DIRITTO ROMANO Prof. SANDRO SCHIPANI (a.a. 2015-2016) · GUIDA ALLA LETTURA DI D. 9,1 1.1. XII...

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“Sapienza” Università di Roma Corso di Laurea in Giurisprudenza Prof. Sandro Schipani Diritto romano a.a. 2015-2016 (lettere A-L) DIRITTO ROMANO Prof. SANDRO SCHIPANI (a.a. 2015-2016) Programma : Il corso di Diritto romano è articolato in due parti: una parte introduttiva, relativa al ruolo attuale dello studio del diritto romano del periodo della formazione del sistema giuridico romanistico; una parte monografica, che affronta alcuni problemi del diritto delle obbligazioni in materia di responsabilità extracontrattuale e, per chi biennalizzi, in materia di diritti reali. Parte introduttiva : - i principi generali del diritto; la rilevanza di essi nel sistema; una reinterpretazione dell’art. 12 disp. prel. del c. c. it. 1942; - il metodo del lavoro dei giuristi: dal leges sine ordine latas in unum componere al ‘sistema’; - le fonti del diritto romano, con cenni sulle fonti degli ordinamenti del sistema giuridico romanistico; in particolare la codificazione del diritto: Corpus Iuris Civilis e Codici moderni; Parte monografica : - leggere i Digesti, enucleare i principi: letture selezionate dei Digesta di Giustiniano con riferimento alla responsabilità extracontrattuale. Testi adottati : per la Parte introduttiva: - S. SCHIPANI, La codificazione del diritto romano, ed. Giappichelli, ed. accresciuta con Note aggiuntive,Torino, 2011 (capitoli I; II, par. 1 e 2; III; IV, par.1.2.3.6.8.9; VI e Note aggiuntive); per la Parte monografica: - Iustiniani Augusti Digesta seu Pandectae. Testo e traduzione, II, 5-11, a cura di S. SCHIPANI, ed. Giuffrè, Milano, 2005 (titoli e frammenti selezionati a lezione; il testo dei frammenti esterni a questo volume verrà consegnato a lezione e reso disponibile su supporto elettronico); - S. SCHIPANI, Contributi romanistici al sistema della responsabilità extracontrattuale, ed. Giappichelli, Torino, 2009. - S. SCHIPANI, Schemi e Appunti delle lezioni (testo disponibile su supporto elettronico nel sito); Biennalizzazione Per coloro che biennalizzano il corso di Diritto romano, il programma della seconda annualità consiste in un secondo corso monografico, che prevede lo studio di un libro dei Digesti (o il 7, o l’8 da Iustiniani Augusti Digesta seu Pandectae. Testo e traduzione, II, 5-11, sopra citato) da concordare, a cui si accompagna, come guida, un testo monografico di G. Grosso. Nei siti a ciò predisposti sono disponibili, anche per i non frequentanti, i titoli e i frammenti dei Digesti selezionati. Sempre nei siti predetti, sono altresì disponibili gli schemi e i riassunti delle lezioni svolte. Ricevimento studenti Dopo le lezioni. Roma, 1 novembre 2015 Il Titolare dell’insegnamento Prof. Sandro Schipani

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“Sapienza” Università di Roma Corso di Laurea in Giurisprudenza

Prof. Sandro Schipani Diritto romano a.a. 2015-2016

(lettere A-L)

DIRITTO ROMANO Prof. SANDRO SCHIPANI (a.a. 2015-2016)

Programma:

Il corso di Diritto romano è articolato in due parti: una parte introduttiva, relativa al ruolo

attuale dello studio del diritto romano del periodo della formazione del sistema giuridico

romanistico; una parte monografica, che affronta alcuni problemi del diritto delle obbligazioni in

materia di responsabilità extracontrattuale e, per chi biennalizzi, in materia di diritti reali.

Parte introduttiva:

- i principi generali del diritto; la rilevanza di essi nel sistema; una reinterpretazione dell’art.

12 disp. prel. del c. c. it. 1942;

- il metodo del lavoro dei giuristi: dal leges sine ordine latas in unum componere al ‘sistema’;

- le fonti del diritto romano, con cenni sulle fonti degli ordinamenti del sistema giuridico

romanistico; in particolare la codificazione del diritto: Corpus Iuris Civilis e Codici moderni;

Parte monografica:

- leggere i Digesti, enucleare i principi: letture selezionate dei Digesta di Giustiniano con

riferimento alla responsabilità extracontrattuale.

Testi adottati:

per la Parte introduttiva:

- S. SCHIPANI, La codificazione del diritto romano, ed. Giappichelli, ed. accresciuta con Note

aggiuntive,Torino, 2011 (capitoli I; II, par. 1 e 2; III; IV, par.1.2.3.6.8.9; VI e Note aggiuntive);

per la Parte monografica:

- Iustiniani Augusti Digesta seu Pandectae. Testo e traduzione, II, 5-11, a cura di S. SCHIPANI, ed.

Giuffrè, Milano, 2005 (titoli e frammenti selezionati a lezione; il testo dei frammenti esterni a

questo volume verrà consegnato a lezione e reso disponibile su supporto elettronico);

- S. SCHIPANI, Contributi romanistici al sistema della responsabilità extracontrattuale, ed.

Giappichelli, Torino, 2009.

- S. SCHIPANI, Schemi e Appunti delle lezioni (testo disponibile su supporto elettronico nel sito);

Biennalizzazione

Per coloro che biennalizzano il corso di Diritto romano, il programma della seconda

annualità consiste in un secondo corso monografico, che prevede lo studio di un libro dei Digesti (o

il 7, o l’8 da Iustiniani Augusti Digesta seu Pandectae. Testo e traduzione, II, 5-11, sopra citato) da

concordare, a cui si accompagna, come guida, un testo monografico di G. Grosso.

Nei siti a ciò predisposti sono disponibili, anche per i non frequentanti, i titoli e i

frammenti dei Digesti selezionati.

Sempre nei siti predetti, sono altresì disponibili gli schemi e i riassunti delle lezioni svolte.

Ricevimento studenti

Dopo le lezioni.

Roma, 1 novembre 2015 Il Titolare dell’insegnamento

Prof. Sandro Schipani

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(lettere A-L)

(riassunti delle lezioni)

1

DIRITTO ROMANO

Prof. Sandro Schipani (a.a. 2015-2016)

Riassunti delle lezioni

Indice

0. PROBLEMI DELL'INDIVIDUAZIONE SISTEMATICA DELLA ‘RESPONSABILITÀ CIVILE /

EXTRACONTRATTUALE’ (CENNO AL PROBLEMA DELLE CATEGORIE E DELLE TRADUZIONI)

0.1. Respondere / responsabilità: l’emergere della 'categoria sistematica' delle ‘responsabilità’;

0.2. Le categorie sistematiche usate dai Cc. moderni: il ruolo ordinatore delle categorie sistematiche

del ‘delitto e quasi delitto’, del ‘fatto illecito’, del ‘danno’, della ‘responsabilità civile’ e la

prospettiva delle fonti di obbligazione (l’oscuramento della prospettiva inibitoria; il significato di

‘civile’ per distinguere da ‘penale’, da ‘amministrativo’). Una precisazione relativa al riferimento

alla ‘extracontrattualità’,

0.3. Assenza di chiare indicazioni sistematiche nell’editto perpetuo

0.4.Le categorie sistematiche usate nelle Istituzioni (J.1,2,12 > 2,2 pr. e 2 > 3,13, pr. e 2 > 4,1-5; 4,6

pr. e 19; 4,8-9): il ruolo ordinatore delle categorie: da delitto e come da delitto

9.5. Assenza di chiare indicazioni sistematiche nel Codice (C.6,2; 9,33; 3,35; 9, 35; 3,41)

0.6. Il problema della base dell’ordine adottato nei Digesti (rottura della categoria dei delitti: D.

44,7,1> 44,7,4. 5,4ss.> 47,1-10 [D.47,2; 47,8; 47,10]; ma D. 9,2; elaborazione di D. 9,1-4; adde? D.

4,2-3; D. 4,9 e 47,5 ): il ruolo ordinatore della colpa? del danno? della “pena risarcitoria”?

0.7. Rileggere i Digesti: impostazione storico-critica e dogmatica

1. GUIDA ALLA LETTURA DI D. 9,1

1.1. XII Tavole 8,6

1.2. Il metodo lemmatico di Ulp. l.18 all'editto e il suo valore ordinante; il ragionare per citazioni e

per esempi;

1.3. La fattispecie: il significato delle parole usate nella legge, ed i problemi interpretativi che esse,

accolte nella formula, pongono e inquadrano:

- A. quadrupede (D. 9,1,1pr.; D. 9,1,1,2; D. 9,1,4);

- B. danno (D. 9,1,1,1; Festo 174-175; D. 9,1,1,3-11);

- C. produzione del danno (D. 9,1,1,1,3);

a. assenza del requisito della ‘ingiustizia’ (D. 9,1,1,3);

b. necessità di qualificare altrimenti la produzione del danno: ‘ferinità contro natura’ e

altre prospettive (D. 9,1,1,4—7. 8. 11prima parte; D. 9,1,2,1; D. 9,2,5);

c. assenza del requisito secondo cui il danno deve essere arrecato direttamente dal corpo

dell’animale (D. 9,1,1,1,9);

- D. appartenenza a un proprietario (D. 9,1,1,12); un carattere peculiare di questa fattispecie:

la condotta non può essere mai di colui che è tenuto;

- E. il problema del quadrupede selvatico (D. 9,1,1,10; D. 21,1,40,1-42; J. 4,9,1 in fine).

1.4. Gli effetti del perfezionamento della fattispecie, cioè l’obbligazione del proprietario

dell’animale / legittimato passivo dell’azione (D. 9,1,1,11 in fine-13); le prestazioni alternative:

dazione a nossa o pagamento della valutazione del danno (il contenimento della onerosità della

responsabilità); obbligazione propter rem (D. 9,1,1,13-14); la perdita dell’alternativa (D. 9,1,1,15-

16).

1.5. Il creditore / legittimato attivo (D. 9,1,1,17-2pr.)

1.6. Carattere della azione

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(lettere A-L)

(riassunti delle lezioni)

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1.7. La rilettura dei Digesti compiuta nei Cc. (Ccit./1942 art. 2052 ecc.)

2. GUIDA ALLA LETTURA DI D. 9,2

2.0. L’ordine dei frammenti in D. 9,2 - D. 9,2,1-29 (una catena di testi pre-giustinianea, con inserimenti giustinianei?); D. 9,2,30-32pr.

(ripresa di esame di problemi gia trattati: occidere iniuria, legittimazione attiva, actio utilis, dolo e

colpa); …

2.1. Il testo della lex Aquilia

2.2. La data della lex Aquilia - inaffidabilità di PT. 4,3,15; l’uso del termine ‘erus’; gli obbiettivi della plebe

2.3. Leggi anteriori da essa abrogate sul danno cenni ai problemi relativi alla abrogazione o meno di:

- pauperies XII Tav. 8,6 (D. 9,1)

- pastus pecoris XII Tav. 8,7 (D. 19,5,15,3)

- la distruzione del raccolto altrui di cui XII Tav. 8,9

- aedes acervumve frumenti comburere XII Tav. 8,10 (D. 47,9,9; Pl. NH, 18,3,12)

- arbores succisae/iniuria caese XII Tav. 8, 11 (D. 47,7,1; D. 19,2,25,5)

- rupitias sarcito XII Tav. 8,5

- si servus furtum faxit noxianve noxit XII Tav. 2.a.

- membrum ruptum, os fractum, iniuria XII Tav. 8,2. 3. 4.

2.4. Il metodo lemmatico di Ulp. l.18 all'editto D. 9,2,1: introduzione; D. 9,2,2.2.: le cose prese in considerazione; D. 9,2,2,3-7pr.: iniuria ; D.

9,2,7,1-11,5 : occidere ; D. 9,2,11,6-20: erus; D. 9,2,21-23,7: quanti … ; D. 9,2,23,8-27,3: sulla

azione (D. 9,2,23,8: trasmissibilità; D. 9,2,23,9: concorso; D. 9,2,23,10-25: confessio in

iure/infitiatio; D. 9,4,2. 6. 14. 9,2,27pr.-3: nossalità); D. 9,2,27,4: secondo cap.; D. 9,2,27,5: terzo

capitolo; D. 9,2,27,6-12: urere; D. 9,2,27,13-28: rumpere; D. 9,2,27,29-29pr.: frangere-rumpere; D.

9,2,29,1-7: iniuria; D. 9,2,29,8: quanti …

2.5. Il significato delle parole usate dalla legge al momento della sua approvazione, ed i

problemi interpretativi che esse pongono - servi, quadrupes, ceterae res

- i verbi: condotta ed evento; condotta a forma vincolate e contatto fisico

- iniuria e gli usi più risalenti: XII Tav. 8,3; 8,11; legis actio sacramento in rem Gai. 4,16; oggettiva

assenza di giustificazione

- altruità della cosa

2.6. Le cose prese in considerazione dalla legge. 2.7. Iniuria e i suoi sviluppi interpretativi (dall’individuazione di cause di giustificazione ai

limiti nell’esercizio di esse)

- esame di D. 9,2,3; 4 (cfr. Coll. 7,3); 5pr.; 5,1; inserimento dalla seconda parte del titolo ed esame

di D. 9,2,39pr.; 31; esame delle condizioni d’uso del termine culpa; esame di D. 9,2,5,2; 5,3 (D.

19,2,13,4)-7pr.; cfr. inoltre D. 9,2,29,1-7 (29,1: eccesso nella autotutela; 29,2: in protestate fuit;

29,3: vi ventorum); dalla descrizione di condotte riprovevoli e come tali riconducibili alla iniuria,

alla loro sussunzione nella colpa e nella assenza di cause di giustificazione: 49,1 (D. 43,24,7,4 [ su

nascostamente: D. 43,24,3,7; sull’assenza di danno che elimina l’ingiustizia: D. 9,2,27,25]; D.

47,9,3,7); D. 9,2,52,1; D. 9,2,52,4;

2.8. Occidere, urere, frangere, rumpere e gli sviluppi interpretativi, relativi alla

condotta e all’evento:

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(lettere A-L)

(riassunti delle lezioni)

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2.8.1. dalla condotta vincolata alla causazione dell’evento; il ruolo della rimproverabilità della condotta (dalla descrizione di condotte negligenti, imperite, imprevidenti, ecc.

comunque riprovevoli, alla loro sussunzione nella colpa)

- esame di D.9,2,7,1-8 (condotta diretta; 2 condotta necessitata, ma libera e riprovevole nella sua

causa; 3 condotta provocata da un altro e condotta che opera indirettamente; 4 condotta giustificata;

5 efficacia causale della condotta in concreto [Labeone; coerente la esclusione per sopravvenire di

altra causa: D.19,2,57]; 6-7 uccidere/ causare la morte; 8 condotta ingiustificata in quanto

riprovevole); D. 9,2,8 (ascrivere a colpa);D. 9,2,9.10; D. 9,2,11 pr. (pluralità di fattori causali

convergenti e rimproverabilità; affacciarsi del concorso di colpa del danneggiato e/o la possibilità di

muovere sempre un rimprovero > D. 9,2,11,2-4 (pluralità di condotte-causa convergenti connesse

da una unità di contesto; pluralità di condotte-causa successive/causalità sopravvenuta; pluralità di

condotte-causa convergenti connesse da unità di contesto e nessuna delle quali di per sé sufficiente)

e D. 9,2,15,1; inserimento dalla seconda parte del titolo ed esame di D. 9,2,52,2 (causa qualificata);

e D. 9,2,52pr. (anche D. 9,2,30,4) da collegare a D. 9,2,51 per la causalità sopravvenuta (sul punto,

due problemi: il problema critico-filologico della divergenza fra le due tradizioni del parere di

Giuliano, e rilevanza della catena di testi pre-giustinianea?; il problema dommatico-giuridico della

causalità sopravvenuta; prima ipotesi: si riferisce l’evento al secondo fattore causale [causalità

concreta, Labeone?], anche quando le cause successive non avrebbero avuto luogo in assenza della

prima condotta, purché le condotte che costituiscono causa sopravveniente siano riprovevoli;

seconda ipotesi: si riferisce l’evento a entrambi per analogia con la pluralità di fattori causali

convergenti tutti riprovevoli, i più colpi, e nessuno idoneo a produrre da solo l’evento, come nel

caso del trave [critica alla causalità in concreto di Labeone?]); esame di D. 9,2,27,6. 7. 8

(divergenza fra volontà e risultato). 9. (neglegentia) 11 (su cui infra). 13. 15. 16. 17 (prima parte).

18. 19. 23 (plus iusto). 24. 29 (imperitia), 33, 34 ss.; e ancora in particolare, D. 9,2,28pr.-29pr.: in

itineribus-ubi fieri solent; si evitare poterit e il concorso di colpa del danneggiato. Da altri titoli,

cfr. D. 47,2,50,4-51; D. 19,5,23; 19,5,14pr.

2.8.2. dall’evento di materiale deterioramento/distruzione al danno senza

deterioramento/distruzione e al materiale deterioramento senza implicazioni di danno - esame di D. 9,2,27,13. 14. 20; D. 4,3,7,7; J. 4,3,16 (alla fine); e di D. 9,2,27,17 (seconda parte);

D. 9,2,27,25-28

2.9. Sviluppi della culpa e riassestamento giustinianeo della fattispecie - D. 9,2,27,11 (Coll. 12,7,9); l’inserimento di D. 9,2,6; 8; 10; 28;

- D.9,2,30,3-32 pr. e valutazione del ruolo di essi nella composizione di D.9,2 ecc.

- confronto di Gai. 3,211con la ristrutturazione della fattispecie in J. 4,3,2; 3-8

2.10. Erus / l’altruità della cosa e l’utilis della tutela ad alcuni non domini; altri casi discussi;

il mutamento riconoscibile da Giuliano a Ulpiano e Paolo - erus (D.9,2,11,6); precisazioni: il compratore che sta per ritrasferire per vizi della cosa

(D.9,2,11,7); il possessore di buona fede (D. 9,2,11,8; 17) (cfr. D. 5,3,55; D. 6,1,17,1); non il

comodatario (D.9,2,11,9);

-- usufruttuario, usuario (D.9,2,11,10; D. 9,2,12; cfr. anche D. 7,1,17,3; D. 43,24,13pr.; D.

4,3,18,2)

- l'eredità giacente (D.9,2,13,2) e il legatario (D.9,2,13,3), precisazione fra i due (D.9,2,15 pr.; 34-

36pr.) e precisazione sull'erede (D. 9,2,14) (D.9,2,15,1; D. 9,2,43);

- creditore pignoratizio (D.9,2,17; 30,1) (cfr. anche D. 20,1,27)

- comproprietario (D. 9,2,19-20)

- titolare servitù di acquedotto (D.9,2,27,32)

- colono-conduttore (D.9,2,27,14)

- al debitore tenuto a dare una cosa distrutta dal creditore (D. 9,2,54; per il caso in cui la cosa sia

distrutta da un terzo: D. 4,3,18,5. 19 cfr. infra.cap. 6: actio de dolo)

- pater per il figlio (D.9,2,5,3-7 pr.)

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(lettere A-L)

(riassunti delle lezioni)

4

- liber homo (D.9,2,13 pr.), con la precisazione che non si perviene alla considerazione della

uccisione (D. 9,2,16)

- il proprietario o l’erede non possessore che agisce nei confronti del possessore non proprietario o

non erede: controversie giurisprudenziale ed economia processuale (cfr. D. 6,1,13; D. 6,1,14; D.

6,1,36,1; D. 5,3,36,2 ecc.) .

2.11. Quanti is homo in eo anno plurimi e il superamento della aestimatio rei (D.9,2,21-23,7;

29,8; 51,2; 37,1)

- D.9,2,21 pr. e 1; D. 9,2,29,8; un anno D. 9,2,23,3.5.6; il maggior valore materiale nell’ultimo anno

/ mese della cosa danneggiata, secondo il prezzo di mercato (precisazione sul significato di res nel

cpv.3: D. 9,2,46-47 e D. 9,2,24: stima della ferita); D. 9,2,33pr. (esclusione del valore di affezione);

- D. 9,2,23pr.; D. 9,2,51,2: la considerazione di tutto quanto interviene (causae corpori

cohaerentes) nel prezzo (pretium formale) da parte della giurisprudenza pre-severiana (ancora in

J.4,3,10)

- D.9,2,21,2: il criterio dell'id quod interest; D. 9,2,22pr.-1 (la utilitas); D. 9,2,37,1 (cfr. anche D.

9,1,1,16); D. 9,2,40; D. 9,2,55 (su questa base è possibile D. 9,2,12; D. 9,2,30,1)

2.12. Carattere della azione: penale, poi mista - azione penale: punisce i maleficia (D.9,2,51,2); solidalmente cumulativa (D.9,2,11,2; 51,1);

nossale (D.9,4,2,1); passivamente intrasmissibile (D.9,2,23,8); concorso cumulativo con azioni

reipersecutorie (D.9,2,7,8; 18; 27,11 tutti itp.; D. 6,1,13)

- azione mista: contrapposizione fra poena e id quod interest (D.2,3,1,4; D. 39,2,4,7), e problemi

connessi con l'affermarsi dell'id quod interest nella l. Aq. che rei persecutionem continet

(D.44,7,34,2); il passaggio dal concorso cumulativo al concorso elettivo fra azioni reipersecutoria e

azione aquiliana (le itp. di D.9,2,7,8; 18; 27,11); rem et poenam persequi (Gai.4,9; J.4,6,19); il

problema del contenimento dell’onerosità delle conseguenze del delitto dei servi (D. 9,2,32pr.)

2.13. Sintetico bilancio

2.14. La rilettura dei Digesti compiuta dai Codici civili

3. GUIDA ALLA LETTURA DI D. 9,3

3.1. I due editti inclusi nel titolo: D. 9,3,1pr.: De effeusis et deiectis; D. 9,3,5,6: De positis et

suspensis

3.2. La data dei due editti 3.3. La materia trattata da Ulp. l. 23 all'editto (D. 11,3,1: De servo corrupto; D. 11,5: De

aleatoribus; D. 50,16,36: Si iudex litem suam fecerit; D. 9,4,21: De noxalibus actionibus) e il

metodo lemmatico del commento a questi editti: D. 9,3,1,1-2: in eum locum quo vulgo iter fiet;

D. 9,3,1,3: deiectum vel effusum : D. 9,3,1,4: habitaverit; D. 9,3,1,5: liber homo; D. 9,3,1,6: si vivet

…; D. 9,3,1,7-8: non nossalità; D. 9,3,1,9-10.3.5pr.-3: solidarietà non cumulativa; D. 9,3,5,4-5:

regresso; D. 9,3,5,5: perpetuità, in trasmissibilità, popolare, D. 9,3,5,7: rapporto con l’editto

precedentemente commentato di cui viene considerato una parte; D. 9,3,5,8: ne quis; D. 9,3,5,9-10:

supra eum locum ….; D. 9,3,5,11: cuius casus …; D. 9,3,5,12-13: positum habeat; D. 9,3,5,13

popolare

3.4. La riflessione iniziale sulla ratio dell’editto: D. 9,3,1,1-2 securitas

3.5. L’evento di danno previsto dal primo editto: D. 9,3,1,3: versato; gettato-caduto;

3.6. Il responsabile, legittimato passivo dell’azione: D. 9,3,1,4: abitare (adde: D. 9,3,1,9; D.

9,3,5,1; D. 9,3,5,3; D. 9,3,6,3); D. 9,3,1,7-8: persona in potestà di altri; D. 9,3,1,10-D. 9,3,5,2:

pluralità di persone;

3.7. L’assenza del requisito della colpa: D. 9,3,1,4; D. 9,3,1,6 (v. anche D. 9,3,1,8).

3.8. La valutazione della pena e il suo carattere: D. 9,3,1pr.; D. 9,3,1,5-6; D. 9,3,5,5 in fine; D.

9,3,7

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(lettere A-L)

(riassunti delle lezioni)

5

3.9. Caratteri della azione e legittimato attivo: D. 9,3,5,5; i problemi che pone D. 9,2,1,8

3.10. L’evento di danno alla sicurezza previsto dal secondo editto: D. 9,3,5,7. 10. 11. 12

3.11. Il responsabile, legittimato passivo dell’azione: D. 9,3,5,8. 10. 11

3.12. Il problema del requisito della colpa: D. 9,3,5,10.

3.13. La valutazione della pena e il suo carattere: D. 9,3,5,6

3.14. Caratteri della azione e legittimato attivo: D. 9,3,5,13

3.15. La rilettura dei Digesti compiuta dai Codici civili

4. GUIDA ALLA LETTURA DI D. 9,4

4.1. La provenienza dei frammenti - es. D. 9,4,2.6.14 Ulp. 18 ad ed. 18 lex Aquilia; D. 9,4,3.5.7 Ulp. 3 ad ed.: de albo corrupto; D.

9,4,8.36.38.42. Ulp. 37 ad ed.: de furtis; D.9,4,11 Ulp. 7 ad ed.: de vadimoniis [cfr. D. 2,9,1]; D.

9,4,21 Ulp. 23 ad ed.: de iudiciis omnibus;

4.2. La creazione di questo titolo: le precedenti sistematiche dell’editto e di Gai.: dalla clausola

nossale alla azione nossale - la trattazione diffusa della clausola nossale (cfr. la provenienza dei fr., ma anche già il tit. 14 de

iudiciis dell’edictum perpetuum) e le azioni da atto lecito di persona nella altrui potestà (cfr. il tit.

18 dell’e. p.: a. exercitoria, institoria, tributaria, ecc.); la creazione di due sezioni contigue: Gai.

4,69-74.75-79 = J. 4,7.8 (parallelismo con i due titoli in materia di cose e di obbligazioni, relativi

all’acquisto attraverso persone in potestà: Gai. 2,86 ss.; 3,163 ss. = J. 2,9; 3,28)

4.3. La struttura del rapporto sotteso alla azione nossale. - dalla obbligazione cum facultate alternativa per i servi : D. 44,7,14; per i figli in potestà: D.

44,7,39; alla obbligazione alternativa che sorge a seguito della condanna: D. 9,4,1 (problemi relativi

a D. 9,4,21pr.)

4.4. I presupposti A. il perfezionamento di un delitto da parte di una persona in potestà di altri

B.. la non conoscenza da parte del titolare della potestà del compimento del delitto da parte della

persona in potestà: D. 9,4,2pr. e la possibilità di impedire: D. 9,4,3 e 4pr. (la conoscenza, e l’essere

tenuto anche con azione diretta, ma non cumulativamente: D. 9,4,4,2 [bis de eadem re ne sit actio],

e, alla luce di questo, D. 9,4,2,1 in fine, e, per il caso di condomini, D. 9,4,17pr.; la solidarietà

cumulativa e la intrasmissibilità passiva della azione diretta: D. 9,4,5pr.-1, che non ha luogo se a

conoscenza dell’atto sia uno solo: D. 9,4,9);

C. la potestà effettiva nei confronti dell’autore del delitto:D. 9,4,21,2; D. 9,4,22,4; e le sue

implicazioni: D. 9,4,6 e 7pr.; D. 9,4,20;D. 9,4,14pr.

4.5. Gli effetti A. l’abbandono dell’autore del delitto senza assumerne la difesa / indefensio: D. 9,4,32 se è un

libero: D. 9,4,33.34.35; D. 9,4,8pr. (seconda ipotesi);

B. la facoltà di consegnare dopo la condanna la persona che ha commesso il delitto: D. 9,4,1 e D.

9,4,21;

situazioni particolari: in caso di comproprietà, prima della instaurazione del giudizio, l’abbandono

a nossa può essere pro quota, al momento della sentenza invece no: D. 9,4,8pr; fra nudo proprietario

e usufruttuario, prima della instaurazione del giudizio, l’abbandono a nossa rende l’usufruttuario

ammissibile alla legittimazione passiva, al momento della sentenza invece lo obbliga a concorrere:

D. 9,4,17,1; pluralità di attori per atti diversi: D. 9,4,14pr.;

C. la responsabilità per la consegna, nei limiti del fatto proprio: D.9,4,14,1; D. 9,4,15

D. noxa caput sequitur: D. 9,4,6.7pr.-1; D. 9,4,20 (in coerenza con il carattere personale della

responsabilità da delitto [supra: D. 44,7,14. 39]);

E. la legitt. pass. del possessore di buona fede: D. 9,4,11.12; D. 9,4,28 e di mala fede: D. 9,4,13.

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(riassunti delle lezioni)

6

F. la legitt. attiva dell’usufruttuario: D. 9,4,18;

G. la consumazione della lite D. 9,4,4,3; D. 9,4,7,1

H. trasmissibilità passiva della azione D. 9,4,5,1

4.6. l’editto si familia furtum fecerit e la sua applicazione al damnum iniuria: - l’editto in materia di furto: D. 47,6 e la sua applicazione analogica alla rapina (D. 47,8,2,15),

all’iniuria (D. 2,1,9; D. 47,10,34), all’actio de albo corrupto (D. 2,1,9), al danno ingiusto (D.

47,6,1,2; D. 9,2,32): la ragione del contenimento della pena per il padrone dei servi.

5. CONCLUSIONE SULLA LETTURA DI D. 9

6. GUIDA ALLA LETTURA DI D. 47,10 (bozza)

6.1. L’azione per iniuriae / ‘atti ingiusti contro la persona’ e sugli scritti infamanti-

6.2. Il metodo lemmatico nel commento all’editto.-

6.3. Sviluppi interpretativi relativi alla varietà di atti ingiusti contro la persona che vengono presi

in considerazione

6.4. La valutazione della sanzione e il suo carattere di pena 6.5. La rilettura dei Digesti compiuta sulla linea di separazione introdotta da essi e le

prospettive di cui questa rilettura ci priva in rapporto alla tutela dei diritti civili e della personalità.

7. GUIDA ALLA LETTURA DI D. 50,13,6 (bozza)

7.1. La provenienza e la collocazione dei frammenti relativi alla fattispecie di ‘fare propria la

lite’ 7.2. La fattispecie di litem suam facere / fare propria la lite.-

APPENDICE DI FONTI AL DI FUORI DI D. 9

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Riassunto delle lezioni

7

RILEGGERE I DIGESTI CONTRIBUTI ROMANISTICI ALLA ELABORAZIONE DI UN SISTEMA DELLA

RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE

Riassunto delle lezioni (1)

0. PROBLEMI DELL'INDIVIDUAZIONE SISTEMATICA DELLA ‘RESPONSABILITÀ CIVILE /

EXTRACONTRATTUALE’ (CENNO AL PROBLEMA DELLE CATEGORIE E DELLE TRADUZIONI)

0.1. Respondere / responsabilità: l’emergere della 'categoria sistematica' delle ‘responsabilità’;

Il termine respondere e forme derivate nel latino antico e medioevale:

Il termine ‘responsabilità’ non è un termine del diritto romano dell’età della formazione del

sistema, cioè dell’età dalla fondazione di Roma a Giustiniano, né lo si riscontra nel latino né antico

né medioevale; lo si incontra nel latino moderno ecclesiastico, ma derivando dalle lingue neo-latine.

Se esaminiamo le origini del termine, dobbiamo iniziare dal verbo respondeo, che, a sua

volta deriva da spondeo.

Per spondeo, abbiamo alcune indicazioni relative ad aree semantiche diverse: spondeo

(dire) / sponsio (promessa) / sponte (volontariamente) / spondás (libagione) Fest. 329: spondere Verrius putat dictum, quod 'sponte sua', id est voluntate, promittatur; deinde, oblitus inferiore

capite sponsum et sponsam ex Graeco dictam ait, quod ii spondás interpositis rebus divinis faciant [Verrio Flacco

ritiene che ‘spondere’ sia detto ciò che si prometta ‘spontaneamente’, cioè per propria volontà; poi, dimenticando,

afferma in un capoverso seguente che ‘sponsus (fidanzato)’ e ‘sponsa (fidanzata)’ è detto dal greco, perché essi

compiono libagione con riti religiosi]

Per respondeo vediamo un allargarsi delle condizioni d’uso:

- a. respondeo (ore loqui/dichiarare con la bocca; promettere a propria volta) / responsum

- b. respondere (rispondere a una interrogatio [domanda]) / nella stipulatio / nella interrogatio in

iure / da parte di un testimone / nella rei vindicatio D.45,1,1: Si quis ita interroget responderit

D.11,1,4,1: quod ait praetor: 'qui in iure interrogatus responderit'

D.22,5,3,1: quanta fides habenda sit testibus an ad ea quae interrogaveras verisimilia responderint

Gai.4,16: qui prior vindicaverat, ita alterum interrogabat; ille respondebat

- c. senza una domanda effettiva o senza parole; difendersi di fronte ad una accusa, citazione ecc.,

convocazione; D.3,3,35,1: patronus libertum et per procuratorem ut ingratum accusare potest, et libertus per procuratorem respondere

D.4,1,7 pr. si citatus non responderit

anche negare in processo la pretesa; D.22,2,12: si creditum petam, ille respondeat solutam esse pecuniam

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Riassunto delle lezioni

8

dover fare/fare qualche cosa di dovuto, al di fuori di una situazione processuale effettiva, ma per la

possibilità di una citazione ecc.; quindi dover adempiere / adempiere (respondere creditoribus) D.30,50,1: respondebat igitur legatariis, ut creditoribus

D.28,8,10: qui possit defuncti creditoribus respondere

D.50,1,17,9: muneribus civilibus respondere

- a'. da responsum deriva poi responsarius e responsalis, come colui che è portatore del responsum;

- b'. da rispondere alla domanda della stipulatio, deriva il rispondere garantendo e, anche senza la

domanda, il garantire e l’indicazione del garante (responsalis, responsor, responderia)

- c'. dal rispondere per essere stato citato, convocato in base ad un rapporto azionabile, deriva anche

l’essere tenuti per il fatto per il quale un tale rapporto potrebbe sorgere e si potrebbe essere citati: respondere pro suo furto/pro damnis

- c''. fatto che può essere conseguenza eventuale dell’affidamento di un incarico; o situazione

implicita nell’affidamento stesso: respondere super administrationibus

- c"'. a volte invece addirittura tale rispondere designa la condotta di pagare in quanto si deve

adempiere: responsiones

Il bilancio, che ora ci interessa. dell’uso di respondeo e forme derivate per l’antichità è

quindi quello che vede il termine legarsi ad un effetto obbligatorio in due direzioni, quella dell’atto

della stipulazione che produce appunto obbligazione, a cui si collega l’obbligazione di garanzia, il

garantire; e quella del rispondere in un processo che può comportare un risultare obbligati, uso dal

quale può svilupparsi il risultare obbligati in base alla causa per la quale si può essere convocati e

interrogati in un processo.

nelle lingue moderne Nelle lingua moderne, si riteneva che il termine fosse stato usato per la prima volta

nell’inglese e poi fosse passato al francese, ma ciò è risultato inesatto.

In francese, le testimonianze più risalenti offrono qualche forma ulteriore rispetto al latino,

ma, salvo una ricorrenza isolata a cui non viene data rilevanza, non vi sono novità di condizioni

d’uso indicando il garantire, pagare, e rispettivi sostantivi: - a/a' : responsail;

- b/b' : qui repond paye; respondence; responseur

- c/c'/c''/c'": responsable; responsion

- una volta responsabiliteit sec.XV

qui repond paye

Jehan Garin sera plaige, cauxion, responds, et principal debteur

que tous le commandors et priours d'outre mer soieut tenus d'establir certaine responsion en chascune maison qua il

tenroient en leur mains

oyut l'intention du demandeur et le responsion de cheli qui serat trais en cause

et que les uns feussent responsables pour les autres

el ly capitle de Liege ly respondit que, selonc leur responsabiliteit, ilhs ...

In inglese, a fianco alle forme: to answer, to account, to respond; answerable, accountable,

liable, responsible, stando alla documentazione fino ad ora verificata, si è ritenuto che apparisse,

per la prima volta attestato per iscritto, il sostantivo : responsibility nel 1766 : Mr. Pitt had chosen only a Side-Place, Without any responsibility annexed to it (1766)

if responsibility was once removed, where could a criminal bi found? Not on the throne, for the King can do no wrong;

not in Administration, for where they are not consulted, they cannot be responsible (1783)

Dall’inglese, il termine passa al francese:

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Riassunto delle lezioni

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Tout Gouvernement a pour unique but le bien commun. Cet intérêt exige que les pouvoirs législatif, exécutif et

judiciaire, soient distincts et définies, et que leur organisation assure la représentation libre des citoyens, la

responsabilité des agents et l'impartialité des juges (Dichiarazione diritti dell’uomo: a. 1789).

Questa uso rende il termine un "maître mot de la Revolution" .

Nonostante la rilevanza del documento citato e l’enfasi della riflessione storiografica riferita,

responsabilité nel CcN./1804 si riscontra solo 5 volte in relazione alle quali si può notare una

prevalenza di ipotesi che con difficoltà sono riconducibili entro il principio dell’essere tenuti per

una propria colpa, principio che indica il fondamento per cui si è tenuti in base ad un ‘delitto’ CcN./1804, art.454 co.2: "La même délibération spécifiera si le tuteur à porter en compte les salaires des

administrateurs particuliers ou agents dont il peut demander le concours, sous sa propre responsabilité";

1384 co.5: "La responsabilité ci-dessus a lieu, à moins que les père et mère, instituteurs et artisans ne prouvent qu'ils

n'ont pu empêcher le fait qui donne lieu à cette responsabilité";

1898: "Dans le prêt de consommation, le prêteur est tenu de la responsabilité établie par l'article 1891 pour le prêt

usage";

1992 co.2: "Néanmoins la responsabilité relative aux fautes est appliquée moins rigoureusement à celui dont le mandat

est gratuit, qu'à celui qui reçoit un salaire";

2137: "Les subrogés tuteurs seront tenus, sous leur responsabilité personnelle, et sous peine de tous dommages et

interéts, de veiller à ce que les inscriptions soient prise sans délai sur les biens du tuteur, pour raison de sa gestion,

même de faire faire les dites inscriptions".

Il CcN/1804 fu adottato nel Regno d’Italia nel 1806, e l’edizione ufficiale fu trilingue :

italiano, francese, latino. Traducendo in italiano, fu sempre utilizzato il termine ‘responsabilità, ma

in latino furono usate le parole: cautio, praestare, agi, teneri, periculum Cc. pel Regno d’Italia./1804, art.454 co.2: Lo stesso atto specificherà se il tutore sia autorizzato a farsi coadiuvare, nella

sua agenzie, da uno o più amministratori particolari, stipendiati ed amministranti sotto la sua responsabilità.

1384 co.5: La predetta responsabilità non ha luogo, allorché i genitori, i precettori, gli artigiani provano ch’essi non

hanno potuto impedire il fatto per cui avrebbero dovuto essere risponsabili.

1898: Nel mutuo il mutuante è obbligato alla stessa responsabilità stabilita con l’art. 1891 per il comodato.

1992 co.2: Tale responsabilità però riguardo alla colpa è applicata meno rigorosamente a quello il cui mandato è

gratuito, che non sia a colui che riceve una mercede.

2137: I tutori surrogati saranno tenuti, sotto la loro responsabilità personale, e sotto pena di tutti i danni e interessi,

d’invigilare ad oggetto che le iscrizioni siano fatte senza ritardo sopra i beni del tutore, per la di lui amministrazione, ed

anche di farle essi medesimi eseguire.

Peraltro, ad una verifica, è risultato che in italiano il termine ‘responsabilità’ era già apparso

prima, o negli stessi anni della sua apparizione in inglese, dal 1760 sia in aree di diritto pubblico che

di diritto privato: Io non dubito che voi non abbiate nulla altro più a cuore che di soddisfare a quelle responsabilità che vi siete in vista del

mondo addossata, nell'osservare l'impegno che non poteva cedere in migliori mani (a. 1760)

I lamenti si appoggiarono unicamente sopra un'innocente omissione o cancellatura dell'occasionale per la responsabilità

dei padroni o dei padri per le frodi de' servitori o de' figli ciò qualora siano scienti e consenzienti (a. 1766)

La responsabilità del mezzano cade sopra il premio che si assume di pagare all'assicuratore, onde il mezzano si fa

garante (a. 1769)

a voler profondamente meditare e ricercare l'essenza del diritto territoriale d'ogni sovranità, si troverà non essere altro

che un obbligo e, dirò anche, un contratto di responsabilità di quanto avviene su quel dato territorio (a. 1782)

Codice per la marina veneta pt.1 tit.2 art. 46: ".. usciti che saranno da questi porti, assumendo massime in allora l'intiera

direzione e responsabilità de' propri legni, e la superiorità de' rispettivi equipaggi" (a. 1786)

Nella lingua spagnola, il termine ‘responsabilidad’ non è registrato nel Diccionario de la

Lengua Castellana, Madrid, 1737, 5, 598. Il Breve diccionario etimológico di J. Coromines indica

genericamente XIX sec., ed esso è presente, poi, sia nell’Escriche, sia nel Calderon.

Le condizioni d’uso del termine risentono poi anche delle traduzioni che vengono svolte di

opere in lingua tedesca, con riferimento al termine ‘Haftung’, a ‘Verantwortung’ ed a

‘Verantwortlichkeit’ (il riferimento alla ‘Haftung’ introduce una problematica connessa con la

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Riassunto delle lezioni

10

costruzione diffusa in area di lingua tedesca della obbligazione intorno ai concetti di Schuld e

Haftung che introduce una prospettiva su cui non è possibile svolgere in questa sede una adeguato

esame).

Potremmo sinteticamente e sommariamente dire che le condizioni d'uso del nuovo termine

individuano in generale un effetto, cioè l'essere (eventualmente) tenuti/obbligati in relazione

all’esercizio di una carica, di una funzione, in relazione ad un fatto, ad un atto, ad una situazione

ecc. anche relativa ad un terzo, senza individuare alcun connotato dei presupposti da cui tale effetto

è connesso, e che quindi si ricorra al nuovo termine in rapporto a situazioni per le quali la

terminologia abituale è consolidata in rapporto a presupposti noti, che non coincidono con quelli

delle situazioni indicate.

0.2. Le categorie sistematiche usate dai Cc. moderni: il ruolo ordinatore delle categorie

sistematiche del ‘delitto e quasi delitto’, del ‘fatto illecito’, del ‘danno’, della ‘responsabilità

civile’ e la prospettiva delle fonti di obbligazione (l’oscuramento della prospettiva inibitoria; il

significato di ‘civile’ per distinguere da ‘penale’, da ‘amministrativo’). Una precisazione

relativa al riferimento alla ‘extracontrattualità’,

Senza entrare nell’esame del sistema dei codici, nella sua derivazione, dalle Istituzioni di

Gaio e Giustiniano e che persiste altresì in modo parziale nella stessa sistematica pandettistica-BGB

(per questa derivazione, l’unica deroga radicale sembra costituita dall’ALR/1794), in relazione al

tema in esame si può cogliere una generale collocazione della materia nell’ambito delle ‘fonti di

obbligazioni’ che includono una pluralità di fattispecie che vengono riunite attraverso quattro

categorie diverse:

- le categorie dei ‘delitti e quasi delitti’ sostanzialmente unificata;

- le categorie del ‘fatto illecito’ / ’azione illecita’ / ’atto illecito’ (categorie che non sono

certo identiche, ma che accomuno sulla stessa linea);

- la categoria che fa capo al Schade / ‘danno’;

- la categoria della ‘responsabilità’, che include una possibilità di collegamento /

unificazione fra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale;

Così, a ‘delitti e quasi-delitti’ si riferisce il Ccfrancese/1804, artt.1382-1386; il

Cccileno/1857 artt.2314-2334, il Ccitaliano/1865, artt. 1151-1156; CcUrug/1868, art. 1280 ss ed

altri; in questi codici, la responsabilità per inadempimento delle obbligazioni è trattata in altra parte,

rispettivamente: Ccfr./1804, art. 1146; Ccit./1865, art. 1225 ss.; Ccch./1857, art. 1556 ss.;

CcUrug./1868, art. 1299 ss. e 1302 ss. ecc.

Ad ‘unerlaubten Handlungen/azioni illecite’ fa riferimento l’ALR/1794, Parte prima, Titolo

6; il Libro delle ObbliSvizz./1884, par. 41-61; il BGB/1900, par. 823-853, e, in modo simile, ad

‘actos ilícitos’ il Cc. argentino/1871, artt. 1066-1136; ad ‘actos illicitos’ il CcBras. 1917, art. 159-

160 e 1518-1532 e CcBras/2002, art. 186; a ‘fatti illeciti’ il Cc. italiano/1942, artt. 2043-2059;

ugualmente a quanto segnalato per il gruppo precedente, la responsabilità per inadempimento delle

obbligazioni è trattata in altra parte: ALR/1794, Parte Prima, Titolo 5 par. 277 s (cfr. anche Titolo 6

par. 17); Ccit./1942, art. 1218 ss.

Al ‘danno’, come pregiudizio arrecato alle sostanze, ai diritti o alla persona, fa riferimento

l’ABGB/1811 che poi, nel livello successivo di costruzione delle fattispecie, individua la ‘azione’

od ‘omissione’, volontaria o involontaria ecc.; questa impostazione accomuna il danno causato al di

fuori di una relazione obbligatoria con quello arrecato nell’ambito di un rapporto obbligatorio per

mora, inadempimento ecc. (infra ). Il riferimento al ‘danno’ sembra essere anche quello che

inquadra la materia del CcFed.russa/1994-1997.

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Riassunto delle lezioni

11

Ha usato la categoria ‘responsabilità’ il CcPort./1867, Parte IV, L. I Da responsabilidade

civil, art. 2361 ss. e poi da ultimo il CcPolonia, 1964; ‘responsabilidad extracontractual / civil / por

actos ilicitos’ il CcPerù/ 1984, artt. art. 1969-1988; il Cc. Paraguay/1987, artt.1833-1871; Cc.

Cuba/1988, artt.81-99; il CcArg./2014, art. 1708 ss.; ‘responsabilidade civil’ il CcBrasile/2002, artt.

927-954. Usa il termine ‘acte illicite’ e anche ‘responsabilité’ già il testo in lingua francese del

Ccegiziano/1948, art. 163-178, ma non sono in grado di accertare il valore del termine arabo.

“Responsabilità civile” è la più corretta traduzione del termine usato dai Principi generali

del diritto civile della RPC/1987, cap. VI: ‘minshi zeren’, che include una sezione di norme comuni

ad ogni tipo di responsabilità, dopo le quali distingue la responsabilità per inadempimento di un

contratto da quella per violazione di un diritto. La legge del 2009 della RPC si riferisce ai “fatti

illeciti” secondo la più corretta traduzione della designazione da essa adottata: ‘qinquanfa’, senza

commistioni con la responsabilità per inadempimento di obbligazioni. In questa legge, è

interessante l’effetto che per primo viene indicato per tali ‘fatti’ (infra).

A livello di progetti, il Pre-Progetto francese (noto sotto il nome del coordinatore: P. Catala)

utilizza il termine-concetto ‘responsabilité’ a cui segue, ad un livello successivo di costruzione della

fattispecie, l’individuazione del ‘fait’ / ‘fatto’. Questo Progetto prevede una sezione di norme

comuni ad ogni tipo di responsabilità civile.

Possiamo quindi rilevare che il termine ‘responsabilità’ viene ad essere sempre più

largamente utilizzato dagli ultimi decenni del secolo scorso.

Esso, ma già il più risalente riferimento ad atti o fatti illeciti, o a ‘danno’, apre altresì la via a

mettere in discussione anche la separazione dalla responsabilità per inadempimento di una

obbligazione, che è già presente nell’ABGB/1811 (infra)1.

1 C.civ.1942

Disposizioni sulla legge in generale (art.1-31) + 6 libri: 1. Delle persone e della famiglia (art.1-455); 2. Delle

successioni (art.456-809); 3. Della proprietà (art.810-1172); 4. Delle obbligazioni (art.1173-2059); 5. Del lavoro

(art.2060-2642); 6. Della tutela dei diritti (art.2643-2969)

- L.4 art. 1173 Fonti delle obbligazioni; tit.9 art.2043-2059: Dei fatti illeciti; e 2947 a cui adde: DPR 1124/1965 (ass.

obbl. infort. lavoro; art. 2;10;11;66; L.990/1969 (ass. obbl. circolaz. veicoli) art.18-19; L.1860/1962 (energ. nucl.) art.

15; 18-23; L.349/1986 (ambiente) art. 18; L.117/1988 (resp. giudiz.) art.2;3;5;7-9;13;14 DPR.224/1988 (resp. danno

prod. difettosi).

ALR. 1794

Introduzione e 2 Parti

la I Parte in 23 tit.: 1:Delle persone e dei loro diritti in generale; 2: Delle cose e dei loro diritti in generale; 3: Delle

azioni e dei diritti che ne sorgono; 4: Delle dichiarazioni di volontà; 5: Dei contratti ( al punto 6: clausole accessorie,

con rinvio a par. di 4; 7: regole interpretative; 8: adempimento dei contratti); 6: Delle obbligazioni e dei diritti che

scaturiscono da azioni illecite; 7: Della custodia e del possesso; 8: Della proprietà; 9: Dell'acquisto particolarmente

della proprietà, e dei modi diretti di acquisto; 10. Dei modi di acquisto indiretti; 11. Dei titoli di acquisto della proprietà

fra vivi ( … anche contratti di locazione d’opera, o di opera in cambio di opera); 12: Dei titoli di acquisto della proprietà

a causa di morte ecc. … 16. Dei modi in cui si estinguono diritti e obbligazioni …. 21. Sui diritti all’uso o utilità di

cose altrui (Usufrutto; ius in agro vectigali; precario locazione di cose )

Ccfr. 1804

Della pubblicazione, degli effetti e dell'applicazione delle leggi in generale + 3 libri: 1. Delle persone (art.7-515); 2. Dei

beni e delle diverse modificazioni della proprietà (art.516-710); 3. Dei diversi modi con cui si acquista la proprietà

(art.711-2281),

- L.3 tit. 4 art.1101 sui contratti e le obbligazioni da accordo + 1370 sulle obbligazioni che si formano senza

accordo; cap.2, art.1382-1386: Des délits et des quasi-délits

Ccit. 1865

Disposizioni sulla pubblicazione, interpretazione ed applicazione delle leggi in generale + 3 libri: 1. Delle persone

(art.1-405); 2. Dei beni, della proprietà e delle sue modificazioni (art.406-709); 3. Dei modi di acquistare e di

trasmettere la proprietà e gli altri diritti sulle cose (art.710-2147)

- L.3 tit.4 art.1097 Delle cause delle obbligazioni; cap.1 sez.3, art.1151-1156: Dei delitti e dei quasi delitti

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Riassunto delle lezioni

12

ABGB. 1811

3 parti: 1: Introduzione. Delle leggi in generale (par.1-14); Del diritto delle persone (par.15-284); 2. Del diritto delle

cose. Sez. 1. Dei diritti reali (par.309-858); Sez.2: Dei diritti personali sulle cose (par.859-1341); 3: Delle disposizioni

comuni ai diritti delle persone ed ai diritti sulle cose (par.1342-1502)

- Parte 2, par.285 Delle cose; Sez.2, par.859 Del fondamento dei diritti personali sulle cose; cap.30 par. 1293-1341:

Del diritto d'indennizzazione e di soddisfacimento

BGB.1900

in 5 libri: Parte generale (par.1-240); 1. Diritto delle obbligazioni (par.241-853); 2. Diritto delle cose (par.854-1296);

3. Diritto di famiglia (par.1297-1911); 4. Diritto ereditario (par.1922-2385)

- PG. Sez.6 Abuso del diritto, Autotutela; L.2 Sez.7 tit.25 par. 823-853: Azioni illecite

ZGB 1911 (ma il libro delle obbl.: 1884)

Titolo preliminare + 5 libri: I Persone (art. 11-89); II Famiglia (art. 90-456); III. Eredità (art. 457-640); IV Diritti reali

(art. 641-977); V Obbligazioni (art. 1-1186)

nel Libro V, Parte I Disposizioni generali, Tit. I Delle cause delle obbligazioni, Capo I Delle obbligazioni derivanti da

contratto; Capo II Delle obbligazioni derivanti da atti illeciti (art. 41-61);

CcCh. 1857

Titolo preliminare + 4 libri: 1. Delle persone (art.54-564); 2. Dei beni e della proprietà, possesso, uso e godimento di

essi (art.565-950); 3. Della successione per causa di morte, e delle donazioni fra vivi (art.951-1436); 4. Delle

obbligazioni in generale e dei contratti (art.1437-2524),

- L.4 art.1437 [fonti delle obbligazioni]; tit.35, art.2314-2334: Dei delitti e dei quasi delitti

CcArg. 1871

Titolo preliminare + 4 libri: Delle persone (art.30-494); Dei diritti personali nelle relazioni civili (art.495-2310); Dei

diritti reali (art.2311-2378); Dei diritti reali e personali. Disposizioni comuni (art.2379-4051)

- L. 2 Sez. 2 [dei fatti involontari]; art. 907-908; Degli atti illeciti 1066-1136 (L.2 Sez. 2 tit.8-9; art. 896-898)

CcBras. 1917

Parte generale: Disposizione preliminare + 3 libri: Delle persone (art.2-42); Dei beni (art.43-73); Dei fatti giuridici

(art.74-80); Parte speciale in 4 libri: Del diritto di famiglia (art.180-484); Del diritto delle cose (art.485-862); Del diritto

delle obbligazioni (art.863-1571); Del diritto delle successioni (art.1572-1807),

- art. 159-160 Degli atti illeciti; 1518-1532 Delle obbligazioni per atto illecito

CcBras. 2003

Parte generale: 3 libri (id.); Parte speciale in 4 libri (id.)

- PG. art. 185 Degli atti giuridici illeciti; L. 3, art. 927-954 Della responsabilità civile

CcPer. 1984

Titolo preliminare + 10 libri: 1:Diritto delle persone (art.1-139); 2: Atto giuridico (art.140-232); 3: Diritto di famiglia

(art.233-659); 4: Diritto delle successioni (art.660-880); Diritti reali (art.881-1131); 6: Le obbligazioni (art.1132-1350);

7: Fonti delle obbligazioni (art.1351-1988); 8: Prescrizione e caducazione (art.1989-2007); 9: Pubblici registri

(art.2008-2045); Diritto internazionale privato (art.2046-2111); Titolo finale

- L.7 Sez.6, art. 1969-1988: Responsabilità extracontrattuale

CcPar. 1987

Titolo preliminare + 5 libri: 1: Delle persone e dei diritti personali nelle relazioni di famiglia (art.28-276); 2: Dei fatti e

atti giuridici e delle obbligazioni (art.277-668); 3: Dei contratti e delle altre fonti delle obbligazioni (art.669-1871); 4:

Dei diritti reali sulle cose (art.1872-2442); 5: Della successione per causa di morte (art.2443-2809)

- L.3, tit.8, art.1833-1871 Della responsabilità civile / I. per fatto proprio, II. per fatto altrui, III. senza colpa, IV.

della stima e della liquidazione del danno, V. dell’esercizio della azione civile e il suo vincolo con la azione penale

CcCu. 1988

Titolo preliminare + 4 libri: 1: Rapporto giuridico (art.1-126); 2: Diritto di proprietà e altri diritti sui beni (art.127-232);

3: Diritto delle obbligazioni e contratti (art.233-465); 4: Diritto delle successioni (art.466-574), art.81-99; 104-107

- L.1 cap.4 Atti illeciti art. 81, Sez. 2, Responsabilità civile per atti illeciti art.81-99; cap. 6 Attività che generano

rischio 104-107

CcEg. 1948

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Riassunto delle lezioni

13

La creazione di un termine ‘responsabilità’, con il passaggio dal verbo al sostantivo, segnala

un mutamento di ciò che si vuole esprimere e di cui, nelle nostre lingue, il sostantivo costituisce il

momento di piena concettualizzazione. La creazione del termine ‘responsabilità’ sembra connessa

ad una volontà di ridiscussione delle condizioni d’uso dei termini-concetti del campo semantico in

cui si inserisce, che, in relazione alla materia, vede la presenza di: agi, prestare, teneri, cautio,

culpa, casus, periculum ecc. / ‘essere chiamati in causa’, ‘essere tenuti’, ‘garantire’, ‘obbligo’,

‘impegno’, ‘garanzia’, ‘sindacabilità’, ‘colpa’, ‘caso fortuito’, ‘rischio e pericolo’ ecc. Il termine

‘responsabilità’, ad es., ha dapprima avuto un uso assai ristretto, puntuale, ma altresì connesso a

difficoltà di classificazione dei presupposti a cui si riferiva, fra i quali il modo di considerare la

colpa e la stessa necessità di essa mentre l’interesse era di designare un effetto: una possibilità di

chiamare in causa, di obbligare, di vincolare. Quindi, il termine si è presentato altresì come aperto

alla ridefinizione dei presupposti a seguito dei quali si dà un determinato effetto obbligatorio in una

certo ambito il cui elemento unificante diventa il danno, quasi come uno strumento per una

concettualizzazione unitaria di una problematica sugli elementi costitutivi comuni alle fattispecie di

cui esso veniva ad indicare una conseguenza; o uno strumento indifferente ad esprimere la stessa

esistenza di presupposti comuni. Sulla sua consistenza dogmatica, la discussione sembra aperta in

un contesto di confronto fra le prospettive: culpa est punienda e damna sunt sarcienda; ai privati

spetta il risarcimento del danno, la punizione spetta allo stato.

