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1 mAnsa 4 Appunti - DIRITTO PROCESSUALE PENALE.doc DIRITTO PROCESSUALE IL CONCETTO DI PROVA. Nel codice di procedura penale, non esiste la definizione di “prova”. Una definizione di carattere molto generale è: la prova è un ragionamento che da un fatto noto ricava l’esistenza di un fatto avvenuto nel passato . La parola prova nel codice di procedura penale, è utilizzata in almeno quattro significati: 1. fonti di prova (art. 65 c.p.p.) 2. mezzi di prova (art. 194 e seguenti c.p.p.) 3. elementi di prova (non esiste una definizione nel c.p.p.) 4. risultato probatorio (non esiste una definizione nel c.p.p.) Il primo significato lo si ha dalla lettura dell’articolo 65 del codice di procedura penale dove con l’espressione “fonti di prova” si intende tutto ciò che è idoneo a fornire dei risultati apprezzabili per la decisione . La ricerca delle fonti di prova spetta: al pubblico ministero; alla polizia giudiziaria; al difensore. e la funzione delle indagini preliminari è appunto quella di ricercare le fonti di prova. Il codice si concentra però, in maniera particolare, non sulle fonti di prova ma sui “mezzi di prova” che vengono disciplinati dall’articolo 194 e seguenti. I mezzi di prova sono quegli strumenti mediante i quali si acquisisce al procedimento un elemento che serve per la decisione. Il codice ne disciplina sette e sono i sette mezzi di prova tipici , a incominciare da quella che nel processo penale è la prova regina: la testimonianza. Esistono però, anche dei mezzi di prova non disciplinati dalle leggi e questo lo spiega in generale l’articolo 189 del c.p.p.

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DIRITTO PROCESSUALE

IL CONCETTO DI PROVA.

Nel codice di procedura penale, non esiste la definizione di “prova”. Una definizione di carattere molto generale è: la prova è un ragionamento che da un fatto noto ricava l’esistenza di un

fatto avvenuto nel passato. La parola prova nel codice di procedura penale, è utilizzata in almeno quattro significati:

1. fonti di prova (art. 65 c.p.p.) 2. mezzi di prova (art. 194 e seguenti c.p.p.) 3. elementi di prova (non esiste una definizione nel c.p.p.) 4. risultato probatorio (non esiste una definizione nel c.p.p.)

Il primo significato lo si ha dalla lettura dell’articolo 65 del codice di procedura penale dove con l’espressione “fonti di prova” si intende tutto ciò che è idoneo a fornire dei risultati apprezzabili per la decisione. La ricerca delle fonti di prova spetta:

⇒ al pubblico ministero; ⇒ alla polizia giudiziaria; ⇒ al difensore.

e la funzione delle indagini preliminari è appunto quella di ricercare le fonti di prova. Il codice si concentra però, in maniera particolare, non sulle fonti di prova ma sui “mezzi di prova” che vengono disciplinati dall’articolo 194 e seguenti. I mezzi di prova sono quegli strumenti mediante i quali si

acquisisce al procedimento un elemento che serve per la

decisione.

Il codice ne disciplina sette e sono i sette mezzi di prova tipici, a incominciare da quella che nel processo penale è la prova regina: la testimonianza. Esistono però, anche dei mezzi di prova non disciplinati dalle leggi e questo lo spiega in generale l’articolo 189 del c.p.p.

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Art. 189. - Prove non disciplinate dalla legge. 1. Quando è richiesta una prova non disciplinata dalla legge, il Giudice può assumerla se essa risulta idonea ad

assicurare l'accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della persona. Il Giudice provvede all'ammissione, sentite le parti sulle modalità di assunzione della prova.

Nella sostanza, nel nostro sistema, i mezzi di prova non costituiscono un numero chiuso, ma possono essere assunti anche mezzi di prova diversi da quelli tipici. Nell’interpretazione alcuni distinguono il concetto di mezzo di prova atipico (quale mezzo di prova non disciplinato dalla legge), dal concetto di mezzo di prova anomalo. Il concetto di prova atipica che spesso viene molto criticato ma di cui si fa larghissimo uso nelle aule di tribunale è, ad esempio, quello di utilizzare una prova, la testimonianza, per ottenere il risultato tipico di una diversa prova, la ricognizione.

A volte vengono utilizziati dei mezzi di prova, magari inconsapevolmente, per ottenere il risultato tipico di un diverso mezzo di prova. Ad esempio, per riconoscere una persona, il legislatore usa nel codice di procedura penale quale mezzo di prova tipico che serve per riconoscere persone o cose al dibattimento, la “ricognizione”, mentre per quanto attiene alle indagini preliminari, il legislatore usa un termine diverso per sottolineare la differenza di fase e cioè quello di “individuazione”. Detto questo, succede spesso nei processi penali di chiamare a testimoniare una persona e nel corso dell’assunzione di questa testimonianza chiederle se riconosce l’imputato. Ecco che così attraverso un mezzo di prova che è la testimonianza, che serve per raccogliere informazioni da una persona, io cerco di arrivare al risultato di un diverso tipo di mezzo di prova quello della ricognizione. Questa è una situazione che si verifica spessissimo nel processo penale. ⇒ La funzione della testimonianza è quella che il testimone viene a raccontare

all’interno del processo dei fatti da lui conosciuti che sono rilevanti ai fini della decisione;

⇒ La funzione della ricognizione (strumento di prova diverso, previsto sempre nel codice) è quella che serve per far si che una persona che ha avuto una percezione con uno dei propri sensi di un oggetto o di una persona, la possa riconoscere.

