali.
Schistosomiasi
Le Schistosomiasi sono parassitosi provocate da elminti del genere Schistosoma (trematodi)
distinte in schistosomiasi intestinale e genito-urinaria, diffuse nei paesi tropicali e subtropicali
dove oltre 200 milioni di individui sono portatori intestinali o urinari di questi vermi.
Dal punto di vista Eziologico la schistosomiasi intestinale è causata soprattutto da Schistosoma
mansoni diffuso in Africa, Sud-Est Asiatico e America Latina, raramente da Schistosoma
intercalatum diffuso in Africa centrale, S. japonicum diffuso in Giappone, Cina, Corea e
Filippine e S. mekongi diffuso in Cambogia, mentre la schistosomiasi genito-urinaria è causata
dallo Schistosoma haematobium diffuso in Africa.
Il Ciclo Biologico avviene in 2 ospiti: l’ospite intermedio è rappresentato dal mollusco acquatico
che ingerisce la larva ciliata o miracidio presente nell’acqua, l’ospite definitivo è l’uomo.
Nel mollusco il miracidio si trasforma in sporocisti che dopo varie riproduzioni asessuate danno
origine a numerose cercarie (larve) che vengono rilasciate nell’acqua, penetrano per via percutanea
nell’uomo e per via ematica sono veicolate al cuore dx, polmoni e infine al sistema portale dove si
trasformano in vermi adulti dove il M si incurva formando il canale ginecoforo per accoppiarsi con
la F che dopo la fecondazione passa dal circolo portale ai vasi mesenterici dove depone ~ 400
uova/die: le F di S. mansoni depongono le uova nei plessi venosi intestinali pericolici e
perirettali tributari della v.m.i., con Ø di 140-150 μm dotate di uno sperone laterale. Le F di S.
intercalatum e japonicum depongono le uova nei plessi venosi mesenterici superiori e inferiori,
con Ø di 150-180 μm e 70-100 μm dotate di sperone terminale e laterale. Le F di S. mekongi
depongono le uova nel plesso venoso mesenterico superiore, piccole con sperone laterale.
Le uova attraverso lo sperone perforano la parete vasale e intestinale, passano nel lume intestinale
scatenando la sintomatologia e sono eliminate con le feci resistendo nelle acque dolci a T°C
ambiente e alla luce, dove si ha la fuoriuscita della larva ciliata o miracidio che viene ingerita dal
mollusco acquatico ripetendo il ciclo. Alcune uova restano bloccate nella parete intestinale dove si
ha la formazione del granuloma eosinofilo costituito da eosinofili, linfociti, macrofagi e fibroblasti,
mentre altre uova sono veicolate al fegato attraverso la vena porta provocando lesioni periportali.
Il ciclo biologico di S. haematobium è simile alle altre specie ma dopo l’accoppiamento le F
depongono le uova nei plessi venosi perivescicali, attraverso lo sperone terminale perforano la
parete vasale e vescicale e sono eliminate con le urine, alcune uova restano intrappolate nella parete
vescicale oppure attraverso la circolazione sistemica giungono ai polmoni.
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Dal punto di vista Clinico si ha una dermatite nel punto di penetrazione delle larve con prurito,
edema, papula, petecchie emorragiche, mentre dopo 40-50 gg si ha la schistosomiasi:
Schistosomiasi intestinale: ulcerazioni della parete intestinale, dolori addominali, tenesmo e
meteorismo. In genere la malattia guarisce nel giro di qualche mese, altre volte evolve verso la
cronicizzazione con iperplasia della mucosa intestinale, pseudopolipi infiammatori, sclerosi,
fino all’insorgenza di complicanze cioè subocclusione, enterorragie, schistosomiasi epatosplenica
con epatite granulomatosa, fibrosi epatica, ipertensione portale, epatosplenomegalia notevole,
ascite, varici esofagee e attraverso il circolo collaterale porto-cavale le uova possono raggiungere i
polmoni con insufficienza respiratoria.
Schistosomiasi genitourinaria: eritema, edema, sclerosi della mucosa vescicale e
calcificazione della parete con disuria, bruciori alla minzione, pollachiuria, lesioni nodulari
ulcero-necrotiche con ematuria micro e macroscopica ed emissione di coaguli. Tra le complicanze
abbiamo iperplasia con formazione di polipi, stenosi del 3° inferiore dell’uretere con idronefrosi,
pielonefrite, insufficienza renale, prostatite, vescicolite, cervicite ed endometrite (donna).
La Diagnosi si basa sull’esame parassitologico delle feci, urine o materiale prelevato con
biopsia durante una Rettosigmoidoscopia o Cistoscopia che sono utili per valutare l’entità delle
lesioni intestinali e vescicali, Ecografia epatica. Il laboratorio evidenzia eosinofilia (10-20%).
La Terapia avviene col praziquantel efficace contro tutte le specie fino alla scomparsa delle uova
nelle feci e urine e normalizzazione dell’eosinofilia. La Profilassi consiste nell’evitare il contatto
con le acque contaminate proteggendosi con stivali e guanti, lotta contro i molluschi...
Filariosi
Le Filariosi sono parassitosi che interessano la cute e il tessuto connettivo sottocutaneo (tegumenti)
dovute alle Filarie, nematodi lunghi e sottili, tra cui abbiamo Wuchereria bancrofti, Loa-Loa,
Onchocerca volvulus, Mansonella streptocerca diffuse nei paesi tropicali e subtropicali.
La Wuchereria bancrofti è responsabile della Filariosi linfatica trasmessa all’uomo da zanzare
del genere Culex che inocula le larve durante il pasto di sangue: le larve attraverso piccole ferite
cutanee raggiungono il tessuto linfatico, si trasformano in vermi adulti e dopo l’accoppiamento le F
producono migliaia di embrioni o microfilarie che durante le h notturne vivono nel sangue
periferico dove possono essere ingerite dalla zanzara, al mattino vivono nei capillari polmonari.
Dal punto di vista Clinico dopo un periodo di incubazione di 3-15 mesi asintomatico, la filariosi
linfatica si manifesta con sintomi sistemici di tipo allergico cioè prurito, crisi asmatiche, febbre
alta ricorrente, linfoadeniti e linfangiti con linfedema agli arti inferiori e genitali. Poi si ha il
periodo di stato con gravi alterazioni della circolazione linfatica con sviluppo di varici linfatiche
voluminose, linfangiti, linfoadenopatie ascellari e inguinali, varicocele. Dopo 15-20 anni si ha
l’elefantiasi da ipertrofia sclero-fibrosa del tessuto sottocutaneo con pachidermia dello scroto
negli uomini, mammelle e grandi labbra nelle donne, arti inferiori in entrambi i sessi.
La Loa-Loa è responsabile della Loaiasi trasmessa all’uomo dalla mosca del genere Chrysops: il
ciclo biologico si differenzia dalla filariosi linfatica perchè i vermi adulti vivono nel tessuto
sottocutaneo e le microfilarie sono dimostrabili nel sangue periferico nelle h diurne.
Dal punto di vista Clinico dopo un periodo di incubazione di 6-15 mesi, si osserva la migrazione
dei vermi adulti nel tessuto sottocutaneo o nel connettivo sottocongiuntivale con prurito,
palpazione di un cordone che si sposta alla velocità di 1 cm/min, sensazione di corpo estraneo a
livello oculare, fotofobia, edema periorbitario. Inoltre si ha lo sviluppo dell’edema di Calabar
(Nigeria) cioè una reazione cutanea eritemato-angioedematosa con Ø di 6-12 cm localizzata sul
dorso della mano, dita, volto e arti, con parestesie e prurito intenso, fugaci perchè regrediscono
nel giro di qualche h o pochi gg, associati a eosinofilia spiccata (80%).
L’Onchocerca volvulus è responsabile della Oncocercosi o filariosi oculo-cutanea, trasmessa
all’uomo da ditteri del genere Simulium (Simulide): i vermi adulti vivono nel tessuto sottocutaneo
dove formano gli oncocercomi cioè noduli indolenti di dimensioni variabili da una lenticchia a
un mandarino, localizzati a livello delle superfici ossee cioè gabbia toracica, creste iliache, femore,
osso sacro, ginocchia. Dopo l’accoppiamento le F producono le microfilarie che attratte dalla luce
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migrano nel derma provocano una dermatite con papule pruriginose, edema linfatico con cute
increspata a buccia d’arancia, ipercheratosi con pelle anelastica, secca, fragile, atrofica,
ispessita e raggrinzita con aspetto a pelle d’elefante. Le microfilarie presenti nel derma possono
essere ingerite dall’insetto vettore oppure raggiungono l’occhio provocando dei disturbi gravi cioè
cheratite, iridociclite, corioretinite, atrofia del nervo ottico con cecità.
La Mansonella streptocerca è responsabile della Streptocercosi trasmessa all’uomo dal
moscerino Culicoides: i vermi adulti vivono nel derma e in seguito all’accoppiamento le F
producono le microfilarie responsabili di una dermatite di tipo allergica, pruriginosa, con
linfoadenite ascellare e inguinale, elefantiasi modesta.
La Diagnosi delle filariosi si basa sulla ricerca delle microfilarie su strisci di sangue periferico
colorati con Giemsa o ematossilina prelevato durante le h notturne in caso di filariosi linfatica,
nelle h diurne in caso di loaiasi, Biopsia cutanea in caso di oncocercosi e streptocercosi.
Se le microfilarie sono assenti o scarse si ricorre a tecniche di concentrazione con goccia spessa.
Le indagini di laboratorio evidenziano eosinofilia spiccata in caso di loaiasi e infezioni recenti,
mentre la sierodiagnosi è utile solo in presenza di elefantiasi caratterizzata da Ag circolanti.
La Terapia per la filariosi linfatica, loaiasi e streptocercosi avviene con la dietilcarbamazina,
associata ad antistaminici o cortisonici per controllare i fenomeni allergici. In caso di elefantiasi si
ricorre a interventi di chirurgia plastica. La terapia dell’oncocercosi avviene con l’ivermectina.
La Profilassi prevede la lotta contro gli insetti vettori, chemioprofilassi di massa nei residenti,
chemioprofilassi individuale nei soggetti che si recano nelle aree a rischio.
Parotite Epidemica
La Parotite Epidemica è un’infezione virale acuta delle ghiandole parotidi e altre ghiandole
salivari causata dal Paramyxovirus parotitidis, a RNA a singola elica, sferico con Ø di 80-300
nm, drasticamente diminuita rispetto al passato grazie al vaccino MPR anche se ogni 2-4 anni si
hanno piccoli focolai nelle comunità infantili o casi sporadici soprattutto nei bambini tra 4 e 15
anni, con picco stagionale in inverno e prime settimane della primavera.
La trasmissione dell’infezione avviene per via aerea in seguito all’inalazione di goccioline di
saliva (flügge) emesse da soggetti malati mediante colpi di tosse o starnuti oppure attraverso le
urine per alcune settimane dall’inizio della malattia.
Il virus si replica nelle cellule epiteliali delle vie respiratorie superiori e nei linfonodi cervicali
provocando l’infezione delle ghiandole salivari parotidi, sottolinguali e sottomandibolari.
Dal punto di vista CLINICO il periodo di incubazione è di 15-25 gg, nel 20% dei casi si tratta di
forme asintomatiche, mentre le forme sintomatiche hanno un esordio brusco con febbre alta (38-
40°C), cefalea, otalgia, mialgie, e nel giro di 2-3 gg si ha la comparsa della tumefazione delle
ghiandole parotidi, di consistenza parenchimatosa o duro-elastica, bilaterale nel 75% dei casi,
con dolore spontaneo, esacerbato dalla masticazione e palpazione, edema diffuso e tumefazione
delle ghiandole sottolinguali e sottomandibolari. Dopo 2-3 giorni è possibile osservare la tipica
facies degli orecchioni in seguito allo spostamento del padiglione auricolare in avanti e in fuori.
L’Ispezione del cavo orale evidenzia la presenza di eritema e tumefazione del dotto escretore,
circondato da piccole petecchie emorragiche.
La tumefazione parotidea regredisce fino a scomparire del tutto nel giro di 10 gg lasciando una
protezione immunitaria duratura per tutta la vita, anche se bisogna stare attenti alle complicanze
soprattutto orchite ed epididimite con tumefazione e dolore dei testicoli, raramente atrofia
testicolare e sterilità, manifestazioni del SNC cioè meningite a liquor limpido, febbre, cefalea,
vomito, nausea, rigidità nucale, che in genere si risolve senza esiti, raramente si ha encefalite ad
alto rischio di mortalità.
Raramente si ha pancreatite, miocardite, pericardite, tiroidite, nefrite, aborti spontanei in caso
di parotite contratta nel I trimestre di gravidanza.
La Diagnosi in genere è clinica raramente è necessaria la diagnosi eziologica ricercando il virus
nella saliva, urine, liquor. La sierodiagnosi si basa sul test immunoenzimatico ELISA o
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l’immunofluorescenza indiretta valutando l’> del titolo Ab di almeno 4 volte tra il siero
prelevato nella fase acuta e il siero prelevato nella fase di convalescenza.
La Terapia è sintomatica con antipiretici, antidolorifici, mentre in caso di orchite e meningite si
somministrano i cortisonici (Prednisone) che hanno azione antiessudativa e antiflogistica.
La Profilassi si basa sulla vaccino trivalente MPR anti-morbillo, parotite, rosolia.
Esantemi e Malattie Esantematiche
Il MORBILLO è una malattia esantematica acuta altamente contagiosa dovuta al Morbillivirus
appartenente alla fam. Paramyxoviridae (RNA), diffuso in tutto il mondo, colpisce bambini nei
primi 2 anni di vita, soprattutto in inverno e inizio primavera, alcune volte anche i soggetti adulti.
La trasmissione dell’infezione avviene per via aerea in seguito all’inalazione di secrezioni
rinofaringee espulse da soggetti infetti mediante colpi di tosse o starnuti considerando che la
malattia è contagiosa dalla fase prodromica all’inizio del periodo esantematico.
Dal punto di vista Patogenetico il virus penetra nell’organismo attraverso le mucose delle vie
respiratorie superiori o la congiuntiva, raggiunge i linfonodi regionali dove si moltiplica, passa in
circolo infettando linfociti e monociti, raggiunge gli organi del SRE dove si moltiplica
ulteriormente con viremia secondaria raggiungendo la cute e le mucose.
Dal punto di vista Clinico dopo un periodo di incubazione di 10-14 gg si ha la fase prodromica o
periodo di invasione con febbre alta, malessere generale, raffreddore comune (coriza) con
rinorrea prima sierosa poi mucopurulenta, bronchite con tosse secca e stizzosa, congiuntivite
con edema palpebrale, lacrimazione e fotofobia. Nell’80% dei casi si ha la comparsa di un
enantema o segno di Köplik cioè piccole macchie biancastre circondate da un alone eritematoso,
localizzate sulla mucosa delle guance a livello del 2° molare.
Dopo 14 giorni dal contagio si ha la comparsa di un esantema maculo-papuloso localizzato prima
alla regione retroauricolare e alla fronte, poi si diffonde in senso cranio-caudale al volto, collo,
tronco e arti risparmiando la regione palmo-plantare: inizialmente le lesioni sono rotondeggianti,
rosa pallide, poi diventano irregolari, rosso scure tendenti alla confluenza soprattutto al volto
associate a febbre alta e malessere generale. Dopo 5-6 gg si ha la risoluzione della febbre per
lisi, miglioramento delle condizioni generali, regressione dell’esantema fino alla completa
scomparsa con desquamazione furfuracea.
Tra le complicanze abbiamo la laringite stenosante o croup con stridore respiratorio, afonia,
dispnea, crisi di asfissia, rientramenti inspiratori del torace fino all’insufficienza respiratoria,
bronchiolite, raramente complicanze neurologiche come la panencefalite sclerosante subacuta.
La Diagnosi è clinica, raramente esame citologico delle secrezioni nasali, salivari, congiuntivali
con presenza delle cellule giganti plurinucleate con inclusioni intranucleari, test Elisa o
immunofluorescenza indiretta per valutare la presenza delle IgM specifiche con > titolo Ab di 4
volte tra siero prelevato nella fase acuta e siero della fase di convalescenza.
La Terapia è sintomatica: riposo a letto, antipiretici, mucolitici, antibiotici in caso di sovrainfezioni
batteriche (ampicillina, cefalosporine), cortisonici in caso di laringo-tracheite e bronchiolite.