Disposizioni preliminari (1-88) + 2 parti in 3 libri: I,1: le obbligazioni in generale (art.89-417); I,2: i contratti (art.418-

801); II,3: I principali diritti reali (art.802-1149)

- P.1 L.1 tit.1 fonti delle obbl., cap.3, art.163-178 Atto illecito. I. Responsabilità del fatto personale, II.

Responsabilità del fatto altrui, III. Responsabilità del fatto di cose

CcPolonia/1964

Quattro libri: Parte Generale (1-125); Proprietà e altri diritti reali (126-352); Obbligazioni (353-921); Le eredità (922-

1088) [vi è un Cod del diritto di famiglia]

Libro 3: Disp. Gen.; Pluralità di debitori e creditori; Le obbl. da contratto; =; Arricchimento senza causa; i Fatti illeciti

(415-449); Responsabilità da danno provocato da prodotto che può arrecare danno (449.1-11 introdotto 2000 -

Odpowiedzialność da Odpowiedzieć = rispondere); Adempimento obbligazioni ecc.

CcFederazione Russa/1994-1997

Prima Parte: Sez. 1:Disposizioni generali: Disposizioni di base (1-16); Persone (17-127); Oggetti [cose]; … Sez 2:

Proprietà ed altri diritti reali; Sez 3: Parte generale delle obbligazioni ; Parte generale sul contratto; Seconda Parte: Tipi

di obbligazioni …. Cap.59 Obbligazioni come conseguenza della produzione di un danno (1064-1101)

[nell’epigrafe di numerosi articoli la trad ingl. usa ‘responsability’]

CcVietnam/1996

Sette parti: Disposizioni generali; Proprietà e diritti di appartenenza; Obbligazioni e contratti civili; Eredità;

Trasferimento dei diritti reali; Proprietà intellettuale e trasferimento di tecnologie; DIP

Parte terza: cap. 5: ??Liability?? per danno extracontrattuale (609-633)

PrGenRPC. 1987

9 capitoli: 1: Principi basilari (1-8); 2: Cittadini (persone naturali) (9-35); 3: Persone giuridiche (36-53); 4: Atti giuridici

e rappresentanza (54-70); 5: Diritti civili (71-105); 6: Responsabilità civile (106-134); 7: Prescrizione (135-141); 8:

Rapporti con stranieri (142-150); 9: Disposizioni supplementari (151-156)

- art.106-110: Responsabilità civile; 117-133: Responsabilità civile per violazione di diritti

Legge (della RPC) sulla responsabilità da illecito civile, 2009

Pre-progetto rif. Ccfr. 2005

art. 1340-1386: Responsabilità civile. Disposizioni comuni alla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.

Disposizioni proprie della responsabilità extracontrattuale. Disposizioni proprie della responsabilità contrattuale

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Riassunto delle lezioni

14

La collocazione della materia nell’ambito delle fonti delle obbligazioni è generale, con

l’eccezione del CcBras/1917 e 2002 che prevede una doppia collocazione includendo gli ‘atti

giuridici illeciti’ nella parte generale e conservando quindi a tale categoria un ruolo significativo.

Sul punto, però, una precisazione è quella a cui dà occasione la legge della RPC che, separata dal

contesto di un codice, che è ancora in itinere, sottolinea come prime conseguenze della tutela dei

diritti e interessi dei soggetti, e quindi come prime forme in cui si concretizzano gli effetti quelle

inibitorie rivolte alla cessazione dell’attività dannosa e delle turbative, ed alla rimozione del

pericolo (art. 15 n. 1-3).

Che l’obbligazione abbia per oggetto il risarcimento del danno è altresì generale, ma delle

sfumate distinzioni sono altresì presenti, e risultano particolarmente evidenziate dall’impostazione

dell’ABGB/1811, par. 1293-1341 che inquadra la materia come Rechte des Schadensersatzes und

der Genugtuung/ ‘diritto di indennizzazione e di soddisfacimento’ su cui par. 1323 ss.; il Libro delle

ObbliSvizz./1884, par .47 per la morte o lesione di un uomo parla di ‘equa indennità pecuniaria a

titolo di riparazione’ e per la lesione alla sua personalità di ‘somma a titolo di riparazione morale’;

il Ccit./1942, art. 2059 parla di ‘danno non patrimoniale’.

La qualifica di ‘civile’ per questa ‘responsabilità’ sottolinea la differenza da ‘penale’ e

‘amministrativa’, e vale a evidenziare che si sviluppa nelle relazioni paritarie fra cittadini che

escluderebbero profili ‘punitivi’, riservati allo stato moderno e al ricorso a procedure giudiziari

qualificate per l’irrogazione degli effetti sanzionatori stessi.

Una ulteriore precisazione risulta necessaria in seguito alla ambiguità / apertura che emerge

con l’abbandono del riferimento a ‘delitti, quasidelitti’, cioè la precisazione introdotta nel nostro

programma relativa alla distinzione fra ‘contrattuale-extracontrattuale’.

Certamente la terminologia che si abbina alla idea di “pena” comporta delle difficoltà

evidenti per il diritto moderno che, come accennato, riserva l’irrogazione di una pena allo stato. La

terminologia invece che da tale prospettiva “penale” si allontana si incontra però nella difficoltà /

opportunità di distinguere / non distinguere fra l’obbligazione al risarcimento / soddisfacimento che

deriva dalle fattispecie che sono lo sviluppo delle precedenti del diritto penale privato romano e le

altre.

Premesso che l’espressione ‘extracontrattuale’ è senz’altro una formulazione semplificata

per fini didattici come quella delle due fonti delle obbligazioni di Gai. 3,88, o per sineddoche, essa

fa riferimento genericamente ai fatti e atti che non costituiscono inadempimento di una

obbligazione: mi sembra, peraltro, che la distinzione di questi da quelli che costituiscono invece

inadempimento di una obbligazione vada conservata.

La elaborazione della obbligazione è stata una grande conquista del diritto romano. Le

conseguenze dell’inadempimento di una obbligazione sono legate all’individuazione di questa come

figura giuridica distinta sia dalle situazioni potestative sia dai diversi doveri, obblighi, oneri che

possono far capo ad una persona.

Il precetto del diritto ricordato all’inizio delle Istituzioni di Giustiniano di alterum non

laedere (J. 1,1,3), non pone in essere delle ‘obbligazioni’, ma dei ‘doveri’ di tutti i consociati nei

confronti delle altre persone, con le quali, per lo più, non vi è stato alcun “contatto” precedente. La

determinazione del contenuto di tale dovere non dipende, di regola, dalla volontà dei privati o dalla

buona fede e dall’equità. Dell’adempimento di tale dovere non può essere prestata garanzia reale o

personale (il metodo delle cautiones relativo ai rapporti fra vicini, concerneva appunto situazione

nelle quali vi è un preesistente “contatto”).

0.3. Assenza, nell’editto perpetuo, di indicazioni sistematiche relative alla materia in

considerazione.

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Riassunto delle lezioni

15

Il sistema dell’Editto perpetuo non sembra consentire l’individuazione di una tendenza a

costruire un nucleo di sistemazione della materia assimilabile alla tendenza che riscontriamo nelle

Istituzioni (infra) né a quella che sembra emergere poi nei Digesti (mi riferisco non al risultato, che

potrebbe essere diverso, ma, come detto, alla tendenza ad ordinare la materia secondo una o più

macrocategorie ordinanti esplicite o anche implicite, ma di cui siano riscontrabili la

consapevolezza). Editto perpetuo

[Parte introduttiva, sull’ordine e garanzia del potere giurisdizionale]

1.Di coloro che in un municipio, in una colonia, in un foro presiedono alla giurisdizione. 2. Sulla giurisdizione. 3.

Sull’indicazione dell’azione e sulla esibizione dei conti. 4. Sui patti convenuti. 5. Sulla chiamata in giudizio. 6. Sul

postulare in giudizio. 7. Sulla garanzia di essere presente al processo. 8. Sui rappresentati al processo, sui procuratori e

sui difensori. 9. Sui calunniatori. 10. Sui provvedimenti di reintegrazione. 11. Sull’assunzione di determinate

responsabilità. 12. Sullo stipulare garantendo nel processo. 13. Per quali cause non è necessario che sia fatto un

accertamento pregiudiziale

[Parte seconda, sugli strumenti di tutela ordinaria]

14. Sui giudizi (par. 53-59: … 58: sulle azioni nossali; par. 59: se il giudice abbia fatto sua la lite).

15. Sulle cose che sono nel patrimonio di qualcuno (par. 60-90, include azioni reali e personali di tutela contro la

contestazione del diritto e il danneggiamento della cosa; all’inizio gli editti: par. 60: sulla Publiciana; par. 61: su coloro

che abbiano versato o gettato di sotto qualcosa; par. 62: che non si tenga su una tettoia …; par. 63; sulla corruzione del servo; par. 64: sui giocatori d’azzardo; … ; poi le azioni non fondate su un editto: par. 66: azioni di

eredità; … ; par. 75: se un quadrupede …; par. 76: sul pascolo delle pecore …; par. 77. sulla legge Aquilia; par. 78:

contro gli armatori, albergatori … ;…); par. 79-82. 89. azioni divisorie ... par. 90 azione esibitoria.

16. Sulle cose religiose e sulle spese dei funerali.

17. Sulle cose che si confida ci vengano restituite.

18. Se si dica che l’affare è stato concluso con il comandante della nave, con l’armatore, o con colui che è in potestà

altrui.

19 Sui giudizi di buona fede. 20. Sulle controversie nei confronti della moglie. 21. Sui figli e sui concepiti. 22. Sulle

tutele. 23. Sui furti. 24. Sul diritto di patronato

[Parte terza, sugli strumenti di tutela rapida]

25-27 [tutela delle universalità di beni]; 28-30 [tutela dei fondi]; 31 [tutela delle persone, cioè, Sulle cause di libertà];

32-35 [tutela di altre situazioni; fra queste: 35 Sugli atti ingiusti contro la persona]

[Quarta parte, sulla esecuzione e sulla revocatio]

36-37 [Esecuzione personale]; 38-41 [Esecuzione reale]; 42 Sulla revoca della sentenza nel doppio

[Appendice, sugli interdetti]

43. Sugli interdetti

[Appendice sulle eccezioni]

44.Sulle eccezioni

[Appendice, sulle stipulazioni pretorie]

45. Sulle stipulazioni pretorie

[Appendice, sull’editto degli edili]

Editto degli edili curuli

0.4.Le categorie sistematiche usate nelle Istituzioni (J.1,2,12 > 2,2 pr. e 2 > 3,13, pr.-2 > 4,1-5;

4,6 pr. e 18-19; 4,8-9): il ruolo ordinatore delle categorie: da delitto e come da delitto.

Non entro nell’esame del sistema delle Istituzioni di Giustiniano, che però è utile avere per lo

meno in parte presente e di cui va tenuta presente la radice nelle Istituzioni di Gaio Istituzioni

giustizia, diritto, fonti (J.1,1-2)

persone (J.1,3-26): somma divisione delle persone: liberi (nati liberi e liberti) e schiavi (J.1,3-7); di diritto altrui: in

potestà dei padroni quindi schiavi (J.1,8); in potestà patria: figli di famiglia (modi in cui si diventa: nascita in

giusto matrimonio J.1,9 - caratteri e requisiti del matrimonio J.1,10, o legittimazione J.1,10,13, o adozione

J.1,11; modi in cui la patria potestà si estingue J.1,12); di diritto proprio, in tutela o curatela (J.1,13-26) o tenuti

da nessun diritto.

cose (J.2-4,5): cose al di fuori del nostro patrimonio (J.2,1,1-10)/nel nostro patrimonio: modi di acquisto della proprietà

sulle cose (J.2,1,11-48); cose corporali/ incorporali (J.2,2) e diritti sulle cose altrui.: servitù, usufrutto, uso e

abitazione (J.2,3-5); altri modi di acquisto di cose singole: usucapione e conazione (J.2,7-8); acquisto attraverso

persone in potestà di altre (J.2,9); successione testamentaria (J.2,10-25)/intestata (J.3,1-12)/ atri modi di acquisto

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Riassunto delle lezioni

16

in blocco (3,10-12); obbligazioni (J.3,13-4,5) da contratto (J.3,14-26), quasi da contratto (J.3,27), e obbligazioni

concluse da persone in potestà di altri (J.3,28); estinzione delle obbligazioni (J. 3,29); obbligazioni da delitto (J.4,1-4), quasi da delitto (J.4,5);

azioni (J.4,6-18): a. in rem/in personam (J.4,6,1-15); azioni reipersecutorie, penali, miste <in rapporto al petitum>(J.

4,6,16-19); altre divisioni (J.4,6,20-40); azioni con cui si può agire nei confronti di una persona per un atto lecito

o delitto di altri (J.4,7-9); altri che possono agire in nostro nome (J.4,10); garanzie (J.4,11); estinzione e

trasferibilità delle azioni (J.4,12); altri mezzi processuali: eccezioni e repliche (J.4,13-14); interdetti (J.4,15): i.

proibitori, restitutori / esibitori (J.4,15,1); i. per conseguire / per conservare / per recuperare il possesso (J.4,15,2-

6); i. semplici / duplici (J.4,15,7); sanzioni per i litiganti temerari (J.4,16); doveri del giudice (J.4,17); giudizi

pubblici (J.4,18)

In relazione al tema in esame si può considerare in modo specifico la sequenza: J. 1,2,12: tutto il diritto di cui facciamo uso si riferisce alla persone o alle cose o alle azioni; J. 2,2,pr.: Alcune cose, poi,

sono corporali, altre incorporali. ... 2. Incorporali sono le cose che non si possono toccare. Tali sono quelle che

consistono in un diritto ... ciò che ci è dovuto per qualche obbligazione per lo più è corporale, ad esempio un fondo, un

servo, del denaro; ma il diritto ... d’obbligazione in sé è incorporale; J. 3,13pr. Ora passiamo alle obbligazioni.

L’obbligazione è il vincolo giuridico in forza del quale siamo costretti a pagare qualche cosa secondo il diritto della

nostra comunità politica. 1. La divisione maggiore di tutte le obbligazioni le articola in due generi: sono, infatti, o civili

o pretorie. ... 2. La divisione successiva le divide in quattro specie: le obbligazioni o da contratto, o come da contratto, o

da misfatto, o come da misfatto2. È prioritario che esaminiamo prima quella che derivano da contratto. Di queste,

pure, ci sono quattro specie: si contraggono invero mediante cosa (re), o parole, o scritti, o consenso. Vediamole

distintamente; J. 4,1: Delle obbligazioni che nascono da delitto <Del furto> J. 4,1pr.; Avendo esposto nel libro che

precede le obbligazioni da contratto e come da contratto, dobbiamo ora vedere le obbligazioni da misfatto. Ma le

prime, come a suo luogo indicammo, si dividono in quattro generi; queste invero sono di un unico genere, perché tutte

nascono da un evento (ex re), cioè dal misfatto stesso, come da furto, rapina, danno o fatto ingiusto contro la persona. ...

J. 4,2 Dei beni portati via con violenza; J. 4,3, Della legge Aquilia; J. 4,4: Degli atti ingiusti contro le persone; J.

4,5: Delle obbligazioni che nascono come da delitto; J. 4,5pr.: Se il giudice abbia fatto sua una lite, non risulta

propriamente obbligato da misfatto. Ma poiché non è obbligato nemmeno da contratto si ritiene che in qualche cosa

abbia mancato, sia pure per imprudenza, sembra quindi tenuto come da misfatto ... J. 4,6pr. Ci resta da parlare delle

azioni ...18. Delle azioni derivanti da misfatti, alcune sono state introdotte al fine di perseguire soltanto una pena,

altre al fine di perseguire sia una pena sia una cosa e, perciò, sono miste. Uno persegue solo una pena mediante l’azione

di furto ... 19.L’azione per i beni portati via con violenza è mista. Ma anche l’azione della legge Aquilia è mista, e non

solo nei confronti di colui che nega, ma a volte anche se viene condannato per il semplice valore [perché questo è

costituito dal maggior valore nell’ultimo anno, o mese] ...; J. 4,8: Delle azioni nossali; J. 4,9: Se si dica che un

quadrupede abbia arrecato un danno.

In base a questa sequenza, vediamo incardinate le citate fattispecie dei delitti e dell’essere

tenuti come da delitto (fattispecie del giudice che abbia fatto sua la lite; delle cose cadute o versate

da una casa, e delle cose tenute posate o sospese che potrebbero cadere; dell’armatore di una nave,

o del titolare di una locanda o una stazione di cambio degli animali per il furto ivi commesso) fra le

fonti delle obbligazioni.

L’oggetto della obbligazione che nasce da tali fattispecie è una pena risarcitoria (natura

mista) perseguibile con una azione in personam. Alla trattazione delle azioni in generale si affianca

quella delle azioni nossali, per il caso in cui l’autore del delitto sia un servo. A quest’ultima ipotesi,

sono affiancate quelle del danno arrecato da un quadrupede che abbia avuto impulsi non conformi

alla natura degli animale del suo genere, e quella del danno arrecato da un animale non mansueto,

anch’esse fonti di obbligazione con cui si persegue o la consegna a nossa dell’animale o una pena

risarcitoria, ma dalle prime profondamente diverse, in quanto si tratta di azioni esclusivamente

nossali, per le quali non esiste l’ipotesi di fattispecie a cui consegue una azione che tale non sia.

0.5. Assenza di chiare indicazioni sistematiche nel Codice (C.6,2; 9,33; 3,35; 9, 35; 3,41)

Il sistema seguito nel Codice non risulta offrire indicazioni che aiutino a cogliere un orientamento

in materia, salvo una vicinanza fra la tutela delle cose con azioni reali e la tutela aquiliana, che sarà

2 Le Istituzioni di Gaio prevedono, in modo semplificato, solo l bipartizione: Gai. 3,88: Ora passiamo alle obbligazioni.

La divisione maggiore di esse le articola in due specie:ogni obbligazione, infatti, o nasce da contratto o da delitto.

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Riassunto delle lezioni

17

più rilevante per i Digesti3. Non viene utilizzata a fini sistematici la categoria dei delitti: C.6,2; 9,33;

3,35; 9, 35; 3,41; né si realizza il tipo di accorpamento creato nel Digesto

0.6. Il problema della base dell’ordine adottato nei Digesti (rottura della categoria dei delitti:

D. 44,7,1> 44,7,4. 5,4ss.> 47,1-10 ma D. 9,2 separato da D.47,2; 47,8; 47,10; elaborazione di D.

9,1-4; adde? D. 4,2-3; D. 4,9 e 47,5 ): il ruolo ordinatore della colpa? del danno? della “pena

risarcitoria”?

Non entro nell’esame del sistema dei Digesti di Giustiniano, che però è utile avere per lo

meno in parte presente: Digesti

Prima parte: giustizia, diritto e fonti (D.1,1-4); persone (D.1,5-7); cose (D.1,8); senatori (D.1,9); magistrati e funzionari

(D.1,10-22); <giurisdizione e processo> (D.2,1-4,9 [responsabilità degli armatori, albergatori, titolari di stazioni di

servizio per i fatti dei dipendenti D. 4,9])

Parte seconda, sui giudizi <a tutela delle cose> (D.5-11): sulla giurisdizione (D. 5,1); sulle azioni in rapporto a cose che

sono nei beni di qualcuno (D.5,2-11,6): azioni in materia ereditaria (D.5,2-7); rivendicazione, a.Publiciana (D.6,1-2);

enfiteusi (D.6,3); usufrutto (D.7,1-6; 7,9); opere dei servi (D.7,7); uso e abitazione (D.7,8); servitù (D.8); <azioni per

pena risarcitoria di danni?> (D.9: 1. danni arrecati da animali; 2. legge Aquilia; 3. su coloro che abbiano versato o gettato di sotto qualcosa 4. azioni nossali); azioni divisorie (D.10,1-3); azione esibitoria (D.10,4); altri strumenti

processuali (D.11,1-2); altri 'illeciti extracontrattuali' (D.11,3-6); sulle azioni in rapporto a cose religiose e spese

funerarie (D.11,7-8).

Parte terza. Sulle cose <dovute> (D.12-19): condictio, constitutum, comodato, pegno (D.12-13); obbligazioni contratte

da persone preposte ad attività, o in altrui potestà (D.14-15); obbligazioni di garanzia contratte da donne (D. 16,1);

contratti consensuali/bonae fidei iudicia: compensazione, deposito, mandato, società, compravendita, locazione-

conduzione, contratti c.d. innominati (D.16,2-19);

Parte quarta. Ombelico (D. 20-27): libri singolari in materia di obbligazioni (D.20-22): pegno e ipoteca (D.20); altri

strumenti di protezione del creditore (D.21-22); matrimonio e dote (D.23-25); tutela e curatela (D.26-27)

Parte quinta <Successione ereditaria>: D.28-36>: sui testamenti (D.28-29); legati e fedecommessi (D.30-34); legge

Falcidia e SC.Trebelliano (D. 35-36>;

Parte sesta (37-44) : possesso dei beni ereditari (D.37-38); rapporti di vicinato: denuncia di nuova opera, danno temuto,

danno da cose inanimate (D.39,1-3); donazioni tra vivi e a causa di morte (D.39,5-6); manomissioni (D.40); modi di

acquisto del possesso e della proprietà e modi di acquisto di essa (D.41); effetti delle sentenze, immissione nel

patrimonio e sua vendita, azione Pauliana e altri provvedimenti (D. 42); interdetti (D.43); eccezioni (D.44);

obbligazioni e relative azioni (D.44,7);

Parte settima (D. 45-50): obbligazioni verbali (D.45-46); <diritto penale> (D. 47-48): delitti privati (D. 47,1): furti e

figure assimilate (D.47, 2-7); violenza e figure assimilate (D.47, 8-9); atti ingiusti contro la persona (D. 47,10); altre

figure delittuose e criminose (D.47, 11-22); azioni popolari (D.47, 23); crimini pubblici (D.48): giudizi pubblici (D. 48,

1-3); fattispecie criminose (D. 48, 4-16); contumacia e indagini (D. 48, 17-18); punizione (D. 48, 19-24); appelli

(D.49,1-13)]; <diritti particolari> (D. 49,14-18): fisco (D.49,14); postliminio (D.49,15); militari (D.49,16-18); comunità

locali: municipi, decurioni, incarichi civili obbligatori e opere pubbliche, mercati ecc. (D.50,1-15); significato delle

parole e regole (D.50,16-17)

3 Codice

Diritto relativo a ciò che è sacro (C. 1,1-13)

fonti del diritto (C. 1,14-23)

diritto relativo ai magistrati e funzionari (C. 1,24-57)

diritto privato (C. 2-8) : giurisdizione, processo e giudizi (C. 2-3) e qui le diverse azioni reali (C. 3,19-20. 31-34), de

lege Aquilia (C. 3, 35), azioni divisorie (C. 36-39), azioni nossali (C. 3,41), azione esibitoria (C. 3,42), cose religiose e

spese funerarie (C. 44);

sulle cose dovute e sulle obbligazioni (C.4);

sponsali, matrimonio, dote, tutelae curatela (C. 5);

servi fuggitivi, furti, corruzione del servo liberti; successione ereditaria (C.6);

manomissioni, usucapione e prescrizione, sentenze (C. 7);

interdetti, pegno, patria potestà, donazioni, stipulazioni (C. 8)

diritto penale (C.9)

diritto finanziario e amministrativo (C. 10-12)

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Riassunto delle lezioni

18

In relazione al tema in esame, dei delitti e dell’essere tenuti come da delitti nell’ambito

delle fonti di obbligazioni, bisogna ricordare la parziale dipendenza dal sistema dell’editto perpetuo,

che pure non possiamo esaminare neppure superficialmente e limitatamente alla materia in esame

(esso è riferito per poter fare alcune, poche, puntuali osservazioni).

La prima osservazione è relativa ad una differenza rispetto al sistema presente nelle

Istituzioni di Gai. 3,88: questo sistema viene riproposto, con piccola variante migliorativa, e che

dobbiamo tenere sotto gli occhi come una delle prospettive tenute aperte dai giuristi che hanno

elaborato quest’opera. Il titolo D. 44,7 infatti, ‘Sulle obbligazioni e sulle azioni’ inizia con il fr. di

Gaio che perfeziona l’impostazione delle istituzioni, ma non la abbandona: D. 44,7,1pr. Gaio nel

secondo libro Sulle cose auree: Le obbligazioni nascono o da contratto o da misfatto o da diverse

configurazioni di cause obbligatorie tipicamente regolate. A questo testo segue D. 44,7,4, pure di

Gaio, in cui si elencano i quattro delitti, cogliendo come connotato comune di essi il fatto che da

essi l’obbligazione nasce re / ‘con la cosa’; segue poi D. 44,7,5, sempre di Gaio, che contiene le

ipotesi delle varie fattispecie di cause nella cui presentazione passa dalla gestione di affari altrui,

alla tutela, al pagamento dell’indebito, al giudice che fa propria la lite, alle cose cadute o versate

dall’alto di una casa e delle cose tenute posate o sospese che potrebbero cadere; dell’armatore di

una nave, o del titolare di una locanda o una stazione di cambio degli animali per il furto ivi

commesso. A questo sistema, se ne affianca un altro, nel fr. D. 44,7,52 di Modestino, che rileverà

marginalmente. Rileva invece molto il fatto che, dal punto di vista dell’ordine espositivo, il sistema

viene spezzato: D. 9,2 Sulla legge Aquilia viene separato dalla trattazione degli altri delitti che

vengono collocati in D. 47,2 ss. sul furto; D. 47,8 s. sui beni portati via con violenza, sui danni

arrecati nei tumulti, sugli incendi, crolli ecc.; D. 47,10, sugli atti ingiusti contro la persona e sui

libelli diffamatori; e affiancati ai crimini la cui persecuzione si è sviluppata nell’ambito delle

cognitio extra ordinem, o anteriormente (i libri D. 47-48, dal punto di vista dell’accorpamento e

isolamento della materia, costituiscono un sicuro antecedente dei codici pensali).

Osservando meglio, si nota poi che D. 9,2 è inserito in un libro che risulta costruito in

modo innovativo.

Il Libro 9 dei Digesti è dedicato a quattro argomenti, e cioè D. 1: sul danno arrecato da

quadrupedi, previsto dalle Leggi delle XII Tavole, del V sec. a.C.; D. 2: sul danno alle cose previsto

dalla legge Aquilia, del III sec. a.C.; D. 3: sul danno arrecato da cose versate o cadute da una

finestra in una via, o sul pericolo di danno per cose appese su una via e che possono cadere, previsto

da un editto del pretore forse del II sec. a. C.; D. 4: sulle azioni nossali per i delitti commessi da

persone nella potestà di altri, titolo che riscontriamo già presente nell’editto perpetuo emanato dal

pretore, che l’Imperatore Adriano aveva chiesto al giurista Salvio Giuliano di redigere in forma

definitiva nel II secolo d.C., e che poi era stato alla base dei grandi commentari dei giuristi

posteriori (Pomponio, Paolo, Ulpiano; Gaio, si era invece riferito all’editto provinciale, ma l’ordine

era ormai lo stesso).

La prima osservazione che possiamo compiere è che questa materia complessiva non era

trattata unitariamente e in questo ordine nell’editto perpetuo ora ricordato.

Possiamo notare, infatti, dalle epigrafi dei frammenti tratti dai commentari All’editto di

Gaio, di Ulpiano e di Paolo, che D. 9,1,1 deriva dal libro 18 del commentario All’editto di Ulpiano;

D. 9,1,2 deriva dal libro 22 del commentario All’editto di Paolo e D. 9,1,3 deriva dal libro settimo

del commentario All’editto di Gaio; poi D. 9,2,1.3.5 ecc. derivano dal libro 18 di All’editto di

Ulpiano; D. 9,2,6.10.14. 22 ecc dal libro 22 All’editto di Paolo; D. 9,2,2.4.8 dal libro 7 All’editto di

Gaio, e quindi possiamo dire che questi due argomenti erano vicini già nell’editto perpetuo. Se

seguiamo l’indicazione di D. 4,9, sulla base del fatto che D. 4,9,6, deriva dal libro 22 All’editto di

Paolo, e D. 4,9,7, dal libro 18 All’editto di Ulpiano, potremmo altresì aggiungere che i due titoli

predetti erano seguiti dalla trattazione dell’azione nei confronti degli armatori, titolari di alberghi o

stazioni di cambio dei cavalli, il cui esame è stato spostato per motivi che andranno chiariti (non

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Riassunto delle lezioni

19

entro nel problema della collocazione dell’azione sul pascolo delle pecore, prevista dalle Leggi

delle XII Tavole, 8,7).

Quanto al Titolo D. 9,3, notiamo che D. 9,3,1.3.5 derivano dal libro 23 All’editto di

Ulpiano; D. 9,3,4.6 dal libro 19 All’editto di Paolo; D. 9,3,2.7 dal libro 6 All’editto di Gaio; quindi

questo argomento non era trattato vicino ai precedenti ed è stato avvicinato successivamente (esso

era trattato vicino ad altri fatti illeciti privati: sulla corruzione del servo, ora D. 11,3; sui giocatori

d’azzardo, ora D. 11,5); solo nel commentario All’editto Gaio vi è una vicinanza: libri 6 e 7.

Quanto al Titolo D. 9,4, notiamo che D. 9,4,2.6.14 derivano dal libro 18 All’editto di

Ulpiano dove trattava della legge Aquilia; D. 9,4,3.5.7 derivano dal libro 3 All’editto di Ulpiano,

dove trattava del delitto di falsificazione dell’albo del pretore; D. 9,4,8.36.38.42. dal libro 37

All’editto di Ulpiano, sui furti (cfr. D. 47,2,50); D.9,4,11 dal libro 7 All’editto di Ulpiano dove

trattava di chi garantiva la futura presenza del convenuto in giudizio (cfr. D. 2,9,1); D. 9,4,21 deriva

dal libro 23 All’editto di Ulpiano dove trattava dei giudizi in generale (in questo ambito, delle azioni

nossali). Una provenienza così varia si riscontra anche per i frammenti tratti dai commenti all’editto

di Paolo e Gaio, e quindi possiamo dire che questo titolo, pur presente nell’editto perpetuo, ma,

come detto, in altra posizione, è stato avvicinato ai tre titoli sopra ricordati e largamente sviluppato

nei Digesti, mettendo insieme testi che provengono dalla trattazione dell’argomento in relazione ai

diversi delitti. Questo titolo, peraltro, non tratta della nossalità prevista per il danno arrecato da

animali, di cui al Titolo 1 di questo libro.

Il libro D. 9 è stato quindi così composto dai giuristi che hanno lavorato ai Digesti per

enucleare una tematica che a loro interessava così comporre. Essi, peraltro, hanno conservato la

vicinanza dei primi due titoli fra loro, l’ordine dei quali era chiaramente cronologico: precede la

trattazione della fattispecie prevista dalla legge più antica. Anche la posizione del titolo terzo

rispetto agli altri due potrebbe essere considerata seguire un ordine cronologico. L’insieme, però,

sembra costituire un nucleo tematicamente caratterizzato da una unitarietà che supera i singoli

istituti riuniti nel libro e che merita di essere posta in luce anche perché essa ha avuto una grande

proiezione sulle posteriori elaborazioni e sistemazioni della materia che oggi riferiamo alla

responsabilità civile, extracontrattuale. In rapporto a questa unità, ci poniamo domande sul ruolo

ordinatore della colpa? del danno? della “pena risarcitoria”?

Queste domande portano poi a vedere altre fattispecie che avrebbero potuto essere

ricondotte intorno a questo nucleo: sulla base delle Istituzioni, la fattispecie del giudice che fa sua la

lite di D. 50,13,6, e la fattispecie dell’armatore di una nave, o del titolare di una locanda o una

stazione di cambio degli animali per il furto ivi commesso che troviamo in D. 47,5, nel quadro della

trattazione del furto, ma, interessantemente estesa al danno in D. 4,9. Inoltre, le fattispecie di danno

arrecato da animali non addomesticati di D. 21,1,40-42; le fattispecie previste in D. 11,3-6 sulla

corruzione del servo, l’occultamento di un servo fuggitivo, i giocatori d’azzardo, l’agrimensore che

dichiara una falsa misura; e forse anche quelle sulla rovina di un edificio, o su situazioni che

venivano incluse nella persecuzione del dolo o della violenza morale, e infine a ridiscutere la

separazione dagli atti ingiusti contro la persona.

0.7. Rileggere i Digesti: impostazione storico-critica e dogmatica

inserire qui le pagine 29-40 del libro con riferimento principalmente alle impostazioni e al metodo

utilizzato da:

GIACOMO VENEZIAN, Danno e risarcimento fuori dei contratti, 1884-1886

GIOVANNI ROTONDI, Dalla lex Aquilia all’art. 1151 del Cod. Civ.. Ricerche storico-dommatiche, in

Riv. Dir. Comm., 14, 1916, 942 ss.; 15, 1917, 236 ss. = Scr. Giur., 2, Milano, 1022, 465 ss.

STEFANO RODOTÀ, Il problema della responsabilità civile; Milano, 1964

GIUSEPPE BRANCA, Struttura costante della responsabilità extracontrattuale attraverso i secoli, in

St. Volterra, 1, Milano, 1971, 99 ss.

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Riassunto delle lezioni

20

La lettura che propongo è rivolta a cercare di cogliere la formazione di un nucleo di

elaborazione di un sistema della responsabilità extracontrattuale nella codificazione giustinianea,

nella quale, pur in presenza, come detto, della elaborazione centrata sulle Istituzioni, il cui nucleo

sistematico è il ‘delitto’, appare altresì una prospettiva diversa che può rivelarsi espansiva, cioè

implicitamente estesa, o da estendere ad altre fattispecie, anche se non necessariamente a tutte le

possibili fattispecie di responsabilità che non deriva dalla violazione di una precedente

obbligazione.

Porre il centro dell’indagine sul contributo dei codici giustinianei, con la loro duplicità di

prospettive, ci apre la via a essere attenti a cogliere anche altre eventuali indicazioni emerse nel

corso del periodo della formazione del sistema.

1. GUIDA ALLA LETTURA DI D. 9,1:

“SE SI AFFERMI CHE UN QUADRUPEDE HA CAGIONATO UN DANNO”

Iniziare l’esame del libro D. 9 da D. 9,1 è conforme alla prospettiva di ricostruire il

significato complessivo di cui i Digesti sono portatori, seguendo l’indicazione dei giuristi che

l’hanno prodotto, però richiede ugualmente una piccola precisazione.

Come già detto, questa posizione di questo titolo dipende dall’editto perpetuo che, in questo

caso, rispetta l’ordine cronologico fra Legge delle XII Tavole e legge Aquilia, ordine che

evidentemente si è voluto rispettare anche da parte dei giuristi della commissione di codificazione.

Essi sono stati altresì attenti a conservare le puntualizzazioni che erano state compiute sulle

differenze di ambito di applicazione delle due leggi (cfr. D. 9,1,1,2. 3. 4. 7. 9. 16) anche per una

evidente necessità di chiarezza in rapporto alle regole in materia di successione delle leggi nel

tempo che troviamo poi richiamate puntualmente in D. 9,2,1pr.4 Queste puntualizzazioni, peraltro,

risultano almeno in parte coerenti con interpretazioni che non sono necessariamente quelle del

momento in cui la legge Aquilia è stata approvata, ma possono riferirsi anche a sviluppi,

interpretativi e/o perfezionati dal pretore, posteriori a tale momento (es. D. 9,1,1,3; D. 9,1,1,7).

4 Per quanto si riferisce alla successione delle leggi nel tempo, già nelle XII Tav. 12,5 troviamo il riferimento a quanto

“da ultimo” fosse stato stabilito.

Sulla base di questa sola osservazione non si possono trarre generalizzazioni, ma ugualmente questo rispetto dell’ordine

cronologico potrebbe essere una interessante spia di una prospettiva dell’accrescimento delle diverse norme all’interno

della logica della coerenza sistematica (cfr. infra 2.3.)

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Riassunto delle lezioni

21

1.1. XII Tavole 8,6.- Il Titolo 1 è basato essenzialmente sul Commento all’editto di Ulpiano.

Questo giurista del III secolo d.C. inizialmente ricorda l’origine della norma nelle Leggi delle XII

Tavole5 (D. 9,1,1pr.).

1.2. Il metodo lemmatico di Ulp. l.18 all'editto e il suo valore ordinante; il ragionare per citazioni e per esempi.- Dopo il richiamo ora detto, Ulpiano, premesso un chiarimento sulla parola

noxia (D. 9,1,1,1), sviluppa un commento della formula della azione che è stata prevista dal pretore

nell’editto sulla base di detta legge.

Ulpiano procede parola per parola, nell’ordine in cui le parole erano nel testo della formula

(questo commento non ci è pervenuto tutto, dati i tagli operati dai giuristi dei Digesti sui testi dei

giuristi classici, ma vediamo ancora chiaramente che, dopo aver commentato noxia, passa a

commentare quadrupes, pauperiem fecisse, aut noxam sarcire aut in noxam dedere oportere6).

Questo metodo ha contribuito allo sviluppo della tecnicità e della stabilità dell’uso delle

parole in questione, tecnicità che, peraltro, possiamo ritenere in parte preesistesse all’inserimento

delle stesse nella legge; nello stesso tempo, queste parole venivano a costituire il luogo di

riferimento, la griglia terminologico-concettuale per l’esame dei diversi problemi, anche nuovi, che

si posero nel corso dei secoli nella interpretazione della legge stessa e la stabilità delle condizioni

d’uso delle parole stesse non costituisce una assoluta fissità.

Nell’esame che svolge, Ulpiano, come in generale i giuristi romani nella maggior parte delle

loro opere, procede attraverso citazioni di altri giuristi dei quali è stata accolta, e/o lui stesso

accoglie, o discute l’interpretazione. Questi giuristi a volte sono anteriori di secoli, e il giurista che

scrive si inserisce come in una cerchia di interlocutori che si viene allargando; ciò che gli interessa

non è la ricostruzione del contesto in cui il parere che prende in considerazione è stato proposto, ma

il nucleo di verità della proposta interpretativa, o di maggiore o minore probabilità di essa di

adeguamento al bonum et aequum / bontà e capacità di produrre uguaglianza, o di sviluppare la

coerenza logica che guida il giurista.

Ulpiano, e in generale il giurista che scrive, procede per esempi più che attraverso

formulazioni generali. Sul punto, bisogna fare due precisazioni sommarie e preliminari alla nostra

lettura:

a) cercando di cogliere ogni sfumatura espressa attraverso l’esempio, per non limitarci a

ripeterlo, dobbiamo anche esplicitare le coerenze interne del ragionamento e trovare formulazioni di

sintesi ad esse corrispondenti; l’esplicitazione del filo del pensiero presente nella sequenza degli

esempi è un obbiettivo che non vuole sovrapporre costruzioni ad essa aliene, ma neppure limitarsi a

ripetere lo scritto, bensì vuole procedere nel digerere / ‘ordinare’ nella nostra mente quanto

leggiamo;

b) il procedere per esempi a volte li associa fra loro secondo una logica di individuazione

che inizia da quelli più evidenti in relazione a ciò che si vuole illustrare, e che prosegue con

l’indicazione di altri che danno luogo a distinzioni, precisazioni ecc. In questo modo di procedere,

la sequenza degli esempi può non risultare più chiara a causa dei tagli di parti assai consistenti dei

5 Le Leggi delle XII Tavole costituirono, nella sintetica formulazione di Livio, “fonte di tutto il diritto pubblico e

privato” (Livio, 3,34,6-7), e, nella ricostruzione di Pomponio, grazie ad esse, la città “fu fondata dalle leggi” (D.

1,2,2,3)..

Nel dibattito scientifico di circa un secolo fa, vi furono voci autorevoli che misero in dubbio l’esistenza stessa delle

Leggi delle XII Tavole, ma oggi è del tutto prevalente la convinzione che esse effettivamente siano state composte ed

approvate. La discussione si è, correttamente, spostata su altri problemi di esse, e in particolare sull’ordine nel quale

fossero le diverse disposizioni che ad esse vengono riferite dalle fonti (per questo filone di ricerche, cfr. soprattutto O.

Diliberto). In attesa dei risultati di questa necessaria revisione, comunemente ci avvaliamo di ricostruzioni quali

pubblicate in opere come Fontes Iuris Romani Anteiustiniani-FIRA, vol 1, Firenze, 1941; esse collocano questa norma

nella tavola 8, regola 6. 6 D. 9,1,1,2; 3ss.; 11ss. Dobbiamo tenere presente che i tagli sono stati assai grandi; infatti i giuristi dei Digesti hanno

utilizzato solo il 5% del totale di pagine dei libri che avevano da selezionare; a volte quindi non viene neanche riferito il

testo di legge che viene commentata.

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testi pervenutici; inoltre, gli esempi presentano situazioni che hanno sempre molteplici profili,

alcuni dei quali non sono centrali per il punto di diritto principale per cui è stata compilata quella

seguenza, ma che ugualmente possono aver dato luogo a precisazioni ulteriori o immediatamente

inserite, o svolte successivamente, o incidentali alle quali possono anche venire collegati altri

esempi con una divagazione più o meno estesa.

1.3. La fattispecie: il significato delle parole usate nella legge, ed i problemi interpretativi

che esse, accolte nella formula, pongono e inquadrano: A. quadrupede (D. 9,1,1pr.; D. 9,1,1,2;

D. 9,1,4); B. danno (D. 9,1,1,1; Festo 174-175; D. 9,1,1,3-11); C. produzione del danno (D.

9,1,1,1,3; a. assenza del requisito della ‘ingiustizia’ (D. 9,1,1,3); b. necessità di qualificare

altrimenti la produzione del danno: ‘ferinità contro natura’ e altre prospettive (D. 9,1,1,4—7.

8. 11prima parte; D. 9,1,2,1,; D. 9,2,5); c. assenza del requisito secondo cui il danno deve

essere arrecato direttamente dal corpo dell’animale (D. 9,1,1,1,9); D. appartenenza a un

proprietario (D. 9,1,1,12); E. il problema del quadrupede selvatico D. 9,1,1,10; D. 21,1,40,1-42;

J. 4,9,1 in fine).- A. D. 9,1,1pr. inizia con il riferimento a un animale, ‘quadrupede’, come soggetto della

proposizione oggettiva che descrive la fattispecie, individua il primo elemento della fattispecie

stessa, oggetto nella protasi del periodo ipotetico che compone la formula dell’azione (Si paret

quadrupedem… condemna / ‘Se ti pare che un quadrupede … condanna’).

In D. 9,1,1,2, il riferimento a ‘tutti’ i quadrupedi sembra una precisazione che probabilmente

è svolta per sottolineare la differenza rispetto al diverso dettato della legge Aquilia, per la quale

viene in considerazione solo il quadrupede appartenente al bestiame (infra D. 9,2,2,2).

Il riferimento al quadrupede lascia, poi, aperto il problema degli animali non quadrupedi (ad

es. un’oca) e suscita una precisazione che estende la fattispecie sotto questo profilo attraverso la

concessione di una azione ‘in via utile’ ricordataci da un fr. di Paolo: D. 9,1,4 inserito dai giuristi

della commissione per integrare un punto evidentemente omesso da Ulpiano.

B. Come accennato, il commento lemmatico ha un piccola ripetizione fra il riferimento alla legge e

quello alla formula. D. 9,1,1,1 spiega il termine ‘noxia’ (a volte troviamo usato noxa), termine

arcaico il cui significato era discusso. Esso deriva da nocere / ‘nuocere’ e indica originariamente il

‘danno’, da cui il significato di ‘fatto dannoso’ (lo ritroviamo anche in D. 9,4,2,1 ove è richiamata

altra disposizione delle XII Tavole 12,2a) e anche di ‘nocumento / evento di danno’7. In D. 9,1,1,3

vediamo preso in esame il termine ‘pauperies’ che è oggetto di commento fino a D. 9,1,1,11, e il

primo punto che viene nuovamente precisato è che ci si riferisce ad un ‘danno’.

C. In relazione al danno, si pone subito altresì in luce che esso è ‘cagionato’ dall’animale, con un

‘fare’ (D.9,1,1,1,3). Intorno a questo ‘cagionare un danno’ si sviluppano delle importanti

precisazioni.

a. Prima di tutto, vediamo che in relazione a questo cagionare un danno, si precisa l’assenza del

requisito della iniuria / ‘ingiustizia8’ da parte dell’agente (facientis / ‘che fa’) con una spiegazione

fondata sulla assenza di sensus / ‘il senso <di ciò che è contro il diritto / di ciò che non è

7 Il significato di “danno” troviamo confermato in Festo, 174 con citazione del famoso giurista Servio Sulpicio Rufo

(cfr. C.G. Bruns, Fontes Iuris Romani Antiqui, 2,17, Tubinga, 1909, rist. Aalen, 1958; FIRA, I, 72 n.2B); per altre

accezioni, oltre allo stesso Festo, loc. cit., e in particolare per ‘peccato / fatto delittuoso’ Livio 3,55,5-7; 8,28,8; 9,10,9;

J. 4,8,1 ecc.

La ragione di questa puntualizzazione in apertura del commento, prima di passare all’esame delle parole della formula,

meriterebbe un approfondimento; essa ha un parallelismo da chiarire con D. 9,2,1. 8 Sulla maggior determinazione del significato di questo termine come ‘ingiustificatezza / assenza di cause di

giustificazione’ e sugli sviluppi di questo significato, svolgo le necessarie precisazioni infra nel commento di D. 9,2.

Anche nel contesto di questa legge, come in quello della legge Aquilia, la lesione di un bene altrui giuridicamente

tutelato, è evidenziata non da questo termine, bensì da noxia / fatto dannoso.

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nell’esercizio di un diritto>’ da parte dell’animale stesso. Anche questa spiegazione ha un

parallelismo evidente e una probabile dipendenza dalla trattazione della legge Aquilia, nella quale

invece il requisito della ‘ingiustizia’ è richiesto (D. 9,2,3-7pr.) e nella quale alla necessità di esso è

collegata l’esclusione della azione per il danno prodotto dal ‘pazzo’, che ‘non è in senno’, e dall’

‘infante’, nella condotta dei quali si precisa non esservi ‘colpa’, collegando così il requisito della

colpa a quello della ingiustizia, e assimilando la loro condizione a quella del quadrupede e della

tegola (D. 9,2,5,2). Il pazzo, l’infante, il quadrupede, la tegola non possono perfezionare la

‘ingiustizia’, né la colpa con questa, a partire dall’inizio del I sec. a. C. (cfr. D. 9,2,31. 39pr., su cui

infra), convergente; non vi è quindi, in base alla legge Aquilia, responsabilità per il danno che essi

arrechino, perché tale legge richiede il requisito della ‘ingiustizia’; il quadrupede, però, pur non

rispondendo in base alla legge Aquilia, perfeziona la fattispecie della pauperies prevista dalle leggi

delle XII Tavole perché questa non richiede tale requisito.

Risulta quindi subito chiarito che ci troviamo di fronte ad una fattispecie che include fra i

suoi elementi costitutivi la produzione di un danno, ma che non include fra essi né il requisito della

ingiustizia, né quello sviluppatori anche all’interno di essa, della colpa.

b. D. 9,1,1,4, con il richiamo di un parere di Servio, giurista del I sec. a.C., introduce il riferimento

alla ‘ferinità’ che si ‘scatena’ nell’animale, e questa, poi, risulta dover essere ulteriormente

qualificata.

Nel paragrafo, cioè, si affronta la ricerca del requisito della produzione del danno da parte

dell’animale. La presenza di tale requisito, però, non è sempre di immediata evidenza: sembra che,

a volte, si debba vagliare quale sia veramente la ‘causa’ dell’evento di danno entro un accadimento

complesso che vede il possibile concorrere di diversi fattori che intervengono nella produzione

dell’evento di danno (uso il termine ‘causa’ prendendolo in prestito da un allievo di Servio, Alfeno

che, come vedremo – D. 9,2,52,2 -, ci attesta aspetti della riflessione che si veniva svolgendo per

l’interpretazione della legge Aquilia, ma che possono avere avuto una circolazione più estesa e che,

nell’esempio ivi esaminato, considera sia un essere tenuti in base a tale legge sia un essere tenuti in

base al danno arrecato da animali). È come se il riferirsi al ‘fare’, al ‘nuocere’, al ‘cagionare’ da

parte dell’animale a volte non basti, e si precisa pertanto che essi devono essere espressione di una

‘ferinità’ dell’animale che si scatena con esiti dannosi. Questo, però, sembra non bastare ancora.

La ‘ferinità’, dapprima indicata in modo generale, poi, infatti, negli esempi in cui appare una

interazione fra il fare dell’animale e quello dell’uomo, viene come circoscritta a quei

comportamenti dell’animale che, propri di quell’animale che ha arrecato il danno, sono anche in

qualche modo anormali rispetto a quel genere di animali, e criticabili: un cavallo che tira calci; un

bue solito a incornare; delle mule eccessivamente feroci9.

L’evento di danno, infatti, invece che da queste manifestazioni di ferinità dell’animale,

potrebbe dipendere da ‘colpa’ della persona che con l’animale interagisca, conducendo l’animale in

un luogo impervio, o caricandolo più del giusto (cfr. sul luogo sdrucciolevole e sul carico superiore

a ciò che è giusto, D. 9,2,7,2). Su questa linea di analisi dei fattori concorrenti, si allarga l’esame

alla considerazione di chi guida l’animale, che deve tenere conto delle difficoltà in cui porta a

muoversi l’animale, e anche della propria possibilità di guidarlo-trattenerlo (D. 9,1,1,5 a cui si

potrebbe affiancare nuovamente il riferimento alla colpa, come è stato fatto nel titolo seguente: D.

9,2,8,1). L’esemplificazione si allarga, poi, ulteriormente alla considerazione dell’interazione di

altri che istighi l’animale producendone una reazione (D. 9,1,1,6). Questi altri interventi qualificati

e riprovevoli escludono l’imputazione dell’evento di danno all’animale.

9 Queste caratteristiche degli animali, vengono qualificate ‘vizi’ alla stregua dell’editto degli edili curuli: cfr. D.

21,1,43pr. In D. 9,2,52,3, il ferimento con le corna da parte del bue è ipotizzato sia dovuto a un ‘vizio’ dello stesso;

possiamo estendere tale qualificazione anche alla ‘causa’ indicata in D. 9,2,52,2 delle mule si spaventano di qualche

cosa, e potremmo generalizzarla.

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Si procede, quindi, quasi per concludere, concettualizzando la qualificazione della ‘ferinita’

quale emersa dagli esempi considerati, e si definisce che la produzione del danno da parte

dell’animale deve essere stata contra naturam / ‘in modo contrario alla natura’, qualificazione per la

quale la ‘natura’ dell’animale non è il modo di essere del concreto animale che abbia arrecato il

danno, ma quello proprio del suo genere. Ciò viene ulteriormente illustrato aggiungendo l’esempio

del cavallo che reagisca violentemente non solo quando gli sia arrecato un dolore, ma altresì quando

gli sia invece fatta una carezza, con una reazione, in questo secondo caso, non propria di tale genere

di animali (D. 9,1,1,7).

Invero, nel prosieguo dell’esemplificazione relativa alla produzione del danno,

nell’interazione fra animali, questa ferinità contraria alla natura non è direttamente evidenziata e,

richiamando l’autorevolezza di Quinto Mucio, altro grande giurista del II-I sec. a.C., anteriore a

Servio, sembra si dia piuttosto rilevanza alla ‘iniziativa’, cioè, al fatto che un animale abbia “fatto

agitare”, “aggredito” l’altro (D. 9,1,1,8. 11) (forse la ‘iniziativa di aggredire’ potrebbe essere

ritenuta segno della ‘contrarietà alla natura’, ma ciò non viene esplicitato e una tale riconduzione ad

un unico concetto – la ‘ferinità contro natura/ non conforme alla natura di quel genere di animali’ -

potrebbe essere il frutto di rielaborazioni che si avvalgono del riferimento forte a ‘natura’, ma che

hanno altresì conseguenze operative perché potrebbe poi essere necessario dimostrare che l’animale

che ‘inizia’, lo aveva come vizio).

A questa problematica, è da ricondurre anche D. 9,1,2,1: il cane è fra gli animali presi in

considerazione dall’editto ‘sulle bestia selvatiche’ su cui un cenno infra; esso è altresì un animale

domestico, la cui ‘ferocia’ potrebbe essere considerata come contra naturam e il cui ferire una

persona che, sia pure in modo imprevisto, entra nel negozio, locale aperto al pubblico, può

comportare responsabilità. Alcuni, però, distinguono se il cane sia tenuto legato o no, e limitano la

responsabilità a questa seconda ipotesi, senza che questo non tenere l’animale legato venga, però,

prospettato come una ‘colpa’ che apra la via alla responsabilità aquiliana, analogamente a quanto si

potrebbe pensare sulla linea di D. 9,1,1,5. La distinzione viene invece usata per ritenere che, se la

persona entra improvvisamente, e viene ferita da un cane debitamente tenuto legato, il proprietario

del cane non sia tenuto, quasi che ciò dipenda dal caso fortuito, che non viene però esplicitamente

indicato.

Altresì il frammento di Alfeno, pure richiamato con funzione integrativa dai giuristi della

commissione del Digesto (D. 9,1,5), certo non contraddice il riferimento muciano all’aggressione,

ma sembra piuttosto introdurre una precisazione relativa ad una singolare reazione eccessiva di un

animale alla semplice presenza di un altro che di per sé lo eccita.