Il codice disciplina come deve essere fatta la ricognizione e stabilisce tutta una serie di presupposti che devono essere rispettati; nella realtà succede però che spesso la testimonianza viene sfruttata per ottenere il risultato tipico di una ricognizione con la richiesta da parte di chi conduce l’esame testimoniale di chiede al testimone se è in grado o meno di riconoscere l’imputato che è presente in aula.

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Nel codice di procedura penale si parla anche di “elementi di prova”. Quando si fa riferimento al concetto di elemento di prova, si intende fare riferimento ad una informazione, per così dire, allo stato grezzo, ovvero prima che l’informazione sia valutata da un Giudice. Quelle che vengono raccolte nella fase delle indagini preliminari non sono delle prove ma sono degli elementi di prova che potranno eventualmente, in un secondo tempo durante il giudizio, trasformarsi in prove. Quindi, la polizia giudiziaria non raccoglie prove ma elementi di prova. L’ultima nozione che si può dare di prova è quella di “risultato probatorio”; la prova diviene tale una volta che sia stata valutato dal Giudice e solo in questo caso può assumere il valore di dato utilizzabile per la decisione. Riassumendo, la prova può essere vista sotto quattro aspetti: come fonte di prova, come mezzo di prova, come elemento di prova e come risultato probatorio. Abbiamo visto che: ⇒ il concetto di fonte di prova (non la spiegazione ma l’utilizzo di

questa espressione) si trova nell’articolo 65 del c.p.p.; ⇒ i mezzi di prova sono disciplinati dagli articoli 194 e seguenti; ⇒ le nozioni di elemento di prova e risultato probatorio

risultano dalla sistematica del codice e non esiste una loro specifica definizione.

Nella pratica si può dire che quando si utilizza l’espressione prova come risultato di prova, per capire dove il codice utilizza questa espressione, si può prendere in considerazione, ad esempio, l’articolo 530 del codice di procedura penale, cioè quella norma che dice come si deve comportare il Giudice all’esito del giudizio. Il Giudice deve assolvere una persona se ritiene che la prova sia insufficiente o contraddittoria. In questo caso la parola prova viene utilizzata come risultato probatorio, non come elemento di prova; gli elementi di prova per portare una persona a giudizioso potevano esservi, ma ciò non vuol dire che al termine del processo si sia riuscito a formare una prova intesa come risultato probatorio.

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Detto questo, la parola prova, la si trova utilizzata nell’espressione “prova storica” o “prova rappresentativa” e “prova critica” o “prova indiziaria” � La prova rappresentativa è quel ragionamento che ricava da

un fatto noto, un fatto che deve essere accertato per diretta rappresentazione.

Se si ha di fronte un testimone il quale dice che ha visto una persona sparare e uccidere un uomo, il problema del Giudice sarà stabilire se quella persona sia credibile. Una volta che sarà stato provato che questa persona è credibile, il Giudice ha già raggiunto la prova del fatto che deve essere accertato nel processo penale.

� La prova indiziaria, (indizio) è quella che si contrappone alla prova rappresentativa e vuole invece che l’esistenza del fatto da provare si ricavi attraverso un’inferenza costituita o da leggi scientifiche o da una massima di esperienza.

Poniamo che all’interno di un’abitazione venga trovata una persona morta pugnalata.

Se si ha un testimone che viene a dire che circa mezz’ora prima del momento in cui questa

persona è deceduta ha visto qualcuno uscire di corsa dall’abitazione e questa persona

viene successivamente identificata, il Giudice potrà avere un indizio a carico di questa

persona del fatto che possa essere l’autore dell’omicidio.

Non avrà in nessun caso una prova dichiarativa come nell’ipotesi fatta prima, dove la

persona aveva visto sparare.

Per cercare di dare una definizione di indizio si è fatto riferimento a due concetti: il primo è la massima di esperienza ed il secondo è quella di legge scientifica. � Le massime di esperienza come dice la parola stessa, sono

ricavate dalla comune esperienza tenuto conto di quello che succede nella generalità dei casi.

� La legge scientifica, invece, è una legge che si caratterizza perché è soggetta a verifica attraverso un metodo sperimentale ovvero attraverso uno specialista della materia (perito) che potrà far conoscere al Giudice una legge scientifica.

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Tra le regole generali che il codice di procedura penale pone in materia di prova, vi è quella secondo cui la prova di un fatto reato non può essere ricavata se non da indizi che siano

gravi precisi e concordanti. Questa regola dei principi fondamentali si trova illustrata nell’articolo 192 comma 2 del codice di procedura penale. L’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi non siano gravi precisi e concordanti. � un indizio è GRAVE quando è dotato di un grado di persuasività

elevato e quindi riesce a resistere ad eventuali obiezioni; � un indizio è PRECISO quando non è suscettibile di diverse

interpretazioni; � un indizio è CONCORDANTE nel senso che vi devono essere

necessariamente più indizi che confluiscono tutti nella stessa direzione.