La Profilassi avviene con il vaccino trivalente anti-morbillo, parotite, rosolia (MPR) con ceppi vivi
e attenuati somministrato al 13°-15° mese di vita, eseguendo una dose di richiamo a 5-6 anni e a 11-
12 anni per ottenere una protezione solida e duratura.
La ROSOLIA è una malattia esantematica acuta moderatamente contagiosa causata dal Rubivirus
appartenente alla fam. Togaviridae, virus a RNA a singola elica, che colpisce soprattutto bambini di
5-9 anni con alta incidenza in inverno e inizio primavera.
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La trasmissione dell’infezione avviene per via aerea in seguito all’inalazione di secrezioni
rinofaringee espulse da soggetti infetti mediante colpi di tosse o starnuti considerando che la
malattia è contagiosa da 10 gg prima a 15 gg dopo la comparsa dell’esantema. Il virus viene
eliminato anche con le urine e secrezioni cervico-vaginali per 15-20 giorni. La trasmissione può
avvenire anche per via transplacentare con rosolia congenita ed eliminazione del virus per 18 mesi
dopo la nascita costituendo una pericolosa fonte di contagio.
La Patogenesi è identica a quella del morbillo.
Dal punto di vista Clinico dopo un periodo di incubazione di 12-23 gg, si ha il periodo di invasione
asintomatico nei bambini mentre negli adulti si manifesta con febbricola, anoressia,
linfoadenopatie con > volume dei linfonodi retroauricolari, retronucali e cervicali posteriori,
indolenti e dopo 4-10 gg compare l’esantema maculo-papuloso che si diffonde in senso cranio-
caudale al volto, tronco e arti con papule rosa di piccole dimensioni che scompaiono con la
digitopressione, distanziate tra loro, tranne al tronco dove sono numerosissime. L’esantema e i
sintomi generali scompaiono dopo 3-4 gg senza esiti rispetto alla varicella.
Le complicanze della rosolia sono rare: artrite con interessamento delle articolazioni delle dita,
polsi, ginocchia con dolore intenso, edema, arrossamento, encefalite grave.
In caso di rosolia congenita se l’infezione viene contratta nelle prime settimane di gravidanza si
ha l’aborto nel 10-15% dei casi, se l’infezione viene contratta nei primi 4 mesi di gravidanza si
possono avere malformazioni congenite uditive, vestibolari, cardiovascolari (80%) come la pervietà
del dotto arterioso di Botallo, stenosi arteria e valvola polmonare, lesioni oculari come
cataratta, microftalmia e glaucoma. Dopo la nascita il bambino può essere sano ma continua ad
eliminare il virus attraverso le urine per diversi mesi, oppure presenta peso ridotto, ritardo di
crescita, malformazioni ossee, piastrinopenia, panencefalite progressiva rubeolica mortale.
La Diagnosi è clinica associata all’isolamento del virus dalle secrezioni rinofaringee e urine,
sierodiagnosi cioè reazione di inibizione dell’emoagglutinina (HI) poiché il virus della rosolia ha
la caratteristica di agglutinare gli eritrociti umani (gruppo 0) mentre l’ELISA e IFI consentono di
valutare l’> titolo Ab di almeno 4 volte tra siero della fase acuta e siero della fase di
convalescenza.
La Diagnosi di infezione nella gestante è clinica valutando la comparsa del tipico esantema
maculo-papuloso che si diffonde in senso cranio-caudale al volto, tronco e arti con papule rosa
di piccole dimensioni che scompaiono con la digitopressione, distanziate tra loro, tranne al
tronco dove sono numerosissime, associato a febbricola e linfoadenopatie latero-cervicali,
retronucali, retroauricolari... La sierodiagnosi si basa sulla tecnica ELISA valutando la comparsa
precoce delle IgM che raggiungono il picco nel giro di 7-10 giorni, persistendo in circolo per 4
dopo la comparsa dell’esantema mentre IgG compaiono dopo ~ 2 settimane dall’esantema e
persistono per tutta la vita conferendo immunità cioè protezione dalla reinfezioni.
La diagnosi della rosolia congenita può essere precoce già alla 12^ settimana di gestazione
mediante Villocentesi oppure alla 16^ settimana mediante Amniocentesi valutando mediante la
PCR la presenza del DNA virale rispettivamente nei villi coriali e nel liquido amniotico, oppure
diagnosi tardiva alla 22^ settimana mediante Funicolocentesi ricercando le IgM nel sangue fetale.
La Profilassi si basa su:
─ vaccinazione in età pediatrica mediante il vaccino trivalente MPR (morbillo, parotite, rosolia).
─ indagini sierologiche in fase preconcezionale con eventuale vaccinazione almeno 3 mesi prima
di iniziare la gravidanza perchè il virus attenuato provoca viremia con rischio di infezione fetale.
─ indagini sierologiche precoci durante la gravidanza e controlli mensili nelle recettive valutando la
presenza di Ab anti-virus rubeolico, la sieroconversione IgM-IgG mediante tecnica Elisa,
sierodiagnosi fetale con PCR, ecografia anche se è difficile valutare la presenza di malformazioni.
La VARICELLA è una malattia esantematica molto contagiosa dovuta a Virus Varicella Zoster
VZV (HSV3), diffusa in tutto il mondo, nel 90% dei casi colpisce bambini con età ≤ 9 anni
soprattutto in inverno e inizio primavera, provoca piccoli focolai epidemici ogni 2-3 anni.
La trasmissione dell’infezione avviene per contatto diretto con il liquido contenuto nelle
vescicole o indiretto per via aerea con inalazione di secrezioni rinofaringee espulse da soggetti
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infetti mediante colpi di tosse o starnuti, considerando che la malattia è contagiosa da 48h prima la
comparsa dell’esantema fino alla formazione delle croste.
La Patogenesi è identica a quella del morbillo e rosolia ma con la guarigione il virus non viene
eliminato dall’organismo ma si porta dalle lesioni cutanee alle fibre nervose raggiungendo i gangli
sensitivi dei nervi cranici e spinali dove si mantiene silente per anni senza replicarsi: se le difese
dell’ospite diminuiscono si ha la riattivazione del virus provocando l’Herpes Zoster.
Dal punto di vista Clinico dopo un periodo di incubazione di 15 gg, si ha la fase prodromica con
febbricola e malessere generale, poi si ha la comparsa dell’esantema maculo-papuloso che
evolve dopo poche h in vescicole pruriginose, piccole e ombelicate nella parte centrale,
circondate da un alone eritematoso, contenenti un liquido prima limpido poi torbido, purulento
con formazione delle pustole che dopo alcuni giorni si seccano con formazione delle croste che
cadono senza esiti cicatriziali. L’esantema scompare dopo 1-2 settimane.
La diffusione dell’esantema è centripeta interessando prima il tronco, volto, arti, cuoio capelluto,
detto esantema a cielo stellato, polimorfo perchè le lesioni compaiono in modo asincrono e si
presentano in diversi stadi evolutivi nelle aree cutanee dovute alle diverse gittate virali. Inoltre si
può avere enantema nella mucosa orale senza evoluzione delle vescicole in pustole e croste.
La Diagnosi è clinica, raramente è necessario l’isolamento del virus dal liquido contenuto nelle
vescicole, esame colturale su fibroblasti embrionari umani osservando le tipiche cellule giganti
plurinucleate e inclusioni intranucleari eosinofile, mentre il test immunoenzimatico Elisa e
l’immunofluorescenza indiretta evidenzia l’> titolo Ab di almeno 4 volte tra il siero prelevato
nella fase acuta e il siero della fase di convalescenza con sieroconversione IgM-IgG.
La Terapia è sintomatica con antipiretici (paracetamolo), antistaminici, antibiotici per < il rischio di
sovrainfezioni. Nei casi più gravi è necessaria l’ospedalizzazione e somministrazione di acyclovir
per via e.v.. Esiste un vaccino con ceppi vivi e attenuati.
L’Herpes Zoster o fuoco di S. Antonio è un’infezione che si verifica in seguito alla riattivazione
endogena del VZV presente nell’organismo allo stato latente, molti anni dopo l’infezione primaria,
colpendo prevalentemente soggetti anziani e immunodepressi con linfomi, AIDS, per cui il virus si
riporta dai gangli sensitivi alla cute con comparsa di lesioni localizzate in 1-2 dermatomeri
soprattutto quelli toracici T5-T10 nel 50% dei casi, lombari, cervicali, facciali e sacrali.
Dal punto di vista Clinico il pz presenta prurito, formicolio, bruciore o dolore nevritico urente
(intenso) in corrispondenza del dermatomero colpito detto fuoco di St. Antonio, poi si ha la
comparsa di eritema rosso vivo, vescicole disposte a grappolo, monolaterali che dopo 3-5 giorni si
ulcerano dando origine a croste persistenti per alcune settimane fino alla guarigione senza
cicatrizzazione anche se può persistere una nevralgia posterpetica con dolore persistente per mesi
o anni. In caso di zoster della 1^ branca del nervo trigemino (nervo oftalmico) si ha ptosi
palpebrale, mentre nei pz con AIDS si ha lo zoster generalizzato con lesioni multimetameriche,
ulcerazioni e necrosi delle vescicole, sanguinanti con dolore urente, sovrainfezioni batteriche a
polmonite varicellosa, epatite, encefalite a prognosi sfavorevole.
La Diagnosi è clinica. La Terapia avviene con aciclovir.
La Profilassi consiste nell’evitare il contatto tra pz immunodepressi e pz affetti da herpes zoster.
Il MEGALOERITEMA INFETTIVO o quinta malattia è una malattia esantematica a contagiosità
moderata da Parvovirus B19, fam. Parvoviridae (DNA), responsabile di piccoli episodi in inverno
e primavera nei bambini con età tra 2 e 12 anni, trasmesso per via aerea e alcune volte per via
ematica perchè nella fase acuta il virus è presente nel sangue a titolo elevato.
Il virus ha un tropismo spiccato per i precursori eritrocitari cioè eritroblasti e megacariociti,
soprattutto in fase di replicazione attiva in caso di eritropoiesi compensatoria o nella vita fetale,
provocando un blocco della produzione degli eritrociti per 4-8 gg.
Dal punto di vista Clinico dopo un periodo di incubazione di 5-15 gg si ha la fase prodromica con
astenia, febbricola, faringodinia, poi si ha la comparsa dell’esantema eritematoso a livello delle
guance con tipica distribuzione a farfalla e maculo-papuloso alla fronte, zona retroauricolare
che si diffonde agli arti, natiche e tronco, poi le lesioni impallidiscono nella parte centrale e
tendono a confluire con tipico aspetto reticolare, scomparendo con una lieve desquamazione.
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Il Parvovirus B19 può provocare anche altre manifestazioni cliniche:
crisi aplastica transitoria: colpisce pz affetti da anemia emolitica congenita come la talassemia,
sferocitosi, depranocitosi, emoglobinuria parossistica notturna con blocco improvviso
dell’eritropoiesi, anemia grave, transitoria ma recidivante.
idrope fetale: trasmessa al feto nel III trimestre di gravidanza con interessamento del fegato che è
l’organo principale dell’eritropoiesi nella vita intrauterina con idrope generalizzata e anemia grave.
La Diagnosi è clinica. La Terapia è sintomatica.
L’ESANTEMA CRITICO o sesta malattia è una malattia esantematica tipica dell’infanzia causata
da Herpes Virus Umano di tipo 6 HHV-6, virus a DNA lineare a doppia elica appartenente alla
fam. Herpesviridae, distinto in HHV-6 di tipo A associato a linfomi soprattutto nei pz con AIDS
dove agisce da cofattore della replicazione virale essendo un virus linfotropo con maggiore
interessamento dei linfociti T CD4+ e rapida evoluzione verso l’AIDS, e HHV-6 di tipo B
responsabile dell’esantema critico che è diffuso in tutto il mondo con prevalenza massima tra il 6°
e 24° mese di vita con picco stagionale in autunno e primavera, trasmesso per via aerea in seguito
all’inalazione di goccioline di saliva eliminate da soggetti infetti.
Dal punto di vista Clinico dopo un periodo di incubazione di 5-15 gg, la malattia esordisce con
febbre alta e malessere generale, dopo 3-5 gg si ha la risoluzione della febbre per lisi ma si ha la
comparsa di eruzioni maculo-papulose di colore rosa pallido al tronco, collo e radice degli arti,
risparmiando il volto, mani e piedi. L’esantema scompare nel giro di 1-2 gg, senza desquamazione.
La Diagnosi è clinica, isolamento del virus dalla saliva, test Elisa e IF per la ricerca Ab specifici.
La Terapia è sintomatica con antipiretici.
La SCARLATTINA è una malattia esantematica infantile associata a faringite da Streptococchi β-
emolitici di gruppo A (S. pyogenes) rara rispetto al passato, colpisce bambini con età di 3-10 anni,
soprattutto in autunno e inverno, trasmessa per via aerea.
Dal punto di vista Clinico dopo un periodo di incubazione di 2-5 gg, la scarlattina esordisce con
febbre alta, cefalea, malessere, adenopatia sottomandibolare, faringe eritematosa con tonsille
ipertrofiche, ricoperte da essudato purulento, lingua ricoperta da essudato biancastro con
papille ingrossate e arrossate, per cui si parla di lingua a fragola bianca, poi a fragola rossa con
eritema rosso vivo e papille ipertrofiche. Dopo 24-36h compare l’esantema maculo-papuloso
alla radice degli arti, tronco e volto, risparmiando la zona circumurale, naso e mento costituito da
papule puntiformi di colore rosso-vivo, molto ravvicinate che scompaiono dopo 5-10 gg con
desquamazione evidente alle mani e piedi.
Tra le complicanze abbiamo la diffusione dell’infezione streptococcica alle strutture vicine cioè
ascessi tonsillari, otiti medie, sinusiti, mastoiditi, ascessi cerebrali...
La Diagnosi è clinica + laboratorio con > VES, leucocitosi neutrofila, > titolo anti-
streptolisinico TAS in 2-3 sett., esame colturale del tampone faringeo.
La Terapia si basa sulla benzilpenicillina in un’unica somministrazione per via e.v. oppure
penicillina, eritromicina, claritromicina, azitromicina (macrolidi) per os per oltre 10 giorni.
La Profilassi prevede l’isolamento del pz fino al 3° giorno successivo all’inizio della terapia
antibiotica; è necessario controllare i familiari mediante un esame colturale del tampone faringeo.
L’ERISIPELA è una piodermite profonda, dermo-ipodermica localizzata soprattutto al volto e
arti inferiori, causata da Streptococchi β-emolitici di gruppo A (S. pyogenes) favorita da
microtraumi della cute, diabete, obesità, tromboflebiti degli arti inferiori, immunodepressione,
che in era preantibiotica si manifestava sottoforma di epidemie ospedaliere e comunità, mentre oggi
si hanno casi sporadici soprattutto nei soggetti anziani, poco contagiose.
Dal punto di vista Clinico dopo un periodo di incubazione di 6-10 gg, la malattia esordisce con
febbre alta, cefalea, comparsa di una chiazza eritematosa, calda, a superficie liscia, margini
rilevati, ben delimitata rispetto alla cute sana adiacente per cui si parla di segno dello scalino
soprattutto a livello del volto con edema palpabile a livello delle guance e del naso, mentre si ha
necrosi nelle aree dove la cute è a stretto contatto con le ossa (arti) con formazione di bolle
contenenti liquido siero-purulento. Nel giro di 8 giorni si ha un miglioramento del quadro clinico
con risoluzione della febbre per lisi, spesso con desquamazione, raramente si ha la disseminazione
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per via ematica dello streptococco con broncopolmonite, meningite, endocardite e soprattutto
celluliti per infezione del tessuto connettivo sottocutaneo, flemmoni, necrosi e gangrena tali da
richiedere l’intervento chirurgico.
La Diagnosi è clinica. La diagnosi differenziale è con le tromboflebiti degli arti inferiori
caratterizzate da lesioni consistenti e dolorose alla palpazione, mentre nell’erisipela sono di
consistenza molle e meno dolorose.
La Terapia è necessaria solo nei casi più gravi mediante benzilpenicillina per via i.m o e.v.,
penicillina o eritromicina per os o altri macrolidi.
Infine abbiamo gli esantemi vescicolari da Enterovirus cioè Echovirus, Coxsackievirus
responsabili dell’erpangina o faringite vescicolare, malattia mano-piede-bocca (hand-foot-mouth
disease) con vescicole a livello del cavo orofaringeo, vescicole alle dita delle mani e piedi...
