Diritto privato e pubblico riassunti

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1 Capitolo 1: Caratteri fondamentali del fenomeno giuridico Il diritto e la società Il diritto fa riferimento a quel complesso di regole di condotta che disciplinano i rapporti tra i membri di una certa collettività, in un dato momento storico. Vi è un nesso strettissimo fra fenomeno giuridico e fenomeno sociale. Il fenomeno giuridico consiste nella nascita di un complesso di regole che si applicano all'interno di un aggregato sociale, entro una determinata sfera territoriale, attraverso un'organizzazione dotata di un minimo di stabilità, mentre possono essere assai vari i fini e i contenuti delle norme che quelle regole contengono. Lo Stato è un'entità che si colloca in una posizione di supremazia rispetto a tutti i soggetti individuali e collettivi, rivendicando l'origine del proprio potere e che dispone della forza legittima necessaria per assicurare la sopravvivenza e lo sviluppo del gruppo sociale che ne ha determinato la nascita. Partecipa alla formazione di altre regole di comportamento dirette a disciplinare i rapporti con gli altri stati con i quali intrattiene relazioni sia pacifiche sia ostili. Esiste una netta distinzione tra regole del diritto statale e altre regole pure attinenti al comportamento dei membri di una data comunità, come le regole religiose, morali o filosofiche. Le caratteristiche del fenomeno giuridico Una delle caratteristiche specifiche del diritto statale è l'effettività , con il quale si intende che una regola di diritto può considerarsi esistente quando i membri della società le riconoscono un valore obbligatorio e colleghino alla sua violazione la nascita di determinate sanzioni. La seconda caratteristica è quella della certezza del diritto , secondo la quale l'obiettivo dell'effettività si raggiunge con l'istituzione di particolari strutture (l'ordinamento giudiziario) e particolari istituti (le sanzioni). La terza caratteristica è quella della relatività del diritto , che sta a indicare come le regole di diritto possano avere un contenuto mutevole a seconda della comunità sociale a cui si riferiscono, a seconda dei fini che si propongono di raggiungere, e a seconda delle esigenze e dei diversi problemi che lo sviluppo di una società propone. Quali sono le caratteristiche che contraddistinguono le regole giuridiche? o In primo luogo esse sono finalizzate all‟interesse generale . o La seconda caratteristica è la coattività . Per esse cioè sussiste un obbligo di adesione da parte dei destinatari. In questo le regole giuridiche si differenziano da quelle etiche, morali, religiose, dove l‟adesione è invece spontanea. In quanto obbligatorie, per le regole giuridiche sono previsti meccanismi sanzionatori in caso di mancata osservanza delle stesse. o La terza caratteristica è quella dell‟effettività . Per essere considerata regola giuridica, la collettività deve riconoscerne effettivamente il valore obbligatorio, altrimenti si suole affermare che la regola cade in desuetudine. Il riconoscimento dell‟effettività non è immediato, ma avviene con certezza nel lungo periodo. o Va poi citata la certezza . Per certezza si intende la presenza di strumenti che garantiscano la conoscibilità ex ante delle regole e delle loro conseguenze. o Infine, ultima caratteristica, è la relatività : la regola giuridica dipende dalla comunità sociale cui si riferisce. Si consideri ad esempio la guida in Italia e in Gran Bretagna: nel primo caso viene tenuta la destra, nel secondo la sinistra. Alcune regole sconfinano dal contesto sociale cui si riferiscono sino a raggiungere una connotazione di universalità (si pensi ai diritti dell‟uomo), ma allora si parla di principi. Il contenuto delle norme giuridiche La regola o norma giuridica è la regola di comportamento obbligatoria per tutti i componenti di una determinata società. Per imporre un determinato comportamento è necessario avere prima determinato quali fatti si intende regolare e quali sono gli effetti che si intendono riconnettere a tali fatti. La prima operazione consiste in una selezione, fra i vari aspetti della vita umana, di quelli che vengono assunti nella sfera del diritto. Il meccanismo che presiede alla formazione di una norma giuridica implica una scelta degli eventi cui riconoscere determinati effetti giuridici. Tali fatti costituiscono la fattispecie astratta , che può consistere in un'attività, espressione della volontà dell'uomo (i cosiddetti atti giuridici, come un contratto) o in un fatto preso in considerazione di per se, e non in quanto legato a una manifestazione di volontà (i cosiddetti fatti giuridici, come la nascita o la morte). In secondo luogo comporta la scelta degli effetti giuridici che conseguono obbligatoriamente al verificarsi in concreto della fattispecie astrattamente prevista: si parla di doveri, obblighi e oneri. Per i diritti assoluti l'interesse individuale è tutelato attraverso l'imposizione di obblighi nei confronti di una pluralità indistinta di soggetti e non solo nei confronti di soggetti determinati (come per i diritti relativi). Quando la tutela assicurata dalla norma giuridica è una tutela solo indiretta dell'interesse del singolo (dal momento che la norma è finalizzata alla tutela di esigenze collettive), questi sarà titolare di una posizione qualificata come interesse legittimo . Dall'interesse legittimo si distingue il cosiddetto interesse semplice o interesse di fatto, che rappresenta una situazione che potenzialmente è in grado di tradursi in un diritto soggettivo o interesse legittimo (nel campo dei concorsi pubblici interesse che tutti i cittadini hanno a che si svolgano

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Capitolo 1: Caratteri fondamentali del fenomeno giuridico

Il diritto e la società

Il diritto fa riferimento a quel complesso di regole di condotta che disciplinano i rapporti tra i membri di una certa

collettività, in un dato momento storico. Vi è un nesso strettissimo fra fenomeno giuridico e fenomeno sociale. Il

fenomeno giuridico consiste nella nascita di un complesso di regole che si applicano all'interno di un aggregato

sociale, entro una determinata sfera territoriale, attraverso un'organizzazione dotata di un minimo di stabilità, mentre

possono essere assai vari i fini e i contenuti delle norme che quelle regole contengono. Lo Stato è un'entità che si

colloca in una posizione di supremazia rispetto a tutti i soggetti individuali e collettivi, rivendicando l'origine del

proprio potere e che dispone della forza legittima necessaria per assicurare la sopravvivenza e lo sviluppo del gruppo

sociale che ne ha determinato la nascita. Partecipa alla formazione di altre regole di comportamento dirette a

disciplinare i rapporti con gli altri stati con i quali intrattiene relazioni sia pacifiche sia ostili. Esiste una netta

distinzione tra regole del diritto statale e altre regole pure attinenti al comportamento dei membri di una data

comunità, come le regole religiose, morali o filosofiche.

Le caratteristiche del fenomeno giuridico

Una delle caratteristiche specifiche del diritto statale è l'effettività, con il quale si intende che una regola di diritto può

considerarsi esistente quando i membri della società le riconoscono un valore obbligatorio e colleghino alla sua

violazione la nascita di determinate sanzioni. La seconda caratteristica è quella della certezza del diritto, secondo la

quale l'obiettivo dell'effettività si raggiunge con l'istituzione di particolari strutture (l'ordinamento giudiziario) e

particolari istituti (le sanzioni). La terza caratteristica è quella della relatività del diritto, che sta a indicare come le

regole di diritto possano avere un contenuto mutevole a seconda della comunità sociale a cui si riferiscono, a seconda

dei fini che si propongono di raggiungere, e a seconda delle esigenze e dei diversi problemi che lo sviluppo di una

società propone.

Quali sono le caratteristiche che contraddistinguono le regole giuridiche?

o In primo luogo esse sono finalizzate all‟interesse generale.

o La seconda caratteristica è la coattività. Per esse cioè sussiste un obbligo di adesione da parte dei destinatari. In

questo le regole giuridiche si differenziano da quelle etiche, morali, religiose, dove l‟adesione è invece spontanea.

In quanto obbligatorie, per le regole giuridiche sono previsti meccanismi sanzionatori in caso di mancata

osservanza delle stesse.

o La terza caratteristica è quella dell‟effettività. Per essere considerata regola giuridica, la collettività deve

riconoscerne effettivamente il valore obbligatorio, altrimenti si suole affermare che la regola cade in desuetudine.

Il riconoscimento dell‟effettività non è immediato, ma avviene con certezza nel lungo periodo.

o Va poi citata la certezza. Per certezza si intende la presenza di strumenti che garantiscano la conoscibilità ex ante

delle regole e delle loro conseguenze.

o Infine, ultima caratteristica, è la relatività: la regola giuridica dipende dalla comunità sociale cui si riferisce. Si

consideri ad esempio la guida in Italia e in Gran Bretagna: nel primo caso viene tenuta la destra, nel secondo la

sinistra. Alcune regole sconfinano dal contesto sociale cui si riferiscono sino a raggiungere una connotazione di

universalità (si pensi ai diritti dell‟uomo), ma allora si parla di principi.

Il contenuto delle norme giuridiche

La regola o norma giuridica è la regola di comportamento obbligatoria per tutti i componenti di una determinata

società. Per imporre un determinato comportamento è necessario avere prima determinato quali fatti si intende

regolare e quali sono gli effetti che si intendono riconnettere a tali fatti. La prima operazione consiste in una selezione,

fra i vari aspetti della vita umana, di quelli che vengono assunti nella sfera del diritto. Il meccanismo che presiede alla

formazione di una norma giuridica implica una scelta degli eventi cui riconoscere determinati effetti giuridici. Tali

fatti costituiscono la fattispecie astratta, che può consistere in un'attività, espressione della volontà dell'uomo (i

cosiddetti atti giuridici, come un contratto) o in un fatto preso in considerazione di per se, e non in quanto legato a una

manifestazione di volontà (i cosiddetti fatti giuridici, come la nascita o la morte). In secondo luogo comporta la scelta

degli effetti giuridici che conseguono obbligatoriamente al verificarsi in concreto della fattispecie astrattamente

prevista: si parla di doveri, obblighi e oneri. Per i diritti assoluti l'interesse individuale è tutelato attraverso

l'imposizione di obblighi nei confronti di una pluralità indistinta di soggetti e non solo nei confronti di soggetti

determinati (come per i diritti relativi). Quando la tutela assicurata dalla norma giuridica è una tutela solo indiretta

dell'interesse del singolo (dal momento che la norma è finalizzata alla tutela di esigenze collettive), questi sarà titolare

di una posizione qualificata come interesse legittimo. Dall'interesse legittimo si distingue il cosiddetto interesse

semplice o interesse di fatto, che rappresenta una situazione che potenzialmente è in grado di tradursi in un diritto

soggettivo o interesse legittimo (nel campo dei concorsi pubblici interesse che tutti i cittadini hanno a che si svolgano

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nel pieno rispetto delle regole procedurali).

La vita associata presuppone delle regole che disciplinano il comportamento dei singoli che stabiliscano che cosa è

permesso fare e che cosa è vietato,quale sia il confine tra la libertà di ciascun individuo e quali comportamenti

debbono obbligatoriamente tenere. Dunque il fenomeno del diritto si presenta come l’insieme delle regole di condotta

e di organizzazione di una collettività umana.

Non tutte le regole che rendono possibile una ordinata convivenza sociale sono anche norme giuridiche. Vi sono

innumerevoli regole di convivenza che disciplinano il comportamento umano pur essendo estranee dalla sfera del

diritto e non essendo quindi norme giuridiche: la religione, la morale, il costume. Il rapporto tra norma giuridica e le

altre regole di convivenza possono avere un rapporto di coincidenza (es. commettere un omicidio è reato per la

religione e pure per il diritto), indifferenza (es. le regole di cortesia, rapporti di amicizia), conflitto (es. il tema delle

trasfusioni di sangue ovviamente contro i principi della religione).

Le norme giuridiche si possono definire come l’insieme delle regole di condotta garantite da una organizzazione

sociale.

Il diritto è il complesso delle norme che formano l’ordinamento giuridico di un gruppo sociale organizzato, sia

esso la società politica generale (lo stato) sia esso un gruppo più ristretto (commercianti).

I soggetti giuridici

I soggetti giuridici sono coloro cui le norme intendono rivolgersi nell'attribuire diritti o nell'imporre obblighi. Essi

sono innanzitutto le persone fisiche. L'articolo 1 del codice civile stabilisce che ciascuna persona fisica è dotata della

capacità giuridica (idoneità ad essere titolari di diritti e destinataria di obblighi) fin dal momento della nascita. Il

soggetto deve possedere anche la capacità di agire, variamente limitata dal diritto, come nel caso del minore o

dell'infermo di mente. Accanto alle persone fisiche esistono le cosiddette persone giuridiche, come ad esempio una

pluralità di persone che danno vita a un'organizzazione al fine di perseguire una finalità comune. Tra le persone

giuridiche si distinguono quelle private da quelle pubbliche (ad esempio lo Stato) tra i soggetti giuridici vanno

annoverati tutti quei fenomeni associativi (le cosiddette associazioni di fatto) che, pur privi di un riconoscimento

pubblico (non essendo quindi dotati di personalità giuridica) sono tuttavia destinatari di alcune norme giuridiche.

Il concetto di ordinamento giuridico e la pluralità degli ordinamenti giuridici

La natura di ordinamento giuridico non dipende dalla natura dei fini cui esso si ispira, bensì soltanto dal rapporto tra

l'ordinamento ed il gruppo sociale che ad esso si richiama e che in esso si riconosce. Gli ordinamenti particolari sono

quelli che si propongono il raggiungimento delle finalità più varie delimitate a un certo settore, mentre gli ordinamenti

generali si propongono il soddisfacimento di una finalità che tendenzialmente comprende tutti i possibili interessi

sociali. Lo Stato è l'ordinamento giuridico che, attraverso una propria organizzazione (ossia l‟insieme degli organi

politici, amministrativi e giurisdizionali che compongono il cosiddetto stato apparato), assicura la pacifica convivenza

e il perseguimento di finalità generali, condivise da una determinata collettività sociale (il cosiddetto stato comunità)

sia sul piano interno (dettando e facendo rispettare regole di comportamento destinate ai singoli come ai gruppi), sia

sul piano esterno (favorendo la formazione di regole coerenti con quelle finalità e impegnandosi ad assicurarne il

rispetto, in accordo con gli altri ordinamenti generali che compongono la comunità internazionale).

Ordinamenti giuridici di “common law” e di “civil law”

Fino a qualche tempo fa si potevano individuare tre modelli diversi di ordinamento giuridico: ordinamenti di common

law, ordinamenti di civil law e ordinamenti di diritto socialista. Quest'ultimo risulta ormai superato o comunque in via

di radicale trasformazione. I due modelli precedenti hanno avuto in Europa fortune diverse: mentre l'ordinamento

inglese viene individuato come appartenente al common law, tutti altri ordinamenti appartengono a quello della civil

law. L'elemento differenziale di fondo tra i due modelli attiene ai modi di produzione delle norme giuridiche e ai

soggetti che ne sono coinvolti. La caratteristica principale degli ordinamenti di common law è quella di basarsi su un

tessuto di regole molte delle quali non scritte. Negli ordinamenti di civil law la norma giuridica viene considerata tale

solo se contenuta in atti a cui lo stesso ordinamento riconosce la capacità di produrre regole di questo tipo. Il ruolo del

giudice è solo quello di interpretare la regola giuridica scritta e di applicarla al caso concreto.

Le fonti del diritto e i principi che ne regolano i rapporti (accenni e rinvio)

Le norme nascono attraverso due distinti meccanismi: o mediante l'attribuzione a certi organi del potere di creare il

diritto o mediante riconoscimento di valore giuridico a regole che nascono da certi fatti o comportamenti umani. Se

viene utilizzato il primo meccanismo, avremo la produzione di norme contenute in atti, che prende il nome di fonti-atti

(la legge del Parlamento o il regolamento del Governo). Se viene utilizzato il secondo meccanismo vengono nominate

fonti-fatto, cioè fatti o comportamenti umani da cui ugualmente si determinano regole dotate di forza obbligatoria (la

consuetudine). Ciascuna fonte risulta dotata di un grado di intensità che risulta diverso a seconda della disciplina dei

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rapporti che legano tra loro le diverse fonti normative. Il principio fondamentale è quello gerarchico, che ordina le

varie fonti normative lungo una immaginaria scala gerarchica posizionando sul gradino più alto le fonti dotate di

maggiore forza e poi, via via quelle con forza minore. La costituzione traccia il quadro di riferimento generale, cui

tutte le altre regole di diritto che operano in un determinato ordinamento devono uniformarsi. Si dice che la

costituzione è rigida perché non può essere modificata da nessun'altra fonte normativa di livello inferiore. Un altro

principio è quello della competenza: si fa più riferimento all'organo che è titolare del potere di emanare le regole stesse

e all'oggetto che esse possono investire (rapporto tra legge statale e regionale). Altre due questioni importanti sono

quelle relative al valore delle norme nel tempo e nello spazio. La norma successiva prevale sempre sulla norma

precedente, di pari grado gerarchico. Se le norme sono invece di grado gerarchico diverso è il principio gerarchico che

va applicato. Per quanto riguarda la validità nello spazio va applicato il principio della territorialità del diritto: la

legge statale ha efficacia nei confronti dei cittadini e di coloro che operano all'interno del territorio nazionale. Esistono

tuttavia delle eccezioni: si pensi soprattutto ai rapporti disciplinati dalle regole del diritto internazionale privato, ma si

pensi anche all'istituto della extraterritorialità o a quello dell'immunità territoriale (le sedi diplomatiche sono sottratte

al diritto di uno Stato). Queste appena citate sono le cosiddette fonti interne; le fonti esterne vengono considerate come

i trattati internazionali o gli atti normativi delle comunità europee).

L’interpretazione del diritto come metodo e come fonte

Oltre alle fonti-atto e alle fonti-fatto, esiste un altro meccanismo importante per la produzione di norme giuridiche: è

collegata all'attività interpretativa del giudice e prende il nome di diritto giudiziario. Non sempre è agevole

identificare quale sia la norma da applicare a un caso concreto: tale ricerca è condotta dal giudice utilizzando una serie

di criteri interpretativi, quali l'interpretazione letterale (condotta sul dettato testuale), l'interpretazione logica (diretta a

individuare la coerenza interna della legge), l'interpretazione analogica (diretta a ricercare la norma da applicare in

disposizioni che disciplinano materie simili o analoghe), l'interpretazione sistematica (diretta a ricercare la norma da

applicare al caso concreto desumendola dai principi vigenti nel sistema giuridico complessivo). Negli ordinamenti

giuridici di civil law la sentenza del giudice è priva di efficacia nei confronti di tutti, ma si applica solo al caso in

esame.

Lo studio del diritto ed in particolare del diritto pubblico

L'area del diritto pubblico è costituita dal insieme di regole che disciplinano il fondamento dell'esercizio del potere

all'interno dello Stato, in vista del conseguimento delle finalità di interesse generale; l'organizzazione dell'apparato

statuale preposta a tale esercizio; il tipo di relazioni che si viene a stabilire tra questo apparato e i membri della società

civile; il tipo di relazioni che lo Stato intende intrattenere con gli altri soggetti facenti parte della comunità

internazionale.

Capitolo 2: Le fonti normative

Le fonti normative dell’ordinamento giuridico repubblicano: categorie e criteri di identificazione

Se la convivenza tra individui e gruppi sociali determina la continua produzione di norme di comportamento, lo Stato

moderno ha progressivamente preteso di disciplinare ogni fenomeno che ritenesse socialmente rilevante. Se a ciò si

aggiunge la considerazione che le fonti prodotte dal nostro ordinamento giuridico statale sono in forma scritta, può

comprendersi come l'usuale distinzione fra fonti- atto e fonti- fatto registri una decisa prevalenza delle prime sulle

seconde. Per fonti atto si intendono quegli atti giuridici cui l'ordinamento costituzionale attribuisce l'idoneità a porre in

essere norme giuridiche, molto rari sono i casi in cui il nostro ordinamento riconosce a fatti l'idoneità di porre in essere

norme rilevanti per l'ordinamento giuridico. Un'altra distinzione preliminare è quella fra fonti di produzione e fonti di

cognizione: con la prima espressione ci si riferisce agli atti o fatti cui l'ordinamento riconosce l'idoneità a porre in

essere una norma attraverso l'individuazione dell'organo titolare del potere e del procedimento di formazione dell'atto

normativo; con la seconda ci si riferisce agli atti formali nei quali consistono le diverse norme giuridiche. Fra le fonti

di produzione, una particolare ed importante categoria è costituita dalle fonti sulla produzione: queste fonti hanno

come contenuto specifico la disciplina della produzione di norme giuridiche e della loro efficacia; la fonte sulla

produzione per eccellenza è la Costituzione. I criteri sostanziali per l'individuazione delle fonti di sono: la generalità,

la astrattezza e l'innovatività. Con la generalità ci si riferisce al fatto che la norma è destinata ad una pluralità

indeterminata ed a priori indeterminabile di soggetti o di rapporti; con la astrattezza ci si riferisce al fatto che la norma

tende a valere nel tempo per tutti i rapporti che saranno ad essa riconducibili; il requisito della innovatività attiene ai

requisiti minimi di contenuto di una norma.

La pubblicazione delle fonti normative

La pubblicazione costituisce l'ultima fase del procedimento di produzione normativa; essa svolse una funzione

essenziale per la conoscibilità del testo legale e dalla data della pubblicazione dipende il momento della efficacia della

fonte, dopo un periodo di "vacatio". Si parla di pubblicità legale, una volta intervenuta questa pubblicazione, si ha la

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presunzione di conoscenza del testo da parte di diversi soggetti che ne possono essere i destinatari. Fra le diverse

pubblicazioni ufficiali che svolgono così importante funzione di pubblicità legale un ruolo del tutto particolare è

svolto dalla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, che non solo deve pubblicare tutti gli atti normativi statali e molti

degli altri atti pubblici ma finge da strumento di pubblicità legale anche per le sentenze della Corte costituzionale.

Devono essere pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana tutti gli atti normativi statali "che siano

strettamente necessari per l'applicazione di atti aventi forza di legge e che abbiano contenuto normativo", tutti gli

accordi internazionali, i dispositivi delle sentenze che dichiarano l'illegittimità costituzionale di leggi o fatti con forza

di legge.