Esempio: una persona viene trovata in Via Anelli dalla polizia e scappa.

Questa persona viene trovata in possesso di un modico quantitativo di sostanza stupefacente.

Il fatto che sia scappata non è un indizio preciso che quella persona sia uno spacciatore

perché anche un tossicodipendente ha interesse a non farsi trovare in possesso di sostanze

stupefacenti, perché commette comunque un illecito amministrativo.

Quindi, questo è il tipico caso in cui quello che può apparire un indizio non ha il carattere della

precisione.

Le regole fondamentali in tema di ammissione della si trovano nell’articolo 190 del codice di procedura penale chr dice: “Le prove sono ammesse a richiesta di parte e il Giudice che provvede esclude, innanzitutto le prove che sono vietate dalla legge, in secondo luogo quelle che sono manifestamente superflue o irrilevanti”.

Art. 190. - Diritto alla prova.

1. Le prove sono ammesse a richiesta di parte. Il giudice provvede senza ritardo con ordinanza escludendo le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti.

2. La legge stabilisce i casi in cui le prove sono ammesse di ufficio. 3. I provvedimenti sull'ammissione della prova possono essere revocati sentite le parti in contraddittorio.

Una prova vietata dalla legge è, ad esempio, la perizia criminologia, cioè quella perizia che tende ad accertare delle qualità psichiche della persona imputata che prescindono da una patologia.

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Un tipo di perizia che è prevista in altri ordinamenti ma che non è ammessa nel nostro.

La spiegazione che generalmente si da è questa: contrasterebbe l’ammissione di una perizia criminologica con il principio della presunzione di innocenza e con il fatto che in un processo penale non si devono accertare le qualità morali di una persona ma esclusivamente se abbia commesso un fatto che costituisce reato.

Le prove devono essere poi: non manifestamente superflue e non irrilevanti. Manifestamente superflue vuol dire sovrabbondanti. Per provare una determinata circostanza, si possono introdurre un certo numero di testimoni. Il Giudice però, nonostante siano tutti testimoni rilevanti, potrebbe escluderne alcuni quando ritenga che il numero di testimoni presentati sia manifestamente eccessivo rispetto all’oggetto della testimonianza.

Prima dell’inizio del giudizio, almeno sette giorni prima del dibattimento, il pubblico ministero, così come il difensore, devono presentare una lista testi in cui vengono indicati, tra gli altri, i nomi dei testimoni da escludere e le circostanze su cui deve vertere l’esame. La giurisprudenza della Corte di Cassazione è arrivata ad affermare un principio che potrà essere condivisibile oppure no, ma che rappresenta il diritto vivente (quando si fa riferimento al diritto vivente si intende fare riferimento a un orientamento giurisprudenziale non contestato). Tale principio ritiene che sia sufficiente indicare, come circostanza su cui il teste deve essere sentito, i fatti di cui è l’imputazione. E così, molte volte, nella lista testi vengono indicati una serie lunga di testimoni sulle circostanze di cui è l’imputazione, senza precisare altro ed in questo modo il Giudice capisce poco o nulla dell’oggetto su cui è chiamato a testimoniare la persona. Quello che si vuole evidenziare è che se tutte le persone vengono indicate sui fatti di cui è l’imputazione, il Giudice potrà escluderne alcuni dicendo che queste testimonianze sono sovrabbondanti anche se, in realtà, questi testimoni pur essendo chiamati tutti a rispondere sui fatti di cui è l’imputazione, dovrebbero ciascuno descrivere delle circostanze diverse. Questo è un problema che a volte assume rilevanza pratica nei nostri processi in quanto l’imputazione è in realtà un qualcosa di molto complesso all’interno del quale vi sono degli aspetti peculiari.

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L’articolo 190 dice infine che le prove di cui viene richiesta l’ammissione non devono essere manifestamente irrilevanti. Il concetto di rilevanza significa che il risultato a cui tende la prova che viene introdotta deve essere idoneo a provare il fatto rilevante di un processo. Il fatto rilevante di un processo è quel fatto che riguarda: ⇒ o l’imputazione, ⇒ o l’applicazione delle sanzioni che derivano dall’imputazione ⇒ o l’applicazione di particolari leggi processuali ⇒ o il problema della responsabilità civile. Concludendo la prova deve essere:

⇒ non vietata dalla legge; ⇒ non manifestamente irrilevante ma pertinente; ⇒ non deve essere manifestamente superflua.