Infine ricordiamo gli esantemi non infettivi soprattutto di natura allergica da ipersensibilità a
farmaci, LES, malattia da siero, sindrome da shock tossico: esantemi generalizzati che
interessano tronco, arti, regione palmo-plantare, di colore rosso-vivo, associate a prurito e febbre
che in genere regrediscono sospendendo il contatto con l’allergene, ad es. interrompendo la
somministrazione di farmaci, altrimenti si ha desquamazione cutanea, lesioni emorragiche delle
mucose orali, genitali e congiuntivali, distacco di lembi cutanei.
Infezioni da Herpes Virus
La famiglia Herpesvirus comprende gli Herpes Simplex Virus HSV-1 e 2, Virus Varicella Zoster
VZV (HSV3), EBV (HSV4), CMV (HSV5), Herpes virus umano 6 HHV6, HHV7 e HHV8: sono virus a
DNA a doppia elica con capside a simmetria icosaedrica (162 capsomeri), rivestito dall’envelope
lipoproteico, Ø variabile da 120 nel caso del CMV a 250 nm nel caso del VZV.
La caratteristica di questi virus è che dopo l’infezione primaria non sono eliminati dall’organismo
ma persistono in uno stato latente nell’organismo e possono essere riattivati con reinfezioni.
Le infezioni da Herpes Simplex Virus HSV sono diffuse in tutto il mondo con presenza di Ab
contro il virus nel 90-100% della popolazione, distinti in HSV di tipo 1 e 2:
HSV-1 o herpes labiale: trasmesso per contatto diretto con le lesioni erpetiche o indiretto per
via aerea tramite goccioline di saliva, in genere l’infezione primaria avviene nella prima infanzia.
HSV-2 o herpes genitale: trasmesso per via sessuale, l’infezione primaria si manifesta dopo la
pubertà soprattutto nei soggetti di sesso F.
Il virus penetra nell’organismo attraverso abrasioni della cute o delle mucose, si replica nelle cellule
epiteliali provocando un’infezione primaria che spesso è asintomatica oppure caratterizzata dalla
comparsa di vescicole dovute all’effetto citopatico del virus. Dopo la guarigione il virus resta silente
nei nervi sensitivi corrispondenti alla sede di infezione cioè il trigemino per HSV-1 e
lombosacrale per HSV2, dove può essere riattivato da vari stimoli cioè stress, traumi locali,
febbre, esposizione ai raggi solari, flusso mestruale per cui il virus ritorna nella sede di infezione
primaria con infezione ricorrente in genere lieve e di breve durata rispetto a quella primaria grazie
alla presenza della memoria immunologica.
Dal punto di vista Clinico il periodo di incubazione è di 6-7 giorni, l’infezione primaria in genere è
asintomatica oppure si manifesta con:
gengivostomatite da HSV-1: più frequente nei bambini di 1-2 anni si manifesta con febbre
alta, mal di gola, comparsa di vescicole o ulcerazioni piatte dolorose di tipo aftoso su base
eritematosa a livello della mucosa oro-faringea, lingua, gengive, palato molle, labbra e cute
perilabiale, linfonodi latero-cervicali e sottomandibolari palpabili e dolenti.
Le forme ricorrenti da Herpes labiale sono caratterizzate da disestesie, parestesie, prurito,
sensazione di bruciore che precedono la comparsa dell’eruzione eritemato-papulosa limitata alla
regione perilabiale superiore o labiale inferiore che evolve in vescicole a grappolo che poi si
rompono favorendo la fuoriuscita di liquido con formazione di croste che si distaccano senza
lasciare cicatrici in assenza di sovrainfezioni batteriche.
L’HSV-1 è responsabile anche dell’herpes oculare che si manifesta con congiuntivite, edema e
congestione della mucosa, opacità superficiale della cornea, vescicole sulla cute e bordo
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palpebrale, fino alla cheratocongiuntivite con lesioni puntiformi sulla cornea, dolore intenso e
sensazione di corpo estraneo, mentre in caso di reinfezione si ha cheratite con ulcera dendritica,
cicatrici, opacamento corneale e < visus. I cortisonici possono aggravare la situazione.
herpes genitale da HSV-2: dolore, bruciore intenso, comparsa di piccoli noduli a livello delle
piccole e grandi labbra, cute perianale e monte di venere, che si trasformano in vescicole a
contenuto limpido che si rompono spontaneamente lasciando aree disepitelizzate, cioè
pseudoulcere che spesso vanno incontro a sovrainfezioni da germi opportunisti con edema della
mucosa e linfoadenopatia inguinale. La risoluzione dei sintomi si ha nel giro di 2-3 settimane
mentre nei casi più gravi la pz può avere febbre, disuria e tenesmo.
Nell’uomo le lesioni interessano il glande, prepuzio, solco balanoprepuziale e cute perianale.
L’Infezione Secondaria o Ricorrente da HSV-2 in genere si manifesta dopo mesi o anni
dall’infezione primaria, è più lieve e di breve durata rispetto a quella primaria grazie alla presenza
della memoria immunologica, si manifesta con iperestesia e comparsa di vescicole.
Tra le Complicanze più importanti abbiamo le Infezioni neonatali congenite e connatali in
genere da infezione primaria acquisita dalla mamma durante la gravidanza, mentre in caso di
infezioni ricorrenti la mamma presenta gli Ab necessari per evitare l’infezione durante la
gravidanza o al massimo si verifica un’infezione con viremia bassa e tale da non superare la
barriera placentare.
infezione congenita: viene trasmessa per via transplacentare da mamma a feto provocando nel
I trimestre di gravidanza aborto, mentre nel II-III trimestre può provocare una grave fetopatia con
vescicole muco-cutanee disseminate e manifestazioni sistemiche cioè ittero,
epatosplenomegalia, microcefalia, microftalmia, meningoencefalite, corioretinite.
infezione connatale: viene trasmessa per via verticale durante il passaggio attraverso il
canale del parto in presenza di lesioni genitali materne attive, ad alto rischio di encefalite
herpetica necrotico-emorragica in sede temporale con modesta pleiocitosi liquorale spesso
mortale oppure si ha la guarigione con permanenza di esiti neuropsichici gravi, corioretinite,
lesioni necrotico-emorragiche al fegato, apparato respiratorio e surreni oppure si manifesta solo
con vescicole muco-cutanee a grappolo.
Gli HSV-1 e 2 sono responsabili dell’herpes cutaneo frequente nei bambini e nell’adulto legato a
motivi professionali come medici e infermieri con comparsa di vescicole nella parte superiore del
corpo da HSV-1 e parte inferiore da HSV-2 associate a febbre e linfoadenopatie.
Infine ricordiamo l’Herpes generalizzato tipico dei soggetti immunodepressi con deficit della
risposta immunitaria cellulo-mediata, disseminazione per via ematica del virus erpetico con
comparsa di vescicole diffuse, tracheobronchiti, polmoniti, esofagiti, coliti ed epatiti.
La Diagnosi è clinica; il virus può essere isolato dal liquido delle vescicole, secrezioni vaginali
e liquor mediante terreni di coltura, ricerca di Ag virali con tecnica immunoenzimatica ELISA,
ricerca del DNA virale a doppia elica mediante PCR, sieroconversione o > titolo Ab di almeno 4
volte tra il siero prelevato nella fase acuta e siero prelevato nella fase di convalescenza (tempi
lunghi), biopsie cutaneo-mucose con esame citologico valutando la presenza di cellule
plurinucleate e inclusioni intranucleari.
La Terapia si basa su aciclovir per uso topico o via e.v. efficace nell’adulto e neonato.
La Mononucleosi Infettiva è una malattia infettiva acuta, poco contagiosa, causata dal Virus
Epstein-Barr EBV (HSV4) diffusa in tutto il mondo, con massima incidenza nei soggetti con età di
15-25 anni nei paesi industrializzati, mentre nei paesi sottosviluppati colpisce soprattutto bambini.
La trasmissione dell’infezione avviene per via orofaringea attraverso la saliva ecco perchè è detta
anche malattia del bacio, tramite goccioline di flügge emesse con colpi di tosse o starnuti,
raramente attraverso trasfusioni di sangue per la presenza del virus nei linfociti B.
Il virus si replica attivamente nelle cellule epiteliali dell’orofaringe e nei linfociti B presenti nel
tessuto linfoide orofaringeo, provocando linfoadenopatia locale.
L’infezione dei linfociti B determina attivazione policlonale con produzione di Ab eterofili di
classe IgM capaci di agglutinare le emazie di montone e di emolizzare gli eritrociti di bue.
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L’organismo reagisce con una risposta immunitaria cellulo-mediata con intervento dei cosiddetti
linfociti T atipici o cellule di Downey (linfociti Ts attivati) capaci di distruggere i linfociti B
infettati con linfoadenomegalia generalizzata e splenomegalia. Il virus viene eliminato dopo la
guarigione attraverso la saliva per oltre 1 anno, poi resta silente per tutta la vita nei linfociti B dove
viene immortalizzato, anche se può essere riattivato nei soggetti immunodepressi e spesso è
coinvolto nella cancerogenesi del linfoma di Burkitt (variante africana) e carcinoma rinofaringeo
anaplastico (Cina) in presenza di fattori di rischio ambientali e alterazioni genetiche specifiche
(virus oncogene: il genoma virale si integra nel genoma della cellula ospite).
Dal punto di vista Clinico la mononucleosi infettiva ha un periodo di incubazione di 4-7 settimane,
in genere è asintomatica nei bambini oppure si manifesta con sintomi aspecifici cioè astenia,
cefalea, malessere, febbre alta, mialgie. I sintomi tipici della mononucleosi infettiva sono:
─ angina pseudomembranosa che si differenzia dalla tonsillite classica perchè interessa anche i
pilastri tonsillari con > volume tonsille e difficoltà durante la deglutizione, edema
dell’epiglottide con difficoltà a respirare, comparsa di petecchie soprattutto al palato duro.
─ tumefazione dei linfonodi latero-cervicali, postero-cervicali, ascellari ed epitrocleari con > volume
dei linfonodi, consistenza duro-elastica, dolenti alla palpazione con cute sovrastante sana.
─ splenomegalia nel 50% dei casi, di consistenza molle, friabile che raramente può rompersi.
─ epatomegalia e ittero si hanno nel 10% dei casi.
Raramente si ha meningite, anemia e piastrinopenia autoimmuni da auto-Ab anti eritrociti e plt.
Le Indagini di Laboratorio evidenziano leucocitosi spiccata fino a 30000-40000/mm3, > linfociti
mononucleati, linfociti atipici cioè cellule immature con nucleo voluminoso per la presenza del
virus al suo interno, per cui si parla di virociti, lieve > transaminasi per interessamento epatico,
ma per la diagnosi di certezza della mononucleosi infettiva è necessaria la sierodiagnosi mediante:
reazione di Paul-Bunnell: è una prova di emoagglutinazione che consente di valutare la
presenza degli Ab eterofili di classe IgM ma è aspecifica perchè gli Ab eterofili sono presenti
anche nei pz affetti da malattia da siero e spesso anche nei soggetti normali, per cui si ricorre alla prova di Paul-Bunnel-Davidsohn facendo adsorbire il siero del pz su rene di cavia ed emazie
di bue: il rene di cavia assorbe gli Ab eterofili presenti nella malattia da siero e nei soggetti normali
mentre non assorbe quelli della mononucleosi infettiva, il siero di bue assorbe gli Ab eterofili della
mononucleosi infettiva e della malattia da siero, e sono considerati significativi per la diagnosi titoli
Ab > 1:40 dopo adsorbimento.
tecnica immunoenzimatica ELISA e Immunofluorescenza Indiretta: utili per valutare la
presenza degli Ab specifici diretti verso gli Ag virali cioè Ab di classe IgM nella fase acuta diretti
contro l’Ag precoce EA e l’Ag capsidico virale VCA, e Ab di classe IgG diretti contro l’Ag
nucleare EBNA che compaiono dopo qualche mese l’esordio e persistono per tutta la vita.
La diagnosi differenziale è soprattutto con la sindrome mononucleosica da CMV caratterizzata da
assenza di Ab eterofili nel siero, lieve faringo-tonsillite, lieve linfoadenopatia.
La Terapia è sintomatica con antipiretici (paracetamolo), raramente si usano i corticosteroidi
(prednisone) in caso di ostruzione faringea.
Le Infezioni da Citomegalovirus CMV (HSV5) sono diffuse in tutto il mondo, soprattutto nei
paesi sottosviluppati con incidenza > al 90% della popolazione.
La trasmissione dell’infezione può avvenire durante la gravidanza per via transplacentare nel 7%
dei casi, per via verticale nel 28% dei casi durante il passaggio nel canale del parto per contatto con
le secrezioni cervico-vaginali infette, post-partum attraverso il latte materno, per via aerea con
inalazione di goccioline di saliva nei bambini, mentre nei soggetti adulti avviene per via sessuale
tipica dei soggetti omosessuali (100%), trasfusioni di sangue nei politrasfusi o trapianti d’organo.
Il virus penetra nell’organismo e si dissemina per via ematica in vari organi e tessuti con comparsa
delle tipiche cellule giganti con inclusioni nucleari e citoplasmatiche. Il virus può essere
eliminato con la saliva, secrezioni cervico-vaginali, urine, liquido seminale, latte e talora sangue, si
ha la comparsa di Ab e attivazione dell’immunità cellulo-mediata, il virus resta latente a livello dei
macrofagi delle ghiandole salivari e cellule epiteliali dei tubuli renali per mesi o anni ma può essere
riattivato provocando le reinfezioni
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Dal punto di vista Clinico l’infezione primaria in genere è asintomatica (soggetto normoergico)
oppure si manifesta con sindrome mononucleosica con febbre, faringotonsillite, linfoadenopatia
e splenomegalia più lievi rispetto alla mononucleosi infettiva e assenza degli Ab eterofili nel
siero. Nei pz immunodepressi si ha la riattivazione del virus con infezione sistemica caratterizzata
da corioretinite necrotizzante, polmonite interstiziale, epatite, colite, encefalite spesso mortali.
L’infezione congenita nel 90% dei casi è asintomatica, nel 5-15% dei casi il bambino presenterà
danni neurosensoriali soprattutto sordità grave, nel 10% dei casi si avrà morte neonatale o gravi
danni cerebrali con ritardo mentale soprattutto in caso di infezione contratta nel I trimestre.
L’Ecografia evidenzia la presenza di ritardo di crescita intrauterino o iposviluppo fetale (IUGR),
microcefalia, calcificazioni cerebrali, ventricolomegalia, iperecogenicità delle anse intestinali,
cardiomegalia, epatosplenomegalia.
L’Immunofluorescenza Diretta con Ab monoclonali evidenzia la presenza degli Ag virali, la PCR
evidenzia il DNA virale, Elisa e IFI consentono di valutare l’> titolo Ab di classe IgM di almeno 4
volte tra il siero della fase acuta e della fase di convalescenza con sieroconversione IgM-IgG.
L’isolamento del virus su colture di fibroblasti umani consente di valutare la presenza delle
cellule giganti con inclusioni nucleari e citoplasmatiche ma richiede tempi lunghi (4 sett.).
La Terapia si basa sulla somministrazione dell’aciclovir, ganciclovir (teratogeno) o foscarnet.
Non è possibile la profilassi primaria perchè il vaccino è ancora in fase sperimentale.
Infezioni in corso di Gravidanza
Le infezioni in corso di gravidanza hanno un tasso di incidenza del 4-5%, sono dovute ai
microrganismi del complesso TORCH: Toxoplasma, Other (HBV, HIV), Rosolia, CMV, HSV.
Il feto è più vulnerabile nel I trimestre di gravidanza mentre nel II e III trimestre presenta alcuni
sistemi di difesa cioè la barriera placentare che matura al 4° mese e anticorpopoiesi fetale con
produzione di Ab diretti contro virus e miceti, infatti i linfociti B producono IgM intorno alla 20^
settimana soprattutto se stimolati dal virus della rosolia e CMV, mentre gli Ab materni di classe IgG
sono trasmessi al feto mediante un trasporto attivo transplacentare con picco più alto dopo 4-5 mesi
di gravidanza. Le IgM non riescono ad attraversare la barriera placentare per cui la loro presenza
nel sangue cordale è indice sicuro di infezione congenita.
La trasmissione dell’infezione da mamma a feto può avvenire per via transplacentare durante
la gravidanza ad alto rischio di aborto se avviene nelle prime settimane o di malformazioni fetali,
per via verticale durante il passaggio nel canale del parto, post-partum attraverso il latte materno.