Quindi, la costruzione di questa fattispecie che, come abbiamo subito visto, non pone fra i

suoi elementi costitutivi il requisito della ‘ingiustizia’, e tanto meno della ‘colpa’, concentrandosi

sul ‘cagionare danno’ / ‘fare’ dell’animale, esige, però, a volte una specifica qualificazione di

questo ‘fare’, cioè, esige che esso sia espressione dell’irrompere di una ferinità contraria alla natura

di quel genere di animali, o che esso sia accompagnato da altro profilo qualificante del modo in cui

l’animale ha prodotto il danno. La fattispecie richiede così una qualificazione diversa da quella

adottata per le condotte umane e adatta ai comportamenti degli animali, ma pur sempre introduce la

necessità di una valutazione negativa di questi comportamenti stessi. Questa valutazione negativa

soccorre nella ricerca della ‘causa’ in caso di compresenza di diversi fattori causali; viene a

costituire anche un limite entro il quale si è responsabili; evidenzia altresì una ‘pericolosità’,

connessa a un ‘vizio’ (termini-concetti, però, entrambi non evocati, mentre il ‘pericolo’ e la

‘sicurezza’ sono evocate per D. 9,3 su cui infra), ma non muta il carattere oggettivo della

responsabilità del proprietario, che grava su di lui in quanto tale, cioè egli è tenuto per il fatto di

avere tale animale, non per aver fatto o trascurato qualcosa.

Potremmo notare che il parallelismo-dipendenza dalla trattazione della fattispecie prevista

dalla legge Aquilia è presente, come meglio vedremo infra. Per la legge Aquilia, all’interpretazione

della ‘ingiustizia’ segue quella della condotta che causa l’evento di danno. Di quella condotta,

affinché, quando concorra con altri fattori nella produzione del danno, sia considerata fonte di

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responsabilità, si esige una rimproverabilità che viene ricondotta nell’ambito della ‘colpa’. Per il

danno arrecato da animali, lo scatenarsi di una propria ferinità di quel singolo animale, non

conforme alla natura del suo genere, tiene il luogo della colpa nel qualificare tale produrre l’evento

di danno rispetto agli altri fattori concorrenti nella produzione dello stesso, e nel consentire di

individuarla come fonte di responsabilità.

In questa cornice, D. 9,2,52,2, già richiamato (su di esso anche infra a proposito di D. 9,2),

completa, però, la rappresentazione delle eventualità che possono darsi, e che né in questo

frammento, né negli altri di questo titolo risulta completa, cioè considera anche l’eventualità che né

l’animale né chi lo guida sia in causa: è l’eventualità dell’intervento del caso fortuito o della forza

maggiore (sulla possibilità di vedere adombrata questa terza eventualità nei frammenti di questo

titolo, cfr. supra D. 9,1,2,1; ma l’assenza di una adeguata precisazione va indicata).

La ferinità contro la natura di quel genere di animali, o l’iniziativa, o altre circostanze

qualificano il ‘cagionare il danno’ e, se ve ne è necessità, servono per riferire l’evento all’animale.

La considerazione di essi oscilla fra l’essere regole di interpretazione che soccorrono nell’analisi

della ‘causazione’ e, per la ‘ferinità in contrasto con la natura di quel genere di animali’, il diventare

un autonomo requisito, sviluppo questo che non sembra essersi perfezionato (mentre si è

perfezionato quello della ‘colpa’ per la legge Aquilia: cfr. infra).

c. Un’altra precisazione relativa alla produzione del danno e che pure risente del parallelismo con la

fattispecie prevista dalla legge Aquilia è quella di D. 9,1,1,9 che chiarisce che il danno arrecato da

animali non pone come requisito il contatto diretto fra l’animale e la cosa o persona che subisce il

danno.

D. Se da un lato l’animale deve avere prodotto l’evento di danno, è poi l’appartenenza dell’animale

ad un proprietario che costituisce un altro elemento della fattispecie, essenziale per il prodursi degli

effetti di essa. Tale appartenenza costituisce un criterio oggettivo, che prescinde da una condotta in

alcun modo riprovevole del proprietario stesso: questi non risponde in base a suoi colpa o dolo, e

neppure si richiede che egli abbia anche solo causato l’evento; a lui non si dà la possibilità di

provare che non poteva essere fatto altrimenti, ma egli è tenuto per il solo essere proprietario, in

quanto ricadono su di lui, come proprietario, le conseguenze dell’essere proprietario di una cosa che

ha prodotto danni (D. 9,1,1,12).

A questo proposito, si può fare una ulteriore osservazione. Si deve notare che quella qui in

esame non è una fattispecie che vede l’affiancarsi ad una configurazione di essa per così dire

principale, ad opera di una persona sui iuris, anche di una ipotesi di perfezionamento della

fattispecie stessa da parte di chi non sia sui iuris / ‘giuridicamente indipendente’ e quindi di chi, non

legittimato a stare in giudizio (come ordinariamente si sottolinea), possa vedere assunta la sua

difesa solo da colui che ha la potestà nei suoi confronti; quella che qui interviene, cioè, non è una

esigenza di origine processuale, radicata nei rapporti fra famiglie. Per questa fattispecie, non viene

ipotizzato un ‘essere obbligato’ dell’animale, come invece per l’uomo: mai troviamo l’animale

rappresentato come titolare di una obbligazione a risarcire un danno pagando una somma di denaro

determinata (cfr. invece per i servi : D. 44,7,14; per i figli in potestà: D. 44,7,39). Né avrebbe un

senso, in relazione al danno arrecato da animali, il discorrere, ad es. di scientia domini /

‘conoscenza da parte del padrone’, che escluda la facoltà di dare a nossa (D. 9,4,2 ss.): abbiamo

visto che l’eventuale ‘colpa’ dell’uomo dà luogo piuttosto ad una sua responsabilità ad altro titolo,

quella in base alla legge Aquilia; ecc.

Per questa fattispecie, l’animale è l’autore dell’evento di danno senza l’animale questa

fattispecie non può essere perfezionata da alcun altro essere. Nello stesso tempo, la ‘totalità’ dei

quadrupedi a cui la norma si riferisce contiene, implicita, la qualificazione di essi come ‘aventi un

proprietario’. La noxia arrecata da un animale che non ha un proprietario non è presa in

considerazione da questa legge. Di conseguenza, è un elemento essenziale della fattispecie la

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relazione di appartenenza di quell’animale a un proprietario (è come se la fattispecie fosse descritta

così: “se un quadrupede, in proprietà di una persona, venga detto aver cagionato un danno”), ed è

questa relazione che altresì qualifica il criterio di imputazione dell’effetto giuridico che scaturisce

dal perfezionamento della fattispecie stessa.

Di questa specificità essenziale, i giuristi della commissione dei Digesti tengono conto, e

non mescolano la trattazione di questa azione con la creazione del Titolo 4 di questo libro D.9 sulle

azioni nossali e anche nelle J. questa fattispecie è distinta dalla trattazione delle azioni nossali (J.

4,8 e J. 4,9 rispettivamente).

E. Sembra collegata all’analisi della ferinità ora svolta l’esclusione, dalla previsione di questa

fattispecie, dei danni dovuti alle bestia selvagge in ragione della loro naturale ferinità (D. 9,1,1,10).

Invero, in merito a questo altro genere di animali, naturalmente ‘ferini’, gli edili curuli

hanno disposto un apposito editto de feris / ‘sulle bestie selvatiche’ per garantire, rispetto alle

aggressioni compiute da quelli di essi tenuti in cattività, la sicurezza dei luoghi per dove la gente

passi, prevedendo una sanzione specifica (D. 21,1,40,1-42 su cui infra).

Tuttavia dei dubbi sul significato di questo par. insorgono in relazione all’affermazione di J.

4,9,1 in fine, che ammette il concorso cumulativo delle azioni10

: questa ammissione appare in

contrasto con una lettura di D. 9,1,1,10 che attribuisca a tale testo il significato di esclusione della

applicabilità della norma delle XII Tavole alle bestie selvagge.

Mi pare però che il par. 10 in questione possa avere un significato diverso da quello ora

prospettato: anche se il modo di esprimersi, soprattutto nelle prime parole, è ambiguo e risente della

problematica della ‘naturale / innaturale’ ferinità, si può considerare piuttosto la riferibilità di questo

par. alla problematica della appartenenza dell’animale a un proprietario. Le bestia selvagge e

naturalmente ferine, infatti, non sono di regola in proprietà di alcuno, e, se lo sono, qualora fuggano,

cessano di esserlo, alla stregua delle regole generali in materia di acquisto e perdita della proprietà

degli animali selvatici (J. 2,1,12; D. 41,1,5), come il testo sottolinea con una precisazione che non

avrebbe senso in questa sede, e l’avrebbe solo nel contesto del commento all’editto degli edili11

.

1.4. Gli effetti del perfezionamento della fattispecie, cioè l’obbligazione del proprietario

dell’animale / legittimato passivo dell’azione (D. 9,1,1,11 in fine-13); le prestazioni alternative:

dazione a nossa o pagamento della valutazione del danno (il contenimento della onerosità

della responsabilità); obbligazione propter rem (D. 9,1,1,13-14); la perdita dell’alternativa (D.

9,1,1,15-16).—

In D. 9,1,1,11-16, viene commentata la clausola della formula che indica l’effetto del

perfezionamento della fattispecie, cioè il sorgere dell’obbligazione a cui è tenuto il convenuto / la

pretesa dell’attore.

D. 9,1,1,11 in fine riproduce le parole della formula: termine chiave è l’oportere / ‘essere

necessario’, che indica appunto il vincolo per il convenuto, l’obbligazione che costituisce il

rapporto dedotto in giudizio ed enunciato nella intentio / ‘pretesa enunciata’ nella formula. Esso ha

un oggetto alternativo: o risarcire il danno, o dare a nossa l’animale. Non si tratta di una alternativa

presente solo nella condanna. Questa alternativa abbiamo già incontrato espressa in D. 9,1,1pr. nella

riproduzione del testo della legge.

10

Cfr. E. Levy; Die Konkurrenz der Aktionen, 2, 225 ss. 11

Certo, non si può escludere una osservazione incidentale. Quanto all’ipotesi che la bestia selvaggia non sia fuggita, e

sia ancora nella sfera di controllo del proprietario e gli appartenga, cfr. da un lato l’esame della situazioni relative ai

cani, d’altro lato la non coincidenza di bene tutelato / causa petendi che è possibile cogliere fra le due azioni (infra, a

proposito del commento all’editto) .

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Soggetto obbligato, tenuto dall’oportere, è il proprietario dell’animale; ma, come precisa il

testo (D. 9,1,1,12), non il proprietario nel momento in cui l’animale ha arrecato il danno, bensì il

proprietario nel momento in cui l’azione viene esperita.

Sulla struttura originaria delle azioni, che prevedono l’alternativa predetta, la discussione è

aperta, ma rinviando alcune osservazioni su tale discussione alla lettura di D. 9,4, qui ritengo

importante sottolineare la peculiarità di questa specifica previsione delle Leggi delle XII Tavole.

L’obbligazione che scaturisce dal perfezionamento della fattispecie è una obbligazione

propter rem, reale e ambulatoria, cioè che segue la proprietà dell’animale, e ciò non è espressione

del fatto che sia l’animale ad essere obbligato, ché questo non può esserlo più di come lo sia un

fondo; ma è l’espressione del fatto che il rapporto di proprietà come tale può venire considerato

adeguato fondamento, in certi casi, come in questo, della responsabilità, cioè, adeguato criterio di

imputazione dell’obbligazione “risarcitoria”. E qui, una ulteriore precisazione è possibile.

È, infatti, solo il proprietario colui nei confronti del quale può essere configurata

l’alternatività della prestazione, perché egli solo può dare a nossa. Questo è un aspetto assai

interessante da considerare, perché esprime la preoccupazione di offrire la possibilità di contenere

l’onerosità della obbligazione che sorge a carico del responsabile entro il valore dell’animale stesso,

contenimento che, in certa misura, bilancia il criterio di responsabilità oggettiva configurato per la

fattispecie e solo parzialmente limitato dal riferimento alla contrarietà alla natura che, abbiamo

detto, ha il ruolo di consentire l’individuazione della ‘causa’ in presenza di più fattori causali

concorrenti. Il proprietario risponde in quanto proprietario ed entro i limiti della proprietà (criterio

che ha una sua logica, peraltro discutibile). Riconoscere, poi, nella nossalità uno strumento di

contenimento della onerosità dell’obbligazione non è un prestito di nostre considerazioni, ma è

preso in esame, indirettamente, in D. 9,1,1,15 e 16 (infra).

D. 9,1,1,13 precisa, a mo’ di corollario di quanto sopra detto, che, in caso di perimento della

cosa prima della contestazione della lite / instaurazione del giudizio, l’azione, così come

l’obbligazione, si estingue; non così se invece l’animale perisce dopo la contestazione della lite (con

la contestazione della lite, secondo quanto ci ricorda Gai. 3,180, si ha estinzione della obbligazione

principale e sorgere di una obbligazione a ricevere la eventuale condanna, e, dopo questa, ad

adempiere al giudicato).

D. 9,1,1,14 precisa il contenuto della dazione a nossa: il trasferimento in proprietà

dell’animale. Il testo precisa altresì un profilo dell’azione che deriva dalla indivisibilità dell’animale

vivo stesso, così come nel caso della responsabilità nossale per il delitto di un servo (cfr. D. 9,4,8pr.

e ss. su cui infra): in caso di pluralità di proprietari, ciascuno è tenuto in solido, e una volta che uno

abbia adempiuto, gli altri sono evidentemente liberati, fatti salvi i rapporti fra condomini come

problemi a loro propri (cfr. l’analisi in D. 9,4).

D. 9,1,1,15 prevede la perdita della alternativa per il caso del proprietario che neghi di essere

proprietario dell’animale (ritengo che si tratti di una sanzione per il suo comportamento processuale

menzognero, analogo a quello per la situazione opposta di chi rispondesse che è suo un animale non

suo offrendosi alla lite per danneggiare l’attore: D. 11,1,7; cfr. anche, per il caso di servi: D. 11,1,8).

D. 9,1,1,16, prevede un altro caso di perdita dell’alternativa da parte del proprietario

dell’animale, cioè il caso in cui l’animale che ha arrecato un danno a un terzo sia stato ucciso dopo

la contestazione della lite fra il proprietario dell’animale stesso e questo terzo, uccisione a seguito

della quale è venuta meno per il proprietario convenuto la facoltà di dare l’animale a nossa;

l’uccisore, che abbia compiuto ciò con dolo o colpa, e sia quindi tenuto in base alla legge Aquilia,

dovrà pagare il valore della lite che il proprietario dell’animale, non potendo più consegnare

l’animale, è ora tenuto a pagare.

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Riassunto delle lezioni

28

Un problema di valutazione della lite è anche quello affrontato poi in D. 9,1,3, nel quale si

considera il danno che sia arrecato da un animale ferendo delle persone libere. Anche qui Gaio ha

sott’occhio la legge Aquilia: questa, nel caso di lesioni al corpo delle persone, si considera

originariamente limitata, in base al testo stesso della legge, al danno al corpo dei servi, e solo

quando l’interpretazione perviene a prendere in considerazione il danno costituito dalla spese per le

cure e dal mancato guadagno, si estende alla considerazione dei casi di danni a persone libere (sul

punto infra D. 9,2,7pr.). Il limite derivante dal testo della legge non è presente per la disposizione

del danno arrecato da animali, che qui stiamo considerando. Ugualmente, però, vale il principio di

tutt’altra origine, secondo il quale non è possibile una stima di quanto è il valore della lite con

riferimento al corpo dell’uomo libero (sul punto cfr. anche D. 9,3,1,5; 7; D. 14,2,2,2), per l’offesa al

quale si deve piuttosto ricorrere all’azione di atti ingiusti contro la persona nella quale non si

compie una valutazione di quanto interessa, ma di ciò che è buono ed equo (sul punto D. 47,10

infra).

1.5. Il creditore / legittimato attivo D. 9,1,1,17-2pr.)

In D. 9,1,1,17 si precisa la trasferibilità attiva mortis causa del credito e dell’azione che fa

capo a colui che ha subito il danno, e altresì la trasferibilità passiva del debito; questa però procede

secondo la regola per cui debitore-legittimato passivo è il proprietario attuale dell’animale, che,

appunto, può anche essere l’erede di colui che era proprietario al momento in cui l’animale ha

arrecato il danno, ma che comunque risponde non a titolo di erede, bensì di proprietario attuale,

come già sopra evidenziato.

L’esame del profilo della legittimazione attiva dell’azione da parte della persona /

proprietario-danneggiato è integrato dal successivo D. 9,1,2pr. Anche in questo caso, la

precisazione svolta è compiuta tenendo presente quanto invece dispone la legge Aquilia (soprattutto

D. 9,2,11,9 su cui infra), e quasi sottolineando implicitamente una differenza, legata al testo della

legge che, per la fattispecie qui in esame, non fa riferimento al proprietario. Legittimato attivo, e

quindi parte creditrice nella obbligazione derivata dal fatto di danno, qui, con una interpretazione

includente altri legittimati attivi del tutto assenti in età delle XII Tavole, viene detto essere non solo

il proprietario, ma anche ‘colui che ha interesse <alla conservazione della cosa>’, cioè una estesa e

aperta serie di soggetti che, in base al contesto, possiamo ritenere limitati ai detentori o possessori

della cosa, titolari di un diritto reale su cosa altrui, o di un rapporto obbligatorio implicante

restituzione. Questa individuazione è esemplificata con riferimento al comodatario e al tintore (D.

9,1,2pr.), figure di contraenti che si rileva hanno interesse per il fatto di dovere a loro volta

rispondere contrattualmente per l’integrità della cosa (l’indicazione di questo fondamento

meriterebbe approfondimento, in relazione alla custodia ed agli sviluppi dell’interpretazione di essa

nell’ambito della responsabilità contrattuale12

).

1.6. Carattere della azione

Se ci domandiamo quale sia la natura di questa fattispecie e della azione a tutela della

obbligazione che ne scaturisce, in D. 9,1,1,1 troviamo il riferimento al delictum, ma non mancano i

dubbi in rapporto ad un uso del termine compiuto più per spiegare un termine antico che per

classificare una fattispecie. Ho già rilevato la differenza rispetto alle azioni nossali di cui in D. 9,4.

Nelle Istituzioni, viene creato un apposito titolo per la pauperies (J. 4,9) distinto da quello delle

azioni nossali (J. 4,8), e la fattispecie non è inclusa né fra i delitti (J. 4,1-4) né fra le fattispecie a

questi assimilate (J. 4,5).

In senso opposto, la precisazione del titolo in base al quale risponde l’erede, cioè, quello di

attuale proprietario, potrebbe essere una risposta ad una obbiezione circa la intrasmissibilità passiva

12

In Gai. 3,203 ss. si indica il criterio dell’interesse per la titolarità dell’actio furti con riferimento al conduttore e al

comodatario, e con esclusione del depositario, che non risponde per la custodia.

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Riassunto delle lezioni

29

della azioni da delitto. L’affermazione relativa al principio del concorso cumulativo fra azioni

penali (J. 4,9,1) e alla sua applicabilità in rapporto alla esperibilità dell’azione in questione a fianco

all’azione degli edili relativa agli animali selvatici è certo un altro argomento a favore di un

carattere penale della azione in questione.

La collocazione in apertura di D. 9 costituisce poi un elemento che chiariremo nel suo

insieme.

1.7. La rilettura dei Digesti compiuta dai Codici civili

Si potrebbe dire, riepilogando, che la fattispecie in esame prevede una responsabilità del

proprietario di un animale (un quadrupede, ma anche un altro animale) per il danno che questo

abbia arrecato ad altri, fondata sul suo rapporto di proprietà attuale con l’animale stesso. Nel caso in

cui, nella produzione del danno, concorrano altri agenti, diventa necessario chiarire la

riconducibilità di tale evento alla condotta dell’animale e ciò si compie verificando se questo si è

comportato non secondo la natura propria del suo genere, o individuando altri profili qualificanti.

Per il proprietario, l’onerosità della responsabilità, oggettiva, è limitabile al valore dell’animale che

egli può consegnare con effetto liberatorio.

Le riflessioni successive si sono inserite sulla lettura dei testi, come sono, e, poi, sulle letture

maturare confrontandole nuovamente con le fonti stesse. Non è possibile qui ora seguire tutte queste

letture. Desidero solo richiamare che la responsabilità per il danno arrecato da animali è stata

prevista ad es. in Europa dall’ALR./1794, Parte I, Tit. 6, par. 70-7813

; dal Ccfr./1804, all’art. 138514

(= Ccit./1865, art.115415

); dall’ABGB./1811, al par. 132016

; dal CcPort./1867, art. 239417

; dal

CcSp./1889, art. 190518

; dal BGB./1900, par.833-83419

; dal CcObblSv./1911, art. 5620

; dal

13

ALR./1794, Parte I, Tit. 6, par. 70: “Chi, senza autorizzazione superiore, alleva animali selvatici o altri animali, che

sono per loro natura dannosi per gli uomini o per gli animali economicamente utili ad essi,, e che non vengono allevati

abitualmente nelle case o in campagna, risponde per ogni danno dagli stessi causato”; par. 71: “ …; par. 73: “Per altri

animali non dannosi per loro natura, il proprietario risponde solo per il danno che scaturisce dall’aver trascurato

l’attenzione nei loro confronti”; par. 74: “Però chi sa che un animale è dannoso, contro la natura del suo genere, e

ciononostante trascura le regole pertinenti alla prevenzione di conseguenze dannose, egli è obbligato a ogni

risarcimento del danneggiato”; 14

Ccfr./1804, art. 1385: “Il proprietario di un animale, o quegli che se ne serve, per il tempo in cui ne usa, è

responsabile per il danno cagionato da esso, tanto che si trovi sotto la sua custodia, quanto che siasi smarrito o fuggito”

(trad. del Cc. per il Regno d’Italia/1806). 15

Per il Ccit./1865, art. 1154, si può notare solo notare che si usa ‘è obbligato’ invece di ‘est responsable’, verbo ancora

usato anche nel Ccalbertino/1838, art. 1503, ma non nel CcRegno due Sicilie/1818, art.1339: ‘è tenuto’.. 16

ABGB/1811, par. 1320: “Se alcuno è danneggiato da un animale, deve essere risarcito da quella persona che lo ha

istigato o irritato, o trascurato di custodirlo. Se niuno può essere convinto di siffatta colpa, il danno si reputa un caso

fortuito” (trad. ufficiale per l’applicazione nel Lombardo-veneto). 17

CcPort./1867, art. 2394: “Colui, i cui animali, o altre cose, pregiudichino altri, sarà responsabile per il

soddisfacimento del pregiudizio, eccetto che provi che da parte sua non ci fu colpa né negligenza.”. 18

CcSp./1889, art. 1905: “Il possessore di un animale, o colui che se ne serve, è responsabile dei pregiudizi che

causasse, anche se gli sfugga o si smarrisca. Questa responsabilità cesserà solo nel caso in cui il danno dipenda da forza

maggiore o da colpa di colui che lo abbia sofferto”. 19

BGB/1900, par. 833: “Se un uomo viene ucciso, o il suo corpo o la sua salute lesi, o una cosa danneggiata da un

animale, colui che mantiene l’animale è obbligato a risarcire al leso il danno che ne è scaturito. L’obbligo di

risarcimento non sorge quando il danno sia stato causato da un animale domestico destinato a servire alla professione,

alla attività lavorativa o all’intrattenimento di colui che mantiene l’animale, o questi nella vigilanza dell’animale ha

osservato la cura necessaria nelle circostanze, o il danno sarebbe intervenuto nonostante l’adozione di tale cura”.

Par. 834: “Colui che assume contrattualmente la guida della sorveglianza su un animale per colui che lo mantiene, è

responsabile per il danno che l’animale arreca a un terzo alla stregua di quanto previsto al par. 833. La responsabilità

non sorge quando egli nella conduzione della vigilanza ha osservato la cura necessaria nelle circostanze o il danno

sarebbe intervenuto nonostante l’adozione di tale cura”. 20

CcObblSv./1911, par. 56: “Il detentore di un animale è responsabile del danno da esso cagionato ove non provi

d’avere adoperato tutta la diligenza richiesta dalle circostanze nel custodirlo e vigilarlo, o che il danno si sarebbe

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Riassunto delle lezioni

30

Ccit./1942, art. 205221

; dal Ccport./1967, art. 49322

; in America Latina dal CcBol./1831, art. 969

(vedi ora CcBol./1976, art 996)23

; dal CcPerú/1852, art. 2192-2193 co. 2 (l’art. 2192 è invariato nel

Cc CcPerú/1984, art. 1979, nel quale non sono però più presenti gli altri due)24

; dal Ccch./1857, art.

2326-232725

(= CcCol. e CcEc.); dal Ccarg./1871, art. 1124-113126

; dal CcBras./1917, art. 152727

e

CcBras./2002, art.936; dal CcPar./1986, art. 185328

; in Africa, dal CcEg./1948, art. 17629

; in Asia

dalla LrespillcivRPC/2009, art. 78-8430

.

verificato anche usando questa diligenza. // Gli è salvo il regresso se l’animale sia stato aizzato da terza persona o

dall’animale di un altro”. 21

Ccit./1942, art. 2052: “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile

dei danni cagionati dall’animale sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il

caso fortuito”. 22

Ccport./1967, art. 493: “Chi abbia la disponibilità di una cosa mobile o immobile, con il dovere di vigilarla, e così

pure che avesse assunto l’incarico di vigilare qualsiasi animale, risponde per i danni che la cosa o animale causassero,

salvo che provi che non vi sia stata alcuna colpa da parte sua o che il danno si sarebbe ugualmente prodotto anche se

non vi fosse stata sua colpa. // Chi causi danno ad un altro nell’esercizio di una attività pericolosa per sua natura o per i

mezzi usati è obbligato a ripararlo, eccetto che dimostri che impiegò tutte le provvidenze esigite dalle circostanze al fine

di prevenirlo” 23

CcBol./1831, art. 969: “Il proprietario di un animale o colui che se ne serve è responsabile del danno che l’animale

causa, sia che si a sotto la sua custodia, sia che sia fuggito”. L’art. 996 del CcBol./1976 aggiunge “ salvo che provi il

caso fortuito o la forza maggiore o la colpa della vittima”. 24

CcPerú/1852, art. 2192:”Il proprietario di un animale, o colui che lo tiene sotto la sua cura, deve risarcire i danni che

questo causi;salvo che fosse stato perduto o si fosse smarrito senza colpa del proprietario.// Questa responsabilità si

estendea chiunque altri avesse avuto colpanel danno causato da quell’animale.”; 2193 co. 2: “Vale la stessa regola <di

cedere la proprietà> per il proprietario di un animale domestico che ha causato qualche danno”; art. 2194: “Cessa la

responsabilità dichiarata negli articoli precedenti, se i genitori, i custodi e le altre persone incluse in essi, dimostrano che

non hanno potuto impedire il fatto che causò il danno”. 25

Ccch./1857, art. 2326: “Il proprietario di un animale è responsabile per i danni causati dall’animale stesso, anche

dopo che si sia sciolto o perduto; salvo che l’essersi sciolto, o perduto o il danno non possano venire imputati a colpa

del proprietario o del dipendente di questi incaricato di custodire e accudire l’animale. // Ciò che si è detto per il

proprietario si applica ad ogni persona che si serva di un animale altrui; salva la sua azione contro il proprietario, se il

danno è intervenuto per una caratteristica o vizio dell’animale, che il proprietario con media attenzione o prudenza

avrebbe dovuto conoscere o prevedere, e di cui non abbia informato “; art. 2327: “Il danno causato da un animare

selvatico, di cui non sia ha utilità per la guardia o il servizio di un fondo, sarà sempre imputabile a colui che lo abbia, e

se allegasse che non gli fu possibile evitare il danno, non sarà ascoltato” 26

Ccarg./1871, art. 1124: “Il proprietario di un animale domestico o feroce è responsabile del danno che causasse. La

stessa responsabilità grava sulla persona alla quale si avesse affidato l’animale perché se ne servisse, salvo il suo

regresso contro il proprietario”.// art. 1125: “Se l’animale che avesse causato il danno fu eccitato da un terzo, la

responsabilità è di questi, e non del proprietario dell’animale”; … -1131: “Il proprietario di un animale non può sottrarsi

all’obbligazione di riparare il danno offrendo di abbandonare la proprietà dell’animale”. 27

CcBras./1917, art. 1527: “Il proprietario, o il detentore, di un animale risarcirà il danno da questo causato, salvo che

provi: I. che la custodiva e vigilava con attenta cura; II. Che l’animale fu provocato da altri; III. Che ci fu imprudenza

della parte lesa; IV. Che il fatto risultò da caso fortuito o forza maggiore.” // CcBras/2002, art. 936: ““Il proprietario, o

il detentore, di un animale risarcirà il danno da questo causato, salvo che provi colpa della vittima o forza maggiore”. 28

CcPar./1986, art. 1853: “Il proprietario di un animale, o chi si serve di esso, durante il periodo in cui lo usa, è

responsabile dei danno occasionati dall’animale, sia che si trovasse sotto la sua custodia siache fosse smarrito o fuggito,

se non provasse il caso fortuito, o la colpa della vittima o di un terzo” 29

CcEg./1948, art. 176: “Colui che ha la custodia di un animale, anche se non ne sia proprietario, è responsabile del

danno causato da questo animale, anche se questo sia perduto o fuggito, a meno che il custode non provi che l’incidente

è dovuto a una causa esterna che non gli può essere imputata”. 30

LrespillcivRPC/2009, art. 78: “Qualora l’animale domestico cagioni ad altri un danno, la persona che lo alleva o che

lo custodisce incorre nella responsabilità da illecito civile, salvo provi che il danno sia stato cagionato dal dolo o dalla

colpa grave del danneggiato, casi in cui la responsabilità può essere esclusa o ridotta”; art. 79:” Qualora siano violate le

norme sulla custodia, non siano prese misure di sicurezza adeguate nei confronti dell’animale e sia cagionato ad altri un

danno, la persona che alleva l’animale o che lo custodisce incorre nella responsabilità da illecito civile.”; art. 80:

“Qualora animali pericolosi, per i quali vige un divieto di allevamento come per i cani feroci, cagionino ad altri un

danno, la persona che alleva l’animale o che lo custodisce incorre nella responsabilità da illecito civile”; art. 81:

“Qualora gli animali dello zoo cagionino ad altri un danno, lo zoo incorre nella responsabilità da illecito civile, salvo

provi di aver pienamente adempiuto ai doveri di custodia”; art. 82: “Qualora l’animale abbandonato o fuggito, nel

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Riassunto delle lezioni

31

In questi testi, si possono cogliere delle linee comuni, anche se poi queste si incrociano e

combinano.

La prima osservazione è la presenza della facoltà di liberarsi dalla obbligazione

consegnando l’animale, che leggiamo nel primo Cc. del Perù/1852, e che vediamo espressamente

esclusa nel Ccarg./1871; successivamente di questa facoltà non vi è più traccia, e con essa di ogni

riflessione sul problema della limitazione della onerosità della responsabilità in casi di

responsabilità oggettiva, in particolare se fondata sul puro rapporto di appartenenza della cosa

stessa.

La seconda osservazione è quella relativa alla possibile sostituzione alla responsabilità del

proprietario della responsabilità di colui che usa l’animale nel momento in cui questo arreca il

danno; il cambiamento è rilevante perché sposta il criterio di responsabilità oggettiva dalla

appartenenza dell’animale alla utilizzazione e custodia (è singolare che il Cc. del Perù/1852 citato

ammetta questa possibilità pur ammettendo la consegna dell’animale che colui che non è

proprietario non può, evidentemente, compiere)31

.

In sostanza, la fattispecie oscilla fra l’essere un caso di responsabilità oggettiva, fondata sul

rapporto di appartenenza, e/o su quello di uso dell’animale, con il limite del caso fortuito32

, forza

maggiore, colpa di un terzo o del danneggiato, che incidono evidentemente sul rapporto di causalità,

e l’essere un caso particolare di danno per colpa, la cui autonoma previsione trova fondamento nella

periodo in cui sia in stato di abbandono e fuga, cagioni ad altri un danno, incorre nella responsabilità da illecito civile la

persona che originariamente lo allevava o custodiva”; art. 83: “Qualora, per la colpa del terzo, l’animale cagioni ad altri

un danno, il danneggiato può agire per il risarcimento nei confronti della persona che alleva l’animale o che lo

custodisce; può anche agire nei confronti del terzo. Dopo che la persona che alleva l’animale o il custode abbiano

risarcito, hanno diritto di rivalsa nei confronti del terzo”; art. 84: “Nell’allevare un animale domestico, si deve rispettare

il diritto e la morale comune della società, e non deve essere turbata la vita altrui”. 31

Per l’Italia, la responsabilità rimane in capo al proprietario quando il rapporto del terzo con l’animale non si traduca

in un suo utilizzo, ma rimanga limitato a «(…) ragioni di custodia, di cura, di governo o di mantenimento» (Cass.

20.11.1977 n.5226) contra «(…) il custode è colui che è tenuto ad un potere e dovere di governo esclusivo

dell’animale» (Cass. 15.04.1959 n.1115) ed è quindi «(…) tenuto ad assumere ogni cautela e accorgimento allo scopo di

prevenire un danno ai terzi» (Cass. 03.08.1962, n. 2329). In questo caso, però, la dottrina si affretta a precisare la

‘natura’ del custode, assimilandolo al Besitzdiener al quale l’animale è affidato in piena disponibilità e non quando

«(…) l’animale venga dato all’interno di una struttura di sorveglianza che rimane comunque in capo al dans» altrimenti

si avrebbe una soluzione «(…) palesemente assurda: il cliente del maneggio risponderebbe per i danni cagionati dal

cavallo fuggito e che gli era stato assegnato per la gita della giornata; il misero mulattiere risponderebbe per il fatto del

mulo e così via. E v i d e n t e m e n t e l a d e t e n z i o n e p e r r a g i o n i d i s e r v i z i o o d i o s p i t a l i t à n o n

f o n d a a l c u n a r e s p o n s a b i l i t à » così, P. G. MONATERI, in Trattato di diritto privato (a cura di M. BESSONE), X.2,

Torino, 2002, 142 e nt.190 (lo spaziato è mio). In senso conforme anche P. CENDON (a cura di), La responsabilità

civile, XI.1, Torino, 1998 388 che fa coincidere la nozione di uso con quella di piena disponibilità, da intendersi però

come utilizzo finalizzato allo sfruttamento secondo la natura e la destinazione economico sociale dell’animale. Per altra

interpretazione, cfr. sentenza Trib. Perugia (nt.3). Non si comprende, però, in base a quale ragione il «misero

mulattiere» o il ‘cavaliere della domenica’ debba andare esente da qualsiasi responsabilità: ammessa pure

l’inapplicabilità dell’art.2052 rimarrebbe comunque salva quella (generale) dell’art.2043 (cfr. D.9,1,1,4 seconda parte).

Ecco la (prima) contraddizione di un’applicazione generalizzata dell’art.2052 che, paradossalmente, lascerebbe un

vuoto di responsabilità o, ancor peggio, addosserebbe al dominus dell’animale responsabilità non sue. Non vale a

spostare il problema il rilievo in base al quale la cessazione della responsabilità del proprietario ed il passaggio a quella

del terzo dipenderebbe dalla sottrazione – coincidente col trasferimento della detenzione dell’animale – del potere di

controllo in capo al proprietario: anche se il requisito della custodia è stato giudicato irrilevante, l’‘irresponsabilità’ del

terzo non viene messa in discussione legandola solamente ad un fattore di sfruttamento economico. (cfr. M. Vinci, … ) 32

Delimitazione del caso fortuito: la dottrina (SCOGNAMIGLIO, sv. Responsabilità civile, in NNDI. XV, Torino 1968,

646; POGLIANI, Responsabilità e risarcimento da illecito civile, Milano, 1964, 130 ss; CANDIAN, sv. Caso fortuito e

forza maggiore (Diritto civile), in NNDI. II, Torino 1958, 992) sostiene, unanimemente, che deve consistere in un fatto

al fuori della sfera di governo dell’animale e non in uno che trovi origine nella natura dell’animale � però anche

l’imbizzarrimento dovuto ad un tuono non vale ad integrare il caso fortuito: � allora, lo spazio per i caso fortuito e per

la liberazione del padrone/‘usuario’ è praticamente inesistente

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Riassunto delle lezioni

32

individuazione di un dovere di diligenza in relazione a questo genere di cose che si ritiene

necessario precisare casuisticamente, e in una inversione dell’onere della prova.

2. GUIDA ALLA LETTURA DI D. 9,2:

“ALLA LEGGE AQUILIA”

2.0. L'ordine dei fr. in D.9,2

Se noi osserviamo la provenienza dei frammenti che sono stati raccolti in D. 9,2, ci

accorgiamo che dal fr. 1 a. fr. 29 abbiamo una lunga serie di fr. tratti dai Commentari all’editto di

Ulpiano (1; 3; 5 ecc.) con una certa analogia con il Titolo 1, che pure utilizza un esteso fr. della

stessa opera di Ulpiano; ma in questo Titolo nel testo di Ulpiano vengono omesse delle righe

sostituendole o completandole con fr. di altri giuristi, eccetto il 20, inseriti in esso.

Dopo questo lungo fr., sembra inizi una seconda parte, dal fr. 30 alla fine, composta di testi

di provenienza diversa, che, come nel titolo precedente, e in misura maggiore, vengono aggiunti per

completare la trattazione.

Il fatto che vi siano stati degli inserimenti di frammenti nella esposizione di Ulpiano ed altri

invece dopo la fine di tale esposizione suggerisce che queste integrazioni possano essere avvenute

in due fasi, una delle quali potrebbe essere anche anteriore al lavoro della commissione. Se si tiene

presente che la divisione non coincide con la successione delle ‘masse’33

, in quanto la massa

edittale si conclude solo con il fr. 40, questa ipotesi risulta rafforzata. Cioè, si può ritenere che le

prime integrazioni, tutte o una parte, siano state compiute nel periodo che ha preceduto il lavoro

della codificazione dei Digesti, nelle università, da parte di giuristi che insegnavano e svolgevano le

loro lezioni usando i testi di Ulpiano, Paolo, Gaio ecc. Essi facevano, per i loro studenti. una

selezione di ciò che doveva essere studiato e di ciò che essi potevano omettere. Questa selezione /

‘catena di testi’ può essersi concretizzata anche in un testo antologico, realizzato in botteghe di

copisti, che circolava autonomamente dalle edizioni integrali dei testi dei giuristi da cui erano tratti i

diversi brani.

I giuristi della Commissione di codificazione lo hanno riletto e usato, forse aggiungendo

alcune precisazioni, ma soprattutto manifestando il loro pensiero con le aggiunte alla fine di esso,

33

Il metodo di lavoro della commissione è discusso. Una ipotesi è quella del von Bluhme, c.d. delle ‘masse’, che

propone che la commissione di giuristi abbia lavorato sia in sottocommissioni che hanno fatto lo spoglio ciascuna di

una parte delle opere (masse), sia in commissione plenaria, ove ciascuna sottocommissione conferiva il frutto del

proprio, ma esponeva ora prima una ora prima un’altra, in ordine diverso, a turno, per ragione di materia, e tendendo

ad evitare doppia trattazione della stessa questione, per cui prevale il materiale escerpito e proposto dalla prima

commissione che riferisce (in certi titoli ove gli argomenti sono più di uno, il turno può ripetersi). La letteratura è vasta

e la discussione sul punto ancora aperta; cfr. sintetiche esposizioni nei manuali di storia del diritto romano, e in S.

Schipani, Premessa, in Iustiniani Augusti Digesta seu Pandectae. Digesti o Pandette dell’Imperatore Giustiniano. Testo

e traduzione, I, 1-4, a cura di Sandro Schipani con la collaborazione di Lelio Lantella, Milano, 2005, VIII ss.

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Riassunto delle lezioni

33

nei primi frammenti che lo seguono, cosa che ci interessa per la comprensione complessiva della

loro elaborazione costruita attraverso il metodo della antologia di testi di altri.

Questa ipotesi di lavoro trova una conferma guardando l’ordine della esposizione che, come

meglio vedremo infra, con il fr. 30 riprende dall’inizio: come in D. 9,2,3-7pr. si commenta ‘iniuria’

e in D. 9,2,7,1-11,5 si commenta ‘occidere’ e quindi D. 9,2,11,6-20 si esaminano i problemi del

legittimato attivo all’azione, così anche in D. 9,2,30 si fa una sintesi di quanto, dal parallelo

Commentario all’editto di Paolo, si poteva ancora trarre, cominciando nuovamente da ‘uccidere’,

quindi si inserisce il fr. 31, proveniente dalla massa sabiniana, per integrare l’ultimo problema

affrontato nel fr. precedente e con un evidente particolare atto di scelta; ecc. Dopo questi primi

frammenti della seconda parte, gli altri seguono secondo un criterio di integrazione svolta

prevalentemente secondo l’ordine di spoglio delle opere nelle diverse sottocommissioni operanti

alle diverse ‘masse’ di opere, cosa che appare a noi, così come a tanti a cominciare dagli umanisti,

disordinata (risultano riconoscibili, invero, anche altri accostamenti per motivi di contenuto: ad es.

D. 9,2,40-43, ma non un ordine complessivo come nella prima parte) e con l’obbiettivo di

completezza dei problemi e impostazioni che si volevano ricordare (molto significativo è D. 9,2,51)

e dei giuristi di cui si volevano ricordare i contributi (molto significativo è D. 9,2,52).

2.1. Il testo della lex Aquilia

In D. 9, il testo della legge ci è riferito in un fr. di Gaio (D. 9,2,1pr.) ove si precisa che

quello è il primo capitolo; poi in un fr. di Ulpiano (D. 9,2,27,4 e 5) ove ci si riferisce ad un secondo

e a un terzo capitolo, precisando che il secondo è caduto in desuetudine. Il testo ci è riferito anche

nelle Istituzioni di Gaio, che riferiscono anche il secondo capitolo (Gai.3,201; 3,215; 3,217); vi

sono alcune variazioni che non incidono in modo particolarmente rilevante per il nostro esame (in

particolare, una di esse comporta una correzione del testo del Digesto che, nella traduzione riferita è

incorporata). Anche le Istituzioni giustinianee, sulle orme di quelle di Gaio, riferiscono il testo,

seguendo, per il secondo cpv., i Digesti, e parafrasando il terzo cpv. (J. 4,3,pr.; 4,3,12; 4,3,13).

Nei testi che ci sono stati così riferiti, è interessante notare una modernizzazione del

linguaggio, con riferimento sia al termine ‘proprietario’ che, originariamente era invece ‘signore’

(D. 9,2,11,6), sia al non uso da parte di Gaio nelle Istituzioni del ‘pezzo di bronzo’ (aes)

Il secondo capitolo ha costituito un problema in relazione al significato che aveva inserito

fra il primo ed il terzo, trattandosi della “distruzione” di un credito. Accantono, per il momento, il

problema e l’esame di questo capitolo.

2.2. La data della lex Aquilia

Il commento di Ulpiano inizia inquadrando questa legge rispetto alle altre leggi anteriori, e

precisando la natura specifica di essa, cioè che si tratta di un plebiscito che porta, come d’uso, il

nome del proponente che, però, non riusciamo a identificare maggiormente (D. 9,2,1).

La ragione per cui sia stato un plebiscito, cioè una norma approvata dalla plebe e non una

legge di tutto il popolo, a introdurre le norme che ora esaminiamo, è problema discusso, così come

la data che è collegata al nome del tribuno della plebe che l’ha proposta: Aquilio.

[cfr. libro p. 63-68]

Le osservazioni svolte, per quanto si riferisce all’errata idea che Teofilo aveva in rapporto ai

plebisciti, rimangono solide, ma solo negative. Lo scolio di Bas. 60,3,1,4 è, poi, probabilmente

dipendente da quanto erroneamente aveva affermato Teofilo.

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34

2.3. Leggi sul danno anteriori alla legge Aquilia e derogate

Quali fossero le leggi sul danno anteriori alla legge Aquilia e derogate34

, è discusso:

certamente, non era stata derogata quella legge delle XII Tavole che abbiamo appena esaminato sul

danno da animali (D. 9,1), e ciò conferma le diversità fra le due fattispecie, centrata sulla

individuazione di colui che produce il danno, che nella norma delle XII Tavole era un quadrupede e

nella legge Aquilia è invece un uomo, con la conseguente immediata precisazione della assenza in

quella del requisito della iniuria a qualificarne la condotta (D. 9,1,1,3) per cui essa si riferiva ad un

ambito di fatti che non sarebbero rientrati fra quelli previsti da quest’ultima.

Anche la legge delle XII Tavole per il danno arrecato da animali fatti pascolare nel terreno

altrui (XII Tav. 8,7) si riferiva alla problematica dei danni e una actio de pastu pecoris è ancora

ricordata come vigente in D. 19,5,14,335

(su di essa, infra).

Le XII Tavole prevedevano anche una fattispecie di incendio non doloso della casa o dei

covoni di frumento presso di essa, per il quale era disposto un noxiam sarcire ancora ricordato da

Gaio come vigente ( XII Tav. 8,1036

) anche se simili eventi potevano rientrare nella previsione della

legge Aquilia ( cfr. D. 9,2,27,7ss. su cui infra). Invero, però, si deve anche tener conto del fatto che

tale fattispecie non dolosa si presenta come ipotesi meno grave di una fattispecie speciale e dolosa

la cui sanzione è la pena capitale che la attrae nella propria logica di tutela di un interesse della

comunità alla repressione di fatti che turbano lo svolgimento dell’attività agricola la cui repressione

in certi casi ci è testimoniata come connotata da profili sacrali (XII Tav. 8,9 che prevedeva la

consacrazione a Cerere di chi pasceva nottetempo gli animali sul fondo altrui o ne portava via

furtivamente i frutti; a questa problematica è stata avvicinata l’oscura fattispecie di cui in XII Tav.

8,8).

Le XII Tavole prevedevano altresì la fattispecie degli “alberi <altrui > tagliati ingiustamente

/ senza giustificazione” (XII Tav. 8,11)37

di cui non sono chiari i rapporti con il taglio furtim di

alberi38

, e sulla base della quale intervenne il pretore dando una azione con formula in factum

concepta (cfr. infra).

34

Non mancano i problemi di esatta comprensione del verbo derogare: cfr. D. 50,16,102 MODESTINO, nel libro settimo

delle regole. La legge o è ‘derogata’ o ‘abrogata’. Si deroga alla legge, quando ne viene detratta una parte; si abroga

quando è completamente eliminata; cfr. anche Tit. ex corp. Ulp. 1,3. 35

D. 19, 5, 14, 3 Lo stesso <ULPIANO>, nel libro quarantunesimo A Sabino. Se i frutti cadano dal tuo albero nel mio

fondo e io, immessovi il gregge, <glieli> faccia mangiare, Aristone scrive che non gli viene in mente alcuna azione

prevista da una legge, che io possa intentare: non si può, infatti, agire né in base alla Legge delle Dodici Tavole per il

pascolo del gregge (perché non pascola nel tuo terreno), né per danno da animali, né <in base alla legge Aquilia> per

danno ingiusto; si dovrà, pertanto, agire con una azione modellata sul fatto. 36

D. 47,9,9 GAIO nel libro quarto Alla legge delle XII Tavole. Colui che avesse bruciato la casa o i covoni di frumento

vicino ad essa, sia ordinato che, incatenato, battuto con le verghe, sia messo al rogo, sempre che abbia commesso ciò

con consapevole volizione. Se invece per caso, o per negligenza, sia ordinato che venga risarcito il fatto dannoso o, se

sia meno idoneo, venga castigato in modo più lieve. Nella designazione, poi, di ‘casa’ è inclusa ogni specie di edificio.

Su una actio incensarum aedium, cfr. D. 2,14,7,13, e su una persecuzione civiliter del danno ai vicini per incendio cfr.

D. 48,19,28,12 37

Plinio, Nat. Hist. 17,1,7, e Gai. 4,11 che ricorda la relativa azione con riferimento al processo per legis actiones ed

al suo superamento per il suo eccessivo formalismo. 38

Non affronto qui il problema dei rapporti fra la fattispecie di arbores alienas iniuria cedere e quella di arbores furtim

caesae di cui al Titolo D. 47,7 dei Digesti stessi: cfr. D. 47,7,1 PAOLO nel libro nono A Sabino. Se degli alberi siano

stati tagliati furtivamente, Labeone afferma che si deve dare sia l’azione in base alla legge Aquilia sia in base alle XII

Tavole; ma Trebazio afferma che entrambe si devono dare in questo modo, che il giudice nella azione successiva

deduca ciò che è stato conseguito in base alla prima e condanni nella differenza.

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35

Si devono, inoltre, ricordare due parole rimaste: rupitias sarcito / risarcire le rotture, o i

danni (XII Tav. 8,539

) che suggeriscono una fattispecie più generale, o che come tale ha potuto

essere interpretata entro certi limiti che, probabilmente sono risultati poi da superare con altra legge.

Infine, non si può omettere di menzionare anche il riferimento a noxianve noxit di Ulpiano

(XII Tav. 12,2.a.), già menzionato per l’uso del termine noxia (supra), che troviamo in coppia con

quello al ‘furto’ compiuti da un servo per la previsione della nossalità, e, si noti, senza riferimento

agli atti ingiusti contro la persona, quasi a tener separate le fattispecie contro il patrimonio. Anche

per queste due parole, la grande generalità della fattispecie che potrebbero sembrare delineare è tale

che fa pensare ad una delimitazione non attestata dalle fonti e che ci sfugge, o ad una norma di

secondo livello.

Un richiamo è anche necessario alla previsione, nelle XII Tavole, delle fattispecie di

membrum ruptum (8,2), cioè di lesione che alteri gravemente la funzionalità di una parte del corpo,

os fractum (8,3), cioè di frattura di un osso, iniuria facere (8,4), cioè di altra azione ingiusta lesiva

della persona, che, per lo meno con riferimento ai servi40

, vengono a convergere parzialmente con il

terzo capitolo della legge in esame.

Interessa sottolineare l’attenzione alla successione delle leggi nel tempo ed alla inclusione o

meno di quella anteriore nella posteriore, problema che merita un approfondimento che non svolgo

in questa sede41

.

2.4. Il metodo lemmatico di Ulp. l.18 all'editto

Il commento di Ulpiano si basa sulle parole della legge, che vengono usate per comporre la

formula della azione. Il Commento, dopo le due annotazioni sopra viste, prosegue ricordando i tre

capitoli della legge: il primo, per il quale il testo di Ulpiano è sostituito con un fr. di Gaio in D.

9,2,2; il secondo in D. 9,2,27,4, e di esso si dice che è caduto in disuso; il terzo in D. 9,2,27,5.

Come nel titolo precedente, questi tre capitoli vengono commentati parola per parola, secondo

l’ordine delle parole, e quindi:

D. 9,2,2,2: le cose lese, ‘servi’ e ‘animali quadrupedi’ (tipi di animali presi in considerazione);

D. 9,2,2,3-7pr.: ‘ingiustamente’, la mancanza di giustificazione ;

D. 9,2,7,1-11,5 : la condotta e l’evento di danno espressi entrambi dal verbo ‘uccidere’;

D. 9,2,11,6-20: erus e la conseguente altruità della cosa lesa, esaminata di riflesso in relazione alla

individuazione del legittimato attivo alla azione, il ‘padrone / proprietario’, titolare della

obbligazione che è nata dall’evento di danno;

D. 9,2,21-23,7: ‘quanto fosse stato il maggior valore’ …, cioè la determinazione dell’ammontare

della pena;

D. 9,2,23,8-27,3: sulla azione, e il suo carattere penale (trasmissibilità; D. 9,2,23,9: concorso; D.

9,2,23,10-25: confessio in iure / infitiatio; D. 9,4,2 .6. 14. 9,2,27pr.-3: nossalità);

D. 9,2,27,4: secondo capitolo;

D. 9,2,27,5: terzo capitolo;

39

Cfr. FESTO, s.v. rupitias nelle XII <Tavole> significa ‘avere dato danno’; s.v. sarcito nelle XII <Tavole> Servio

Sulpicio afferma che significa pagare, adempiere il danno. 40

Sul principio secondo il quale non è possibile una stima di quanto è il valore della lite con riferimento al corpo

dell’uomo libero, e sulla individuazione dei danni che ugualmente potrebbero essere e sono stati riconosciuti, ma

attraverso un lavoro interpretativo, cfr. supra D. 9,1,3 e infra. 41

D. 1, 3, 26 PAOLO, nel libro IIII Delle questioni Non è una novità che le leggi anteriori siano estese alle posteriori; D.

1, 3, 27 TERTULLIANO, nel libro I Delle questioni Quindi, poiché è entrato in uso estendere le leggi più antiche alle

posteriori, si deve sempre pensare come se nelle leggi sia incluso che esse riguardino anche le persone e le cose che in

qualunque tempo saranno simili; D. 1, 3, 28 PAOLO, nel libro V Alla legge Giulia e Papia Ma anche le leggi posteriori

fanno parte di quelle anteriori, a meno che siano ad esse contrarie; e ciò è provato da molti argomenti;

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Riassunto delle lezioni

36

D. 9,2,27,6-29pr.:la condotta e l’evento di danno espressi entrambi dai verbi D. 9,2,27,6-12:

‘bruciare’; D. 9,2,27,13-28: ‘rompere’; D. 9,2,27,29-29pr.: ‘spezzare’-‘rompere’;

D. 9,2,29,1-7: ‘ingiustamente’, la mancanza di giustificazione;

D. 9,2,29,8: ‘quanto fosse stato il valore’ … cioè la determinazione dell’ammontare della pensa.

Come detto, a volte, a cominciare dal fr. 2, il testo di Ulpiano viene integrato o sostituito dal

testo di altri giuristi. E, come già detto, da D. 9,2,30 si ricomincia a commentare ‘uccidere’; si

seleziona dal Commento all’editto di Paolo quanto si ritiene ancora utile aggiungere, si inserisce,

dello stesso Paolo, un frammento tratto da altra massa (il fr. 31), e poi si prosegue con frammenti

della massa Edittale, e quindi della Sabiniana e della Papinianea, senza ordine.

Nella nostra lettura, queste integrazioni possono essere da noi utilmente inserite nell’ordine

della prima parte42

, anche se non possiamo omettere di tenere presente, come già detto, il problema

del possibile significato di questo modo di procedere.

2.5. Il significato delle parole usate dalla legge al momento della sua approvazione, ed i

problemi interpretativi che esse pongono

Prima di affrontare l’esame delle interpretazioni compiute dai giuristi sul testo della legge, e

che ne rappresentano una lettura successiva, è opportuno svolgere un sintetico esame dei problemi

che, verosimilmente, si ponevano all’atto della scrittura del testo della legge.

Come abbiamo visto, il testo della legge è riferito, in modo non del tutto letterale, in D.

9,2,2pr. e D. 9,2,27,5. Il secondo capitolo, omesso da D. 9,2,27,4 è riferito, nella sua sostanza, da

Gai. 3,21543

. Con riferimento al I e al III capitolo, possiamo osservare che le parole più significative

per la descrizione della fattispecie, sulle quali si sofferma lo stesso commento di Ulpiano, sono ‘un

servo o una serva o quadrupede di bestiame’, ‘le altre cose’; , ‘altrui’ / ‘di un proprietario’;

‘uccidere’, ‘bruciare’, ‘spezzare’, ‘rompere’, ‘cagionare danno’; ‘ingiustamente’.

In relazione alle cose lese, si può osservare che l’uso del maschile e del femminile manifesta

un estremo attaccamento alla lettera delle parole nell’epoca più antica, in cui la legge è stata

formulata44

. L’equiparazione dei servi ai quadrupedi, che viene rilevata da Gaio (D. 9,2,2,2), si

colloca in quel contesto accennato a proposito della data della legge, secondo il quale si viene

accentuando, nell’ambito degli schemi giuridici dell’appartenenza, la prospettiva proprietaria-valore

di scambio con un processo all’interno del quale la posizione dei servi da un lato rimane saldamente

ancorata all’ambito delle persone45

tanto che per l’uccisione del servo si può preferire agire per il

crimine che la stessa costituisce come per un libero (D. 9,2,5pr.; D. 9,2,23,946

), d’altro lato vede

precisarsi l’equiparazione, sotto molteplici profili, alle cose. Si può notare che la categoria delle res

mancipi non rileva, mentre rileva la distinzione relativa agli animali selvaggi, ai quali è applicabile

solo il terzo capitolo della legge (D. 9,2, 29,6).