Il sistema delle fonti e la rilevanza della funzione interpretativa

L'individuazione delle norme non deriva da una lettura del testo, ma è il frutto di complessi procedimenti

interpretativi. In relazione alle fonti atto va tenuta presente la distinzione fra disposizioni (ossia gli elementi testuali) e

norme (ossia le regole giuridiche che si traggono da questi testi tramite l'interpretazione). Le disposizioni

sull'interpretazione non appaiono compatibili con il nuovo sistema costituzionale. La stessa elencazione dei possibili

criteri interpretativi (l'interpretazione letterale e logica, l'intenzione del legislatore; solo nel caso che non sia

individuabile una norma applicabile, si consente l'utilizzazione della analogia legis e poi di quella iuris) appare

riferirsi ad una sorta di percorso obbligato per l'interprete. Il valore interpretativo dell'intenzione del legislatore è stato

ridotto ad essere un criterio importante ma non risolutivo; e più utilizzato il criterio dell'interpretazione logico-

sistematica, che mira ad individuare il contenuto di una singola disposizione dal significato che essa assume nel

settore normativo cui esso si riferisce (la ratio legis) o in relazione ai principi costituzionali o ai principi generali

dell'ordinamento giuridico (ratio iuris). La stessa indicazione, dell'adozione dell'analogia per colmare le lacune

interne all'ordinamento, quelle cioè relative a rapporti giuridicamente rilevanti ma non disciplinati, le quali si prestano

all'individuazione di "disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe". A conferma della crescente difficoltà

dei processi interpretativi relativi a leggi che essendo frutto di mediazioni complesse, stanno moltiplicandosi i casi di

leggi di interpretazione autentica e cioè di leggi che definiscono l'esatto contenuto di disposizioni contenute in leggi

precedenti con efficacia fino dal momento della loro originaria approvazione.

La successione delle fonti nel tempo

Il caso di conflitto fra più fonti viene risolto tramite lo strumento dell'abrogazione della norma precedente da parte di

quella successiva; l'abrogazione, consistente nella capacità del nuovo atto- fonte di sostituirsi, in tutto o in parte, alla

disciplina precedente. L'abrogazione comporta la non applicabilità della norma rispetto a nuovi fatti, mentre continua

la sua eventuale efficacia rispetto a fatti che si siano verificati prima dell'abrogazione (solo una legge retroattiva

potrebbe far venir meno questa efficacia). L'art. 15 prevede tre tipi di abrogazione: l'abrogazione espressa, allorché la

fonte successiva indichi puntualmente le disposizioni precedenti abrogate; l'abrogazione tacita si verifica quando la

fonte successiva contiene disposizioni incompatibili con quelle precedenti; l'abrogazione implicita, consegue ad una

complessiva modifica della disciplina dell'intero settore rendendola radicalmente superata.

La gerarchia delle fonti

Le antinomie che si producono fra norme di grado diverso vengono risolte non più in termini di successione nel

tempo, ma in termini di illegittimità della fonte di grado inferiore contrastate con quella superiore, a prescindere dalle

diverse possibili successione delle morali. Il principio di costituzionalità si esprime nel senso di una necessaria

preesistenza di una disposizione costituzionale nella materia disciplinata da una fonte primaria, mentre il principio di

legalità impone che le fonti secondarie presuppongano l'esistenza di specifiche disposizioni di norme primarie o diano

loro esecuzione. Tutte le fonti di un livello gerarchico superiore abrogano le fonti inferiori.

L'applicazione del criterio di competenza

Il principio del riparto di competenza mira ad affidare il potere normativo, in determinati settori, ad organi od enti

diversi da quelli che ne sarebbero titolari o ad instaurare procedimenti nei quali devono necessariamente intervenire.

L'eventuale illegittimità delle fonti di tipo costituzionale e primario potrà essere dichiarata solo dalla Corte

costituzionale. Apparentemente affini alle fonti sono le applicazioni in senso "debole" del principio di competenza:

numerose fonti speciali, che sono o fonti specializzate per disciplinare determinati oggetti, o fonti comuni

caratterizzate da un contenuto normativo tipico.

Le fonti di livello costituzionale

Al primo gradino si colloca ovviamente la Costituzione norma fondamentale dell'intero ordinamento nonché della

massima forza di resistenza al cambiamento. Fra le fonti operanti a livello costituzionale, oltre alla Costituzione, si

collocano le leggi di revisione e di integrazione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, quelle cioè cui per

dettato costituzionale è "riservata" alla disciplina di certe materie, esse si differenziano soprattutto per i diversi limiti

che incontrano. Altre fonti di livello costituzionale sono rappresentate dalle norme internazionali generalmente

riconosciute. Sul contenuto delle disposizioni costituzionali possono incidere anche le sentenze della Corte

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costituzionale, sia quelle in tema di conflitti fra i poteri dello Stato, sia quelle in tema di salvaguardia dei supremi

principi costituzionali.

Le fonti primarie

Al di sotto della Costituzione e delle leggi costituzionali si pongono le fonti primarie. La legge rappresenta tuttora la

principale fonte a competenza generale: la tradizionale qualificazione di legge formale significa la capacità della legge

di abrogare e modificare atti normativi precedenti, nonché quella di resistere all'abrogazione e alla modifica da parte di

atti normativi successivi, subordinati dalla legge stessa. Questa caratteristica propria della legge si chiama forza di

legge. Sotto il primo profilo, la "competenza generale" della legge risulta ridimensionata innanzitutto dalla

impossibilità di nascere in violazione delle regole costituzionali che disciplinano il provvedimento legislativo

ordinario, ma anche nel senso che non possono essere violate le ulteriori regole procedimentali che caratterizzano le

leggi ordinarie rinforzate. In secondo luogo, dalla impossibilità di violare principi sostanziali posti dalla Costituzione,

sia nel caso in cui tali principi si presentino come meri limiti positivi, destinati a condizionare in positivo il contenuto

della legge. Rientrano in questo ambito anche quelle definite leggi meramente formali, ossia quelle che rivestono di

forma legislativa un contenuto normativo che non è nella piena disponibilità del Parlamento. Sotto il secondo profilo,

il ridimensionamento della "competenza generale" della legge deriva dalla rottura che la Costituzione opera del

monopolio parlamentare del potere legislativo e dalla nascita della legge regionale anch'essa fonte primaria ma a

competenza sociale. La riserva di legge non esclude l'intervento autonomo di fonti normative diverse dalla legge ma

impone alla legge di disciplinare quella certa materia in modo compiuto (nel caso di riserva assoluta) o in modo da

definire gli elementi principali della normativa in questione (nel caso di riserva relativa). Un limite alla competenza

generale della legge deriva anche dal principio di irretroattività della legge stessa. Oltre alla legge sono da annoverare

i atti aventi forza di legge, ossia i decreti legislativi e i decreti legge. I decreti legislativi sono fonti che si collocano

allo stesso livello della legge ma che tuttavia incontrano dei limiti; limiti con riferimento ai "principi e criteri

direttivi", al "tempo", agli "oggetti definiti". Anche i decreti legge possono considerarsi fonti primarie a competenza

generale: per tali atti non valgono i limiti che incontrano i decreti legislativi, ma valgono i limiti sostanziali che

incontra la legge. Eguale natura di fonte primaria a competenza riservata è da riconoscersi alle leggi regionali e delle

province autonome di Trento e Bolzano. Contrariamente a quanto sostenuto da parte della dottrina, si ritiene oggi che

anche il referendum abrogativo di legge sia da includere tra le fonti normative primarie. Sono equiparate alle fonti

normative primarie nazionali anche i regolamenti e le altre norme comunitarie direttamente applicabili, le quali

impongono al giudice nazionale di disapplicare la legge nazionale che interferisce nella stessa materia disciplinata

dalla fonte comunitaria.

Le fonti secondarie

Se le fonti di livello costituzionale e primario sono da ritenersi " a numero chiuso" altrettanto non può dirsi per le fonti

secondarie. Le fonti secondarie tendono ad ordinarsi in relazione ai diversi livelli amministrativi con un rapporto che è

regolato dalle disposizioni costituzionali e legislative che garantiscono l'autonomia dei livelli di governo locale

rispetto all'assetto amministrativo centrale. Fonte secondaria per eccellenza è il regolamento governativo. La

Costituzione è laconica, limitandosi a stabilire che essi assumono la veste formale di decreti del Presidente della

Repubblica e a tracciare una linea di confine con le fonti primarie laddove essa prevede delle riserve di legge, essa si

colloca al di sotto delle fonti primarie. Ci si è chiesti se la fonte regolamentare debba rispettare oltre che il principio di

legalità formale (ossia trovare il suo fondamento in un espresso atto legislativo), anche il principio di legalità

sostanziale (ossia rispettare anche i criteri dettati dal legislatore nell'attribuzione del potere regolamentare). A livello

regionale, le fonti secondarie sono rappresentate dai regolamenti regionali e da alcune forme di potestà statutarie e

regolamentare previste da leggi regionali a favore di enti pubblici regionali. A livello di enti locali esistono due tipi di

fonti normative secondarie (gli statuti e i regolamenti), con un esplicito vincolo per i regolamenti di rispetto dalle

disposizioni statutarie.

Le fonti e le situazioni di necessità

L‟ordinamento giuridico si fa carico di possibili situazioni di assoluta necessità che possono alterare il normale

funzionamento degli strumenti di disciplina dei rapporti interpersonali e collettivi: sul terreno delle fonti, ciò trova

riscontro palese nella disciplina della decretazione di urgenza e dei poteri normativi in caso di guerra. I bandi militari

come fonti normative di grado primario a ciò delegati dal Comandante supremo; presupposto per l‟adozione di tali

bandi è la presenza di situazioni di necessità. Le ordinanze di necessità conseguono al conferimento ad alcuni organi

amministrativi del potere di adottare “ordinanze con tingibili ed urgenti” in caso di emergenze sanitarie o di igiene

pubblica o di grave pericolo per l‟incolumità ai cittadini: caratteristica tipica di questi atti ad efficacia temporanea è

quella di poter derogare anche alle prescrizioni legislative vigenti, con l‟unico limite rappresentato dai principi

generali dell‟ordinamento giuridico dello Stato. La necessità può essere anche un fatto normativo, che produce i suoi

effetti al di fuori delle stesse regole costituzionali o legislative.

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Le fonti di natura consuetudinaria

Le fonti di natura consuetudinaria rientrano fra le fonti- fatto. Per consuetudine si intende una norma di

comportamento non scritta, di rilevanza collettiva, regolarmente seguita nel gruppo sociale o nell‟ambito territoriale

interessato dalla norma (“longa repetitio”), in quanto ritenuta giusta o necessitata. Il nostro ordinamento giuridico

caratterizzato da atti-fonte scritti, riserva uno spazio marginale alle font consuetudinarie: l‟art. 8 delle “preleggi”

prevede che gli “usi” abbiano efficacia “nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti” soltanto “in quanto sono

da essi richiamati”. Ciò legittima il riconoscimento di un valore giuridico ad alcuni usi secundum legem ed anche

praeter legem; la loro esistenza viene documentata mediante raccolte ufficiali tenute dal Ministero dell‟industria e

dalle Camere di commercio. Gli usi non esauriscono il quadro delle fonti consuetudinarie. La consuetudine si afferma

come un fatto normativo, sulla base della mera effettività dell‟adesione sociale alle sue prescrizioni. Non sempre

comportamenti costanti nel tempo ad integrazione delle disposizioni costituzionali costituiscono consuetudini

costituzionali. Esistono le norme di correttezza costituzionale, che rappresentano mere regole di corretto espletamento

delle funzioni che spettano agli organi fondamentali dello Stato. Alquanto diffuse sono le convenzioni costituzionali e

cioè regole di comportamento che gli organi fondamentali dell‟ordinamento costituzionali si danno per l‟esercizio

delle loro funzioni. Può avvenire che alcune di queste regole vengano progressivamente sentite come obbligatorie e

tendano a trasformarsi in vere e proprie consuetudini vincolanti.

Le fonti derivanti dal rapporto con altri ordinamenti

L‟antica e rigida concezione di una netta separazione fra ordinamento statale ed altri ordinamenti appare ormai

superata su due versanti. Prima di tutto, l‟adattamento automatico alle norme internazionali generalmente riconosciute

appare di grande importanza, poiché inserisce stabilmente nel nostro ordinamento un tipo di fonte appartenente

all‟ordinamento internazionale (ci si trova dinanzi ad un rinvio formale). In secondo luogo, le fonti comunitarie

producono in settori materiali ampi numerose fonti di tipo primario, buona parte delle quali entrano in vigore nel

nostro ordinamento, mentre altre devono essere recepite mediane appositi atti normativi od anche attuate in via

amministrativa. Sono espressione del sistema binario di rapporti fra l‟ordinamento interno e quello internazionale le

leggi di esecuzione dei trattati internazionali, sia che l‟esecuzione intervenga in via ordinaria mediante l‟adozione di

un apposito atto normativo dotato della forza giuridica idonea a dare attuazione all‟accordo, ovvero per semplice

ordine di esecuzione, il quale dovrà essere contenuto in un atto normativo idoneo a dare attuazione all‟accordo. Nel

caso che nella fonte statale ci si riferisca alla fonte del diritto internazionale, questo rinvio sarà un rinvio recettizio e

cioè semplicemente un rinvio alle disposizioni di quella fonte e non a quella fonte di produzione. Se la fonte statale i

riferisce a fonti di produzione di altri ordinamenti, si parla di rinvio formale o mobile, ciò determina l‟ingresso nel

nostro ordinamento delle disposizioni prodotte da quelle fonti esterne.

Il diritto positivo è l’insieme delle norme che compongono l’ordinamento giuridico di una data collettività in un

certo momento storico (positivo in quanto posto dagli organi competenti).

Rispetto al diritto o ordinamento giuridico la norma costituisce uno dei sui elementi base, una delle tante regole da cui

l‟ordinamento giuridico è composto.

Caratteristiche della norma:

generale: in quanto indirizzata alla generalità dei consociati o dei gruppi (es. studenti universitari)

astratta: in quanto detta regola è destinata non al caso specifico ma alle situazioni generali o modelli

prefigurati

imperativa: impone un certo comportamento, pena l‟irrogazione di una pena

Tali caratteri sono tipici, in quanto si riscontrano nella stragrande maggioranza delle norme, ma non sono necessari,

potendo darsi che ci siano norme che ne sono prive.

Da che cosa nascono le norme che compongono il diritto? Il diritto scaturisce da alcune fonti, cioè i fatti dai quali

traggono origine le norme giuridiche.

Fonti del diritto si possono suddividere:

fonti scritte (leggi e regolamenti) o fonti atto

fonti non scritte (consuetudine) i fonti fatto

Gerarchia delle fonti: le fonti hanno differente efficacia o forza normativa poiché alcune hanno prevalenza sulle altre;

in caso di contrasto prevalgono le norme di grado superiore. L‟ordine delle fonti è indicato nell‟art. 1 delle

disposizioni sulla legge in generale.

1. la costituzione e le altre leggi costituzionali

2. i regolamenti comunitario

3. le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge

Page 7: Diritto privato e pubblico riassunti

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4. le leggi regionali

5. i regolamenti governativi

6. gli usi, consuetudini

La costituzione

La costituzione è una legge approvata da un organo legislativo apposito (l‟assemblea costituente) ed entrata in vigore

il 1.1.1948, che contiene le regole fondamentali sull‟assetto politico e istituzionale dello stato italiano. Ha una

rilevanza centrale nell‟intero sistema giuridico; essendo rigida può essere abrogata o modificata solo da un‟altra legge

costituzionale seguendo un procedimento particolare sancito dall‟art.138 cost. Tutte le leggi ordinarie devono

rispettare le previsioni e le scelte sostanziali, altrimenti risulterebbero illegittime per la Corte Costituzionale.

I regolamenti comunitari

I regolamenti comunitari sono atti normativi della UE che hanno diretta efficacia nel territorio degli stati membri e

vincolano pertanto i cittadini dei singoli Stati al pari delle norme di fonte statuale sempre nel rispetto della

costituzione.

Le direttive e le raccomandazioni, invece, non hanno efficacia normativa diretta e immediata, infatti svolgono una

funzione di indirizzo e orientamento delle attività dei singoli stati.

Le leggi ordinarie

Le leggi ordinarie dello Stato sono le fonti di diritto più numerose e di contenuto più ampio. Sono atti normativi

emanati dal Parlamento secondo le regole dettate per la loro formazione (art 70 ss.) e ad esse sono equiparati i decreti

legge e i decreti legislativi.

I decreti legge sono atti aventi forza di legge emanati dal governo in cosi straordinari di necessità e urgenza.

I decreti legislativi sono invece emanati dal governo in forza di una apposita legge delega delle camere.

Il codice civile, è un atto avente forza di legge al pari dei codici di procedura civile,penale, della navigazione, il suo

valore è equiparato alle leggi ordinarie.

Le leggi regionali.

Le leggi regionali sono atti normativi emanati dalla regioni nell‟ambito della potestà legislativa ad esse attribuita,

maggiore per le regioni a statuto speciale, più ristretta per le regioni a statuto ordinario. Hanno naturalmente

limitazione territoriale (art.75 ss cost.)

I regolamenti

I regolamenti sono atti normativi emanati da autorità amministrative per disciplinare la pratica applicazione delle

leggi, o in casi determinati per dettare la disciplina di singole materie. Tale potestà compete al governo e gli altri

organi dell‟esecutivo.

Ci sono diversi tipi di regolamenti:

regolamenti esecutivi: essi disciplinano la pratica applicazione della legge

regolamenti integrativi: integrano, completano, dettando una disciplina sostanziale della materia,

eventualmente abrogando precedenti leggi. In tal caso occorre autorizzazione da una apposita legge che ne

fissi i limiti e i confini

regolamenti indipendenti:sono emanati in materie non disciplinate dalla legge

regolamenti organizzativi: disciplinano l‟organizzazione e il funzionamento degli uffici e l‟esercizio delle

relative funzioni. Tale potere spetta ad es. regioni, comuni etc.

Le fonti non scritte. Gli usi

L‟uso e la consuetudine è quella norma o regola che nasce spontaneamente nel corpo sociale per effetto della costante

osservanza, protratta nel tempo, di una certa condotta.

Perchè si abbia un uso normativo occorrono due requisiti:

1. oggettivo: la uniforme, ripetuta osservanza

2. soggettivo e psicologico: la convinzione della obbligatorietà di quel comportamento in quanto conforme ad

una regola giuridica

Per giurisprudenza s‟intende comunemente l‟attività di interpretazione e applicazione delle norme giuridiche svolta

istituzionalmente dai giudici.

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Per dottrina s‟intende invece l‟attività di interpretazione e chiarimento delle norme giuridiche svolta dagli studiosi.

La giurisprudenza è un‟importante fattore non solo di conoscenza e interpretazione delle norme ma anche di creazione

del diritto.

Le fonti del diritto

Sono tutti gli atti e i fatti con capacità di creare, integrare o modificare le regole giuridiche. La Costituzione appartiene

perciò a pieno titolo al sistema delle fonti.

Le regole giuridiche, come sostenuto precedentemente, possono derivare da un meccanismo formale di creazione di

norme giuridiche (e si parla in questo caso di fonti atto), ma anche da fatti o comportamenti umani che si ripetono nel

tempo e che per questo motivo possono assumere carattere obbligatorio e, di conseguenza valore giuridico. Nella

fattispecie si tratterà allora di fonti fatto. I due casi più tipici di fonti fatto sono la consuetudine e la prassi

amministrativa. Generalmente le fonti fatto sono recessive rispetto alle fonti atto. Peraltro è lo stesso legislatore che

rinvia alle fonti fatto per integrare le fonti atto. È facile trovare, infatti, all‟interno di una legge, l‟espressione “si rinvia

agli usi…”.

Le fonti atto sono invece veri e propri atti giuridici che devono essere adottati da organi competenti a creare,

modificare ed integrare il diritto, secondo determinate procedure stabilite da altre regole giuridiche. Per la produzione

di atti giuridici devono quindi verificarsi necessariamente due condizioni fondamentali:

il soggetto deve essere competente per l‟adozione dell‟atto stesso;

per adottare l‟atto deve essere seguita una specifica procedura disciplinata dalla legge.

Se manca anche una sola delle due condizioni, l‟atto è da ritenersi illegittimo.

La competenza per l‟ordinamento giuridico nel nostro ordinamento riguarda lo Stato, cioè spetta al Parlamento. Da ciò

discende che se una legge di competenza statale fosse adottata dal Consiglio Regionale o dal Governo non sarebbe

valida così come non lo sarebbe se fosse approvata comunque dal Parlamento, ma non seguisse l‟iter previsto per la

sua creazione.

Le caratteristiche delle fonti del diritto

Quando un atto giuridico può essere considerato come fonte di diritto? Non tutti gli atti giuridici, infatti, sono fonti. Si

consideri quale esempio l‟autorizzazione ad aprire un esercizio commerciale. Essa è sicuramente un atto giuridico, ma

non una fonte.

Le caratteristiche delle fonti del diritto sono essenzialmente tre:

1) la generalità. Gli atti giuridici sono destinati cioè ad una pluralità indeterminata ed a priori indeterminabile di

soggetti;

2) l‟astrattezza. Per essere fonte l‟atto deve disciplinare una fattispecie astratta e si applica a tutti i casi concreti

riconducibili a tale fattispecie. Il Testo Unico in materia di edilizia, ad esempio, non disciplina il rilascio di una

concessione edilizia ad un determinato individuo (il Signor Mario Rossi), disciplina invece la fattispecie astratta di

come venga rilasciata una generica concessione edilizia.

3) l‟innovatività. La legge deve cioè “innovare”, contenere qualcosa di nuovo rispetto ad una precedente,

modificandola o integrandola, oppure essere totalmente nuova in materia.

Il sistema delle fonti

Le fonti del diritto devono essere coerenti tra di loro, ovvero una non può contraddire l‟altra. Per assicurare ciò

bisogna stabilire una particolare gerarchia tra loro e determinare successivamente dei criteri per evitare o rischiare

situazioni di incoerenza.

Le varie tipologie di fonti sono rappresentabili nel seguente modello gerarchico piramidale al cui vertice si trovano le

fonti costituzionali, e, a seguire, nell‟ordine, le fonti primarie, le fonti secondarie e le consuetudini. È immediato

dedurre che la fonte di grado superiore prevarrà su quella di ordine inferiore.

Le fonti fatto occupano, come si nota, l‟ultimo posto. Quando però le consuetudini assumono una particolare

pregnanza per la comunità di riferimento tendono ad essere trasformate in fonti atto.

Le fonti di livello costituzionale

Le fonti di livello costituzionale sono individuate dalla Costituzione, ma anche dalle leggi costituzionali, le leggi di

revisione costituzionale, da norme internazionali generalmente riconosciute e dalle sentenze della Corte

Costituzionale.

Che cosa sono le leggi costituzionali? Sono leggi del Parlamento, adottate con procedura aggravata e quindi non

possono essere modificata da leggi ordinarie. Non sono però articoli della Costituzione come si potrebbe erroneamente

pensare. Sono leggi costituzionali ad esempio gli Statuti delle Regioni autonome a statuto speciale.

Le leggi di revisione costituzionale sono diverse dalle precedenti leggi costituzionali in quanto presentano un oggetto

diverso. Si propongono infatti, come si evince facilmente dal nome stesso, di modificare la Costituzione. Si tratta di

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leggi di rango costituzionale che non si affiancano alla Costituzione, bensì la modificano. Un esempio è la legge di

revisione costituzionale 3/2001 del 18 ottobre 2001 ha modificato il Titolo V della Costituzione.

Tra le norme internazionali che ricadono nelle fonti di natura costituzionale possiamo citare il trattato dell‟Unione

Europea.