La Toxoplasmosi è provocata dal Toxoplasma gondii (sporozoo) parassita endocellulare
obbligato, detto toxoplasma per la tipica forma ad arco o a virgola rovesciata dei trofozoiti, è
un’infezione diffusa in tutto il mondo ma nella maggior parte dei casi è asintomatica e le forme più
importanti dal punto di vista clinico sono le infezioni congenite e negli immunodepressi.
Il Ciclo Biologico avviene in 2 ospiti: ciclo sessuato sporogonico nel gatto che è l’ospite
definitivo, ciclo asessuato schizogonico nell’uomo, mammiferi e uccelli che sono ospiti intermedi.
Il gatto si infetta quando ingerisce le cisti presenti nei muscoli striati e nel cervello del topo: la cisti
viene digerita dal succo acido gastrico liberando centinaia di tachizoiti che raggiungono le cellule
intestinali dove avviene il ciclo sessuato sporogonico con formazione del macrogamete F e
microgamete M che in seguito a fecondazione danno origine ai gameti, zigote e oocisti che in
seguito a rottura delle cellule epiteliali passano nel lume intestinale con eliminazione attraverso le
feci di ~ 10 milioni di oocisti al giorno per 3 settimane che resistono in terreni umidi e a T°C
ambiente dove possono essere ingerite da altri gatti ripetendo il ciclo.
La Trasmissione dell’infezione all’uomo può avvenire per ingestione di carne cruda o poca
cotta contenenti la cisti tissutale, per ingestione di oocisti rilasciate nell’ambiente dalle feci del
gatto soprattutto attraverso frutta e verdura, per via transplacentare con passaggio dei tachizoiti,
trasfusioni di sangue da donatore in fase acuta con parassitemia, trapianto di organi infetti.
Nello stomaco si ha la digestione della parete cistica con liberazione degli sporozoiti che invadono
le cellule epiteliali intestinali, si moltiplicano dando origine ai merozoiti che si diffondono per via
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linfoematica (parassitemia) nel sistema RE, soprattutto ai linfonodi, parassitando i macrofagi con
formazione dei tachizoiti responsabili della distruzione tissutale con focolai necrotici.
L’organismo blocca la replicazione dei trofozoiti trasformandoli in bradizoiti con incistamento del
parassita (cisti) nei muscoli striati, occhio e SNC dove resta silente per tutta la vita: tutto ciò è
favorito dalla risposta immunitaria cellulo-mediata e umorale ecco perchè nei pz immunodepressi
si ha la riattivazione del parassita e insorgenza di infezioni disseminate.
Dal punto di vista Clinico la toxoplasmosi è asintomatica nel 90% dei casi mentre nel 10% dei
casi si ha un quadro simil-mononucleosico con linfoadenopatia generalizzata con interessamento
dei linfonodi latero-cervicali, occipitali, sovraclaveari, ascellari e inguinali con lieve > di
volume dei linfonodi, febbricola, astenia, raramente epatosplenomegalia.
La Toxoplasmosi congenita secondo il dogma di Sabin non si verifica se le mamme sono
sieropositive cioè presentano Ab anti-toxoplasma già prima della gravidanza mentre il rischio è alto
nelle mamme sieronegative a stretto contatto con gatti o che si recano nelle aree endemiche
con infezione primaria in gravidanza, parassitemia elevata tale da favorire il passaggio del
parassita per via transplacentare: il rischio di trasmissione è del 25% nel I trimestre ma è ad
alto rischio di aborto e malformazioni congenite, 40% nel II trimestre a rischio di morte
intrauterina e infezioni connatali, 60% nel III trimestre con neonato apparentemente sano.
Dal punto di vista Clinico la toxoplasmosi congenita può manifestarsi alla nascita sotto 3 forme:
forma grave con lesioni cerebrali cioè idrocefalia, microcefalia, calcificazione intracranica,
encefalomielite, necrosi zonale cerebrale, lesioni oculari cioè corioretinite con grave deficit del
visus fino alla cecità.
forma benigna: corioretinite senza deficit visivo, calcificazioni cerebrali senza danno neurologico.
forma frusta asintomatica ma con test sierologici +.
La Toxoplasmosi negli immunodepressi si manifesta soprattutto con neurotoxoplasmosi cioè
meningite, meningoencefalite, encefalite con convulsioni, confusione mentale, letargia, coma,
spesso polmonite interstiziale fino alla morte.
La Diagnosi della toxoplasmosi si basa su una serie di test sierologici nella mamma e nel feto: il dye test o test del colore di Sabin-Feldman per valutare la presenza di Ab anti-toxoplasma
nel siero del pz (blu di metilene) ormai sostituito dall’Immunofluorescenza Indiretta IFI e test
ELISA utili in fase pregravidica e durante la gravidanza per la ricerca nel siero materno degli
Ab anti-toxoplasma IgM e IgG, considerando che le donne sieronegative sono a rischio di
contrarre l’infezione durante la gravidanza per cui il controllo sierologico deve essere eseguito
ogni mese fino alla fine della gravidanza. Nelle donne sieropositive è importante valutare il titolo
degli Ab di classe IgM e IgG: in caso di infezione acuta si ha la comparsa di IgM che scompaiono
nel giro di 1 anno dopo l’inizio dell’infezione, mentre le IgG compaiono 1-2 settimane dopo
l’inizio dell’infezione, raggiungono un titolo elevato in 4^-8^ settimana, poi diminuiscono ma
restano stabili per tutta la vita.
Il test IgG Avidity è un test di ultima generazione utile per stabilire se la comparsa delle IgG
antitoxoplasma si deve ad un’infezione recente in gravidanza o prima della gravidanza.
In caso di sospetto di infezione congenita possiamo ricorrere all’amniocentesi prima della 18^
settimana, prelevando il liquido amniotico e valutando mediante la PCR la presenza del DNA del
toxoplasma, mentre dopo la 20^ settimana si ricorre alla funicolocentesi prelevando il sangue fetale
dal funicolo ombelicale ed eseguendo l’IFI o la tecnica ELISA per la ricerca delle IgM anti-
toxoplasma nel sangue fetale prodotte dal sistema immunitario fetale per cui la loro presenza è
indice di infezione fetale in atto perchè rispetto alle IgG non attraversano la barriera placentare.
La Terapia della toxoplasmosi in gravidanza deve essere tempestiva e bisogna monitorare
costantemente la situazione mediante emocromo ogni 10 gg ed ecografie seriate ogni 3-4
settimane poichè in caso di malformazioni fetali è possibile ricorrere all’aborto terapeutico.
Se l’infezione viene contratta dalla gestante nelle prime settimane si somministra la spiramicina alla
dose di 3 milioni UI per 3 volte/die fine al termine della gravidanza. Alla 16^ settimana di
gestazione o dopo 4 settimane dall’inizio dell’infezione si esegue un’amniocentesi con PCR: in
caso di PCR─ si continua con spiramicina, in caso di PCR+ si ricorre alla pirimetamina alla dose di
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50 mg il primo giorno, 25 mg nei giorni successivi, associata a sulfamidici cioè sulfadiazina alla
dose di 3 gr/die in 3 somministrazioni + acido folinico, fino alla fine della gravidanza con pause di 2
settimane ogni 4 settimane di terapia, somministrando durante la pausa la spiramicina.
In caso di toxoplasmosi contratta dopo la 32^ settimana si ricorre a pirimetamina + sulfamidici fino
alla fine della gravidanza.
La Profilassi è importante nelle donne sieronegative ma a rischio di infezione: rispetto delle
norme igieniche, non consumare carne cruda, insaccati e uova crude, lavare bene frutta e
verdura, evitare il contatto con i gatti, evitare lavori di giardinaggio.
Infezioni da Rickettsie (Rickettsiosi esantematiche)
Le Rickettsie sono batteri appartenenti alla fam. Rickettsiaceae che comprende anche i generi
Coxiella, Rochalimaea ed Ehrlichia: le Rickettsie sono batteri di piccole dimensioni con Ø < 1 μm,
dotati di parete cellulare e producono endotossine che li rendono simili ai Gram─, immobili, sono
parassiti endocellulari obbligati con tropismo spiccato per le cellule endoteliali vascolari.
Tra le specie patogene abbiamo Rickettsia prowazekii, Rickettsia typhi, Rickettsia rickettsii,
Rickettsia conorii, R. akari e R. tsutsugamushi trasmesse all’uomo da vettori artropodi.
La Rickettsia prowazekii è responsabile del Tifo Esantematico o petecchiale epidemico
diffuso soprattutto in Africa e bacino del mediterraneo, trasmessa all’uomo dal pidocchio
Pediculus humanus, pubis o corporis soprattutto durante le guerre, tra individui sporchi in luoghi
affollati con diffusione della pediculosi. Il pidocchio si infetta succhiando il sangue di un soggetto
malato, le rickettsie si moltiplicano nell’intestino del pidocchio, poi il pidocchio trasmette
l’infezione in altri soggetti in seguito a puntura, depositando le feci contaminate.
Il pidocchio resta infettato per tutta la vita ma non trasmette l’infezione alla progenie per via
transovarica, per cui l’infezione si mantiene in natura solo se i pidocchi sani si infettano dall’uomo.
Le rickettsie penetrano nella cute attraverso microlesioni da grattamento e provocano una
vasculite con lesione delle cellule endoteliali dei piccoli vasi, fenomeni trombotici e necrotici,
rottura della parete vascolare e piccole emorragie.
Dal punto di vista CLINICO dopo un periodo di incubazione di 8-15 gg, il tifo esantematico
esordisce in modo brusco con febbre alta preceduta da brividi, cefalea, mialgie, malessere
generale. Dopo 4-5 gg si ha la comparsa di un esantema cutaneo maculo-papuloso, petecchiale con
lesioni emorragiche estese e confluenti che interessa prima la parte superiore del torace e la
zona ascellare, poi si estende a tutto il corpo, risparmiando quasi sempre il volto e la regione
palmo-plantare. Nei pz trattati si ha la risoluzione della febbre per lisi intorno alla 2^ settimana con
scomparsa progressiva dell’esantema e miglioramento delle condizioni generali del pz anche se le
rickettsie possono sopravvivere in uno stato latente per molti anni nei linfociti favorendo la
riaccensione dell’infezione anche dopo 4-50 anni dall’infezione primitiva, per cui si parla di
malattia Brill-Zinsser con quadro clinico lieve grazie all’immunità acquisita precedentemente.
Nei soggetti non trattati si hanno complicanze per interessamento del microcircolo di vari organi
ed apparati cioè congiuntivite con eritema e dolore orbitario, vomito alimentare o stipsi, vomito
centrale da edema cerebrale, encefaliti, splenomegalia, scompenso cardiaco, insufficienza renale
ad alto rischio di mortalità.
La Rickettsia typhi è responsabile del Tifo Murino o petecchiale endemico zoonosi trasmessa
dalla pulce murina Xenopsylla cheopis che si infetta dai topi malati e trasmette l’infezione in altri
topi (ospite naturale), sporadicamente trasmette l’infezione all’uomo in seguito a puntura
depositando le feci contaminate da rickettsia con sintomi più lievi rispetto al tifo esantematico.
La Rickettsia rickettsii è responsabile della Febbre Purpurica delle Montagne Rocciose
detta anche tifo da zecche del nuovo mondo perchè è una zoonosi trasmessa dalla zecca
Dermacentor andersoni (fam. Ixodidae) diffusa negli USA, Canada, Messico e Sud Africa.
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La zecca si infetta succhiando il sangue da animali domestici o selvatici come cani, conigli, lepri e
roditori che rappresentano l’ospite naturale, occasionalmente trasmette l’infezione all’uomo in
seguito a puntura, rilasciando a livello cutaneo il microrganismo attraverso la saliva o le feci.
La zecca resta infettante per tutta la vita e può infettare la progenie per via transovarica.
Rispetto alle altre specie patogene la Rickettsia rickettsii invade il nucleo delle cellule endoteliali e
non il citoplasma, distruggendo le cellule endoteliali rapidamente con fenomeni trombotici e
necrotici diffusi, più gravi rispetto al tifo esantematico.
Dal punto di vista Clinico dopo un periodo di incubazione di 2-6 gg la malattia esordisce in modo
brusco con febbre alta, cefalea grave, artromialgie, poi si ha la comparsa di esantema prima
maculopapuloso poi petecchiale con ecchimosi e lesioni emorragiche che interessano il tronco,
volto, arti compresa la regione palmo-plantare. Tra le complicanze abbiamo encefalite,
epatomegalia, scompenso cardiaco, insufficienza renale, CID fino alla morte.
La Rickettsia conorii è responsabile della Febbre Bottonosa o mediterranea detta anche tifo
da zecche del vecchio mondo perchè è un’antropozoonosi diffusa nel bacino del Mediterraneo
(Sicilia, Sardegna), Africa orientale e Asia, trasmessa dalla zecca Riphycephalus sanguineus che
succhia il sangue dal cane infetto e trasmette l’infezione all’uomo in seguito a puntura. La zecca
resta infettante per tutta la vita e può infettare le generazioni successive per via transovarica.
Dal punto di vista Clinico la febbre bottonosa si differenzia dalle altre rickettsiosi perchè nel punto
di inoculazione si ha la comparsa di un’escara nerastra che si stacca lasciando un’ulcera, associata
a linfoadenopatia regionale. Dopo 3-4 gg compare l’esantema maculopapuloso, petecchiale con
emorragie lenticolari che si diffonde dagli arti inferiori a tutto il corpo compresa la regione
palmo-plantare. Nel giro di 2 settimane si ha la scomparsa della febbre e dell’esantema cutaneo,
raramente si hanno complicanze emorragiche, miocardite, insufficienza renale e morte.
La Rickettsia akari è responsabile della Rickettsialpox o rickettsiosi vescicolare mentre la
Rickettsia tsutsugamushi è responsabile del Tifo delle boscaglie o febbre fluviale del
Giappone o Tsu-tsugamushi diffusa in Giappone, Cina, Tibet, India, Sud-Est asiatico che hanno
diversi aspetti in comune: la trasmissione dell’infezione si deve all’acaro che ha come ospite
naturale il topo di città e di campagna rispettivamente da cui si infetta e occasionalmente trasmette
l’infezione all’uomo mediante puntura rilasciando la saliva contaminata.
Dopo un periodo di incubazione di 1-2 settimane la malattia esordisce con febbre alta preceduta da
brividi, cefalea, artromialgie, poi si ha la comparsa di esantema maculopapuloso al tronco, arti e
volto con papula di colore rosso vivo che si trasforma in vescicola che si essicca formando
un’escara nera che si stacca in 20 gg, associata a linfoadenopatia regionale.
La DIAGNOSI delle Rickettsiosi si basa su:
Esame Obiettivo: valutando la presenza delle tipiche lesioni cutanee esantematiche.
Indagini Colturali: le rickettsie sono parassiti endocellulari obbligati per cui crescono nei terreni
cellulari nella membrana allontoidea di uova embrionate di pollo.
Sierodiagnosi: immunofluorescenza indiretta, tecnica immunoenzimatica ELISA e test di
fissazione del complemento con Ag specifici per determinare gli Ab di classe IgG e IgM.
Le rickettsie presentano un Ag solubile gruppo-specifico e un Ag insolubile tipo-specifico che
favoriscono la formazione di Ab agglutinanti, fissanti e neutralizzanti il complemento (agglutinine).
Inoltre è importante la reazione di sieroagglutinazione di Weil-Felix, antica ma ancora utile per la
diagnosi, perchè le Rickettsie presentano frazioni antigeniche in comune con i ceppi di Proteus
vulgaris OX19 e OX2 e Proteus mirabilis OXK, per cui il siero dei soggetti affetti da Rickettsiosi
è in grado di agglutinare i ceppi OX19, OX2, OXK e si parla di reazione di Weil-Felix +:
─ Rickettsia prowazekii e typhi hanno Ag in comune con il ceppo OX19.
─ R. rickettsii e conorii hanno Ag in comune con i ceppi OX19 e OX2.
─ R. tsutsugamushi ha Ag in comune con il ceppo OXK nel 50% dei casi.
─ R. akari: reazione di Weil-Felix negativa.
La Terapia è antibiotica con somministrazione delle tetracicline (doxiciclina) o cloramfenicolo.
La Profilassi si basa sulla lotta contro i vettori artropodi, protezione con stivali, derattizzazione...
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In caso di puntura di zecca non bisogna staccare la zecca o schiacciarla tra le dita per evitare la
rottura del rostro e la contaminazione della ferita ma si blocca la respirazione della zecca con alcol,
cloroformio, etere o acetone e si esegue una leggera trazione sulla testa della zecca con una pinza.