Il Giudice, sulla base di questi presupposti, viene ad ammettere una prova. A questo punto, per la controparte, si realizza il cosiddetto “diritto alla prova contraria”. Una volta che il Giudice ammette, sulla base dei requisiti sopra citati, una prova per una parte che può essere principalmente o il pubblico ministero o il difensore, il legislatore consente con una presunzione di rilevanza la prova contraria, cioè la prova che serve per confutare quanto la prova introdotta da una parte vorrebbe dimostrare. Queste prove, una volta ammesse, devono essere poi assunte nel processo ed i sistemi per fare ciò sono due: ◊ per quanto riguarda le prove dichiarative il sistema è quello

costituito dall’esame incrociato dove le parti hanno il diritto di porre delle domande. Inizia la parte che ha introdotto la prova dichiarativa e non usiamo l’espressione “testimoni” perché, questo tipo di sistema vale non solo per l’esame del testimone ma anche per l’esame dell’imputato. La parte che ha introdotto la prova dichiarativa quindi conduce l’esame, le altre parti, seguendo un ordine, conducono il

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controesame e il controesame ha la funzione di valutare la credibilità, l’attendibilità del teste o della parte privata che si è sottoposta all’esame ed infine, la parte che ha introdotto la prova ha il diritto al riesame. Nella realtà quindi, durante l’assunzione di una prova dichiarativa non dovrebbe esservi il disordine che spesso regna sovrano nei processi, ma dovrebbe esservi un esame, un controesame ed un riesame. Il Giudice dovrebbe, in linea di principio, intervenire solo alla fine con la precisazione che la parte che ha condotto l’esame ha comunque il diritto a concluderlo. Il legislatore parte dall’idea che la parte che conduce un esame ha in mente un’ipotesi che tende a dimostrare e quindi il Giudice per non avere un pregiudizio, non dovrebbe essere lui a condurre l’assunzione della prova, devono essere le parti, perché altrimenti, se fosse lui a condurre l’assunzione della prova, si formerebbe necessariamente un pregiudizio e le sue domande non farebbero altro che andare alla ricerca di conferme al pregiudizio che si è formato. Questo vale per la prova dichiarativa.

◊ la prova precostituita si contrappone alla prova dichiarativa. Tipica prova precostituita è quella dei documenti; mentre le dichiarazioni si assumono attraverso l’esame incrociato, i documenti si acquisiscono attraverso la produzione che ne fa la parte. L’orientamento giurisprudenziale che fa sempre parte del diritto vivente vuole che mentre per quanto riguarda le prove dichiarative la parte deve presentare una lista testi prima del giudizio e deve attenersi a questa lista testi nell’introdurre quelle prove (sempre che siano ammesse), per quanto riguarda le prove precostituite, e cioè i documenti, non sia necessario per la parte produrle all’inizio del giudizio. I documenti possono essere prodotti anche mentre è in corso l’istruttoria del processo fino al momento in cui si arriva alla chiusura di questa fase con l’inizio della discussione.

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Ciò comporta dei vantaggi e degli inconvenienti: o il vantaggio è sicuramente che una parte, all’inizio del

processo, può non avere le idee chiare su quali siano tutti i documenti rilevanti e quindi, a seconda dell’andamento dell’istruttoria, decidere eventualmente di produrre un documento in un secondo momento quando ne comprende la rilevanza;

o lo svantaggio rilevantissimo è che la produzione di un documento a istruttoria inoltrata pone la controparte a volte nell’esigenza di richiedere l’introduzione di nuovi mezzi di prova che all’inizio non aveva chiesto non conoscendo il documento; questo allunga a volte terribilmente la fase dell’istruttoria.

Una volta che la prova viene ammessa e viene assunta attraverso questi due sistemi, si arriva alla fase della valutazione. Il principio generale della fase della valutazione della prova

è quello del libero convincimento dei Giudici.

Libero convincimento del Giudice non significa che il Giudice possa arbitrariamente scegliere quale sia la ricostruzione del fatto che ritiene più consona rispetto allo svolgimento dell’istruttoria, significa che è libero di determinare la credibilità delle fonti e l’attendibilità delle rappresentazioni che queste fonti hanno portato nel processo, nel rispetto delle regole che sono stabilite dal codice di procedura penale e senza la presenza di prove legali. Il principio di libero convincimento trova sempre un limite

nell’onere di motivazione da parte del Giudice.

Le prove legali sono quelle prove che dicono al Giudice in anticipo come un certo risultato debba essere da lui valutato.

Un tipico esempio di prova legale lo si trova nel processo civile ed è la confessione processuale, se nel corso di un processo civile, una persona, una parte rende una confessione, dichiara un fatto a sé sfavorevole e che non abbia per oggetto diritti indisponibili, il Giudice ha le mani legate ed è vincolato; il fatto lo deve considerare come ammesso.

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Ciò non succede nel processo penale ed anche di fronte ad una confessione, il Giudice può porsi il problema se la confessione sia attendibile anche se questa è avvenuta all’interno del processo. Questo perché ad esempio la persona può avere interesse (esempio classico) a confessare un reato per nasconderne uno più grave, oppure per nascondere gli autori di un diverso delitto. Il secondo principio generale in tema di valutazione della prova è quello consacrato nell’articolo 27 comma 2 della Costituzione ed è il principio della presunzione di innocenza.

Art. 27. - Costituzione Italiana

La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte.

Il principio della presunzione di innocenza si pone sia come regola di giudizio sia come regola di trattamento. � Come regola di giudizio, questa presunzione stabilisce la parte

su cui ricadono le conseguenze della mancata prova di un fatto ovvero stabilisce, come presunzione, quella della innocenza della persona che è accusata di un reato. Di conseguenza è il pubblico ministero, il pubblico accusatore che deve provare l’esistenza del reato, non l’imputato a provare la propria innocenza. Se nessuno dei due fornisce la prova o della colpevolezza o dell’innocenza, entra in gioco la presunzione legale e cioè: la persona deve essere assolta.