Infine anche le sentenze della Corte Costituzionale sono dotate di efficacia giuridica di livello costituzionale e

conseguentemente non possono essere messe in discussione dal legislatore.

Le fonti di livello primario

Si trovano ad un livello gerarchicamente inferiore alle fonti di livello costituzionale, al “gradino” immediatamente

sottostante. Quantitativamente sono però le più importanti. Tra esse troviamo:

la legge formale ordinaria, quella adottata dal Parlamento. Si caratterizza per la presenza della forza di legge. Che

cosa si intende per forza di legge? Significa che è capace di abrogare o modificare una legge preesistente, mentre

resiste all‟abrogazione da parte di atti successivi di livello inferiore. Un‟anomalia in questo senso è rappresentata

dai regolamenti delegati;

gli atti aventi forza di legge. Sono adottati dal Governo nella forma del decreto legge o del decreto legislativo.

i regolamenti della Camera dei Deputati e del Senato. Non è possibile immaginare che le funzioni delle Camere

siano disciplinate da altre norme, perché altrimenti verrebbe ad esserne violata l‟autonomia;

i regolamenti e le direttive comunitarie;

le leggi regionali a competenza riservata.

Le fonti di livello secondario

Sono:

i regolamenti di vari soggetti pubblici quali il Governo, le Regioni, le amministrazioni indipendenti, le

università… Le amministrazioni (o autorità) indipendenti sono amministrazioni dell'ordinamento giuridico

italiano che agiscono in modo indipendente rispetto al Parlamento e al Governo in settori in cui è di particolare

rilevanza la figura di un soggetto imparziale rispetto agli interessi pubblici in gioco. I poteri essenzialmente

attribuiti a queste autorità sono di regolazione, sorveglianza, controllo e sanzionatori nei confronti dei soggetti che

agiscono in questi ambiti. Tra le varie, sono amministrazioni indipendenti la Banca d'Italia, la CONSOB

(Commissione Nazionale per le Società e la Borsa), il Garante per la Protezione dei Dati Personali… Da un punto

di vista quantitativo i regolamenti sono le fonti di livello secondario più importanti;

gli Statuti degli enti pubblici;

gli effetti di referendum regionali e locali.

Le fonti di livello secondario hanno due principali caratteristiche:sono articolate ossia sono da ordinare in relazione ai

diversi livelli di governo ed alla diversa tipologia delle fonti primarie cui sono accessorie e sono aperte cioè per esse

non è possibile trattare un elenco esaustivo, né tantomeno operare una riconduzione ad unitarietà. Non sono quindi

catalogabili in un elenco a numero chiuso. Ciò che le lega è la presenza congiunta delle caratteristiche delle fonti del

diritto: generalità, astrattezza, innovatività. Quando l‟università adotta un regolamento sulla didattica adotta una fonte

di livello secondario; la ricostruzione di una carriera universitaria non lo è, in quanto atto specifico, rivolto ad un solo

studente.

10.10.2006

Le fonti di tipo consuetudinario

Occupano il gradini più basso della piramide gerarchica delle fonti. In passato hanno avuto un‟importanza dominante,

ora questa si è parecchio ridimensionata rispetto a quella delle fonti di grado superiore.

Esse pongono delle regole di comportamento non scritte le quali presentano però importanza sociale. Questa è però

una condizione necessaria, ma non sufficiente affinché le consuetudini diventino rilevanti. Per essere rilevanti, infatti,

esse necessitano di due elementi fondamentali, uno materiale e uno psicologico.

Per quanto concerne il primo, occorre ravvisare nella consuetudine un comportamento costante ed uniforme.

Per quanto riguarda il secondo, invece, deve esistere la convinzione, da parte dei membri di una collettività o di un

certo territorio che tale comportamento sia obbligatorio.

L‟abitudine di recarsi nei centri commerciali la domenica, ad esempio, non può essere considerata giuridicamente una

consuetudine in quanto tale comportamento non è certo percepito come obbligatorio, è una libera scelta.

La prassi amministrativa, al contrario, è da ritenersi una consuetudine.

Le consuetudini possono essere di tipo diverso:

secundum legem, ovvero in conformità con la legge;

praeter legem, cioè a prescindere dalla legge.

In nessun caso possono essere contra legem (contro la legge).

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Nelle materie regolamentate dalla legge le consuetudini sono ammesse in quanto da esse richiamate. Perciò, se non

vengono evocate, non hanno valore. Questo indica palesemente come il ruolo della consuetudine sia secondario

rispetto alle altre fonti del diritto.

Le consuetudini finora esaminate non devono in alcun modo essere confuse però con le consuetudini costituzionali ed

internazionali. Queste ultime infatti sono speciali consuetudini che per il tipo di comportamento che vengono a

disciplinare o perché dotate di valore internazionale rivestono una particolare importanza a livello giuridico e possono

conseguentemente influire sull‟applicazione di disposizioni di legge. Un esempio di consuetudine costituzionale è

rappresentato dalle cosiddette consultazioni del Presidente della Repubblica nell‟iter di formazione del nuovo

Governo.

L’antinomia tra le fonti

Il problema maggiore che può sorgere all‟interno di un ordinamento giuridico cioè in un sistema organizzato di regole

giuridiche è costituito dal presentarsi di antinomie. Si consideri come esempio il caso di una direttiva comunitaria che

prescrive un comportamento all‟interno di un determinato ambito e una legge nazionale che prescriva invece un

comportamento diverso nella medesima situazione. Quale norma si applica?

Appare evidente quindi che debbano esistere particolari criteri che risolvano le antinomie tra le fonti.

Il primo criterio è quello gerarchico: la fonte di grado superiore prevale su quella di grado inferiore. Ci si riconduce

perciò al sistema gerarchico delle fonti. Tale criterio è applicabile ad antinomie a livello verticale: se una fonte

secondaria è in contrasto con una primaria (nella pratica: se un regolamento è in contrasto con una legge ordinaria),

prevale quest‟ultima. Un caso concreto frequente di antinomia verticale è il seguente: un provvedimento

amministrativo rilasciato in base ad un regolamento in contrasto con una legge. Il provvedimento in questione è da

ritenersi palesemente illegittimo ance se rilasciato applicando correttamente il regolamento. Il criterio gerarchico è un

criterio di prevalenza tendenziale: si applica cioè quando viene rilevata l‟antinomia, altrimenti due norme in contrasto

possono coesistere finché non ne venga evidenziato il conflitto.

Le antinomie però possono essere riscontrate anche a livello orizzontale, cioè tra due norme dello stesso livello. In

questo caso sono applicabili più criteri:

cronologico: a parità di grado, la fonte approvata successivamente prevale su quella approvata precedentemente in

quanto la fonte più recente viene ritenute essere la più vicina alla volontà del legislatore. Una legge del 2006

perciò prevarrà su una in contrasto del 1950;

competenza: la fonte adottata dall‟organo che ha competenza in una certa materia prevale sulle altre fonti di pari

grado. Se la Costituzione cioè prevede che la competenza in materia di servizi sociali spetti alle Regioni, una

legge della Regione Lazio (quindi una legge regionale a competenza riservata) prevale su una nazionale in

contrasto con essa;

specialità: a parità di grado, la fonte che detta regole con carattere di specialità prevale su quella che detta regole a

livello generale. Si considerino la legge 7 agosto 1990 n. 241, altrimenti nota come Regolamento sul

Procedimento Amministrativo1 ed il Testo Unico sull‟edilizia che detta regole specifiche su certi provvedimenti

amministrativi, quali le concessioni edilizie. Le due fonti sono a volte in contrasto ad esempio in materia di

accesso agli atti. Per superare l‟antinomia si applica allora il criterio di specialità ed il Testo Unico di conseguenza

ha la prevalenza sulla legge.

L’interpretazione delle fonti

I criteri interpretativi si applicano ai primi tre livelli di fonti ossia alle fonti atto. Per ricavare una regola dalle fonti

atto, non basta la disposizione normativa, cioè una mera lettura, ma occorre altresì una sua interpretazione che ricavi

da essa la regola giuridica. in altri termini, dalla lettura del testo ricaviamo della disposizioni normative, da queste

dobbiamo ricavare poi delle norme e questo non è sempre immediato. Per tale motivo esistono dei criteri interpretativi,

relativi al metodo oppure al soggetto.

Tra i criteri interpretativi relativi al metodo è possibile distinguere tra :

o interpretazione logico – letterale in virtù della quale si attribuisce alla disposizione il significato letterale che la

norma assume;

o interpretazione logico sistematica: si applica quando la disposizione si presta a significati plurimi. Si pensi ad un

testo di legge che riguarda la denuncia di inizio attività. È possibile che non risulti sempre chiaro se per realizzare

una ristrutturazione sia sufficiente la presentazione di una D.I.A. o sia invece necessario richiedere una

1 modificata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15. il procedimento amministrativo e l’accesso agli atti sono disciplinati in

Trentino Alto Adige dalla L.R. 13 del 31 luglio 1993, “Norme in materia di procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti amministrativi”.

Page 11: Diritto privato e pubblico riassunti

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concessione edilizia2. L‟interpretazione allora avviene facendo riferimento al sistema delle regole che disciplina

una certa materia, cioè si interpreta la disposizione attribuendole il significato che la rende più coerente col

sistema delle disposizioni che disciplinano una certa materia ossia col settore normativo in cui la regola si

inserisce.

o interpretazione analogica: mira ad applicare ad un caso che non è disciplinato da una disposizione ad hoc, una

norma esistente nell‟ordinamento che regola un caso analogo. Si pensi ad esempio alla circolazione dei windsurf

sul lago di Garda. Non esiste una regola in merito. Cosa succede se due surfisti si scontrano? In virtù

dell‟interpretazione analogica si fa riferimento allora ad un caso analogo considerando come il codice della

navigazione disciplini il caso di uno scontro fra natanti. È importante quindi rilevare come in questo caso non si

disciplinino le fonti, bensì i casi analoghi;

o interpretazione teleologica: per cui si considera il significato assunto in base alle finalità che la legge si propone.

In greco infatti teleos = fine. È il criterio meno applicato.

La seconda ripartizione riguarda invece i soggetti. A tal proposito si distingue tra:

o interpretazione autentica. Si parla di interpretazione autentica quando è operata dal soggetto che ha adottato la

norma, l‟atto fonte, cioè dal legislatore;

o interpretazione giurisprudenziale, quando è operata dal giudice. Assume il carattere della definibilità. La decisione

del giudice può diventare vincolante e non può più essere messa in discussione. Un esempio pratico è costituito

dalle sentenze della Corte di Cassazione. Va posta però particolare attenzione a non confondere tale tipologia di

interpretazione con il principio dello stare decisis: la sentenza infatti è vincolante solo e soltanto per il caso

specifico sul quale il giudice ha deliberato;

o interpretazione dottrinale: viene operata dagli studiosi di diritto. Assume perciò un valore teorico, non vincolante,

anche se può essere una guida per l‟interpretazione: si pensi ad un articolo scritto da un professore e pubblicato in

una rivista giuridica.

Capitolo 3: Le Persone fisiche

Soggetto del rapporto giuridico: indica un aspetto qualitativo;il titolare delle posizioni giuridiche soggettive. Il

soggetto, cioè, non è solo il destinatario delle norme, colui al quale si indirizza il comando, ma costituisce anche il

punto di riferimento, il centro di imputazione, come anche si dice, di situazioni giuridiche soggettive. La qualità di

soggetto è attribuita anche a entità diverse dagli uomini (es. associazioni, spa) che rappresentano soggetti di diritto

chiamati enti giuridici.

Capacità giuridica: indica un aspetto quantitativo; indica la più o meno attitudine a essere titolari di posizioni

giuridiche soggettive. Esprime la misura in cui un soggetto è ammesso a essere parte di rapporti giuridici. La capacità

giuridica si distingue in:

Capacità giuridica generale, attribuita alle persone fisiche (esseri umani) e a persone giuridiche (enti). Essi

hanno piena personalità giuridica

Capacità giuridica parziale è attribuito al altri enti(associazioni non riconosciute, società di persone..). Essi

non hanno piena personalità giuridica.

Acquisto della capacità giuridica. Il concepito

Art. 1 c.c. dispone che la capacità giuridica, come generale attitudine a essere titolare di diritti e di doveri, si

acquista al momento della nascita.

La nascita è una condizione necessaria e sufficiente e non occorre anche la vitalità per acquisire cap. giuridiche. Si

faccia il caso di un bambino che nasca dopo la morte del padre: l‟acquisto dell‟eredita paterna si consolida

definitivamente con la nascita e, anche in caso di morte sopravvenuta poco tempo dopo, i beni andranno ai suoi eredi

(cioè la mamma); viceversa, se il bambino fosse nato morto l‟eredità si sarebbe divisa fra la madre (in quanto coniuge)

e alcun parenti.

Alcuni diritti sono riconosciuti dalla legge anche prima della nascita, la legge considera due ipotesi: nascituro

concepito, nascituro non ancora concepito.

Il concepito gode di diritti personali e patrimoniali che sono subordinati all‟evento della nascita.

Diritti personali: nel quadro della legge delle procreazioni assistite sono vietate le modifiche agli embrioni, le

clonazioni, vietata la commercializzazione e la produzioni di embrioni, ed è vietato interrompere la gravidanza se non

in alcune ipotesi.

Diritti patrimoniali: capacità di succedere per causa di morte e di ricevere donazioni e testamento.

2 La concessione edilizia va richiesta solo in caso di ristrutturazione con ampliamento volumetrico. Per tutti gli altri casi è

sufficiente la presentazione di un D.I.A. a 30 giorni.

Page 12: Diritto privato e pubblico riassunti

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Il nascituro non ancora concepito può essere beneficiario di una donazione o di un testamento.

Sono limitazioni alla capacità giuridica, le incapacità speciali che sono determinate:

Dall‟età (divieto di lavoro per i minori di 15 anni)

Dallo stato delle persone (divieto di sposarsi delle persone legate da vincoli di parentela, per chi è interdetto o

già sposato)

Dall‟ufficio ricoperto (divieto per i pubblici amministratori di rendersi acquirenti dei beni degli enti da essi

amministrati).

Dove l‟incapacità si renda ugualmente parte di tali rapporti l‟atto negoziale sarà nullo e il rapporto privo di effetti.

Capacita di agire: consiste nell‟idoneità a disporre della propria sfera giuridica, e perciò a esercitare i diritti di cui si

sia titolari e ad assumere direttamente obbligazioni. Essa si acquista al diciottesimo anno d‟età, poiché si pensa che la

persona abbia raggiunto un adeguato livello di maturità e sia in grado di provvedere ai propri interessi. Essa

naturalmente presuppone la capacità giuridica.

Incapacità di agire: la legge n. 6/2004 ha introdotto significative modifiche al codice civile; si è prevista la possibilità

di consentire agli incapaci il compimento di alcuni atti per l‟innanzi vietati, e si è introdotto un nuovo istituto,

l’amministrazione di sostegno, che intende approntare un sistema di tutela più articolato e flessibile, nella ricerca di

equilibrio tra due esigenze di fondo: garanzia della libertà della persona e la sua protezione. L‟incapacità si distingue

in:

1. incapacità relativa di agire:

a) l‟amministrazione di sostegno

b) inabilitazione

c) emancipazione

2. incapacità generale di agire

a) minore età

b) interdizione giudiziale

c) interdizione legale

d) incapacità naturale

Incapacità relativa di agire.

a) Amministrazione di sostegno: è l‟istituto generale diretto a provvedere alle esigenze di protezione della

persona che per effetto di menomazioni fisica o psichica, si trova nell‟impossibilità di provvedere ai propri

interessi. Es. malati di mente, tossici i quali hanno bisogno di un amministratore di sostegno nominato dal

giudice che con lo stesso decreto indica specificamente quali atti il beneficiario(tossico) può fare con

l‟assistenza dell‟amministratore e quali l‟amministratore può compiere in nome e per conto del beneficiario.

Si capisce che qualsiasi altro atto che non richieda la rappresentanza o l‟assistenza dell‟amministratore spetta

al beneficiario.

b) Inabilitazione: se l‟istituto dell‟amministrazione di sostegno si rileva inidoneo può farsi luogo la

inabilitazione dell‟incapace. L‟inabilitazione consegue a una sentenza giudiziale che accerta uno stato di

ridotta, ma non inesistente, attitudine a curare i propri interessi. Possono essere inabilitati tossici alcolizzati,

malati di mente, ciechi muti nel caso in cui non siano compensate da una “educazione sufficiente”.

L‟inabilitato gode di capacita di agire con riguardo agli atti di ordinaria amministrazione mentre per gli atti di

straordinaria amministrazione ha bisogno di un curatore.

c) Emancipazione: un minore al quale viene conferita una parziale capacità di agire. L‟ emancipazione è la

condizione che consegue il diritto al matrimonio per un minore. Emancipato potrà compiere solo atti di

ordinaria amministrazione e con l‟assistenza del curatore gli atti di straordinaria amministrazione.

Incapacità generale di agire.

a) Il minore d’eta si trova uno stato di incapacità generale di agire in quanto tutte le decisioni personali e

patrimoniali che lo riguardano sono di competenza del suo legale rappresentante (genitori o tutore).

b) Interdizione giudiziale: una persona maggiore di età che sia del tutto incapace di provvedere ai sui interessi è

detta interdetta. Interdizione segue a un apposito procedimento giudiziale che si conclude con la sentenza di

interdizione o di rigetto. L‟interdetto si trova nella stessa situazione di un minore. (tutore)

c) Interdizione legale: è una pena accessoria che discende da una condanna penale all‟ergastolo o alla reclusione

per un tempo non inferiore a cinque anni. Tale interdizione si connette automaticamente con la condanna e si

protrae fin quando duri la condanna stessa. (tutore)

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d) Incapacità naturale: è la condizione inversa rispetto ad a) b) infatti il soggetto pur essendo legalmente capace,

è di fatto incapace di intendere e di volere vuoi perchè non ancora interdetto oppure perchè si trovava in stati

di ubriachezza, sotto stupefacenti, ipnosi… Per tali ipotesi la legge interviene a tutela del soggetto

provvedendo alla possibilità di annullare l‟atto compiuto con la prova dello stato di alterazione delle sue

facoltà mentali, detta interdizione naturale.

Per altri atti la legge distingue due ipotesi:

a) gli atti unilaterali sono annullabili se ne deriva un grave pregiudizio al suo autore.

b) i contratti sono annullabili solo se risulta la malafede dell‟altro contraente, e cioè se si provi che questi

conosceva l‟alterata condizione della controparte.

La rappresentanza legale. La tutela

Nei casi di limitazione della capacità di agire per provvedere alla cura degli interessi della persona ci sono due modi:

o si attribuisce ad un altro soggetto il potere di sostituirsi all‟incapace, e di compiere da solo gli atti necessari (cd.

rappresentanza legale e applicata nei casi di incapacità generale di agire ); o affiancando all‟ interessato una persona

che lo assista nel compimento degli atti (cd. Assistenza applicata nei casi di capacità relativa di agire).

a) primo caso: Incapacità generale di agire rappresentante legale e tutore

b) secondo caso: Incapacità relativa di agireamministratore e curatore

Capitolo 4: Enti giuridici

All‟interno della società non ci sono solo persone fisiche, ma operano anche una serie innumerevole di gruppi,

organizzazioni sociali, istituzioni che hanno il compito di realizzare gli interessi umani di varia natura.

Gli enti giuridici sono figure nelle quali si riscontra un vero e proprio centro di interessi, dotato di propria

individualità e portatori di autonome esigenze che non si identificano ne si esauriscono in quelle dei suoi membri e

pertanto tutelati in questi loro interessi tramite l‟attribuzione di proprie posizioni giuridiche soggettive.

Si distinguono in due categorie generali di enti:

1. enti dotati di personalità giuridica: stato, regioni comuni enti pubblici, associazioni riconosciute, società di

capitali. Tali enti hanno piena capacità giuridica, sono cioè persone giuridiche in senso proprio, e una

autonomia patrimoniale perfetta, cioè vi è una netta separazione tra il patrimonio dell‟ente e quello dei suoi

membri.

2. enti non personificati: associazioni non riconosciute, comitati società di persone. Tali enti hanno una ridotta

capacità giuridica e una autonomia patrimoniale imperfetta (manca una netta distinzione tra il patrimonio

dell‟ente e quello dei sui membri. Es. per i debiti delle società di persone risponde sia il capitale della società

ma anche quello dei membri)

La personalità giuridica si acquista solo a seguito di una formale attribuzione:

direttamente dalla legge: es. istituzione per legge di nuovo comune o di un ente pubblico

dall‟iscrizione in appositi registri: es. registro d‟impresa

Un'altra distinzione degli enti si basa sulla natura pubblica o privata di tale ente:

1. enti pubblici

enti territoriali: stato,regioni, province, comuni

enti non territoriali: Inps, Inail, Asl….

2. enti privati

enti associativi(o corporativi): caratterizzati dalla pluralità di persone e dallo scopo

o scopo di lucro: società

o scopo non di lucro: associazioni

enti amministrativi: sono caratterizzati dalla presenza di un patrimonio vincolato ad uno scopo.

Rientrano in questa categoria le fondazioni e i comitati.

Alcune considerazioni: Gli enti tradizionalmente ascritti al diritto privato generale sono le associazioni, riconosciute e

non riconosciute, le fondazioni e i comitati. Gli enti che costituiscono vere e proprie persone giuridiche, dunque, sono

forniti di personalità, cioè hanno capacità giuridica generale e autonomia patrimoniale perfetta La pienezza di capacità

giuridica significa che l‟ente è in grado di essere titolare di tutte le posizioni giuridiche che corrispondono ai suoi

interessi. La vita dell‟ente è regolata dallo statuto, che è il complesso delle norme regolamentari interne. Esso può

essere contenuto nell‟atto costitutivo, ma può anche essere rimesso alle determinazioni dell‟assemblea dei soci. L‟ente

opera a mezzo di organi, e cioè di persone, o insiemi di persone fisiche, a cui è affidata la specifica funzione di

Page 14: Diritto privato e pubblico riassunti

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assumere e di attuare le decisioni relative alla vita dell‟ente stesso. Si dice che gli organi hanno la rappresentanza

dell‟ente.

Le associazioni riconosciute

L‟associazione riconosciuta è una organizzazione stabile di persone fornita di personalità giuridica, che persegue un

fine non di lucro.(scopo può essere culturale,ricreativo, assistenziale, o con rilevanza economica ma il suo scopo non

può essere quello di distribuire il profitto dell‟attività ai sui soci). L‟ associazione nasce con l‟atto costitutivo e il

riconoscimento deriva dall‟iscrizione nell apposito registro che attribuisce personalità giuridica.

Beneficiari dell‟attività e dei servizi possono essere i soci o terzi.(es. caseificio dove i soci portano il latte detto anche

consorzio, ente che organizza mostre ecc).

Sono organi dell‟associazione l‟assemblea dei soci e gli amministratori.