Il Genere Coxiella comprende un’unica specie cioè Coxiella burnetii responsabile della Febbre Q
dall’inglese “query” cioè interrogativo perchè inizialmente non si riuscì a determinare l’agente
eziologico della malattia. Si tratta di un batterio Gram+, endocellulare obbligato, infatti cresce in
terreni cellulari con uova embrionate di pollo ed è capace di sopravvivere per settimane
nell’ambiente rispetto alle rickettsie. La febbre Q è una zoonosi che viene trasmessa dal morso di
zecca alle pecore, capre, bovini, dove spesso l’infezione è asintomatica, occasionalmente viene
trasmessa all’uomo per inalazione di polvere contaminata soprattutto nelle stalle, mattatoi,
macellerie, laboratori di analisi, raramente per ingestione del latte poiché resistono alla
pastorizzazione, inalazione di derivati animali come pelle e lana, puntura di zecche... per cui
viene considerata una malattia professionale.
Dal punto di vista Clinico dopo un periodo di incubazione di 3 settimane la malattia esordisce in
modo brusco con sintomi simil-influenzali cioè febbre alta continuo-remittente, inappetenza,
artro-mialgie, bradicardia relativa, cefalea intensa con dolore peri o retrorbitario resistente agli
analgesici, congiuntivite eritematosa con fotofobia. Rispetto alle rickettsiosi non si hanno
esantemi cutanei e le escare, si risolve nel giro di 1-2 settimane anche se nel 15% dei casi la febbre
Q ha un andamento cronico con splenomegalia di consistenza molle, lievemente dolente,
epatomegalia con dolore all’ipocondrio dx, polmonite interstiziale con tosse secca, raramente
infezioni genito-urinarie, uveiti, meningoencefaliti, placentiti ad alto rischio di aborti o
malformazioni fetali, endocarditi con emocoltura ─ ad alto rischio di mortalità.
La Diagnosi della febbre Q si basa sulla tecnica di fissazione del C, immunofluorescenza
indiretta e test immunoenzimatico ELISA, valutando l’> titolo Ab di almeno 4 volte passando dalla
fase acuta alla fase di convalescenza (IgM). La reazione di Weil-Felix è ─.
La Terapia si basa sulla somministrazione di antibiotici ad attività endocellulare come tetraciclina
(doxiciclina), cloramfenicolo per 2 settimane soprattutto in presenza di endocardite.
I batteri del genere Rochalimaea sono stati inseriti nella fam. Bartonellaceae, genere Bartonella,
tra cui abbiamo le specie Bartonella quintana, henselae e bacilliformis.
La Bartonella quintana è responsabile della Febbre Volinica o febbre delle trincee
cosiddetta perchè era molto diffusa nei soldati durante la I e II guerra mondiale, trasmessa all’uomo
dal pidocchio Pediculus humanus che si infetta pungendo l’uomo e trasmette la malattia ad altri
individui mediante le feci, provocando delle epidemie.
Dopo un periodo di incubazione di 10-30 gg esordisce con febbre alta, ricorrente con fase di
piressia di 48 h alternata ad una fase di apiressia di 4-5 gg, cefalea, mialgie e comparsa di un
esantema maculopapuloso fugace al tronco e splenomegalia. Dopo la guarigione il microrganismo
può persistere nel sistema monocito-macrofagico per anni e determinare le recidive.
La Diagnosi si basa sulla reazione di fissazione del C mentre la reazione di Weil-Felix è ─.
La Terapia avviene con le tetracicline (doxiciclina).
La Bartonella henselae è responsabile della Malattia da Graffio di Gatto (CSD o Cat Scratch
Disease) cosiddetta perchè l’infezione viene trasmessa all’uomo dal graffio del gatto che non
presenta alcun segno di malattia. Dopo alcuni giorni dal graffio si ha la comparsa di una papula
eritematosa di 2-6 mm di Ø che evolve in vescicola e alcune volte in escara, dopo 2 settimane si ha
febbre, malessere, cefalea, anoressia e linfoadenopatia regionale con interessamento dei
linfonodi ascellari, latero-cervicali, sottomandibolari, inguinali con linfonodi duri e dolenti,
possono andare in contro a suppurazione con fuoriuscita di materiale purulento attraverso tragitti
fistolosi, fino alla guarigione con persistenza di piccole cicatrici.
La Diagnosi avviene mediante la reazione intradermica con Ag specifico osservando la comparsa
entro 72h dall’inoculazione di un infiltrato di 5 mm di Ø con eritema cutaneo, colorazione di
Warthin-Starry evidenzia il batterio nelle lesioni cutanee.
La Terapia avviene con cefalosporine, fluorochinoloni, drenaggio o asportazione dei linfonodi più
voluminosi.
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La Bartonella henselae è responsabile anche dell’Angiomatosi Bacillare nei pz immunodepressi
HIV siero+ caratterizzata da lesioni angiomatose disseminate con comparsa di noduli cutanei
rossastri, spesso circondati da squame, tendenti a sanguinare in seguito a traumi, possono
interessare anche il fegato con peliosi epatica caratterizzata da focolai di necrosi, ascessi cerebrali,
endocarditi, osteolisi dolorose… La Terapia si basa sull’eritromicina o doxiciclina.
La Bartonella bacilliformis è responsabile della febbre di Oroya trasmessa all’uomo mediante
la puntura di flebotomi, detta anche malattia di Carson, studente di Medicina che si inoculò il
materiale patologico di una verruca provocando febbre e anemia emolitica grave in seguito alla
distruzione degli eritrociti da parte del batterio con astenia, pallore, artromialgie.
La verruca peruviana si sviluppa in seguito all’invasione delle cellule endoteliali dei vasi capillari
con reazione granulomatosa in genere al volto e arti inferiori, di colore rosso vivo, pruriginosa
che tende a scomparire spontaneamente senza complicanze, raramente si hanno batteriemie con
encefalite e meningoencefalite ad alto rischio di mortalità.
La Diagnosi si basa sulla biopsia della verruca con esame cito-istologico, batterioscopico e
colturale, osservando al microscopio la presenza della bartonella.
La Terapia avviene con le tetracicline o cloramfenicolo, emotrasfusioni in caso di anemia grave.
Il genere Ehrlichia comprende 3 specie patogene per l’uomo cioè Ehrlichia chafeensis, canis e
sennetsu, responsabili dell’Ehrlichiosi trasmessa dalla puntura di zecca, molto diffusa nei boschi
in America ed Europa. Si tratta di batteri intracellulari obbligati con alta affinità per le cellule
ematopoietiche cioè granulociti, linfociti, monociti, piastrine, per cui si parla di ehrlichiosi umana
granulocitaria con iperplasia midollare diffusa o ipoplasia ecco perchè tra le manifestazioni
tipiche abbiamo pancitopenia cioè anemia, leucopenia e piastrinopenia a rischio di complicanze
trombotico-emorragiche sistemiche fino alla CID e morte del pz.
La Diagnosi si basa sull’immunofluorescenza indiretta, mentre la reazione di Weil-Felix è ─.
La Terapia si basa sulle tetracicline mentre la Profilassi consiste nell’evitare la puntura della
zecca proteggendosi con stivali alti, maglie e pantaloni lunghi e colorati.
Infezioni del SNC
Il SNC normalmente è protetto da eventi traumatici, infiammatori e tossici (farmaci) dalla scatola
cranica, liquido cefalo-rachidiano, barriera emato-encefalica (BEE) che separa il SNC dalla
circolazione sistemica e assenza del sistema di drenaggio linfatico.
Inoltre il tessuto cerebrale è circondato dalle meningi cioè pia madre e aracnoide che costituiscono
le leptomeningi e la dura madre (pachimeninge): tra aracnoide e pia madre c’è lo spazio
subaracnoideo che contiene il liquor, prodotto dai plessi corioidei fino a 500 ml/die e riassorbito nel
midollo spinale soprattutto a livello della cauda equina.
Le Meningiti sono malattie infiammatorie delle meningi e spazio subaracnoideo distinte dal punto
di vista clinico in meningiti acute, subacute o croniche, dal punto di vista eziologico in meningiti da
batteri, virus, miceti, raramente da protozoi (toxoplasma, malaria) ed elminti oppure si tratta di
forme asettiche da farmaci e varie sostanze chimiche.
Inoltre l’analisi del liquor prelevato mediante rachicentesi o puntura lombare, permette di fare
una distinzione tra meningiti a liquor limpido e torbido.
In condizioni normali il liquor è chiaro, incolore, ad acqua di roccia che zampilla, con contenuto
cellulare pari a 0,5/mm3 soprattutto linfociti, [ ] proteine pari a 15-45 mg/dl cioè > a quella
plasmatica poiché sono proteine con PM di 60000 kD che non riescono a superare la BEE, [ ]
glucosio pari a 40-80 mg/dl cioè < a quella plasmatica e diminuisce ulteriormente in caso di
meningite in seguito alla fermentazione degli zuccheri da parte dei batteri e alterazioni della BEE
con deficit dei sistemi di trasporto del glucosio negli spazi subaracnoidei.
meningiti a liquor limpido: da virus, micobatteri, brucelle, leptospirosi, Treponema pallidum,
miceti, caratterizzate da liquor limpido, trasparente o lievemente opaco, iperteso, con lieve
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pleiocitosi neutrofila ≤ 500 mm3, iperprotidorrachia, [glucosio] normale o lievemente <. In caso
di meningite virale si ha pleiocitosi neutrofila nelle prime 24h, poi linfocitaria.
meningiti a liquor torbido: meningiti batteriche acute con liquor grigiastro o giallo-verdastro,
iperteso, pleiocitosi con leucociti > 1000/mm3, soprattutto PMN, iperprotidorrachia (> proteine:
albumina plasmatica, γ-globuline), ipoglicorrachia (< glucosio).
Le Meningiti Batteriche Acute nell’80% dei casi sono dovute a Neisseria meningitidis o
Meningococco, poi a Streptococcus pneumoniae o Pneumococco, Haemophilus influenzae sierotipo
b (Hib), Streptococcus pyogenes di gruppo B, Enterobacteriaceae, Staphylococcus aureus ed
epidermidis, Pseudomonas aeruginosa, Listeria monocytogenes:
neonati con età ≤ 2 mesi: sono frequenti le meningiti da Enterobacteriaceae (E. coli) e da
Streptococco di gruppo B (agalactiae) responsabili di casi sporadici o piccole epidemie ospedaliere.
bambini con età tra 6 mesi e 2 anni: in passato erano frequenti le meningiti da H. influenzae, oggi
rare grazie alla vaccinazione.
bambini con età > 6 anni: meningiti da Meningococco e Pneumococco.
soggetti adulti con età ≤ 60 anni: meningiti da Pneumococco spesso secondarie a infezioni
respiratorie cioè polmonite, otite media, sinusite, mastoidite, mentre lo Streptococco del gruppo B è
responsabile di infezioni opportunistiche negli immunodepressi. Le meningiti da Staphylococcus
aureus ed epidermidis sono rare, favorite da traumi aperti della testa, manovre invasive
neurochirurgiche (rachicentesi), endocarditi con sepsi.
soggetti anziani: meningiti da Pneumococco ed Enterobacteriaceae favorite da interventi di
neurochirurgia.
Lo Pseudomonas aeruginosa provoca meningiti negli immunodepressi, Listeria monocytogenes
raramente provoca meningiti epidemiche di origine alimentare da latte e derivati.
I batteri nella maggior parte dei casi raggiungono le meningi per via ematica, altre volte per
contiguità a partire da un focolaio flogistico adiacente come in caso di otiti, sinusiti e mastoiditi
croniche favorito dai rapporti anatomici tra fosse craniche, seni paranasali, orecchie..., oppure
direttamente dall’esterno in caso di trauma cranico, manovre iatrogene di neurochirurgia,
puntura lombare e anestesia epidurale.
La Neisseria meningitidis o Meningococco è la principale causa di meningite (80%): è un
batterio Gram─, immobile, capsulato, asporigeno, le strutture Ag sono rappresentate dai
polisaccaridi capsulari che consentono di distinguere i sierotipi A, B, C, X, Y, Z e W135: i sierotipi
B e C sono frequenti in Europa, il sierotipo C è responsabile di forme severe spesso mortali.
Le meningiti meningococciche sono diffuse in tutto il mondo: in Africa provocano delle vere e
proprie epidemie, mentre in Europa e altri paesi occidentali provoca casi isolati o piccole epidemie
nelle comunità cioè asili, scuole, caserme, carceri, case di riposo per anziani, soprattutto in inverno.
L’habitat naturale del meningococco è il rinofaringe, per cui la trasmissione dell’infezione
avviene per inalazione di goccioline di muco emesse da soggetti infetti in seguito a starnuti o colpi
di tosse, considerando che nel 5-10% dei casi si tratta di soggetti portatori sani, asintomatici,
dove il meningococco viene tenuto sottocontrollo dalla flora batterica residente.
Dal punto di vista CLINICO le meningiti batteriche acute nell’85% dei casi esordiscono con sintomi
generici simil influenzali che rendono difficile la diagnosi precoce della malattia, poi si ha la
sindrome meningea caratterizzata da:
ipertensione endocranica da flogosi con edema del tessuto cerebrale, irritazione dei plessi
corioidei con iperproduzione del liquor e > P liquorale con cefalea intensa, esacerbata dai
movimenti, luce e rumori, vomito a getto indipendente dai pasti, non preceduto da nausea (vomito
centrale), bradicardia, papilla da stasi per schiacciamento della guaina che riveste il nervo ottico.
disturbi psico-motori: confusione mentale, convulsioni generalizzate, crisi epilettiche, tremori,
paralisi fino al coma, raramente preceduto da agitazione psicomotoria, delirio, allucinazioni.
rigidità nucale da contratture dei muscoli paravertebrali con impossibilità a flettere la testa.
All’esame obiettivo si possono osservare le tipiche posizioni assunte dal pz a scopo antalgico:
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─ decubito a cane di fucile: il pz è immobile in decubito laterale con iperestensione di tronco e
testa (opistotono totale) per contrattura dei muscoli vertebrali con dorso curvato in avanti,
muscoli addominali contratti con addome a barca.
─ segno di Kernig: se mediante movimenti passivi cerchiamo di mettere il pz in posizione seduta si
ha l’iperflessione degli arti inferiori.
─ segno di Brudzinski: la flessione della testa a pz supino determina la flessione delle cosce sul
tronco e delle gambe sulle cosce.
Nei neonati alcuni dei sintomi classici della meningite non sono molto evidenti, come la rigidità
nucale, mentre il bambino piange e si lamenta continuamente, è irritato, rifiuta qualsiasi
contatto con altre persone, è apatico con sguardo fisso, non reagisce agli stimoli, presenta
letargia con sonno profondo ed è difficile svegliarli, mentre un importante segno d’allarme è
l’inarcamento verso l’esterno o irrigidimento della fontanella anteriore (bregmatica) che in
condizioni normali è costituita da tessuto connettivo morbido e tende a inarcarsi verso l’interno.
Tra le complicanze della meningite da meningococco abbiamo la sepsi meningococcica o
meningite fulminante ad alto rischio di mortalità (50%) con febbre irregolare, letargia,
perdita di coscienza, ipotensione con mani e piedi freddi, tachicardia, oligo-anuria, esantema
maculo-papuloso di origine settica con petecchie emorragiche diffuse, spesso confluenti che non
regrediscono con la digitopressione, fino alla CID con manifestazioni trombo-emorragiche
sistemiche, lesioni emorragiche delle ghiandole surrenali (sindrome di Waterhouse-Friderichsen)
letali in poco tempo nella maggior parte dei pz.
La DIAGNOSI delle meningiti si basa su:
Esame chimico-fisico del Liquor prelevato con rachicentesi o puntura lombare a livello della
L4-L5/L3-L4: liquor torbido, purulento, iperteso (zampilla), pleiocitosi neutrofila > 1000/mm3,
iperprotidorrachia fino a 500 mg/dl, ipoglicorrachia < 40 mg/dl.
Esame microscopico del liquor colorato con Gram (blu di metilene): nel 75% dei casi dimostra
la presenza dei meningococchi intra o extracellulari (fagociti).
Esame colturale del liquor ed espettorato: difficile perchè il meningococco è molto esigente e
perchè nel materiale rinofaringeo c’è la flora batterica residente, per cui si usano terreni elettivi
prima liquidi come il terreno di Thayer Martin o VCN costituito da brodo siero, lisato di eritrociti,
Hb, lievito e 3 antibiotici cioè vancomicina contro i Gram+, colistina contro i Gram
─, nistatina
contro i funghi e se il liquido diventa torbido si travasa in terreni solidi come l’agar siero o agar
cervello-cuore anche se si ha la formazione di piccole colonie.