� Come regola di trattamento pone un divieto di anticipazione della pena appunto perché, la parte imputata, viene considerata innocente fino a che non intervenga una sentenza definitiva. Se si legge l’articolo 27 comma 2, si nota che la formula usata dal legislatore è una sorta di formula di compromesso e cioè non utilizza il concetto di presunzione di innocenza ma utilizza l’espressione “Non è considerato colpevole”. Di solito la dottrina dice che comunque qui è consacrato il principio della presunzione di innocenza, però resta da chiedersi

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perché allora il legislatore abbia voluto usare questa espressione e probabilmente la spiegazione è da ricercare nel fatto che abbia voluto in qualche modo legittimare l’esistenza delle misure cautelari, cioè la possibilità che una persona possa essere sottoposta a misure limitative della sua libertà prima dell’intervento di una sentenza definitiva.

A questo punto è importante anche capire un altro aspetto del problema della prova e cioè quello dello standard di prova che è richiesto alla fine di dimostrare un certo fatto. Nel processo civile e nel processo penale, lo standard di prova è diverso: ⇒ nel processo civile vale la regola del “più probabile che no”; ⇒ nel processo penale vale la regola dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”, regola che è stata codificata in tempi molto recenti (con la legge 46 del 2006) ma che era già da tempo presente nella giurisprudenza della corte di cassazione.

Questa formula non ce la siamo inventata noi europei, è una formula che è stata codificata per la prima volta nell’ordinamento nord-americano e in particolare nel codice di diritto penale della California. L’espressione che usa questo codice è che “il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio è quella situazione che, dopo tutte le valutazioni, lascia la mente dei giurati (questo perché nel sistema americano

esiste la giuria, cosa che da noi non esiste) in una condizione per cui non possono dire di provare una convinzione incrollabile prossima alla certezza sulla verità dell’accusa”. Questa la formula che è entrata anche nella giurisprudenza della Corte di Cassazione negli anni ’90 e che, alla fine, è stata codificata nel 2006 nell’articolo 533 del codice di procedura penale.

Art. 533. - Condanna dell'imputato.

1. Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio. Con la sentenza il giudice applica la pena e le eventuali misure di sicurezza.

2. Se la condanna riguarda più reati, il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e quindi determina la pena che deve essere applicata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene o sulla continuazione . Nei casi previsti dalla legge il giudice dichiara il condannato delinquente o contravventore abituale o professionale o per tendenza.

3. Quando il giudice ritiene di dover concedere la sospensione condizionale della pena o la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, provvede in tal senso con la sentenza di condanna.

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3-bis. Quando la condanna riguarda procedimenti per i delitti di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), anche se connessi ad altri reati, il giudice può disporre, nel pronunciare la sentenza, la separazione dei procedimenti anche con riferimento allo stesso condannato quando taluno dei condannati si trovi in stato di custodia cautelare e, per la scadenza dei termini e la mancanza di altri titoli, sarebbe rimesso in libertà.

Con un’espressione di sintesi si può dire che: ragionevole dubbio è quel dubbio che è comprensibile da una persona razionale. Non è quindi qualsiasi dubbio che ci si può porre perché rispetto a un fatto umano, la circostanza che una persona possa aver commesso un fatto reato, un minimo dubbio potrebbe comunque e sempre esservi.

Non che prima del 2006, il Giudice potesse condannare una persona per un reato anche se non avesse superato questa regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio. Infatti la giurisprudenza della Corte di Cassazione l’aveva già individuata, l’aveva individuata leggendo l’articolo 530 laddove si dice che una persona deve essere assolta da un reato anche nel caso in cui sia insufficiente o contraddittoria la prova che lo abbia commesso.

Art. 530. - Sentenza di assoluzione. 1. Se il fatto non sussiste, se l'imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla

legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un'altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo.

2. Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile.

3. Se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio sull'esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione a norma del comma 1.

4. Con la sentenza di assoluzione il giudice applica, nei casi previsti dalla legge, le misure di sicurezza.

L’espressione “prova insufficiente o contraddittoria” è infatti un aspetto della medaglia di cui l’altra faccia è questo principio dell’“oltre ogni ragionevole dubbio.

Il principio del libero convincimento significa che il Giudice penale non è soggetto a delle prove legali nel motivare la sua decisione (vedi l’esempio della confessione) ma ciò non toglie che debba rispettare una serie di regole.

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Una prima regola che abbiamo già trattato, riguarda la prova indiziaria, dicendo che gli indizi devono essere gravi precisi e concordanti. Una seconda regola che parimenti è altrettanto importante è quella codificata nell’articolo 192 comma 3 e 4 del codice di procedura penale; la cosiddetta “regola del riscontro”. ⇒ comma 3: “Le dichiarazioni rese dal coimputato nel medesimo

reato o da persona imputata in un procedimento connesso sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità”.

⇒ comma 4: estende questa regola anche alle dichiarazioni rese dagli imputati di procedimento collegato.

Art. 192. - Valutazione della prova.

1. Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati. 2. L'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti. 3. Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a

norma dell'articolo 12 sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità. 4. La disposizione del comma 3 si applica anche alle dichiarazioni rese da persona imputata di un reato collegato a

quello per cui si procede, nel caso previsto dall'articolo 371 comma 2 lettera b).