L‟assemblea dei soci è l‟organo principale e ad essa spettano l‟indirizzo complessivo e le scelte fondamentali

dell‟attività.(mutamento dello scopo, lo scioglimento…..)

Gli amministratori sono organo esecutivo dell‟ente, lo rappresentano all‟esterno, lo gestiscono, si adoperano per

l‟esecuzione delle delibere assembleari(quelle dell‟assemblea dei soci).

Se sopravviene una causa per lo scioglimento dell‟ente (es. per delibera dei soci, per impossibilita al raggiungimento

dello scopo, venir meno dei soci) si passo alla fase di liquidazione dove vengono liquidate tutte le obbligazioni e

compiuta tale liquidazione, la persona giuridica si estingue.

Le associazioni non riconosciute

L‟associazione non riconosciuta è una organizzazione stabile di persone, priva di personalita giuridica, diretta a uno

scopo non di lucro.

Nella realtà sociale esse occupano un posto rilevante. Basti pensare chi i partiti politici e i sindacati operano nella

forma di enti non personificati (il motivo, secondo me, risiede nel fatto che questi enti non sono sottoponibili a

controlli amministrativi sul patrimonio, mancano di pubblicità dichiarativa quindi è più facile…..nascondere i

sodi!!!!!!!!!!!!!)

Le fondazioni

La fondazione è una istituzione dotata di personalità giuridica caratterizzata a un patrimonio vincolato al suo scopo.

Il solo organo nelle fondazioni sono gli amministratori vincolati anch‟essi allo scopo stabilito dal fondatore.

L‟ente sorge con l‟atto costitutivo e il riconoscimento deriva dall‟iscrizione nel registro che attribuisce personalità

giuridica. per liquidazione, e la pubblicità vale sempre la stessa cosa.

I comitati

Il comitato è un gruppo di persone organizzato per la raccolta di fondi destinati ad un fine determinato. È possibile che

il comitato chieda la personalità giuridica, ma si tratta di ipotesi non frequente perché il fenomeno si caratterizza

socialmente per il carattere non permanente della loro . attività. Il comitato si sciogli solitamente al raggiungimento

dello scopo o esauriti i fondi. (es. comitato che si adopera ad raccogliere fondi o prestare direttamente assistenza a

persone che sono state colpite dal terremoto)

Capitolo 5: Il corpo elettorale

Popolo e corpo elettorale

L'articolo 1.2 della costituzione Repubblicana afferma che "la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle

forme e nei limiti della costituzione". La costituzione prevede dunque che l'esercizio delle funzioni dello Stato non

possa avvenire se non in seguito alla consultazione del corpo elettorale, costituito appunto dal popolo. Il concetto di

nazione individua quegli elementi etnici, linguistici, culturali e sociali che costituiscono il patrimonio di una

determinata collettività. La nozione di popolazione designa l'insieme dei soggetti, cittadini e non, che risiedono in un

determinato momento sul territorio dello Stato e sono tenuti a rispettarne le leggi. Elemento fondamentale per

l'esercizio dei diritti connessi alla titolarità della sovranità è invece il possesso della cittadinanza, che può essere

acquistata in diversi modi: secondo il principio dello "iure sanguinis", acquista la cittadinanza italiana il figlio, anche

adottivo, di genitori in possesso della cittadinanza italiana; secondo il principio dello "iure soli", colui che è nato nel

territorio nazionale da genitori ignoti o apolidi (privi di cittadinanza); sei mesi di residenza nel territorio della

Repubblica, se richiesto dal soggetto interessato; tre anni dalla data di matrimonio; straniero che ha prestato servizio

alle dipendenze dello Stato per almeno cinque anni; cittadino di uno degli stati membri della CEE è residente da

almeno quattro anni nel territorio della Repubblica. La perdita della cittadinanza può venire o per rinunzia o

automaticamente. La cittadinanza perduta può essere riacquistata a richiesta dell'interessato qualora vi siano particolari

Page 15: Diritto privato e pubblico riassunti

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presupposti. La cittadinanza europea si acquista in virtù del possesso della cittadinanza di uno degli stati membri e

comporta il riconoscimento di una serie di diritti che riguardano il diritto alla tutela da parte dell'autorità diplomatiche

di uno qualunque degli stati membri. I cittadini dell'unione devono chiedere l'iscrizione in un'apposita lista elettorale,

che consente di acquisire l'elettorato attivo e passivo (eccetto l'eleggibilità a sindaco o a vicesindaco) dello Stato in cui

risiede.

Le funzioni del corpo elettorale

Le funzioni che spettano al corpo elettorale consistono nell'elezione dei propri rappresentanti del Parlamento nazionale

e in quello europeo, nei consigli regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali. La costituzione prevede inoltre

alcune forme di esercizio diretto della sovranità da parte del corpo elettorale, come l'istituto della petizione,

dell'iniziativa popolare e del referendum.

La funzione elettorale

L'articolo 48 della costituzione fissa i principi fondamentali in materia di esercizio della funzione elettorale. Le

caratteristiche del voto sono la personalità, l'uguaglianza, la libertà e la segretezza. Vengono individuati inoltre i

requisiti positivi (cittadinanza e maggiore età) e negativi (incapacità o indegnità morale) della cosiddetta capacità

elettorale.

Le caratteristiche del voto

La personalità del voto sta a indicare il divieto di introdurre regole che consentano all'elettore di esercitare la funzione

elettorale attraverso un altro soggetto (il cosiddetto voto per delega). L'uguaglianza indica il divieto di introdurre

regole elettorali che abbiano come conseguenza l'attribuzione ad alcuni soggetti di un peso elettorale maggiore rispetto

quello di altri. Libertà e segretezza stanno indicare l'obbligo di predisporre modalità di esercizio del diritto di voto che

garantiscano la possibilità di esprimere, senza alcun condizionamento, la propria volontà elettorale. L'articolo 48

definisce, inoltre, l'esercizio del diritto di voto come dovere civico.

La capacità elettorale

La capacità elettorale riassume i requisiti necessari per l'acquisto del diritto di elettorato attivo e passivo. I requisiti

positivi sono alla cittadinanza e la maggiore età. La legge costituzionale 1/2001 ha previsto l'istituzione di una

"circoscrizione estero" per l'elezione del Parlamento nazionale, assegnando 12 seggi per la Camera dei deputati e 6

seggi per il Senato. I membri del Senato vengono eletti da coloro i quali abbiano compiuto il venticinquesimo anno di

età. L'età richiesta per l'elettorato passivo è 25 anni per la Camera dei deputati, 40 anni per essere eletti Senatori e 50

anni per essere eletti Presidente della Repubblica. I requisiti negativi della capacità elettorale sono l'esistenza di cause

di incapacità civile (infermi di mente o interdetti), provvedimenti definitivi del giudice (dichiarazione di fallimento) o

cause di indegnità morale (i membri di casa Savoia). Per quanto riguarda l'elettorato passivo, i requisiti negativi sono

rappresentati dalle cause di ineleggibilità (esercizio di carica che pongono il soggetto in una situazione di vantaggio

rispetto agli altri candidati) o di incompatibilità (che può essere rimosso rinunciando ad una delle due cariche, come

deputato e Senatore, parlamentare e Presidente della Repubblica, parlamentare e membro del consiglio superiore della

magistratura, parlamentare e membro della corte costituzionale, parlamentare e membro del consiglio nazionale

dell'economia e del lavoro).

I sistemi elettorali, in generale

Il modo in cui i voti espressi dal corpo elettorale vengono utilizzati per l'assegnazione dei seggi posti in palio nella

consultazione elettorale attiene al sistema elettorale. Si distinguono due grandi famiglie di sistemi elettorali: quelli

maggioritari e quelli proporzionali. Nei sistemi maggioritari il principio base è quello per cui tutti seggi in palio in una

determinata circoscrizione vengono assegnati al partito, o alla coalizione, che ottiene la maggioranza semplice dei voti

espressi (un numero superiore rispetto a quelli degli altri) o la maggioranza assoluta (la metà più uno dei voti

validamente espressi). Nei sistemi proporzionali il principio base è quello per cui i seggi vengono assegnati tra tutti i

partiti che hanno partecipato alla competizione elettorale, in proporzione al numero dei voti che ciascuno di essi ha

ottenuto. Nei sistemi maggioritari è individuato l'istituto del ballottaggio; nell'ipotesi in cui nessun candidato consegue

il numero di voti necessari per essere eletto, si svolge un secondo turno elettorale, cui sono ammessi come candidati

coloro che, al primo turno, hanno ottenuto più voti. Nei sistemi proporzionali esistono tre metodi matematici utilizzati:

il metodo d'Hondt consiste nell'assegnare i seggi sulla base di potenti interi più alti, che si ottengono dividendo alla

cifra elettorale in ogni partito per 1, 2, 3, 4,...; il metodo Sainte Lague attribuisce i seggi sempre sulla base dei

quozienti più alti, ma dividendo la cifra elettorale di ogni partito per 1, 3, 5, 7, 9, ...; il metodo del quoziente corretto

consiste nell'attribuzione dei seggi a quei candidati che abbiano ottenuto un numero di voti pari al quoziente che si

ottiene dividendo il numero di voti validi per il numero complessivo dei seggi da assegnare nella circoscrizione,

maggiorato di 1 o più unità.

Il sistema elettorale per l’elezione della Camera e del Senato: caratteristiche generali

Fino al referendum del 1993, il sistema elettorale per l'elezione di Camera e Senato è stato sostanzialmente

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proporzionale: da quel momento in poi il popolo si è espresso a favore di un sistema di tipo maggioritario. Tuttavia, in

seguito alla consultazione referendaria, il Parlamento ha varato la nuova legislazione elettorale, valida per il Senato e

per la Camera, definibile come sistema misto. Infatti, per una parte sistema può definirsi maggioritario, poiché tre

quarti dei deputati e dei Senatori sono eletti in collegi uninominali secondo la regola che assegna il seggio al candidato

che ottiene più voti rispetto agli altri, ma per una parte è ancora proporzionale, tant'è che un quarto dei deputati e dei

Senatori è eletto mediante il metodo d'Hondt.

Il sistema elettorale per il Senato

Il Senato, secondo l'articolo 57 della costituzione, deve essere eletto a base regionale: è il Governo che, con un

apposito decreto, provvede a ripartire fra le regioni i seggi, in relazione alla popolazione residente. La candidatura è

personale e subordinata alla sola firma di sottoscrizione da parte di un numero sufficiente di lettori del collegio. La

legge fa divieto di presentarsi in più di un collegio Senatoriale o di candidarsi contestualmente per le elezioni della

Camera. L'elettore esprime un unico voto nella scheda e dall'esito che scaturisce dallo spoglio dei voti si deriva

l'elezione, in ciascun collegio, del candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti validi. Non è prevista alcuna

soglia minima per conseguire un seggio.

Il sistema elettorale per la Camera dei deputati

Anche nel sistema elettorale per la Camera dei deputati i tre quarti dei seggi (esclusi quelli assegnati alla

circoscrizione estero) sono attribuiti con metodo maggioritario in collegi uninominali, mentre il restante un quarto è

assegnato con metodo proporzionale. La legge individua ventisei circoscrizioni elettorali (la Sicilia ne ha due). La lista

a livello circoscrizionale deve essere presentata da un numero di elettori che va da 500 a 4500; è una lista breve e

rigida, dal momento che non esiste per l'elettore la possibilità di esprimere un voto di preferenza, sì che risulteranno

eletti i candidati secondo l'ordine prestabilito dal partito. Gli esiti dello spoglio portano all'immediata proclamazione

dei candidati che vi hanno conseguito la maggioranza dei voti validamente espressi. Data la possibilità che i candidati

a livello circoscrizionale siano eletti in più circoscrizioni, si prevede a carico dell'eletto l'obbligo di optare entro otto

giorni dalla data dell'ultima proclamazione; diversamente si procede a sorteggio.

Il sistema elettorale per l’elezione dei consigli regionali

Con la legge costituzionale 1/1999 sono state introdotte rilevanti modifiche al titolo V della costituzione, dedicato alla

disciplina delle autonomie regionali. Il nuovo testo dell'articolo 122 prevede, infatti, che "il sistema di elezione e i casi

di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della giunta regionale, nonché dei

consiglieri regionali, sono disciplinati con la legge della regione, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge

della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi" e, all'ultimo comma, che "il Presidente della

giunta regionale, salvo che lo statuto disponga diversamente, è eletto suffragio universale diretto". Il numero dei seggi

in palio è ripartito fra i vari collegi in proporzione alla popolazione residente. Si tratta di collegi plurinominali, nei

quali ogni partito o movimento politico presenta una lista di candidati. Ogni elettore ha la possibilità di esprimere una

preferenza a favore di un candidato compreso nella lista stessa.

Il sistema elettorale per l’elezione dei Consigli comunali e provinciali

Il Parlamento ha varato una nuova legge che interessa tanto i comuni, quanto le province (disciplina compresa nel

testo unico 267/2000), che rappresenta una combinazione di elementi che si ispirano al principio maggioritario con

elementi che, invece, si ispirano al principio proporzionale. Per i comuni fino a 15.000 abitanti, ogni candidato

sindaco deve essere collegato a una lista di candidati a consigliere comunale; risulterà eletto sindaco il candidato che

avrà ottenuto il maggior numero di voti e in caso di parità si procede al ballottaggio. Per i comuni oltre 15.000 abitanti

l'elettore vota contemporaneamente per un candidato a sindaco e per una delle liste, che non devono essere per forza

uguali; risulterà eletto sindaco il candidato che otterrà la metà più uno dei voti validamente espressi e anche in questo

caso si può procedere al ballottaggio. La durata in carica dei sindaci e dei consigli comunali è fissata in cinque anni e

si è limitato a due il numero massimo dei mandati a sindaco. Il procedimento per l'elezione del Presidente della

provincia e dei consigli provinciali non differisce da quello disposto per i comuni di maggiore dimensione e anche in

questo caso la durata in carica risulta di cinque anni.

Il sistema elettorale per l’elezione del Parlamento europeo

Per quanto riguarda l'elezione del Parlamento europeo, in Italia è in vigore la legge 18/1979 che prevede un sistema

proporzionale, a scrutinio di lista, il quale opera nelle cinque grandi circoscrizioni elettorali (Italia nord-occidentale,

nord-orientale, centrale, meridionale, insulare) in cui la stessa legge ha suddiviso il territorio nazionale. Per

l'assegnazione degli 87 seggi si calcola il quoziente elettorale nazionale (numero di voti validamente espressi diviso il

numero di seggi da assegnare) e si divide la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista per tale quoziente.

Il contenzioso elettorale

Con il termine di contenzioso elettorale si fa riferimento a quel complesso di regole che consentono al singolo

candidato, alla lista o ai cittadini, di impugnare i risultati delle consultazioni elettorali, qualora ritengano che,

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nell'assegnazione dei seggi, siano state commesse delle irregolarità. Per ciò che attiene alle elezioni per le due camere,

il controllo è affidato a uno speciale organo interno, la giunta delle elezioni. Per i consigli regionali le decisioni sulle

impugnabili davanti al giudice ordinario, oltre che dagli interessati, da qualunque elettore e dal commissario del

Governo. Per il Parlamento europeo si prevede un sistema di regole analogo a quello previsto per comuni e province.

La disciplina delle campagne elettorali

Il principio che disciplina le campagne elettorali si ispira alla parità di trattamento e all'imparzialità (par condicio) e

ruota intorno alla distinzione fra comunicazione politica e messaggio autogestito. Per comunicazione politica

s'intendono quei programmi radiotelevisivi nei quali si mettono a confronto in forma dialettica discorsiva le diverse

opinioni che esistono sui temi oggetto di dibattito politico; per messaggi autogestiti s'intendono quelle forme di

comunicazione volta illustrare, in modo motivato ma unilaterale, un singolo programma o una singola opinione

politica. I programmi di comunicazione politica sono diffusi obbligatoriamente dalle emittenti che operano a livello

nazionale (sia pubbliche che private); i messaggi autogestiti sono diffusi dalla concessionaria pubblica (RAI) e devono

avere una durata minima (da 1 a 3 minuti quelli televisivi e da 30 a 90 secondi quelli radiofonici). Gli spazi riservati

per i messaggi devono essere attribuiti in condizioni di parità e gratuitamente dalle emittenti di livello nazionale; le

emittenti locali possono concederli anche a titolo oneroso. Esiste l'obbligo per ciascun partito di non superare un tetto

massimo di spese elettorali e l'obbligo di presentare ai presidenti delle camere il consuntivo relativo alle proprie spese

elettorali e alle relative fonti di finanziamento. Esiste un contributo alle spese elettorali sia per le elezioni del

Parlamento nazionale ed europeo sia dei consigli regionali.

Gli strumenti di esercizio “diretto” della sovranità

In base agli istituti di democrazia diretta, il corpo elettorale, anziché delegare ad altri organi l'esercizio della sovranità,

provvede a esercitarla in proprio, saltando le mediazioni degli organi rappresentativi. Gli istituti previsti dalla nostra

costituzione che vengono ricondotti sotto quest'etichetta sono tre: la petizione, l'iniziativa popolare e il referendum.

La petizione

La petizione è definita dall'articolo 50 della costituzione come il diritto di ciascun cittadino di rivolgersi alle camere

"per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità". Del diritto di petizione è titolare la generalità dei

cittadini. Le petizioni vengono trasmesse alla commissione parlamentare competente (a seconda della materia cui la

petizione si riferisce); la commissione la prende in considerazione e delibera su di essa; la petizione viene trasmessa al

Governo (nel caso in cui i provvedimenti presi chiamino in causa quest'ultimo); infine viene comunicato l'esito della

petizione al presentatore della stessa. L'istituto della petizione è previsto anche a livello regionale.

L’iniziativa legislativa popolare

L'istituto dell'iniziativa legislativa popolare, a livello nazionale, prevede che i titolari siano almeno 50.000 cittadini, in

possesso della capacità elettorale e la sollecitazione è volta l'approvazione di uno specifico provvedimento legislativo.

La funzione rimane comunque quella di stimolo, che lascia quindi libero l'organo cui l'iniziativa popolare è rivolta di

assumere le decisioni in merito che ritiene più opportune. Anche l'iniziativa popolare ha trovato spazio negli istituti

regionali.

Il referendum, in generale

L'istituto referendario è previsto come istituto destinato operare sia a livello nazionale che a livello regionale e locale.

La tipologia del referendum a livello nazionale prevede innanzitutto il referendum abrogativo di leggi e il referendum

che si inserisce nel procedimento di revisione costituzionale.

Il referendum abrogativo di legge statale

Il referendum abrogativo di legge statale consiste nella sottoposizione al voto popolare di uno più quesiti relativi

all'abrogazione, totale o parziale, di una legge già in vigore. L'articolo 75 della costituzione fissa a 500.000 il numero

minimo di elettori necessari per la presentazione della richiesta referendaria. Sono sottratte referendum le leggi

tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. È stato previsto un

doppio "quorum": uno di partecipazione (la consultazione può produrre i suoi effetti abrogativi solo se ha partecipato

al voto la metà più uno degli aventi diritto) e uno relativo all'esito della consultazione (la maggioranza dei voti

validamente espressi). L'organo indicato di assicurare i rispetti tali limiti è la corte costituzionale. Le richieste di

referendum abrogativo non possono essere presentate nell'anno anteriore a quello di scadenza di una delle camere o

nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali e sono soggette a un primo controllo di

conformità alle regole da parte dell'ufficio per il referendum, istituito presso la corte di cassazione. La corte ha escluso

l'ammissibilità della richieste referendarie quando vi è una pluralità di domande eterogenee che non permettono di

esprimere la propria volontà con un sì o con un no; quando attengono a norme costituzionali; quando attengono a leggi

ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato. Se la richiesta supera i controlli, spetta Presidente della

Repubblica fissare il referendum in una domenica compresa fra il 15 aprile ed il 15 giugno. Nel caso in cui venga

approvata l'abrogazione parziale o totale della legge, è il Presidente della Repubblica che provvede a dichiarare con

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proprio un decreto l'avvenuta abrogazione. Nel caso in cui l'elettorato si esprima in senso contrario all'abrogazione, la

stessa legge non potrà essere sottoposta di nuovo a referendum abrogativo per un periodo di cinque anni.

Il referendum nel procedimento di revisione costituzionale

Nell'ipotesi in cui la maggioranza raggiunta in ciascuna Camera, nella seconda votazione sulla legge costituzionale,

non raggiunga i due terzi, ma la sola maggioranza assoluta (che è indispensabile), si prevede che alcuni soggetti

(anche un quinto dei membri di una Camera) possono chiedere di sottoporre a consultazione popolare il testo votato

dal Parlamento. Le modalità di svolgimento ricalcano quelle previste dalla stessa legge per il referendum abrogativo.

Il referendum per la fusione di Regioni esistenti, per la creazione di nuove regioni o per l’aggregazione di Province

e Comuni al territorio di una Regione diversa rispetto a quella di appartenenza

I due referendum previsti per la fusione tra più regioni, la creazione di nuove regioni (con un minimo di un milione di

abitanti) o lo spostamento di comuni e province dal territorio di una regione a quello di un'altra, non hanno sin oggi

trovato pratica applicazione. Il procedimento prevede che in entrambi i casi l'iniziativa parta dagli organi elettivi degli

enti locali minori (i consigli comunali e provinciali interessati), che su tali proposte esprimano i loro pareri i rispettivi

consigli regionali, nonché appunto le popolazioni interessate, tramite referendum.

Il referendum a livello regionale

La giurisprudenza ha riconosciuto ai promotori del referendum regionale il diritto di ricorrere al giudice ordinario non

solo nell'ipotesi di dichiarata inammissibilità delle iniziative referendarie, ma anche nell'ipotesi di sospensione delle

medesime, qualora intervengano parziali abrogazioni o modifiche legislative che interessino la legge regionale,

oggetto di referendum. L'istituto referendario ha mantenuto quei caratteri di eccezionalità che già l'assemblea

costituente aveva inteso conferirgli. Gli istituti regionali hanno preferito puntare piuttosto che sull'istituto referendario

su altri istituti diretti ad accrescere le possibilità di partecipazione della comunità regionale come gli istituti di

partecipazione quali le consultazioni.

Il referendum per l’istituzione di nuovi Comuni o la modifica delle circoscrizioni o delle denominazioni comunali

L'articolo 133.2 della costituzione prevede un'ulteriore forma di referendum a livello regionale, ovvero quello relativo

all'istituzione di nuovi comuni o alla modifica delle loro circoscrizioni o denominazioni. Tali provvedimenti possono

essere adottati con legge regionale, ma, appunto, previa consultazione delle popolazioni interessate.

Il referendum a livello comunale e provinciale

I consigli comunali hanno provveduto ad adottare, accanto a consultazioni referendarie in senso proprio, in genere di

tipo consultivo, promosse tanto ad iniziativa degli organi comunali, quanto degli elettori, anche consultazioni

informali, quali i semplici sondaggi di opinione. Quanto alla tipologia di referendum comunali provinciali è da

ritenere che essa possa essere estesa anche ad altri tipi (propositivo, confermativo), purché venga rispettato il limite

esplicitato dalla stessa disposizione, rappresentato dalle materie di "esclusiva competenza locale".