Emocoltura: utile se l’esame del liquor è negativo.
PCR: consente la diagnosi tempestiva dell’infezione.
Esame del fondo oculare, TAC, RMN: papilla da stasi.
Sierodiagnosi: poco usata perchè richiede tempi lunghi mentre la diagnosi deve essere tempestiva.
La Prognosi è infausta in caso di meningite non trattata.
La TERAPIA deve essere tempestiva con antibiotici per via e.v., monitorando il pz in unità di
terapia intensiva, soprattutto in caso di sepsi meningococcica:
─ meningite da meningococco: penicillina G o cefalosporine (ceftriassone).
─ meningite da pneumococco: vancomicina + cefalosporine di 3^ generazione.
─ meningite da H. influenzae: ampicillina, cefalosporine di 3^ generazione.
La Profilassi si basa sulla somministrazione di antibiotici in tutti i soggetti che sono stati in stretto
contatto con il pz affetto da meningite, per impedire la diffusione dell’infezione, soprattutto nelle
comunità. Deve essere tempestiva senza aspettare l’esito delle indagini di laboratorio e si basa sulla
somministrazione di rifampicina o ciprofloxacina e ceftriaxone, isolamento del soggetto per 48h.
La Prevenzione della meningite meningococcica si basa sull’uso dei vaccini distinti in:
− vaccino polisaccaridico: fornisce una protezione non duratura contro i sierotipi A, C, Y, W135,
indicato negli adulti, soprattutto nei militari e coloro che si recano nei paesi ad alto rischio.
− vaccino coniugato: fornisce una protezione duratura contro il sierotipo C, somministrato nei
bambini tra il 3° e 24° mese di vita, adolescenti e adulti, efficace nel 100% dei casi.
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La profilassi della meningite pneumococcica avviene con il vaccino polisaccaridico PPV
raccomandato negli immunodepressi o il vaccino coniugato PCV7 (diretto contro 7 sierotipi)
indicato nei bambini con meno di 2 anni di età. La profilassi della meningite da H. influenzae
sierotipo b avviene con il vaccino coniugato somministrato in 3 dosi cioè a 3, 5 e 11 mesi.
Le Meningiti a liquor limpido sono caratterizzate da liquor limpido, iperteso con pleiocitosi
linfocitaria da 50 a 500/mm3, iperprotidorrachia fino a 100-200 mg/dl, ipoglicorrachia spiccata
< 40 mg/dl. Dal punto di vista eziologico abbiamo:
meningiti batteriche subacute o croniche da Micobacterium tuberculosis nei pz con AIDS,
neurosifilide o sifilide terziaria o meningite luetica da Treponema pallidum, neuroborreliosi o
malattia di Lyme da Borrelia burgdorferi, neurobrucellosi da Brucella, Leptospirosi.
meningiti virali: nell’80% dei casi dovute a Enterovirus soprattutto Echovirus e Coxsackievirus,
raramente a Paramyxovirus (parotite), Virus herpes simplex 1 e 2, VZV, EBV, CMV, sono a liquor
limpido, iperteso, pleiocitosi neutrofila nelle prime 48h poi linfocitaria, lieve > proteine,
glucosio normale o lievemente <, caratterizzate da sintomi più lievi rispetto alla meningite
batterica che regrediscono in 15-20 gg senza reliquati, raramente si ha l’evoluzione verso
l’encefalite a prognosi sfavorevole.
meningiti da funghi o miceti soprattutto da Cryptococcus neoformans e Candida tipiche dei
soggetti immunodepressi affetti da AIDS, leucemie, linfomi, diabete, terapia
immunosoppressiva, tossicodipendenti e bambini prematuri, sono meningiti a liquor limpido
con pleiocitosi moderata linfomonocitaria, iperprotidorrachia, ipoglicorrachia.
La Terapia si basa su antibiotici, antivirali (aciclovir, ganciclovir, foscarnet), antifungini (amfotericina B).
Le Encefaliti sono processi infiammatori acuti, subacuti o cronici del parenchima cerebrale
distinte in poliencefalite se interessa la sostanza grigia, leucoencefalite se interessa la sostanza
bianca, panencefalite se interessa tutto il cervello. Spesso le encefaliti sono associate alle meningiti
e si parla di meningoencefaliti. Dal punto di vista eziologico le encefaliti più frequenti sono quelle
virali soprattutto da Virus herpes simplex 1-2, poi da CMV congenita o acquisita nei pz con AIDS,
Leucoencefalite Multifocale Progressiva LMP da Poliomavirus JC o SV40 in corso di AIDS, EBV,
virus influenzali, virus parotite, Rhabdovirus (virus della rabbia). Grazie alla vaccinazioni
pediatriche sono drasticamente < le encefaliti da Poliovirus (enterovirus), panencefalite sclerosante
subacuta da virus del morbillo (PESS) e panencefalite progressiva della rosolia (PPR).
Le Encefaliti da Virus Herpes Simplex sono le forme più frequenti spesso localizzate al lobo
temporale con necrosi emorragica, allucinazioni olfattorie e gustative, crisi epilettiche focali,
alterazioni della personalità, comportamento psicotico, associate a febbre, cefalea, astenia,
mialgie, alterazioni dello stato di coscienza, convulsioni, confusione mentale, stato stuporoso e
coma, emiparesi, movimenti involontari, paralisi oculari e facciali.
La Diagnosi di encefalite herpetica avviene mediante:
Esame del Liquor: P liquorale alta, lieve pleiocitosi linfocitaria, > proteine, glucosio normale.
Biopsia del tessuto cerebrale sottoguida TAC con esame colturale e Immunofluorescenza o
tecnica di ibridazione con sonde a DNA per la ricerca dei corpi inclusi intranucleari.
PCR: ricerca del DNA virale nel liquor.
EEG: attività ad onde lente, a punta in sede temporale.
TAC, RMN: focolaio necrotico-emorragico soprattutto in sede temporale.
La Terapia si basa sull’acyclovir per via e.v. + vidarabina nelle forme più resistenti, farmaci
antiepilettici (barbiturici), diuretici tiazidici, mannitolo o corticosteroidi per < l’edema cerebrale,
ventilazione assistita nei pz in coma.
L’Ascesso Cerebrale è un processo suppurativo focale del parenchima cerebrale nel 99% dei
casi dovuto a batteri, tra cui Staphylococchi, Streptococchi anaerobi, Bacteroides, Enterobatteri,
raramente Pneumococchi, Meningococchi, Haemophilus influenzae e Candida. Nei pz affetti da
AIDS può essere dovuto a Toxoplasma gondii, Cryptosporidium parvum, Mycobacterium.
Nel 40% dei casi l’ascesso cerebrale è favorito dalla presenza di focolai flogistici adiacenti come
otiti medie, mastoiditi, sinusiti che si diffondono per contiguità al parenchima cerebrale, nel 10%
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è favorito da traumi cranici penetranti o infezioni chirurgiche oppure per via ematogena in caso
di fenomeni tromboembolici settici, endocarditi, ascessi polmonari, empiema pleurico...
Dal punto di vista Clinico l’ascesso cerebrale si manifesta con cefalea, sonnolenza, confusione,
crisi epilettiche, disturbi focali sensitivi o motori, alterazioni del linguaggio, ipertensione
endocranica con sintomi di meningismo e febbre, variabili a seconda della sede colpita.
La TAC e RMN con m.d.c. evidenziano un’area ipodensa circondata da edema che non assume il
m.d.c. e la capsula. Si osservano anche i seni paranasali e la mastoide.
La Terapia è antibiotica con penicillina G o cefalosporine con eventuale aspirazione chirurgica del
pus che viene sottoposto ad esame colturale per la diagnosi eziologica.
Malattia di Lyme, Leptospirosi
La Malattia di Lyme è una zoonosi trasmessa all’uomo dalle zecche (Ixodes), causata da Borrelia
burgdorferi (fam. Treponemataceae) spirocheta individuata per la prima volta in USA nella contea
di Old Lyme nel 1975, mentre in Italia sono stati segnalati diversi casi in Liguria e Friuli Venezia
Giulia, soprattutto nei cacciatori, campeggiatori, abitanti dei boschi.
La malattia di Lyme è caratterizzata da 3 stadi evolutivi in assenza di terapia:
I stadio: nella sede di penetrazione delle borrelia si ha la comparsa del tipico eritema cronico
migrante cioè un esantema maculo-papuloso a livello della coscia, inguine o ascelle che raggiunge
un Ø di 20-30 cm con bordi rilevati eritematosi, area centrale pallida con cute dura, calda,
lievemente dolente, scompare dopo ~ 4 settimane oppure persistono delle piccole chiazze rosse di
2-3 cm di Ø. Spesso si ha linfoadenopatia regionale e sintomi generali cioè malessere, astenia,
brividi, febbre, cefalea, artromialgie che si risolvono nel giro di qualche settimana.
II stadio: dopo alcune settimane o mesi dall’esordio si ha un’infezione disseminata con turbe del
ritmo e conduzione A-V, miocardite, pericardite acuta, dolori muscolari e articolari da artrite
monoarticolare migrante delle grandi articolazioni (ginocchio, anca, spalla), meningite a liquor
limpido con cefalea, rigidità nucale, nausea, vomito, malessere, pleiocitosi linfocitaria,
iperprotidorrachia e glicorrachia normale, paralisi del nervo facciale, neuropatia periferica.
III stadio: nel 60% dei soggetti non trattati, dopo alcuni mesi o anni dall’esordio, si ha la
comparsa di poliartriti croniche migranti con lesioni erosive delle piccole e grandi articolazioni
ed encefalomielite cronica demielinizzante progressiva con turbe della memoria, comportamento
e del ciclo sonno-veglia con astenia intensa, cute scleroatrofica, violacea (acrodermatite cronica).
La Diagnosi si basa sulla tecnica ELISA per la ricerca nel siero e liquor di Ab specifici
antiborrelia di classe IgM in fase acuta e IgG in fase tardiva confermati con Western-Blot,
anche se la PCR è più utile per la diagnosi precoce (DNA). Inoltre esame del liquor, TC, RMN,
biopsia lesioni cutanee con esame citoistologico, Rx articolare e biopsia membrana sinoviale.
La Terapia deve essere tempestiva con doxiciclina, amoxicillina nelle fasi iniziali, penicillina G o
cefalosporine di 3^ generazione (ceftriazone) nelle fasi avanzate.
La Leptospirosi è una antropozoonosi causata da Leptospira interrogans icterohaemorrhagiae,
pomona o bataviae cioè spirochete Gram─ con forma a bastoncino stretto e lungo, avvolto a spirale,
mobili, aerobi stretti. Il serbatoio dell’infezione è rappresentato dal ratto per Leptospira
icterohaemorrhagiae, maiale per L. pomona, topo delle risaie per L. bataviae oppure cani, gatti,
bovini, equini dove le leptospire si riproducono a livello dei tubuli renali e sono eliminate con le
urine in quantità notevoli, inquinando il terreno, acque stagnanti, risaie, sopravvivendo a 25°C, in
aerobiosi. La trasmissione dell’infezione all’uomo avviene accidentalmente per contatto tra la
cute e acqua contaminata come nei pescatori che restano a lungo a piedi nudi in acqua.
Dal punto di vista Clinico dopo un periodo di incubazione di 1-2 settimane si ha la fase setticemica
dovuta all’invasione ematica da parte delle leptospire con febbre alta preceduta da brividi,
cefalea, mialgie intense e diffuse, artralgie, anoressia, nausea, vomito, iperemia congiuntivale.
La Leptospira icterohaemorrhagiae provoca la leptospirosi ittero-emorragica o morbo di
Weil con interessamento di fegato e reni cioè epatomegalia, ittero a iperbilirubinemia diretta,
lieve > transaminasi e fosfatasi alcalina, oligoanuria, proteinuria, ematuria, > progressivo
dell’azotemia e creatininemia. Nei casi favorevoli si ha la risoluzione della febbre per lisi nel giro
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di 2-3 settimane, regressione dell’ittero e dell’insufficienza renale, mentre nei casi più gravi si ha
insufficienza epatica con ittero ingravescente, turbe della coagulazione, disturbi del sensorio fino al
coma, insufficienza renale con anuria, emorragie cutanee petecchiali, congiuntivali, epistassi,
enterorragie, insufficienza respiratoria, turbe del ritmo e conduzione, arresto cardiaco e morte.
La Leptospira pomona provoca una meningite asettica a liquor limpido con cefalea, vomito,
rigidità nucale, pleiocitosi linfocitaria, iperprotidorrachia, glicorrachia normale.
La Diagnosi nella fase acuta si basa sull’emocoltura e test ELISA con comparsa di IgM mentre
dopo 2-3 settimane sono utili l’urinocoltura, esame colturale del liquor.
La Terapia avviene mediante la doxiciclina, penicillina G, ampicillina, amoxicillina.
Tetano e Botulismo
Il Tetano è una grave tossinfezione dovuta al Clostridium tetani (fam. Bacillaceae) bacillo
Gram+, anaerobio obbligato, mobile per la presenza di numerose ciglia, privo di capsula, presenta
una spora polare che gli conferisce una forma a bacchetta di tamburo o racchetta: le spore sono
molto resistenti agli agenti chimico-fisici e sono distrutte solo ad una T ≥ 120°C.
Il tetano è diffuso nelle zone rurali, paesi in via di sviluppo dove la popolazione non è sottoposta a
vaccinazione con mortalità pari al 30-40% dei casi, mentre nei paesi occidentali la malattia si
manifesta nei soggetti non ancora vaccinati (immigrati), soggetti anziani con deficit delle difese
immunitarie, tossicodipendenti per inoculazione di sostanze usate per il taglio dell’eroina (chinina).
Il serbatoio naturale del Clostridium tetani è rappresentato dagli animali soprattutto cavalli e
pecore, che eliminano le spore attraverso le feci contaminando i terreni, dove resistono in
condizioni di anaerobiosi per molti anni, per cui si tratta di un batterio tellurico che penetra
nell’organismo attraverso ferite lacero-contuse da arma da fuoco con necrosi tessutale e
anaerobiosi, puntura di aghi, spilli e chiodi, ustioni, infezione della ferita ombelicale in caso di
aborti clandestini o parto non assistito con tetano neonatale, infezione del canale del parto con
tetano puerperale, tetano postoperatorio per infezione della cute nella sede di incisione o sutura
eseguita con cutgut non sterile.
Le spore penetrano nell’organismo e si trasformano nelle forme vegetative che elaborano la tossina
tetanica o tetanospasmina, potente neurotossina dotata di tropismo spiccato le placche
neuromuscolari e SNC a livello dei nuclei del bulbo e del ponte dove si lega in modo irreversibile
ai gangliosidi di membrana delle sinapsi nervose scatenando la sintomatologia.
Dal punto di vista Clinico dopo un periodo di incubazione di 3-15 gg la malattia esordisce con il
trisma facciale con ipertonia dei muscoli masseteri, rigidità della mandibola, incapacità di
aprire la bocca, retrazione delle commessure labiali, contrazioni dei muscoli orbicolari
dell’occhio e frontali con tipica espressione con sorriso fisso e sopracciglia sollevate (riso
sardonico). Poi si ha l’interessamento dei muscoli faringei con disfagia, del collo con rigidità
nucale, muscoli dorsali, paravertebrali con inarcamento del tronco e iperestensione degli arti
(opistotono), muscoli addominali con addome a barca, muscoli laringei con crisi di asfissia,
muscoli toracici con arresto respiratorio, muscoli vescicali con ritenzione urinaria. La crisi
spastica può durare diversi minuti, associata a dolore, cianosi, febbre alta fino a 40-41°C,
sudorazione profonda, polso piccolo e frequente, riflessi osteotendinei accentuati.
Il pz va in contro a morte per insufficienza respiratoria, arresto cardiaco, polmoniti ab ingestis.
La guarigione non lascia nessuna immunità.
La Diagnosi si basa sull’anamnesi valutando la modalità di contagio e sull’esame obiettivo
valutando il quadro clinico tipico del tetano.
La Profilassi si basa sul vaccino combinato antidifterite, antitetanico, antipertosse DTP che in
Italia è obbligatorio dal 1968 nell’infanzia, costituito dalla anatossina inattivata somministrata in 4
dosi: al 3° mese, 4°-5° mese, 10°-12° mese, 6° anno. Il vaccino è obbligatorio in alcune categorie a
rischio cioè agricoltori, allevatori di bestiame, militari, eseguendo richiami ogni 5 anni, con
protezione per 8-10 anni.