Teniamo presente cosa vuol dire che due reati siano tra loro connessi o siano tra loro collegati. Il legislatore parte da un presupposto che le dichiarazioni di determinati soggetti possano essere sospettate di non essere credibili e quindi ritiene che sulla base delle dichiarazioni di questi soggetti non si possa mai arrivare, anche se si tratta di dichiarazioni in sé attendibili, alla prova di un fatto. In definitiva, le dichiarazioni di un coimputato dello stesso reato e dell’imputato di procedimento connesso o collegato, devono essere dapprima valutate nella loro attendibilità intrinseca; da un lato quindi si deve stabilire se la persona che ha reso questa dichiarazione sia una persona che, per come si presenta, per le ragioni per cui ha reso la dichiarazione sia fornito di una credibilità generale e dall’altro se la dichiarazione che ha reso, sia priva di contraddizioni, sia circostanziata, mostri coerenza. Ma ciò non è sufficiente, occorre ancora individuare dei riscontri esterni (quello che il codice chiama “altro elemento di prova” e che, secondo la giurisprudenza è qualsiasi elemento esterno alla

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dichiarazione) che possano confermarla pur non assumendo di per sé il rango di una prova. Il riscontro esterno può essere, quindi, una dichiarazione di un altro soggetto, può essere una valutazione di carattere critico ecc., l’importante è che sia un elemento esterno alla dichiarazione. Quindi non basta la credibilità del dichiarante, occorre

l’esistenza del riscontro esterno

I collaboratori di giustizia, rientrano tipicamente nell’ambito di applicazione di questa norma. Il legislatore vuole quindi che quando si è in presenza di una chiamata di correo (chiamata di correo vuol dire la dichiarazione di una persona che accusa se stesso ma

anche altri di aver commesso un reato, quindi chiamata di correo è quando la dichiarazione

non riguarda solo sé stessi ma anche altri) sia sempre soggetto a un vaglio esterno di valutazione dato dal riscontro. Questo riscontro, secondo la giurisprudenza, può essere dato da qualsiasi elemento e quindi anche da un’altra dichiarazione purchè non rilasciata da una persona che è in contatto con quella che ha già reso la deposizione, ma da una persona che non abbia collegamenti (altrimenti il riscontro non sarebbe esterno). Quindi, quando abbiamo un collaboratore di giustizia che rende dichiarazioni, queste dichiarazioni potranno essere molto attendibili ma ciò nonostante, qualora non si individuino dei riscontri esterni a queste dichiarazioni, il Giudice non potrà ritenere provato il fatto.

Molte volte il problema, una volta che si è compresa la definizione di riscontro esterno, è capire

che cosa lo sia.

esempio: un processo in materia di stupefacenti, dove c’è una persona che dichiara che il suo

fornitore era un altro soggetto.

Si può porre il problema, di fronte a questa dichiarazione, una volta che si sia accertato che

essa sia intrinsecamente credibile, se un tabulato telefonico sia un riscontro esterno.

Tendenzialmente la giurisprudenza dice di no, perché il tabulato telefonico mi può dire che tra

due persone vi sono stati svariati contatti ma nulla mi dice sulla natura di questi contatti.

E quindi il tabulato telefonico non è idoneo ad avvicinare la persona che è chiamata in causa

dalla dichiarazione al reato di cui viene accusato.

Poniamo però un caso limite in cui il tabulato telefonico potrebbe diventare un riscontro: è il

caso in cui la persona che viene accusata dica di non avere avuto nessun rapporto di alcun

genere con la persona che lo accusa.

Anche il concetto di riscontro quindi deve essere valutato rispetto a come si sviluppa la tesi

difensiva; non può essere valutato in sé e per sé.

Se io accuso uno di voi di essere il mio spacciatore, il mio fornitore di sostanze stupefacenti, e

voi dite: “Io conosco Bordon, ci siamo conosciuti perché io gli volevo vendere una macchina”, il

fatto che ci sia un tabulato telefonico che dica che io e voi siamo rimasti in contatto non

rappresenta un riscontro.

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Se, invece, la difesa è “Io Bordon non l’ho mai conosciuto”, ecco che il tabulato telefonico

potrebbe diventare un riscontro.

LA TESTIMONIANZA.

A questo punto possiamo iniziare a parlare della testimonianza ovvero della prova regina. Una definizione generale del testimone è quella di una persona che è a conoscenza dei fatti del processo e che nello stesso

tempo non riveste una qualifica tale per cui il codice lo

ritenga incompatibile con l’assunzione della qualità di

testimone, quindi incapace di testimoniare. In questa definizione generale non c’entra il concetto di terzietà ovvero, il testimone non è necessariamente una persona che è sostanzialmente estranea al fatto che deve essere giudicato e quindi che non abbia un interesse al risultato del processo. La parte civile può infatti assumere la veste di testimone, anzi nella generalità dei casi la parte civile diventa un testimone nel processo; la parte civile può venire a deporre anche se non è certo un terzo nel rappresentare i fatti di cui è causa ed è molto interessata all’esito del processo. Sotto questo profilo, il processo penale si differenzia

radicalmente dal processo civile.