Il referendum “di indirizzo” in materia di unione politica europea

Attraverso il cosiddetto referendum "di indirizzo" si chiama il corpo elettorale ad esprimersi non su un atto legislativo

amministrativo, bensì su un progetto politico da realizzare (come nel caso della trasformazione della comunità europea

da comunità essenzialmente economica in comunità politica). Questo tipo di referendum non è stato tuttavia introdotto

in linea generale, ma solo limitatamente al problema specifico indicato.

La Costituzione, che è la fonte primaria del nostro ordinamento attribuisce al popolo la sovranità, sancendo che “La

sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Questo definisce

chiaramente la forma democratica del nostro Stato. L‟articolo va letto comunque nella sua interezza, considerando

quindi che a volte la sovranità si esercita attraverso altre istituzioni pubbliche diverse dal popolo.

Ciò introduce uno specifico principio di legittimazione del potere in base a cui l‟esercizio delle funzioni che fanno

capo agli organi dello Stato (legislativa, amministrativa e giudiziaria) trova la sua fonte prima nel popolo.

Popolo, nazione, popolazione

Il popolo giuridicamente è l‟insieme dei cittadini, cioè coloro che possiedono la cittadinanza e quindi godono dei

diritti ad essa connessi. All‟interno del popolo è ricompresso il corpo elettorale; sfruttando un concetto prettamente

matematico è possibile affermare che il corpo elettorale è un sottoinsieme del popolo: presenta le stesse caratteristiche

del popolo ed inoltre gode dei requisiti necessari per esercitare la sovranità popolare (è cioè formato da tutti quegli

elementi dell‟”insieme popolo” che possono esercitare la sovranità popolare). Alla luce di quanto espresso diventa

quindi molto importante definire la cittadinanza. Prima tuttavia è necessario precisare chiaramente oltre che il

significato giuridico di popolo anche i concetti ad esso connessi di nazione e popolazione.

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Nel linguaggio popolare, popolo e nazione sono due termini tra loro sinonimi. In diritto invece si definisce nazione

l‟insieme degli elementi etnici, linguistici, culturali e sociali che definiscono una collettività.

Popolo, in diritto, è diverso pure da popolazione. Con quest‟ultima espressione si intende infatti, nella sfera giuridica,

l‟insieme dei soggetti, cittadini e non, che risiedono nel territorio di un dato Stato e sono tenuti a rispettarne le leggi. Il

censimento quindi conta la popolazione. Quello di popolazione è un concetto meno rilevante dal punto di vista

giuridico in quanto non legata strettamente al diritto di voto come invece il popolo.

La cittadinanza

La cittadinanza è uno status (cioè un modo di essere) al quale si ricollegano delle situazioni di vantaggio (quali il

godimento dei diritti politici), ma anche di svantaggio (l‟obbligo di pagare le tasse). Sarebbe quindi errato sostenere

che la cittadinanza è un diritto; essa è propriamente uno status in quanto implica anche dei precisi doveri.

La cittadinanza italiana inoltre implica automaticamente lo status di cittadino europeo.

Essa non è immutabile. Può infatti variare nel tempo: si può non essere cittadini e successivamente diventarlo, si può

essere cittadini e poi perdere tale condizione. In altre parole la cittadinanza si acquista e si perde secondo precise

modalità che nel nostro ordinamento sono disciplinate dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91 e dal relativo regolamento di

esecuzione D.P.R n. 572/1993 (12.10.1993).

Acquisto della cittadinanza italiana

Sono previste due modalità:

1. per nascita. Questo può avvenire in due modi diversi:

per iure sanguinis: se un bambino è figlio di padre o madre italiani diventa cittadino italiano qualunque sia il

luogo di nascita. Ciò fa sì che molti cittadini italiani residenti all‟estero non abbiano nei fatti mai visto l‟Italia;

per iure soli: un bambino nato in Italia diventa cittadino italiano se figlio di genitori ignoti, apolidi o stranieri

dei quali non acquista la cittadinanza (per scelta dei genitori stessi o perché le leggi del loro Stato d‟origine

non prevedono l‟acquisto della cittadinanza per iure sanguinis);

2. su richiesta, a seguito di un certo periodo di tempo di residenza in Italia, variabile a seconda dei casi. La richiesta

può essere effettuata dal coniuge straniero o apolide di cittadino/a italiano/a o dallo straniero maggiorenne

adottato da cittadini italiani.

Sono previsti poi altri casi a seguito di periodo prolungato di residenza continuata in Italia (al momento 10 anni a

parte casi particolari).

Il legislatore può modificare queste modalità di acquisto della cittadinanza, soprattutto quelle a richiesta.

Perdita e riacquisto della cittadinanza italiana

La cittadinanza si può perdere:

per rinuncia espressa: ad esempio nel caso di un cittadino che acquista la cittadinanza di un altro Stato. La rinuncia

non costituisce affatto un obbligo: l‟ordinamento italiano prevede infatti la possibilità della doppia cittadinanza,

del doppio passaporto;

in modo automatico: un cittadino italiano dipendente di uno Stato estero, che continui il suo rapporto di lavoro

nonostante lo Stato Italiano gli abbia intimato il contrario. Un esempio pratico può essere il caso di un cittadino

italiano che entri nelle forze militari estere, ad esempio la Legione Straniera.

La perdita, alla stessa stregua dell‟acquisto, non è definitiva.

La cittadinanza può essere riacquistata:

tramite prestazione di servizio militare o altro impiego alle dipendenze dello Stato italiano con dichiarazione della

volontà di riacquisto;

dichiarazione di volontà di riacquisto della cittadinanza e trasferimento in Italia entro un anno;

residenza da un anno salvo espressa rinuncia;

abbandono del rapporto alle dipendenze dallo Stato estero e residenza in Italia da almeno due anni.

Le funzioni del corpo elettorale

È necessario in primo luogo analizzare le funzioni di esercizio della sovranità. Esse sono articolate in tre importanti

tipologie:

a) la funzione elettorale: che prevede una funzione di esercizio indiretto della sovranità;

b) la petizione (disciplinata dall‟art. 50 della Costituzione), l’iniziativa legislativa popolare (disciplinata dall‟art.

71) ed il referendum (art. 75). Quest‟ultimo è il tipico istituto in cui trova diretto esercizio la sovranità popolare

perché attraverso esso può modificare o abrogare le leggi;

c) la partecipazione amministrativa: è un‟altra funzione di esercizio diretta, non limitata al solo corpo elettorale. Si

pensi ad un Comune che adotta il proprio PRG: i cittadini possono apportare osservazioni.

La funzione elettorale

Page 20: Diritto privato e pubblico riassunti

20

L‟esercizio della funzione elettorale presuppone il possesso della capacità elettorale. I requisiti per far parte del corpo

elettorale si distinguono in requisiti positivi e requisiti negativi.

I requisiti positivi (in termini molto sintetici “cosa bisogna avere”) sono:

la cittadinanza: un cittadino non italiano non può essere chiamato a votare. Si discute della possibilità di allargare

il diritto di voto agli stranieri residenti per quanto riguarda le elezioni amministrative;

la maggior età, ma non necessariamente 18 anni. Per partecipare alle elezioni politiche per il Senato infatti occorre

aver compiuto 25 anni.

I requisiti negativi (“cosa non bisogna avere”) sono invece:

inesistenza di incapacità civile: essa è conseguente a reati penali ma anche al fallimento;

inesistenza di condizioni di ineleggibilità: in questo caso si può far parte del corpo elettorale solo per l‟esercizio

attivo, ma non per l‟elettorato passivo;

rinuncia alla situazione che determina la situazione di incompatibilità. Questo vale solo per l‟elettorato passivo.

Ad esempio la condizione di parlamentare italiano è incompatibile con quella di parlamentare europeo.

L‟incompatibilità si manifesta nel momento in cui si viene eletti.

La funzione elettorale comprende l‟esercizio dell‟elettorato attivo e passivo. Per elettorato attivo si intende che “si può

eleggere”; ciò implica l‟espressione del diritto di voto. A tal proposito il voto deve essere: personale, uguale, libero e

segreto, doveroso.

Il voto è personale, cioè non si può delegare a terza persona. Dev‟essere direttamente espresso dal soggetto cui spetta.

Il voto è in secondo luogo uguale, cioè il voto di un soggetto vale quanto quello di un altro, indipendentemente da

sesso, censo e razza. Il voto del Presidente della Repubblica cioè è uguale a quello dell‟ultimo cittadino italiano.

Il voto è poi libero e segreto. I due concetti vanno a braccetto. Il voto infatti è libero in quanto è segreto.

Infine il voto è doveroso. È un dovere recarsi a votare quantomeno per le elezioni politiche ed europee.

Per quanto riguarda infine l‟elettorato passivo la funzione elettorale implica:

la possibilità di essere eletti;

la volontarietà, nel senso che nessuno è obbligato ad essere eletto.

Capitolo 6: I diritti di libertà

Diritti di libertà e forma di Stato

La disciplina dei diritti di libertà costituisce uno degli aspetti caratterizzati della forma di Stato. È in essa che si

riassumono gli aspetti essenziali dei reciproci rapporti tra Stato e società civile. All'evoluzione storica delle diverse

forme di Stato si accompagna una parallela evoluzione della disciplina delle libertà. Col tramonto del liberalismo di

stampo ottocentesco e con l'avvento dello Stato sociale, in seguito al crollo dei regimi autoritari, l'originaria tecnica di

garanzia dei diritti di libertà è rimasta sostanzialmente inalterata. I diritti di libertà trovano un'articolata disciplina

direttamente nella Carta costituzionale. Lo svolgimento dei principi che in essa si trovano affermati è di norma

riservato alla legge (riserva di legge), ad esclusione di ogni altra fonte. Una riserva è assoluta nel senso che essa

esclude del tutto l'intervento di altre fonti normative, in altri è relativa nel senso che consente un tale intervento nel

rispetto dei principi fissati dalla legge. L'applicazione alle singole fattispecie concrete dei limiti così definiti è riservata

al giudice (riserva di giurisdizione) anche in questo caso ad esclusione di ogni altra pubblica autorità. L'introduzione

del principio della rigidità della Costituzione muta profondamente il significato dell'istituto della riserva di legge: da

strumento di esaltazione dell'autorità essa diventa strumento di applicazione di una disciplina costituzionale articolata

e dettagliata. Accanto alle tradizionali libertà individuali vi sono le libertà collettive, cioè quelle libertà la cui titolarità

spetta sì al singolo, ma acquistano significato solo attraverso l'esercizio che facciano più soggetti.

La tutela internazionale dei diritti di libertà La tendenza ad una maggiore attenzione del diritto internazionale nei confronti dei diritti di libertà, ha comportato un

arricchimento dei sistemi nazionali di tutela sotto un duplice profilo: da un lato ha arricchito il catalogo di tali diritti

attraverso la enucleazione di nuovi contenuti desumibili dalla nozione tradizionale di alcune libertà; dall'altro ha

consentito l'attivazione di un sistema di garanzie, integrativo di quello predisposto dal diritto interno, che fa capo ad

istanze giurisdizionali di natura internazionale. Tra gli atti internazionali di carattere essenzialmente programmatico va

ricordata la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo approvata dall'Assemblea generale dell'ONU nel dicembre

del 1948, il cui contenuto ha trovato ulteriore specificazione nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e

culturali e nel Patto internazionale sui diritti civili e politici. In tali atti, al riferimento ai tradizionali diritti di libertà

(libertà personale, di domicilio, di corrispondenza, di circolazione e soggiorno, di associazione, di opinione, religiosa,

di voto) si accompagna la previsione della tutela di altre posizioni soggettive, possono riassumersi nella categoria dei

diritti sociali (diritto alla vita, a formarsi una famiglia, al lavoro, ad una retribuzione equa, alla sicurezza sociale, alla

salute, all'istruzione). Tali atti costituiscono un preciso impegno per il legislatore nazionale a dare piena attuazione al

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21

loro contenuto la dove l'ordinamento giuridico interno si presenti carente o lacunoso. Tra gli atti internazionali che

fanno seguire la predisposizione di appositi e specifici strumenti di tutela vanno ricordati la Convenzione europea per

la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. La tutela dei diritti da essa enunciati è affidata alla

Corte europea dei diritti dell'uomo. Possono ricorrere alla Corte sia gli Stati contraenti, sia persone fisiche o gruppi di

privati.

La disciplina dei diritti di libertà nella Costituzione italiana: caratteri generali

L'evoluzione della disciplina di diritti di libertà nell'esperienza costituzionale italiana rispecchia gli sviluppi che ha

conosciuto il costituzionalismo europeo. Se lo Statuto Albertino è espressione di una concezione individualistica dei

diritti di libertà e fa proprio un modello di tutela dei medesimi il cui perno è rappresentato dalla garanzia della legge a

difesa di queste sfere di autonomia individuale, la Costituzione repubblicana è espressione di quella diversa

concezione dei diritti di libertà che si vanno affermando con le costituzioni europee del secondo dopoguerra. La

Costituzione italiana rappresenta una svolta decisiva che si caratterizza per alcune scelte fondamentali:

a) Accoglimento di una nozione dei diritti di libertà non solo come libertà individuali, nella loro accezione di libertà

negative ma anche come libertà positive, come strumenti per realizzare un'effettiva partecipazione di tutti cittadini

indipendentemente dalle loro condizioni economiche e sociali. Un'affermazione che ha una serie di corollari nelle

disposizioni costituzionali successive, con riferimento alle libertà sindacali e politiche ma anche con riferimento

all'affermazione della tutela dei diritti dell'uomo "sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua

personalità", con riferimento all'espresso riconoscimento dei diritti sociali (diritto al lavoro, alla salute, all'istruzione).

b) Predeterminazione in Costituzione delle categorie di limiti cui l'esercizio dei singoli diritti di libertà può essere

sottoposto. Lo schema normativo adottato muta profondamente: all'affermazione dei singoli diritti di libertà non segue

più un rinvio alla legge bensì una riserva di legge, vincolata al rispetto di quanto previsto dal testo costituzionale. È il

principio di tassatività dei limiti ai diritti di libertà che si sostanzia in un divieto rivolto al legislatore. I limiti disposti

direttamente dalla Costituzione si distinguono in limiti particolari che attengono all'esigenza di contemperare

l'esercizio dei medesimi con la tutela di alcuni interessi generali (sicurezza pubblica, sanità, igiene, buon costume) e

limiti generali (riferibili a tutti i diritti di libertà) rappresentati dallo stato di necessità e dall'adempimento dei "doveri

di solidarietà politica, economica e sociale".

c)Affermazione della regola generale in base alla quale solo il giudice ha il potere di imporre le limitazioni

all'esercizio dei diritti di libertà previste dalla legge e ridefinizione dell'intervento dell'autorità di polizia in termini di

eccezione rispetto a questa regola.

d) Rigidità della Costituzione.

e) Sottrazione al procedimento di revisione costituzionale del nucleo essenziale della disciplina dei diritti di libertà

contenuta nella Costituzione.

f) Estensibilità della disciplina dei diritti di libertà disposta dalla Costituzione a quelle nuove e diverse posizioni

soggettive, raccomandabili ai diritti formalmente sanciti. Una scelta che consente di leggere nuovi contenuti nella

definizione dei diritti di libertà allora codificati.

g) Allargamento dei destinatari dei diritti di libertà, riconosciuti non solo ai singoli, ma anche alle formazioni sociali

(famiglia, partiti, sindacati, confessioni religiose, associazioni) non solo ai cittadini ma anche agli stranieri.

Eguaglianza formale ed eguaglianza sostanziale L'art. 3 Cost. rappresenta il punto di riferimento per cogliere il rapporto tra la nostra forma di Stato e i diritti di libertà.

Al principio dell'eguaglianza formale sancito dal 1° comma (Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali

davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni

personali e sociali), si aggiunge l'affermazione di un nuovo principio, quello dell'eguaglianza sostanziale in cui si

esprime l'impegno dello Stato "a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà

e l'eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i

lavoratori all'organizzazione politica economica e sociale del Paese". L'art. 3.1 vieta espressamente che possano

essere previsti trattamenti differenziati a causa di uno dei motivi elencati dalla stessa disposizione costituzionale.

Questo divieto si articola:

a) Nel divieto di discriminazione in relazione all'appartenenza all'uno o all'altro sesso. Grazie all'intervento del

legislatore si è arrivati all'eliminazione delle disparità di trattamento esistenti, sia in materia penale sia in materia

civile. L'eguaglianza tra i sessi trova applicazione nei rapporti di lavoro, in virtù del quale alla donna lavoratrice non

solo devono essere riconosciuti "gli stessi diritti, e a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore",

ma devono essere garantite condizioni di lavoro che ne salvaguardino l'" essenziale funzione familiare". Un ulteriore

corollario stabilisce che "tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di

parità".

b) Nel divieto di discriminazione in ragione dell'appartenenza ad una o ad un'altra razza. Tale divieto potrebbe

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diventare di grande attualità in relazione all'accentuarsi del fenomeno dell'immigrazione.

c) Nel divieto di discriminazione in ragione dell'utilizzazione di una lingua diversa da quella nazionale. Il Costituente

a intenso imporre allo Stato un obbligo positivo di tutela del patrimonio linguistico delle diverse comunità. A tale

obbligo lo Stato ha adempiuto con la legge 482/1999 che contiene "norme in materia di minoranze linguistiche

storiche".

d) Nel divieto di discriminazione in ragione della religione professata. Il principio di eguaglianza in materia religiosa

si trova nei artt. 7 e 8: il primo relativo alla disciplina dei rapporti tra lo Stato e della Chiesa cattolica, il secondo

relativo alla disciplina dei rapporti tra lo Stato e le altre confessioni religiose. L'art. 19 afferma il "diritto di professare

liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale ed associata, di farne propaganda e di esercitarne

in privato o in pubblico il culto", con l'unico limite rappresentato da riti contrari al buoncostume.

e) Nel divieto di discriminazione in ragione delle proprie opinioni politiche, il quale risulta rafforzato da tutta una

serie di ulteriori disposizioni costituzionali.

f) Nel divieto di discriminazione in ragione delle diverse condizioni personali e sociali, che si ritiene debba intendersi

come comportante l'illegittimità di ogni atto posto in essere dai poteri pubblici o dai privati che possa ledere l'attività

dell'onore personale dei singoli.

Le libertà individuali: la libertà personale

L'art. 13 Cost. è dedicato alla disciplina della libertà personale, ossia alla tutela della libertà fisica e psichica della

persona. All'affermazione dell'inviolabilità della libertà personale seguono i due istituti di garanzia: una riserva di

legge (tale libertà può essere limitata solo nei casi e nei modi previsti dalla legge) e una riserva di giurisdizione (solo

l'autorità giudiziaria può applicare in concreto tali limitazioni). L'unica deroga a questo regime ordinario è prevista in

ragioni eccezionali di necessità e di urgenza che non consentono un intervento tempestivo dell'autorità giudiziaria. Può

essere direttamente l'autorità di pubblica sicurezza ad intervenire (fermo di polizia giudiziaria), tale intervento porta

all'applicazione di misure limitative della libertà personale di carattere transitorio. Il sistema di tutela dell'art. 13 si

completa con l'affermazione di altri due principi: quello che impone al legislatore l'obbligo di punire qualunque tipo di

violenza, morale o fisica, esercitata nei confronti dei soggetti sottoposti a misure limitative della libertà personale, e

quello che impone al legislatore l'obbligo di stabilire i limiti massimi della carcerazione preventiva. Secondo l'art. 25.3

nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge. Una svolta di grande

importanza nella disciplina della libertà personale si è avuta con l'approvazione del nuovo codice di procedura penale,

le novità più significative sono: la riserva all'autorità giudicante del potere di disporre misure stabili di limitazione

della libertà personale, su richiesta del pubblico ministero; una più rigorosa disciplina dei presupposti che legittimano

il fermo (per i reati più gravi, si sussistono gravi indizi a carico del fermato, quando esistono elementi che facciano

temere il pericolo di fuga); introduzione del principio di pluralità e gradualità delle misure cautelari di natura

personale e della loro necessaria proporzionalità e adeguatezza alle esigenze di giustizia; ampliamento del sistema

delle garanzie attivabili da colui che è colpito da una misure limitativa della libertà personale.

La libertà di domicilio L'art. 14 Cost. si preoccupa di tutelare la proiezione spaziale della persona, ossia il domicilio. I Costituenti hanno

adottato una nozione ampia di domicilio, non limitata solo a quella che era allora la nozione penalistica (la privata

dimora), ne a quella civilistica (la sede principale degli affari e degli interessi della persona). Oggi la garanzia

costituzionale si estende ad ogni luogo di cui la persona, fisica o giuridica, abbia legittimamente la disponibilità per lo

svolgimento di attività connesse alla vita privata o di relazione e dal quale intenda escludere i terzi. Secondo il 2°

comma del'art. 14 nessuna violazione di domicilio è consentita se non nei casi e nei modi previsti dalla legge e a

seguito di apposita disposizione del giudice. Il 3° comma introduce una deroga, disponendo che, per determinati

motivi o per determinati fini, leggi speciali possono prevedere limitazioni della libertà disciplinare ad opera

dell'autorità amministrativa, anche in assenza di un provvedimento del giudice.

La libertà di circolazione e soggiorno Al di là della sfera domiciliare, l'art. 16 Cost. garantisce al cittadino la libertà di circolare e soggiornare liberamente

all'interno del territorio dello Stato, nonchè la libertà di uscire e rientrare in tale territorio (libertà di espatrio). La

libertà di circolazione e soggiorno può incontrare solo i limiti disposti dalla legge, in via generale, per motivi di sanità

o di sicurezza, mentre sono escluse limitazioni determinate da motivi politici. La libertà di espatrio non incontra alcun

limite specifico se non quelli derivanti dall'avere l'interessato adempiuto quelli che l'art. 16 chiam gli obblighi di

legge. La legge 1185/1967 che ha riformato la materia indica quali sono i soggetti che dovendo adempiere a certi

obblighi non possono ottenere il passaporto: i minori, coloro nei confronti dei quali sia stato emanato un mandato o

ordine di cattura, coloro che debbano adempiere al servizio militare. La libertà di espatrio si collega alla libertà di

emigrazione, cioè al diritto di recarsi all'estero per prestarvi una vita lavorativa. In virtù della istituzione della

Comunità Economica Europea i cittadini di un Paese membro godono, oltre che della libertà di circolazione anche del

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diritto di stabilimento in ciascuno degli Stati membro.

La libertà e segretezza della corrispondenza

A differenza dello Statuto Albertino la Costituzione repubblicana tutela la libertà e segretezza della corrispondenza.