42

Esemplare l’opera di R.J. POTHIER [1699-1772], Pandectae Justinianeae in novum ordinem digestae cum legibus

Codicis et Novellis, vol 5, Parigi, 1748-1752 nella quale l’A. ‘riordina’ secondo il proprio criterio i frammenti di ogni

titolo, ed a volte raccoglie anche fr. che trattano la materia in altri titoli e libri. Si noti come in essa non si segue nel il

metodo dei ‘richiami’ dei glossatori, che collegavano con le loro note testi anche lontani tra loro, senza spostarli, né il

successivo metodo di riscrivere il contenuto; ma si conserva il testo originario, spostandone la collocazione. 43

Cfr. anche C.G. BRUNS, Fontes Iuris Romani Antiqui, Tubinga, 1909, 45 s. (rist. Aalen, 1958) 44

È nota l’osservazione relativa all’interpretazione della Legge delle XII Tavole 4,2 relativa alla emancipatio del figlio:

alla stregua di essa, chiaramente in base ad una interpretazione legata alla lettera, per tutti gli altri discendenti maschi e

femmine, secondo quanto ci ricorda Gai. 1,132, non occorrono tre atti di mancipatio, ma ne basta una solo. 45

È, tra l’altro, delle Istituzioni di Gaio la tripartizione della materia: personae, res, actiones che vede i servi collocati

nella prima categoria (non posso soffermarmi in questa sede su questo punto che nei manuali è per lo più tuttora trattato

con evidente violazione di quanto le fonti ci indicano). 46

Cfr. anche Gai. 3,213; J. 4,3,11; D. 48,8.

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37

Le cose lese devono essere altrui, ossia appartenere ad altri in proprietà secondo una

modalità di individuare il diritto di proprietà sulla cosa come identificantesi con la possibilità di

predicare l’appartenenza a sé della cosa stessa (modalità linguistico-espressiva e costruttiva

permanente, che troviamo nella legis actio sacramento in rem: Gai. 4,16: hunc ego hominem meum

esse aio... / ‘affermo che questo servo è mio’ (si noti l’uso del temine homo) e che vede, ad es.,

anche in epoca giustinianea l’assenza di un titolo sulla proprietà all’inizio del libro II delle J. ove,

prima di trattare dei diritti sulle cose altrui in J. 2,3-5, nel tit. 1 si tratta dei modi in cui le cose

diventano nostre, o cessano di esserlo in J. 2,1,11-fine).

L’attaccamento alle parole nel loro significato più stretto si manifesta anche nella

interpretazione dei verbi (occidere, urere, frangere, rumpere), ed i giuristi lo registrano come una

specificità delle condizioni d’uso di tali termini in questa legge (cfr. D. 9,2,7,1; D. 9,2,51pr.),

mentre specifica è piuttosto la maggiore fissità che il termine, inserito in un testo legale, conserva

rispetto all’uso esterno a tale testo47

. Infatti, ad una verifica delle condizioni d’uso dei verbi nel

latino più antico, si rileva che quello che ai giuristi posteriori sembra singolare, era invece l’uso

normale dei termini. Questi termini descrivevano, oltre all’evento di danno, anche una condotta a

forma vincolata di intervento fisico sul corpo della vittima [cfr. libro p. 41 e n. 39].

Per quanto attiene al termine iniuria, la problematica che esso richiama è articolata: cfr.

iniuria facere (XII Tav. 8,4 Gell. N.A. 20,1,2; Coll. 2,5,5); iniuria caedere (XII Tav. 8,11, Plinio

17,1,7); iniuria vindicare (Gai. 4,16); iniuria iudicis (D. 17,2,52,18); iniuria occisi sint necne (Cic.,

pro Tull. 16,38). Il significato emergente che mi pare da indicare è quello di “assenza di

giustificazione”, e questa assenza e valutata in modo del tutto oggettivo, prescindendo da quanto sia

stata in buona o mala fede, avventata o diligentemente valutata l’affermazione: viene così

qualificata una condotta che ha elementi di violenza (la bacchetta era usata come simbolo della

lancia) e che interviene nei miei confronti [cfr. libro 41 ss.]. Questo significato, che qualifica la

condotta più che l’evento di danno che ne deriva, che pure abbiamo visto essere descritto attraverso

la stessa parola, è corroborato dal fatto che la lesione del diritto è già espressa dall’altruità della

cosa lesa.

Possiamo riepilogare quindi che la fattispecie descritta è colta attraverso i seguenti elementi

costitutivi:

a) un evento di danno, descritto dai verbi, costituito dalla distruzione o dal deterioramento

materiale di una cosa;

b) una condotta, anch’essa descritta dai verbi, che materialmente produce tale evento con un

contatto fisico fra autore e cosa su cui la condotta incide (una tale specifica condotta, a forma

strettamente vincolata, rendeva irrilevante ogni analisi dell’elemento soggettivo e del rapporto di

causalità);

c) la violazione del diritto di proprietà, descritta dalla altruità della cosa lesa;

d) la necessità della ‘ingiustificatezza’ di tale violazione, ossia l’assenza di cause di

giustificazione, descritta dal termine iniuria.

Nell’esame di questi elementi, dobbiamo evitare ‘imprestiti’, cioè, dobbiamo evitare di

proiettare concetti e impostazioni sia nostri sia anche antichi, ma posteriore e maturati magari

proprio anche nell’ambito della interpretazione / costante reinterpretazione di questa stessa legge.

Questa osservazione è essenziale non solo, o non tanto per una esigenza di ricostruzione storica,

quanto per cogliere la pluralità di prospettive dogmatiche che sono presenti nel sistema anche

attraverso la stratificazione delle stesse. In particolare, questo vale per il significato che attribuiamo

alla alternativa responsabilità oggettiva / responsabilità per colpa, in rapporto alla quale si cumulano

diversi profili.

47

Quanto detto, invero, non si svolge in modo lineare: si osservi D. 9,2,52,2 confrontandolo con D. 9,2,7,3.

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38

[cfr. libro p. 41-45; 68-71]

2.6. Le cose prese in considerazione dalla legge

Rispetto alle cose la cui distruzione o deterioramento sono presi in considerazione dalla

legge, notiamo in D. 9,2,2,2 il ricordo di una discussione per i porci, una interpretazione estensiva

per cammelli ed elefanti, l’esclusione dei cani (sulla considerazione giuridica di questi ultimi,

abbiamo già visto oscillazioni: supra. D. 9,1,2,1).

Ci viene segnalata una caduta in disuso della legge con riferimento invece alla distruzione

del credito che avvenga non attraverso la distruzione di un oggetto materiale (D. 9,2,27,4; Gai.

3,215-216). (Non affronto qui il problema del significato di questo secondo cpv. della legge: esso

sostanzialmente prevedeva il caso del concreditore che uno stipulante si era affiancato perché si

potesse pagare a lui, il quale invece avesse in modo fraudolento rimesso solennemente, cioè con la

accepti latio estintiva, il debito stesso; in una tale fattispecie è stato sottilmente visto un possibile

residuo dell’originale fisicità del vincolo obbligatorio gravante sull’ostaggio, vincolo che veniva

distrutto. La fattispecie è caduta in disuso per la maturazione del mandato con la cui azione lo

stipulante poteva convenire l’adstipulator infedele).

Nel fr. 27, in merito alle cose troviamo precisato (par. 6) che il terzo cpv. ha uno spazio di

applicazione anche nei confronti dei servi o degli animali presi in considerazione già nel primo.

Non emergono esservi state discussioni: l’esemplificazione che prende in considerazione una

crescente varietà di cose, dalle case ai campi alle api alle perle, non si sofferma su di esse, quanto su

altri elementi della fattispecie.

Questo dettato della legge implica quindi, per i cpv 1 e 3, il presupposto della distruzione o

deterioramento di un oggetto corporale, ma vedremo che questo requisito viene superato (infra par.

2.8.2.: Gai. 3,202; J. 4,3,16). Esso inoltre esclude la considerazione dell’uccisione o di altra lesione

dell’uomo libero che non potrebbe rientrare nella designazione di ‘servo’ e al quale non viene estesa

la qualifica di ‘cosa’. Già nella lettura di D. 9,1 abbiamo visto che (fr. 3) viene sottolineata questa

differenza dalla pauperies. Mentre per le lesioni il limite predetto diventa superabile attraverso una

reinterpretazione del danno valutabile (cfr. infra), per l’uccisione non lo diventa (anche se non mi

pare vi sia una impossibilità logica).

2.7. Iniuria e i suoi sviluppi interpretativi

Venendo all’esame del riferimento alla ingiustizia / mancanza di giustificazione, la lettura

della sequenza D. 9,2,3-7pr. evidenzia una serie di problemi: la considerazione delle cause di

giustificazione introdotta da un testo di Ulpiano, prosegue con un testo di Gaio (D. 9,2,43) che

richiama la naturalis ratio (e forse per questo è stato inserito nella catena di testi al posto di quanto

scriveva Ulpiano), e le XII Tavole che prevedono una situazione che non risulta del tutto

riconducibile alla legittima difesa, ma forse include anche una forma di immediato farsi giustizia

punendo la persona colta in circostanze così pericolose. un farsi giustizia che risulta adombrato

dalla chiamata dei vicini48

.

Il testo di Ulpiano in modo del tutto esplicito inquadra il commento nel riferimento alle

parole della legge, e della formula /all’elemento della fattispecie: iniuria, enunciato in fr. 3 e ripreso

48

Il richiamo di Gaio alla Legge delle XII Tavole ci mette forse in luce una antica pratica che oscilla fra la legittima

difesa ed il farsi giustizia, e che viene poi escluso: nel testo di Ulpiano riprodotto più integralmente in Coll. 7,3, si

ricorda una discussione di Pomponio sul fatto che questa legge sia in uso. Il riferimento alla ‘ragione naturale’ per la

legittima difesa è un ‘luogo comune’ rientrato nella riflessione sul diritto delle genti e, nei Digesti, lo troviamo già nel

Titolo primo: D. 1,1,3.

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Riassunto delle lezioni

39

nella conclusione: “non risulta avere ucciso ingiustificatamente”. Esso poi si apre a delle distinzioni

che chiamano in causa il profilo del timore, così introducendo la considerazione di momenti

soggettivi oltre che dei fattori oggettivi che lo provochino e che escludono la rimproverabilità

(5pr.). Già il mettere in luce un ‘preferire’ pone l’attenzione sia sul profilo soggettivo, sia sulla

situazione oggettiva che consentiva una diversa scelta, e la necessità di una proporzione oggettiva

fra reazione lesiva e motivo di essa (rimproverabilità dell’eccesso)49

.

Alla considerazione del requisito dell’assenza di giustificazione per la propria azione viene

quindi collegato da Ulpiano il riferimento alla rimproverabilità del soggetto che agisce, se, pur

astrattamente in presenza di una causa di giustificazione, ‘può’ fare altrimenti, ma ‘preferisce’. Con

questa annotazione, il requisito dell’assenza di giustificazione si apre quindi alla considerazione

della capacità di operare in modo ingiustificato, riprovevole.

Il riferimento alla rimproverabilità del soggetto autore della condotta apre la via ad una

sottile operazione interpretativa del termine iniuria che presenta come in esso incluso il requisito

della culpa che non abbiamo riscontrato presente nelle condizioni d’uso del termine al di fuori della

legge Aquilia sopra esaminate (fr. 5,1).

È necessario, per cogliere a fondo il senso di questo faticoso testo di Ulpiano, da un lato

seguire il suggerimento dei giuristi giustinianei che hanno posto in particolare luce D. 9,2,31, subito

dopo la catena di testi e, forse, anche D. 9,2,39pr.: questi testi, infatti, stanno alle spalle di questa

acquisizione dei punti di contatto fra iniuria e culpa per concettualizzarla e ne segnano il punto di

partenza rintracciabile; d’altro lato, è opportuno esaminare le condizioni d’uso del termine culpa

nella lingua latina quando esso è stato inserito nel linguaggio settoriale giuridico.

Con D. 9,2,39 pr., i giuristi che elaborano i Digesti inseriscono un testo di Pomponio che,

nel II sec. d. C. aveva scritto un commento all’opera di Quinto Mucio (I sec. a.C.). Qui Quinto

Mucio non usa la parola ‘colpa’ o una sua definizione generale, ma parimenti svolge in poche righe

una analisi esemplare: descrive un fatto, pone il quesito, dà il parere. Il fatto è quello di un

proprietario che trova una cavalla pregna altrui che pascola nel suo fondo, la ‘forza’ per cacciarla e

quella abortisce. Il quesito è se egli sia responsabile. L’evento dell’aborto era ormai stato già

considerato perfezionare l’evento previsto dai termini della legge (cfr. D. 9,2,27,22) e il dubbio che

motiva il quesito non poteva essere su tale punto. Il motivo del quesito, e di difesa del proprietario

del fondo, era nella tesi secondo la quale egli aveva operato nel suo, per interrompere un danno che

gli veniva arrecato, e quindi era giustificato, non era perfezionato il requisito della iniuria. Il

termine usato per descrivere la condotta tenuta dal proprietario è abbastanza generico e, nel

responso, Quinto Mucio opera una distinzione: se la condotta era alquanto violenta, anche se fatta

con una giustificazione, era riprovevole, perché eccedeva il necessario e comportava la presenza di

iniuria e la responsabilità [cfr. libro p. 73 ss.]. Il successivo sviluppo di Pomponio si inserisce in un

contesto di considerazioni diverso, di crescente volontà di arginare il “farsi giustizia” da sé e quindi

49

Per una analisi attenta alle vicende dei testi, cfr. Coll. 7,3,2-3, che mette in luce che il riferimento al metus non è di

Ulpiano, ma successivo: “Anche se poi taluno abbia ucciso chiunque altro che, armato, lo aggredisce, non si

considererà che lo abbia ucciso ingiustamente. Di conseguenza, vediamo se sia tenuto dalla legge Aquilia colui che

abbia ucciso il ladro notturno, che la legge delle dodici Tavole permette comunque di uccidere, o quello diurno, che

parimenti la legge permette di uccidere, ma solo se si difende con un’arma. E Pomponio discute se questa legge non sia

in uso. E se taluno abbia ucciso di notte un ladro, non si dubiterà invece, potendolo catturare, preferì ucciderlo, si

considera piuttosto che si sia comportato ingiustamente; quindi sarà tenuto anche in base alla legge Cornelia. Poi è

necessario intendere ingiustizia ....”. Questa accentuazione del profilo soggettivo potrebbe essere emersa nei

ripensamenti sul testo (cfr. infra) anche in collegamento con il riferimento di Ulpiano alla alternativa: ‘potendolo’

‘preferì’ che evidenzia una attenzione alla rimproverabilità della condotta di colui che ha sorpreso il ladro.

Sottolinea come questo ‘confronto testuale’ ci sia utile in relazione alle possibili diverse prospettive dogmatiche, ma,

senza entrare nell’argomento, segnalo anche il valore che hanno questi confronti per lo studio delle vicende dei testi in

età tardo antica.

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Riassunto delle lezioni

40

la necessità di incanalare i contrasti verso l’intervento del giudice, considerazioni che spostano

l’asse del responso muciano.

In D. 9,2,31 viene introdotto un frammento tratto da un’opera di Paolo (III sec. d.C.) di

commento e sviluppo dell’opera di Sabino (I sec. d. C.) che cita un parere di Quinto Mucio. In

questo frammento si esamina una situazione in cui un operaio compie un lavoro che può arrecare

danno. Prima del parere di Quinto Mucio, evidentemente dei giuristi distinguevano fra il

compimento di tale attività in un terreno privato, o in un terreno pubblico; ciò facevano per

sostenere che nel proprio terreno uno può fare ciò che vuole, è giustificato perché esercita il proprio

diritto, nella sua condotta non vi è iniuria. Quinto Mucio, due secoli e mezzo prima di Gaio e oltre

tre secoli prima di Ulpiano citati sopra e le cui opere erano state utilizzate all’inizio del titolo, aveva

introdotto uno sviluppo interpretativo nell’esame della assenza di giustificazione; egli aveva

sostenuto la rimproverabilità (colpa) di colui che non si comporta come una persona diligente, e non

provvede ad avvisare con segnali o a voce per tempo; egli aveva sostenuto che questa

rimproverabilità costituisce un limite nell’esercizio di attività lecite anche nel proprio fondo e la

condotta pertanto è qualificabile come iniuria (potremmo dire: “perché interessa alla cosa pubblica

che ciascuno usi bene del suo” secondo un principio che incontriamo poi enunciato in altro ambito:

J. 1,8,2). [cfr. libro p. 76 ss.].

L’uso di culpa in questo testo da parte di Quinto Mucio confrontato con la ricerca di

rimproverabilità svolta in 39pr. ove non lo richiama, ed anzi sviluppa l’esame di profili un po’

diversi della condatto, ci dice come egli si ponesse all’inizio di un percorso in costruzione, anche se

la definizione qui presente è di eccezionale lucidità.

Si noti inoltre che il riferimento alla colpa è stato usato da Quinto Mucio per ampliare la

responsabilità rispetto a quanto prevedeva la legge e sostenevano altri giuristi. I giuristi dell’epoca

di Giustiniano, nel quadro della individuazione del principio della responsabilità per colpa, pongono

il riferimento alla colpa in primo piano inserendo questi frammenti fra i primi nei quali manifestano

la loro impostazione subito dopo avere fatto propria la catena di testi menzionata.

È utile però esaminare brevemente le condizioni d’uso del termine culpa. (cfr. libro, passim

e particolarmente p. 59 e 71 ss. senza dimenticare p. 29-40).

Questa affermazione della necessità di non essere in colpa / di non essere rimproverabili per

essere giustificati è una innovazione di grande respiro. La definizione di colpa di Quinto Mucio

rimane tutt’ora come nostro termine di riferimento intono al quale sono stati plasmati complessi di

norme, di regolamenti, di discipline che, sulla base del criterio della prevedibilità, fissano ciò a cui

uno deve provvedere per essere adeguato alle esigenze del convivere sociale, alla prevenzione dei

danni; regole la cui violazione non è di per sé sempre autonomamente sanzionata, ma è sanzionata

qualora ne consegua un danno.

Nella affermazione di questo principio secondo cui “la colpa, a cui consegua un danno, è da

punire”, confluisce anche un altro filone di riflessioni che si intrecciano con l’analisi della condotta.

Ma prima è opportuno completare la lettura dell’analisi di iniuria. leggere rapidamente alcuni altri

testi.

È interessante il successivo ragionamento per analogia che viene utilizzato per esonerare il

pazzo e l’infante dall’essere tenuti e per ritenere responsabile l’impubere se sia già in condizione di

tenere in modo riprovevole una condotta ingiustificata. Si noti, in questo par. 2, la citazione di

Pegaso (giurista della fine del I sec. d.C.) che, nel confronto con la pauperies, fa perno sulla

necessità di culpa. Tale sottolineatura da parte di Pegaso, riferita e fatta propria nel testo ulpianeo,

ma di circa un secolo e mezzo anteriore, è invero in consonanza con il rinnovamento interpretativo

di iniuria introdotto a partire da Quinto Mucio come abbiamo ora visto in D. 9,2,39pr e D. 9,2,31,

anteriore di un secolo e mezzo e che ormai si è consolidato. Fondandosi su questo rinnovamento

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Riassunto delle lezioni

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essa quindi però compie, nel dare la spiegazione del dato normativo antico, un “imprestito”

anacronistico. A ben vedere, il confronto della pauperies con la fattispecie aquiliana è sorto quando

è stata approvata questa seconda, che è ben posteriore alla prima, e si è reso necessario per

verificare se la seconda avesse o meno derogato alla prima. Ma nello statuire quella più antica non

ci si era certo posti il problema se l’animale potesse esercitare una attività giustificata, perché

l’animale può arrecare o no un danno costituente un segmento di una fattispecie facente capo al suo

proprietario o ad un utente dell’animale stesso, e sono queste persone che possono addurre

giustificazioni. Ed anche il riferimento che abbiamo visto in D. 9,1,1,3, al sensus, sebbene più

neutro, appare invero una anticipazione emersa nel confronto con la legge Aquilia.

Il modo di procedere per esempi, da quelli più auto-evidenti a quelli su cui discutere, apre

poi la via alla considerazione della caduta di una tegola, e poi alla condotta di un infante.

Da quest’ultimo, poi, si passa all’impubere, per il quale viene richiamato un responso

generale di Labeone fondato sulla analogia con le XII Tavole (VIII,14) che dispongono che

l’impubere è tenuto per il furto, che è una fattispecie dolosa, e quindi più grave, per cui, a maggior

ragione, sarà tenuto per il danno in base a questa legge. Ulpiano introduce una distinzione,

proponendo la categoria della ‘capacità’ di tenere una condotta che abbia il requisito della

ingiustificatezza e rimproverabilità richiesto.

Questa soluzione per la tegola, apre il problema del danno da cose inanimate che non apre la

via ad un risarcimento, ma solo alla retentio (sul punto infra, Riassunto 11 da fare). Quella per

l’infante, e per l’impubere che non sia capace di atto ingiusto apre il problema della qualificazione

di tale suo agire: è esso equiparabile/equiparato al caso fortuito? e quale è la posizione del pater

familias che avesse saputo / potuto proibire (D. 9,4,3)? Su questi punti cfr. infra.

Dall’esame di queste situazioni, che, come detto hanno costituito una parziale divagazione

connessa all’articolarsi dell’esame di iniuria, proseguendo sulla linea delle cause di giustificazione,

dopo la considerazione della causa di giustificazione per eccellenza (cfr. D. 1,1,3 che riporta al

diritto delle genti la difesa dalla ingiustificata violenza), si torna ad esse con D. 9,2,5,3, che tratta un

esempio singolare sotto il profilo fattuale e discusso sotto quello giuridico, quello, cioè, dell’eccesso

nell’esercizio della facoltà di punire consentita nell’ambito dell’insegnamento o dell’istruzione di

un apprendista. Ulpiano pone il problema e richiama la trattazione da parte di Giuliano di un

esempio che prende in considerazione anche in materia di locazione: D. 19,2,13,4, ove compie

puntualmente la citazione del libro 86 dei Digesti (questo testo ci è pervenuto anche in un

frammento pergamenaceo del V sec.)50

. Prescindiamo dalle difficoltà dell’esempio sotto il profilo

del fatto (un colpo alla cervice che provoca la perdita di un occhio). In entrambi i luoghi, vi è

coincidenza nell’esclusione dell’azione per atti ingiusti contro la persona: manca il dolo richiesto.

Nel contesto della locazione, l’esempio è riferito con una variante, infatti leggiamo che la condotta

è qualificata come “tanto forte” ponendo l’accento anche sulla condotta stessa, oltre che sulla

50

ULPIANO, nel libro trentaduesimo All’editto. [D. 19, 2, 13, 4] 4.”Parimenti, Giuliano, nel libro ottantaseiesimo dei

Digesti, scrisse che, se un calzolaio, con una forma per scarpa, abbia percosso tanto forte la cervice ad un ragazzo, che

non faceva bene <quello che gli aveva mostrato>, da fargli perdere un occhio, al padre di questi spetta l’azione da

locazione: infatti, sebbene sia concesso ai maestri di castigare lievemente, tuttavia <quello> non aveva tenuto tale

misura; per quanto riguarda anche la legge Aquilia, abbiamo detto in precedenza. Giuliano, poi, nega che competa

l’azione per gli atti ingiusti contro la persona, poiché <l’istruttore> non ha fatto ciò per commettere un atto ingiusto, ma

per istruire”.

PSI XIV, 1449 recto: “.... Giuliano dice che al padre di questi spetta l’azione di locazione, poi nega che competa

l’azione per gli atti ingiusti contro la persona perché <l’istruttore> non ha fatto ciò per commettere un atto ingiusto, ma

per istruire. Ma per quanto riteniamo riguardo alla legge Aquilia, lo abbiamo riferito in un altro commentario”. Segnalo questo esempio di più complesso ‘confronto testuale’ che ci mette a contatto con una traccia delle vicende dei

testi in età tardo antica in ambiente dell’Oriente mediterraneo.

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Riassunto delle lezioni

42

gravità dell’evento. D. 19,2,13,4, poi, più che una discussione, riferisce il riconoscimento da parte

di Giuliano della spettanza dell’azione contrattuale (parere confermato dal frammento di pergamena

di cui, in questa sede, non può essere approfondito il confronto con quello dei Digesti); si può

ipotizzare una eliminazione della discussione per opera dei giuristi della commissione ed una

accentuazione della gravità della condotta. La responsabilità in base alla legge Aquilia, in D.

9,2,5,3, potrebbe essere stata sostenuta con la stessa motivazione maturata nel quadro del rapporto

contrattuale: non è stata rispettata la misura della punizione concessa; vi è stato un eccesso. Nel

testo di Ulpiano viene inserito il brevissimo frammento di Paolo D. 9,2,6, per sottolineare che

questo superamento della misura ammessa comporta una rimproverabilità che va riferita alla colpa.

Questo inserimento non modifica la decisione, ma persegue un preciso inquadramento concettuale,

dogmatico di essa. (Rinvio l’esame di 7pr. all’esame del danno).

L’analisi della mancanza di cause di giustificazione trova, forse, sviluppo anche in relazione

al terzo capoverso (D. 9,2,29,1-7)51

. Non abbiamo qui le righe del testo di Ulpiano che citano le

parole della legge che egli commenta; esse sono state tagliate. Però mi sembra egli, dopo avere

esaminato i verbi che descrivono la condotta e l’evento, Ulpiano passi ad esaminare il riferimento

all’assenza di giustificazione e che a ciò si riferiscano almeno alcuni par. con i quali inizia la

sequenza in esame, anche se è altresì presente la ricerca di una rimproverabilità della condotta al

fine di individuare rispetto ad altre concause, quale sia il fattore a cui riferire il verificarsi

dell’evento (su questa problematica, cfr. infra), o anche al fine di discutere profili relativi alla

condotta a forma vincolata. Questo ricerca rende parzialmente ambigua la riconduzione di talune

discussioni sotto l’analisi di uno o altro termine della legge, ma va tenuto presente il modo di

procedere per esempi e il tipo di accostamenti che questo comporta, e, a favore del riferimento di

questi ora visti all’esame della mancanza di giustificazione, va tenuto presente il modo di

argomentare che vedremo ad es. esplicito in D. 9,2,49,1-43,24,7,4-9,2,27,25 (infra).

D. 9,2,29,1 non discute se vi sia un “rompere”, o uno “spezzare” un trave altrui, ma discute

se e in quali circostanze questo possa essere giustificato. Questa giustificazione non sussiste se io

posso agire giudizialmente per ottenere il risultato. Il par. si preoccupa poi del coordinamento di

questo parere con la decisione di un rescritto imperiale relativa all’acquedotto: infatti, argomenta, le

mie travi che sporgono dal mio terreno sul tuo le ho messe stando nel mio e rimangono mie mentre,

per costruire l’acquedotto, sono entrato nel tuo fondo eccedendo la servitù che era stata costituita e

ciò giustifica una tua condotta di rimozione / distruzione di tale opera che era sul tuo.

D. 9,2,29,2 esamina se i marinai erano o no in condizione di evitare l’evento, e se quindi

questo è frutto di una loro colpa / condotta rimproverabile; sembra che il non poter fare altrimenti

giustificherebbe, mentre in questo caso era possibile fare diversamente. In esso, l’osservazione

incidentale secondo cui il danno così arrecato è simile a quello arrecato “con la tua mano” fa

emergere anche la permanente presenza della problematica interpretativa della descrizione della

condotta ad opera dei verbi della legge. D. 9,2,29,3 per così dire esplicita l’altro corno

dell’alternativa fra la colpa dei marinai e la forza maggiore dei venti che causa uno stato di

necessità di cui non può essere rimproverato nessuno e che, si noti bene, coinvolge entrambe le

navi, una impigliata nelle funi dell’altra e nessuna delle due in grado di liberarsi senza un intervento

insieme di taglio delle funi e di liberazione di ambedue; poi integra il discorso con un nuovo

riferimento alla colpa dei marinai. Anche in questo par., peraltro, si introduce un argomento

incidentale, esaminando cosa debba essere fatto oggetto della stima del danno, cioè se anche le cose

future vengono in considerazione e ciò porta, per associazione di considerazione giuridica, a passare

51

In questi testi, come anche in altri, a volte i motivi si intrecciano: ad es. la considerazione di essere o no in

condizione di evitare l’evento (D. 9,2,29,2), della forza maggiore (D. 9,2,29,3) potrebbe essere vista anche sotto il

profilo del rapporto di causalità; non così lo stato di necessità (sempre D. 9,2,29,3), e la ricerca di una rimproverabilità

della condotta al fine di individuare quel fattore che si distacca rispetto alla altre concause (cfr. infra) rende

parzialmente ambigua la riconduzione di talune discussioni sotto l’analisi di uno o altro termine della legge.

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Riassunto delle lezioni

43

dai pescatori ai cacciatori. In D. 9,2,29,4 riappare l’alternativa fra colpa di uno o di altri per la rotta

tenuta o per altra condotta, e la forza maggiore, ed anche il par. 5 sembra individuare una condotta

riprovevole, mentre il par. 6 risulta evidentemente frutto isolato di una serie di tagli che hanno fatto

perdere il contesto di questa precisazione probabilmente incidentale. Sembra da ricondurre

all’esame della mancanza di cause di giustificazione il par. 7 relativo ad una condotta di magistrati

municipali che compiano e / o eccedano dal corretto esercizio delle loro funzioni; ma il testo è

intrecciato con altri problemi delle condotte descritte dalla legge.

Sono da collegare a questi i testi dei frammenti della seconda parte del titolo: oltre a D.

9,2,31; D. 9,2,39pr. già visti, D. 9,2,52,1; D. 9,2,52,4. Anche altri testi, inoltre, potrebbero essere

richiamati in modo assai interessante: ad es. D. 9,2,45,4 (causa di giustificazione e errore nella

esecuzione della condotta / aberratio ictus); D. 9,2,49,1 (stato di necessità); inoltre, al di fuori di

questo titolo, D. 43,24,7,4 e D. 47,9,3,7 (stato di necessità). [cfr. libro 73 ss., e p. 45 ss.].

D. 9,2,49,1 ci presenta un esempio fondamentale su cui si è plasmato lo stato di necessità,

cioè la costrizione derivante da una forza maggiore, che già si è delineata nella “forza dei venti” che

ha creato una situazione per risolvere la quale è stato necessario danneggiare una cosa altrui (supra.

D. 9,2,29,3). In relazione a questo esempio, bisogno però leggere anche D. 43,24,7,4, testo non

semplice, a sua volta da collegare D. 47,9,3,7.

D. 43,24,7,452

è un frammento inserito nel titolo sull’interdetto su “Ciò che sia stato

compiuto con violenza o di nascosto”53

di cui vengono commentati i due requisiti, della violenza54

e

dell’aver operato di nascosto55

, chiarendo preliminarmente che “fa poca differenza se uno aveva o

no il diritto di fare; perché, sia che avesse il diritto, sia che non lo avesse tuttavia è tenuto per il fatto

di aver agito con violenza o di nascosto: infatti, uno deve difendere il proprio diritto, ma non ideare

un atto ingiusto” (D.47,24,1,2), motivo per cui a colui che ha operato in tale modo non può essere

concessa, nei confronti di colui che agisca con l’interdetto, una eccezione che escluda “ciò che io

[che ho operato con violenza o di nascosto] abbia compiuto nell’esercizio del mio diritto” (D.

43,24,1,3). Sulla base della esclusione dell’eccezione di far valere l’avere agito in base ad un

proprio diritto con cui possa difendersi colui che ha tenuta la condotta vietata dall’editto, si capisce

che sia discussa la possibilità di interporre una tale eccezione pur nel caso di una forza maggiore

che stia per produrre un grave danno e di una necessità per arginarla. Vengono quindi richiamati

pareri di Celso, Gallo e Servio. Servio avrebbe introdotto una distinzione fra la condotta tenuta dal

magistrato, al quale potrebbe essere concessa l’eccezione, e dal privato, al quale una tale eccezione

non verrebbe concessa. Comunque, se il fuoco non sarebbe pervenuto, vi è responsabilità, mentre se

sarebbe pervenuto si può aprire un nuovo fronte di considerazioni: infatti, la responsabilità

52

D. 43,24,7,4 ULPIANO, nel libro settantunesimo All’editto. Vi è un’altra eccezione, della quale Celso discute se sia da

opporre: come ad es. se io abbia abbattuto l’edificio del vicino per arginare un incendio e si agisca nei miei confronti in

base all’interdetto ‘poiché che con violenza o di nascosto’ o in base al ‘danno (cagionato) ingiustamente’. Gallo infatti

discute se sia necessario interporre l’eccezione “ciò non è stato fatto a motivo di difendersi da un incendio”. Servio poi

afferma che se ciò lo abbia fatto il magistrato, deve essere concessa l’interposizione della eccezione), al privato non si

deve concedere la stessa cosa; se tuttavia qualcosa sia stato fatto con violenza o di nascosto né il fuoco sarebbe

pervenuto fino a quel punto, la lite va stimata per il semplice valore di essa; se sarebbe pervenuto, bisogna assolverlo.

Egli afferma che è così anche se si fosse agito in base al danno (arrecato) ingiustamente perché non risulta che si arreca

nessuna ingiustizia o danno dal momento che gli edifici sarebbero periti ugualmente. Però, se abbia fatto ciò non

essendovi alcun incendio e poi sia sorto un incendio non si dovrà dire lo stesso perché non Labeone afferma che è

necessario che sia valutato se un danno è stato arrecato o no, non in base a un fatto successivo, ma in base allo stato

attuale (della cosa). 53

D. 43,24,1pr.-1 ULPIANO, nel libro settantunesimo All’editto. Il pretore afferma: CIÒ CHE SIA STATO COMPIUTO CON

VIOLENZA O DI NASCOSTO, MATERIA DEL CONTENDERE, <SE NON È TRASCORSO PIÙ DI UN ANNO DAL MOMENTO IN CUI SI

SAREBBE POTUO AGIRE>, RIDUCILO IN PRISTINO. 54

Cfr. D. 43,24,1,5 ss. 55

Cfr. D. 43,24,3,7 ss.

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Riassunto delle lezioni

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presuppone altresì un danno come sottolinea, per l’interdetto, lo stesso Celso56

. Su questo duplice

fronte di riferimenti (per il requisito del danno per la responsabilità in base alla legge Aquilia, cfr.

D. 9,2,27,25 che parimenti si riferisce all’iniuria e infra) Celso esclude che colui che abbia operato

in presenza dell’incendio sia tenuto: manca sia la ingiustizia, sia il danno e l’oscillazione fra i due

profili della fattispecie non debbono stupire in un contesto di interpretazione che viene innovando.

Il riferimento all’assenza del danno, apre la via alla necessità di un’altra precisazione, quella

relativa al momento in cui si deve valutare se vi è o no il danno, cioè se un evento posteriore

avrebbe comunque distrutto la cosa, ciò farebbe venire meno il danno, e qui viene ricordato un

importante parere di Labeone che lega la valutazione predetta al momento della condotta57

.

D. 9,2,52,1 è un testo di Alfeno, assai prezioso proprio perché di un giurista tanto risalente,

allievo di Servio. Anche in questo testo, come già sottolineato per D. 9,2,39pr., vi è una nitida

distinzione fra la presentazione dell’esempio, la posizione della domanda, la risposta che si fonda

sull’introduzione di una doppia distinzione. L’avere elevato per primo il livello della rissa da parte

del ladruncolo o l’aver direttamente ecceduto nella sua autotutela il proprietario che pertanto viene

ad aver tenuto una condotta, in nome di tale eccesso, riprovevole. Ma anche nel primo caso si deve

ulteriormente distinguere, se il proprietario apposta realizza la condotta la lesione sproporzionata in

relazione al fatto originario. In questo testo, il precedente uso da parte di Quinto Mucio del

riferimento alla colpa sembra venire utilizzato in modo espansivo, anche se non assistiamo ad una

generalizzazione di esso.

Sembra da ricondurre alla verifica del requisito dell’assenza di giustificazione anche D.

9,2,52,4 ove il gioco giustifica condotte che sarebbero altrimenti ingiustificate: come nella rissa di

cui al par. 1, se non viene ricercato ‘apposta’ un risultato lesivo, la condotta che lo provocasse non

viene ritenuta riprovevole; l’esclusione della responsabilità in nome del ‘caso’ introduce una

oscillazione concettuale fra assenza del requisito della ingiustizia / ingiustificatezza e problematica

dell’efficienza della condotta già segnalata e che viene sviluppata maggiormente nell’esame dei

verbi descrittivi di questa.

2.8. Occidere, urere, frangere, rumpere e gli sviluppi interpretativi, relativi alla condotta e

all’evento. 2.8.1. dalla condotta vincolata alla causazione dell’evento; il ruolo della rimproverabilità della condotta (dalla descrizione di condotte negligenti, imperite, imprevidenti,

ecc. comunque riprovevoli, alla loro sussunzione nella colpa)

Ho già indicato che in D. 9,2,7,1-11,5 si esamina la parola della legge ‘uccidere’ che

individua sia la condotta che l’evento, e vediamo che la condotta era originariamente individuata in

forma vincolata, cioè doveva comportare un contatto, anche attraverso altro strumento, con il corpo

di colui che veniva ucciso, provocandogli la morte. Da questa prospettiva si passa a quella secondo

cui si ritiene perfezionata la fattispecie se vi è una condotta che ‘causa’ la morte, anche se tale

condotta non ha la forma specifica richiesta dalla interpretazione stretta delle parole della legge.

56

D. 43,24,18pr. CELSO, nel libro venticinquesimo Dei digesti: Se uno abbia tagliato un bosco ceduo, è tenuto in base

all’interdetto per ciò che con violenza o di nascosto; se in modo simile lo abbia tagliato quando era maturo per il taglio

e il proprietario non ha subito un danno, non deve prestare nulla. 57

Forse, da una rigorosa applicazione di questo criterio dipende la posizione di Labeone in D. 47,9,3,7 che, peraltro,

con riferimento a Celso e Ulpiano, conferma invece le loro già viste posizioni: D. 47,9,3.7 ULPIANO, nel libro

cinquantaseiesimo All’editto. Ciò che dice il pretore (nell’editto sull’incendio, sul crollo, sul naufragio e sulla barca o

nave assaltata) in merito al danno arrecato, ha luogo soltanto se il danno sia arrecato con dolo; infatti, se manca il dolo,

viene meno l’applicabilità dell’editto. Come dunque stanno le cose in rapporto a ciò che Labeone scrive che, se io,

essendo sorto un incendio, abbia distrutto l’edificio del vicino per difendermi, si dà l’azione contro di me e contro la

mia famiglia di servi? Dal momento, infatti, che l’ho fatto per difendermi, manco comunque di dolo. Ritengo dunque

che non è vero ciò che scrive Labeone. Forse che tuttavia si può agire per tale evento in base alla legge Aquilia? E

ritengo che non si possa: infatti, non ha neppure fatto ciò ingiustamente, colui che si volle proteggere non potendo fare

altrimenti. E così scrive Celso.

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Riassunto delle lezioni

45

Questo passaggio avviene inizialmente estendendo il significato del termine, che viene ad includere

anche condotte che meno direttamente producono l’evento (tipico in questo senso è il testo di

Alfeno D. 9,2,52,2 nella sua parte centrale ove mostra come si procedead estendere il significato di

‘occidere’ dallo scagliare un dardo fino ad includere il cessare di sostenere un peso che, con la sua

caduta, provoca l’evento), poi, però, quando il pretore in modo più stabile concede azioni utili e

azioni modellate sul fatto per sopperire alle situazioni in cui non si era in presenza della condotta a

forma vincolata prevista ai sensi della legge interpretata in modo stretto, sembra verificarsi una

sorta di ritorno a tale originaria interpretazione mentre l’azione ‘diretta’ è affiancata dalle altre due.

La differenza fra queste due altre azioni non risulta sempre coerentemente seguita, per cui non

sembra possibile riconoscere un criterio costante in merito, e ciò ha tormentato l’interpretazione

della legge nei secoli posteriori58

. Tendenzialmente, nella lettura, non cercheremo di ricostruire

questa vicenda, ma considereremo le tre azioni in certa misura come un tutt’uno; dobbiamo però

non dimenticare che essa costituisce uno dei problemi discussi.

Iniziamo dall’esame di D.9,2,7,1-8. Nel par. 1 il testo ci dà una spiegazione delle condizioni

d’uso del termine che corrisponde a quelle che erano proprie della lingua latina comune nel III-II

sec. a.C., descrivendo una condotta dell’autore del delitto che, con il proprio corpo, o con un’arma,

aggredisce il corpo della parte lesa; nel par. 2 viene descritta la condotta della persona che fa cadere

il carico che sta portando su un servo uccidendolo; la persona che portava il carico è necessitata

dall’essere eccessivamente carica; ma viene sottolineato che era libera di caricarsi o no in tale modo

e ciò implica un tacito rimprovero: la sua condotta necessitata è libera e riprovevole nella sua causa.

Tale ragionamento viene anche svolto per il caso in cui uno sia caduto e il carico che egli portava

abbia schiacciato un servo altrui: la sua condotta è riprovevole per essersi così caricato o per essersi

avviato per un cammino scivoloso; i termini di riferimento sono: arbitrio, più del giusto, negligente.

Nel par. 3 viene rappresentata una condotta provocata da un altro e, corrispondentemente, viene

presentata la condotta di un’altra persona che produce indirettamente l’evento di danno; l’autore

della condotta che ha operato indirettamente provocando la condotta necessitata altrui viene ritenuto

responsabile con una azione modellata sul fatto. Nel par. 4 ci troviamo di fronte ad un esempio che

ricondurremmo chiaramente al requisito della mancanza di giustificazione: l’esercizio dell’attività

sportiva in considerazione costituisce una condotta giustificata e il testo ci appare fuori ordine (ciò

forse dipende da tagli che hanno fatto perdere il filo della associazione di esempi che portava a

trattare incidentalmente questo, che però non si è voluto tagliare per il suo interesse specifico in una

situazione che abbiamo visto presa in esame in uno degli ultimi fr. del titolo: D. 9,2,52,4). Nel par.

5 incontriamo un esempio assai interessante di efficacia causale della condotta in concreto, infatti,

anche se, in astratto, tale condotta non sarebbe stata mortale, in concreto essa lo è stata a motivo

delle preesistenti circostanze che però non stavano portando direttamente alla morte59

. Nei par. 6-7:

uccidere / causare la morte, la portata circoscritta del termine usato dalla legge e lo sviluppo della

estensione della tutela sono nitidi anche se, leggendo Alfeno (D. 9,2,52,2), dobbiamo poi prendere

atto del fatto che il percorso dell’interpretazione con il ricorso alla azione modellata sul fatto non è

58

Il contributo che ha raggiunto i migliori risultati complessivi è quello di B. Albanese, Studi sulla legge Aquilia. Actio

utilis e actio in factum ex lege Aquilia, in Annali Palermo, 21, 1950, 5 ss.; una elaborazione d’insieme anche in U. von

Lübtow, Untersuchungen zur lex Aquilia de damno iniuria dato, Berlin. 1971. 59

Labeone decide in modo coerente a questa impostazione in D. 19, 2, 57 GIAVOLENO, nel libro nono Dai libri postumi

di Labeone. “Colui che aveva una casa, aveva locato al vicino confinante una area contigua a quella casa; questo

vicino, mentre edificava nel suo <terreno>, ammucchiò su quella area terra oltre il livello a cui giungevano le

fondamenta di pietra <della casa> del locatore e, intrisa d'acqua quella terra per le piogge continue, e guastatosi per

umidità il muro di colui che aveva locato, l’edificio cadde. Labeone afferma che vi è soltanto l’azione da locazione,

poiché non lo stesso aver ammucchiato la terra, ma l’umidità successivamente proveniente da questo mucchio era stata

di danno, mentre l’azione per il danno ingiusto si ha per quelle cose, per mezzo delle quali, taluno fu danneggiato, non

intervenendo altra causa dall’esterno. Approvo ciò”.

A questa concezione di causalità in concreto si allaccia il modo di decidere in merito alla causalità sopravvenuta da

parte di Celso ed altri (cfr. infra D. 9,2,11,3).

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Riassunto delle lezioni

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stato così lineare. Nel par. 8: la condotta viene considerata perfezionare l’uccidere in quanto

imperita, e riprovevole, e per questo è essa e non la malattia che produce la morte (su questo par.

torneremo a proposito del concorso fra azione contrattuale e da delitto).

Lo stesso filo di discorso prosegue in D. 9,2,9, ma troviamo prima inserito D. 9,2,8, testo di

Gaio, che evidenzia bene che la rimproverabilità, come un aspetto della ‘colpa’, porta a ricondurre

concettualmente ad essa una pluralità di condotte concrete che hanno tale comune connotato (‘si

ascrive a’). Esso precisa che non solo l’imperizia, ma anche il fatto di non avere svolto le pratiche

necessariamente conseguenti ad una condotta che, nel quadro dell’esecuzione secondo perizia, le

richiede (le cure post-operatorie), o il fatto non avere tenuto presente di non essere in grado di

compiere l’attività pericolosa per debolezza sono riprovevoli, e costituiscono colpa, così come la

condotta di cui al fr.7,2 sopra visto. Culpa risulta termine piuttosto astratto, centrato sul profilo del

rimprovero che si muove per non avere tenuto quella condotta che, nella circostanza, sarebbe stata

propria dell’uomo diligente, come definito in D. 9,2,31, che, volta a volta, deve essere perito,

prudente, termini questi più circoscritti e descrittivi che vengono appunto inglobati per descrivere

quella; deve adeguarsi alle regole del convivere e della doverosa prevenzione dei danni.

Non mi soffermo sugli esempi di D. 9,2,9 anche se alcuni esempi meriterebbero

osservazioni, relative all’inquadramento nell’esame della condotta (così la coerenza di D. 9,2,9,3

con D. 9,1,1,7; D. 9,2,9,4 che, con la distinzione fra coloro che si esercitano in un campo destinato a

tali esercizi e coloro che fanno tale esercizio al di fuori di esso, ricondurremmo alla causa di

giustificazione; certo l’inserimento di D. 9,2,10 evidenzia, in modo simile a D. 9,2,6, che Ulpiano

non aveva usato il termine culpa mentre Paolo evidentemente sì, e per questo ne vengono inserite le

parole).

D. 9,2,11pr. avvia un ragionamento che rischia di essere capzioso: di fronte ad una pluralità

di fattori causali convergenti, mette in luce la rimproverabilità (culpa) come criterio per individuare

la condotta che perfeziona la fattispecie rispetto alle altre concause concorrenti. Il testo affaccia poi

il problema della colpa del danneggiato, ma, a ben vedere, non la afferma: se da un lato, si delinea

un circolo vizioso, d’altro lato emerge la necessità di operare i distinguo necessari in relazione alle

situazioni concrete e la rimproverabilità vale a qualificare la condotta il cui inserimento causale

nella serie di concause che portano all’evento quale causa sine qua non di per sé non basterebbe a

renderla tale da essere perfezionamento della previsione dalla legge. Peraltro, emergono i

presupposti per pervenire ad una presa in considerazione del concorso di colpa fra i diversi soggetti

coinvolti e connessa ripartizione della responsabilità60

.

Importanti per l’esame del rapporto di causalità sono poi D. 9,2,11,2-4, da collegare a D.

9,2,15,1 (che pure si occupa principalmente di un altro problema): qui si affronta prima il problema

del concorso di condotte contemporanee, ciascuna costituente un atto indipendente dagli altri, ma

connesso agli altri da una unità di contesto (par. 2 ); poi si affronta da Celso, Marcello, Ulpiano il

problema della pluralità di condotte-causa successive/causalità sopravvenuta (par.3; vedi anche D.

9,2,15,1) affermando che è l’ultimo intervento causale riprovevole quello a cui imputare l’evento;

infine si torna a considerare una pluralità di condotte-causa convergenti connesse e concorrenti

nella produzione dell’unico fattore causale dell’evento (la caduta del trave). Mi pare che, con

riferimento alla causalità sopravvenuta, si segua la linea di pensiero della causalità in concreto, che

ho sopra indicato essere adottata da Labeone: è infatti su questa base che si può ritenere che sia

l’ultima condotta-causa che interviene quella che, in senso pieno, produce l’evento qualunque sia la

situazione sulla quale si inserisce (coerente con questa soluzione è il parere di Celso in materia del

momento da prendere in considerazione per la valutazione del danno in D. 9,2,21,1 sostiene essere

quello dell’evento, mentre Giuliano sostiene essere quello della ferita, in modo coerente con quanto

60

Non viene sviluppata dai giuristi romani l’analisi della ripartizione della colpa per quote fra le parti coinvolte in un

evento di danno.

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Riassunto delle lezioni

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vedremo più avanti essere da lui sostenuto sulla causalità). Sul parere di Giuliano, riferito da

Ulpiano (D. 9,2,15,1), e, pur con delle ambiguità redazionali61

, conforme a questa linea, torno infra

considerando un frammento dello stesso Giuliano che affronta proprio questo stesso argomento.

La problematica della interpretazione di quale sia la condotta individuata dalla legge, si

sviluppa anche per il terzo capitolo di essa in D. 9,2,27,6-29pr.

In questi paragrafi, sono esaminate molte questioni, alcune delle quali relative a profili della

fattispecie relativi più all’evento, su cui cfr infra, che alla condotta. Mi sembra interessante ora

richiamare l’attenzione su D. 9,2,27,6 ove la descrizione della condotta ci riconduce ad una

interpretazione stretta che trova la sua più immediata concretizzazione nell’esempio di D. 9,2,27,7.

In par. 8, l’efficacia causale della condotta si estende oltre quanto l’autore aveva voluto o si era

rappresentato; ciò non incide sul riconoscimento di essa. In D. 9,2,27,9, pur con riferimento al

contratto di locazione, si coglie una responsabilità nella cattiva scelta (neglegentia in eligendo) della

persona che si destina ad una attività da cui scaturisce un incendio, e poi, dividendo la condotta in

due condotte di due persone diverse successive, si rileva che nessuna delle due condotte perfeziona

la condotta richiesta ma si applica in via utile l’azione nei confronti di entrambi i segmenti del

processo causale perché entrambi inseriti causalmente e in modo rimproverabile (neglegenter, non

ignem extinsit nec munivit) nella sequenza che porta all’evento. Su questa linea di esame della

condotta, si pone il par. 11 (su cui torno infra). Successivamente, i problemi di condotta si

intrecciano maggiormente con profili discussi in merito all’evento. Dopo il passaggio dall’esame di

‘bruciare’ a quello di ‘rompere’ (D. 9,2,27,13), all’esame prevalentemente della condotta

ricondurrei ancora i par. 15; 16; 17 (prima parte); 18; 19; 23 (si noti: plus iusto); 24 (si noti anche

qui un evento che si verifica al di là di quanto immediatamente realizzato costituto dalla falla nella

nave); 29 (si noti imperitia); 33 (si noti: male); 34 (si noti: imperitus; e l’intervento di un colpo o di

un atto che spaventa); 35 (come 24). Un testo di Paolo (D. 9,2,28), collegato ad uno di Ulpiano (D.

9,2,29pr.), inserisce una ulteriore riflessione secondo cui, alla condotta riprovevole iniziale (in

itineribus; neque denuntiaverit neque scierit aut providere potuerit; quo ius ponendi non haberes)

si affianca una colpa del danneggiato che, a differenza di D. 9,2,11pr.(ultima ipotesi), qui però vede

il danneggiato perfezionare la sua condotta dopo (si evitare periculum poterat) e non prima della

condotta che causa il danno e quindi interrompe, per la sua negligenza e rimproverabilità, il

rapporto causale dell’arrecare danno attraverso lo scavo di fosse62

.

Nella seconda parte, vi sono ancora numerosi contributi su questi aspetti dell’analisi della

fattispecie. Mi limito a richiamarne due. Abbiamo visto la riflessione in materia di causalità. I

compilatori integrano il quadro già delineato facendo uso di un testo di un antico giurista del I sec.

a.C.: Alfeno: D. 9,2,52, e di un testo di Giuliano.

D. 9,2,52,2 descrive una situazione nella quale concorrono contemporaneamente nella

produzione di un evento di danno diversi fattori causali: il retrocedere del primo carro e degli

animali che lo tirano e il togliersi dei conducenti che sostengono il carro ed aiutano gli animali. Il

giurista imposta il responso sulla necessità di individuare quale sia stata la ‘causa’ dell’evento di

danno e introduce delle distinzioni con metodo analogo a quello già visto in D. 9,2,31; 39pr. ecc.

Egli procede a verificare se vi sia qualche condotta volontaria e riprovevole degli uomini, ponendo

in luce che anche l’omettere di fare può costituire fattore causale quando si è precedentemente

messo in movimento qualche cosa che doveva poi essere controllato. L’argomentazione affronta

61

A stretto rigore, che il parere di Giuliano sia sulla stessa linea di quello di Celso in D. 9,2,11,3 risulta solo dal

rapporto fra la prima frase: ‘Se un servo - sia stato ferito’, e la seconda: ‘se invece – sia stato ucciso’, coordinata che

l’andamento dell’argomentazione porta a leggere come avversativa. 62

Il termine ex causa può sia riferirsi, sottintendendo cognita, ad un ‘esame delle circostanze’, sia, piuttosto, essere la

concettualizzazione dell’impostazione che viene seguita, secondo la quale, se la vittima del danno avesse potuto sapere

e provvedere, diventa egli la causa dell’evento che invece, in assenza di tale possibilità, si deve riconoscere nella

condotta di colui che scava le trappole (cfr. infra D. 9,2,52,2).

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Riassunto delle lezioni

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quindi due profili, quello del perfezionamento dell’occidere attraverso il togliersi dal sostenere il

carro e dà risposta affermativa attraverso successivi passaggi dall’esempio del dardo scagliato, a cui

assimila l’avere posto in movimento degli animali che non vengono trattenuti, all’avere spinto su

una salita un carro che, non sostenuto, retrocede (l’osservazione, posteriore, di Gaio, D. 9,2,8,1, a

proposito dell’impeto delle mule, si pone sulla stessa linea); così aperta la possibilità di includere il

‘cessare di sostenere’ nell’ ‘uccidere’, si precisa che, se il cessare di sostenere è stato ‘spontaneo’,

esso è la causa dell’evento di danno. Se invece vi sia qualche reazione anomala degli animali per

cui i mulattieri si sono trovati nella necessità di evitare di essere schiacciati dal carro, e il loro

cessare di sostenerlo non sarebbe stato più spontaneo, essi non sarebbero la causa, ma questa

sarebbe da riconoscere negli animali, con la conseguente applicazione della legge delle XII Tavole

di cui al Titolo I nei confronti del padrone degli animali. Infine, se quanto accade non sia riferibile

ad alcuna condotta riprovevole dei mulattieri o anomala degli animali, l’evento è da ricondurre al

caso (non viene esplicitato il riferimento al caso fortuito, che ci si aspetta).

D. 9,2,52pr., brevissimo, è assai ricco di spunti che si collegano alla causalità sopravvenuta:

l’imperizia del medico diventa un fattore causale che subentra rispetto alle ferite in relazione

all’evento e costituisce causa posteriore a cui imputare l’evento (così supra D. 9,2,7,8); l’imperizia

del medico pone in atto una causa che sopravviene, ma non sarebbe intervenuta, se non vi fossero

stati i colpi; essa però è comunque riprovevole, perché dal medico ci si attende una condotta

esperta, e diventa la causa della morte. Ulteriormente, è stata presa in esame dall’antico giurista la

negligenza del danneggiato. Si noti che non è la negligenza anteriore agli altri fattori, come

prospettato in D. 9,2,11pr. ultima ipotesi, ma è una negligenza sopravvenuta rispetto alle ferite

arrecate dal danneggiante; si tratta, cioè, di una omissione rispetto ad un processo causale scaturito

da una attività del danneggiante le cui conseguenze dannose possono essere impedite o ridotte, per

cui viene considerato doveroso che il danneggiato le impedisca o riduca (si costruisce dal giurista

un dovere del danneggiato di attivarsi per contenere il danno, di avere cura delle cose proprie, e

questo dovere mi sembra estremamente interessante63

).