In caso di lesione sospetta i soggetti che hanno fatto il richiamo da più di 5 anni hanno bisogno di
un’altro richiamo, i soggetti che non sono stati mai vaccinati sono sottoposti a immunoprofilassi
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passiva con Ig umane antitetaniche per via i.m. in 2 dosi di 3000-6000 UI per neutralizzare la
tossina tetanica libera poiché il legame tossina-SNC è irreversibile per cui la tossina può essere
neutralizzata solo prima che avvenga tale legame + 1^ dose del vaccino antitetanico, mentre la 2^ e
3^ dose saranno somministrate ad un mese di distanza tra loro.
La Terapia deve essere tempestiva e si basa su:
─ toilette chirurgica per eliminare il focolaio di infezione in caso di ferita lacero-contusa,
rimuovendo corpi estranei e materiale necrotico, disinfezione con agenti ossidanti (acqua
ossigenata), somministrazione di penicillina G o tetracicline per via e.v. per eradicare le forme
vegetative responsabili della produzione della tossina.
─ garantire la pervietà delle vie aeree: il pz viene ricoverato in unità di terapia intensiva e
rianimazione con intubazione endotracheale con ventilazione assistita, aspirando le secrezioni
tracheobronchiali, terapia antibiotica per evitare l’insorgenza di infezioni opportunistiche e terapia
eparinica anticoagulante per la profilassi tromboembolica.
─ terapia degli spasmi muscolari: diazepam.
─ alimentazione per via parenterale totale fino a 2000 calorie/die, antipiretici in presenza di febbre
alta, clisteri in caso di stipsi, cateterismo vescicale in caso di ritenzione urinaria.
Il Botulismo è una grave intossicazione alimentare dovuta al Clostridium botulinum, batterio
Gram+, anaerobio, mobile, sporigeno, a forma di bastoncello, elabora la più potente esotossina
infatti è sufficiente una piccola quantità di tossina per provocare la malattia con dose letale < 1 μg
distinta dal punto di vista Ag in 7 sierotipi di cui i sierotipi A, B, E ed F sono patogeni nell’uomo,
gli altri negli animali (bovini, equini, ovini, suini). L’esotossina resiste in condizioni di anaerobiosi,
pH alcalino e viene disattivata a 100°C dopo 10 min.
Dal punto di vista Epidemiologico possiamo fare una distinzione tra:
─ botulismo alimentare: si manifesta in seguito all’ingestione di alimenti contaminati dalle spore
o contenenti la tossina preformata, in particolare conserve di frutta o verdura, salsiccia
conservata sott’olio (botulus = salsiccia), carne e pesce in scatola. Nel 90% dei casi si tratta di
alimenti preparati in casa e conservati male, non riscaldati prima della conservazione e non cotti
prima del consumo. In genere il cibo non viene deteriorato ma si osserva il rigonfiamento delle
scatole metalliche provocato dalla formazione di gas.
─ botulismo neonatale: tipico dei bambini con età < 6-12 mesi dovuta all’ingestione delle spore
attraverso il miele e allo sviluppo incompleto della flora intestinale.
─ botulismo da ferite lacero-contuse con penetrazione delle spore presenti nel terreno.
Dal punto di vista Patogenetico la tossina botulinica viene assorbita a livello gastro-intestinale, si
diffonde per via ematica bloccando la trasmissione neuromuscolare nelle fibre nervose colinergiche,
inibendo il rilascio dell’acetilcolina a livello presinaptico scatenando la sintomatologia.
Dal punto di vista Clinico dopo un periodo di incubazione di 12-36 h l’intossicazione alimentare
esordisce paradossalmente senza vomito e diarrea, tipici sistemi di difesa per eliminare gli
alimenti contaminati, ma si ha l’interessamento dei nervi cranici con paralisi dei nervi oculomotori
con sindrome oftalmoplegica caratterizzata da visione binoculare, offuscata, diplopia, strabismo
divergente, ptosi palpebrale, paralisi dell’accomodazione, dilatazione delle pupille (midriasi),
non reagenti alla luce. Poi si hanno paralisi del nervo glossofaringeo, ipoglosso e facciale con
disturbi della deglutizione, disfagia, disfonia, paralisi della lingua, fino a paralisi dei muscoli
respiratori con insufficienza respiratoria, paralisi dei muscoli degli arti, paralisi dei muscoli
esofagei, intestinali e vescicali con stipsi, meteorismo, ileo paralitico e ritenzione urinaria,
deficit della secrezione della saliva e lacrime cioè xerostomia e xeroftalmia con mucosa orale e
congiuntivale secca e arrossata.
Il pz muore per insufficienza respiratoria, arresto cardiaco, infezioni polmonari o urinarie.
La Diagnosi è clinica nelle fasi conclamate della malattia, mentre la diagnosi di conferma avviene
mediante l’isolamento della tossina dal cibo contaminato.
La Terapia deve essere tempestiva per neutralizzare la tossina libera circolante con siero
antitossico trivalente ABE di cavallo e si somministrano le Ig specifiche in base al sierotipo.
E’ importante la profilassi nei soggetti che hanno ingerito gli stessi alimenti.
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La Profilassi si basa sulla corretta conservazione degli alimenti, riscaldamento a 120°C prima
dell’inscatolamento, bollitura per 20 min. prima del consumo.
Sepsi e Shock Settico
La Sepsi o Setticemia è una sindrome sistemica dovuta alla diffusione di batteri e tossine nel
circolo ematico, mentre la batteriemia indica la presenza di batteri nel sangue con emocolture +.
Si parla di shock settico in caso di sepsi con deficit circolatorio severo, ipotensione arteriosa
marcata e refrattaria alla terapia con ipoperfusione severa di organi e tessuti fino alla sindrome da
insufficienza multiorgano MOF (multiple organ failure).
Dal punto di vista EZIOLOGICO le sepsi più importanti e frequenti sono quelle di natura batterica
da batteri Gram¯ come E. coli, Klebsiella, Salmonella, Enterobacter, Serratia, Proteus,
Pseudomonas, Bacteroides, Neisseria meningitidis, batteri Gram+ come Streptococcus pneumoniae,
Streptococcus β-emolitico di gruppo A, Staphylococcus aureus, Haemophilus influenzae.
Tra i Fattori di Rischio abbiamo l’uso scorretto e indiscriminato di antibiotici ad ampio spettro
d’azione, mancato rispetto delle norme di asepsi come in caso di uso di cateteri urinari e
vascolari non sterili a lungo termine, uso a scopo diagnostico o terapeutico di strumenti
invasivi non sterili, immunodepressione da diabete mellito scompensato, AIDS, terapia
immunosoppressiva e corticosteroidea protratta nel tempo, pz politraumatizzati, ustioni gravi
ed estese, perforazione gastro-intestinale con peritonite e addome acuto in caso di ulcera
peptica, occlusione intestinale, infarto intestinale, appendicite acuta, colecistite acuta,
diverticolite acuta, deiscenza anastomosi gastro-intestinali, pancreatite acuta necrotico
emorragica, infezioni vie urinarie, endocarditi, trapianti d’organo.
La sepsi e lo shock settico sono contratte in ambiente ospedaliero nei 2/3 dei casi, rappresentando la
principale causa di morte nei reparti di terapia intensiva, dal 40 al 90% dei casi.
I batteri attraverso il sangue si diffondono nell’organismo rilasciando tossine (LPS) ed enzimi che
insieme alle citochine proinfiammatorie (TNFα, IL-1, 2, 6, 8), radicali liberi dell’O2 ed enzimi
proteolitici rilasciati dai fagociti mononucleati e PMN, e ai metaboliti derivanti dal
metabolismo dell’acido arachidonico (PG, LT, TX), vanno a provocare delle gravi alterazioni della
microcircolazione con < resistente vascolari periferiche, ipotonia vascolare, ipotensione
arteriosa con ipoperfusione tissutale severa e ipossia degli organi vitali cioè cuore, polmoni,
cervello, reni, a cui si associano le alterazioni della coagulazione e fibrinolisi con aggregazione
piastrinica, formazione di trombi fino alla CID.
Inoltre a livello della macrocircolazione si ha prima la fase iperdinamica o calda (reversibile) con
cute calda e arrossata da vasodilatazione, < resistenze vascolari periferiche e stravaso di
liquidi negli spazi perivascolari, ipotensione arteriosa nonostante la portata cardiaca sia elevata.
Nel giro di 24 h si passa alla fase ipodinamica o fredda (irreversibile) con cute fredda e pallida,
insufficienza miocardica severa, < contrattilità miocardica, < ritorno sangue venoso al cuore
da paralisi vascolare e sequestro di sangue a livello splancnico con < portata cardiaca, ipovolemia,
ipotensione arteriosa refrattaria alla terapia, ipoperfusione tessutale e acidosi metabolica.
Dal punto di vista CLINICO in genere la sepsi esordisce in maniera brusca con febbre alta
preceduta da brividi, tachicardia con frequenza cardiaca > 90 batt/min, frequenza respiratoria
> 20 atti/min cioè iperventilazione o tachipnea per compensare l’alcalosi respiratoria cioè
l’ipossiemia, pallore, cianosi, cute fredda e sudata, fino allo shock settico con ipotensione
arteriosa profusa con Pa sistolica < 90 mmHg, polso piccolo e frequente, dispnea, fino alla
Sindrome da Insufficienza Multiorgano MOF con disfunzione progressiva di più organi ad alto
rischio di mortalità pari al 40-90% dei casi nelle prime 48h dall’insorgenza della sindrome:
─ insufficienza respiratoria acuta fino all’ARDS nel 25-50% dei pz con sepsi in seguito a lesioni
endoteliali con > permeabilità capillare, accumulo di liquidi negli alveoli con edema polmonare
non cardiogeno, deficit degli scambi gassosi con ipossiemia refrattaria all’ossigenoterapia (PaO2
< 60 mmHg), fino a ipercapnia e acidosi respiratoria, mentre l’Rx torace evidenzia infiltrati
radiopachi diffusi interstiziali e alveolari.
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─ insufficienza renale da ipotensione e ipoperfusione renale con necrosi tubulare acuta con
contrazione della diuresi cioè oligo-anuria, iperazotemia, proteinuria.
─ insufficienza epatica da necrosi epatocellulare con ittero e ipoglicemia da deficit della
gluconeogenesi e deplezione della riserva epatica di glicogeno.
─ manifestazioni del SNC cioè disorientamento temporo-spaziale, confusione mentale e coma.
─ CID: coagulopatia da consumo di piastrine e fattori della coagulazione con manifestazioni
trombotico-emorragiche, petecchie cutanee che non scompaiono con la digitopressione, mortale.
La DIAGNOSI si basa su:
Emocoltura: da eseguire prima di iniziare la terapia antibiotica, importante per la ricerca dei
batteri responsabili della sepsi, deve essere ripetuta varie volte durante la giornata soprattutto
durante l’accesso febbrile con esame + nel 40-70% dei pz con shock settico conclamato.
L‘antibiogramma è importante per la scelta dell’antibiotico più appropriato.
Indagini Laboratorio: leucocitosi neutrofila spiccata (30000/mm3), in caso di CID si ha
piastrinopenia grave, << fibrinogeno, > PT e PTT, presenza prodotti di degradazione della fibrina.
Emogasanalisi: alterazioni dell’equilibrio acido-base cioè alcalosi respiratoria nelle fasi iniziali
caratterizzata da < PaCO2 da iperventilazione, ipocapnia e pH ematico > 7.40, e acidosi
metabolica nelle fasi avanzate con ipossiemia refrattaria all’ossigenoterapia, pH ematico < 7.40,
PaCO2 < 40 mmHg, [HCO3─] < 20 mEq/l.
Rx Torace e Addome senza m.d.c., Ecografia, TAC: focolaio da cui è originata la sepsi.
La TERAPIA deve essere tempestiva per evitare l’insorgenza dell’insufficienza multiorgano:
controllo dell’infezione primitiva mediante antibiotici ad ampio spettro d’azione per via e.v. cioè
Cefalosporine di II e III generazione associate ad un aminoglicoside (gentamicina, neomicina,
streptomicina) che potenzia l’effetto dell’antibiotico primario, oppure β-lattamici ad ampio spettro
nei pz immunocompetenti e adulti come l’imipenem, oppure antibioticoterapia mirata in base ai
risultati dell’emocoltura e antibiogramma.
eliminare il focolaio di origine dell’infezione mediante intervento chirurgico, drenaggio di eventuali
ascessi, sostituzione di cateteri endovascolari o vescicali.
nutrizione per via parenterale totale, ossigeno-terapia, correzione dell’equilibrio acido-base con
bicarbonato di Na+ in caso di acidosi metabolica fino alla normalizzazione del pH ematico.
terapia anticoagulante con eparina alla dose iniziale di 5000-7000 U per via e.v., poi alla dose di
1000-1500 U all’ora in infusione continua, associato a plasma fresco congelato.
Endocarditi Infettive
Le Endocarditi Infettive sono infezioni dell’endocardio valvolare o parietale (murale) in genere
di natura batterica, raramente da virus o miceti, che in era preantibiotica erano più frequenti nei
soggetti giovani associate al RAA o febbre reumatica secondaria a faringotonsillite acuta da
Streptococco β-emolitico di gruppo A, mentre oggi sono più frequenti nei soggetti con età > 50 aa
con rapporto M/F = 2/1. Le endocarditi infettive sono distinte in:
endocarditi infettive acute ad esordio brusco, decorso rapido e morte entro 6 settimane, dovute a
batteri altamente virulenti come lo Staphylococcus aureus responsabile del 70% delle endocarditi
soprattutto nei tossicodipendenti, Staphylococcus epidermidis (protesi valvolari), Streptococcus
pneumoniae, Streptococchi pyogenes di gruppo A, Pseudomonas aeruginosa, Brucella.
endocarditi infettive subacute ad esordio subdolo, decorso lento, dovute a batteri a bassa
virulenza come Streptococchi viridanti α-emolitici nel 40% dei casi, Enterococchi (gruppo D)
responsabili di infezioni su valvole naturali o protesi chirurgiche.
Tra i Fattori Predisponenti abbiamo la valvulopatia reumatica o arteriosclerotica, prolasso
della mitrale (15%) o della valvola aortica (30%), cardiopatie congenite come il difetto del setto
interventricolare e persistenza del dotto arterioso di Botallo.
Dal punto di vista Patogenetico l’endocardite è favorita dalla batteriemia persistente e impianto
del batterio sull’endocardio.
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La batteriemia si deve all’invasione del sangue da parte dei microrganismi come nei
tossicodipendenti o in seguito all’uso di strumenti invasivi a scopo diagnostico o terapeutico
contaminati dai batteri presenti sulla cute, nell’ambiente o veicolati dal personale sanitario
ecco perchè negli ultimi anni si è registrato un netto > dell’incidenza della endocarditi ospedaliere
da microrganismi opportunisti, come in caso di:
─ manovre odontostomatologiche: estrazione dentaria, tonsillectomia e chirurgia periodontale,
favoriscono il passaggio in circolo degli Streptococchi viridanti cioè mutans, mitis, sanguis e
salivaris che normalmente vivono nel cavo orofaringeo.
─ manovre urologiche: catetere urinario, prostatectomia con urine infette, prostatite batterica.
─ manovre gastrointestinali: biopsie.
─ manovre ginecologiche: parto cesareo, aborto spontaneo, raschiamento uterino, infezione dei
dispostivi intrauterini IUD (spirale).
─ manovre cardiovascolari: catetere venoso centrale, impianto di protesi valvolari e pacemaker.
─ ventilazione meccanica assistita, nutrizione parenterale totale...
L’impianto del batterio a livello dell’endocardio è favorito sia da lesioni cardiache preesistenti
sia dalla proprietà adesive di alcuni batteri, come lo Staphylococcus epidermidis che aderisce
mediante lo slime e gli Streptococchi viridanti che aderiscono mediante polisaccaridi extracellulari
(destrani, levani) favorendo la formazione di vegetazioni che sono le lesioni anatomo-patologiche
tipiche dell’endocardite dovute alla deposizione di fibrina e piastrine che proteggono i batteri dai
fagociti e antibiotici, favorendone la sopravvivenza e proliferazione all’interno della vegetazione
stessa. La vegetazione può essere unica o multipla, di dimensioni variabili da pochi mm ad
alcuni cm, nel 90% dei casi è localizzata nel cuore di sx lungo la linea di chiusura dei lembi
valvolari, a livello del versante ventricolare delle valvole semilunari aortiche e sul versante
atriale dei lembi valvolari mitralici, oppure si formano sull’endocardio parietale o sulle protesi
valvolari, mentre le endocarditi di dx sono più rare con interessamento della valvola tricuspide o
della valvola polmonare, frequente soprattutto nei tossicodipendenti e portatori di protesi.