Dopo aver affermato il principio dell'inviolabilità e della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di

comunicazione, stabilisce che "la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con

le garanzie stabilite dalla legge". Libertà e segretezza presentano profili distinti sul piano delle possibili violazioni. La

libertà e segretezza della corrispondenza tutela due posizioni soggettive, quella del "mittente" e quella del

"destinatario", e va intesa sia come libertà di ciascuno di comunicare con altri soggetti, sia come libertà di ricevere tali

comunicazioni. Gli artt. 617 e ss. del codice penale, puniscono ogni comportamento diretto a prendere cognizione, in

modo fraudolento, di comunicazioni telegrafiche o telefoniche; ogni comportamento diretto all'utilizzazione di

apparecchiature speciali per intercettare, interrompere o impedire telecomunicazioni. La tutela giuridica del diritto alla

riservatezza si è rafforzata in seguito all'approvazione della legge 675/1996 intitolata "Tutela delle persone e di altri

soggetti rispetto al trattamento dei dati personali". Oggetto della disciplina è la raccolta e il trattamento dei dati

personali il cui rispetto è assicurato da un'apposita Autorità garante con compiti di vigilanza.

La libertà di manifestazione del pensiero L'oggetto specifico della libertà di manifestazione del pensiero non è il diritto di comunicare liberamente con un

destinatario specifico ma il diritto di comunicare il proprio pensiero. Le garanzie disposte al riguardo coprono tutte le

possibili manifestazioni del pensiero: non solo quelle orali o scritte ma anche quelle espresse attraverso un qualunque

altro mezzo di comunicazione (cinema, teatro, radio, televisione). Per definire l'oggetto della libertà il Costituenti si

preoccupò di disciplinare la libertà di stampa, considerata come il mezzo principale di esercizio della libera

manifestazione del pensiero. A riguardo l'art. 21 pone tre principi fondamentali: il divieto di sottoporre la stampa ad

autorizzazioni o censure; il divieto di sottoporre la stampa a sequestro (forma di intervento successivo alla

pubblicazione) se non nel caso di commissione di un delitto a mezzo stampa; la possibilità che il legislatore imponga

alle imprese editrice della stampa periodica l'obbligo di rendere noto i loro mezzi di finanziamento. L'unico limite

previsto espressamente è rappresentato dal buon costume.

a) La stampa

Il legislatore repubblicano si è preoccupato di riformare la disciplina dell'Ordine e dell'Albo dei giornalisti: la nuova

disciplina, mentre mantiene l'obbligo di iscrizione all'Albo per l'esercizio della professione giornalistica, ha eliminato i

requisiti di natura politica che in passato erano richiesti. I problemi più delicati riguardano i limiti che il diritto di

cronaca incontra ai fini della tutela del segreto istruttorio (per cui è vietata la pubblicazione degli atti) e del segreto di

Stato (per cui è vietata la pubblicazione di notizie coperta da segreto di Stato). A tutela del singolo di fronte ad uso

scorretto del diritto di cronaca esiste il diritto di rettifica: consente di richiedere la rettifica delle notizie false o

inesatte. Un terzo settore di intervento legislativo in ordine alla disciplina della libertà di stampa attiene al fenomeno

delle concentrazioni della proprietà editoriale.

b) La radiotelevisione

L‟art. 21 non menziona espressa la radiotelevisione. L‟evoluzione della legislazione in materia ha conosciuto nel

secondo dopoguerra due fasi distinte: la prima caratterizzata dal mantenimento del regime pubblicistico ereditato dal

fascismo; la seconda caratterizzata dalla progressiva trasformazione del regime pubblicistico in un regime misto, in

cui accanto all‟emittente radiotelevisiva pubblica operano anche emittenti private. Il sistema del monopolio pubblico,

basato sulla riserva allo Stato di ogni servizio di telecomunicazione, prevedeva un regime di concessione in esclusiva

del servizio radiotelevisivo ad un‟unica società la RAI s.p.a., sottoposta ad una serie di controlli incisivi da parte del

Governo. Principio cardine è quello del pluralismo informativo, inteso sia come rispetto sia come accesso all‟attività

radiotelevisiva del numero più ampio di imprese. Gli elementi portanti del nuovo sistema pubblico-privato sono

rappresentati dall‟affidamento alla RAI del servizio pubblico radiotelevisivo, dall‟introduzione di un regime di

concessioni per le emittenti private; dalla fissazione di una normativa anti-trust dettata per tutti i mezzi di

comunicazione, nonché dalla creazione di un‟apposita Autorità indipendente, rappresentata dall‟Autorità di garanzia

nelle comunicazioni. Tale Autorità, composta dal Presidente (nominato dal Capo dello Stato) e da otto membri di

nomina parlamentare. Di fatto, il settore radiotelevisivo vive tutt‟ora in regime di duopolio da un lato l‟emittente

pubblica e dall‟altro un operatore privato, Mediaset, che supera ogni altro operatore privato.

c) Il cinema e il teatro

Il mezzo cinematografico e teatrale è un settore in cui le interferenze dei pubblici poteri sono particolarmente incisivi.

Quello dello spettacolo è l‟unico settore in cui è sopravvissuta una forma di censura preventiva. La legge 161/1962

prevede che il contenuto di un‟opera cinematografica venga sottoposa a controllo da parte di un‟apposita

Commissione Ministeriale, prima di essere presentata al pubblico. La Commissione può esprimere parere negativo al

rilascio del nulla-osta o può condizionare la visione pubblica del film all‟apposizione del divieto ai minori di 14 o 18

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anni. L‟unico parametro di riferimento è rappresentato dal rispetto del limite del buon costume. Con la legge 203/1995

un analogo meccanismo di censura prevenivo è stato introdotto anche per le “opere” a soggetto e per i film prodotti

dalla televisione. Sono rimaste molte norme, alcune indenni al vaglio della Corte costituzionale in materia di polizia

dello spettacolo, la norma prevede la presenza alle rappresentazioni teatrali e cinematografiche di agenti di pubblica

sicurezza, con la possibilità di sospendere la rappresentazione in caso di minaccia per l‟ordine pubblico.

d) Libertà dell’arte, della scienza e libertà di insegnamento

La libertà della scienza e dell'arte è disciplinata dall'art.21. In relazione ad altri diritti di libertà, anche in questo caso

alle garanzie, negative, assicurate alle attività artistiche e scientifiche, si accompagna la prevenzione di garanzie attive,

consistenti dell'impegno dei pubblici poteri di promuovere "lo sviluppo della cultura della ricerca scientifica e

tecnica". A tale impegno lo Stato provvede attraverso una serie articolata di istituti, che vanno dal sostegno finanziario

assicurato alle istituzioni, al sostegno finanziario alla ricerca svolto attraverso il Consiglio Nazionale delle Ricerche

(CNR), ai contributi di vario genere. Il 1° comma dell'art. 33 stabilisce uno stretto collegamento tra libertà dell'arte e

della scienza e libertà di insegnamento. La libertà di insegnamento può incontrare dei limiti nella "libertà della scuola"

là dove si afferma che "enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo

Stato". Si prevede al 4° comma la creazione con legge di scuole private "parificate" a quelle statali, in grado di

rilasciare gli stessi titoli scolastici. L'art. 33 si preoccupa del versante strutturale e del versante funzionale delle attività

preposte all'istruzione; l'art. 34 affronta invece il versante degli utenti, ponendo due principi fondamentali: quello della

libertà di accesso al sistema scolastico e quello del necessario intervento dello Stato a garanzia del diritto allo studio

per i capaci e meritevoli, ma privi di mezzi economici necessari.

e) I nuovi "media"

Problemi del tutto particolari e nuovi si sono posti in relazione alle comunicazioni che si realizzano attraverso

Internet. Questo mezzo di comunicazione consente attraverso il World Wide Web possibilità illimitate sia di

diffondere che di ricevere e di cercare di informazioni; consente un uso interattivo del mezzo; consente di diffondere

comunicazioni sia scritte che per immagini.

Le libertà collettive: la libertà di riunione

Gli artt. 17 e 18 Cost., insieme agli artt. 39 (libertà di associazione sindacale) e 49 (libertà di associazione politica)

formano il sistema delle garanzie costituzionali di quelle libertà che possiamo definire collettive, il nuovo esercizio

presuppone il concorso di una pluralità di soggetti, accomunati da un unico fine diretto alla realizzazione di comuni

finalità. La prima libertà e la libertà di riunione, una volta fissato il principio generale, valido per ogni genere di

riunione, tutti sono liberi di riunirsi, purché la riunione sia pacifica e senza armi. Con riferimento alle riunioni che si

svolgono in luogo pubblico si impone gli organizzatori un obbligo di preavviso all'autorità di pubblica sicurezza del

giorno, dell'ora e del luogo della riunione. L'autorità competente, ricevuto il preavviso, può vietare la riunione o

imporre particolari limitazioni. Nessun obbligo di preavviso è previsto ne per le riunioni in un luogo aperto pubblico

ne per quelle in luogo privato. Il preavviso deve essere dato al questore almeno tre giorni prima della riunione, pena

l'arresto e un'ammenda a carico degli organizzatori. La riunione di cui non si è dato preavviso che si dimostri

pericolosa o in cui vi sia la presenza di soggetti armati, può essere sciolta secondo le modalità previste dalla legge.

La libertà di associazione

Il 1° comma dell'art. 18 Cost. afferma che gli unici limiti opponibili alla libertà dei cittadini di associarsi liberamente

consistono nel perseguimento di fini che sono vietati al singolo dalla legge penale. Questa regola conoscere due sole

eccezioni con riferimento alle associazioni segrete e a quelle che indirettamente, perseguano fini politici, avvalendosi

di una organizzazione di carattere militare, le quali quindi sono vietate a prescindere dal perseguimento di fini

penalmente illeciti. Quanto alla definizione di associazione di carattere militare, essa non presuppone la presenza di

un'organizzazione militare in senso proprio, ma è sufficiente che il rapporto tra gli associati sia ispirato a principi di

forte gerarchia da far temere lo svolgimento di attività di intimidazione o violenza.

a) La libertà di associazione sindacale

La generale libertà di associazione trova un primo corollario importante nella libertà sindacale disciplinata dall'art. 39

Cost.. Si richiedeva alle organizzazioni sindacali di darsi un ordinamento interno a base democratica e di ottenere la

registrazione presso appositi uffici. Con la registrazione, le organizzazioni sindacali da associazioni di fatto si

sarebbero trasformate in associazione dotate di personalità giuridica e avrebbero potuto stipulare contratti collettivi di

lavoro, contratti con efficacia "erga omnes", con valore analogo a quello della legge. La legge che avrebbe dovuto

disciplinare organi e procedimenti di registrazione non è mai stato approvata. La libertà dei sindacati dei lavoratori ha

ricevuto un significativo potenziamento in seguito all'approvazione dello Statuto dei lavoratori il quale assicura non

solo ai singoli lavoratori, ma anche alle associazioni sindacali tutta una serie di diritti da esercitarsi all'interno degli

ambienti di lavoro e punisce la condotta antisindacale del datore di lavoro.

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b) La libertà di associazione politica

Un secondo corollario importante della libertà di associazione è rappresentato dalla libertà di dar vita ad associazioni

con fini politici, i partiti. Essi sono chiamati a svolgere la funzione di garantire ai cittadini di "concorrere con metodo

democratico a determinare la politica nazionale"; rappresenta uno strumento principale di partecipazione politica dei

cittadini. Nessun limite di natura ideologica è previsto per la costituzione di un partito politico, purché l'attività di esso

svolge risulti rispettosa del metodo democratico, ossia delle regole che in democrazia disciplinano la lotta politica.

Le libertà economiche: la libertà di iniziativa economica privata

La nostra Carta costituzionale contiene una serie di disposizioni che danno corpo a quella che è chiamata costituzione

economica. Il nucleo centrale della costituzione economica è rappresentato dalla disciplina dell'esercizio del diritto di

proprietà (il diritto cioè di godere in modo esclusivo di un determinato bene, di cederlo o di ricavarne tutte le possibili

utilità), nonché dalla disciplina della libertà di iniziativa economica (ossia della libertà di organizzare i mezzi

attraverso i quali produrre beni o servizi da vendere sul mercato). La nostra Costituzione punta allo sviluppo di un

sistema misto nel quale iniziativa economica privata e iniziativa economica pubblica concorrono insieme al

perseguimento delle finalità. La libertà di iniziativa economica è affermata nel 1° comma dell'art. 41. Tra gli interventi

legislativi più rilevanti va annoverata la legge 287/1990 che ha introdotto in Italia una legislazione generale

"antitrust". Tale legislazione è centrata sulla nozione di posizione dominante sul mercato, il cui abuso è vietato in

quanto ritenuto elemento che altera e falsa il libero gioco della concorrenza.

Il diritto di proprietà

Nell'art. 42 trova la sua espressione più radicale il tentativo operato dal Costituente di contemperare l'esercizio delle

libertà economiche e il soddisfacimento di interessi sociali. In materia di disciplina del diritto di proprietà privata, il

Costituente ha scelto la strada della subordinazione di tale diritto al perseguimento di determinati fini sociali. Non solo

scompare ogni riferimento alla inviolabilità del diritto, ma si afferma che la legge, nel riconoscere e garantire la

proprietà privata, ne disciplina modi di acquisto, di godimento e limiti "allo scopo di assicurarne la funzione sociale e

di renderla accessibile a tutti"; in base a norme di legge la proprietà può essere espropriata per motivi di interesse

generale.

I diritti sociali: diritto al lavoro e diritto alla salute

Oltre al diritto allo studio tra i diritti sociali riconosciuti dalla Costituzione assumono un particolare rilievo il diritto al

lavoro e il diritto alla salute.

a) Diritto al lavoro

Secondo l'art. 4.1 Cost. la "Repubblica riconosce a tutti i cittadini di diritto al lavoro e promuove le condizioni che

rendano effettivo questo diritto". Si è a lungo discusso dell'opportunità o meno di utilizzare il termine "diritto", posto

che difficilmente si sarebbe riusciti a garantire a tutti un posto di lavoro, e ancor più difficile sarebbe stato riconoscere

la possibilità di ricorrere davanti ad un giudice per avere soddisfazione. A fronte di un'inadempienza a questo

impegno, non si apre per il cittadino la via del ricorso al giudice, bensì la via del giudizio politico. Veri e propri

"diritti" azionabili davanti ad un giudice sono: il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del

lavoro svolto e sufficiente a garantire un'esistenza libera e dignitosa, al diritto di avere assicurati mezzi adeguati alle

loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia o disoccupazione involontaria.

b) Diritto alla salute

Secondo l'art. 32.1 la "Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività

e garantisce cure gratuita agli indigenti". Tutti i soggetti pubblici che inizia la compongono la Repubblica sono

impegnati a rendere effettivo questo diritto interferendo sia direttamente attraverso apposite strutture assistenziali, sia

indirettamente mediante la predisposizione di strumenti idonei a consentire anche a soggetti privati lo svolgimento

della stessa funzione. Il diritto alla salute, la cui lesione può dar luogo a risarcimento anche nei casi in cui non produca

un danno di natura patrimoniale (danno biologico), non comporta un connesso dovere individuale a mantenersi in

buona salute.

I doveri pubblici Tra i limiti generali previsti dalla Costituzione all‟esercizio dei diritti di libertà vi è l‟adempimento di alcuni doveri

pubblici: dovere al lavoro; dovere alla difesa; dovere di concorrere alle spese pubbliche; dovere di fedeltà.

a) Dovere al lavoro

Previsto dall‟art. 4.2 afferma che “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria

scelta, un‟attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Gli inadempimenti

registrabili nell‟azione dello Stato fanno ritenere questo dovere più un dovere morale che un dovere propriamente

giuridico.

b) Dovere di difesa

Secondo l‟art. 52 Cost. “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. Si impone dunque a tutti i cittadini, può

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essere adempiuto nei modi più vari e può comportare tutte le limitazioni ai diritti di libertà che l‟obiettivo cui è

preordinato, ossia la difesa del territorio nazionale da minacce esterne. Il Costituente ha fissato alcune garanzie: una

volta affermato il principio della obbligatorietà del servizio militare, ha previsto una riserva di legge in ordine alla

disciplina dei limiti entro i quali tale obbligatorietà va intesa e dei modi con cui tale obbligo va adempiuto; ha

affermato che al cittadino militare vanno garantiti il mantenimento della posizione di lavoro conseguita al momento

della chiamata alle armi, così come il pieno esercizio dei diritti politici. Con la legge 382/1978, in ossequio al

principio della riserva di legge, è stata approvata una nuova regolamentazione del servizio militare. Tale legge ha

puntualizzato quali sono le possibili limitazioni che può subire il cittadino-soldato nell‟esercizio dei suoi diritti di

libertà. Per quanto riguarda l‟obiezione di coscienza, dopo anni di dibattiti l‟obiettore punito penalmente quale

renitente alla leva, ha cominciato a farsi strada l‟idea che ragioni della coscienza ed esigenze di difesa potevano

trovare un punto di equilibrio che potesse salvaguardarle entrambe. L‟obiezione si configura come un vero e proprio

diritto che consente al cittadino di adempiere all‟obbligo di difesa attraverso un servizio civile sostitutivo, parificato a

quello militare. Riservato fino a pochi anni fa ai soli cittadini di sesso maschile, il reclutamento nelle forze armate e

della Guardia di Finanza è stato esteso, sia pure su base volontaria, anche alle donne dal D.Lgs. 24/2000. Ad esse è

garantita una parità di status rispetto al personale maschile sia per quanto attiene al reclutamento, che allo stato

giuridico e agli avanzamenti in carriera . La novità più rilevante in tema di dovere di difesa è rappresentata dalla

sospensione dell'obbligatorietà del servizio militare disposta dalla legge 331/2000 la quale rappresenta la

trasformazione progressiva delle forze armate in corpi esclusivamente composti da professionisti e non più da

personale di leva. Contemporaneamente è stato istituito il servizio civile nazionale che verrà prestato solo su base

volontaria.

c) Dovere di contribuire alle spese pubbliche

Due sono i principi affermati dall'art. 53 Cost. in ordine all'adempimento del dovere che impone a tutti di contribuire

alle spese pubbliche: quello per cui tale dovere va adempiuto in ragione della capacità contributiva di ciascuno, e

quello di base al quale la legge che disciplina il sistema tributario deve ispirarsi a criteri di progressività. Si tratta di

due principi che si integrano e si completano a vicenda, stabilendo il primo un rapporto di proporzionalità tra capacità

contributiva e imposizione fiscale, imponendo l'adozione da parte del legislatore di un criterio di base al quale,

muovendo dalle fasce di reddito più basse e procedendo verso quelle più alte, la proporzionalità dell'imposizione viene

integrata dalla sua progressività. La capacità contributiva fa riferimento alla situazione economica complessiva del

soggetto, non ogni situazione economica è indice di capacità contributiva: al di sotto di un certo livello non vi è

capacità contributiva e quindi non può esservi imposizione fiscale. La legge affida i relativi controlli ad appositi

Garanti del contribuente.

d) Dovere di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione e delle leggi

L'art. 54 Cost. impone a tutti i cittadini "il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le

leggi" e ai cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche "il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando

giuramento nei casi stabiliti dalla legge". I riflessi giuridicamente rilevanti delle eventuali violazioni del dovere di

fedeltà sono quelli legati alla repressione di comportamenti diretti al sovvertimento violento del sistema costituzionale

o volti a realizzare interferenze indebite nel regolare esercizio dell'attività degli organi preposti all'esercizio di

pubbliche funzioni e di quella degli organi costituzionali. A queste conseguenze si aggiungono quelle legate alle

eventuali violazioni del dovere di adempiere con disciplina e onore alle funzioni pubbliche.

Capitolo 7: I diritti di personalità

I diritti della personalità sono quei diritti che tutelano l‟individuo nei suoi beni fondamentali, come la vita, l‟integrità

fisica e morale, il nome…tutelati anche nella costituzione dall‟art. 2 che sottolinea l‟intangibilità di tali aspetti della

persona.

Caratteristiche dei diritti della personalità sono:

assolutezza: in quanto si possono far valere verso tutti, tenuti ad rispettarli e ad astenersi ad ogni lesione o

violazione

indisponibilità: indisponibili perché può goderne solo il titolare, non può trasferirsi ad altri, ne può

rinunciarvi, tanto che l‟altrui violazione, pur se consentita dall‟interessato, costituirà quasi sempre un illecito.

Imprescrittibilità: sono diritti imprescrittibili, nel senso che non si estinguono per effetto del mancato

esercizio protratto nel tempo.

Diritto alla vita.

Il diritto alla vita tutela il bene dell‟esistenza individuale, sia verso lo Stato sia verso gli altri consociati, tenuti

essenzialmente ad un comportamento negativo. Manca una tutela risarcitoria per la semplice ragione che essa sarebbe

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inattuabile. L‟ indisponibilità del diritto alla vita importa l‟inesistenza di una facoltà di suicidio. La tutela del diritto

alla vita è affidata essenzialmente alle sanzioni penali che puniscono l‟omicidio (art. 575 ss. c.p.). Il diritto alla vita

cede soltanto dinanzi allo stato con la pena di morte o dinanzi a circostanze eccezionali (legittima difesa, che non

rende l‟omicidio lecito, ma escludono la punibilità dell‟agente). Il diritto alla vita si acquista al 90° giorno dal

concepimento, col quale viene meno anche la possibilità della donna di abortire salvo che il proseguimento della

gravidanza non importino grave pericolo per la salute della donna.

Integrità fisica.

Il diritto alla integrità fisica tutela il bene della incolumità personale , intesa in senso ampio come stato di salute fisica

e psichica. Anche tale diritto è indisponibile nel senso che il soggetto non può ledere la propria integrità ne può

consentirne che altri lo faccia. Il rispetto della libertà individuale esclude l‟illiceità di comportamenti semplicemente

omissivi: infatti non esiste un obbligo di curare se stessi, al fine di conservare o recuperare la salute; infatti un

trattamento sanitario obbligatorio può essere imposto solo per legge.

Con gli atti di disposizione del proprio corpo precisiamo in che limiti ciascuno possa disporre di se stesso della

propria integrità psicofisica; si intendono sia gli atti di disposizione materiale (es. automutilazione, sterilizzazione) sia

atti di disposizione giuridica (impegno di donare un organo).

L’art. 5 c.c. vieta entrambi i tipi di atti quando producono una menomazione permanente dell‟integrità, ovvero

quando siano altrimenti contrari all‟ordine pubblico o al buon costume, pertanto sono illeciti i comportamenti lesivi

della dignità umana, dell‟etica sessuale, del pudore, l‟automutilazione, la maternità surrogata, i prelievi di organi non

consentiti, la sterilizzazione permanente e la sperimentazione scientifica se non per fini terapeutici, le attività sportive

che presentano gravi rischi. Risultano leciti invece gli atti che non ledono in modo irreversibile l‟integrità (prelievi di

sangue, ecc..)