Sempre in relazione alla causalità sopravvenuta, i giuristi dei codici di Giustiniano hanno

inserito anche un frammento di Giuliano: D. 9,2,51 che ci pone dei problemi, perché esprime una

impostazione opposta a quella di Celso ecc. sopra richiamata. Giuliano infatti, dopo avere ricordato

quanto già visto a proposito del significato di ‘uccidere’ alla stregua del testo della legge Aquilia,

sostiene che entrambi gli autori delle due condotte che infliggono ferite mortali ad un servo,

successive l’una all’altra, sono tenuti per l’evento conclusivo (nel caso, la morte del servo). Egli

non aderisce alla prospettiva di Labeone, ma considera la causalità virtuale: la ferita prodotta dalla

prima condotta è ‘mortale’. In considerazione di tale ‘potenziale’ effetto si devono applicare

all’autore della condotta le conseguenze previste per il caso in cui l’evento si fosse effettivamente

verificato, anche se l’evento si è, di fatto, verificato in conseguenza della seconda ferita. Ed è da

sottolineare che Giuliano argomenta riferendosi non solo a ragioni di opportunità, di ‘utilità

comune’, ma anche di logica dogmatica, richiamando, nel testo di Ulpiano, dapprima (51,1) la

situazione del concorso di più persone che agiscono contemporaneamente, ciascuna con una

condotta costituente un atto indipendente da quello di altri, ma connesso da una unità di contesto;

successivamente la situazione di una pluralità di condotte-causa convergenti connesse e concorrenti

nella produzione dell’unico fattore causale dell’evento di furto (il portare via un trave che non

potrebbe essere portato via da uno solo D. 9,2,51,2 alla fine)64

.

63

Cfr. nello stesso senso, D. 9,2,30,4. Non è discusso, né appaiono spunti per cogliere come venisse compreso il nesso

di causalità conseguente a questa ‘negligenza’, che possiamo immaginare come omissione di adeguate cure, alla quale

può essere avvicinata quella di D. 9,2,8pr., che però ho interpretato come parte della condotta che deve essere perita,

esperta. 64

Questo testo contraddice il parere di Giuliano riferito in D. 9,2,15,1 e questa contraddizione ci pone due problemi:

uno critico-filologico, ed uno concettuale.

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Riassunto delle lezioni

49

Alla condotta, possono essere riferiti anche D. 47,2,50,4-51(; D. 19,5,23; che ritroviamo in

J. 4,1,11 (a metà) la cui riconduzione all’ambito della responsabilità aquiliana con azione sulla base

della descrizione del fatto è diffusa. A queste ipotesi, viene affiancato anche D. 19,5,14pr.

[cfr. libro p. 48 ss.; 133s.]

2.8.2. dall’evento di materiale deterioramento / distruzione, al danno senza materiale deterioramento / distruzione e al materiale deterioramento senza implicazioni di danno

Il verbo descrive la condotta e l’evento. Quest’ultimo non sembra porre particolari problemi

in relazione al primo cpv., mentre vengono compiute numerose precisazioni in relazione al terzo.

Così, in D. 9,2,27,13 viene ricordata una interpretazione di rumpere che potremmo qualificare

estensiva, e, al par. 14 viene considerata la situazione in cui la cosa in sé non sia deteriorata,

distrutta, ma ugualmente ne derivi un inquinamento per il quale si prospetta appunto la concessione

di una azione modellata sul fatto: in effetti, la cosa, cioè, il raccolto in cui è mescolato loglio e

avena è meno puro, ha un minore valore, o, in altra prospettiva, è necessaria una spesa specifica per

separare l’avena e ridarle il valore proprio (uguale è D. 9,2,27,20). Su questa linea, si potrebbe

esaminare D. 4,3,7,7 (liberare dai ceppi un servo altrui), la cui riconduzione all’ambito della

responsabilità aquiliana è svolta in J. 4,3,16 (alla fine); ma cfr. anche Gai. 3,202; D. 47,2,50,4)65

.

Più sottile è l’esempio di D. 9,2,27,17 (seconda parte) in cui la lesione materiale c’è, ma essa

produce un danno non per una diminuzione di valore della cosa, bensì per le spese che comunque

comporta (su questo testo, Coll. 2,4,1 pone problemi di confronti testuali che inducono a ritenere

quest’ultimo frutto di un errore di copista che avrebbe inserito per errore il nec).

Su questa linea, vedi anche le precisazioni inerenti alla presenza di evento lesivo, che però

non comporta danno, in D. 9,2,27,25 (già richiamato a proposito di D. 43,24,7,4) al quale adde D.

9,2,27,26-28 ove l’evento previsto dalla legge si perfeziona, ma senza produrre danno (di

particolare interesse è l’ultimo par. citato, nel quale, esclusa la presenza di un danno, si prende in

considerazione l’azione per atti ingiusti contro la persona, su cui tornerò, con particolare riferimento

anche all’agire del padrone servi nomine D. 47,10,15,34 e 44, e un editto degli edili non ben

identificato, ma da collocare nel contesto della tutela criminale dei servi per la quale cfr. ad es. D.

48,8, 4,2; 5; 6).

2.9. Sviluppi della culpa e riassestamento giustinianeo della fattispecie

Il primo è il problema di sapere quale sia stato il vero parere di Giuliano. Appare incredibile che i giuristi di Giustiniano

abbiano corretto il parere di Giuliano per uniformarlo a quello di Celso in 15,1, e poi abbiano aggiunto un parere

discorde. L’ipotesi inizialmente fatta della esistenza di una catena di testi anteriore alla compilazione dei Digesti

aiuterebbe a spiegare la contraddizione ritenendo che l’autore della catena in D. 9,2,15,1 avesse tagliato / oscurato la

divergenza del parere di Giuliano rispetto a quello di Celso, Marcello e Ulpiano, per eliminare la controversia: la vera

opinione di Giuliano sarebbe quindi stata quella divergente da Celso, Marcello e Ulpiano (L’autore della catena di testi

non si è reso conto, però, che l’opinione di Giuliano si rifletteva anche sul momento con riferimento al quale fare la

valutazione del danno, e, sul punto, ha lasciato la divergenza: D. 9,2,21,1).

Dal punto di vista concettuale, emergono due modi diversi di concepire la causalità: uno, legato a quanto materialmente

avviene, e non a quanto potrebbe avvenire; ed uno, invece, che tiene conto di quanto normalmente avviene o potrebbe

avvenire in presenza di presupposti dati, secondo l’esperienza umana comune.

I giuristi di Giustiniano, infine, potrebbero avere preferito ricordare anche questo diverso modo di concepire la

causalità, consapevoli che la sola prospettiva dogmatica della causalità materiale si può rivelare inadeguata, e

prendendo in carico le conseguenze di questa problematizzazione ulteriore. Essi, peraltro, non avrebbero ritenuto

necessario reintegrare il parere di Giuliano in D. 9,2,15,1 accontentandosi di averlo riferito in modo esteso nel fr. 51. Le

due prospettive individuate, peraltro, si confrontano e ci guidano ancora, e, il diritto dei giuristi è legato alle discussioni

fra loro, alla controversia; questa pluralità di punti di vista è una ricchezza. 65

Cfr. anche D. 19,5,14pr.

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Riassunto delle lezioni

50

L’esame che abbiamo svolto ha messo in luce come il riferimento alla colpa sia

dinamicamente inserito negli sviluppi dell’esame della assenza di cause di giustificazione e della

condotta: la rimproverabilità del soggetto agente, il criterio secondo cui “la colpa è da punire”,

svolge un ruolo determinante nell’adattamento interpretativo delle fattispecie previste dalla legge.

Su due punti è utile compiere una puntualizzazione ulteriore.

D. 9,2,27,11 ci mostra una estensione della rimproverabilità oltre gli stessi limiti di quanto

viene quasi capziosamente discusso in D, 9,2,11pr. Ho già richiamato l’attenzione su D. 9,2,27,9,

che individua un dovere di chi organizza e coordina un lavoro di scegliere bene le persone a cui

affida il lavoro stesso. Esso è, però, differente da D. 9,2,27,11 seconda parte dove si coglie una

responsabilità nello stesso ‘avere’ un gruppo di servi maldestri, che provoca l’incendio della casa

rustica. La differenza è importante: infatti, nel primo caso la colpa consiste in una attività, quella di

scegliere la persona da adibire ad una attività; nel secondo nel semplice avere, cosa che contrasta

con la rimproverabilità e con la nossalità (infra) e che rivela una tendenza a considerare che vi è

sempre la possibilità di ritenere che vi sia una ombra di colpa, o addirittura di fingere che qualcuno

abbia colpa (in base ad un confronto testuale con un’altra tradizione di questo testo pervenutaci al di

fuori dei Digesti, cioè la Collatio / “Comparazione delle leggi romane e di Mosé” che è una raccolta

del IV-V secolo d.C. - Coll.12,7,9, le ultime righe di D. 9,2,27,11 risultano aggiunte66

). Il testo della

Coll. è più preciso e ricco di quello pervenutoci nei Digesti per quanto attiene alle citazioni dei

giuristi anteriori, e si vede nettamente che in esso sono stati operati dei tagli; esso è quindi da

ritenere più aderente all’originale di Ulpiano. Peraltro, la frase aggiunta non è in consonanza né con

la concezione classica della responsabilità nossale né con l’orientamento del libro D. 9 che dedica

un titolo alle stesse (D. 9,4) mentre il ricorso ad esse verrebbe pressoché vanificato dalla ‘colpa

nell’avere’ (la responsabilità diretta del padrone, infatti, come vedremo, è in tale titolo fondata sulla

informazione e possibilità di impedire il fatto delittuoso). Si può ritenere che questa frase sia una

aggiunta del compilatore della selezione di testi alla quale mi sono riferito supra, anteriore ai

giuristi di Giustiniano; questa aggiunta è espressione di una tendenza a cercare di ricondurre sempre

la responsabilità alla colpa e di vederla dovunque; tendenza non accolta da Giustiniano e rimasta

presente per una disattenzione nell’inserire in blocco questa catena di testi nel titolo.

A questo lavoro, possono essere collegati testi come: D. 9,2,5pr. (timore); D. 9,2,11pr.; (da

sebbene alla fine); D. 9,2,29,2-5; l’inserimento di D. 9,2,6; D. 9,2,8; D. 9,2,10; D. 9,2,28 che, salvo

D. 9,2,11pr. in fine, accentuano il ruolo della colpa che pure conservano entro l’impostazione data

da Quinto Mucio.

I giuristi di Giustiniano, pur non accedendo a quella forzata individuazione di una colpa in

ogni circostanza in cui si produce un danno, pongono la colpa al centro della loro ricostruzione. Per

quanto si riferisce ai Digesti, si completa la reinterpretazione dei testi senza una riscrittura di essi,

ma attraverso alcuni interventi che mettono in luce l’orientamento condiviso anche con

l’insegnamento che veniva svolto prima del lavoro di codificazione ed ora richiamato, e in parte lo

mettono a punto.

Sono i frammenti che già ho esaminato, primo fra tutti D. 9,2,31, quelli sui quali si

concentra la loro scelta: i giuristi giustinianei hanno voluto inserire il testo di Paolo (D. 9,2,31), per

il suo contenuto, e perché citava un parere antico, di Quinto Mucio, grandissimo giurista dell’inizio

66

Coll. 12,7,9 ULPIANO, nel libro diciottesimo All’editto [cfr. D. 9,2,27,11.12] Ma anche se gli inquilini del servo

abbiano incendiato il casamento, Urseio nel libro X riferisce che Sabino diede il responso che il padrone era da

convenire per la legge Aquilia con azione nossale a nome dei servi; nega invece che il padrone sia tenuto in base alla

azione da locazione. Proculo poi diede il responso che, qualora i servi del colono abbiano incendiato la villa rustica, il

colono è tenuto o in base all’azione da locazione o a quella della legge Aquilia così che il colono potesse dare i servi a

nossa, e se la cosa sia stata giudicata a seguito di questa azioni, non si dovrà ulteriormente agire con l’altra. 12,7,10.

Parimenti Celso, nel libro XXVII dei Digesti scrive: essendo le mie api volate fra le tue, se tu le abbia bruciate [etc.]

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Riassunto delle lezioni

51

del I sec. a. C. (cfr. D. 1,2,2,41), tramandato da un altro giurista del I sec. d. C., assai autorevole:

Sabino (D. 1,2,2,48). Anche D. 9,2,30,3 e D. 9,2,30,4 (che richiama sostanzialmente D. 9,2,52pr.) si

inseriscono in questa affermazione della centralità della colpa (anche D. 9,2,32pr. rientra in tale

ambito, cogliendone una implicazione, quella dell’applicabilità di una attenuazione della pena

fondata con applicazione analogica dell’editto del pretore di cui in D. 47,6); così pure D. 9,2,39; D.

9,2,52; D. 9, 2,57; D. 9,2,45,4; D. 9,2,49,1; infine, D. 9,2,44pr., sembra raccogliere e fondare le

oscillazioni notate.

Questa scelta trova conferma nelle J. 4,3,2; J. 4,3,3-8, ma prima di esaminare questi

paragrafi, bisogna riandare a Gai. 3,21167

, testo che, grazie allo sforzo didattico di ricondurre la

elaborazione attraverso esempi ad una sintesi memorizzabile e di guida alla comprensione di essi,

può essere considerato come una chiave di volta per la comprensione dell’impostazione di Gaio, e

in generale del lavoro dei giuristi classici. Un primo aspetto di questo testo è la chiara distinzione

fra dolo e colpa, nella quale il secondo termine risulta evidenziato, e che in questo luogo

dell’esposizione di Gaio vale a segnalare la differenza rispetto agli altri delitti (furto, rapina e atti

ingiusti contro la persona). Colpa è quella a cui si ascrivono l’imperizia, l’imprevidenza ecc., ed è

aperta a cogliere nelle diverse circostanza la rimproverabilità di una condotta. Il punto centrale è,

peraltro, il rapporto fra culpa e iniuria, che abbiamo già visto affrontato da Ulpiano in D. 9,2,5,1

dove, nel contesto dell’esame della cause di giustificazione ancora non del tutto tipicizzate, dopo

aver aperto la riflessione a profili soggettivi (la possibilità di scelta) innesta, come era stato fatto

secoli prima da Quinto Mucio, la valutazione della rimproverabilità, e quindi la ‘colpa’, per eccesso

nell’esercizio della causa di giustificazione, nell’esame della ingiustizia e quindi passa alla

considerazione della consapevolezza che deve avere chi è destinatario di un rimprovero. Le

particolari caratteristiche della sequenza costruita da Gaio con le tre frasi che qui si susseguono

appaiono se si pone attenzione al fatto che solo apparentemente sono connesse secondo uno schema

deduttivo (per essere tale il ragionamento, sarebbe stato necessario che Gaio affermasse che

l’uccidere senza dolo o colpa non costituisce un uccidere ingiustamente, ma egli questo non lo

afferma e si limita a dire che ‘non è punito’. Nella prima frase, il dolo e la colpa non sono presentati

come un requisito perché vi sia un uccidere ingiustamente, ma sono indicati come una circostanza

in presenza della quale si ha l’uccidere ingiustamente. Queste tre frasi sono come una sequenza di

tre regole che guidano nell’interpretare le situazioni. La prima afferma che chi agisce con dolo o

colpa agisce in modo ingiustificato e se arreca un danno deve pagare; essa, e trova la sua

concretizzazione in testi come D. 9,2,31; D. 9,2,39pr.; D. 9,2,5,3; D.9,2,29,1.2.3 ecc. ma serve

anche a orientare l’esame della condotta come in D. 9,2,52,1 (apposta, colpa) ecc. La seconda

afferma che le leggi non puniscono colui che, nell’esercizio di una causa di giustificazione, arreca

un danno, e trova la sua concretizzazione in testi come D. 9,2,3; D. 9,2,4; D. 9,2,5pr.; le ipotesi

alternative dei testi sopra citati ecc.; la terza afferma che non è punito colui che senza colo o colpa,

per una qualche fattore accidentale, arreca un danno, e trova la sua concretizzazione in testi come

nel caso del pazzo in D. 9,2,52,2; o in D. 9,2,52,3. 4; D. 9,2,57 ecc.

Nelle J., dunque, il principio della responsabilità per colpa nelle fattispecie previste dalla

legge Aquilia viene confermato ma con una novità espositivo-costruttiva: infatti, dopo di carattere

generale della portata della legge e il testo del prima capitolo (J. 4,3pr.), e dopo la spiegazione del la

nozione di quadrupes (j. 4,3,1), si spiega cosa significhi iniuria, e lo si fa con riferimento

all’esempio della legittima difesa (J. 4,3,2); si introduce quindi l’esame della colpa, requisito di cui

si enuncia la necessità in generale e di cui si procede poi all’esame attraverso una serie di esempi (J.

4,3,2-8).

67

Gai. 3,211: Poi intendiamo che uccide ingiustamente, colui per il dolo o per la colpa del quale ciò accadde; né da

alcuna altra legge è punito il danno che non venga arrecato ingiustamente; è pertanto non è punito colui che senza colpa

o dolo, commette un danno per caso.

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Riassunto delle lezioni

52

Si realizza così nelle J. una trasformazione della costruzione della fattispecie ponendo

l’elemento della colpa (che include il dolo) in modo autonomo rispetto alla ‘assenza di

giustificazioni’ e alla condotta con l’esame dei quali era stato intrecciato nella cornice costituita

dalle parole della legge.

Si può anche notare che questa ristrutturazione, esplicitata nelle J. 4,3, non lo è altrettanto in

D. 9,2 dove il tessuto della esposizione di Ulpiano permane, e permane la ricca discussione di

esempi, con tutte le sue aperture e associazioni di idee conseguenti. Peraltro, nelle J. vediamo

presente una ulteriore linea di espansione del concetto di colpa diversa da quella di D. 9,2,27,11 ma

essa pure espressione del quadro di oscillazioni accennato: J. 4,3,4 riconosce la ‘colpa’ nella

violazione di regole che potremmo qualificare piuttosto di polizia che di prudenza, perizia,

diligenza, quasi che chi agisce violando una norma è poi tenuto per le conseguenze dannose che ne

derivino (qui in re illicita versatur, tenetur etiam pro casu).

[cfr. libro p. 53 s.; 56 ss.; 89 ss.; 134s.]

2.10. Erus, mutamento e estensione utilis della tutela ad alcuni non domini; altri casi

discussi; il mutamento riconoscibile da Giuliano a Ulpiano e Paolo

L’altruità della cosa lesa è espressamente indicata nel testo della legge, e viene esaminata

dal punto di vista della titolarità della azione, anch’essa specificata nel testo della legge. Il

commento di queste parole inizia con D. 9,2,11,6.

L’inizio contiene un cenno relativo all’uso di un termine (erus) all’epoca di Ulpiano non più

capito e in uso nel III sec. a.C., poi si passa ad esaminare l’estensione della tutela dal proprietario ad

alcuni non proprietari e altri casi discussi.

L’individuazione del proprietario come soggetto tutelato, delimita e precisa il significato,

pure contenuto nel testo della legge, dell’altruità della cosa. Risulta chiaramente che la legge tutela

la proprietà della cosa.

Nel par. 7, si passa a considerare colui che, avendo comprato una cosa, sta per ritrasferirla al

venditore a seguito di vizi occulti della stessa per i quali ha chiesto e ottenuto la redibizione, cioè la

restituzione del prezzo a fronte della restituzione della cosa con ogni acquisto che ne sia derivato

(D. 21,1,1,168

), e si afferma la spettanza a tale compratore della azione per il danno subito dalla cosa

mentre essa era sua e l’obbligo di versare al venditore quanto ricevuto.

68

D. 21,1, 1,1 ULPIANO, nel libro primo All’editto degli edili curuli. 1. “Affermano gli edili: «COLORO I QUALI

VENDONO SERVI, INFORMINO I COMPRATORI SU QUALE SIA LA MALATTIA O IL VIZIO DI CIASCUN SERVO, SU CHI SIA

FUGGITIVO, O SIA VAGABONDO, O NON SIA STATO LIBERATO DAL <DOVER RISPONDERE PER UN> FATTO DELITTUOSO; E,

QUANDO TALI SERVI SARANNO VENDUTI, TUTTE QUESTE STESSE COSE SIANO APERTAMENTE E CORRETTAMENTE

DICHIARATE. PERTANTO, SE UN SERVO FOSSE STATO VENDUTO TRASGREDENDO CIÒ, OPPURE TRASGREDENDO QUANTO

ERA STATO DETTO O PROMESSO AL MOMENTO DELLA VENDITA, PER CIÒ DI CUI SI DIRÀ CHE <IL VENDITORE> DEVE

GARANTIRE, CONCEDEREMO AZIONE <REDIBITORIA> AL COMPRATORE, E A TUTTI QUELLI AI QUALI LA COSA INTERESSA,

AFFINCHÉ QUEL SERVO VENGA FATTO OGGETTO DI REDIBIZIONE, E AFFINCHÉ, SE DOPO LA VENDITA E LA CONSEGNA SIA

ALTRESÌ RISULTATO QUALCHE DETERIORAMENTO <AL SERVO> PER OPERA DEL COMPRATORE, DELLA SUA FAMIGLIA

SERVILE O DEL SUO PROCURATORE, OPPURE SE DOPO LA VENDITA SIA NATO <UN FIGLIO ALLA SERVA VENDUTA> O SIA

STATO ACQUISITO QUALCOSA <DAL SERVO VENDUTO>, E SE QUALCOSA D’ALTRO NELLA VENDITA FOSSE STATO

AGGIUNTO COME ACCESSORIO AL SERVO, OPPURE SE DA QUEL SERVO SIA PERVENUTO AL COMPRATORE QUALCOSA <A

TITOLO> DI FRUTTO, <IL COMPRATORE> RISARCISCA E RESTITUISCA TUTTO CIÒ <AL VENDITORE>. PARIMENTI, SE LO

STESSO <COMPRATORE> ABBIA PRESTATO QUALCOSA IN AGGIUNTA, COME ACCESSORIO <AL PREZZO, CONCEDEREMO

QUESTA AZIONE> AFFINCHÉ EGLI LO RICEVA <IN RESTITUZIONE>. PARIMENTI, SE UN SERVO ABBIA COMMESSO UN REATO

CAPITALE, ABBIA FATTO QUALCOSA PER DARSI LA MORTE, O SIA STATO MANDATO NELL’ARENA PER COMBATTERE CON LE

BESTIE FEROCI, NELLA VENDITA TUTTE QUESTE COSE SIANO DICHIARATE: CONCEDEREMO ULTERIORMENTE AZIONE,

INFATTI, PER TUTTE QUESTE CAUSE. SE SI DIRÀ CHE TALUNO, CONSAPEVOLMENTE CON DOLO, ABBIA VENDUTO IN

VIOLAZIONE DI CIÒ, CONCEDEREMO <QUESTA> AZIONE».

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Riassunto delle lezioni

53

La spettanza dell’azione al possessore di buona fede per il danno arrecato da un terzo alla

cosa da lui posseduta è esaminata in D. 9,2,11,8, ove probabilmente si prendeva in considerazione il

caso in cui il vero proprietario avesse già dimostrato, nella azione di rivendica del servo, la sua

proprietà e il possessore fosse invitato a ‘restituire’ (emergerebbe, così, anche una associazione di

idee con il caso del precedente par.)69

; si preferisce qui prevedere una azione modellata sul fatto

(vedi anche D. 9,2,17, ove, però, il danneggiante è il proprietario stesso).

Si considera, poi, se l’azione possa spettare al comodatario, che è un mero detentore della

cosa, e lo si esclude: l’azione spetta al proprietario (D.9,2,11,970

). L’aver posto il problema è

ugualmente assai interessante, perché mostra l’attenzione al ‘danno’, anche a quello che può subire

il titolare di un rapporto obbligatorio, il quale, nel caso, nulla potrebbe ottenere, nel quadro della

gratuità del rapporto, dal comodante. Il testo è oggetto per questo di molte discussioni, anche per la

differenza di soluzione rispetto a D. 9,2,27,14 (infra).

Una ulteriore estensione risulta invece essere quella connessa all’esame della posizione

dell’usufruttuario e dell’usuario, ai quali viene concessa l’azione, quella in via utile, superando il

limite iniziale della tutela del proprietario, o della figura sopra considerata del possessore di buona

fede, ed aprendo la via alla legittimazione di titolari di diritti reali su cosa altrui (D.9,2,11,10)71

, i

quali devono certo anche restituire la cosa integra, ma non per questo vengono in considerazione,

ché il proprietario sarebbe adeguatamente tutelato dalla spettanza a lui della tutela aquiliana; essi

vengono in considerazione per il danno da essi subito, la cui tutela si inserisce nel quadro di un

mutare nella considerazione del danno (cfr. infra). Si apre altresì il problema, già visto per il

possessore di buona fede, che autore del danno possa essere il proprietario stesso e di conseguenza

viene data la tutela nei confronti del proprietario stesso all’usufruttuario (D.9,2,1272

).

Che l’azione spetti all'erede non costituisce un problema: egli, infatti, è proprietario. Una

precisazione invece è necessaria per il periodo in cui l’eredità è giacente. Il ragionamento sembra

muovere dalla ratio legis in funzione della tutela della proprietà della cosa e del suo titolare, al

quale, come in altri casi l’usufruttuario o l’usuario o il possessore di buona fede (supra) o il

creditore pignoratizio (infra), nel caso specifico verrebbe quindi affiancato colui che ha diritto ad

esercitare l’accettazione-acquisto della proprietà; ma il ragionamento non prosegue su questa via di

estensione della tutela, bensì indica che l’erede riceve l’azione attraverso l’eredità che la acquista

come proprietaria delle cose ereditarie per il periodo in cui l’erede sta decidendo se accettarla, e ciò

pur mentre si dice che non vi è alcun proprietario di tali cose stesse, ma in vista della tutela della

69

Che al possessore di buona fede spettasse l’azione aquiliana diretta risulta senza dubbio: cfr. ad es. anche. D. 5,3,55

GIULIANO, nel libro sessantesimo Dei digesti: “Evitta l’eredità, il possessore di buona fede restituirà ciò che ha esatto

non nel semplice valore, bensì nel doppio in forza <della litiscrescenza> della legge Aquilia: infatti non deve fare alcun

lucro da ciò che abbia ricevuto per causa dell’eredità”; D. 6,1,17,1 ULPIANO, nel libro sedicesimo All’editto. “Lo stesso

Giuliano nello stesso libro scrive: se il possessore sia in mora nel restituire il servo e il servo sia morto, si deve fare il

calcolo dei frutti <del servo> fino al momento della sentenza. Lo stesso Giuliano afferma che si dovranno prestare non

solo i frutti <del servo>, ma anche tutto ciò che può esservi connesso, e perciò dovrà includersi nella restituzione anche

la prole e i frutti della prole. Anzi, vengono in considerazione, in tutto ciò che può esservi connesso, finanche le azioni,

come scrive Giuliano nel libro settimo: cosicché, se il possessore avrà acquistato a mezzo di quel servo l’azione della

legge Aquilia, sarà tenuto a restituirla <all’attore>. etc.”. Per questa ragione, ci si orienta a ritenere che il fr. esaminato

nel testo si riferisca ad un momento processuale specifico. 70

Cfr. la diversa regola che vale per il danno arrecato da animali: D. 9,1,2pr. 71

Cfr. anche D. 7, 1, 17,3 ULPIANO, nel libro diciottesimo A Sabino: Se taluno abbia ucciso il servo, non ho mai

dubitato che all’usufruttuario sia da concedere un’azione in via utile modellata sull’esempio di quella della legge

Aquilia; D. 43,24,13pr. ULPIANO, nel libro settantunesimo All’editto : Infine. se vengano tagliati dal proprietario o da un

estraneo gli alberi in un fondo di cui l’usufrutto spetta a Tizio, Tizio può esperire correttamente o la legge Aquilia o

l’interdetto ‘perché con violenza o di nascosto’. 72

Cfr. D. 4,3,18,2 PAOLO, nel libro undicesimo All’editto: Se il nudo proprietario di un casamento, il cui usufrutto era

stato attribuito ad altri per legato, l’abbia incendiato, non è esperibile l’azione di dolo, perché da questo fatto nascono

altre azioni.

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Riassunto delle lezioni

54

proprietà (D. 9,2,13,273

). L’azione così acquisita dall’erede a lui rimane, anche se la cosa era

oggetto di legato, perché, prima dell’accettazione della eredità testamentaria, il legato non

appartiene comunque al legatario, e il legatario non ha alcun diritto nei confronti della cosa stessa

(D. 9,2,15pr.)74

. Né, in coerenza con la detta costruzione di acquisto della azione da parte della

eredità-proprietaria, al legatario spetta la tutela fino a quando, con l’accettazione, non abbia

accettato il legato: non è, quindi, il diritto ad accettare che viene tutelato, e di conseguenza l’azione

spetta al legatario solo se abbia accettato il legato prima del verificarsi dell’evento di danno (D.

9,2,13,3; su D. 9,2,34-36pr. infra), salvo il caso di evento di danno prodotto dall’erede stesso

onerato del legato, nel qual caso gli spetta comunque (D. 9,2,14)75

.

La tutela aquiliana al titolare di un diritto reale su cosa altrui si viene ad estendere al

creditore pignoratizio (D.9,2,17)76

. In che misura questa estensione possa essere legata ad una

immagine risalente alla proprietà della cosa data in garanzia nell’ambito della fiducia cum creditore,

non è dato cogliere (il tema viene ripreso in D. 9,2,30,1 infra); mi sembra, invece, più certo che essa

sia legata ad una evoluzione dell’oggetto della tutela, e della concezione del danno (infra).

Comunque, se poi il creditore pignoratizio arreca un danno alla cosa, è tenuto (D.9,2,18).

Infine, si considera la situazione del danno che un comproprietario arrechi alla cosa comune

(D. 9,2,19-20).

Le ulteriori estensioni, si collegano in modo più diretto con l’evoluzione nel modo di

calcolare il danno (cfr. infra), e in questa cornice si inserisce una importante estensione, quella che

vede la concessione dell’azione per casi di danni connessi ad atti ingiusti nei confronti di una

persona libera (alla persona libera che credeva di essere serva: D. 9,2,13pr.77

; al padre per le lesioni

al figlio: D. 9,2,5,3-7pr.): si noti che la pena si riferisce al danno derivante dalle spese per le cure e

73

Il testo viene in considerazione anche a proposito della costruzione delle ‘persone giuridiche’, su cui qui non mi

trattengo. È però comunque opportuno, limitatamente alla eredità giacente, ricordare le prospettive avanzate dai giuristi

anche per altri acquisti come quelli conseguenti alla attività di servi inclusi nell’eredità, o i frutti, o il compiersi

dell’usucapione; per inquadrare questi problemi, incontriamo diverse costruzioni, come la retroattività dell’atto di

accettazione: cfr. D. 45,3,28,4 GAIO, nel libro terzo Sulle obbligazioni verbali. 4. “È stato posto questo quesito, se il

servo ereditario possa stipulare a favore del futuro erede. Proculo espresse parere negativo, perché al momento della

stipulazione l’erede futuro era un estraneo. Cassio rispose che poteva perché colui che successivamente diventa erede

risulta essere succeduto al defunto dal momento della morte di questi”, e, implicitamente, D. 22,2,9 LABEONE, nel libro

quinto Degli enunciati plausibili epitomati da Paolo. “Se fu promessa (come si suole) una penale per il denaro dato per

il trasporto per mare, sebbene nel primo giorno del pagamento del denaro non fosse vivo nessuno che dovesse quel

denaro, la penale può diventare efficace, come se un erede del debitore ci fosse stato”. O come, in altro senso, la teoria

di Giuliano divenuta prevalente finge che l’eredità stessa continui la persona del defunto: cfr., oltre al testo ora

esaminato, ad es. D. 41,1,33,2 ULPIANO, nel libro quarto Delle dispute 2. Tutte le volte che un servo ereditario stipuli o

riceva una cosa per consegna traslativa, <l’atto> acquista forza in base alla persona del defunto, secondo quanto parve

bene a Giuliano, del quale fu accolto anche il parere che si dovesse considerare la persona del testatore”-D. 41,1,34 LO

STESSO ULPIANO, nel libro IV Dei censi “infatti l’eredità non sostiene la persona dell’erede, ma del defunto, come si può

provare con molti argomenti del diritto civile”; D. 30,116,3 FIORENTINO, nel libro undicesimo Delle istituzioni 3. “Si

può correttamente legare ad un servo ereditario, benché l’eredità non sia accettata; perché l’eredità fa le veci della

persona del defunto, che la lasciò”. 74

Il momento dell’evento di danno sembra essere quello della ferita, per cui si dice che l’azione rimane nella eredità;

ma si pone poi l’obbligo all’erede di cederla al legatario: D. 9,2,15pr.-seconda parte se il servo era ancora in vita al

momento in cui l’eredità venga accettata e acquisita e così pure il legato; testo da confrontare con D. 9,2,21,1, e con il

problema, già visto, del contrasto fra Giuliano e gli altri in merito al rapporto di causalità. 75

Il fondamento di questa spettanza potrebbe essere riposto nel carattere diretto del passaggio della proprietà delle cose

nel legato per vindicationem (D. 47,2,45).Vi sono evidenti difficoltà a coordinare questo fr. con il requisito posto per la

spettanza della azione al legatario nel precedente D. 9,2,13,3, ma si può anche collegare questa soluzione a D. 9,2,54. 76

Una associazione di idee porta a considerare la responsabilità del creditore pignoratizio per i danni che egli arrechi

alla cosa (D. 9,2,18). 77

Il nesso della trattazione di questa situazione in questo contesto è di difficile individuazione. Il seguente D. 9,2,13,1

sembra connesso semplicemente, come per il creditore pignoratizio, al fatto che anch’esso si riferisce all’uomo libero

che serve in buona fede, considerando la situazione opposta, cioè quella della responsabilità dello stesso per i danni che

abbia arrecato al padrone mentre lo serviva credendo di essere un servo.

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Riassunto delle lezioni

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dal mancato guadagno temporaneo o permanente, non al valore della persona libera come tale78

. A

questa tematica, si affianca anche una delle precisazioni emergenti da D. 9,2,15,1 in fine, relativa al

servo che venga ferito mortalmente, e poi, manomesso e istituito erede, muore: l’erede dello stesso

non può agire in base alla legge Aquilia perché questa non considera l’uccisione di una persona

libera (D. 9,2,16).

Nel commento al terzo capitolo, si ha l’estensione della azione, in via utile, al titolare di un

diritto di servitù di acquedotto (D. 9,2,27,32). L’acquedotto viene costruito con materiale del

proprietario del fondo dominante e l’utilità del godimento della servitù è altresì sua; nessun danno

ha il proprietario del fondo servente, anche se i materiali dell’acquedotto per accessione sono

divenuti suoi (il modo di esprimersi sembra voler evidenziare il dato sostanziale che i materiali li

aveva messi il proprietario del fondo dominante e lui è l’unico interessato ad essi; il mutamento

dell’appartenenza dei materiali stessi è indicato in un modo implicito attraverso la sottolineatura

della altrui proprietà del fondo a cui sono stati incorporati; certo, il titolare della servitù aveva avuto

un danno, mentre il titolare del fondo servente, non ne aveva avuto, anzi, e si potrebbe quasi

collegare questo testo al vicino D. 9,2,17,28). Per questo, nonostante il materiale fosse stato del

proprietario del fondo dominante, essendo diventati del proprietario del fondo servente, non può

essere data al primo l’azione diretta; ma al primo viene data una tutela utile, che, non si può non

sottolineare anche qui, si inserisce nel quadro di un mutamento della nozione di danno che riesce ad

estendersi al di là della lesione ad una cosa propria.

L’ulteriore estensione, al titolare non di un diritto reale, ma di una obbligazione, il

conduttore è affrontata in D.9,2,27,14. A proposito di quest’ultimo, non si può ritenere che il danno

sia al raccolto, di cui è proprietario il colono, perché il danno è stato arrecato mentre i semi

germogliavano, e quindi erano incorporati al terreno e del proprietario di questo. Ci troviamo quindi

di fronte ad una estensione della tutela aquiliana concessa sulla base della descrizione del fatto e di

una nozione di danno che, mentre include il mancato deterioramento materiale della cosa, si

espande. Va forse anche tenuta presente la discutibilità della tutela che il colono avrebbe potuto

ottenere nei confronti del proprietario-locatore (cfr., ad es., D. 19,2,15,2).

Dopo questa prima parte del titolo, una integrazione su questo argomento è certo quella di

D. 9,2,54, relativa a colui che è obbligato in base ad una stipulazione a dare una cosa di cui è

proprietario e che viene danneggiata o distrutta dal creditore prima che egli, debitore, la consegni; si

distingue se ciò sia avvenuto prima che il debitore sia in mora, nel qual caso al debitore

danneggiato, ma ancora pienamente proprietario della cosa, compete l’azione aquiliana (si noti:

secondo la stima della cosa da questa legge prevista), o quando sia già in mora, nel qual caso si

considera come se la cosa già fosse del creditore e questi arrecasse una danno a se stesso79

. Risposte

che non mancano di suscitare dubbi, tanto che ne è stato anche proposto il capovolgimento perché,

si è detto, nel primo caso il debitore risulta liberato, e quindi non vi sarebbe per lui un danno,

mentre nel secondo caso, perpetuando la mora il suo debito, sarebbe tenuto; ma il fatto che

l’animale sia dovuto è del tutto non connesso con l’uccisione di esso, e l’obbligazione ne nasce

indipendentemente, mentre il criterio di valutazione del danno si muove su un altro piano80

; quanto

78

Cfr. la puntuale formulazione del principio in D. 9,1,3 (supra e infra) 79

Confronta la differenza con la cosa oggetto di redibizione, visto supra D. 9,2,11,7. 80

Se la cosa viene distrutta da un terzo, cfr. D. 4,3,18,5 PAOLO, nel libro undicesimo All’editto: “Se uno abbia ucciso il

servo che tu mi avevi promesso, i più reputano correttamente che contro costui si debba concedere l’azione di dolo,

poiché tu saresti stato liberato <da ogni obbligo> nei miei confronti; di conseguenza altresì ti sarà denegata l’azione

della legge Aquilia; se distrutta dal fideiussore”, cfr. D. 4, 3, 19 PAPINIANO, nel libro trentasettesimo Delle questioni:

“Se il fideiussore, prima <che il debitore principale sia> in mora, abbia ucciso l’animale da questi promesso, Nerazio

Prisco e Giuliano risposero che contro di lui debba concedersi l’azione di dolo, dal momento che, liberato il debitore

principale, ne consegue che sia sciolto dall’obbligo anche lo stesso garante”.

In entrambi i testi si sottolinea che il debitore è liberato e nel primo si precisa che viene denegata l’azione aquiliana (si

noti: denegata dal pretore, non significa che non c’è la pretesta, ma che egli ritiene iniqui il farla valere, cosa che si

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alla mora, essa perpetua l’obbligazione se l’autore della distruzione della cosa non è il creditore

stesso.

Altri frammenti introducono altre precisazioni da collegare a D. 9,2,13,2-3: quella di D.

9,2,34-36pr., relativa ai rapporti fra legatari e fra erede e legatario, in cui si applica il criterio

secondo cui al legatario per vindicationem, cioè implicante l’acquisto diretto della proprietà della

cosa da parte del legatario, dopo l’accettazione, spetta la tutela aquiliana81

; e quella di D. 9,2,43,

dove, con riferimento all’uccisione del servo mentre l’eredità era giacente in attesa dell’accettazione

da parte dell’erede, nel confermare la tutela aquiliana dell’erede che ha il diritto di decidere se

diventare proprietario, al ragionamento compiuto sulla proprietà da parte dell’eredità, attraverso la

successione alla quale l’erede diventerebbe titolare dell’azione che è maturata in capo a questa

(supra), sembra preferito il ragionamento fondato sulla ratio della legge che estende il significato di

proprietario a colui che ha una posizione dalla quale ha diritto a diventare, in presenza di

determinate condizioni, proprietario, come il prigioniero dei nemici che rientrando fruisce del diritto

di postliminio, o il figlio postumo.

Su questa linea, importante è la precisazione relativa alla moglie, che arrechi danno alle cose

del marito, che sono cose altrui (D. 9,2,56; D. 9,2,27,30), precisazione questa probabilmente sentita

come necessaria perché invece, in materia di furto, la donna, sottraendo cose del marito, non

commette furto, perché viene considerata di esse “in qualche modo proprietaria” (D. 25,2,1) (la

differenza di trattamento in relazione a questi due delitti è forse da cercare nella diversa gravità di

essi e delle conseguenze, come potrebbe risultare da C. 5,21,2 che vieta le azioni penali e infamanti

tra marito e moglie, ma ammette che si agisca de damno in factum; sul carattere penale dell’azione

aquiliana, cfr. infra).

Anche in merito alla tutela del creditore pignoratizio abbiamo una importante precisazione

in D. 9,2,30,182

.

Al problema della tutela del proprietario, si collega altresì la considerazione della situazione

in cui la proprietà o l’eredità sia controversa e oggetto di azione reale da parte del proprietario o

erede non possessore contro il possessore non proprietario o non erede. Senza voler approfondire

l’argomento, la lettura di D. 6,1,13 ci pone di fronte al caso in cui il giudice, al quale è stata affidata

dal pretore con le parti la decisione delle controversia sulla proprietà di una cosa, abbia riconosciuto

che la cosa è dell’attore e, secondo quanto prescritto, prima di procedere alla condanna del

convenuto, gli dia l’ordine di ‘restituire’, con la conseguenza che, se il convenuto perfeziona la

restituzione, viene assolto; se non la perfeziona, viene condannato. Si pone quindi il problema di

precisare quando la ‘restituzione’ è veramente tale. Dal testo in modo implicito e da D. 6,1,14

risulta che, se la cosa sia stata deteriorata e venga restituita nelle condizioni in cui si trova, di per sé

la restituzione è compiuta, e l’attore poi potrà agire contro l’ex-possessore in base alla legge Aquilia

per il danno arrecato alla cosa. Per motivi di economia processuale, viene aperta al proprietario la

possibilità di far valutare nell’ambito delle ‘restituzione’ la inadeguatezza della stessa e ottenere che

concilia con la sottolineata diversità di piani su cui si pongono i rilievi; si noti altresì che contro il terzo viene concessa

una azione di dolo proprio per l’assenza di altra tutela). 81

Il fr. D. 9,2,35 potrebbe essere stato originariamente, nel testo di Ulpiano, collegato a D. 9,2,13,3. 82

Cfr. anche D. 20,1,27 MARCELLO, nel libro quinto Dei digesti. “Uno, per un’offesa lievissima, mise in ceppi, e poi

tosto sciolse il servo che aveva costituito in pegno; poiché poi non soddisfaceva il debito, il creditore <in conseguenza

di ciò> vendette il servo per un prezzo minore <di quello che aveva originariamente>: forse che bisogna dare al

creditore una qualche azione nei confronti del debitore, perché l’azione propria del credito non basta per perseguire ciò

che manca? Cosa dire se lo avesse ucciso o reso cieco da un occhio? Se lo avesse ucciso, è tenuto all’esibizione; se lo

avesse reso cieco da un occhio, daremo l’azione, come se si tratti di danno ingiusto, nella misura di quanto corrisponda

al suo interesse, perché debilitandolo o ponendolo in ceppi ha reso vano <l’obbiettivo economico> del potere di

persecuzione giudiziale del pegno. Supponiamo che non vi sia nessuna azione per il credito, perché, per qualche caso, la

lite era andata estinta; non reputo che la situazione non sia meritevole dell’attenzione e dell’aiuto del pretore. ULPIANO

annota: se lo pose in ceppi per nuocere al creditore, sarà tenuto; se perché lo meritava, non sarà tenuto”.

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il possessore non proprietario che restituisce la cosa deteriorata integri congruamente la

‘restituzione’ (che il modello originario sia quello di due azioni distinte ci viene attestato da D.

6,1,14 e, in D. 6,1,13 implicitamente dal fatto che l’integrazione della restituzione non comporta

direttamente estinzione dell’azione aquiliana per consumazione della pretesa, ma che sia necessaria

una stipulazione con cui il proprietario rinuncia a far poi valere tale pretesa che non si è estinta ipso

iure)83

. Un esame e conclusioni analoghi possono essere svolti con riferimento alla eredità,

leggendo D. 5,3,36,2.

2.11. Quanti is homo in eo anno plurimi e il superamento della aestimatio rei

Anche il commento relativo all’ammontare della pena da pagare può essere opportunamente

centrato sul punto di arrivo di una evoluzione profonda della quale i testi conservano ancora la

traccia: in modo molto sintetico possiamo dire che si passa dalla valutazione del maggior valore di

mercato che la cosa ha avuto nell’anno o nel mese anteriore all’evento di danno alla valutazione del

danno sofferto dal patrimonio, cioè alla diminuzione di valore del patrimonio stesso fra il momento

anteriore e quello successivo all’evento di danno, o, in altre parole, a quanto interessi al

proprietario, sotto il profilo patrimoniale, che l’evento di danno non si verificasse. Questa

evoluzione dell’individuazione del quanto deve essere pagato, e quindi dei termini di riferimento da

cui esso dipende, ha avuto, come detto, una interrelazione con ciò che si consideri evento di danno e

con l’estensione della legittimazione attiva della azione ed ho già diverse volte segnalato questo

profilo in rapporto al porsi di questo problema con riferimento al comodatario (D. 9,2,11,9),

all’usufruttuario (D. 9,2,11,10-D.9,2,12), al creditore pignoratizio (D. 9,2,17; D. 9,2,30,1; D.

20,1,27), al titolare di una servitù di acquedotto (D. 9,2,27,32), al padre per il figlio (D. 9,2,7pr.) e

all’uomo libero per le lesioni al proprio corpo (D. 9,2,13pr.).

È bene iniziare, come in rapporto agli altri argomenti, dall’inquadramento compiuto da

Ulpiano con riferimento alle parole della legge e della formula.

D.9,2,21-23,7 e D. 9,2,29,8 sono i due luoghi, della prima parte del Titolo D. 9, dove il

commento di Ulpiano, con un l’inserimento di un frammento di Paolo, contiene lo sviluppo delle

due impostazioni; certo, significativo è poi, nella seconda parte, anche l’inserimento di D. 9,2,33 pr.

e D. 9,2,51,2.

D.9,2,21pr. e 184

; D. 9,2,29,8 segnano il punto di partenza della determinazione del valore

materiale della cosa danneggiata, secondo il prezzo di mercato individuato alla stregua del maggiore

nel periodo di un anno per il primo cpv. (D. 9,2,23,3.5.6) e di un mese per il terzo cpv., con

riguardo alla specificità della cosa e della lesione (cfr. ad es. D. 9,2,23,3)85

.

In verità, il terzo capo non fa riferimento al maggior valore, rimettendo, evidentemente, la

scelta al giudice, ma poi Sabino avrebbe finito con l’imporre che la stima si riferisse al maggior

valore (J. 4,4,15) probabilmente per eguagliare il tipo di trattamento con il primo cpv.

In relazione al terzo cpv., un altro punto ancora sarebbe da precisare, cioè se il valore di

mercato si riferisce all’intero valore della cosa, o alla differenza fra quello che era il valore prima e

dopo la lesione perché si può notare che il testo del terzo cpv. si riferisce in modo ambiguo ad una

83

È meritevole di essere sottolineato il fatto che l’inserimento della pretesa derivante dalla legge Aquilia plasma il

criterio di imputazione del deterioramento della cosa, come risulta da D. 6,1,36,1 84

Sulla ragione della discordanza fra Giuliano e Celso in merito alla individuazione del momento dell’evento di danno,

momento da cui calcolare l’anno, cfr. supra: è infatti coerente con l’impostazione di Giuliano che considera uccisore

colui che ha inferto una ferita mortale , che il momento rilevante sia quello in cui la ferita è inferta; in senso opposto, è

coerente con l’impostazione di Celso, seguita da Marcello e Ulpiano, che considera uccisore solo colui che abbia

effettivamente prodotto l’evento morte, che il momento rilevante sia quello della morte. 85

La ragione per cui ci si rapporta al maggior valore viene ritenuta connessa alle variazioni stagionali del prezzo dei

beni.

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valutazione della ea res / ‘quella cosa’ o ‘quella lite’, diversamente dal primo cpv. che si riferisce

all’ ‘id’ /ciò. Tuttavia, in D. 9,2,46-47, per il caso di ferimento di un servo e di successiva sua

morte, se il padrone del servo avesse agito prima della morte per il ferimento in base al terzo cpv., si

ammette che, dopo la morte, il padrone possa agire nuovamente in base al primo cpv. purché a

seguito della seconda condanna non consegua niente di più di quello che avrebbe conseguito se

avesse agito una volta sola per l’uccisione. Ciò ha una maggiore rilevanza pratica se per la ferita il

padrone non aveva conseguito l’intero valore della cosa, ma solo quanto corrispondeva alla perdita

di valore della stessa, anche se è vero che in ogni caso vi sarebbe la differenza del periodo di tempo

a cui commisurare il maggior valore che potrebbe comportare una differenza di valutazione.

Soprattutto, D. 9,2,24 fa riferimento alla “stima della ferita” e quindi res è da intendere come ‘la

lite’, ‘l’oggetto della controversia’.

La precisazione, contenuta nella seconda parte del Titolo, relativa alla esclusione del valore

di affezione (D. 9,2,33pr.) può inserirsi già su questa linea di valutazione del prezzo di mercato.

Il prezzo di mercato della cosa però poteva variare in relazione non solo a caratteristiche

specifiche della cosa e della lesione, come visto (D. 9,2,23,3), ma anche a diritti od accessori della

cosa stessa; causae corpori cohaerentes. Così in D. 9,2,23pr. il valore di mercato del servo è

accresciuto dal fatto che esso è istituito erede e per ordine del proprietario avrebbe potuto accettare

e acquistare l’eredità al proprietario stesso (il mutamento di valore del servo, se istituito erede,

troviamo in altri esempi: così D. 9,2,51,286

che abbiamo già esaminato, in relazione alla condotta e

alla causalità).

Non è il caso di entrare in questa sede nell’esame dei rimaneggiamenti di testi che li hanno

adeguati allo sviluppo posteriore. Certo è che D. 9,2,22pr. pone un riferimento alla ‘utilità’, invece

che al ‘prezzo’, che è spia di una diversa prospettiva con cui si guarda la valutazione della cosa. Il

successivo par. 1 prende in considerazione le relazioni della cosa con altre che ne determinano il

valore che essa assume in quello specifico contesto patrimoniale. D. 9,2,37,1, individua una

condizione dell’animale che, in effetti, era oggettiva per quell’animale in quanto esso aveva

arrecato un danno ed il suo prezzo era legato all’essere oggetto di azione e di facoltà di consegna a

nossa, ma, in modo assai interessante, la valutazione viene terminologicamente e concettualmente

inquadrata nella prospettiva dell’ ‘interesse’ dell’attore. D. 9,2,40 relativo alla distruzione di un

documento, prospetta la possibilità di valutare non il supporto della scrittura, ma l’utilità del

documento quale prova87

. D. 9,2,55 prevede il caso che Tizio, che ha stipulato che gli fosse dato

Stico o Panfilo, a scelta del promittente, prima che il promittente-debitore sia in mora, uccida Stico,

che vale di meno; l’obbligazione si concentra su Panfilo e il promittente ha la tutela aquiliana, e

pone il problema della stima per la condanna, che viene fatta con riferimento al servo Panfilo in

rapporto a quanto ‘interessa’ il poter prestare il servo che valeva di meno e alla necessità di dare

quello che vale di più: il riferimento all’interesse è centrale. Questi testi segnano la via concettuale

percorsa muovendo dal valore di mercato della cosa danneggiata per giungere ad una più attenta

valutazione di tutte le conseguenze patrimoniali dell’evento di danno: gli effetti connessi alla

lesione di quel corpo coinvolgono altri oggetti, altre conseguenze e i loro valori sotto il profilo

patrimoniale, che vengono presi in esame attraverso discussioni puntuali.

Così si sfocia nelle considerazioni di cui in D.9,2,21,2 che esplicitamente fa riferimento a

‘ciò che interessa’ al proprietario, cioè a quanto gli interessi oggettivamente che la cosa non fosse

lesa o distrutta, cioè, come detto, alla diminuzione del valore del patrimonio a seguito della

86

Non è in contrasto D. 9,2,23,1 ove riferisce il parere di Giuliano, perché in questo caso (dai più riferito ad una

uccisione intervenuta prima della morte del de cuius), il sostituito divenuto erede acquista l’azione ex lege Aquilia in

base alla sua successione al de cuius al quale essa non poteva far capo che per ciò che esisteva quando era vivo, e quindi

non poteva includere la sua stessa eredità. Non affronto qui ora i problemi che pone D. 35,2,63pr. 87

D. 47,2,32,1 rende esplicito il riferimento all’interesse. Quanto poi a sentenze sottoposte a condizione sospensiva,

esse sembrano da escludere, ma, se pronunciate, non sembra siano invalide (D. 49,4,1,5).

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Riassunto delle lezioni

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distruzione o lesione della cosa. Ed è questa l’impostazione che rende possibile D. 9,2,12 e D.

9,2,30,1. Come già accennato, il primo testo individua la porzione di valore (rapportato all’anno

precedente) assorbita dall’interesse dell’usufruttuario a godere e trarre i frutti88

e questa

considerazione è possibile facendo leva sull’interesse, sul danno patrimoniale subito e non sul

valore di mercato del servo. Anche la valutazione articolata presente in D. 9,2,30,1 regge solo in

considerazione dell’interesse. Ma è soprattutto nei confronti delle persone libere, per le quali non vi

è un valore di mercato, e per le quali è altresì esclusa la considerazione di una valutazione

dell’interesse patrimoniale al loro corpo, che è possibile invece prendere in esame il danno

patrimoniale connesso alle cure o alla perdita di guadagno.

2.12. Carattere della azione: penale, poi mista

In concomitanza con il mutamento della stima del danno, matura altresì un passaggio della

natura dell’azione da penale a mista. Cioè, premesso che dobbiamo ricordare il carattere dei delitti

privati, che sono fonte di obbligazione al pagamento di una pena costituita da una somma di denaro,

che non è un risarcimento, ma ha uno scopo punitivo (cfr. libro p. 138 s.; 139 ss.), noi vediamo un

crescere della percezione risarcitoria della pena privata ed un mescolarsi dei due scopi.

Le testimonianze testuali ci consentono di riconoscere ancora questo passaggio.

D. 9,2,51,2, che abbiamo già esaminato, evidenzia, con riferimento alla fattispecie in esame,

la qualificazione del fatto come maleficium e la necessità di punizione; anche il termine culpa

include, come abbiamo visto, una idea di rimprovero, ma su un altro livello.

Alcuni aspetti di tale qualificazione e della conseguente qualificazione della sanzione come

pena, li abbiamo già incontrati: D. 9,2,11,2 e 4 mostrano la solidarietà cumulativa, che è logica

conseguenza del carattere penale, punitivo della sanzione (la stessa regola abbiamo visto anche in

D. 9,2,51,1).

D. 9,2,27,1-3 tratta problemi delicati connessi al principio della nossalità, a cui ho già fatto

un cenno per il danno arrecato da animali. Nella seconda parte del titolo, altri testi interessanti

relativi alla nossalità sono certo presenti in D. 9,2,44,1-45pr. Su questo tema, torno tra poco per il

Titolo 4 (infra).