In un processo civile le due parti, attore e convenuto, non assumono mai la veste di testimone. Nel processo penale, una di queste due parti può assumere il ruolo di testimone mentre l’altro assume il ruolo di imputato. Caso emblematico è quello della truffa contrattuale: di fronte a una vicenda di truffa contrattuale, se viene iniziato un procedimento civile accusando un’altra parte di avere compiuto un inadempimento doloso del contratto e di avermi raggirato, al momento della conclusione dello stesso, io sono una parte, la persona contro cui rivolgo queste accuse è un convenuto, nessuno di noi due potrà testimoniare nel processo civile. Se io sporgo una querela per truffa e il pubblico ministero ritenga che vi siano i presupposti per un giudizio, io poi in questo giudizio mi potrò costituire parte civile e quindi anche chiedere il

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risarcimento del danno nel caso di condanna e, nello stesso tempo, potrò assumere il ruolo di testimone. Qualora quindi, la mia deposizione sia ritenuta credibile, potrò con la mia deposizione provare il fatto a carico della persona che è accusata. Si capisce quindi che, nel valutare la testimonianza della parte civile, il Giudice dovrà fare molta attenzione alla sua credibilità, non lo potrà trattare alla stregua di tutti gli altri testimoni perchè la parte civile potrà avere un interesse a distorcere la realtà dei fatti in modo da ottenere un risultato a sé favorevole. Sottolineo che la parte civile è l’unica parte che nel processo penale può assumere il ruolo di testimone. Le altre parti private nel processo penale non possono mai

assumere il ruolo di testimone, l’unica è la parte civile.

Il tipico caso di truffa contrattuale è quello in cui io rappresento, raggirando una persona, delle false condizioni di un contratto, questa persona sulla base delle false condizioni che io rappresento è indotta a concluderlo e poi non avviene nessun pagamento. Un fatto storico di questo genere può assumere una duplice rilevanza: può assumere la rilevanza civilistica di un inadempimento contrattuale, può assumere la rilevanza penale di un fatto di reato che si chiama truffa, previsto dall’articolo 640 del codice penale.

Art. 640. - Truffa.

Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032 . La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549: 1. se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal

servizio militare; 2. se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo

convincimento di dovere eseguire un ordine dell'autorità. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un'altra circostanza aggravante.

Io, che sono la persona che ha subito questo inadempimento, ho davanti a me due strade: posso iniziare una causa civile, nella causa civile io sarò una parte (l’attore), l’attore nel processo civile non è mai un testimone poiché è incompatibile con la qualifica di testimone. Nel processo penale il legislatore ha compiuto un’opzione diversa. Ritiene che la persona che ha denunciato il fatto che ha querelato per truffa un’altra persona, anche qualora si costituisca parte civile e quindi entri nel

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processo con uno specifico intento, quello di ottenere il risarcimento dei danni, possa assumere la qualifica di testimone. Insomma, il legislatore alla fin fine ha ritenuto talmente importante la testimonianza del soggetto che ha subito un danno dal reato, che generalmente coincide con la persona offesa, ma non necessariamente è la persona offesa, che ha ritenuto di non poter rinunciare alla sua testimonianza nel processo.

L’articolo 194 dice che il testimone deve essere interrogato su fatti determinati, se questa norma fosse applicata, il 90% delle domande poste all’interno di un processo penale non dovrebbero essere ammesse. Cioè io non potrei mai iniziare un esame dicendo:” Mi racconti che cosa è successo”, io dovrei porre delle domande su fatti ben determinati. Le domande le pongo su fatti, non chiedo al testimone un giudizio e questa è la differenza che vi è tra un testimone, un perito e un consulente. Domanda: Nella nostra professione è che noi siamo dei testimoni però siamo anche degli esperti in quella materia e quindi è difficile tante volte non valicare questo limite e fornire anche un’interpretazione alla luce magari delle conoscenze tecniche Risposta: sì, il codice prevede espressamente questa ipotesi, la risposta alla domanda la trovate nell’ultima parte del 3° comma dell’articolo 194. “Il teste non può esprimere apprezzamenti personali salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti”, e questo è un punto. Per dare una risposta meno formalistica e forse riesco a collegarmi anche alla seconda domanda, dico questo: voi siete sicuramente degni testimoni esperti, siete portatori di conoscenze nel processo che il Giudice non ha, non possiede. Come potete trasmettere le vostre conoscenze al Giudice? Indicando in maniera precisa tutta quella serie di fatti che vi hanno portato a una determinata conclusione. Se voi state attenti, molte volte riuscite a comunicare il vostro giudizio al Giudice descrivendo in maniera dettagliata tutti i particolari che vi hanno portato a quel giudizio. Quindi descrivendo dei fatti; il problema a volte è più teorico che pratico perché se voi siete abili nell’indicare i fatti che vi hanno portato a quella conclusione e questi fatti siete voi che siete riusciti a coglierli perché siete degli esperti mentre il Giudice da solo non riuscirebbe a coglierli, poi riuscite a condurre il Giudice ad esprimere il giudizio che voi di per sé non potreste esprimere. La vostra abilità sta nel costruire lentamente come un puzzle tutti quei fatti che a un osservatore comune sfuggirebbero, ad esempio le componenti di una macchina. Io non capisco nulla di macchine ma se uno inizia a spiegarmi quali sono i componenti che sono importanti e a cosa serve ciascun componente poi il giudizio riesco anche a trarlo. Questa categoria di esperti in cui spesso voi vi ritrovate sono cosiddetti “testimoni esperti”.