Integrità morale

Si parla di integrità morale per designare riassuntivamente il bene dell‟onore e del decoro: essi sono tutelati dal diritto

dell’ onore. La tutela è anzitutto di tipo penale: costituiscono reato penale per es. ingiuria, diffamazione. Sanzioni

civili possono essere il sequestro degli scritti (libri giornali film) e risarcimento dei danni.

Identità personale.

Il concetto di identità personale copre un ampia gamma di aspetti della personalità riconducibili all‟idea di identità, in

particolare il nome, il sesso, lo stato civile, il patrimonio spirituale e morale che fanno di ciascuno un individuo

distinto e irripetibile.

Il diritto al nome tutela l‟interesse al proprio appellativo, come segno distintivo della persona e mezzo di

identificazione personale formato da prenome e cognome. Questo diritto è garantito sia verso lo Stato (art. 22 Cost.)

sia verso i privati, vietando che altri possano usurparlo (art. 7). Chiara è l‟indisponibilità del nome che non può essere

ceduto ne esteso ad altri.

Diritto alla personalità morale garantisce l‟interesse a una esatta proiezione sociale, o conoscenza pubblica, delle

caratteristiche e delle qualità delle persone contro altrui travisamenti. In altre parole, ciascuno ha diritto di non vedersi

attribuire azioni, opinioni, modi d‟essere non rispondenti al vero. La legge prevede che quando si diffonde notizie

false, l‟interessato possa pretendere la pubblicazione di una smentita o rettifica che abbia lo stesso rilievo

“tipografico” della notizia inesatta.

Diritto morale d’autore tutela l‟interesse a vedersi riconosciuta la paternità intellettuale sull‟opere dell‟ingegno e sulle

invenzioni contro chiunque la contesti o cerchi di appropriarsene. Fermo il diritto di utilizzazione economica

dell‟opera, è espressamente sancita l‟irrinunciabilità e intrasferibilità del diritto morale dell‟autore.

Diritto dell’identità sessuale si sostanzia nella possibilità della rettificazione delle risultanze anagrafiche quando il

sesso indicato nell‟atto di nascita non corrisponda alla realtà, vuoi per errore, o a seguito di operazioni chirurgiche.

Diritto all’intimità privata

Il diritto all‟intimità privata tutela l‟interesse a mantenere il riserbo sulla propria vita privata, intesa come insieme dei

fatti, vicende, immagini, che concernono il singolo e la sua vita familiare.

Tale diritto si articola in due diritti fondamentali:

Diritto all‟immagine

Diritto alla riservatezza e protezione dei dati personali

Diritto all’immagine tutela l‟interesse all‟uso esclusivo del proprio ritratto, vietando che esso venga esposto o

pubblicato senza il consenso della persona o comunque fuori dai casi consentiti dalla legge.

In concreto è consentito pubblicare l‟immagine altrui solo se:

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1. quando vi sia il consenso dell‟interessato (anche dietro compenso)

2. quando la persona svolga attività di interesse pubblico (uomini politici,artisti, sportivi)

3. quando vi sia un rilevante interesse sociale, scientifico, didattico ecc..

4. quando si tratti di immagini riprese in occasione di avvenimenti svoltisi in pubblico (comizi cortei) o di

interesse pubblico (conferenze, convegni)

Diritto alla riservatezza tutela l‟interesse a mantenere il riserbo sui fatti e sulle vicende della vita personale e familiare

proteggendo l‟interesse a evitare una divulgazione pubblica delle informazioni ed è interessato a controllare la

raccolta, l‟elaborazione, la conservazione e l‟utilizzazione di notizie e informazioni riguardanti le persone che devono

uniformarsi a rigorose garanzie e precisi criteri.

La legge ha due strumenti: il controllo pubblico e il consenso privato. Il controllo pubblico è esercitato da un autorità

amministrativa indipendente, il “Garante per il trattamento dei dati personali” che ha poteri di vigilanza autorizzativi e

sanzionatori. Poi il trattamento dei dati personali è consentito solo previo consenso dall‟interessato e per scopi o fini

previamente dichiarativi, secondo criteri di veridicità completezza e aggiornamento dei dati. Le garanzie vengono

meno se si tratta di soggetti qualificati quali giornalisti, medici, polizia ecc. Con specifico riguardo all‟attività di

giornalismo si esclude la necessità dell‟autorizzazione del garante e anche del consenso dell‟interessato ma rimane

come la regola di fondo quella “dell‟essenzialità dell‟informazione riguardo a fatti di interesse pubblico”.

Libertà civili

Viene inclusa la libertà personale come diritto a non subire altrui costrizioni nella sfera personale e negoziale, con

limitazioni nei movimenti, perquisizioni e detenzione fuori dei casi determinati dalla legge; la libertà religiosa come

diritto a professare liberamente la propria fede; la libertà di associarsi per fini non vietati dalla legge penale; la libertà

di pensiero con la stampa, lo scritto e ogni altro mezzo;

Capitolo 8: Le forme di stato e di governo

Lo Stato italiano

Come già visto, lo Stato si configura come un particolare tipo di ordinamento giuridico.

Per il diritto pubblico esso riveste un‟importanza particolare proprio perché a partire dal „700 il diritto pubblico stesso

si è sviluppato a partire dalla nozione di Stato.

Lo Stato è dotato di una propria organizzazione istituzionale (si parla, tal proposito, di Stato apparato), i cui elementi

costitutivi sono: il Parlamento, il Governo, la pubblica amministrazione. Attraverso essi viene assicurato il

perseguimento delle finalità generali.

Lo Stato come Stato apparato viene individuato come una persona giuridica, anzi è la persona giuridica pubblica per

eccellenza, alla quale spetta come titolarità l‟interesse pubblico. Questa definizione viene da molti ritenuta ormai

superata, tuttavia per certi aspetti può considerarsi ancora valida.

La seconda, fondamentale caratteristica dello Stato come ordinamento giuridico è, come ormai noto, una propria

collettività di riferimento ed in questo contesto si parla di Stato comunità.

Gli elementi costitutivi dello Stato.

Lo Stato è una comunità organizzata che esercita la funzione di governo in modo indipendente ed efficace rispetto ad

un dato territorio. Viene quindi identificato da tre elementi:

il popolo, cioè l‟insieme dei soggetti della collettività;

la sovranità: caratterizza l‟originarietà del proprio potere, che non trova una fonte di legittimazione diversa da

esso. È questa la peculiarità dello Stato. Lo Stato poi può decidere di aderire a trattati internazionali (ad esempio

l‟Unione Europea), con cui rinuncia ad una parte della propria sovranità;

il territorio, cioè quel particolare ambito spaziale determinato dai confini nazionali. Anche il territorio può

variare: si pensi alle unioni fra Stati (ad esempio la Germania, unione tra la Repubblica Federale Tedesca e la

Repubblica Democratica Tedesca) o alle separazioni fra Stati (la Cecoslovacchia, divisasi tra Repubblica Ceca e

Repubblica Slovacca).

Un attenzione particolare va posta sul territorio. Esso, infatti, va individuato in termini ben precisi. Il territorio

nazionale comprende anche le acque territoriali, particolari zone dislocate in altri Stati (quali le ambasciate italiane

all‟estero), ma anche una nave che batte bandiera italiana.

I modi di essere dello Stato italiano.

In altre parole: che tipo di Stato è lo Stato italiano?

Storicamente lo Stato ha assunto caratteristiche diverse, definite in base ai diversi modi di presentarsi di forma di

Stato e di forma di governo.

La forma di Stato viene definita prendendo in considerazione:

a) i rapporti tra potere pubblico e cittadini e in questo caso si distingue tra Stato assoluto e Stato sovrano:

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b) l‟insieme di finalità che lo Stato si propone di perseguire e dei valori che assume per il proprio funzionamento. In

questo caso si distingue tra Stato di polizia e Stato democratico.

All‟interno delle forme di Stato si possono individuare le forme di governo. La forma di governo italiana è la

repubblica parlamentare, quella statunitense la repubblica presidenziale.

La forma di governo viene definita in relazione ai caratteri assunti da un rapporto fra gli organi di vertice dell‟apparato

statale e all‟insieme dei mezzi attraverso cui l‟apparato statale persegue le sue finalità.

La distinzione tra le varie forme di Stato e tra le diverse forme di governo viene operata sia a livello diacronico, sia a

livello sincronico. Esse infatti cambiano nel tempo all‟interno di uno Stato (si pensi all‟Italia, che sino al 1946 era una

monarchia e poi dal 2 giugno di quell‟anno divenne una repubblica), ma anche tra Stati diversi nello stesso tempo.

Forma di Stato e forma di governo dello Stato Italiano.

Lo Stato italiano si presenta con i seguenti caratteri:

A. Forma di Stato:

1) liberale: è stata subito assunta, sin dai tempi dell‟Unità d‟Italia;

2) democratico: il modello dello Stato liberale ha subito un‟integrazione con quello dello Stato democratico. Ciò

è avvenuto nel 1948, quando fu promulgata la Costituzione;

3) sociale: per Stato sociale si intende uno Stato che interviene direttamente per garantire il benessere dei propri

cittadini;

4) unitario e regionale: in questo ambito si è assistito ad una progressiva evoluzione. Lo Stato italiano nasce

come unitario ed accentrato. Con la Costituzione vengono riconosciute le regioni a Statuto speciale e,

successivamente, tutte le altre con una forte spinta a partire dagli anni 70. Attenzione a non confondere Stato

regionale con Stato federale, il quale invece si configura come forma di Stato opposta allo Stato unitario.

Vediamo nel dettaglio le quattro tipologie.

Lo Stato liberale

Il concetto di Stato liberale non è assolutamente da confondersi con quello di Stato liberista il quale invece

concerne un ambito prettamente economico.

In uno Stato liberale sono presenti regole giuridiche che disciplinano l‟attività degli organi di vertice politico. Esse

sono raccolte nella Costituzione.

Inoltre anche i poteri pubblici sono sottoposti alla legge. Esiste cioè un principio di legalità dell‟azione dei poteri

pubblici: essi sono chiamati a rispondere di fronte alla legge del modo in cui operano nei confronti della

collettività. Questo non accade nello Stato assoluto, dove chi detiene il potere non è chiamato a rispondere in

alcun modo del proprio operato.

In uno Stato liberale sono poi riconosciuti i diritti politici e civili dei cittadini. Attenzione: questo non è sinonimo

di sovranità come in apparenza potrebbe sembrare. Ai suoi albori, difatti, lo Stato italiano era sì liberale, ma il

diritto di voto era limitato per sesso e per censo.

Lo Stato democratico

Il primo elemento tipico dello Stato democratico è proprio la sovranità popolare. L‟articolo 1 (secondo comma)

della nostra Costituzione recita che “La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti

della Costituzione”.

In secondo luogo, gli organi di vertice dello Stato trovano la loro legittimazione nella volontà popolare, in modi

diversi, diretti ed indiretti. Ad esempio in Italia la fonte di legittimazione del Presidente della Repubblica è

indiretta: il popolo, infatti, elegge il Parlamento, il quale, a sua volta, elegge il Capo dello Stato. Negli Stati Uniti,

al contrario, la fonte di legittimazione è diretta, in quanto è il popolo stesso ad eleggere il proprio Presidente.

Ancora, il godimento dei diritti politici è riconosciuto a TUTTI i cittadini, senza distinzione di censo, sesso e

razza. Le limitazioni previste dal nostro ordinamento al godimento dei diritti politici derivano da sanzioni irrogate

per aver commesso azioni riprovevoli.

Infine in uno Stato democratico viene garantito il diritto di partecipazione dei cittadini all‟attività dei pubblici

poteri.

Lo Stato sociale

Che cosa contraddistingue lo Stato sociale?

Innanzitutto in uno Stato sociale lo Stato opera per rimuovere le disuguaglianze di fatto presenti nella società, al

fine di assicurare l‟eguaglianza sostanziale dei cittadini. Esso, cioè non si limita soltanto ad assicurare l‟ordine, ma

interviene anche per superare le disuguaglianze di fatto. Un esempio chiarificatore può essere rappresentato

dall‟articolo 34 della Costituzione, il quale sancisce il diritto allo studio a tutti, anche a coloro che sono privi di

mezzi, garantendo loro, attraverso borse di studio e sussidi, la possibilità di raggiungere, se capaci e meritevoli, i

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più alti gradi d‟istruzione. Lo Stato cioè interviene nei confronti di chi ha più bisogno sia nel campo dello studio,

della salute, del lavoro, dell‟assistenza sociale…

Sono riconosciuti ai cittadini non solo i diritti civili e politici, ma anche i diritti sociali. Lo Stato garantisce i diritti

civili, impedendo che vengano violati (ad esempio il diritto di proprietà), ma non interviene per realizzarli (non

interviene affinché tutti abbiano una casa). Questo invece succede con i diritti sociali, tra questi il diritto alla

salute, con lo Stato che si attiva mettendo a disposizione ospedali, ambulatori, o il diritto allo studio con la

presenza di scuole pubbliche di ogni ordine e grado. Anche il diritto al lavoro è garantito dallo Stato, non nel

senso che viene trovata un‟occupazione a tutti, ma mettendo a disposizione le strutture.

Infine lo Stato ha l‟obbligo di intervenire per soddisfare i diritti sociali.

Lo Stato unitario e regionale

Per quanto riguarda il primo profilo, lo Stato è unitario quando presenta un‟unica organizzazione che esercita al

suo interno tutte e tre le funzioni (legislativa, esecutiva, giudiziaria), al contrario dello Stato federale, in cui tali

funzioni sono invece delegate agli Stati membri della federazione.

Lo Stato regionale invece è dotato delle seguenti caratteristiche:

1) riconosce e valorizza le autonomie regionali, cui sono riconosciute significative quote di potere legislativo ed

esecutivo;

2) lo Stato concorre con le regioni e con gli enti locali a formare la Repubblica, secondo quanto sancito

dall‟articolo 114 , primo comma, della Costituzione.

B. Forma di governo

1) L‟Italia è una repubblica. Non è sempre stato così. Prima del 1946, la forma di governo italiana era la

monarchia. Che cosa caratterizza in generale la repubblica (a prescindere quindi dalla fattispecie italiana)?

Analizziamolo nel dettaglio evidenziando le differenze con l‟altra forma di governo, la monarchia.

o L‟organo di vertice dello Stato, il Presidente della Repubblica, ha, direttamente o indirettamente carattere

rappresentativo del popolo, viene eletto da esso o dai suoi rappresentanti. Il monarca, al contrario, ha

caratteristiche dinastiche, non viene eletto.

o Il Presidente della Repubblica esercita le sue funzioni per un periodo di tempo limitato, rinnovabile ma

comunque circoscritto. Il monarca invece regna a vita, salvo casi eccezionali di dimissioni.

2) L‟Italia è una repubblica parlamentare. Prevede cioè la centralità del Parlamento tra i vari organi dello Stato.

Esso è primus inter pares; è pari agli altri organi ma primo (primus) perché è l‟unico a possedere una

legittimazione diretta da parte del popolo. Questa primazia del Parlamento si manifesta in un rapporto di

fiducia tra Governo e Parlamento.

Nella repubblica parlamentare il Capo dello Stato viene eletto dal Parlamento ed assume un ruolo di potere

neutro: come spesso si sente affermare, è super partes, garante delle istituzioni. Nelle repubbliche

presidenziali, diversamente, è anche il capo dell‟esecutivo e quindi parte politica attiva.

Il centro attorno a cui ruotano le forme di Stato e di governo è la Costituzione.

Le forme di Stato e le forme di Governo nella loro evoluzione storica.

Il concetto di forma di Stato e di forma di Governo

Il diritto pubblico riguarda principalmente lo studio dei principi e degli istituti attinenti all'organizzazione dell'apparato

statuale e ai rapporti tra quest'apparato, i cittadini e la società civile. Per forma di Stato si intende il modo in cui è

risolto il rapporto tra autorità e libertà, ovvero quel rapporto tra potere statuale e società civile, da cui nasce si sviluppa

ogni esperienza statuale. Per forma di Stato intendiamo dunque l'insieme delle finalità che lo Stato si propone di

raggiungere ed i valori a cui ispira la propria azione, che determinano le caratteristiche di fondo del rapporto tra la

struttura del potere statuale e la collettività che in essa si riconosce. Per forma di Governo, invece, si intende insieme

degli strumenti e dei mezzi mediante i quali una determinata organizzazione statuale persegue le sue finalità. Forma di

Stato e forma di Governo rappresentano due concetti distinti, ma in realtà strettamente connessi, tant'è che ogni forma

di Governo va valutata alla luce della forma di Stato in cui essa opera. Il susseguirsi nel tempo delle diverse forme di

Stato e di Governo sono state accompagnate da lunghe fasi di transizione in cui caratteri del vecchio assetto si

uniscono e convivono con elementi del nuovo che comincia ad affermarsi.

Le forme di Stato: lo Stato patrimoniale

Lo stato patrimoniale ha caratterizzato tutto il periodo dell'alto medioevo e si affermò successivamente al disfacimento

dell'impero romano; non vi è ancora un'organizzazione amministrativa stabile e non vi è ancora l'istituzione di

articolati e complessi apparati organizzativi. A fondamento dello stato patrimoniale c'è un accordo, di natura quasi

privatistica, che interessa solo alcuni soggetti (i feudatari) e che ha per oggetto la tutela del diritto di proprietà, di cui

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tali soggetti sono titolari; al di là di questo esiste una comunità indistinta di individui, che appare più come oggetto di

diritti altrui che come soggetto di diritti propri.

Lo Stato assoluto e lo Stato di polizia

Successivamente si affermò lo Stato assoluto, che vide l'accrescersi dei compiti assunti dallo Stato rispetto a una

società che pone esigenze sempre più complesse. Il passaggio da un'economia chiusa ad un'economia di scambio è la

ragione per cui prende vita uno Stato che assume come proprio non più un fine specifico, strettamente legato a singole

posizioni soggettive, bensì fini di carattere generale, caratterizzati dalla ricerca del benessere per l'intera collettività. È

il periodo in cui prendono vita istituzioni quali il fisco, la tassazione uniforme, la burocrazia statuale e la costituzione

di un esercito stabile che rimarranno nei secoli. Una variante, o per meglio dire uno sviluppo, dello Stato assoluto è il

cosiddetto Stato di polizia, che si afferma verso la fine del XVIII secolo in Austria ed in Prussia; esso è caratterizzato

dal riconoscimento di alcune posizioni soggettive ai singoli, tutelabili davanti ai giudici, anche contro i pubblici poteri.

Lo Stato liberale

Lo Stato liberale, che sarebbe durato fino agli anni immediatamente successivi al primo conflitto mondiale, venne

fuori dalla crisi dello Stato assoluto, causata dall'aumento della conflittualità internazionale, dall'accentuata pressione

fiscale, e dai conflitti interni provocati dal passaggio da un'economia agricola ad un'economia di tipo industriale. La

caratteristica precipua dello Stato liberale è il compito dei pubblici poteri di perseguire come finalità generale il

soddisfacimento degli interessi dell'intera collettività, assicurando condizioni di sicurezza sul piano esterno (la politica

estera) e il rispetto dei diritti di libertà, sia dal punto di vista economico che sul piano interno (la sicurezza pubblica).

Un altro punto importante è il principio della legittimazione dell'esercizio del potere, che non è più di origine

trascendente (di natura divina), ma proviene dai membri stessi della collettività statuale. Si afferma il principio cardine

dello Stato di diritto, secondo cui il funzionamento e l'organizzazione dello Stato devono essere disciplinati dalle leggi

e gli atti della pubblica amministrazione devono essere conformi alla legge, pena la loro annullabilità da parte del

giudice. Si afferma un modello in cui tutte le classi presenti nel contesto sociale trovano proprio spazio, ovvero una

propria sede di rappresentanza nell'organo che si pone al centro del sistema costituzionale: il Parlamento.

Lo Stato totalitario

La crisi dello Stato liberale va ricercata nel primo conflitto mondiale e nella crisi economica che ne seguì: in paesi

come l'Italia, in cui il sistema economico si presentava particolarmente fragile, il diffuso malcontento delle classi

disagiate produsse un aumento tale della pressione sociale da determinare il crollo delle istituzioni dello Stato liberale.

Lo sbocco di questa situazione di crisi fu rappresentato dall'avvio dello Stato totalitario, uno Stato che nasce con

l'obiettivo primario di sostituire l'apparato istituzionale dello Stato liberale, mediante l'introduzione di una nuova

organizzazione ispirata a un forte accentramento del potere intorno alla figura di un "capo", in grado di contenere

regolare in maniera autoritari conflitti sociali. Il partito unico veniva utilizzato come canale di formazione

dell'indirizzo politico generale e i mezzi di comunicazione di massa come strumenti per l'allargamento della base del

consenso.

Lo Stato socialista

La nascita dello Stato socialista avviene in Russia dopo la rivoluzione che portò alla caduta del regime zarista. Le

disuguaglianze derivanti dalla proprietà privata dei mezzi di produzione si risolvono con la nozione di proprietà

socialista; il privilegio dei gruppi sociali dominanti si risolve con il riconoscimento delle sole libertà collettive; la

mancanza di strumenti di aggregazione sociale si risolve con l'affermarsi del partito comunista come perno centrale.

Questo regime si diffuse in molti paesi dell'Europa centrale e orientale nel secondo dopoguerra.

Lo Stato sociale

Anche lo Stato sociale, come quello socialista, ha inizio dalla crisi dello Stato liberale ottocentesco. Il fine principale

dello Stato sociale è di rimuovere le disuguaglianza presenti nella società: si pone così l'obiettivo di raggiungere

l'uguaglianza sostanziale e non solo quella formale tra i cittadini. Rispetto al vecchio Stato liberale viene rafforzata la

divisione dei poteri, e si assiste al pieno riconoscimento di istituti fondamentali per garantire l'effettiva partecipazione

dei cittadini in una grande società di massa (i partiti e i sindacati).

Lo Stato unitario, lo Stato federale, lo Stato regionale

Per quanto concerne il principio dell'autonomia territoriale, si parla di Stato unitario (attualmente Francia e Olanda), di

Stato federale (Germania e Austria) e confederale, di Stato regionale (Italia e Spagna). Lo Stato federale è basato sulla

regola per cui i membri della federazione hanno una competenza generale, dalla quale sono escluse le materie che

vengono espressamente riservate dalle norme costituzionali agli organi federali, mentre nello Stato regionale sono gli

organi centrali dello Stato ad avere una competenza generale, fatte salve le specifiche competenze affidate alle regioni.

Le forme di Governo: la monarchia assoluta

La nozione di forma di Stato punta ad individuare i fini generali che lo Stato si propone di raggiungere, mentre la

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nozione di forma di Governo precisa i mezzi o il modello dei rapporti fra gli organi supremi dello Stato che viene

predisposto per il raggiungimento di quelle finalità. La prima forma di Governo in senso proprio nasce con lo Stato

assoluto. Al vertice di questa struttura si pone il sovrano, unico organo titolare del potere di decisione politica, cui

fanno capo tutte le funzioni statuali: la funzione legislativa, la funzione esecutivo-amministrativa (con la nomina dei

funzionari), la funzione giurisdizionale (nominando i giudici che amministrano in suo nome alla giustizia).