D. 9,2,23,8 esamina la trasmissibilità attiva della azione, e la intrasmissibilità passiva;

infatti, è logico che il credito alla somma che l’autore del delitto deve pagare passi agli eredi, ed è

logico che il debito dovuto dall’autore del delitto, essendo una pena, non passi agli eredi e sia

personale, salvo, si aggiunge, gli eredi non ne abbiano tratto un vantaggio, osservazione questa che

non sembra pienamente pertinente e piuttosto derivare da quanto viene rilevato in materia di furto.

D. 9,2,23,9 ( abbiamo già visto anche D. 9,2,5pr.), nel quadro della problematica del

concorso fra azioni private e pubbliche, pone indirettamente in luce il carattere privato di questo

delitto, per il quale viene ammesso il concorso cumulativo con la persecuzione pubblica per il

crimine di omicidio (merita essere sottolineato che l’uccisione del servo costituisce un crimine

pubblico mentre non è così per la distruzione di altre ‘cose’, cioè, che il servo è oggetto di proprietà,

ma è altresì sempre una persona).

D. 9,2,27pr. tratta il problema del concorso di due delitti privati; rispetto alle circostanze

sopra viste al fr. D. 9,2,23,9, qui non vi è identità del fatto preso in considerazione e differenza dei

due interessi lesi (privato e pubblico), ma vi sono due fatti, uno di furto e uno di danno.

88

È qui interessante richiamare D. 47,2,46,1 ULPIANO, nel libro XLII A Sabino: 1. “Se sia stato rubato un servo in

usufrutto, ciascuno dei due ha l’azione di furto, colui che usufruisce e il padrone. L’azione pertanto sarà divisa fra

padrone ed usufruttuario: l’usufruttuario agirà per i frutti o per il doppio di quanto gli interessava che non fosse

commesso quel furto; il padrone invero agirà per quanto interessava a lui che la proprietà non venisse sottratta”.

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Sempre nel quadro del concorso fra azioni, fondamentale è l’esame del concorso fra azione

aquiliana e azione da contratto che troviamo in D. 9,2,7,8; D. 9,2,18; D. 9,2,27,11 che però vengono

ritenuti tutti testi interpolati, cioè modificati probabilmente dal giurista autore della prima parte di

questo Titolo D.9, in ossequio al mutamento di prospettiva che era maturato: essi originariamente

dovrebbero aver previsto il cumulo fra azione penale e azione reipersecutoria, da contratto, con la

quale si richiedeva il risarcimento del danno: il fatto per cui si agisce con le due azioni è lo stesso,

ma il petitum è diverso: con l’azione penale si chiede la pena, con quella reipersecutoria si chiede il

risarcimento e, perché vi sia consumazione processuale è necessario che il fatto sia lo stesso e che il

petitum sia lo stesso.

La contrapposizione fra ‘pena’ e id quod interest/‘risarcimento’ troviamo espressa in D.

2,3,1,489

, testo che non si riferisce alla azione aquiliana, ma esplicita la contrapposizione predetta

(cfr. anche D. 39,2,4,790

), mentre il concorso cumulativo per l’azione di furto e non cumulativo, se

non parzialmente nella misura del maggior valore nel periodo antecedente, per l’aquiliana, troviamo

affermato in D. 44,7,34,291

.

La base di questo mutamento è in parte nella valutazione sopra indicata di ‘ciò che interessa’

che coincide, in parte, con l’impostazione reipersecutoria delle azioni che non sono da delitto, come

quelle reali in cui si chiede la cosa e, in caso di mancata restituzione, ‘quanto la cosa interessa’, o

come le azioni per inadempimento contrattuale, o quelle per inadempimento di altra obbligazione il

cui petitum non costituisce una pena. Difatti, pervenendo a dire che con la pena privata viene

perseguito sia il risarcimento sia la pena (Gai. 4,9; J. 4,6,1992

) si perviene nella esclusione del

cumulo delle azioni penali con le azioni reipersecutorie perché il petitum reipersecutorio è assorbito

nella pena e quindi si perviene al concorso elettivo fra i due strumenti processuali che abbiamo visto

89

D. 2,3,1,4 ULPIANO, nel libro primo All’editto: Questa azione non comprende la stima dell’interesse <dell'attore>, ma

il valore della cosa oggetto del giudizio, ed essendo penale in senso stretto non viene data dopo l’anno, né contro

l’erede. 90

D. 39,2,4,7 ULPIANO, nel libro primo All’editto: Nei confronti di colui che non abbia curato alcune delle prescrizioni

di cui sopra, darò l’azione per quanto sia il valore della cosa per la quale non ha prestato la garanzia per il danno non

ancora arrecato: che non si riferisce a una quantità, ma a quanto interessa, e viene in considerazione l’utilità, non la

pena. 91 D. 44,7,34,2 PAOLO, nel libro unico Sul concorso delle azioni: In conseguenza di ciò è stato dato il responso secondo

cui, per il colono, se ha sottratto qualche cosa dal fondo è tenuto con l’azione di ripetizione per intimazione (condictio)

e con l’azione di furto, e anche in base alla locazione. E invero la pena per il furto non si confonde <con le altre due>;

quelle invece si sovrappongono. E quanto ora detto si dice in rapporto all’azione della legge Aquilia, se io ti abbia dato

in comodato degli abiti e tu me li abbia rotti: infatti entrambe le azioni sono reipersecutorie, ed invero esperita l’azione

della legge Aquilia comunque si estingue quella di comodato. Si discute se, dopo quella di comodato, rimanga quella

dell’Aquilia per ciò che è di più in relazione alla considerazione dei trenta giorni anteriori. Ed è più vero che rimane,

perché ciò si aggiunge all’importo dovuto semplice [...] 92

Gai. 4: [...] 6.Agiamo poi talvolta per conseguire solo la cosa, talvolta per conseguire solo la pena, altre volte per

conseguire la cosa e una pena. 7. Perseguiamo soltanto la cosa, come con le azioni con le quali agiamo in base a un

contratto. 8. Perseguiamo soltanto la pena, come con l’azione di furto e di atti ingiusti contro la persona ... 9.

Perseguiamo invero la cosa e la pena come in base a quelle cause in base alle quali agiamo per il doppio nei confronti di

chi nega, cosa che accade nell’azione ... di danno ingiusto della legge Aquilia

J. 4,6: [...]16: Viene poi la distinzione per cui alcune azioni sono state introdotte al fine di perseguire una cosa, altre al

fine di perseguire una pena, e altre sono miste. 17 Al fine di perseguire una cosa sono state introdotte tutte le azioni

reali. Quanto invece alla azioni personali, appaiono introdotte al fine di perseguire una cosa quasi tutte quelle che

nascono da contratto ... 18. Delle azioni derivanti da misfatti, alcune sono introdotte al fine di perseguire soltanto una

pena, altre al fine di perseguire sia una pena sia una cosa e, per ciò, sono miste. 19 ... Ma anche l’azione della legge

Aquilia per il danno è mista, non solo nel caso in cui contro chi contesta si agisca nel doppio, ma talvolta anche se uno

agisce per il semplice valore. Ad esempio quando uno abbia ucciso un uomo zoppo o guercio che in quell’anno fosse

stato integro e di gran prezzo: è condannato infatti, a pagare il maggior valore che quel servo ebbe in quell’anno,

secondo la già indicata distinzione ...

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Riassunto delle lezioni

61

nelle interpolazioni dei testi ora citati. Questa impostazione produce l’affermazione trattarsi di

azioni miste.

Questo orientamento verso un carattere anche risarcitorio non è portato alle sue logiche

conseguenze in generale: come abbiamo visto, gli altri caratteri dell’azione penale sopra ricordati

(nossalità, intrasmissibilità passiva, solidarietà cumulativa) non sono stati modificati. Esso si

inquadra nella riflessione che in modo complessivo unifica questo libro, come vedremo.

La riflessione sulla pena si intreccia con quella sul raddoppio della stessa (Gai. 4,9; J.

4,6,19), anche se questa è l’effetto di un distinto illecito processuale. D. 9,2,23,10-26 si riferiscono

al riconoscimento di fronte al pretore di aver compiuto il fatto e al raddoppio della pena come

sanzione per la condotta processuale del convenuto che neghi di essere tenuto per l’evento di danno

dichiarato dall’attore, sempre che poi risulti che il delitto esiste realmente. Anche, poi, se il

convenuto, per qualche motivo (ad es., convinzione di non poter dare la prova in base alla quale

risulti che non è tenuto, e scelta processuale di non esporsi al raddoppio della sanzione), avesse

confessato, l’evento di danno deve esistere realmente, perché se non esistesse, varrebbe di più la

verità delle cose che la confessione compiuta, anche perché il giudice al momento della valutazione

dell’oggetto della controversia non avrebbe nulla da valutare, come pone in luce il fr. 24 che, per

essere precisi, interrompe in modo non del tutto coerente il filo del discorso ulpianeo centrato sulla

necessità che esista non solo un evento, ma altresì la condotta (fr. 25pr.). Se poi il riconoscimento

non è fatto dall’autore della condotta che ha arrecato il danno, ma da altri per lui (tutore, curatore,

rappresentante processuale dell’assente), viene concessa l’azione in via utile (fr. 25,1). La

confessione dell’evento di danno, poi, non elimina la necessità di una decisione di un giudice che,

però, non ha l’incarico di giudicare, ma solo di fare la stima: la contestazione da parte del

convenuto della stima fatta dall’attore non risulta sanzionata dal raddoppio della stessa (fr. 26).

Della seconda parte del titolo, mi interessa richiamare ora in modo particolare D. 9,2,32pr.

inserito dai giuristi dell’epoca di Giustiniano per integrare quanto già detto nella prima parte. Qui,

di fronte ad una situazione di un danno compiuto da una pluralità di servi di uno stesso padrone, in

conseguenza del quale egli, senza avere alcuna colpa, quindi con una responsabilità oggettiva (cfr.

infra l’esame delle azioni nossali), in conseguenza della regola della solidarietà cumulativa (supra

D. 9,2,11,2 ecc.), sarebbe tenuto a pagare tante pene quanti sono i servi che hanno commesso il

delitto o a consegnarli tutti a nossa, ci si pone il problema di porre un limite alla onerosità della

responsabilità. Si propone l’analogia con D. 47,6, dettato in materia di furto, sottolineando, per

rafforzare la tesi della applicabilità analogica di tale norma richiamata, che il delitto in esame è

meno grave di quello di furto.

2.13. Sintetico bilancio

Numerosi sono stati i punti su cui ho sinteticamente richiamato l’attenzione: l’esame del

nesso di causalità, e in particolar modo la causalità sopravveniente; il dovere del danneggiato di

contenere o ridurre il danno; l’estensione dell’oggetto della lesione dalla cosa materiale in proprietà

fino al danno senza lesione o distruzione di una cosa materiale, e fino anche a toccare la cosa che

sia oggetto di una obbligazione; il passaggio non del tutto compiuto dalla funzione punitiva a quella

risarcitoria el’individuazione di una funzione mista; l’esclusione della considerazione come danno

della lesione alla persona umana, distinguendo questo problema da quello dei danni provocati in

occasione di una tale lesione che, peraltro, ha per oggetto un corpo ma non una cosa (cure, mancato

guadagno ecc.); l’emergere della esigenza di porre un limite alla onerosità della sanzione per il

responsabile di fronte alla responsabilità oggettiva presente nella responsabilità nossale; ecc.

Potremmo dire che, a differenza da quanto inizialmente descritto dal testo della legge (supra

2.5.), la vicenda interpetativa ha portato ad individuare gli elementi della fattispecie nei termini

seguenti:

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Riassunto delle lezioni

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a) un evento di danno, costituito dalla distruzione o dal deterioramento materiale di una

cosa, o anche del corpo di una persona libera, o, infine, perdita comunque di una cosa;

b) una condotta che viene ad includere ogni azione od omissione che possa essere

considerata ‘causa’ dell’evento di danno;

c) il rapporto di causalità fra condotta ed evento;

d) il dolo o la colpa dell’autore della condotta;

e) la violazione dell’altrui diritto;

f) la necessità della ‘ingiustificatezza’ di tale violazione, ossia l’assenza di cause di

giustificazione.

Soprattutto, il fissarsi del principio generale della responsabilità per colpa, per cui chiunque,

senza giustificazione, con colpa causa ad altri un danno obbliga colui che ha compiuto il fatto a

risarcire il danno; ed a nche se vi siano motivi di giustificazione, però vi è colpa nell’esercizio degli

stessi, se da questa condotta scaturisce un danno, si risponde. Questo principio secondo il quale ‘la

colpa è da punire’, certamente pone anche un limite alla responsabilità (si risponde infatti solo se vi

è colpa), non opera però solo come un limite, ma abbiamo visto che opera altresì come strumento di

estensione della responsabilità nei confronti di danni, secondo la dinamica espansiva di un principio

generale che è applicabile a tutte le situazioni ad esso riconducibili con il superamento della tipicità.

La tipicità, peraltro, è ancora assai significativamente presente nel testo del Digesto, ove la

dialettica fra esempi ed emersione del principio è insieme segno del dinamismo interpretativo e

anche delimitazione; ciò, in relazione alla tecnica interpretativa.

2.14. La rilettura dei Digesti compiuta dai Codici civili

I Codici civili hanno staccato il principio dal contesto degli esempi formulati

nell’interpretazione del testo della legge nella discussione del quale erano stati elaborati. Mi limito a

riprodurne alcuni, con il proposito di poter riprenderne l’esame.

CCFR./1804 Delle obbligazioni che si contraggono senza convenzione

1370. Alcune obbligazioni nascono senza precedente convenzione né per parte di chi si obbliga, né per parte di quello

verso cui si è obbligato.

Le une risultano dalla sola autorità della legge. Le altre nascono da un fatto personale di colui che resta obbligato.

Le prime sono le obbligazioni che si formano involontariamente, come quelle tra proprietari vicini, o quelle dei tutori o

degli amministratori i quali non possono ricusare le funzioni che loro vengono attribuite.

Le obbligazioni che nascono da un fatto personale di colui che resta obbligato, risultano o dai quasi-contratti, o dai

delitti, o dai quasi-delitti. Esse formano il soggetto di questo titolo.

Dei delitti e quali delitti

1382. Qualunque fatto dell'uomo che arreca danno ad altri, obbliga quello per colpa del quale è avvenuto, a risarcire il

danno.

1383. Ognuno è responsabile del danno che ha cagionato non solamente per un fatto proprio, ma ancora per una sua

negligenza o per sua imprudenza.

ABGB./1811 859. I diritti personali sulle cose, in forza dei quali una persona è obbligata verso un’altra a prestare qualche cosa, sono

fondati o immediatamente sulla legge, o nel contratto, o nel danno sofferto.

1293. Chiamasi danno qualunque pregiudizio arrecato alle sostanze, ai diritti o alla persona di alcuno. Dal danno deve

distinguersi il lucro cessante, cioè la perdita di quel vantaggio che alcuno ha da aspettare secondo il corso ordinario

delle cose.

1294. Il danno proviene da un'azione od omissione ingiusta altrui, o da un caso fortuito. Il danno ingiusto si cagiona o

volontariamente o involontariamente. Il danno volontario si fonda o in una prava intenzione, s'è cagionato con scienza e

volontà, o in una mancanza, s'è cagionato per imputabile ignoranza, o per difetto dell'attenzione o della diligenza

conveniente, E l'uno e l'altro chiamasi colpa.

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Riassunto delle lezioni

63

1295. Ciascuno ha il diritto di esigere dal danneggiante la riparazione del danno dato con colpa, sia che si fosse recato

con l'essersi contravvenuto a un dovere nascente da un contratto, o indipendentemente dal medesimo.

1301. Del danno ingiustamente arrecato possono essere risponsabili più persone ...

1302. In questo caso, se il danno è stato dato per colpa e se possa determinarsi quanto ciascuno ne abbia cagionato,

ognuno è responsabile soltanto per quello che per sua colpa ha arrecato. Se poi il danno fu arrecato deliberatamente, o

se non si possa determinare in qual proporzione ciascuno vi abbia contribuito, sono tutti obbligati solidalmente; salvo a

quello che lo avesse risarcito il diritto di regresso verso gli altri.

1305. Chi fa uso d'un suo diritto entro i giusti limiti non è risponsabile del danno che ad altri ne deriva.

1306. Di regola niuno è tenuto a riparare il danno cagionato senza sua colpa o con un'azione involontaria.

CCIT./1865 1097. Le obbligazioni derivano dalla legge, da contratto o quasi-contratto, da delitto o quasi-delitto.

….

1151. Qualunque fatto dell'uomo che arreca danno ad altri, obbliga quello per colpa del quale è avvenuto a risarcire il

danno.

1152. Ognuno è responsabile del danno che ha cagionato non solamente per un fatto proprio, ma anche per propria

negligenza o imprudenza.

1156. Se il delitto o quasi delitto è imputabile a più persone, queste sono tenute in solido al risarcimento del danno

cagionato.

BGB./1900

823. [Obbligo di risarcimento del danno] Chi deliberatamente o per negligenza lede ingiustamente la vita, il corpo, la

salute, la libertà, la proprietà o un altro diritto di altri, è obbligato al risarcimento del danno da ciò risultante. ...

828. [Minori; sordomuti] Chi non ha compiuto i sette anni non è responsabile per il danno che egli abbia cagionato ad

altri.

Chi ha compiuto i sette, ma non i diciotto anni, non è responsabile per il danno che egli abbia cagionato ad altri, quando

nel compimento dell'azione dannosa non abbia la necessaria conoscenza per la percezione della responsabilità. Lo

stesso vale per il sordomuto.

830. [Concorso e cointeressati]. Qualora più abbiano causato un danno con una azione illecita congiuntamente condotta,

ciascuno è responsabile del danno. Lo stesso vale, quando non si possa distinguere quale di più partecipi abbia causato

il danno.

Istigatori e complici sono equiparati ai complici.

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Riassunto delle lezioni

64

Riassunto delle lezioni (2)

3. GUIDA ALLA LETTURA DI D. 9,3

“SU COLORO CHE ABBIANO VERSATO O GETTATO DI SOTTO <QUALCOSA>”

3.1. I due editti inclusi nel titolo

Il Titolo D. 9,3 si riferisce a un editto del pretore articolato in due disposizioni: una relativa

a coloro che abbiano versato o gettato di sotto qualcosa (così si esprime la rubrica, ma vedremo che

la fattispecie è elaborata in modo significativamente diverso) ed una relativa a coloro che tengano

cose appese e la cui caduta possa arrecare nocumento a qualcuno.

Quanto ai frammenti qui riuniti, il titolo risulta composto da due parti: la prima parte da D.

9,3,1 a D. 9,3,5, è basata essenzialmente sul Commento all’editto di Ulpiano, con una piccola serie

di aggiunte inserite in esso (fr. 2 e 4). Questa parte a sua volta si divide in due: dal fr. 1 a D. 9,3,5,5

è dedicata alla prima delle due disposizioni dell’editto del pretore e da D. 9,3,5,6 a D. 9,3,5,13 alla

seconda; la seconda parte aggiunge due frammenti a commento del primo editto, e potremmo

ritenere questa integrazioni senz’altro dovute all’opera della commissione.

3.2. La data dei due editti

(cfr. libro p. 104 s.)

3.3. La materia trattata da Ulpiano nel l. 23 all'editto e il metodo lemmatico del commento

a questi editti

È sicuramente importante sottolineare che questo libro 23 del Commento all’editto di

Ulpiano non solo non è lo stesso libro in cui Ulpiano ha commentato il danno arrecato da animali e

quello previsto dalla legge Aquilia, ma neppure è di seguito ad esso. In questo libro 23, Ulpiano

tratta di altri editti che configurano fattispecie che non sono qualificate delitti, ma che sono

sanzionate come i delitti, e segnatamente: D. 11,3,1pr.: de servo corrupto / sulla corruzione del

servo; D. 11,5,1 : de aleatoribus / sui giocatori d’azzardo; D. 50,16,36 : [si iudex litem suam fecerit

/ se un giudice abbia fatto sua una lite] ; D. 9,4,21 [de noxalibus actionibus / sulle azioni nossali].

Ciò significa che nell’editto perpetuo, quale fissato da Salvio Giuliano e commentato da Ulpiano,

questi due editti non erano di seguito alla trattazione della legge Aquilia, ma piuttosto inseriti fra le

fattispecie predette e la trattazione di essi è stata spostata qui dai giuristi giustinianei. Ciò andrà

valutato nella interpretazione complessiva di questo libro.

Come in relazione alle leggi precedentemente commentate, anche in questo caso Ulpiano

riferisce il testo dei due editti e li commenta parola per parola:

D. 9,3,1,1-2: in eum locum quo vulgo iter fiet;

D. 9,3,1,3: deiectum vel effusum :

D. 9,3,1,4: habitaverit;

D. 9,3,1,5: liber homo;

D. 9,3,1,6: si vivet …;

D. 9,3,1,7-8: non nossalità;

D. 9,3,1,9-10.3.5pr.-3: solidarietà non cumulativa;

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Riassunto delle lezioni

65

D. 9,3,5,4-5: regresso;

D. 9,3,5,5: perpetuità, in trasmissibilità, popolarità:

D. 9,3,5,7: rapporto con l’editto precedentemente commentato;

D. 9,3,5,8: ne quis;

D. 9,3,5,9-10: supra eum locum ….;

D. 9,3,5,11: cuius casus …;

D. 9,3,5,12-13: positum habeat;

D. 9,3,5,13 popolarità

3.4. La riflessione iniziale sulla ratio dell’editto

D. 9,3,1,1-2, sottolinea il fondamento specifico di questo editto, cioè la necessità di

assicurare la sicurezza a coloro che passano nelle vie o vi si trattengono. L’individuazione di questa

ratio dell’editto è particolarmente importante per il riferimento all’utilità pubblica, per la quale si

noti che il termine ‘pubblico’ deve essere inteso nella concretezza del riferimento a ‘popolo’ come

insieme dei cittadini concreti. Essa sottolinea l’esigenza di stare ‘senza timore né pericolo’, della

‘sicurezza’. Essa individua così quindi uno spazio delimitato nel quale tale sicurezza può essere

pretesa anche a scapito di altri criteri in base ai quali determinare le relazioni reciproche

extracontrattuali, e apre pertanto la via all’accollo delle conseguenze derivanti da violazioni di tale

sicurezza secondo criteri di responsabilità in deroga al criterio della colpa, che abbiamo visto essere

operante a partire dall’età di Quinto Mucio (I sec. a.C.) ed essere venuto a costituire il principio

generale (supra).

D. 9,3,5,7 sottolinea, come già detto, che il secondo editto è una parte del primo. Si estende

così ad esso quanto evidenziato in relazione alla sicurezza, e si esplicita il motivo per cui si

persegue una fattispecie di pericolo da cui non è ancora scaturito un danno. La necessità di

sicurezza è evidenziata anche in D. 9,3,5,11, così come il profilo preventivo, per il quale non si

attende che si sia recato danno, ma si reprime la pericolosità della situazione posta in essere.

3.5. L’evento di danno previsto dal primo editto

D. 9,3,1,3 esamina cosa significhi ‘versato’ o ‘gettato’, e precisa in modo assai rilevante che

‘gettato’ è qui da intendere ciò che sia ‘caduto’. Questa interpretazione, a ben vedere, più che dal

significato letterale proprio del termine usato dal pretore, deriva dalla connessione di esso in un

enunciato che individua come responsabile ‘colui che abita’ prescindendo dal fatto che abbia gettato

o versato. Questo significato diventa specifico della descrizione di questa fattispecie. (cfr. libro

p.107)

3.6. Il responsabile, legittimato passivo dell’azione In D. 9,3,1,4 Ulpiano precisa che è tenuto colui che ‘abita’ nell’alloggio, e non il

proprietario dello stesso. Se nella fattispecie del titolo D. 9,1 il criterio di responsabilità era la

proprietà dell’animale, qui non è la proprietà dell’alloggio, ma la relazione fattuale con l’alloggio

costituita dall’abitarvi.

Tre sono quindi i problemi che di seguito si esaminano in merito: A) quello connesso alla

rilevanza data ad una relazione di fatto per cui la responsabilità può far capo ad una persona che non

sia giuridicamente indipendente e titolare di una relazione giuridicamente qualificata; B) quello

della migliore determinazione di questa relazione; C) quello della pluralità di persone coinvolte in

questa situazione.

A)D. 9,3,1,7-8 affrontano il problema costituito dal fatto che colui che abita non sia una

persona sui iuris, ma una persona in potestà del padre o del padrone. In rapporto al principio per

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Riassunto delle lezioni

66

cui, se la persona che è responsabile non è sui iuris, l’azione si dirige nei confronti del suo pater

familias / dominus si pone il problema della natura dell’azione perché il convenuto fruisce, in questi

casi, di limitazioni del suo essere tenuto. In D. 9,3,1,7 troviamo una interessante indicazione relativa

ai figli in potestà: viene esclusa la limitazione al peculio della responsabilità del padre, non

trattandosi di obbligazione sorta da attività negoziale; senza esplicita motivazione, ma con implicito

riferimento al principio per cui è lui che si obbliga, ormai in questi secoli si legittima il figlio stesso

a stare in giudizio personalmente1. Per il servo, in D. 9,3,1,8, si introduce una argomentazione che,

dicendo che il servo ‘non ha arrecato’ nocumento, da un lato corrobora l’interpretazione sopra

compiuta a proposito di ciò che è ‘caduto’ (sul punto, infra), d’altro lato suscita difficoltà in quanto

sembra escludere la possibilità di azione nossale perché non vi è ‘condotta’ che ‘arreca’ danno, e

quindi non vi è, si dice, ‘delitto’ (cfr. infra) mentre il testo dell’editto (D. 9,3,1pr.) prevede

espressamente la possibilità di inclusione nella formula della clausola nossale.

B) A precisare il concetto di ‘abitare’ sono dedicati diversi paragrafi. D. 9,3,1,9 introduce il

problema, distinguendo la persona che è solo ospitata da colui che abita, e, su questa distinzione

torna poi anche D. 9,3,5,1 che propone analisi delle situazioni volte a cercare di cogliere nel modo

più corretto il senso del riferimento all’ ‘abitare’ previsto dal pretore; vi torna pure D. 9,3,5,3 che

introduce una significativa estensione del concetto di abitare portandolo ad includere luoghi di

svolgimento di attività lavorative e distingue fra chi gestisce l’attività e i lavoranti o i discenti (in

questa estensione, si inserisce D. 9,3,6,3).

C) D. 9,3,1,10 introduce la possibilità che sia una pluralità di persone che abita nello stesso

alloggio fra le quali, premesso che questo abitare nello stesso alloggio sia effettivamente tale

(opportuna la distinzione di D. 9,3,5pr.; sottile la distinzione di D. 9,3,5,1 già visto supra, a cui

aggiungi D. 9,3,6,2 relativo ai componenti della stessa famiglia, appena visto supra; necessario, in

certi casi, il ricorso all’equilibrata valutazione del pretore secondo D. 9,3,5,2), la responsabilità è

solidale come per i delitti, ma non cumulativa, perché, quando uno abbia adempiuto, e solo quando

abbia adempiuto, gli altri sono liberati (D. 9,3,3; D. 9,3,4). Fra queste persone tenute solidalmente e

liberate dal pagamento da parte di una, vi è poi possibilità di regresso sulla base dei rapporti

esistenti tra loro (D. 9,3,4).

D. 9,3,2, inserito in questo contesto, evidenzia la ratio della impostazione della norma: se

Ulpiano ha evidenziato la necessità di sicurezza, qualora il danno sia intervenuto bisogna tutelare

nel modo migliore il danneggiato e in particolare evitargli la prova, pressoché impossibile, di

indicare l’autore di una condotta riprovevole che stava dentro ad un alloggio di uno dei piani di una

casa.

3.7. L’assenza del requisito della colpa. In D. 9,3,1,4, Ulpiano precisa ulteriormente che è tenuto colui che ‘abita’ nell’alloggio senza

considerare se egli abbia ‘colpa’ come invece si esigerebbe per la responsabilità in base alla legge

Aquilia, né se abbia tenuto una condotta (cfr. supra e libro p.107).

In verità, il testo contiene poi una contraddizione, perché, prima di dire che non si fa

riferimento alla colpa, si dice che ‘la colpa è presso di lui’. Si deve ritenere che questa affermazione

sia il frutto di una annotazione scritta al margine da autori come quelli che abbiamo già incontrato

con riferimento a D. 9,2,27,11 (cfr. supra), che ‘fingono’ l’esistenza sempre di una colpa, la

presumono senza possibilità di prova in contrario. Ma, se il requisito della colpa fosse di una colpa

realmente presente, la fattispecie prevista da questo editto diventerebbe un semplice esempio

particolare delle fattispecie previste dalla legge Aquilia, come D. 9,2,31, e, secondo questa linea,

1 Cfr. D. 44,7,39; D. 44,7,14 infra 4.3. nota.

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Riassunto delle lezioni

67

essa perde autonomia; se invece questa è una situazione che prende in considerazione prioritaria un

profilo diverso, cioè la sicurezza in un luogo determinato, questo profilo fonda un diverso criterio di

imputazione, e nasconderlo con la riconduzione di esso ad una culpa presunta, fittizia, è solo fonte

di equivoco. E ciò che ci interessa individuare sono queste due prospettive che si confrontano.

L’assenza di un ‘atto dannoso’ da parte di colui che è tenuto è evidenziata, come già visto, in

D. 9,3,1,8 in relazione alla responsabilità del servo.

D. 9,3,6,2 di Paolo suscita problemi, anche se a leggerlo bene non indica la colpa come

requisito, ma osserva solo che l’abitante dell’alloggio risponde delle colpe dei componenti della sua

famiglia (cfr. libro. p. 107) che non vengono a costituire una pluralità di persone che abitano, quale

presa in considerazione in D. 9,3,1,10 (infra).

3.8. La valutazione della sanzione e il suo carattere di pena Per i danni alle cose, la valutazione è per il doppio della stima degli stessi, come risulta dalla

formula (D. 9,3,1pr.), ma non viene approfondito. Il doppio, comunque, non dipende dal fatto che il

convenuto neghi, ma è previsto in tutti i casi (D. 9,3,1,4 sottolinea che non si richiede che neghi).

D. 9,3,1,5 e 6 ribadiscono il principio che del corpo dell’uomo libero non si può fare la stima

del ‘danno’: viene prevista una pena in denaro per una somma fissa per il caso di morte, e una

condanna in ciò che al giudice sembri ‘equo’ in caso di altro nocumento alla sua persona.

A questo editto, e al problema della valutazione si riferisce anche uno dei due fr. finali del

titolo: D. 9,3,7, di Gaio in cui chiarissima è la distinzione fra le spese per le cure, il mancato

guadagno, cioè il danno patrimoniale, e invece il corpo come tale. Non viene chiarito se questa

valutazione sia aggiuntiva rispetto ad una condanna per ciò che sembrerà equo al giudice o se ne sia

il criterio, ma, in questo caso verrebbe a coincidere con la stima del danno. Ho già sottolineato, a

proposito della legge Aquilia, come questa affrontasse questo problema e va tenuto presente che il

sistema prevedeva anche il delitto di atti ingiusti contro la persona che si affiancava alla prospettiva

aquiliana prevedendo la determinazione di una pena pecuniaria fissata ‘per ciò che è buono ed

equo’. Secondo l’editto ora in esame, vediamo come, per il corpo di una persona libera, la pena

prevista sia o una somma fissa per il caso di uccisione o una somma valutata secondo ciò che al

giudice sembra equo (così la formula in D. 9, 3,1pr.; buono ed equo in D. 9,3,5,5 in fine)2. L’enfasi

posta sul fatto che la sanzione non costituisce risarcimento di un danno pecuniario orienta verso la

qualificazione di essa come pena, che emerge dalla qualifica della azione, in un contesto in cui,

come sopra già accennato, appare improprio voler ricondurre la tipicità propria delle diverse

fattispecie di origine pretoria entro classificazioni rigide, ma che interessa cogliere nelle sue diverse

sfaccettature.

L’assenza di un ‘fatto’ da parte di colui che è tenuto abbiamo visto che pone dei dubbi in D.

9,3,1,8 in relazione al tipo di responsabilità del servo: si dice che non si tratta di un delitto del servo

perché questi non ha arrecato alcun nocumento, ma risponde semplicemente perché è colui che

abita e deve essere ‘punito’ (si ricordi che la assimilazione di queste fattispecie con i delitti è,

difatti, svolta sulle conseguenze, non sulle fattispecie stesse!).

3.9. Caratteri della azione e legittimato attivo Dei caratteri di questa azione, D. 9,3,5,5 e 13 sottolineano che essa è penale e passivamente

intrasmissibile, con delle differenze, perché in caso di lesione al corpo di una persona libera è anche

attivamente intrasmissibile (D. 9,3,5,5).

2 Credo che anche questo sia un punto che merita una riflessione critica attuale.

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Già abbiamo visto l’attenuazione della solidarietà cumulativa (D. 9,3,3; D. 9,3,4), e le

difficoltà relative al riconoscimento della nossalità di cui in D. 9,3,1,8 ove si nega trattarsi di un

‘delitto’. L’affermazione di quest’ultimo testo sembra in contrasto sia con D. 9,3,1pr. in fine ove è

prevista la clausola nossale3, sia con la qualifica di ‘penale’ data alla azione in D. 9,3,5,5; D.

9,3,5,13), tanto che si arriva a prevedere un intervento del magistrato che punisce al di fuori della

procedura ordinaria. Questa fattispecie, in effetti, non costituisce uno dei delitti del diritto civile,

perché è stata creata dal pretore, e, come già sottolineato, rende responsabili per un evento senza

che si faccia riferimento ad una condotta del responsabile (‘non ha arrecato alcun nocumento’,

parole nelle quali l’accento è su ‘arrecato’; il nocumento si è prodotto, ma colui che viene ritenuto

responsabile non lo ‘ha arrecato’). Ciò costituisce un problema di coordinamento sistematico che

deve rispettare la tipicità di queste figure e può riflettere contrasti ricostruttivi di cui queste sono

tracce.

Il carattere più interessante è che questa azione è ‘popolare’, cioè può essere intentata da

chiunque, proprio in quanto la ‘sicurezza delle vie’ inizialmente indicata individua un bene di tutti

(D. 9,3,5,5)4.

Questa possibilità da parte di chiunque di esperire l’azione pone, evidentemente, dei

problemi di scelta nel caso in cui più di uno voglia esperirla; vengono in considerazione criteri

diversi: nel caso di lesione della persona libera, questa ha precedenza rispetto ad altri; nel caso di

morte, si avrà riguardo a vincoli di affinità o di consanguineità (D. 9,3,5,5).

3.10. L’evento di danno alla sicurezza previsto dal secondo editto D. 9,3,5,7, come già indicato, sottolinea, in relazione alla previsione di questo editto, il

carattere di evento di pericolo, di danno alla sicurezza come tale; l’evento è costituito dal tenere

3 Questa contraddizione ha suscitato numerose discussioni e sospetti di itp. Una acuta interpretazione vuole riferire

l’ipotesi prevista dalla formula in D. 9,3,1pr. in fine, ad un abitante dell’alloggio che sia proprietario di un servo e non,

come in D. 9,3,1,8, ad un abitante dell’alloggio che sia un servo. Si evita così la contraddizione fra i due testi. Si deve

però ipotizzare una ragione per chiamare in causa il servo, e se questa è una condotta del servo, che non viene in

considerazione in quanto abitante, si agirebbe in base alla legge Aquilia nossale per il fatto del servo, e non in base a

questa azione (si noti, inoltre, che sarebbe troppo comodo per il padrone potersi liberare ad es. da una pena di cinquanta

aurei dichiarando he il fatto è stato compiuto da un suo servo e consegnandolo). 4 Sulle azioni popolari, cfr. D. 47,23 in rapporto alla comprensione delle quali va ricordato quanto già sopra richiamato

circa la nozione di popolo. D. XLVII,21 Sulle azioni popolari

1. PAOLO nel libro ottavo All’editto: “Designiamo azione popolare quella che tutela un diritto proprio del popolo”.

2 PAOLO nel libro primo All’editto:“Se in più agiscono contemporaneamente con l’azione popolare, il pretore scelga il

più idoneo”.

3 ULPIANO, nel libro primo All’editto :“Ma se si agisca più volte in base alla stessa causa, ed essendo lo stesso il fatto, si

oppone l’eccezione ordinaria di cosa giudicata. 1. Nelle azioni popolari si antepone colui a cui interessa”.

4. PAOLO nel libro terzo All’editto: “L’azione popolare viene permessa ad una persona integra, cioè alla quale è lecito

chiedere attraverso un editto”.

5. PAOLO nel libro ottavo All’editto “Colui he viene convenuto con una azione popolare, può incaricare un procuratore

per difendersi; invece colui che la esercita, non può incaricare un procuratore”.

6 ULPIANO, nel libro venticinquesimo all’editto : “Non si concede l’azione popolare a una donna e a un pupillo, salvo

che la questione non li riguardi”

7. PAOLO nel libro quarantunesimo All’editto: “Le azioni popolari non passano a colui al quale <come fedecommissario

universale> viene restituita l’eredità in base al senatoconsulto Trebelliano. 1. Parimenti, chi abbia queste azioni non si

intende che sia più ricco”.

8 ULPIANO, nel libro primo All’editto: “Tutte le azioni popolari non si concedono contro l’erede né si estendono oltre

l’anno”

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cose appese nello stesso tipo di luoghi dell’editto sopra visto, cioè dove la gente passi o si trattenga

D. 9,3,5,9), e la cui caduta possa recare nocumento.

D. 9,3,5,10, precisa che anche un sopportare che altri abbia posto perfeziona il presupposto

richiesto nella fattispecie in esame. Il par. successivo, D. 9,3,5,11 evidenzia, senza uso del termine

‘sicurezza’, questa ratio; si notino le parole: “né aspettiamo che rechi nocumento” (l’alternativa che

sottolinea che vi è sanzione anche se l’evento di danno si sia verificato, potrebbe riferirsi sia alla

complementarietà dei due editti sia indicare una possibilità di uso del secondo in base ad una scelta

processuale a favore di esso che non vi è ragione di escludere a motivo del verificarsi altresì

dell’evento di danno).

D. 9,3,5,12 indica poi una estensione utile dell’azione contro colui che teneva posto ciò che

è caduto, se non risponde né per il primo editto né per questo; il ‘pittore’ infatti, non essendo

necessariamente colui che abita (cfr. già D. 9,3,5,8), potrebbe non venire agganciato dal primo

editto né da questo perché tiene la sua ‘insegna’ appesa ‘né alla tettoia né al cornicione’.

3.11. Il responsabile, legittimato passivo dell’azione Per il secondo editto, D. 9,3,5,8 evidenzia che non è il proprietario dell’edificio o colui che

abita ad essere legittimato passivo della azione, ma chiunque, anche non abitante nella casa, a

qualsiasi titolo tenga posto alcunché (insegna od altro) la cui caduta possa essere dannosa. Difatti,

in D. 9,3,5,9 si fa riferimento a un magazzino, o potremmo immaginare anche altro tipo di locale

ove non si abiti, ma si possa porre una insegna o tenere altro appeso. Non è propriamente neppure la

proprietà della cosa appesa che viene in considerazione, cosa che pure deve essere alla persona

riconducibile.

D. 9,3,5,10 pone l’accento sul fatto che è responsabile colui che ‘tiene posto’ alcunché, con

il che si evidenzia la possibile assenza di sua condotta, ma, si noti, il testo prevede un suo tollerare,

cioè sapere che è posto anche, nel caso in cui la cosa sia stata appesa da un servo, comporta che egli

non può liberarsi con la dazione a nossa dello stesso. Egli però, per perfezionare l’ ‘aver tenuto

posto’, deve avere una relazione con la cosa ove viene tenuto posto ciò che può cadere

D. 9,3,5,11, come detto individua la responsabilità in base ad una estensione utile

dell’azione per colui che teneva posto ciò che è caduto.

3.12. Il problema del requisito della colpa. D. 9,3,5,10 non evidenzia alcuna riflessione relativa ad una rimproverabilità della condotta.

Il riferimento che il giurista compie alla ‘pericolosità’ della caduta non porta a dover provvedere

perché non cada, ma ad esigere l’eliminazione della situazione stessa. Sembra una norma di polizia

urbana che pone un divieto.

3.13. La valutazione della pena e il suo carattere La pena è pecuniaria per un importo fisso, di dieci solidi. L’azione è nossale, per il caso in

cui colui che tiene posto sia un servo, ignorandolo il padrone.

3.14. Caratteri della azione e legittimato attivo L’azione in base al secondo editto, poi, non può che essere popolare in quanto non vi è

ancora una persona le cui cose o il cui corpo sia stato leso che possa agire per la lesione subita; per

lo stesso motivo, la sanzione è in una quantità fissa di denaro: D. 9,3,5,13.

Il coinvolgimento di tutti nella attività ‘preventiva’ rispetto a danni che possono avvenire in

spazi individuati e determinati mi sembra particolarmente interessante: esso non è da ritenere la

conseguenza di una ‘debolezza’ dell’apparto amministrativo della comunità politica antica, quanto

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piuttosto una espressione della concezione secondo cui ciò che è ‘pubblico’ (nel caso in esame, la

sicurezza delle vie dove si passa o ci si ferma a stare con altri) è di tutti, nel senso che ciascuno è

parte di questa comunità del ‘popolo’, e quindi difende ed opera per se stesso, per ciò che è anche

suo (cfr. D. 47,23).

3.15. La rilettura dei Digesti compiuta dai Codici civili

[per gli sviluppi fino ai codici moderni, cfr. libro p. 112 ss.]

4. GUIDA ALLA LETTURA DI D. 9,4:

“SULLE AZIONI NOSSALI”

4.1. La provenienza dei frammenti di D. 9,4

Se esaminiamo la provenienza dei frammenti con i quali è stato composto il Titolo D. 9,4, ci

accorgiamo che è assai diversa da quella degli altri tre titoli, nei quali abbiamo visto che il

commentario All’editto di Ulpiano costituiva la base di una prima parte della selezione di testi, nella

quale erano inseriti alcuni altri fr., e alla quale seguiva una più o meno estesa seconda parte

composta da fr. di più eterogenea provenienza. Per D. 9,4, anche se la successione delle ‘masse’ è la

stessa, e possiamo ritenere quindi che la stessa sia stata la sottocommissione che per prima ha

proposto il contributo di base del titolo stesso, i frammenti hanno una provenienza varia.

Esaminiamo, a titolo di esempio, i contributi dal commentario All’editto di Ulpiano: D.

9,4,2.6.14 sono tratti da Ulp. 18 ad ed. che, come abbiamo visto tratta della lex Aquilia (nessuno

dal commento al danno da animali la specificità del quale ho sottolineato essendo per esso assente

la fattispecie non nosale); D. 9,4,3.5.7 da Ulp. 3 ad ed.: de albo corrupto; D. 9,4,8.36.38.42. da Ulp.

37 ad ed.: de furtis; D.9,4,11 da Ulp. 7 ad ed.: de vadimoniis [cfr. D. 2,9,1]; D. 9,4,21 da Ulp. 23 ad

ed.: de iudiciis omnibus;

Questo Titolo, quindi, risulta composto, come già accennato, di frammenti provenienti dal

commento a diversi delitti, e di frammenti provenienti dal commento al titolo dell’editto perpetuo

Su tutti i giudizi, che però aveva, in merito alle azioni nossali, una portata assai limitata. La sua

composizione, con la portata tematica che invece troviamo nei Digesti, appare opera dei giuristi

autori di questi.

4.2. La creazione di questo titolo: le precedenti sistematiche dell’editto e di Gai.

Le persone che erano nella potestà di altri, non potevano stare in giudizio e la loro difesa

processuale veniva assunta dal padre o dal padrone nella cui potestà o proprietà si trovavano.

Per gli atti negoziali leciti delle persone nella potestà di altri, il pretore era intervenuto con

azioni che venivano adattate alla particolarità della situazione, indicando come autore dell’atto colui

che lo aveva compiuto e come persona tenuta per gli effetti dell’atto stesso il padre o il padrone che

sta in giudizio (cfr. il tit. 18 dell’editto del pretore: a. exercitoria, institoria, tributaria, de peculio

ecc. e D. 14 e 15)5.

5 Ad es., l’azione di compra(vendita) ordinaria prevedeva:

“Sia giudice Caio Aquilio. Poiché Aulo Agerio ha comprato da Numerio Negidio il servo di cui si tratta – materia del

contendere –con riguardo a tutto ciò che, in forza di tale rapporto, Numerio Negidio deve dare o fare in favore di Aulo

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Per gli atti illeciti, già dall’epoca delle Leggi delle XII Tavole, il padre o il padrone poteva

rinunciare ad assumere la difesa e abbandonare l’autore dello stesso nelle mani della vittima

dell’atto illecito, o del suo padre o padrone, oppure poteva assumere la difesa e, se a conclusione del

giudizio la persona fosse risultata colpevole, si obbligava a darla a nossa o al pagamento della pena.

Questo regime, nel caso di assunzione della difesa, veniva realizzato inserendo una clausola

nossale nella formula che descriveva la fattispecie di delitto per la quale l’attore agiva, come anche

visto da ultimo in D. 9,3,1pr. in fine (unica eccezione, come già sottolineato, il delitto di pauperies,

che non poteva essere perfezionato se non ad opera dell’animale); ma non vi è un’unica ‘azione

nossale’, bensì ve ne sono tante quanti sono i delitti: sono, infatti, i singoli delitti che individuano i

beni ritenuti meritevoli di tutela ed è in relazione ad essi che sono analizzati i requisiti di ogni

fattispecie offensiva di tali beni.

La provenienza dei fr. ora vista ci testimonia, come detto, che nelle opere dei giuristi

utilizzate nei Digesti la trattazione delle azioni con clausola nossale era diffusa in connessione con i

diversi delitti.

Essa ci testimonia altresì che, però, esisteva già nell’editto perpetuo il tit. 14 de iudiciis e che

in esso vi era un paragrafo sulle azioni nossali dedicato al problema di natura processuale, a tutte

comune, che il legittimato passivo negasse di avere la disponibilità del servo e la possibilità di

consegnarlo6: così D. 9,4,21, la cui provenienza abbiamo visto sopra, prende in esame il

presupposto della possibilità della consegna, ossia, come puntualizza al par. 3: «che abbia la facoltà

e il potere di esibire il servo»; questa problematica è altresì quella di D. 9,4,22 di Paolo All’editto

ove tratta analogamente de iudiciis o D. 9,4,39 tratto dal libro nono dei Digesti di Giuliano ove era

trattato tale argomento.

Inoltre, le Istituzioni di Gaio hanno creato due sezioni vicine per la responsabilità da atto

lecito e da atto illecito delle persone in potestà di altri (Gai. 4,69-74.75-79) con una sistemazione

della materia da un lato parallela ai due titoli in materia di acquisto da parte di esse di cose e di

obbligazioni (Gai. 2,86 ss.; 3,163 ss.), d’altro lato che porta alla creazione di una trattazione

d’insieme delle azioni nossali. Sulla scia di esse, le Istituzioni di Giustiniano fanno altrettanto (J.

4,7 e J. 4,8; e J. 2,9; 3,28). L’impostazione istituzionale è stata quindi qui adottata producendo la

costruzione di questo titolo, nuovo in rapporto alla sistematica edittale e dei Digesti.

In questo titolo si sviluppa quindi l’elaborazione generale delle ‘azioni nossali’ e, omesso

l’elenco dei delitti per i quali sono previste e che inizia il corrispondente citato titolo delle J., si apre

alla individuazione dei caratteri comuni di esse e, in certa misura potrebbe aprire la via alla

configurazione di una fattispecie costituita dal fatto illecito del terzo in potestà (una unitaria figura

di responsabilità del capo della famiglia per i fatti delle persone che integrano il gruppo famigliare

in senso lato, anche con esso collaborando, e da lui dipendenti?).

Agerio secondo buona fede, il giudice Caio Aquila condanni Numerio Negidio nei confronti di Aulo Agerio; se non

risulta, lo assolva”.

L’azione di compra(vendita) nei limiti del peculio:

“Sia giudice Caio Aquilio. Poiché Aulo Agerio ha comprato da Lucio Tizio, che è nella potestà di Numerio Negidio, il

servo di cui si tratta – materia del contendere –con riguardo a tutto ciò che, in forza di tale rapporto, Lucio Tizio deve

dare o fare in favore di Aulo Agerio secondo buona fede, il giudice Caio Aquilio condanni Numerio Negidio nei

confronti di Aulo Agerio nei limiti del peculio, ivi incluso quanto per dolo di Numerio Negidio è stato eventualmente

fatto sì che non si trovasse nel peculio oppure nei limiti di quanto è stato eventualmente rivolto a profitto di Numerio

Negidio; se non risulta, lo assolva”. 6 Questo problema ha un parallelismo con la rei vindicatio, per la quale il legittimato passivo deve essere un possessore

non proprietario che deve poter restituire il possesso, o potrà esserlo uno che ha dolosamente cessato di possedere.

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4.3. La struttura del rapporto sotteso alla azione nossale.

Il regime più antico di questo schema giuridico è testimoniato in testi che non sono in questo

titolo: per i servi : D. 44,7,14 ci dice esplicitamente che sono ‘obbligati’ a seguito di un delitto, e

altrettanto ci viene detto per i figli in potestà: D. 44,7,397. Questo regime ha fatto ritenere a qualche

studioso che originariamente il padre fosse tenuto alla consegna dell’autore del delitto, che era

l’obbligato, e che la parte lesa avesse diritto di farselo assegnare dal magistrato, ma il padre avesse

altresì diritto ad offrire un riscatto (la pena). Sotto il profilo dommatico, si trattava quindi, per il

titolare della potestà, di una obbligazione con facoltà alternativa, in cui in obligatione è la consegna,

mentre il pagamento della pena è una facoltà che può essere esercitata. Con riferimento invece al

momento conclusivo del giudizio, cioè al momento della condanna, D. 9,4,1, costruisce

l’obbligazione come alternativa, sulla scorta della clausola inserita nella formula, che è quella che

configura la nuova obbligazione nata dalla contestazione della lite8. Incertezze suscita la lettura di

9,4,21pr. che si riferisce al momento anteriore alla instaurazione del giudizio e che sembra che

costruisca l’obbligazione come alternativa, ma, come vedremo, questa costruzione appare

inadeguata rispetto al fatto che (cfr. infra) l’obbligazione già sorta a seguito dell’evento delittuoso

segue sempre la persona che ha commesso il fatto presso un eventuale diverso proprietario; o ricade

direttamente sulla persona che ha commesso il fatto se essa diventa giuridicamente autonoma ; o si

estingue se muore. Si può qui cogliere come la costruzione effettuata sulla base della azione non

sempre si può risolvere con chiarezza come rapporto sostanziale.

4.4. I presupposti dell’azione nossale

A. il perfezionamento di un delitto da parte di una persona in potestà di altri.- Presupposto

primo che sta, per così dire, alle spalle degli altri e che integra la fattispecie complessiva è la

commissione, da parte di una persona in potestà di altri, di delitti, ciascuno con i propri elementi

costitutivi. Questi delitti sono assai diversi fra loro. Oltre ai quattro delitti furto, rapina, danno

ingiusto e atti ingiusti contro la persona, le azioni pretorie configurano una serie assai varia di altre

figure di illecito per le quali vengono previsti effetti simi a quelli previsti per i delitti, ma con un

certo margine di variabilità. Anche nel titolo precedente, abbiamo visto i problemi connessi con la

struttura particolare di responsabilità a prescindere da una condotta delittuosa (D. 9,3,1,8). Questo

presupposto, comunque, porterebbe ad escludere la responsabilità nel caso in cui la persona in

potestà di altri non sia iniuriae capax ( cfr. D. 9,2,5,2 supra), conclusione che risulterebbe assai

interessante da approfondire.

B. La non conoscenza da parte del titolare della potestà del compimento del delitto da parte

della persona in potestà.- Quanto ai presupposti della responsabilità nossale, D. 9,4,2pr. indica poi

che è necessaria la non conoscenza, da parte dell’avente potestà o padrone, dell’atto della persona in

potestà e D. 9,4,3 e 4pr. sottolineano che il padre o il padrone deve essere stato nella impossibilità

di impedire. Qualora quindi il proprietario o il padre sapessero (con la possibilità di impedire), vi è

responsabilità diretta loro per un fatto illecito proprio, responsabilità che quindi non segue il servo,

se questi viene alienato o manomesso, né si estingue se muore (D. 9,4,2,1).

D. 9,4,2,1 ci dice che questo requisito della ‘non conoscenza’ non vi era nelle Leggi delle

XII Tavole; ciò è coerente con quanto già ricordato circa l’affermazione che è l’autore del fatto che

7 D. 44,7,39 GAIO, nel libro trentottesimo All’editto provinciale “Il figlio in potestà si obbliga in base a tutte le fonti

come un padre di famiglia e per questo si può agire contro di lui come con un padre di famiglia”.

D. 44,7,14 ULPIANO, nel libro settimo Delle dispute “Invero i servi si obbligano in base ai delitti, e, se vengono

manomessi, rimangono obbligati: in base ai contratti poi certo non si obbligano secondo il diritto civile, ma secondo

natura si obbligano ed obbligano. 8 Sull’effetto novatorio della litis contestatio e sui suoi limiti, cfr. Gai. 3,180 ss.

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è obbligato, e l’interpretazione di Celso sottolinea appunto l’autonomia decisionale dell’autore del

delitto anche se è persona nella potestà di altri. Questo requisito è, invece, presente nella

responsabilità in base alla legge Aquilia. Questa differenza sarebbe stata reinterpretata da Giuliano,

il quale avrebbe sottolineato che le parole della legge delle XII Tavole che prevedono la

responsabilità del servo senza distinzioni sono da applicare anche alle leggi successive9 e

comportano che però la responsabilità diretta del padre o del padrone, che sappia e avrebbe potuto

impedire, non elimina quella dell’autore materiale, configurando una sorta di concorso di più

persone nel reato10

; da ciò conseguirebbe un cumulo delle pene che però viene risolto al momento

dell’adempimento della stessa, nel senso che, adempiuta una obbligazione, l’altra si estingue (D.

9,4,4,2)11

.

La ‘colpa nello scegliere’ le mansioni lavorative che si assegnano ad un servo, ricordata

sopra in materia di legge Aquilia (D. 9,2,27,9), è connessa implicitamente all’organizzazione del

lavoro che il padrone direttamente o indirettamente realizza nella gestione delle cose proprie e si

inserisce, evidentemente, nel presupposto in esame escludendo la ‘non conoscenza’ che egli deve

avere per potersi liberare dando a nossa l’autore della condotta dannosa. La ‘colpa per avere’ servi

che arrecano danni (D. 9,2,27,11 in fine) invece, come a suo tempo già sottolineato, fondando una

responsabilità diretta anche in caso di ‘non conoscenza’, verrebbe a escludere sempre la

responsabilità nossale, cioè a svuotare completamente il meccanismo della nossalità perché colui

che ha tali servi non potrebbe più liberarsi dalla responsabilità diretta dimostrando di non essere

stato a conoscenza di quanto facevano.