Nell’endocardite acuta la vegetazione è di tipo distruttiva con necrosi suppurativa del lembo
valvolare, ulcerazione, perforazione o aneurismi nel lembo stesso o nel seno di Valsalva, fino ad
interessare le corde tendinee e muscoli papillari con rischio di rottura, all’anello valvolare con
formazione di ascessi, miocardio, pericardio, setto interventricolare.
Nell’endocardite subacuta i processi distruttivi sono meno evidenti perchè i batteri sono meno
aggressivi e perchè spesso insorgono su valvole già lesionate, ispessite e sclerotiche, dove si
formano i trombi nel cui interno restano intrappolati i batteri.
Dal punto di vista Clinico le endocarditi acute esordiscono in modo brusco con febbre alta
preceduta da brividi, sudorazioni profuse notturne, astenia, anoressia mentre l’auscultazione
cardiaca evidenzia la comparsa di soffi o l’alterazione dei soffi preesistenti.
Nelle endocarditi subacute la febbre è remittente < 39°C, si ha perdita di peso, pallore,
artromialgie, epatosplenomegalia, petecchie cutanee, noduli di Osler.
Le vegetazioni sono friabili per cui il flusso ematico può determinare il distacco di emboli settici
che vengono immessi nella grande o piccola circolazione a seconda che si tratti di endocardite sx o
dx, provocando gravi Complicanze: lo scompenso cardiaco rappresenta la complicanza più
frequente (70%) e la principale causa di morte, soprattutto nei pz con endocardite infettiva aortica
e distruzione dell’apparato valvolare, miocardite con turbe del ritmo e della conduzione, IMA in
seguito al distacco di emboli dalla valvola aortica e occlusione delle coronarie, raramente
pericardite, perforazione valvolare, rottura del cuore.
A livello cerebrale si hanno attacchi ischemici transitori (TIA) con perdita di coscienza, ictus da
embolia dell’arteria cerebrale media, aneurismi dei vasa vasorium ad alto rischio di rottura con
emorragie e morte nell’80% dei casi.
Inoltre embolia dell’arteria centrale della retina con cecità omolaterale improvvisa (amaurosi
retinica), emorragie retiniche a fiamma o macchie di Roth, embolia dei vasi renali con infarto,
glomerulonefrite focale o diffusa con ematuria microscopica e insufficienza renale grave,
embolia dell’a.m.s. con ischemia, infarto intestinale e addome acuto, infarto splenico con
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splenomegalia e dolore intenso, embolie dei vasi superficiali o profondi degli arti inferiori con
claudicatio e gangrena tali da richiedere l’amputazione dell’arto.
In caso di endocardite dx si può avere embolia polmonare con febbre alta di tipo settica, dolore
toracico di tipo pleurico, intenso.
Inoltre si possono avere manifestazioni cutaneo-mucose da vasculiti e microemboli cioè emorragie
petecchiali della cute e mucosa orale, faringea e congiuntivale, noduli di Osler cioè papule
sottocutanee dolorose, di colore rosso vivo, localizzati in sede periungueale che si hanno nel 10-
25% dei casi delle forme subacute, lesioni di Janeway cioè piccole macchie emorragiche o
eritematose sul palmo delle mani e pianta dei piedi che si hanno nel 5% dei casi delle forme acute.
La Diagnosi si basa su:
Emocoltura: nelle endocarditi acute sono necessarie 3-4 emocolture eseguite a distanza di 15
minuti tra loro con risultati + nel 90-95% dei casi, tenendo conto che la batteriemia è persistente e
non intermittente come nella sepsi dove è necessario eseguire il prelievo durante l’ascesso febbrile.
Se il pz ha assunto antibiotici prima del prelievo l’emocoltura può risultare ─, per cui si ricorre ai
sistemi ARD cioè flaconi contenenti delle resine capaci di assorbire gli antibiotici assunti dal pz.
Ecocardiografia bidimensionale transesofagea: consente di osservare le vegetazioni valvolari
o parietali anche di piccole dimensioni, di valutare l’entità delle lesioni valvolari e modificazioni
emodinamiche, associata all’Rx torace, TAC e Scintigrafia per un eventuale intervento chirurgico.
Indagini di Laboratorio: parametri aspecifici cioè > VES e leucocitosi neutrofila nella forma
acuta, anemia normocromica normocitica lieve-moderata nelle forme subacute, presenza del FR,
ICC e crioglobuline (RAA), ematuria e proteinuria all’analisi delle urine.
La Terapia si basa sulla somministrazione precoce degli antibiotici per via parenterale, ad alte dosi
e per lunghi periodi di tempo per sterilizzare completamente la vegetazione:
─ endocardite da S. aureus: ampicillina + gentamicina, mentre in caso di ceppi resistenti si usa la
vancomicina + rifampicina che ha azione intracellulare e penetra facilmente nelle vegetazioni.
─ Streptococco viridante: penicillina G + streptomicina, eritromicina nei pz allergici alle penicilline.
─ endocardite da Enterococco: penicillina G + gentamicina.
─ endocardite da funghi: amfotericina B.
La chirurgia è indicata in caso di endocarditi resistenti alla terapia medica con batteriemia
persistente, complicanze come scompenso cardiaco moderato o grave, distruzione valvolare...
La Profilassi antibiotica è indicata in tutti i pz portatori di valvulopatia e protesi valvolari
prima di interventi sul cavo orale, vie respiratorie, apparato gastrointestinale e urogenitale.
Brucellosi
La Brucellosi è una malattia infettiva a decorso acuto, subacuto o cronico provocata da batteri del
genere Brucella, fam. Neisseriaceae, dal nome del medico inglese Bruce che la scoprì per la prima
volta a Malta nel 1887, ecco perchè si parla di febbre maltese o febbre mediterranea perchè
diffusa da secoli nel bacino del mediterraneo o febbre ondulante dal punto di vista clinico.
Le Brucelle sono batteri Gram─, asporigeni, acapsulati, immobili, anaerobi obbligati, molto esigenti
infatti crescono in terreni di coltura arricchiti come l’agar-fegato, sono sensibili al pH acido gastrico
e al calore infatti sono uccisi con la pastorizzazione del latte.
La brucellosi è una zoonosi cioè un’infezione che colpisce gli animali e occasionalmente l’uomo
per ingestione di latte crudo o derivati freschi, non fermentati come ricotta e mozzarella perchè i
latticini contrastano l’azione del succo acido-gastrico, proteggendo la Brucella, oppure per via
transcutanea attraverso ferite cutanee, per via aerea o congiuntivale con ingresso della brucella
presente nel terreno, polvere o acqua. Per cui la brucellosi è una malattia rurale e professionale
diffusa nei pastori, stallieri, contadini, macellai, veterinari e personale di laboratorio. Tra le specie
patogene per l’uomo più importanti abbiamo:
Brucella abortus bovis: colpisce i bovini dove in genere l’infezione è oligosintomatica mentre
spesso nelle femmine gravide la brucella altera la circolazione placentare con conseguente aborto
ed eliminazione del batterio mediante la placenta, secrezioni vaginali, urine e feci con diffusione
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dell’infezione negli altri animali. Nelle mucche spesso la brucella provoca una mastite cronica
eliminando il batterio con il latte per anni o per tutta la vita e trasmissione dell’infezione ai vitelli.
Brucella suis: diffusa nel Nord America dove colpisce il maiale con infezione simile a quella dei
bovini anche se l’aborto è meno frequente.
Brucella melitensis: diffusa nel Bacino del Mediterraneo, colpisce soprattutto la capra,
raramente le pecore con infezione oligosintomatica oppure provoca infertilità.
Brucella canis: meno importante, viene trasmessa dal cane.
Dal punto di vista Patogenetico le brucelle sono batteri endocellulari, si moltiplicano nelle cellule
del SRE cioè linfonodi, midollo osseo, milza e fegato provocando una reticolo-endotelite
granulomatosa con formazione di granulomi ricchi di linfociti, plasmacellule, cellule epitelioidi,
cellule giganti e cellule di Langhans, senza necrosi caseosa a differenza della TBC.
Dal punto di vista CLINICO dopo un periodo di incubazione di 2-3 settimane la brucellosi si
manifesta con brividi e febbre intermittente di tipo ondulante con alternanza tra periodi febbrili e
periodi di apiressia che in assenza di terapia persistono per mesi o anni, astenia intensa,
sudorazione profusa in genera notturna con tipico odore di fieno bagnato (stalle), mialgie,
artralgie da artrite poliarticolare asimmetrica localizzata alle ginocchia, anca e cingolo scapolare,
cefalea, anoressia e calo ponderale. All’esame obiettivo si può apprezzare una splenomegalia
modesta di consistenza molle, epatomegalia con dolenzia alla palpazione, linfoadenopatia con
> di volume dei linfonodi soprattutto ascellari e latero-cervicali, indolenti, non confluenti e di
consistenza molle. La guarigione si ha in 2-3 settimane, alcune volte si hanno delle Complicanze:
─ spondilite: infiammazione delle articolazioni del rachide con schiacciamento dei dischi
intervertebrali, dolore intenso, spesso associata a coxite (artrosi anca), sacroileite fino all’invalidità.
─ neurobrucellosi: meningoencefalite a liquor limpido con papilledema, ipertensione
endocranica, ascessi cerebrali multipli, lesione del III, IV e VI nervo cranico con gravi danni
oculari cioè neurite retrobulbare, atrofia ottica e oftalmoplegia.
─ endocardite: rappresentava la principale causa di morte in era preantibiotica.
─ colecistite, epatite granulomatosa con ittero, >> fosfatasi alcalina e lieve > transaminasi.
─ orchio-epididimite con tumefazione del testicolo ed epididimo, dolore intenso, senza sterilità,
pielonefrite, prostatite, salpingite, cervicite.
─ splenomegalia con ipersplenismo, sequestro e lisi dei globuli rossi con anemia emolitica.
La DIAGNOSI della brucellosi avviene mediante emocoltura, urinocoltura, mielocoltura cioè
esame colturale del midollo osseo prelevato con puntura sternale o dalla cresta iliaca, e
soprattutto sierodiagnosi con reazione di sieroagglutinazione di Wright con Ag specifici di
brucelle uccise osservando la presenza delle IgM in fase acuta e IgG in caso di guarigione.
Alcune volte si hanno falsi negativi dovuti al fenomeno della prezona cioè la sieroagglutinazione si
verifica nelle prime provette dove il siero è meno concentrato rispetto alle ultime provette oppure
alla formazione di Ab monovalenti o incompleti cioè l’Ab presenta solo 1 sito di legame per 2
determinanti Ag, formando complessi bimolecolari solubili. In tal caso si ricorre all’artificio di
Coombs: aggiungiamo al complesso Ag-Ab un siero anti-globuline umane estratto dal coniglio in
grado di reagire con gli Ab bivalenti che si legano ciascuno a due complessi Ag-Ab con reazione +.
La diagnosi di conferma avviene con metodi radioimmunologici ed immunoenzimatici.
La prova intradermica alla melitina con reazione di ipersensibilità ritardata non è utile perchè
indica solo il contatto con la brucella.
La TERAPIA si basa sul riposo a letto, analgesici contro i dolori muscolo-articolari, antibiotici per
< il rischio di recidive cioè doxiciclina o tetraciclina per 4 settimane + streptomicina per 2 settimane.
La Profilassi avviene mediante la vaccinazione del bestiame e pastorizzazione del latte, mentre il
vaccino umano è usato solo nei paesi dell’ex-URSS, Cina e Francia nelle categorie professionali a
rischio, conferendo una protezione per un periodo di ~ 2 anni.
Infezioni Ospedaliere o Nosocomiali
Le Infezioni Ospedaliere o Nosocomiali sono infezioni contratte in ambiente ospedaliero,
non presenti al momento del ricovero, spesso responsabili dell’aggravamento delle condizioni di
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salute del pz, già di per se debilitato, incidendo in maniera significativa sui costi sanitari e
prolungando le degenze ospedaliere dei pz, in genere sono dovute a batteri, raramente a virus,
miceti e protozoi, e sono distinte in:
infezioni ospedaliere esogene da microrganismi veicolati dai pz o dal personale sanitario
costituendo la cosiddetta flora nosocomiale costituita da microrganismi opportunisti che in genere
non provocano infezioni ma agiscono soprattutto nei pz debilitati, immunodepressi provocando
infezioni gravi, difficili da tenere sottocontrollo, ad alto rischio di mortalità, come ad esempio le
infezioni opportunistiche nei soggetti sottoposti a trapianto d’organo o di midollo osseo,
politraumatizzati, grandi ustionati, AIDS, leucemie, linfomi, terapia immunosoppressiva e
corticosteroidea protratta nel tempo, chemioterapia, diabete mellito, splenectomizzati,
insufficienza renale cronica, alcolizzati, tossicodipendenti...
infezioni ospedaliere endogene da microrganismi della flora residente del pz che diventano
patogeni in seguito all’uso scorretto delle terapie soprattutto antibiotici ad ampio spettro.
Tra i Fattori di Rischio principali abbiamo:
─ uso di strumenti invasivi a scopo diagnostico o terapeutico: cateteri urinari e venosi,
intubazione endotracheale con ventilazione meccanica assistita (respirazione artificiale),
biopsie, nutrizione parenterale totale, sondino naso-gastrico, tubi di drenaggio...
─ uso di antibiotici ad alte dosi e per lunghi periodi di tempo con alterazione della flora batterica
residente con infezioni severe e resistenti alla terapia antibiotica stessa.
─ mancato rispetto delle norme igieniche e di asepsi, affollamento nei reparti, interventi chirurgici
a cielo aperto, infezioni delle ferite chirurgiche o delle ferite da decubito...
Tra le infezioni ospedaliere più frequenti abbiamo le polmoniti, infezioni del sito chirurgico (ISC),
batteriemie, infezioni vie urinarie (IVU), infezioni da catetere intravascolare centrale (CIC).
Le Polmoniti rappresentano le infezioni nosocomiali più frequenti e ad alto rischio di mortalità in
genere per aspirazione dei microrganismi provenienti dalle vie aeree superiori oppure diffusione per
via ematica, favorite da compromissione neurologica con deficit del riflesso della tosse e
deglutizione, patologie polmonari preesistenti, intubazione endotracheale con ventilazione
assistita nei reparti di rianimazione, tracheotomia, dovute a Pseudomonas aeruginosa,
Haemophilus influenzae, Streptococcus pneumoniae, Legionella pneumophila, Staphylococcus
aureus, Enterobacter, E. coli, Proteus...
Le Infezioni delle Vie Urinarie (IVU) nell’80% dei casi sono favorite da cateteri vescicali
lasciati in sede per più di 72 h, associate ad altri fattori di rischio come il diabete e insufficienza
renale preesistente, in genere dovute a E. coli, Klebsiella pneumoniae, Proteus mirabilis,
Pseudomonas aeruginosa...
Le Infezioni del Sito Chirurgico (ISC) sono causate dalla flora batterica cutanea del pz cioè
Staphylococchi, Streptococchi... oppure microrganismi presenti nell’ambiente.
Le Batteriemie in genere sono favorite dall’uso di cateteri venosi non sterili, infusione di liquidi
infetti, ustioni gravi ed estese, dovute a Staphylococcus aureus ed epidermidis, Klebsiella
pneumoniae, Enterobacteriaceae, Pseudomonas aeruginosa, Serratia e Candida albicans,
spesso resistenti alla terapia antibiotica.
Le Endocarditi Infettive sono favorite da cardiopatie congenite, valvulopatie, impianto di
protesi valvolari e pacemaker, catetere venoso centrale...
Nei pz immunodepressi, in particolare nei pz con AIDS spesso si hanno infezioni nosocomiali,
opportunistiche soprattutto da Pneumocystis carinii, infezioni sistemiche da Toxoplasma gondii,
Herpes Virus, Micobatteri, Candida, Cryptococcus, Histoplasma...
La Prevenzione delle infezioni ospedaliere si basa sul rispetto delle norme igieniche e asepsi,
limitare l’uso di cateteri, tubi di drenaggio, sondino naso-gastrico, chemioprofilassi antibiotica
perioperatoria, disinfezione della sede di incisione chirurgica e della ferita dopo l’intervento.