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Il problema è se io voglio introdurre dei fatti nel processo o compiere delle valutazioni. Spesso un teste di polizia giudiziaria quali voi siete, non serve al pubblico ministero solo per esprimere la valutazione perché alla valutazione ci si può arrivare alla fine attraverso quel meccanismo che vi ho raccontato. Serve per descrivere dei fatti che sono avvenuti. Se voi foste introdotti come consulenti, non potreste raccontare quei fatti, dovreste esprimere delle valutazioni. A volte guardate è una scelta strategica decidere se introdurre uno come testimone o come consulente e non è affatto indifferente perché il testimone ha un obbligo di verità e racconta fatti, il consulente non può avere un obbligo di verità. Non può averlo perché un giudizio potrà essere attendibile o non attendibile ma mai potrà essere vero. Quindi ci sono certe persone che il pubblico ministero o col difensore dalla sua posizione potrebbe decidere di introdurre come testimone o come consulente. Dipende dalla strategia che lui decide di coltivare all’interno del processo. Ci sono molte persone, ad esempio certi specialisti in materia sanitaria, che sono disposti a presentarsi in un processo come testimoni ma non sarebbero disposti a presentarsi nel processo come testimoni del pubblico ministero. Nei processi in materia infortunistica spesso vedo che un teste dello spisal se condotto bene dal pubblico ministero attraverso delle domande specifiche, riesce comunque a fornire al Giudice quelle cognizioni tecniche che lui non possiede e quindi non è necessario introdurlo come consulente di parte.

Analizziamo ora il concetto di testimonianza indiretta che è spiegato nell’articolo 195 lasciando per la prossima volta il problema della testimonianza del teste di polizia giudiziaria.

Art. 195. - Testimonianza indiretta.

1. Quando il testimone si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice, a richiesta di parte, dispone che queste siano chiamate a deporre.

2. Il giudice può disporre anche di ufficio l'esame delle persone indicate nel comma 1. 3. L'inosservanza della disposizione del comma 1 rende inutilizzabili le dichiarazioni relative a fatti di cui il testimone

abbia avuto conoscenza da altre persone, salvo che l'esame di queste risulti impossibile per morte, infermità o irreperibilità.

4. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli articoli 351 e 357, comma 2, lettere a) e b). Negli altri casi si applicano le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 del presente articolo.

5. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche quando il testimone abbia avuto comunicazione del fatto in forma diversa da quella orale.

6. I testimoni non possono essere esaminati su fatti comunque appresi dalle persone indicate negli articoli 200 e 201 in relazione alle circostanze previste nei medesimi articoli, salvo che le predette persone abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati.

7. Non può essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell'esame.

Un testimone può entrare nel processo perché attraverso uno dei propri sensi ha percepito direttamente un fenomeno o perché lo ha

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conosciuto in via indiretta e attraverso dichiarazioni che ha ricevuto da altri o attraverso degli scritti o in altro modo. La differenza tra testimone diretto e testimone indiretto sta proprio in questo. È importante conoscere questa differenza perché nel codice esistono due regole fondamentali: ⇒ la prima è che nel momento in cui per la conoscenza dei fatti

viene fatto riferimento ad un altro soggetto, io Giudice, posso utilizzare la dichiarazione che mi viene resa solo se mi viene indicata la fonte, non se questa fonte non viene indicata.

⇒ la seconda è che se una parte lo chiede, io Giudice non sono più libero ma dovrò obbligatoriamente chiamare a deporre il testimone di riferimento, cioè il testimone diretto, se voglio utilizzare il testimone indiretto.

Se una persona dice “Caio mi ha riferito che Sempronio ha commesso un reato” e se una delle parti chiede al Giudice di sentire la persona che ha reso questa dichiarazione, il Giudice non potrà nemmeno utilizzare la persona che ha sentito fino a quando non avrà sentita questa seconda persona. E, ritornando alla prima delle due regole citate, se il testimone indiretto non è in grado di indicare la fonte, il Giudice non potrà utilizzare la prova.

Se voi andate in un cantiere e una persona vi racconta come sono avvenuti i fatti, magari era un lavoratore in nero che poi nei giorni successivi sparisce e voi non avete l’accortezza di individuare, di identificare questa persona, poi quello che vi è stato raccontato sarà completamente inutilizzabile nel processo.

Quanto detto lo trovate indicato nell’articolo 195 comma 7: “Non può essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame”. Il codice utilizza l’espressione “non è in grado di indicare la persona, o la fonte da cui ha appreso” quindi non è necessario che la persona sia identificata con nome e cognome, ma è necessario che sia possibile individuarla per poi procedere in un momento successivo alla sua identificazione.

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Ad esempio si potrebbe dire: ”Questo fatto l’ho appreso dalla persona che gestisce il bar che si

trova in tale via” e poi questa persona potrà essere identificata; basta quindi che sia possibile

individuarla.