In relazione alla conoscenza / ignoranza vi sono alcune puntualizzazioni interessanti: circa il

fatto che esse si riferiscono a colui che è padrone al momento in cui viene commesso il delitto da

parte del servo (D. 9,4,4,1); al fatto che se l’attore si rende conto di non riuscire a dare

dimostrazione della conoscenza da parte del convenuto, egli può (possibilità che sembra una deroga

alle regole del processo formulare) fare introdurre la clausola della dazione a nossa fino a quando

non si sia pervenuti alla sentenza, mentre invece, pervenuti a questa, non potrà agire nuovamente a

motivo della consumazione dell’azione in quanto essa è la stessa nonostante egli ora voglia farla

valere con la clausola nossale (D. 9,4,4,3); al fatto che se il servo è stato venduto e se colui che ha

subito il delitto agisce nei confronti del titolare attuale della potestà, secondo Pomponio in D.

9,4,7,1 colui che era a conoscenza non può più essere convenuto per la sua responsabilità diretta

(ritengo che ciò dipenda dalla consumazione della lite che opera dal momento della contestazione

della stessa / instaurazione del giudizio).

Il criterio in base al quale il padre di famiglia risponde in via nossale è quindi costituito

dall’essere l’autore del delitto nella potestà patria o padronale dello stesso e dalla ignoranza da parte

sua e impossibilità di impedire il delitto12

.

C. La potestà effettiva nei confronti dell’autore del delitto.- Se l’ignoranza ha costituito il

secondo presupposto esaminato, perché esclude la responsabilità diretta per il delitto commesso,

9 Mi sembra opportuno richiamare qui D. 1,3,27 TERTULLIANO, nel libro I Delle questioni : “ Quindi, poiché è entrato

in uso estendere le leggi più antiche alle posteriori, si deve sempre pensare come se nelle leggi sia incluso che esse

riguardino anche le persone e le cose che in qualunque tempo saranno simili”.

D. 1,3,28 PAOLO, nel libro V Alla legge Giulia e Papia : “Ma anche le leggi posteriori fanno parte di quelle anteriori, a

meno che siano ad esse contrarie; e ciò è provato da molti argomenti”. 10

Si potrebbe ricordare che è lo stesso Giuliano che, in D. 9,2,51,2 sottolinea la necessità di punire gli autori di delitti

come ratio della sua intepretazione rigorosa 11

Si potrebbe riconoscere una certa unità di orientamento nella tendenza a ridurre il principio della solidarietà

cumulativa, riduzione che abbiamo visto anche fra coinquilini per le cose cadute o versate (supra D. 9,3,3), e per i

danni (e furti) compiuti da una banda di servi di uno stesso padrone (supra D. 9,2,32pr.) 12

Cfr. anche supra D. 9,2,44,1-D. 9,2,45pr.

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l’avere in potestà l’autore del delitto è il primo fondamento della responsabilità stessa ed esso pure

richiede delle precisazioni anche perché in esso è altresì radicata la possibilità di consegna.

D. 9,4,21,2 ss., come già accennato, ricordano le parole del pretore.

Al titolare della potestà venivano rivolte due interrogazioni davanti al magistrato: se egli

fosse titolare della potestà; in caso di risposta affermativa, qualora l’autore del delitto non fosse

presente davanti al magistrato, se egli avesse di fatto il potere su di lui, così da poterlo consegnare.

La risposta affermativa era per lui vincolante anche se inesatta. In caso di risposta negativa, il

magistrato, a scelta dell’attore, gli faceva giurare che il servo non era in sua potestà né egli

dolosamente aveva dismesso la potestà su di lui, oppure concedeva l’azione senza la clausola della

consegna a nossa. Se il convenuto giurava, l’attore perdeva la lite (lo spergiuro aveva conseguenze

solo sul piano religioso). Se, concessa l’azione, l’attore dimostrava che aveva il servo in potestà, il

convenuto perdeva la lite senza la possibilità di dare l’autore del delitto a nossa (D. 9,4,22, 4). La

condizione di colui che aveva un servo che fosse attualmente in fuga non è chiara (cfr. D. 9,4,21,3,

su cui, oltre alle le precisazioni di D. 9,4,24, vedi però D. 9,2,27,3).

L’avere l’autore del delitto in potestà al momento in cui viene esperita l’azione è coerente

con il carattere personale della responsabilità da delitto: l’azione per ottenere la pena o la consegna

dell’autore del delitto segue la persona che ha commesso il delitto stesso. Alcune precisazioni sono

interessanti.

D. 9,4,6 e 7pr.; D. 9,4,20 evidenziano ciò precisando altresì la trasmissibilità passiva

dell’azione all’erede finché vive presso di lui l’autore del fatto; sia la responsabilità diretta

dell’autore che divenga giuridicamente autonomo; sia, nel caso del compimento di più delitti a

danno della stessa persona, e quindi di un attore che agisca per una pluralità di fatti dello stesso

autore, la conseguenza della scelta del convenuto: infatti, se l’autore del fatto viene da convenuto

consegnato in base al primo giudizio, l’attore non potrà più agire per gli altri fatti, mentre se invece

il convenuto ha preferito pagare la pena, l’attore potrà agire ulteriormente per gli altri fatti.

Inoltre, nel caso di pluralità di attori per atti diversi successivi, D. 9,4,14pr.indica che in

questo caso non si applica il principio per cui l’azione segue la persona del colpevole, ma che il

sevo è dato a colui la cui lite si conclude per prima13

, e gli altri rimangono insoddisfatti (si noti che

non viene negata la fondatezza della loro pretesa alla consegna o al pagamento della pena, ma viene

loro negata l’azione da cosa giudicata, il che farebbe pensare che, se il convenuto adempia al

pagamento della pena, non possa ripeterlo).

4.5. Gli effetti della nossalità

Premesso che quindi è il proprietario o, per il figlio, con l’evoluzione su cui infra, il padre il

legittimato passivo della azione14

, gli effetti della nossalità sono diversi.

A. Abbandono dell’autore del delitto senza assumerne la difesa.- D. 9,4,32 indica il primo

effetto della nossalità, cioè che, nel caso in cui l’avente potestà non assuma la difesa dell’autore del

delitto che sia nella sua potestà, questi viene portato via dall’attore; ma nel caso sia una persona

libera il regime si è evoluto nel senso che la rinuncia alla difesa nei confronti dei figli in potestà col

tempo venne sempre meno usata e si giunse, come già visto (D. 9,3,1,7) ad ammettere che il figlio

in potestà stesso potesse stare in giudizio come convenuto, assumendo direttamente la propria difesa

in giudizio (D. 9,4,33.34.35).

13

L’integrazione compiuta nella traduzione, che fa riferimento al ‘ruolo di attore’, va corretta: occupans è colui che per

primo ottiene la sentenza a lui favorevole. 14

In D. 9,4,11.12; D. 9,4,28 si considera il possessore di buona fede e in D. 9,4,13 quello di mala fede.

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B. Consegna dell’autore del delitto dopo la condanna.- D. 9,4,1 e D. 9,4,21, già ricordati,

indicano la facoltà, una volta assunta la difesa e concluso il giudizio, di consegnare la persona che

ha commesso il delitto.

In caso di comproprietà, prima della instaurazione del giudizio, l’abbandono a nossa può

essere per quota, al momento della sentenza invece no (D. 9,4,8pr.).

La comproprietà, combinandosi con il requisito della non conoscenza da parte del

proprietario, richiede una serie di precisazioni. Così, il fatto che uno dei comproprietari possa essere

a conoscenza e l’altro possa non essere a conoscenza, crea responsabilità diretta del primo e nossale

del secondo (D. 9,4,5pr.; D. 9,4,9), con delle ulteriori differenze connesse alle scelte processuali del

secondo (consegnare il servo o pagare la pena) nonché alle pretese in regresso fra i due (D.

9,4,17pr.)

Anche fra nudo proprietario e usufruttuario, prima della instaurazione del giudizio,

l’abbandono a nossa da parte del proprietario rende l’usufruttuario ammissibile alla legittimazione

passiva, al momento della sentenza invece lo obbliga a concorrere (D. 9,4,17,1).

C. Responsabilità per la consegna.- D.9,4,14,1; D. 9,4,15 indicano la responsabilità per la

consegna da parte del convenuto per l’impossibilità sopravvenuta dopo che sia stata instaurata la lite

nel corso della stessa nei limiti del fatto proprio, e la responsabilità dello stesso per l’evizione.

D. noxa caput sequitur: D. 9,4,6.7pr.-1; D. 9,4,20 (in coerenza con il carattere personale della

responsabilità da delitto [supra: D. 44,7,14. 39]);

E. la legittimazione passiva del possessore di buona fede: D. 9,4,11.12; D. 9,4,28 e di mala fede: D.

9,4,13.

F. la legittimazione attiva dell’usufruttuario: D. 9,4,18;

G. la consumazione della lite D. 9,4,4,3; D. 9,4,7,1

H. Trasmissibilità passiva dell’azione.- In connessione con il fatto che l’azione è data sulla base

del semplice avere in potestà la persona che ha commesso il delitto, l’azione è passivamente

trasmissibile (D. 9,4,5,1). Non si configura nei confronti del padre o del padrone una responsabilità

per un suo delitto, ma un semplice essere tenuto a consegnare l’autore, e, solo se vuole, ad assumere

l’obbligazione di pagare la pena. Vi è invece la intrasmissibilità passiva dell’azione diretta perché in

tale caso si risponde per delitto proprio.

4.6. Il fondamento: la potestas come sostegno (potis esse) e quindi come possibilità di difesa e

di accollo del debito

Questi effetti configurano complessivamente una responsabilità oggettiva del padre o del

padrone che risulta tenuto per il delitto del figlio o del servo senza averne egli alcuna colpa, né

alcun fatto, ma per averlo in potestà, cioè in base al solo rapporto di potestà o proprietà nei

confronti dell’autore del delitto stesso.

Questo regime testimonia una concezione secondo la quale la pena è personale, dell’autore

del delitto, che è obbligato, ma sta in giudizio il padre o il padrone titolare della potestas (potis esse)

e valuta lui, che è il sostegno dell’intero nucleo famigliare, il bene comune complessivo del nucleo

famigliare e decide quale delle due vie sia per esso migliore. La decisione del padre di famiglia, di

assumere la difesa della persona della propria famiglia nei confronti della vittima del delitto che

agisce giudizialmente per punirla in quanto autrice del delitto stesso, e che decide di pagare la pena,

non esclude che egli stesso, poi, pagata la pena pecuniaria e trattenuto nella famiglia l’autore del

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delitto, non provveda a punirlo nell’ambito delle mura domestiche in forza del potere disciplinare

che pure gli compete, a volte affiancato dal giudizio del tribunale domestico.

4.7. L’emersione del problema del contenimento della pena per il titolare del dominium in una

prospettiva che accentua il profilo patrimoniale della pena?

La responsabilità oggettiva del padre o padrone può essere limitata, a scelta dello stesso, con

la consegna dell’autore del fatto delittuoso, consegna che costituisce adempimento da parte sua per

ciò a cui è obbligato.

Per il titolare della potestà, questo limite si presenta originariamente come l’effetto indiretto

di una regola processuale complementare a quella che lo rende convenuto in giudizio per una

persona che, come visto, è ella stessa obbligata (questo limite mi pare parallelo a quello al peculio

per gli atti leciti).

Ho già accennato alla duplice prospettiva che emerge in relazione alla pena pecuniaria, e al

riconoscimento dell’inclusione in essa del profilo risarcitorio patrimoniale.

Rileggendo il meccanismo della nossalità da questo punto di vista, della rilevanza

patrimoniale dell’adempimento, emerge che, in connessione con il carattere oggettivo della

responsabilità per avere in potestà persone che hanno commesso un delitto, la nossalità produce un

limite dell’onere patrimoniale che il titolare della potestà deve sopportare, limite del “valore”

dell’autore del delitto per il bene comune del nucleo famigliare.

Sottolineata la presenza di questo limite in generale, si può osservare altresì che in taluni

testi specifici troviamo espressamente sottolineata l’esigenza di una limite della onerosità della

responsabilità per atti illeciti di terzi di cui si risponde oggettivamente.

Ritengo di interesse tornare su un problema già esaminato rapidamente nel Titolo 2 (D.

9,2,32) e ora preso in considerazione in D. 9,4,31 per il furto commesso da una banda di servi.

Secondo un editto, che viene esaminato più a fondo in D. 47,6, il proprietario dei servi di tale banda

può liberarsi dalle obbligazioni solidali e cumulative che derivano dal delitto da essi compiuto

adempiendo nei confronti della vittima la prestazione a cui sarebbe tenuto se l’autore del delitto

fosse una sola persona libera. Noi leggiamo, in D. 47,6,115

che questo editto è qualificato

“utilissimo” per non “sconvolgere” il patrimonio del proprietario, “tutte le volte che, ignorando egli

il fatto che stavano per compiere, i servi abbiano commesso” il fatto delittuoso16

.

15

D. 47,6,1pr. “È utilissimo l’editto proposto dal pretore in base al quale ha riguardo ai proprietari in relazione ai delitti

dei servi, cioè affinché, se una pluralità di servi commetta un furto, non sconvolgano il patrimonio del padrone per il

caso in cui egli debba consegnarli tutti a nossa o sia costretto a pagare il valore della lite per ciascuno <secondo i

principi della solidarietà cumulativa della azioni penali>.. Con questo editto, gli si dà la scelta affinché, se invero voglia

riconoscere che tutti quei servi che parteciparono al furto sono da punire, possa darli tutti; se però preferisca pagare la

stima della lite, paghi tanto quanto dovrebbe venir pagato se il delitto sia stato compiuto da una sola persona libera, e

trattenga per sé il gruppo dei servi. 1. Questa facoltà di scelta si dà al padrone tutte le volte cheil furto sia stato

commesso ignorando egli il fatto che stavano per compiere i servi; infatti, se lo sapeva, <secondo i principi della

responsabilità nossale> non gli viene data la scelta, e risponde in proprio <per il proprio delitto di concorso> e con

l’azione nossale per ciascuno dei singoli servi”, 16

Si potrebbe osservare che in questo caso, come pure nella limitazione del cumulo di cui supra D. 9,4,4,2 e in D. 9,3,3,

si ha una riduzione delle conseguenze del carattere penale, che comportano la solidarietà cumulativa della pena, e un

avvicinamento alla funzione semplicemente risarcitoria, che, come tale, non risulta limitata da questo intervento del

pretore perché il pagamento equivalente a quello che dovrebbe fare una persona è pieno; invece, la possibilità di

consegnare a nossa il colpevole introduce una possibilità di consegnare una persona il cui valore sia inferiore al

risarcimento dovuto, e quindi contiene la prospettiva di una vera e propria limitazione del risarcimento in tale caso di

responsabilità oggettiva anche ad un valore inferiore al danno subito. Il punto meriterebbe approfondimento.

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5. CONCLUSIONE SULLA LETTURA DI D. 9

A. Ho cercato di svolgere una lettura che ha colto diversi profili che emergono dal testo:

rispetto ad essi, l’interesse può essere rivolto anche solo a ricostruire il passato; ma al giurista anche

oggi, come in tante letture e riletture svolte nel passato, interessano i possibili riflessi, o motivi di

approfondimento per elaborare e rielaborare continuamente il diritto di oggi.

a. Accentuazione della patrimonialità dell’interesse leso e potenziale lacuna relativa alla

tutela della dignità della persona.- Ho posto in luce prima di tutto che questo libro è una novità

costruita dai giuristi di Giustiniano: essi hanno scelto di spezzare la unitarietà della trattazione della

categoria dei quattro delitti privati, che era stata costruita nelle Istituzioni di Gaio (Gai. 3,182-225),

e che essi non solo conservano nelle Istituzioni di Giustiniano, ma addirittura integrano con un

esempio di fattispecie che hanno effetti simili ai delitti (J. 4,1-5) e che costituiscono sviluppo di una

impostazione già in parte presente in Gaio, nelle Res cottidianae (D. 44,7,1pr. e lo sviluppo in D.

44,7,5, 4 ss.). Essi compongono due libri dei Digesti dedicati al diritto penale (D. 47- 48) che

costituiscono l’antecedente dei nostri codici penali. In tali libri essi includono tre dei quattro delitti

privati, e le fattispecie a questi collegate. Essi pongono al centro di questo libro D. 9 la quarta

fattispecie dei delitti privati, cioè la distruzione-deterioramento di una cosa/il danno arrecato senza

giustificazione e per colpa o dolo, affiancata dalle due altre fattispecie che abbiamo esaminato, della

distruzione-deterioramento di una cosa / danno da animali e da cose cadute o versate, e affiancata

anche dalla responsabilità nossale per fatto illecito di terzi (figli e servi) che è stata costruita quasi

come fattispecie autonoma rispetto ai singoli delitti che questi (figli e servi) commettono, fattispecie

consistente nell’avere in potestà persone che hanno commesso delitti.

Se ci domandiamo cosa abbiano inteso elaborare i giuristi autori di questo libro, mi pare che

possiamo considerare diversi profili.

Queste fattispecie seguono le altre forme di tutela della appartenenza delle cose e dei diritti

reali su cosa altrui (D. 5-8), e, salvo per alcune ipotesi (quella della responsabilità per cose cadute o

versate su una persona libera e, nell’ambito della figura della responsabilità nossale, quelle

articolazioni di essa costituite da atti ingiusti contro le persone commessi da un figlio o servo,

nonché alcuni sviluppi marginali), esse si riferiscono a distruzione-deterioramento di cose altrui,

nella rielaborazione del cui evento è emerso in primo piano un concetto di danno che ha consentito

di agganciare anche, quando si tratti di persone libere, perdite di carattere patrimoniale (spese di

cure ecc.; la lesione alla persona libera è presa in considerazione in D. 9,3 in modo non dominante).

Sembra, cioè, emergere la tutela di colui a cui appartengono le cose (erus, proprietario, padrone,

signore; e poi titolari di altri diritti reali), o che ha comunque diritti reali su di esse; una tutela non

rispetto alle turbative dell’appartenenza delle stesse, ma che produce un danno attraverso lesione

all’integrità fisica delle cose stesse.

Per la presa in considerazione, invece, di atti che, attraverso lesione all’integrità fisica delle

cose, producono un danno a colui che dispone delle cose in ragione di un rapporto obbligatorio, ho

sottolineato l’importanza di una analisi innovativa su D. 9,2,11,9 e di D. 9,2,27,14 nei quali viene

appunto lesa da un terzo la fruizione di cose comodate o locate che sono nel possesso naturale del

comodatario o del locatario. Essa, comunque, si svilupperebbe secondo una logica estranea al nesso

che ora ho prospettato; il problema viene individuato, ma sembra fuoriesca troppo dall’alveo

originario e le soluzioni sono incerte.

Per questi eventi di danno, la sanzione, che è classificata come una pena, ha un consistente

profilo risarcitorio, patrimoniale, che viene evidenziato dalla riflessione sul carattere misto della

pena ed anche dalle ripetuta affermazione della estraneità della considerazione delle lesioni al corpo

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della persona libera come tali, la tutela nei confronti delle quali è lasciata alla azione per atti ingiusti

contro la persona.

b. Il principio generale della responsabilità per colpa.- Di queste fattispecie, quelle previste

dalla legge Aquilia sono state sviluppate sulla base del criterio di imputazione della colpa, con il

quale è stato elaborato un principio generale di responsabilità che si è venuto legando alla predetta

emersione della valutazione della patrimonialità dell’interesse leso. Le altre fattispecie, che

prevedono il danno da animali in proprietà, o da cose del luogo ove si abita, o da persone in potestà,

sono ipotesi di responsabilità c.d. oggettiva, ossia senza colpa; tipiche e circoscritte, fondate, come

detto, sul criterio della proprietà (dell’animale), o dell’abitare (nel luogo da dove è caduta o si è

versata la cosa), o dell’esercitare la potestà (nei confronti dell’autore del delitto).

Va però sottolineato che la discussione su esempi interseca la coerenza interna a questi con

questa coerenza sistematica di fondo; essa è quindi aperta a seguire i possibili sviluppi inclusi

nell’esame di questo o quell’esempio.

c. Criteri di responsabilità oggettiva per fattispecie tipiche.- In relazione alle fattispecie che

prevedono la responsabilità oggettiva, è certo da sottolineare la riflessione svolta per una di esse che

enuclea come, di fronte a situazioni di per sé di pericolo per la sicurezza di tutti, venga previsto che,

in luoghi determinati, l’interesse generale prevalga sul requisito della necessità di colpa e, per tale

motivo, colui che ha un rapporto qualificato di uso della cosa che è pericolosa risponda non per la

colpa, ma in ragione di questo rapporto con la cosa stessa. Questa esigenza di sicurezza promuove

altresì la previsione di una fattispecie con funzione esclusivamente preventiva, di riduzione delle

situazioni potenzialmente pericolose, e la popolarità dell’azione: responsabilità oggettiva,

prevenzione, popolarità.

La relazione di proprietà o di potestà sorregge la responsabilità oggettiva nelle altre due

fattispecie nelle quali, in rapporto all’animale o alla persona in potestà che hanno provocato la

lesione, viene comunque verificato il nesso di causalità che, in un contesto di fattori convergenti

nella produzione dell’evento di danno, ha bisogno di una qualificazione, nella riflessione sulla quale

si annidano possibili richiami alla colpa con conseguente possibile cancellazione della specificità

delle fattispecie stesse. La considerazione della colpa proietta la sua prospettiva sull’intero libro

quasi come un possibile altro profilo che lo unifica e suggerisce letture in questo senso così come

nelle Istituzioni si può voler leggere in questo senso il titolo sulle ipotesi di obbligazioni che

nascono come da delitto. Mi pare, però, che siano lettura che si elidono vicendevolmente.

d. Di queste fattispecie, ho cercato un nucleo unificante che le orienta componendole in un

blocco di materia nel quale, peraltro, esse sono affiancate ma non riorganizzate in un sistema; esse

sono come innestate su una linea di interpretazione sistematica che le unifichi, ma nello stesso

tempo conservano i segni del loro sviluppo secondo logiche diverse e tipiche, su cui si sono anche

inserite riflessioni a volte occasionali, espressioni di prospettive diverse da quelle di fondo.

B. Questo libro D. 9 ha costituito l’antecedente indiscutibile di sezioni dei codici civili

moderni. Riprendendo la sistematica delle istituzioni, i codici hanno dedicato una parte alla materia

delle obbligazioni, e delle sue fonti, per le quali si distinguono: contratti (e quasi-contratti), delitti

(e quasi-delitti)17

. Ma in relazione a questi ultimi, non si fa riferimento ai quattro delitti indicati da

17

Ricordiamo che le Istituzioni di Gaio, e poi quelle di Giustiniano, distinguevano: fonti del diritto, persone, cose,

azioni. Dentro alle persone, trattavano anche la famiglia; dentro alle cose, distinguevano proprietà e diritti reali,

successione ereditaria, obbligazioni. Per le obbligazioni, si individuavano le fonti. I quattro blocchi di materia: persone

e famiglia, proprietà e diritti reali, successione e obbligazioni, sono presenti nel Cc.francese/1804, italiano/1865,

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Gaio, ma si segue l’impostazione di questo libro D.9 . Furto, rapina, e atti ingiusti contro le persone

sono, infatti, spostati nell’ambito del diritto penale (per gli atti ingiusti contro la persona, mi pare

che lo spostamento abbia creato una vera e propria lacuna nel diritto civile in relazione ai profili di

offesa alla persona inclusi, a volte, nelle lesioni comportanti danno alla stessa18

), e, a fianco al

quarto delitto, vengono invece introdotti i danni da animali, i danni arrecati da altre persone di cui si

risponde in ragione di una relazione pregnante con esse, le cose cadute o versate e le esigenze di

sicurezza; l’aggregazione si modifica, si estende ancora, in certi codici di più, in altri di meno,

seguendo però la logica posta da questo nucleo di base.

In rapporto a questo nucleo, in verità, la responsabilità per il fatto illecito di terzi in potestà o

in proprietà è la fattispecie di cui sono maggiormente mutati gli elementi. Nei confronti dei figli,

rimane una potestà-sostegno-guida-affetto-disciplina che fonda una specifica responsabilità diretta

dei genitori variamente articolata, per la quale mi pare vada approfondita la riflessione sul ruolo di

‘sostegno’ che hanno i genitori nei confronti dei figli, sostegno che è il nucleo centrale della potestà,

che offre il migliore fondamento per le regole relative a questo rapporto.

Grazie alla maturazione del principio per cui tutti gli uomini nascono liberi (D. 1,1,4), oggi

non esiste più la responsabilità per il fatto illecito di terzi servi della cui collaborazione lavorativa ci

si avvale, ma vi è solo una responsabilità per l’attività dei liberi dipendenti, commessi ecc. Le

regole di questa responsabilità per il fatto illecito dei dipendenti rivelano ugualmente la derivazione

in parte da questo titolo D. 9,4 e in parte dal Titolo D. 4,9 sui fatti illeciti delle persone libere che

lavorano al servizio di imprenditori come gli armatori, gli albergatori, i titolari di stazioni di cambio

dei cavalli. Entrambe queste fattispecie individuano una responsabilità oggettiva, anche se diversa

per i presupposti e limiti.

Il Principio generale della responsabilità per colpa costituisce l’asse portante di questo

microsistema dei codici civili; esso viene integrato da fattispecie tipiche a volte disegnate come di

di responsabilità oggettiva fondata su criteri diversi adatti alle situazioni prese in considerazione

(questa responsabilità oggettiva venne negata dalla rilettura delle fonti compiuta sotto l’influsso

della Scuola del diritto naturale; ma è tornato al centro della riflessione alla fine dell’Ottocento e

poi nel secolo passato), più spesso disegnate utilizzando lo spostamento dell’onere della prova della

colpa, il criterio della responsabilità per cose di cui si ha la custodia, ecc.

Il carattere risarcitorio della obbligazione che scaturisce è vincolato al principio che esclude

profili ‘punitivi’ nelle relazioni fra i ‘privati’ e monopolio di essi da parte dello stato, nonché di vie

processuali distinte e particolarmente garantiste. Ecc.

La lettura riapre, però, alcune problematiche: la prevenzione e l’azione popolare;

l’emersione di una prospettiva di limitazione del risarcimento in casi di responsabilità oggettiva;

l’esclusione dell’atto ingiusto contro la persona dall’ambito del risarcimento patrimoniale.

spagnolo/1889 ecc.; essi sono presenti anche nel BGB/1900 come quattro parti speciali, in rapporto alla prima delle

quali c’è solo la separazione delle persone dalla famiglia, entrando, le prime, nella Parte generale. 18

La complementarietà sistematica, anche se non tradotta in contiguità testuale come aveva realizzato Gai., fra danno

ingiustificato e arrecato con colpa e atti ingiusti contro la persona consentiva alla prima l’orientamento verso il

risarcimento del danno, che per le persone libere aveva incluso le cure e il mancato guadagno, e facesa salva la

considerazione dell’offesa da valutare secondo ciò che è buono ed equo (D. 47,10,11,1). La rottura di questo rapporto

ha scaricato sul risarcimento del danno contenuti incongri. Cfr. S. Schipani, Orfani dell’actio iniuriarum. Rileggere i

Digesti: contributi romanistici per una riflessione sulla tutela giuridica della persona, relazione svolta al Congresso

internazionale di Suzhou-Shanghai,, in Roma e America, 30/2010, 43 ss..

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Il dialogo con le fonti del diritto romano è aperto. Alcuni caratteri riemergono dopo che la

codificazione ha semplificato (troppo) il quadro complesso che ci è stato trasmesso, o lo ha letto in

modo unilaterale condizionata da un individualismo eccessivo e da una pretesa di patrimonialità

escludente altre prospettive. La ricerca dei principi non è però arbitraria; essa è guidata da un

continuo confronto fra giuristi, dalla verificabilità dei ragionamenti che facciamo, dalla esigenza di

aequare libertatem / rendere uguale la libertà soprattutto con riferimento alla tutela delle persone

più deboli.

6.GUIDA ALLA LETTURA DI D. 47,10 (bozza)

“SUGLI ATTI INGIUSTI <CONTRO LA PERSONA> E SUGLI SCRITTI INFAMANTI”

6.1. L’azione per iniuriae / ‘atti ingiusti contro la persona’19

.-

a) Nella Legge delle XII Tavole incontriamo la previsione di tre fattispecie: il membrum

ruptum, cioè la lesione che alteri gravemente la funzionalità di una parte del corpo; l’os fractum,

cioè la frattura di un osso; l’iniuria[m] alteri facere, cioè ogni altro atto commesso senza diritto, in

modo ingiustificato20

, contro un’altra persona che ne viene lesa, anche se questa è un servo21

.

La pena prevista per le tre fattispecie antiche era, per la prima o ciò che veniva pattuito, o il

taglione che uguagliasse le due posizioni; per la seconda e la terza il pagamento di una somma di

denaro fissata direttamente dalla legge. Si narra l’episodio secondo cui, a seguito dei mutamenti

nelle ricchezze individuali e nel valore della moneta, un cavaliere romano (Lucio Verazio) andava

per la strada dando schiaffi alle persone che incontrava; lo seguiva un servo con il denaro e subito

veniva pagata la pena il cui importo fisso era, in relazione alla sua ricchezza, assai poco rilevante.

Ciò indusse ad abbandonare tale pena fissa e a rimettere la determinazione del quanto al giudice il

19

Cfr. R. ZIMMERMANN, The law of obligations. Roman foundations of the civilian tradition, Cape Town-Deventer-

Boston, 1992, 1050 ss.; S. SCHIPANI, Orfani dell’actio iniuriarum. Rileggere i Digesti: contributi romanistici per una

riflessione sulla tutela giuridica della persona, in Roma e America. Diritto romano comune, 30/2010, 43 ss. 20

XII Tav. 8,2-4. Il significato esatto di ciascuna di questa fattispecie è assai discusso. La fattispecie il cui nome crea

problemi più interessanti è la terza, per la quale trovo più convincente la tradizione che ritiene che la legge prevedesse

un iniuria alteri facere, cioè appunto un “fare ingiustamente <qualcosa> ad un altro”, così come nell’antica

rivendicazione di una cosa il convenuto accusava il rivendicante, il quale aveva messo la sua lancia sopra la cosa che

rivendicava come sua, di iniuria vindicare, cioè di “rivendicare <e mettere sulla cosa la sua lancia> ingiustamente”,

cioè senza una valida causa che giustificasse questo suo atto aggressivo (cfr. Gai. 4,16): sul punto S. SCHIPANI,

Responsabilità ex lege Aquilia. Criteri di imputazione e problema della culpa, Torino, 1969, 59 ss.; 52 ss. 21

La legge relativa alla frattura di un osso include esplicitamente la tutela del servo; possiamo presumere altrettanto per

la fattispecie più grave di lesione della funzionalità di una parte del corpo; per la terza fattispecie, la più generale, Gai.

3,222 esplicitamente indica che la lesione contro il servo rileva come offesa al proprietario, ma in Ulpiano troviamo

affermato che vi è anche offesa al servo: D. 47,10,15,35 (alla fine).

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quale avrebbe condannato “per quanto sembrerà buono ed equo”22

. Questo episodio vuole farci

capire altresì che per questo tipo di atto illecito, pur essendo esso sanzionato in una somma di

denaro, non si aveva riguardo al danno, e neppure alla rilevanza del fatto offensivo in sé o in

rapporto alla vittima (una pena fissa avrebbe potuto venire rivalutata, senza mutare il suo carattere),

ma si voleva poter tenere conto anche dell’effetto (riparatorio dell’offesa e non risarcitorio) che tale

pena, per la sua adeguata commisurazione, doveva avere sull’autore dell’atto, il quale invece,

nell’esempio, aggiungeva all’offesa la indifferenza o l’irrisione nei confronti della sanzione.

Alla riforma della sanzione si accompagnò quella delle fattispecie23

, e il delitto di iniuriae /

‘atti ingiusti contro la persona’, prevista da un editto generale del pretore, assorbì le altre due

fattispecie e si dimostrò estremamente duttile24

.

6.2. Il metodo lemmatico nel commento all’editto.-

Pur non potendo approfondire l’esame di questo editto come per le fattispecie di D. 9, si può

notare che anche leggendo il titolo dei Digesti D. 47,10, troviamo, in frammenti tratti dal commento

all’editto di Ulpiano, l’esposizione impostata con riferimento alle parole della formula. Anche se

manca il testo completo che viene successivamente commentato, come abbiamo invece visto in D.

9,2 e 3, possiamo richiamare le citazioni parziali che sono:

D. 47,10,7pr.: Qui agit iniuriarum, certum dicat quid iniuriae factum sit / colui che agisce per atti

ingiusti contro la persona dica precisamente di quale tipo di atto ingiusto si sia trattato (ripreso in D.

47,10,7,4);

D. 47,10,15,2: Qui adversus bonos mores convicium cui fecisse cuiusve opera factum esse dicetur,

quo adversus bonos mores convicium fieret: in eum iudicium dabo / colui del quale si dirà aver fatto

schiamazzo <pronunciando espressioni offensive e versi derisori> contro i buoni costumi nei

confronti di un altro, o per opera del quale sia avvenuto che si facesse schiamazzo contro i buoni

costumi: contro di lui concederò l’azione (ripreso in D. 47,10,15,5. 9.);

D. 47,10,15,25: ne quid infamandi causa fiat. Si quid adversus ea fecerit, prout quaeque res erit,

animadvertam / Non si faccia alcunché per disonorare; se qualcuno avesse operato in questo modo

la perseguirò secondo quanto abbia fatto (ripreso in D. 47,10,15,28);

D. 47,10,15,34: Qui servum alienum adversus bonos mores verberavisse deve eo iniuriam domini

quaestionem habuisse dicetur, in eum iudicium dabo. Item si quid alium factum esse dicetur, causa

cognita iudicium dabo / Colui del quale si dica aver frustato un servo altrui contro i buoni costumi o

averlo sottoposto a tortura con atto ingiusto nei confronti del di lui padrone <per l’assenza della

autorizzazione da parte di questi>, contro di lui concederò azione. Parimenti se si dica essere stato

fatto qualcosa d'altro, previa cognizione di causa concederò azione (ripreso in D. 47,10,15,38. 40.

41. 43.);

D. 47,10,17,5: arbitratu iudicis / secondo la valutazione discrezionale del giudice ;

D. 47,10,17,10: Si ei, qui in alterius potestate erit, iniuria facta esse dicetur et neque is, cuius in

potestate est, praesens erit neque procurator quisquam existat qui eo nomine agat, causa cognita

ipsi, qui iniuriam accepisse dicetur, iudicium dabo / Se si dirà essere stata fatto un atto ingiusto

contro la persona a colui che si trova in altrui potestà e non sia presente colui del quale egli è in

potestà, né esista alcun procuratore che possa agire in di lui nome, previa cognizione di causa,

concederò l’azione a quello stesso che si dirà aver subito l’atto ingiusto contro la persona (ripreso in

D. 47,10,17,18).

22

Cfr. AULO GELLIO, Noctes Atticae, 20,1,12 s. 23

Vi furono diversi editti del pretore, una legge Cornelia dell’81 a.C. che prevedeva un crimine pubblico, per le cui

fattispecie si poteva anche agire privatamente da parte dell’offeso chiedendo una pena pecuniaria, e un grande sviluppo

ad opera della scienza giuridica che veniva integrando fra loro i dati di provenienza diversa. 24

Cfr. O. LENEL, Das edctum perpetuum, 397 ss.

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6.3. Sviluppi interpretativi relativi alla varietà di atti ingiusti contro la persona che vengono

presi in considerazione

Richiamando sinteticamente alcuni degli sviluppi delle fattispecie individuate dal pretore, si

trova affermato che in esse sono incluse le ipotesi che rientrano nel concetto di contumelia /

‘affronto’, contemnere / ‘disdegnare’ ‘ledere la dignità’25

, e cioè gli atti:

- di chi, contro i buoni costumi, insieme con altri avesse schiamazzato contro qualcuno

pronunciando espressioni offensive e versi derisori con una articolata precisazione di ciò che

si intendesse per ‘contro i buoni costumi’26

;

- di chi avesse oltraggiato il pudore di donne o di adolescenti di entrambi i sessi anche

attraverso l’allontanamento dell’accompagnatore senza del quale non dovevano andare in

pubblico, o rivolgendo parole non corrette, o seguendoli ostentatamente27

;

- di chi compia qualcosa “a scopo di disonorare un’altra persona”28

, anche con scritti29

;

- di chi, contro i buoni costumi, abbia frustato o sottoposto a tortura un servo altrui30

;

- di chi percuota, fustighi altri o entri violentemente nella casa altrui31

.

Ma non sembra che l’originario significato di atto ingiustificato contro un’altra persona, assai

aperto, sia venuto meno: fra questi “affronti” e/o atti lesivi e commessi senza diritto contro la

persona e la sua dignità rientra altresì il caso:

- di chi con qualche medicamento o altra sostanza fa perdere a qualcuno la capacità di

intendere e volere32

;

- di chi lede la capacità sessuale di una persona castrandola, anche se con il suo consenso33

;

- di chi rifiuta un fideiussore notoriamente idoneo34

;

- di chi agisce in giudizio affermando che uno è uno schiavo pur sapendo che non lo è35

, o suo

debitore pur sapendo che non lo è36

, e in generale di chi citi in giudizio una persona a scopo

vessatorio37

, o si rivolga ai garanti pur sapendo che il debitore e pronto ad adempiere38

, o

faccia apporre i sigilli sulla casa costituita in garanzia senza l’autorizzazione competente39

,

25

D. 47,10,1 pr. 26

Convicium, cfr. D. 47,10,15,2 ss. 27

Adtemptata pudiciatia, cfr. D. 47,10,15,19 ss. 28

Quid infamandi causa factum, cfr. D. 47,10,15,25 29

D. 47,10,5,9 30

Servum alienum verberare, cfr. D. 47,10,15, 34 ss. 31

D. 47,10,5 pr. 32

D. 47,10,15 pr.: “Parimenti Labeone si pone il problema se debba avere applicazione l'azione di atti ingiusti contro la

persona nel caso in cui uno abbia fatto perdere la capacità di intendere e di volere un altro tramite una medicina o altra

cosa. Ed afferma che si può agire contro di lui con l'azione di atti ingiusti contro la persona”. Non mi sembra che sia

stato adeguatamente approfondito il potenziale di questa affermazione secondo cui risponde per l’affronto fatto

all’umanità della persona chi ad essa mentem alienaverit / “abbia fatto perdere [anche temporaneamente] la capacità di

intendere e volere” con sostanze medicinali o di altro tipo. 33

D. 9,2,27,28 (si noti che, nel caso di castrazione di un giovane servo, è esclusa una responsabilità per danno, perché

tale castrazione rende il giovinetto di maggior valore). Sul divieto di castrazione: D. 48,8,3,4; D. 48,8,4,2; sulla

distinzione dalla circoncisione che viene consentita agli ebrei: D. 48,8,11. È da sottolineare che questo divieto di lesione

di un organo del corpo umano con effetto permanente sulla sua funzionalità costituisce un paradigma nei confronti di

ogni atto di disposizione di organi del proprio corpo (si noti che il divieto di castrazione è anche nei confronti dei servi:

D. 9,2,27,28 cit. e C. 4,42,1; Nov. 142,2). Cfr. Ccit./1942, art. 5. 34

D. 2,8,5,1 35

D. 47,10,12. 36

D. 47,10,15,33. 37

D. 47,10,13,3 38

D. 47,10,19. 39

D. 47,10,20.

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ma non di chi diffonde notizie di fatti infamanti di colui che ne è colpevole, facendo così

conoscere notizie vere e utili40

;

- di chi rende pubbliche anzitempo, leggendole ad una pluralità di persone presenti, le

disposizione, di per sé segrete, delle ultime volontà di una persona41

;

- di chi arreca offesa alla immagine riprodotta di qualcuno42

;

- di chi compie immissioni di vario tipo nel fondo altrui abusivamente43

;

- di chi proibisce a qualcuno di vendere una cosa che è di quella persona44

;

- di chi proibisce a qualcuno di portare via con sé una cosa propria che ha acquistato45

;

- di chi proibisce a qualcuno di usare liberamente cose pubbliche o comuni a tutti, o destinate

all’uso pubblico46

;

- di chi si introduce abusivamente in una casa altrui anche senza violenza47

, ed anche se per

condurre tale persona in giudizio48

.

L’esposizione di questa casistica potrebbe proseguire: la fattispecie sembra sviluppata in un

concatenarsi di esempi innestati su altri, in modo articolato, anche a motivo di come l’editto

generale stesso si era venuto formando, e alle concrete situazioni dei tempi, ma sembra che tenda a

cogliere le esigenze più diverse di tutela della persona nel suo essere e nel suo agire, della sua

dignità, in modo generale, superando la tipicità del modo di elaborare la fattispecie stessa.

6.4. La valutazione della sanzione e il suo carattere di pena

La sanzione prevista, “per quanto sembrerà buono ed equo”49

, è essa pure assai duttile, e

nello stesso tempo si pone su un piano diverso dalla valutazione del danno patrimoniale50

.

40

D. 47,10,18 pr. La Glossa precisa che la condotta non deve rientrare nell’ambito della diffusione di scritti infamanti.

Il testo apre la via alla questione della prova della verità di ciò che si afferma e della facoltà di rimprovero pubblico (per

la discussione su questi punti in età moderna, cfr. un cenno in H. COING, Europäisches Privatrecht, cit., 1, 514 s.). 41

D. 9,2,41 pr. (alla fine); D. 16,3,1,38 (il parere positivo di Ulpiano). 42

D. 47,10,13,4 che, escludendo l’offesa in certe condotte, consente di ipotizzare che, con altre condotte, la fattispecie

delittuosa potesse venir considerata perfezionata; ma, in riferimento ad un eventuale uso abusivo, si può cogliere solo il

possibile fondamento di una conclusione da sviluppare. 43

D. 47,10,44 (il parere positivo di Giavoleno): la varietà di immissioni che può essere presa in considerazione certo è

ben più estesa di quella esemplificata (ad es. anche i rumori, gli odori, ecc.), ma mi sembra da sottolineare il fatto che,

tutelando la persona, in rapporto alla azione per atti ingiusti contro la persona, è da considerare un vicino non solo un

proprietario, ma chi effettivamente abita: conduttore, comodatario ecc. 44

D. 47,10,24 45

D. 19,1,25 46

D. 47,10,13,7; D. 43,8,2,9: pescare o navigare nel mare, giocare in un campo da gioco pubblico, o lavare in un

lavatoio pubblico, o andare al teatro, costituiscono esempi per una linea interpretativa che è stata sviluppata, e che può

dare ulteriori frutti di cui è qui rilevante sottolineare lo spazio per una tutela civilistica, che si affianca a quella

eventuale penale e/o amministrativa. 47

D. 47,2,21,7 48

D. 47,10,23 (da collegare con D. 2,4,21 e D. 50,17,103 sul divieto di portare fuori uno dalla sua propria casa). 49

D. 47,10,17,2 (cfr. anche D. 44,7,34 pr.; D. 47,10,18 pr.); O. Lenel, Das Edictum perpetuum, 3 ed. Leipzig, 1927,

Titolo 35. Sulla condanna, cfr. anche Gai. 3,223 ss.; J. 4,4,7 ss. 50

Fra i due delitti di danno ingiusto ad una cosa e di offesa ingiusta contro la persona vi era una differenza importante,

tanto che, qualora lo stesso fatto perfezionasse entrambe le fattispecie, maturava la possibilità di concorso cumulativo

delle obbligazioni che ne scaturivano, e delle relative azioni: il concorso era cumulativo perché il ‘bene tutelato’ (la

integrità del patrimonio / la dignità della persona) e la ‘pena richiesta’ (una pena risarcitoria / una pena riparatoria)

erano, nelle due fattispecie, diversi (D. 47,10,15,46: “Se taluno abbia agito per offese ingiuste alla persona a motivo

delle battiture che siano state inflitte al suo servo, e poi agisca giudizialmente anche per il danno ingiustificato, Labeone

scrive che non è la stessa cosa perché una azione riguarda il danno arrecato con colpa, l’altra riguarda l’offesa”).

Questo concorso cumulativo venne ripensato, e, in conclusione, si prospettò una combinazione fra la pena risarcitoria e

la pena per l’offesa e si ritenne che quanto si fosse già ottenuto in base ad una, dovesse essere dedotto quando si

chiedeva l’altra; e, più precisamente, se la parte lesa avesse già conseguito il risarcimento attraverso il pagamento della

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Essa richiama la dimensione di ciò che è bene in tutti i suoi profili materiali, etici e religiosi

e dell’uguaglianza ed è idonea ad aderire nel modo migliore alla considerazione della persona in se

stessa, che, a parte l’eventuale danno perseguibile con altro strumento processuale, nella sua dignità

non subisce una diminuzione di valore, un danno da risarcire, ma una offesa per la quale vi è una

esigenza di soddisfazione, e, nei confronti della quale vi deve essere uno stimolo alla non

ripetizione per l’avvenire51

. L’attore, peraltro, può indicare una somma che costituisce il limite

massimo (taxatio) per la condanna da parte del giudice52

.

L’azione è penale, ed è, a differenza delle altre azioni penali, anche attivamente

intrasmissibile53

.

6.5. La rilettura dei Digesti compiuta sulla linea di separazione introdotta da essi e le

prospettive di cui questa rilettura ci priva in rapporto alla tutela dei diritti civili e della

personalità.

I testi relativi a questa azione sono stati riletti molte volte durante i più di quattordici secoli

che ci separano da Giustiniano e dai suoi giuristi, e le diverse riletture hanno continuato a

svilupparsi, anche in direzioni diverse. Come ho detto, la stessa codificazione di Giustiniano e dei

suoi giuristi apriva, in materia di delitti privati, vie differenti: se da un lato cogliamo in essa la

presenza di una prospettiva attenta ad enucleare la pura patrimonialità della sanzione in taluni

ambiti che vengono a ruotare intorno all’idea del semplice risarcimento del danno, d’altro lato,

assistiamo, come segnalato, alla costruzione di un ambito unificante il diritto penale, nel quale,

peraltro, a fianco alla cornice unitaria permane una distinzione fra delitti privati e pubblici54

; e, pur

con riferimento ai primi, permane il principio della non riducibilità all’idea di danno delle offese

alla persona. Ne derivano prospettive diverse.

Non posso esaminare il processo di trasformazione in età moderna in Francia delle pene

private in semplice risarcimento di danni55

e l’emersione ad opera della dottrina del concetto di

‘danno morale’56

volta proprio a colmare la ‘lacuna legislativa’ creatasi con la cancellazione

dell’azione privata per iniuriae; ma l’idea di ‘danno morale’ è in sé contraddittoria, ed essa stessa

dichiara che non vi è una differenza patrimoniale che possa essere valutata e risarcita, e che vi è

invece una offesa alla personalità morale dell’uomo. Né, quanto alla fattispecie, posso esaminare gli

sviluppi dell’Uso Moderno delle Pandette57

, o l’interpretazione stretta dei testi dei Digesti sopra

richiamati, e la Pandettistica58

. In contrasto con l’interpretazione stretta, è, ad esempio, interessante

rileggere R.v. Jhering59

il quale osserva che in questa materia della tutela civilistica della persona, di

pena risarcitoria in base alla Legge Aquilia, quando si facesse la valutazione della pena riparatoria secondo il ‘buono ed

equo’ per gli atti ingiusti contro la persona doveva essere dedotto quanto già conseguito, che altrimenti sarebbe stata

preso in considerazione due volte in quanto la seconda valutazione, più comprensiva, lo avrebbe incluso (D. 44,7,34pr.). 51

Si ricordi che abbiamo già incontrato il riferimento alla valutazione secondo ciò che è ‘buono ed equo’ in D. 9,3,1pr.;

D. 9,3,5,5. La troviamo anche nell’azione per il giudice che abbia deciso ingiustamente una controversia (D. 50,13,6);

nell’azione per la violazione del sepolcro (D. 47,12); nell’azione funeraria (D. 11,7,14,6). Questa clausola, peraltro, si

adatta alla varietà dei contesti in cui è inserita. 52

Gai. 3,224 53

D. 47,10,15,14; D. 47,10,13pr.; Gai. 4,112 in fine. 54

Cfr. S. SCHIPANI, Op. cit. supra n. . 55

Cfr. H. COING, Europäisches Privatrecht, cit., 1, 506 s.; 56

Cfr. H. COING, Europäisches Privatrecht, cit., 2,294 s. (la Francia, peraltro, conserva nel suo Cc. l’espressione

‘delitti’: libro 3, titolo 4, capitolo 2: Des délits et des quasi-délits). 57

Cfr. H. COING, Europäisches Privatrecht, cit., 1, 221 n. 5-7 e, sull’Uso moderno delle Pandette, 1,513 ss.;

sull’utilizzazione in materia di diritto di autore, 2,158. 58

Cfr. H. COING, Europäisches Privatrecht, 2,296 s.; 2,516 ss. 59

Cfr. R.V. JHERING, Rechtsschutz gegen iniuriöse Rechtsverletzungen, in JheringsJb., 23,1885, 155 ss., trad. in

francese di O. de Meulenaere: Actio iniuriarum, Paris, 1888. Egli svolge una analisi articolata in due parti: dapprima

approfondisce l’esame degli elementi costitutivi della fattispecie di lesioni ingiuste alla persona in base alle fonti

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fronte a lacune dell’ordinamento, “la nostra scienza giuridica attuale non può sottrarsi alla missione

di colmarle, e si vedrà che la nostra teoria dell’actio iniuriarum / azione di atti ingiusti contro la

persona dà ad essa questa possibilità”; egli quindi sviluppa le conseguenze logiche di quanto è

venuto enucleando dalle fonti romane confrontandolo con i problemi (per lui) attuali60

.

Mi sembra, come conclusione, che noi abbiamo di fronte questa stessa sfida a cui Jhering

diede una sua risposta nell’Ottocento, soprattutto nel momento in cui ci poniamo a riflettere

criticamente per migliorare il nostro diritto.

Io ritengo, cioè, che, in base ad una rilettura dei testi sulla tutela offerta dall’actio

iniuriarum, possiamo proporre un principio generale, parallelo a quello per il risarcimento dei danni

ingiusti; un principio secondo il quale qualunque ‘atto ingiusto contro la persona’, cioè qualunque

atto commesso con dolo, dolo eventuale, colpa grave, o violazione di norme, che cagioni

ingiustamente una offesa alla persona, alla dignità e integrità morale, fisica o psichica della stessa,

obbliga colui che ha commesso il fatto alla riparazione dell’offesa attraverso il pagamento di una

somma fissata secondo quanto è buono ed equo, con una valutazione che può tenere anche conto dei

vantaggi che trae l’autore del fatto, della situazione complessiva dello stesso, così come anche della

funzione di dissuasione alla iterazione della condotta che si vuole sviluppare rispetto a ogni tipo di

calcolo di convenienza economica ecc.

Nel caso della persona, non si tratta infatti di valutare un danno, una differenza di valore di

un patrimonio, ma, in concorso cumulativo con l’obbligazione al risarcimento dei danni, valutare

secondo ciò che è buono ed equo la riparazione dell’affronto, del disprezzo della sua integrità e del

rispetto irrinunciabili del suo corpo e della sua libertà di esprimere se stesso, di esercitare i propri

diritti o comunque di agire nell’ambito del diritto, di quello che oggi tendiamo a designare come la

sua dignità61

, o, semplicemente, la sua umanità nel senso più pieno.

7. GUIDA ALLA LETTURA DI D. 50,13,6: “SE IL GIUDICE CHE ABBIA FATTO PROPRIA LA LITE” (bozza)

romane antiche, e ne coglie il nucleo nella tutela nei confronti delle lesioni non solo di ciò che la persona è (il suo

corpo, la sua libertà, il suo onore), ma di ciò che la persona ha come propria sfera di rapporti patrimoniali con le persone

e le cose, che chiama anche “sfera giuridica concreta”, e la cui lesione non viene in considerazione per il profilo della

lesione al patrimonio, ma per l’affronto che comporta alla persona stessa: più che una lesione del diritto vi sarebbe un

disprezzo del diritto altrui, che proprio per questo profilo colpisce più la persona che le cose. 60

Egli prende in esame quattro applicazioni in materia di uso pubblico, di rapporti di vicinato, di proprietà e di titoli al

portatore. 61

Cfr., per il riferimento alla ‘dignità’ ???.

Per quanto attiene al cumulo fra le due sanzioni (cfr. supra n. 72) , il riferimento a ciò che è ‘buono ed equo’ consente di

evitare comunque la doppia valutazione dello stesso profilo del fatto. Per quanto attiene al cosiddetto ‘danno punitivo’ e

a quanto in merito previsto nel Progetto francese di riforma del codice civile coordinato da P. Catala (2006), art. 1371,

è evidente sia una somiglianza sia una grande differenza: con una rinnovata azione per offese ingiuste alla persona, è a

questo profilo essenzialmente personale che si ha riguardo per ammettere una sanzione privata che va al di là del

risarcimento dei danni.

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Riassunto delle lezioni

86

Come già ricordato, a differenza dal Digesto, le Istituzioni, sviluppando in modo proprio la

sistematica delle fonti delle obbligazioni impostata da Gaio nelle Istituzioni e poi nelle Res

cottidianae, conservano l’unità dei quattro delitti privati e vi affiancano un gruppo di atti illeciti

sotto il titolo “Sulle obbligazioni che nascono come da delitto”. L’assimilazione posta dal titolo è

chiaramente orientata sull’effetto degli atti presi in esame, cioè la somiglianza delle obbligazioni

che da essi nascevano con quelle che nascevano da delitto, ma era altresì latente, e venne difatti

esplicitata nella traduzione in greco della Parafrasi di Teofilo, una assimilazione sotto il profilo

della fattispecie, che implicava che tali atti non erano propriamente dei delitti, ma assomigliavano

ad essi, somiglianza che sarebbe stata prospettata nell’implicare tutti in qualche modo un peccare

(J. 4,5pr.), termine che di per sé è ambiguo in relazione alla ‘rimproverabilità’ o alla semplice

‘illiceità’ dell’evento lesivo. Il titolo J.4,5 include le fattispecie del giudice che abbia fatto propria la

lite; di coloro che abbiano versato o gettato di sotto qualcosa o che tengano qualcosa appeso in

modo tale che possa cadendo arrecare danno; del furto e/o danno arrecato dall’armatore, da

locandieri e titolari di stazioni di cambio per il fatto di dipendenti, fattispecie delle quali, nei

Digesti, la seconda abbiamo visto inclusa in D. 9, l’ultima è trattata in D. 4,9 e D. 47,5, e la prima in

D. 50,13,6.

Nel cercare di cogliere le indicazioni emergenti dalla rilettura di D. 9, dopo i cenni svolti in

rapporto alla divisione della trattazione dei delitti fra D. 9,2 e D. 47, e in particolare agli effetti che

scaturiscono dall’immissione in due logiche diverse del danno ingiusto e degli atti ingiusti contro la

persona, seguo ora il suggerimento che emergere dalle J., ed esamino queste due fattispecie.

7.1. La provenienza e la collocazione dei frammenti relativi alla fattispecie di ‘fare propria la

lite’

Il fr. D. 50,13,6 di Gaio può essere assunto come il testo intorno al quale cercare di

ricostruire questa fattispecie nel quadro della codificazione giustinianea, dato che la rubrica del

Titolo D. 50,13 la menziona: “Sulle diverse cognizioni al di fuori dell’ordine dei giudizi e se si dirà

che il giudice fece sua la lite”: anche se 5 dei sei fr. che compongono il titolo stesso, e fra questi i

più estesi, sono dedicati al primo dei due argomenti, e solo il sesto è dedicato a questa fattispecie,

questa risulta essere la sede della trattazione della materia, e questo fr. il testo scelto per esporla62

.

Questo testo è riprodotto in altri due luoghi, dove abbiamo dei veri e propri duplicati di esso,

che però, a causa di talune varianti, suscitano dei problemi meritevoli di essere segnalati.

Uno dei duplicati è inserito nel titolo D. 44,7 “Sulle obbligazioni e sulle azioni” (D.

44,7,5,4). Le varianti sono: la caduta di una ‘e’ fra contratto-comunque, che viene considerata un

errore di copista e reintegrata, e, assai più rilevante, l’assenza della parte finale, da ‘come in base a

un delitto’ con la qualificazione della azione ‘modellata sul fatto’, e la determinazione del criterio

secondo il quale viene stabilita l’entità della pena.

Il contesto è però diverso: esso è, infatti, quello assai noto della elaborazione da parte di

Gaio del completamento del sistema delle fonti delle obbligazioni, che, semplificato nelle Istituzioni

alle due sole categoria del ‘contratto’ e del ‘delitto’ (Gai. 3,88), viene, in quest’altra opera,

arricchito della terza categoria delle variae causarum figurae / ‘diverse specie di cause’ (D. 44,7,1)

ciascuna individuata singolarmente, né ricondotta in un ‘genere’, e nella presentazione delle quale

vi è un trascorrere dalla gestione di affari, alla tutela, al legato, al pagamento dell’indebito, all’aver

fatto propria la lite, alle cose cadute o versate da un edificio e all’ipotesi connessa delle cose appese,

62

D. 50,13,6 GAIO, nel terzo libro delle cose quotidiane o auree: Se il giudice fece sua la lite, non risulta essere

obbligato propriamente in base ad un delitto: ma poiché non è obbligato in base ad un contratto e comunque si intende

che in qualche cosa ha peccato, anche se per incompetenza, pertanto risulta essere tenuto come per un delitto con una

azione modellata sul fatto e sopporterà la pena per quanto, in relazione a quella cosa, sarà risultato equo alla religiosa

sollecitudine di colui che giudica.

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Riassunto delle lezioni

87

alla responsabilità dell’albergatore, del titolare di una stazione di cambio degli animali,

dell’armatore per i delitti dei dipendenti. Queste fattispecie sono elencate di seguito una all’altra

con solo l’inizio di una divisione in due gruppi non svolta, e forse immanente alla sequenza stessa.

Aperta è la discussione sulla paternità gaiana della esplicitazione terminologico-concettuale delle

categorie dell’essere tenuto ‘come da contratto’ che emerge una volta al par. 1 per la tutela, e

dell’essere tenuto ‘come da delitto’, che viene usata in questo e nei seguenti paragrafi, e in ogni

caso, si deve tenere presente che si tratterebbe di categorie dello ‘essere tenuto’, cioè

dell’obbligazione che ne nasce e delle sue caratteristiche che era necessario chiarire. Più che la

qualificazione, è la motivazione di essa (‘aver peccato’) la cui assenza sarebbe più coerente con

l’impostazione concettuale delle ‘diverse specie di cause’ e la individuazione di particolarità proprie

di ciascuna, rispetto alle quali la sottolineatura dell’aver ‘peccato’ in qualcosa appare compiere uno

spostamento dell’attenzione sulla assimilabilità della fattispecie piuttosto che dell’effetto, come

invece le parole “essere tenuto come da” esprimono.

L’altro duplicato è inserito nella Istituzioni, ad aprire il titolo J. 4,5, dove è pure caduta la

qualificazione dell’azione ‘modellata sul fatto’, ma non la determinazione della entità della pena,

anche se si nota una lieve differenza redazionale da ‘sarà risultato’ a ‘risulterà’.

Il contesto è quello designato dal titolo: “Sulle obbligazioni che nascono come da un delitto”

nel contesto della codificazione in cui la contrapposizione fra ‘contratto’, ‘come da contratto’,

‘delitto’, ‘come da delitto’ è esplicitamente affermata (J. 3,13,2) e spinge a cercare le caratteristiche

comuni ai due nuovi generi così individuati, subendo altresì una lettura oscillante verso la

assimilazione sostanziale, della fattispecie (quasicontratto, quasidelitto), piuttosto che quella degli

effetti come indicato supra.

Altri fr., nei quali si incontra la fattispecie, sono presenti in D. 5,1, che tratta “Sui giudizi:

dove si debba agire o essere convenuti” dove incontriamo due fr. di Ulpiano il 15 e il 16.

Di questi frammenti non si riesce a ricostruire il contesto originario.

Il primo63

, peraltro, è, nel suo pr., un testo attento a un profilo legato agli effetti dell’atto in

questione, cioè la limitazione della responsabilità del figlio in potestà entro il peculio, in un

contesto, si ricordi, in cui la consegna nossale del figlio era ormai caduta in disuso e si era giunti a

concedere al figlio la possibilità di difendersi da sé se il padre non ne assumeva la difesa (D. 9,4,34)

e successivamente gli stessi risultano direttamente perseguibili in proprio (J. 4,8,7).

Lo stesso fr., al par. 1, ci dice qualche cosa in merito agli elementi della fattispecie riferendo

di un giudizio in frode alla legge dato con dolo per amicizia o inimicizia nei confronti di una parte.

Il fr. seguente, sempre, di Ulpiano64

, è nuovamente relativo all’effetto, cioè, alle

caratteristiche dell’obbligazione sorta dal perfezionamento della fattispecie, sul punto della

trasmissibilità / intrasmissibilità passiva.

Vi è poi un riferimento alla fattispecie in una costituzione di Giustiniano, che riconduce ad

essa la condotta del giudice che soddisfi la richiesta della parte in contrasto con quanto questa

63

D. 5,1,15 Ulpiano, nel libro ventunesimo All’editto. Se un figlio in potestà, <fungendo da> giudice, faccia propria una

lite, è tenuto nella misura di ciò che c’era nel <suo> peculio nel momento in cui pronunciava la sentenza. 1 Si intende

che un giudice faccia propria una lite allorché con dolo abbia pronunciato una sentenza in frode alla legge (si considera

che egli faccia ciò con dolo quando risulti evidente la sua preferenza per una delle parti, o la sua inimicizia <verso una

di esse> o anche la sua corruzione), sicché viene costretto a prestare la vera stima della lite. 64

D. 5,1,16 ULPIANO, nel libro quinto All’editto: Giuliano inoltre reputa che l’azione competa anche nei confronti

dell’erede del giudice che fece propria una lite; questo parere <però> non è vero e da molti <giuristi> è stato annotato

criticamente..

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Riassunto delle lezioni

88

stessa ha convenuto in relazione alla rinuncia di eccezioni che le consentivano la scelta di un altro

foro65

.

Al di fuori dei codici giustinianei, vi è poi un riferimento alla fattispecie nelle Istituzioni di

Gaio (Gai. 4,52) relativo all’ipotesi che, in una azione per una quantità di denaro determinata, il

giudice abbia condannato per una somma maggiore o minore, e così pure, nel caso in cui la

condanna non fosse per una somma determinata, ma con la determinazione dell’importo massimo

della stessa (taxatio), se il giudice condanni superando tale importo66

.

Vi è poi un riferimento nel Codice Teodosiano, CTh. 11,36,16.

Riferimenti alla lis sua facta troviamo poi in leggi epigrafiche.e in fonti papirologiche.

Delle prime, la lex Irnitana è certo la più significativa e ha modificato le ricostruzioni della dottrina

da quando è stata scoperta nel 1981. Ci interessano i capitoli 90 e 91.

7.2. La fattispecie di litem suam facere / fare propria la lite.-

Il giudice è un cittadino che, a seguito dell’ordine del magistrato contenuto nella formula,

deve assumere la funzione di giudice di una lite e la conduzione del giudizio come un dovere

(officium, munus, onus) civile a cui può venire costretto, qualora non abbia cause di esenzione.

Queste sono previste dal Pretore e comprendono le infermità permanenti gravi, le cariche

sacerdotali, la prole numerosa ecc (D, 50,5,13pr.-2; Vat. Frag. 197). Egli può venire sollevato dal

dovere stesso anche per motivi sopravvenuti (D. 50,5,13,3-14; D. 5,5,18pr.; D. 5,1,17), Per la

violazione di tale dovere, la fattispecie di lis sua facta / ‘aver fatto propria la lite’. è fonte di una

obbligazione a suo carico. La comprensione della portata di questa fattispecie è delicata.

In dottrina, si sintetizza la prospettiva interpretativa distinguendo quella anteriore alla

scoperta della lex Irnitana67

e quella posteriore.

La dottrina dominante anteriormente avrebbe visto sulla base di D. 5,1,15,1 una fattispecie

dolosa in età classica trasformata in età postclassica e giustinianea, attraverso il riferimento alla

mancata prudentia / competenza di D. 50,13,6, in una responsabilità per negligenza a cui sarebbe

stata legata la categoria dei quasi-delitti; ma forse il testo di Gai. 4,52 individua già una possibile

responsabilità per incompetenza del giudice, che potrebbe anche riferirsi alla omissione di giudicare

nel termine prescritto.

La lex Irnitana avrebbe invece individuato una responsabilità del giudice per non aver

chiesto la proroga o non aver giudicato entro il termine prescrittogli (Cap. 91 r. 51; r. 15) o non aver

rispettato la prescrizione della formula (Gai, 4,52). Lo stesso risulta dal P. Ant. 1,22. Il

procedimento così condotto di fronte a questo giudice termina (mors litis), ma questo

significherebbe che si estingue il procedimento di fronte al giudice, ma non il diritto sostanziale,

materiale dell’attore dedotto in giudizio. Il giudice, in mancanza di un riferimento patrimoniale

determinato, verrebbe condannato in bonum et aequum68/69

65

C.2,3,29,pr.-2: Se uno nel consegnare uno strumento abbia dichiarato che non si sarebbe avvalso della eccezione

relativa al foro competente ... disponiamo che a nessuno è lecito andare contro quanto egli stesso ha pattuito e

ingannare quanti hanno con lui convenuto. 2. Tutti i nostri giudici, pertanto, osservino ciò nella <conduzione> delle liti

... e , se lo trascureranno, si intenderà che abbiano fatto propria la lite. 66

Gai. 4,52: Il giudice deve prestare attenzione in modo che, se la condanna è indicata per una somma di denaro

determinata, non condanni né per una somma maggiore né minore. Parimenti, se è stato posto un limite massimo

affinché non condanni ad un importo maggiore di quello indicato, altrimenti infatti similmente egli fa propria la lite. Gli

è permesso <in questo secondo caso> condannare per un importo minore. 67

La lex Irnitana è una legge municipale della fine del I sec. d.C., che è stata scoperta nel 1980 presso Siviglia. Il testo

con traduzione in italiano in F. LAMBERTI, “Tabulae Irnitanae”. Municipalità e ius Romanorum, Napoli, 1993. 68

Un problema specifico ulteriore è quello dei rapporti fra questa azione e l’uso dell’azione di dolo di cui in D. 4, 3, 18,

4 PAOLO, nel libro undicesimo All’editto Per dolo di qualcuno è accaduto che una lite si estinguesse, trascorsi i termini

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Riassunto delle lezioni

89

di legge: Trebazio afferma che debba essere concessa l’azione di dolo, non tanto per ottenere la restituzione secondo la

valutazione del giudice, ma per far conseguire all’attore la misura di quello che era il suo interesse a che ciò non

accadesse, in modo che altrimenti la legge <relativa ai termini> non sia elusa rispetto ai terzi che la osservano. 69

Problema vicino, ma che al momento mi sembra da non sovrapporre a quello ora sommariamente visto, è quello

dell’iniuria iudicis che si riferisce all’ingiustizia della sentenza, su cui cfr. ad es. D. 3,3,46.4; D. 4,4,7,2; D. 15,1,50pr.;

D. 17,2,52,18; D. 20,1,3,1; D. 20,5,12,1; D. 20,6,13; D. 21,2,5; D. 30,50,1; D. 38,2,12,3;D. 40,7,29,1; D. 46,1,67; D.

48,8,1pr. e specialmente D. 47,10,1pr.

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Fonti complementari di D.9

1

RILEGGERE I DIGESTI CONTRIBUTI ROMANISTICI AL SISTEMA DELLA

RESPONSABILITÀ CIVILE

(altre fonti)

DIGESTI

LIBRO SECONDO

D. 2,3 SE QUALCUNO NON ABBIA OTTEMPERATO ALLA PRESCRIZIONE DI CHI ESERCITA LA GIURISDIZIONE

D. 2,3,1,4 ULPIANO, nel libro primo All’editto: Questa azione non comprende la stima dell’interesse <dell'attore>, ma il

valore della cosa oggetto del giudizio, ed essendo penale in senso stretto non viene data dopo l’anno, né contro l’erede.

LIBRO QUARTO

D. 4,3 SUL DOLO

D. 4,3,7,7 ULPIANO nel libro undicesimo All’editto

Ancora Labeone pone la questione se debba concedersi l’azione di dolo, qualora tu abbia liberato un mio servo in ceppi

perché fuggisse. E Quinto <Venuleio Saturnino>, annotandolo, afferma che se tu lo abbia fatto non indotto da

misericordia, sarai tenuto per furto; se invece l’hai fatto per misericordia deve darsi contro di te un’azione modellata sul

fatto.

D, 4,3,18,5 PAOLO, nel libro undicesimo All’editto

5 Se uno abbia ucciso il servo che tu mi avevi promesso, i più reputano correttamente che contro costui si debba

concedere l’azione di dolo, poiché tu saresti stato liberato <da ogni obbligo> nei miei confronti; di conseguenza altresì

ti sarà denegata l’azione della legge Aquilia.

D. 4,3,19 PAPINIANO, nel libro trentasettesimo Delle questioni

Se il fideiussore, prima <che il debitore principale sia> in mora, abbia ucciso l’animale da questi promesso, Nerazio

Prisco e Giuliano risposero che contro di lui debba concedersi l’azione di dolo, dal momento che, liberato il debitore

principale, ne consegue che sia sciolto dall’obbligo anche lo stesso garante.

LIBRO QUINTO

D. 5,3 SULLA PETIZIONE DI EREDITÀ

D. 5,3,36,2 PAOLO, nel libro ventesimo All’editto

2 Se il possessore <dell’eredità> abbia ucciso il servo ereditario, anche ciò <che consegua da quanto ha compiuto> sarà

compreso nella petizione di eredità; ma Pomponio afferma che l’attore deve scegliere se voglia che <il possessore> sia

condannato nei suoi confronti <nella petizione di eredità>, purché egli presti a quello stipulazione di garanzia che non

agirà in base alla legge Aquilia, oppure preferisca riservarsi intatta l’azione della legge Aqulia, omessa la stima

pecunianria del servo da parte del giudice <della petizione di eredità>. Questa scelta ha luogo se il servo sia stato ucciso

prima che si adisse l’eredità: infatti, se sia stato ucciso dopo, l’azione <contro il possessore> è diventata sua propria e

non verrà inclusa nella petizione di eredità.

D. 5,3,40 PAOLO, nel libro ventesimo All’editto

Anche ciò che è contenuto nell’orazione del divo Adriano, che dopo l’accettazione del giudizio si presti all’attore ciò

che avrebbe avuto se l’eredità gli fosse stata restituita al tempo in cui la richiese giudizialmente, è talvolta rigido. Infatti

che cosa sarà se, dopo istituito il giudizio, moriranno dei servi, dei giumenti o del bestiame? Secondo le parole

dell’orazione, <il possessore> dovrà essere condannato, perché l’attore avrebbe potuto alienare quelle cose se l’eredità

gli fosse stata restituita. E a Proculo pare bene che ciò sia giusto nelle rivendiche di cose specifiche; Cassio invece

ritenne il contrario. Proculo stima correttamente <ciò> riguardo alla persona del predone <cioè di un possessore di mala

fede>, Cassio riguardo ai possessori di buona fede. Infatti, il possessore di buona fede non deve garantire per la morte o

per paura di questo pericolo lasciare sconsideratamente il suo diritto indifeso.

D. 5,3,55 GIULIANO, nel libro sessantesimo Dei digesti

Evitta l’eredità, il possessore di buona fede restituirà ciò che ha esatto non nel semplice valore, bensì nel doppio in forza

<della litiscrescenza> della legge Aquilia: infatti non deve fare alcun lucro da ciò che abbia ricevuto per causa

dell’eredità.

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(lettere A-L)

Fonti complementari di D.9

2

LIBRO SESTO

D. 6,1 SULL’AZIONE DI REIVINDICAZIONE

D. 6,1,13 ULPIANO, nel libro sedicesimo All’editto

Non solo, poi, deve essere restituita la cosa, ma anche, se essa è stata deteriorata, il giudice dovrà fare il calcolo <di tale

danno>. Supponi, infatti, che venga restituito un servo debilitato o fustigato o ferito: senz’altro, per mezzo del giudice,

si farà il calcolo di quanto sia stato deteriorato, anche se il possessore possa essere convenuto con l’azione <di danno

ingiusto> della legge Aquilia. Pertanto si pone la questione se il giudice debba stimare il danno solo se si rinunci ad

esercitare l’azione della legge Aquilia. E Labeone reputa che l’attore deve prestare stipulazione di garanzia che non

eserciterà l’azione della legge Aquilia; parere che è vero.

D. 6,1,14 PAOLO, nel libro ventunesimo All’editto

Se l’attore preferisce piuttosto esercitare l’azione della legge Aquilia, il possessore <che restituisca il servo danneggiato,

in sede di rivendicazione> è da assolvere. E pertanto si concede all’attore la scelta, non per poter conseguire il triplo ma

il doppio.

D. 6,1,17,1 ULPIANO, nel libro sedicesimo All’editto

1 Lo stesso Giuliano nello stesso libro scrive: se il possessore sia in mora nel restituire il servo e il servo sia morto, si

deve fare il calcolo dei frutti <del servo> fino al momento della sentenza. Lo stesso Giuliano afferma che si dovranno

prestare non solo i frutti <del servo>, ma anche tutto ciò che può esservi connesso, e perciò dovrà includersi nella

restituzione anche la prole e i frutti della prole. Anzi, vengono in considerazione, in tutto ciò che può esservi connesso,

finanche le azioni, come scrive Giuliano nel libro settimo: cosicché, se il possessore avrà acquistato a mezzo di quel

servo l’azione della legge Aquilia, sarà tenuto a restituirla <all’attore>.

D. 6,1,27,2 PAOLO, nel libro ventunesimo All’editto

2 Se il servo rivendicato sia stato deteriorato per dolo del possessore e, successivamente, senza colpa di quello, sia

morto per altra causa, non verrà fatta la stima del deterioramento arrecatogli, perché nulla interessa all’attore. Ciò per

quanto concerne l’azione reale <di rivendicazione>; perdura, invece, l’azione <di danno ingiusto> della legge Aquilia.

D. 6,1,36,1 GAIO, nel libro settimo All’editto provinciale

1 Il convenuto con l’azione reale è condannato anche a titolo di colpa. È poi reo di colpa il possessore che mandò il

servo in luoghi pericolosi, se quello morì, o che concesse che combattesse nell’arena il servo che gli era stato

rivendicato e quello sia morto, o altresì che non custodì il servo fuggitivo che gli era stato rivendicato, se quello fugge,

o che mandò in navigazione, in condizioni di tempo avverso, la nave che gli è stata rivendicata, e quella sia andata

distrutta in un naufragio.

LIBRO DICIANNOVESIMO

D. 19,2 SULLE AZIONI DA LOCAZIONE-CONDUZIONE

D. 19,2,15,2 Lo stesso <ULPIANO>, nel libro trentaduesimo All’editto.

2. Se sia accaduto per forza <maggiore> un evento calamitoso, vediamo se il locatore debba prestare qualcosa al

conduttore. Servio afferma che il proprietario deve rispondere verso il colono per ogni forza alla quale non <si> può

resistere, come, per esempio, <la forza> dei fiumi , delle cornacchie, degli storni, e se sia accaduto qualcosa di simile,

oppure se avvenga l’invasione di nemici; se, però, qualche vizio sia originato dalla cosa stessa, questo è a danno del

colono, come, ad esempio, nel caso in cui il vino sia divenuto aceto o se le messi si siano guastate per erbacce o vermi.

Ma anche se sia avvenuta una frana ed abbia portato via ogni frutto, il danno non è del colono, affinché non sia costretto

a prestare il canone del campo, oltre <a dover sopportare> il danno della perduta semenza. Ed anche se una malattia

abbia guastato i frutti dell’ulivo o se ciò sia avvenuto per un insolito calore del sole, il danno sarà del proprietario; se

poi non sia successo nulla al di fuori del consueto, il danno è del colono. E bisogna dire lo stesso se un esercito,

passando, per indisciplina portò via qualche cosa. Ma anche se il campo per un terremoto abbia ceduto in modo tale da

non esistere più, il danno è del proprietario. Infatti, egli deve garantire al conduttore che possa godere del campo.

D. 19, 2, 13, 4 ULPIANO, nel libro trentaduesimo All’editto.

Parimenti, Giuliano, nel libro ottantaseiesimo dei Digesti, scrisse che, se un calzolaio, con una forma per scarpa, abbia

percosso tanto forte la cervice ad un ragazzo, che non faceva bene <quello che gli aveva mostrato>, da fargli perdere un

occhio, al padre di questi spetta l’azione da locazione: infatti, sebbene sia concesso ai maestri di castigare lievemente,

tuttavia <quello> non aveva tenuto alcuna moderazione; per quanto riguarda anche la legge Aquilia, abbiamo detto in

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(lettere A-L)

Fonti complementari di D.9

3

precedenza. Giuliano, poi, nega che competa l’azione per gli atti ingiusti contro la persona, poiché <l’istruttore> non ha

fatto ciò per commettere un atto ingiusto, ma per istruire.

D. 19, 2, 57 GIAVOLENO, nel libro nono Dai libri postumi di Labeone.

Colui che aveva una casa, aveva locato al vicino confinante una area contigua a quella casa; questo vicino, mentre

edificava nel suo <terreno>, ammucchiò su quella area terra oltre il livello a cui giungevano le fondamenta di pietra

<della casa> del locatore e, intrisa d'acqua quella terra per le piogge continue, e guastatosi per umidità il muro di colui

che aveva locato, l’edificio cadde. Labeone afferma che vi è soltanto l’azione da locazione, poiché non lo stesso aver

ammucchiato la terra, ma l’umidità successivamente proveniente da questo mucchio era stata di danno, mentre l’azione

per il danno ingiusto si ha per quelle cose, per mezzo delle quali, taluno fu danneggiato, non intervenendo altra causa

dall’esterno. Approvo ciò.

D. 19,5 SULL’AZIONE CHE INIZIA DESCRIVENDO IL RAPPORTO

E SULLE AZIONI MODELLATE SUL FATTO

D. 19, 5, 14 ULPIANO, nel libro quarantunesimo A Sabino.

Colui che, per salvare le proprie merci, ha gettato in mare quelle altrui, non è tenuto da alcuna azione; ma, se l’avesse

fatto senza causa, è tenuto con un’azione modellata sul fatto e, se l’ha fatto con dolo, con l’azione di dolo.

D. 19, 5, 23 ALFENO, nel libro terzo Dei digesti epitomati da Paolo

Mentre due camminavano lungo il Tevere, uno di essi, richiestone, mostrò <consegnandolo>, a quello che con lui

camminava, l’anello affinché lo guardasse da vicino; a questo, l’anello cadde e rotolò nel Tevere. <Il giurista> rispose

che si può intentare contro di lui un’azione modellata sul fatto.

LIBRO VENTUNESIMO

D. 21,1 SULL’EDITTO DEGLI EDILI, <SULL’AZIONE> REDIBITORIA

E <SULL’AZIONE> PER IL MINOR VALORE <CIOÈ, DI RIDUZIONE DEL PREZZO>

D. 21,1, 1,0 ULPIANO, nel libro primo All’editto degli edili curuli. Labeone scrive che l’editto degli edili curuli sulle

vendite delle cose riguarda tanto quelle che siano del suolo quanto quelle che siano mobili o semoventi. 1. Affermano

gli edili: «COLORO I QUALI VENDONO SERVI, INFORMINO I COMPRATORI SU QUALE SIA LA MALATTIA O IL VIZIO DI CIASCUN

SERVO, SU CHI SIA FUGGITIVO, O SIA VAGABONDO, O NON SIA STATO LIBERATO DAL <DOVER RISPONDERE PER UN> FATTO

DELITTUOSO; E, QUANDO TALI SERVI SARANNO VENDUTI, TUTTE QUESTE STESSE COSE SIANO APERTAMENTE E

CORRETTAMENTE DICHIARATE. PERTANTO, SE UN SERVO FOSSE STATO VENDUTO TRASGREDENDO CIÒ, OPPURE

TRASGREDENDO QUANTO ERA STATO DETTO O PROMESSO AL MOMENTO DELLA VENDITA, PER CIÒ DI CUI SI DIRÀ CHE <IL

VENDITORE> DEVE GARANTIRE, CONCEDEREMO AZIONE <REDIBITORIA> AL COMPRATORE, E A TUTTI QUELLI AI QUALI LA

COSA INTERESSA, AFFINCHÉ QUEL SERVO VENGA FATTO OGGETTO DI REDIBIZIONE, E AFFINCHÉ, SE DOPO LA VENDITA E LA

CONSEGNA SIA ALTRESÌ RISULTATO QUALCHE DETERIORAMENTO <AL SERVO> PER OPERA DEL COMPRATORE, DELLA SUA

FAMIGLIA SERVILE O DEL SUO PROCURATORE, OPPURE SE DOPO LA VENDITA SIA NATO <UN FIGLIO ALLA SERVA VENDUTA> O

SIA STATO ACQUISITO QUALCOSA <DAL SERVO VENDUTO>, E SE QUALCOSA D’ALTRO NELLA VENDITA FOSSE STATO

AGGIUNTO COME ACCESSORIO AL SERVO, OPPURE SE DA QUEL SERVO SIA PERVENUTO AL COMPRATORE QUALCOSA <A

TITOLO> DI FRUTTO, <IL COMPRATORE> RISARCISCA E RESTITUISCA TUTTO CIÒ <AL VENDITORE>. PARIMENTI, SE LO

STESSO <COMPRATORE> ABBIA PRESTATO QUALCOSA IN AGGIUNTA, COME ACCESSORIO <AL PREZZO, CONCEDEREMO

QUESTA AZIONE> AFFINCHÉ EGLI LO RICEVA <IN RESTITUZIONE>. PARIMENTI, SE UN SERVO ABBIA COMMESSO UN REATO

CAPITALE, ABBIA FATTO QUALCOSA PER DARSI LA MORTE, O SIA STATO MANDATO NELL’ARENA PER COMBATTERE CON LE

BESTIE FEROCI, NELLA VENDITA TUTTE QUESTE COSE SIANO DICHIARATE: CONCEDEREMO ULTERIORMENTE AZIONE,

INFATTI, PER TUTTE QUESTE CAUSE. SE SI DIRÀ CHE TALUNO, CONSAPEVOLMENTE CON DOLO, ABBIA VENDUTO IN

VIOLAZIONE DI CIÒ, CONCEDEREMO <QUESTA> AZIONE».

D. 21,1, 38,0 Lo stesso <ULPIANO>, nel libro secondo All’editto degli edili curuli. Affermano gli edili: «COLORO I

QUALI VENDONO GIUMENTI, DICANO APERTAMENTE E CORRETTAMENTE QUALE MALATTIA E VIZIO ABBIA OGNUNO DI ESSI,

E COSÌ, COME SIANO STATI PROVVISTI AL MEGLIO DI FINIMENTI PER ESSERE POSTI IN VENDITA, SARANNO CONSEGNATI <PER

TRASFERIRLI> AI COMPRATORI. SE COSÌ NON SARÀ STATO FATTO, CONCEDEREMO AZIONE ENTRO SESSANTA GIORNI PER LA

RESTITUZIONE DEI FINIMENTI O PER LA REDIBIZIONE DEI GIUMENTI IN RAGIONE DEI FINIMENTI; ENTRO SEI MESI PER

RENDERLI COME NON COMPRATI A CAUSA DI MALATTIA O DI VIZIO; O ENTRO UN ANNO PER IL MINOR VALORE AL QUALE

AVREBBERO DOVUTO ESSERE VENDUTI. SE UNA COPPIA DI GIUMENTI È STATA VENDUTA INSIEME E UNO DEI DUE SI È

TROVATO NELLA CONDIZIONE DI DOVER ESSERE FATTO OGGETTO DI REDIBIZIONE, CONCEDEREMO AZIONE AFFINCHÉ

VENGANO FATTI OGGETTO DI REDIBIZIONE ENTRAMBI».

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Fonti complementari di D.9

4

D. 21,1,40,1. ULPIANO, nel libro secondo All’editto degli edili curuli.

Affermano inoltre gli edili: «NESSUNO UN CANE, UN VERRO, UN CINGHIALE, UN LUPO, UN ORSO, UNA PANTERA, UN

LEONE,»

D. 21,1,41. PAOLO, nel libro secondo All’editto degli edili curuli.

e in generale qualunque altro animale che sia nocivo tanto che, sia sciolto quanto legato, non può che essere stretto da

vincoli, così da non arrecare danno,

D. 21,1,42. ULPIANO, nel libro secondo All’editto degli edili curuli.

«PER DOVE LA GENTE PASSI, VOGLIA TENERE COSÌ CHE POSSA NUOCERE O ARRECARE DANNO A CHIUNQUE. SE SARÀ STATO

CONTRAVVENUTO A CIÒ E PER TALE FATTO SARÀ PERITO UN UOMO LIBERO, SI CONDANNERÀ A DUECENTO SOLIDI; SE SI

DIRÀ CHE È STATO LESO UN UOMO LIBERO, A QUANTO SEMBRERÀ AL GIUDICE BUONO ED EQUO; PER IL DANNO CHE SIA

DATO O FATTO A OGNI ALTRA COSA, AL DOPPIO».

D. 21,1, 43,0 PAOLO, nel libro primo All’editto degli edili curuli. La maggior parte <dei giuristi> dice che un bue che dà

cornate è viziato, e così mule che tirano calci; si dice che siano viziati anche quei giumenti che si imbizzarriscono senza

ragione e da sé soli strappano <i lacci>

LIBRO TRENTANOVESIMO

D. 39,2 SUI PUBBLICANI, SUI VETTIGALI E SULLE CONFISCHE

D. 39,2,4,7 ULPIANO, nel libro primo All’editto: Nei confronti di colui che non abbia curato alcune delle prescrizioni di

cui sopra, darò l’azione per quanto sia il valore della cosa per la quale non ha prestato la garanzia per il danno non

ancora arrecato: che non si riferisce a una quantità, ma a quanto interessa, e viene in considerazione l’utilità, non la

pena.

LIBRO QUARANTATREESIMO

D. 43,24 SULL’INTERDETTTO SULLE REMISSIONI IN PRISTINO

D. 43,24,1pr.-1 ULPIANO, nel libro settantunesimo All’editto.

Il pretore afferma: CIÒ CHE SIA STATO COMPIUTO CON VIOLENZA O DI NASCOSTO, MATERIA DEL CONTENDERE, <SE NON È

TRASCORSO PIÙ DI UN ANNO DAL MOMENTO IN CUI SI SAREBBE POTUO AGIRE>, RIDUCILO IN PRISTINO

D. 43,24,3,7 ULPIANO, nel libro settantunesimo All’editto.

Cassio scrive che risulta AVERE COMPIUTO <qualcosa> DI NASCOSTO colui il quale celò alla controparte <quanto

avrebbe compiuto> e non lo informò , se temette o aveva motivo di temere una controversia da parte di quella.

D. 43,24,7,4 ULPIANO, nel libro settantunesimo All’editto.

Vi è un’altra eccezione, della quale Celso discute se sia da opporre: come ad es. se io abbia abbattuto l’edificio del

vicino per arginare un incendio e si agisca nei miei confronti in base all’interdetto ‘poiché che con violenza o di

nascosto’ o in base al ‘danno (cagionato) ingiustamente’. Gallo infatti discute se sia necessario interporre l’eccezione

“ciò non è stato fatto a motivo di difendersi da un incendio”. Servio poi afferma che se ciò lo abbia fatto il magistrato,

deve essere concessa 8l’interposizione della essezione), al privato non si deve concedere la stessa cosa;; se tuttavia

qualcosa sia stato fatto con violenza o di nascosto né il fuoco sarebbe pervenuto fino a quel punto, la lite va stimata per

il semplice valore di essa; se sarebbe pervenuto, bisogna assolverlo. Egli afferma che è così anche se si fosse agito in

base al danno (arrecato) ingiustamente perché non risulta che si arreca nessuna ingiustizia o danno dal momento che gli

edifici sarebbero periti ugualmente. Però, se abbia fatto ciò non essendovi alcun incendio e poi sia sorto un incendio non

si dovrà dire lo stesso perché non Labeone afferma che è necessario che sia valutato se un danno è stato arrecato o no,

non in base a un fatto successivo, ma in base allo stato attuale (della cosa).

LIBRO QUARANTAQUATTRESIMO

D. 44,7 SULLE OBBLIGAZIONI E SULLE AZIONI

D. 44,7,1pr. GAIO nel secondo libro Sulle cose auree

Le obbligazioni nascono o da contratto o da misfatto o da diverse configurazioni di cause obbligatorie tipicamente

regolate.

D. 44,7,14 ULPIANO, nel libro settimo Delle dispute

Invero i servi si obbligano in base ai delitti, e, se vengono manomessi, rimangono obbligati: in base ai contratti poi certo

non si obbligano secondo il diritto civile, ma secondo natura si obbligano ed obbligano. E infine, se adempio ad un

servo che mi abbia dato del denaro a mutuo, risulto liberato <dall’obbligazione>.

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Fonti complementari di D.9

5

D. 44,7,34,2 PAOLO, nel libro unico Sul concorso delle azioni:

In conseguenza di ciò è stato dato il responso secondo cui, per il colono, se ha sottratto qualche cosa dal fondo è tenuto

con l’azione di ripetizione per intimazione (condictio) e con l’azione di furto, e anche in base alla locazione. E invero la

pena per il furto non si confonde <con le altre due>; quelle invece si sovrappongono. E quanto ora detto si dice in

rapporto all’azione della legge Aquilia, se io ti abbia dato in comodato degli abiti e tu me li abbia rotti: infatti entrambe

le azioni sono reipersecutorie, ed invero esperita l’azione della legge Aquilia comunque si estingue quella di comodato.

Si discute se, dopo quella di comodato, rimanga quella dell’Aquilia per ciò che è di più in relazione alla considerazione

dei trenta giorni anteriori. Ed è più vero che rimane, perché ciò si aggiunge all’importo dovuto semplice [...]

D. 44,7,39 GAIO, nel libro trentottesimo All’editto provinciale

Il figlio in potestà si obbliga in base a tutte le fonti come un padre di famiglia e per questo si può agire contro di lui

come con un padre di famiglia.

LIBRO QUARANTASETTESIMO

D. 47,2 SUI FURTI

D. 47,2,32,1 PAOLO, nel libro nono A Sabino.

Sulla legge Aquilia, la questione è maggiore in relazione a come possa essere provato, quanto interessi ad uno <che un

documento non sia distrutto>. Infatti, se può provare in altro modo, non subisce un danno. Però, cosa si dirà se ad

esempio abbia dato del denaro sotto condizione, e i testimoni che potrebbe avere come prova possono morire mentre è

pendente la condizione? ...

D. 47,2,50,4. ULPIANO, nel librotrentasettesimo All’editto.

Nei confronti di colui il quale sventolò un drappo rosso e mise in fuga il gregge cosicché finissero nelle mani dei ladri,

se invero lo fece con dolo, vi è l’azione per il furto; ma se lo fece non per commettere un furto, non deve rimanere

impunito per un gioco così pericoloso: in proposito Labeone scrive che va concessa una azione modellata sul fatto.

D. 47,2,51 GAIO, nel libro tredicesimo All’editto provinciale

Infatti anche se gli animali siano precipitati, sarà data una azione utile per danno ingiusto come in base alla legge

Aquilia.

D. 47,6 SE SI DIRÀ CHE UNA BANDA DI SERVI ABBIA COMMESSO UN FURTO

D. 47,6,1pr. ULPIANO, nel libro cinquantaseiesimo All’editto.

“È utilissimo l’editto proposto dal pretore in base al quale ha riguardo ai proprietari in relazione ai delitti dei servi, cioè

affinché, se una pluralità di servi commetta un furto, non sconvolgano il patrimonio del padrone per il caso in cui egli

debba consegnarli tutti a nossa o sia costretto a pagare il valore della lite per ciascuno <secondo i principi della

solidarietà cumulativa della azioni penali>.. Con questo editto, gli si dà la scelta affinché, se invero voglia riconoscere

che tutti quei servi che parteciparono al furto sono da punire, possa darli tutti; se però preferisca pagare la stima della

lite, paghi tanto quanto dovrebbe venir pagato se il delitto sia stato compiuto da una sola persona libera, e trattenga per

sé il gruppo dei servi. 1. Questa facoltà di scelta si dà al padrone tutte le volte cheil furto sia stato commesso ignorando

egli il fatto che stavano per compiere i servi; infatti, se lo sapeva, <secondo i principi della responsabilità nossale> non

gli viene data la scelta, e risponde in proprio <per il proprio delitto di concorso> e con l’azione nossale per ciascuno dei

singoli servi”,

D.47,9 SULL’INCENDIO, SUL CROLLO, SUL NAUFRAGIO, E SULLA BARCA O NAVE ASSALTATA

D. 47,9,3.7 ULPIANO, nel libro cinquantaseiesimo All’editto.

7. Ciò che dice il pretore (nell’editto sull’incendio, sul crollo, sul naufragio e sulla barca o nave assaltata) in merito al

danno arrecato, ha luogo soltanto se il danno sia arrecato con dolo; infatti, se manca il dolo, viene meno l’applicabilità

dell’editto. Come dunque stanno le cose in rapporto a ciò che Labeone scrive che, se io, essendo sorto un incendio,

abbia distrutto l’edificio del vicino per difendermi, si dà l’azione contro di me e contro la mia famiglia di servi? Dal

momento, infatti, che l’ho fatto per difendermi, manco comunque di dolo. Ritengo dunque che non è vero ciò che scrive

Labeone. Forse che tuttavia si può agire per tale evento in base alla legge Aquilia? E ritengo che non si possa: infatti,

non ha neppure fatto ciò ingiustamente, colui che si volle proteggere non potendo fare altrimenti. E così scrive Celso.

D. 47, 10 DEGLI ATTI INGIUSTI CONTRO LA PERSONA E DEI LIBELLI DIFFAMATORI

1 ULPIANO, nel libro cinquantaseiesimo All'editto

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Fonti complementari di D.9

6

[D.47,10, 1,0] L'atto ingiusto è chiamato così, in quanto avvenga non secondo il diritto: infatti tutto ciò che viene fatto

non secondo il diritto si dice avvenire ingiustamente. Questo, in senso generale. Ma specificamente è definito atto

ingiusto <contro la persona> l'offesa. Talvolta con il termine atto ingiusto si intende il danno arrecato con colpa, come

suole dirsi nella legge Aquilia: talvolta definiamo atto ingiusto l'iniquità, cioè, quando qualcuno emette una sentenza

ingiustamente o iniquamente, il fatto è definito atto ingiusto siccome è privo di diritto e di giustizia, quasi si trattasse di

non diritto. Offesa invece deriva da offendere.

[D.47,10, 1,2] 2 Poi ogni atto ingiusto o viene inferto al corpo, o riguarda invece la dignità o l'infamia; si commette

contro il corpo quando <ad esempio> uno viene colpito; contro la dignità, come quando si allontana l'accompagnatore

di una matrona; contro la fama, come quando si attenta al pudore.

11 Ulpiano, nel libro 57 All'editto

[D.47,10, 11,1] 1 L'azione per atti ingiusti contro la persona è in base a ciò che è buono ed equo ed è abolita dalla

sopportazione. Infatti se uno abbia trascurato un atto ingiusto contro la persona, cioè appena subitolo non se ne sia

risentito, poi pentitosene non può ricoltivare l'atto ingiusto che ha perdonato. Secondo quanto sopra, dunque, l'equità

dell'azione sembra togliere ogni timore al convenuto, quando l'attore agisca contro l'equità. Conseguentemente l'azione

di atti ingiusti contro la persona non avrà applicazione anche se sia intercorso un patto riguardante l'atto ingiusto, se si

sia arrivati ad una transazione, se si sia ottenuto un giuramento.

13 ULPIANO, nel libro cinquantasettesimo All’editto

[D.47,10, 13,0] L'azione di atti ingiusti contro la persona non viene concessa né all'erede né contro l'erede. Lo stesso

vale anche se sia stato compiuto un atto ingiusto contro la persona di un mio schiavo: infatti neanche in questo caso è

concessa l'azione di atti ingiusti contro la persona al mio erede. Una volta però che sia stato instaurato il giudizio, questa

azione spetta anche ai successori.

[D.47,10, 13,7] 7 Se qualcuno mi proibisce di pescare nel mare o di gettarvi una rete (quella che i Greci chiamano

sagina), posso convenirlo con una azione di atti ingiusti contro la persona? vi è chi pensa che io possa agire per atti

ingiusti contro la persona: e del pari Pomponio ed i più pensano che costui sia simile a quegli che non permetta di lavare

in <un corso d'acqua> pubblico o sedere a teatro o di stare o sedere o conversare in qualche altro luogo, o come se uno

non mi permettesse di usare una cosa mia: infatti anche costui può essere convenuto con l'azione di atti ingiusti contro

la persona. ... Tuttavia, se io vietassi ad uno di pescare davanti alla mia casa o allo spazio che la comprende, che deve

dirsi? Sono perseguibile o no con il giudizio di atti ingiusti contro la persona? E certamente il mare ed i lidi sono cose

comuni di tutti, come l'aria, e spessissimo si è stabilito con rescritto che a nessuno può proibirsi di pescare: ma

nemmeno di fare uccellagione, ad eccezione del fatto che ad uno si può proibire di entrare nel campo di un altro.

Tuttavia, sebbene senza alcun diritto, si è usurpato questo potere di vietare ad uno di pescare davanti alla mia casa o lo

spazio che la circonda: per la qual cosa, se ciò a qualcuno venga vietato, questi può ben agire per atti ingiusti contro la

persona. Tuttavia ben posso vietare ad alcuno di pescare in un lago di mia proprietà.

15 ULPIANO, nel libro cinquantasettesimo All’editto

[D.47,10, 15,0] Parimenti Labeone si pone il problema se debba avere applicazione l'azione di atti ingiusti contro la

persona nel caso in cui uno abbia fatto perdere la capacità di intendere e di volere un altro tramite una medicina o altra

cosa. Ed afferma che si può agire contro di lui con l'azione di atti ingiusti contro la persona.

[D.47,10, 15,34] Il pretore afferma: NEI CONFRONTI DI COLUI DI CUI SI DICA CHE ABBIA FUSTIGATO IL SERVO ALTRUI IN

CONTRASTO CON I BUONI COSTUMI O CHE LO HA FATTO SOTTOPORRE A TORTURA SENZA AUTORIZZAZIONE DEL PADRONE,

DARÒ L’AZIONE.

[D.47,10, 15,44] Pertanto il pretore

44 GIAVOLENO, nel libro 9 Dai libri postumi di Labeone

[ D. 47,10,44] Se il proprietario di una casa più in basso facesse fumo per affumicare la casa del vicino che sta più in

alto, o se il vicino che sta sopra abbia versato o fatto cadere cose su quello che sta sotto, Labeone dice che si può

esperire l’azione per atti ingiusti contro la persona; cosa che reputo falsa a meno che non sia stato fatto per offendere.

D. XLVII,21 SULLE AZIONI POPOLARI

1. PAOLO nel libro ottavo All’editto

Designiamo azione popolare quella che tutela un diritto proprio del popolo.

2 PAOLO nel libro primo All’editto

Se in più agiscono contemporaneamente con l’azione popolare, il pretore scelga il più idoneo.

3 ULPIANO, nel libro primo All’editto

Ma se si agisca più volte in base alla stessa causa, ed essendo lo stesso il fatto, si oppone l’eccezione ordinaria di cosa

giudicata. 1. Nelle azioni popolari si antepone colui a cui interessa.

4. PAOLO nel libro terzo All’editto

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Fonti complementari di D.9

7

L’azione popolare viene permessa ad una persona integra, cioè alla quale è lecito chiedere attraverso un editto.

5. PAOLO nel libro ottavo All’editto

Colui he viene convenuto con una azione popolare, può incaricare un procuratore per difendersi; invece colui che la

esercita, non può incaricare un procuratore.

6 ULPIANO, nel libro venticinquesimo all’editto

Non si concede l’azione popolare a una donna e a un pupillo, salvo che la questione non li riguardi

7. PAOLO nel libro quarantunesimo All’editto

Le azioni popolari non passano a colui al quale <come fedecommissario universale> viene restituita l’eredità in base al

senatoconsulto Trebelliano. 1. Parimenti, chi abbia queste azioni non si intende che sia più ricco.

8 ULPIANO, nel libro primo All’editto

Tutte le azioni popolari non si concedono contro l’erede nési estendono oltre l’anno

ISTITUZIONI DI GAIO

Gai. 3,88: Ora passiamo alle obbligazioni. La maggiore divisione delle quali le divide in due specie: infatti ogni

obbligazione nasce o da contratto o da delitto.

Gai. 3,182: Ora passiamo alle obbligazioni che nascono da delitto. come se taluno abbia commesso un furto, abbia

rapinato qualcosa, abbia arrecato un danno, abbia compiuto un atto ingiusto contro la persona; l’obbligazione di tutte

queste cose è di un solo genere, mentre le obbligazioni da contratto di articolano in quattro generi, come sopra abbiamo

esposto.

Gai.3,202: Talvolta è tenuto per furto colui che non lo ha compiuto personalmente, come è per colui conn la

collaborazione e il concorso ideale del quale il furto è stato commesso. ... E ciò scrissero gli antichi giuristi per colui che

con un drappo rosso ha messo in fuga un armento <perché altri lo prendesse>. Ma se per scherzo abbia fatto ciò, e non

con l’intenzione che venisse commesso un furto, vedremo se si debba dare una azione utile, dal momento che con la

legge Aquilia, che è stata approvata per il danno, viene punita anche la colpa.

Gai.3,211 Poi intendiamo che uccide ingiustamente, colui per il dolo o la colpa del quale ciò accadde; né da alcuna altra

legge è punito il danno che non venga arrecato ingiustamente; è pertanto non è punito colui che senza colpa o dolo,

commette un danno per caso.

Gai. 3,215 Con il secondo capitolo è predisposta una azione contro l’adstipulator <cioè il terzo al quale sia stata

promessa in una seconda stipulazione la stessa prestazione> il quale in frode dello stipulante <originario> abbia rimesso

solennemente il debito.

....

Gai. 3,224 Ma ora seguiamo un diverso diritto. Infatti dal pretore è permesso a noi stessi da fare la stima dell'atto

ingiusto contro la persona, e il giudice condannerà o a quanto abbiamo valutato, o a meno, secondo quanto gli sembrerà.

...

Gai. 4,6 Agiamo poi talvolta per conseguire solo la cosa, talvolta per conseguire solo la pena, altre volte per conseguire

la cosa e una pena. 4.7. Perseguiamo soltanto la cosa, come con le azioni con le quali agiamo in base a un contratto. 8.

Perseguiamo soltanto la pena, come con l’azione di furto e di atti ingiusti contro la persona ... 9.Perseguiamo invero la

cosa e la pena come in base a quelle cause in base alle quali agiamo per il doppio nei confronti di chi nega, cosa che

accade nell’azione ... di danno ingiusto della legge Aquilia

Gai. 4,69 Poiché tuttavia sopra abbiamo menzionato l’azione con cui si agisce nei confronti del peculio del figlio in

potestà o del servo, è necessario che ora in modo piuttosto accurato prendiamo in esame l’azione e le altre che si

solgono dare nei confronti del padre di famiglia o del padrone. 4,70. In primo luogo, se sia stato compiuto un affare

avendo il padre o il padrone dato disposizione, il pretore ... 4.75. Per un delitto dei figli in potestà e dei servi, come nel

caso in cui abbiano commesso un furto o un atto ingiusto contro una persona, sono predisposte le azioni nossali ...

ISTITUZIONI DI GIUSTINIANO

J. 3,13 SULLE OBBLIGAZIONI

3,13 pr. Ora passiamo alle obbligazioni. L'obbligazione è un vincolo giuridico in forza del quale siamo costretti a

pagare qualche cosa secondo le norme della nostra comunità politica. 1. La divisione maggiore di tutte le obbligazioni

le divide in due generi: sono, infatti, o civili o pretorie. [...] 2. La divisione successiva le divide in quattro specie: ci

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(lettere A-L)

Fonti complementari di D.9

8

sono invero obbligazioni da contratto, come da contratto, da misfatto, come da misfatto. É il caso che prima vediamo

quelle che sorgono da contratto. Di queste pure ci sono quattro specie: si contraggono invero mediante cosa, o parole, o

scritti, o consenso. Vediamole distintamente.

J. 4,3 SULLA LEGGA AQUILIA

L'azione di danno ingiusto è data dalla legge Aquilia. Nel cui primo capo è disposto che, se uno abbia ingiustamente

ucciso un uomo altrui o un quadrupede altrui rientrante fra il bestiame, va condannato a dare al proprietario il maggior

valore di quella cosa in quell'anno. ... 2. Si ritiene che uccida ingiustamente colui che uccide senza alcun diritto. Di

conseguenza chi uccide un ladrone non ne risponde, ovviamente se non può in altro modo sfuggire al pericolo.

3. Non è tenuto da questa legge neanche colui che uccide casualmente, purché non risulti una sua colpa: senz'altro,

infatti, in base a questa legge risponde chiunque sia per dolo che per colpa.

4. Se uno, dunque, mentre gioca o si eserciti coi giavellotti abbia trafitto il tuo servo che passava, bisogna distinguere.

Se ciò, invero, sia stato commesso da un soldato in piazza d'armi e dove sogliono avere luogo le esercitazioni, non si

ritiene che egli abbia alcuna colpa; se invece un fatto simile l'abbia commesso un altro, è in colpa. E lo stesso vale per il

soldato, se abbia commesso il fatto in luogo diverso da quello destinato alle esercitazioni militari. 5. Parimenti, se un

potatore, buttato un ramo giù da un albero, abbia ucciso il tuo servo che passava, e ciò sia avvenuto in prossimità di una

strada pubblica o vicinale, e il potatore non abbia preavvisato perché potesse essere evitato l’oggetto che cadeva, è reo

di una colpa; se preavvisò e quello non curò di stare attento, il potatore è esente da colpa. Parimenti, si intende che è

esente da colpa se potava lontano dalla strada per caso in mezzo ad un fondo, anche se non preavvisò, perché in quel

luogo nessun estraneo aveva diritto di passare. 6. Inoltre, se un medico, che aveva operato il tuo servo, abbia trascurato

la cura <post-operatoria> e per questo il servo sia morto, egli è reo di una colpa. 7. Anche l’imperizia è ascritta a colpa,

come nel caso del medico che abbia ucciso il tuo servo per averlo operato male o per avergli dato una medicina

sbagliata. 8. Anche se il tuo servo sia stato travolto dall’impeto di mule che il mulattiere non abbia per imperizia potuto

trattenere, il mulattiere è in colpa. E di colpa risponde ugualmente anche se non abbia potuto trattenerle per la sua

debolezza, mentre un altro più valido ci sarebbe riuscito. Lo stesso è ritenuto pure per colui che, andando a cavallo, non

sia stato capace, o per la sua debolezza, o per la sua imperizia, di frenarne l’impeto.

9. Con le parole della legge IL MAGGIOR VALORE DELLA COSA IN QUELL’ANNO si esprime l’idea che se unoabbia ucciso

il tuo servo, che oggi sia zoppo o guercio o monco mentre in quell’anno era stato integro o di maggior pregio, sia tenuto

non per tanto quanto è il suo valore odierno ma per il maggior valore in quell’anno. Per questa ragione, si è ritenuto che

l’azione di detta legge sia penale, dato che uno è tenuto non solo per quanto abbia arrecato di danno, ma qualche volta

per assai di più; e pertanto è certo che l’azione non si trasferisce contro l’erede, mentre sarebbe stata trasferita seil

valore della lite non venisse mai stimato più del danno.

J. 4,4 SUGLI ATTI INGIUSTI CONTRO LE PERSONE

Generalmente si dice atto ingiusto, in quanto avviene non secondo il diritto

J. 4,5 SULLE OBBLIGAZIONI CHE SORGONO COME DA DELITTO

Se un giudice abbia fatto sua la lite

J. 4,6 SULLE AZIONI

16. Viene poi la distinzione per cui alcune azioni sono state introdotte al fine di perseguire una cosa, altre al fine di

perseguire una pena, e altre sono miste.

17 Al fine di perseguire una cosa sono state intyrodotte tutte le azioni reali. Quanto invece alla azioni personali,

appaiono introdotte al fine di perseguire una cosa quasi tutte quelle che nascono da contratto ...

18. Delle azioni derivanti da misfatti, alcune sono introdotte al fine di perseguire soltanto una pena, altre al fine di

perseguire sia una pena sia una cosa e, per ciò, sono miste.

19 ... Ma anche l’azione della legge Aquilia per il danno è mista, non solo nel caso in cui contro chi contesta si agisca

nel doppio, ma talvolta anche se uno agisce per il semplice valore. Ad esempio quando uno abbia ucciso un uomo

zoppo o guercio che in quell’anno fosse stato integro e di gran prezzo: è condannato infatti, a pagare il maggior valore

che quel servo ebbe in quell’anno, secondo la già indicata distinzione ...

MOSAICARUM ET ROMANARUM LEGUM COLLATIO

12,7,9 ULPIANO, nel libro diciottesimo All’editto [cfr. D. 9,2,27,11.12]

Ma anche se gli inquilini del servo abbiano incendiato il casamento, Urseio nel libro X riferisce che Sabino diede il

responso che il padrone era da convenire per la legge Aquilia con azione nossale a nome dei servi; nega invece che il

padrone sia tenuto in base alla azione da locazione. Proculo poi diede il responso che, qualora i servi del colono abbiano

incendiato la villa rustica, il colono è tenuto o in base all’azione da locazione o a quella della legge Aquilia così che il

colono potesse dare i servi a nossa, e se la cosa sia stata giudicata a seguito di questa azioni, non si dovrà ulteriormente

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“Sapienza” Università di Roma Corso di Laurea in Giurisprudenza

Prof. Sandro Schipani Diritto romano A.A. 2015-2016

(lettere A-L)

Fonti complementari di D.9

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agire con l’altra. 12,7,10. Parimenti Celso, nel libro XXVII dei Digesti scrive: essendo le mie api volate fra le tue, se tu

le abbia bruciate [etc.]

EDITTO DEL PRETORE

[l’azione di compra(vendita) ordinaria prevedeva] Sia giudice Caio Aquilio. Poiché Aulo Agerio ha comprato da

Numerio Negidio il servo di cui si tratta – materia del contendere –con riguardo a tutto ciò che, in forza di tale rapporto,

Numerio Negidio deve dare o fare in favore di Aulo Agerio secondo buona fede, il giudice Caio Aquila condanni

Numerio Negidio nei confronti di Aulo Agerio; se non risulta, lo assolva.

[l’azione di compra(vendita) nei limiti del peculio prevedeva]

“Sia giudice Caio Aquilio. Poiché Aulo Agerio ha comprato da Lucio Tizio, che è nella potestà di Numerio Negidio, il

servo di cui si tratta – materia del contendere –con riguardo a tutto ciò che, in forza di tale rapporto, Lucio Tizio deve

dare o fare in favore di Aulo Agerio secondo buona fede, il giudice Caio Aquilio condanni Numerio Negidio nei

confronti di Aulo Agerio nei limiti del peculio, ivi incluso quanto per dolo di Numerio Negidio è stato eventualmente

fatto sì che non si trovasse nel peculio oppure nei limiti di quanto è stato eventualmente rivolto a profitto di Numerio

Negidio; se non risulta, lo assolva”.

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