La monarchia costituzionale

La fine della monarchia assoluta viene sancita a livello europeo dalla rivoluzione francese. In Inghilterra viene

teorizzato da Locke il principio della divisione dei poteri, secondo il quale si doveva immaginare una forma di

Governo centrata su due organi costituzionali: il sovrano, titolare della funzione esecutiva e di quella federativa

(politica estera), e il Parlamento, titolare della funzione legislativa. In Francia il principio della divisione dei poteri

viene teorizzato alla fine del XVIII secolo da Montesquieu e Rousseau, secondo i quali non ci dovrà essere in futuro

alcun potere esercitato in condizioni di monopolio d'alcun organo dello Stato e nemmeno alcun potere esercitato al di

fuori da uno stretto collegamento della volontà popolare. La prima applicazione di questi principi si ebbe con la

monarchia costituzionale, in cui accanto all'organo sovrano si afferma un organo costituzionale titolare di un proprio

autonomo potere di decisione politica: il Parlamento. Il sovrano rimane titolare del potere esecutivo e del potere di

nomina e di revoca dei membri del Governo, ma deve dividere l'esercizio del potere legislativo con il Parlamento.

La forma di Governo parlamentare

A partire dalla seconda metà del secolo scorso si assiste a una sempre più marcata rottura di quell'equilibrio a tutto

vantaggio del ruolo del Parlamento. L'istituto della fiducia comporta che il Governo, una volta formato, si presenti di

fronte al Parlamento per ottenere un avallo preliminare (il voto di fiducia) al programma di attività che intende

svolgere nel corso della propria vigenza in carica. Grazie a questa fiducia iniziale, il Governo si salda alle forze

politiche maggioritarie in Parlamento e ne diviene espressione. Il Parlamento acquista il potere di revocare la fiducia

al Governo, mediante l'approvazione di un'apposita mozione di sfiducia, la quale obbliga il Governo a dimettersi. Si

passa così da una cosiddetta fase dualista (con a capo re e Parlamento) ad una fase monista, in cui al centro del

sistema si colloca saldamente il Parlamento. All'istituto della fiducia, che rappresenta l'elemento distintivo della forma

di Governo parlamentare, si associa una nuova concezione del capo dello Stato (il monarca ho sempre più spesso il

Presidente della Repubblica), che vede quest'ultimo con un potere neutro, lontano dalle dispute politiche contingenti, e

destinatario del compito di supremo garante delle regole costituzionali.

Le forme di Governo presidenziale, semi-presidenziale e direttoriale

La forma di Governo presidenziale precede l' affermarsi del regime parlamentare ed è caratterizzata dalla scelta di

porre al centro del sistema costituzionale l'organo presidenziale, che riunisce in se i poteri e le funzioni proprie del

capo dello Stato e del capo del Governo. Non esiste quindi il rapporto fiduciario tra Parlamento e Governo, bensì tra

Presidente della Repubblica e Governo. Questo regime nasce con la costituzione degli Stati Uniti d'America del 1787.

Il regime semi-presidenziale, che ha avuto un precedente importante nella costituzione di Weimar del 1919, ritrova

alcune caratteristiche di fondo del regime presidenziale (elezione diretta del Presidente della Repubblica e rapporto

fiduciario tra Presidente e Governo), che convivono tuttavia con alcuni istituti tipici della forma di Governo

parlamentare, come l'istituto della fiducia parlamentare all'esecutivo. La forma di Governo direttoriale ha come

obiettivo primario la garanzia della stabilità dell'esecutivo, prefissandone a priori la durata, facendola coincidere

spesso con la durata della legislatura (Governo a termine).

La forma di Governo dittatoriale

Nello stato dittatoriale nasce la figura del capo del Governo, inteso come vero centro motore dell'intero sistema

costituzionale. Grazie ad un'investitura che gli viene dall'essere al vertice dell'unica formazione politica ammessa (il

partito unico), esso è svincolato da ogni forma istituzionalizzata di etero-controllo. In esso si concentrano non solo le

funzioni proprie dell'organo di vertice dell'esecutivo, ma anche il potere di nomina e revoca dei membri del Governo,

il comando delle forze armate, e una serie di poteri diretti a condizionare e limitare la stessa funzione legislativa di un

Parlamento.

La forma di Governo negli Stati socialisti

La costituzione sovietica del 1936 prevedeva una struttura statuale fondata da un lato sul riconoscimento di ampie

autonomie locali e dall'altro su una fitta rete di assemblee elettive (i soviet) gerarchicamente ordinate, ciascuna

espressione delle assemblee di livello inferiore, fino ad arrivare gli organi supremi dello Stato: il Soviet supremo (il

Parlamento) e il Presidium (capo dello Stato e Governo), legati da un rapporto che ricorda l'istituto della fiducia. Il

principio informatore dei rapporti tra le varie assemblee è quello gerarchico, mentre al partito spetta una funzione di

guida della collettività nella costruzione della società socialista, che si traduce in tutta una serie di poteri specifici,

primo fra tutti quello relativo alla scelta dei candidati per i vari organi elettivi.

Forma di Stato, forma di Governo e sistema delle fonti normative

Page 33: Diritto privato e pubblico riassunti

33

La storia delle diverse forme di Stato e forme di Governo non è altro che la storia del modo in cui certi rivolgimenti

sociali hanno determinato un certo assetto del potere statuale e del modo in cui un certo assetto di potere si è posto

rispetto ai problemi presenti nella società, in un processo di continuo e reciproco condizionamento.

CAPITOLO IX: UNIONE EUROPEA e Italia

La nascita dell’Unione Europea

Il processo di integrazione europea prende avvio agli inizi degli anni cinquanta con la nascita delle tre comunità

europee originarie (prima la Ceca e poi successivamente la Cee e la Ceea o Euratom), le quali avevano finalità

economiche, ma anche l'obiettivo preciso di scongiurare il rischio del riprodursi in Europa delle condizioni di

conflittualità che avevano portato ben due conflitti mondiali. Si partì dalla creazione di un mercato comune,

eliminando le barriere tra i vari stati europei per arrivare alla libera circolazione delle merci, al diritto di stabilimento

dei lavoratori autonomi e alla libera circolazione dei capitali. Le principali tappe dell'itinerario di integrazione sono:

1. trattato di Bruxelles (1965), che realizza una prima forma di coordinamento tra le tre comunità unificandone

gli esecutivi e varando un unico bilancio europeo;

2. atto unico europeo (1986), che prevede l'eliminazione di un gran numero di barriere alla libera circolazione,

vede l'istituzionalizzazione del consiglio europeo, in quanto organo nel quale maturano le grandi scelte di

indirizzo politico, e il potenziamento del ruolo del Parlamento europeo;

3. trattato di Maastricht o trattato dell'Unione Europea (1992), che dà il via alla cooperazione in materia di

politica estera, di sicurezza, di giustizia e di affari interni. Si pongono le basi per una moneta unica europea

(euro) e per l'istituzione della Banca centrale europea, insieme alla nozione di cittadinanza europea;

4. trattato di Amsterdam (1997), che vede un'ulteriore valorizzazione della cittadinanza europea, insieme a un

rafforzamento della politica sociale europea;

5. trattato di Nizza (2001), con il rafforzamento degli interventi dell'Unione Europea in settori quali quello della

politica estera, di sicurezza e di difesa, insieme alla nuova composizione del Parlamento europeo e della

commissione.

Ad oggi i paesi dell‟Unione Europea risultano essere: Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Olanda, regno

unito, Irlanda, Danimarca, Grecia, Spagna, Portogallo, Austria, Finlandia, Svezia, Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania,

Malta, Polonia, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Slovenia, Ungheria (25 paesi, maggio 2004).

La forma di Governo

Per forma di Governo comunitaria si intende l'aspetto dell'ordinamento relativo alla composizione e alle funzioni degli

organi tra i quali i trattati ripartiscono i poteri ceduti dagli stati membri, nonché ai loro reciproci rapporti. Gli organi

principali sono i seguenti:

1 il consiglio europeo, creato nel 1974 ed entrato a far parte della struttura organizzativa comunitaria nel 1987 a

seguito dell‟entrata in vigore dell‟Atto unico europeo, è formato dai capi di stato o di Governo dei paesi

membri – assistiti dai ministri degli Esteri – e dal Presidente della Commissione europea. Si riunisce due volte

all‟anno nei cosiddetti “vertici europei” e ha il compito principale di stabilire l‟orientamento politico

dell‟Unione;

2 il Parlamento europeo, inizialmente organo puramente consultivo al quale l‟Atto unico europeo e il trattato di

Maastricht hanno attribuito poteri più ampi – è l‟unico organo comunitario composto da membri eletti

direttamente dai cittadini dei paesi membri. Oggi, oltre ad avere poteri in materia di bilancio e di controllo

dell‟esecutivo, il Parlamento ha anche competenze legislative e condivide con il Consiglio dei ministri il

potere di decisione su diverse materie;

3 la commissione europea, composta da trenta membri (erano venti prima dell‟allargamento del 2004), è

l‟organo esecutivo dell‟Unione, ma suo è anche il compito di avanzare le proposte legislative. Essa vigila sulla

corretta applicazione dei trattati europei e delle decisioni adottate in base a essi. In ambito amministrativo la

Commissione gestisce i fondi comunitari e gli aiuti agli altri paesi. La Commissione europea ha un organico di

15.000 persone, di cui un terzo è addetto ai servizi di traduzione e di interpretariato;

4 il consiglio dei ministri, il principale organo legislativo. Composto dai rappresentanti degli stati membri, di

solito ministri, è affiancato dal Comitato dei rappresentanti permanenti, che ha il compito di preparare i lavori

del Consiglio e di eseguire i mandati che quest‟ultimo gli affida. La presidenza del Consiglio è affidata a turno

a uno degli stati membri e ha la durata di sei mesi. L‟attività del Consiglio si divide in tre “pilastri”. Il primo

comprende le politiche comunitarie in materia di agricoltura, trasporti, energia, ambiente, ricerca e sviluppo,

per le quali il Consiglio si attiva su proposta della Commissione. Il secondo “pilastro” comprende la politica

estera e la sicurezza; il terzo la giustizia e gli affari interni. Su queste materie il Consiglio ha potere di

decisione e di iniziativa;

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34

5 gli organi di controllo e di giustizia, di cui fanno parte la Corte dei conti, la Corte di giustizia ed il Tribunale

di primo grado. La corte dei conti, composta da 25 membri, esercita il controllo sulla gestione finanziaria della

comunità. La Corte di giustizia, organo giudicante di ultima istanza, è composta da venticinque giudici (uno

per ogni stato membro) e otto avvocati generali; è competente sia per le controversie tra istituzioni

comunitarie – e tra queste ultime e i paesi membri – sia per i ricorsi in appello contro le direttive e i

regolamenti emanati dall‟Unione. Su richiesta di un Tribunale nazionale, la Corte si pronuncia anche sulla

validità e sull‟interpretazione delle disposizioni del diritto comunitario (vedi Diritto europeo). Le sue sentenze

costituiscono un precedente e divengono parte del quadro giuridico di ciascuno stato membro.

Il Tribunale di primo grado, formato da venticinque giudici nominati per un periodo di sei anni, si occupa dei

ricorsi contro la normativa comunitaria presentati da individui, organizzazioni o società.

I poteri delle istituzioni comunitarie

La comunità è in grado di esercitare poteri normativi, amministrativi, giudiziari, concludere accordi internazionali con

stati terzi.

1 Poteri normativi. Vengono esercitati attualmente attraverso direttive e regolamenti: le direttive sono atti

normativi che fissano, in una determinata materia, degli obiettivi, dei risultati che devono essere raggiunti

dagli stati membri lasciando a questi ultimi la libera scelta dei mezzi più idonei al loro conseguimento; ad una

direttiva comunitaria fa seguito un intervento del legislatore nazionale che deve dare attuazione al contenuto

della direttiva; i regolamenti sono invece gli atti normativi comunitari che non richiedono alcun ulteriore

intervento da parte del legislatore nazionale.

2 Poteri amministrativi. Riguardano le attività di decisione, di controllo, di ispezione, di sanzione. È di

particolare rilievo l'attività che la commissione svolge nella gestione dei fondi strutturali della comunità, ossia

delle risorse che vengono destinate allo sviluppo di particolari settori dell'economia degli stati membri.

3 Poteri in campo monetario. L'introduzione di una moneta unica europea e l'istituzione di una banca centrale

europea rappresentano, senza alcun dubbio, il passo più rilevante sulla strada dell'integrazione. Diventata

operativa il 1° luglio 1988, la Banca centrale europea, che ha sede a Francoforte, è l‟organismo attorno al

quale ruota il Sistema europeo delle banche centrali (SEBC), che comprende tutti gli istituti di emissione dei

paesi membri dell‟UE. Compiti della BCE sono quelli di sostenere le politiche economiche e definire e attuare

la politica monetaria dell‟UE, assicurare la stabilità dei prezzi interni e il valore del cambio esterno dell‟euro,

detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli stati membri, promuovere il regolare funzionamento

dei sistemi di pagamento. Gli organi della BCE sono: il Comitato esecutivo, composto da sei membri; il

Consiglio direttivo, composto dai sei membri del Comitato esecutivo più i dodici governatori delle banche

centrali dei paesi aderenti all‟Unione monetaria europea; il Consiglio generale, composto dai governatori delle

banche centrali di tutti i paesi membri dell‟UE.

4 Poteri giudiziari. Vengono esercitati dal tribunale di primo grado e dalla corte di giustizia e assicurano che gli

atti e comportamenti adottati dalle istituzioni comunitarie siano legittimi; valgono inoltre ad assicurare un

risarcimento del danno a chi, persona fisica o giuridica, abbia subito un pregiudizio dell'attività svolta da un

organo comunitario.

5 Potere estero. In alcune materie espressamente previste dai trattati, come la politica commerciale comune e la

cooperazione nei settori della ricerca e dello sviluppo tecnologico, la comunità ha il potere di stipulare accordi

internazionali che vincolano al loro rispetto tutti i stati membri.

6 Poteri in ambito di PESC e GAI. Nel quadro della cooperazione in materia di politica estera e di sicurezza

comune (PESC), nonché in materia di giustizia e affari interni (GAI), le decisioni assunte assumono la veste di

azioni comuni e di posizioni comuni: le prime impegnano l'unione a un intervento diretto, mentre le seconde

impegnano gli stati ad adottare politiche nazionali conformi alla posizione comune assunta.

I riflessi sul sistema costituzionale della partecipazione dell’Italia all’Unione Europea

Le principali conseguenze che il processo di integrazione europea ha prodotto in Italia sono:

1 sul piano della forma di Governo, si deve registrare un progressivo rafforzamento del ruolo di quest'organo,

mentre il Parlamento non dispone di strumenti efficaci per poter far sentire la propria voce sulla scena

europea;

2 sul piano delle grandi scelte di indirizzo politico, ogni scelta risulta vincolata a decisioni assunte in sede

comunitaria;

3 sul piano della legislazione, ormai intere materie non sono più nella disponibilità del legislatore nazionale e

ciò vale sia per il Parlamento sia per le singole regioni;

4 sul piano dell'amministrazione gli organi amministrativi (statali, regionali, provinciali o comunali) non

operano più in ossequio a una legge dello Stato o della regione, ma in ossequio a un regolamento o ad una

Page 35: Diritto privato e pubblico riassunti

35

direttiva comunitaria;

sul piano della giurisdizione, la legge della comunità prevale, secondo il principio gerarchico, automaticamente su una

legge nazionale, qualora la materia in causa sia disciplinata da entrambe le fonti normative

CAP X :Il Parlamento

Il Parlamento italiano è l‟istituzione centrale nell‟ambito del nostro ordinamento, l‟istituto principale per l‟esercizio

della democrazia. Ad esso spetta la funzione legislativa a livello statale. A livello regionale tale funzione è riservata

invece ai Consigli Regionali.

Il Parlamento italiano si regge su un sistema bicamerale, composto dalla Camera dei Deputati (con sede a

Montecitorio) e dal Senato della Repubblica (con sede a Palazzo Madama), secondo il modello del bicameralismo

perfetto, cioè: uguale, paritario ed indifferenziato, in cui entrambi i rami esercitano gli stessi poteri e concorrono

paritariamente alla formazione degli atti parlamentari.

Il bicameralismo è da ritenersi uguale in quanto le modalità di elezione per la Camera dei Deputati ed il Senato sono

uguali, paritario perché le due Camere rivestono la stessa importanza ed infine indifferenziato in quanto esercitano le

stesse funzioni.

Le differenze tra Camera dei Deputati e Senato riguardano in primo luogo l‟elettorato attivo e passivo e, nello

specifico, le soglie di età che:

per l‟elettorato attivo sono 18 anni per i deputati e 25 per i senatori;

per l‟elettorato passivo: 25 anni per i deputati e 40 per i senatori.

Il Senato, quindi, è composto da persone con un‟età maggiore, elette da persone anche con un‟età maggiore.

Diversa è anche la composizione: 630 membri per la Camera dei Deputati, 315 per il Senato, cui possono aggiungersi

5 senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica tra i cittadini che si sono distinti per altissimi meriti nel

campo sociale, scientifico, artistico e letterario.

Fino al 1963 era prevista una differente durata in carica dei due rami del Parlamento e precisamente 5 anni per la

Camera dei Deputati e 6 per il Senato. Tale differenza è stata rimossa dalla legge costituzionale 3/1963, onde evitare

che una diversa durata portasse alla formazione, all‟interno delle singole Camere di equilibri politici non sempre

coincidenti. Ora deputati e senatori restano in carica entrambi per 5 anni, salvo casi eccezionali di scioglimento

anticipato delle Camere.

Organizzazione e funzionamento del Parlamento

Il funzionamento e l‟organizzazione delle due Camere del Parlamento sono assistiti da particolari garanzie vista

l‟importanza delle funzioni da esse esercitate. Sono disciplinati dall‟articolo 55 e seguenti della Costituzione e dai

rispettivi regolamenti adottati in base all‟art. 64 della Costituzione. Nella fattispecie si parla di “riserva di

regolamento” e sono soggetti solo al controllo degli interna corporis, cioè i soggetti esterni (quali i giudici, la Corte

Costituzionale…) non possono sindacare sui regolamenti delle Camere. Proprio questi ultimi due aspetti (regolamenti

propri e soggetti solo al controllo degli interni) individuano l‟autonomia delle Camere.

I regolamenti parlamentari disciplinano:

l’organizzazione dei lavori: il programma, il calendario, l‟ordine del giorno, le modalità di discussione delle

norme e dei voti. L‟organizzazione riveste un ruolo importante alla luce del fatto che le Camere sono organo di

tipo collegiale, sono cioè composte da più persone fisiche che devono ritrovarsi assieme in una specifica data,

secondo un determinato calendario. Non solo: devono anche stabilire un certo ordine del giorno ed infine discutere

le norme e come votarle. Il voto infatti può essere segreto o palese;

il rapporto tra le forze politiche rappresentanti il Parlamento.

L’organizzazione interna delle Camere

La Camera dei Deputati ed il Senato della Repubblica sono composti rispettivamente da 630 e 315 membri. I relativi

regolamenti prevedono la presenza di particolari organismi interni per rendere più efficiente il loro lavoro:

1. i Presidenti e l’Ufficio di presidenza. I Presidenti sono cariche istituzionali molto rilevanti. Il Presidente del

Senato infatti sostituisce il Presidente della Repubblica quando è impossibilitato ad esercitare

temporaneamente il proprio mandato per motivi di salute o per assenza legata a viaggi di rappresentanza. Per

questo viene considerato la seconda carica dello Stato (il Presidente della Camere dei Deputati è la terza). I

presidenti infatti svolgono funzioni fondamentali all‟interno della camera di appartenenza, quali la

programmazione dei lavori, la loro direzione… Nella cosiddetta Prima Repubblica, quando vigeva il sistema

proporzionale puro era prassi venissero eletti presidenti delle Camere due figure importanti una appartenente

ad un partito di Governo e l‟altro all‟opposizione. Dal 1994, con l‟avvento della cosiddetta Seconda

Repubblica, i Presidenti delle Camere vengono eletti tra le fila della maggioranza (i primi furono Pivetti –

Scognamiglio). È venuto meno, così, il ruolo super partes del presidente che dovrebbe garantire il regolare

funzionamento delle Camere.

Page 36: Diritto privato e pubblico riassunti

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Il Presidente viene eletto a scrutinio segreto:

a) alla Camera dei Deputati: dalla maggioranza qualificata (2/3) dei componenti per il primo scrutinio, dalla

maggioranza qualificata (2/3) dei votanti per il secondo e dalla maggioranza assoluta dal terzo in poi;

b) al Senato: dalla maggioranza assoluta dei componenti per il primo e secondo scrutinio, dalla maggioranza

assoluta dei votanti per il terzo, mentre al quarto si procede al ballottaggio.

Nel momento dell‟insediamento delle Camere per l‟elezione dei nuovi presidenti, la presidenza viene assunta

temporaneamente dal componente più anziano. Gli attuali Presidenti delle Camere (XV Legislatura) sono

Fausto Bertinotti per i Deputati e Franco Marini per il Senato.

Il Presidente viene coadiuvato dall‟Ufficio di presidenza, composto da 4 Vicepresidenti3, dai segretari

(compilano i verbali delle adunanze, accertano il numero legale) e dai questori (sovraintendono al cerimoniale

ed ai servizi interni e svolgono attività di polizia);

2. i gruppi parlamentari. Sono forme di rappresentanza delle forze politiche elette in Parlamento; sono dei

gruppi, delle associazioni cui possono aderire i parlamentari eletti nei diversi schieramenti e all‟interno dei

quali esercitano le loro funzioni. Ogni gruppo parlamentare deve essere costituito da almeno 20 deputati o 10

senatori. I parlamentari che non si riconoscono in alcuno dei gruppi confluiscono nel cosiddetto “gruppo

misto”. Costituiscono il raccordo tra ordinamento parlamentare e sistema partitico;

3. le giunte: non hanno connotazioni di tipo partitico, ma di funzionamento. Svolgono infatti funzioni di estrema

delicatezza, necessarie per il funzionamento delle Camere e precisamente:

a) alla Camera dei Deputati: proposta di modifiche regolamentari ed interpretazione del regolamento stesso,

convalida delle elezioni, rilascio delle autorizzazioni a procedere;

b) al Senato: proposta di modifiche regolamentari ed interpretazione del regolamento stesso, convalida delle

elezioni e discussioni circa l‟applicazione eventuale dell‟immunità parlamentare;

4. le Commissioni Parlamentari. Come afferma l‟art. 82.2 della Costituzione, sono composte in modo tale da

rispecchiare la composizione delle Camere. Possono essere permanenti o temporanee (come le commissioni di

inchiesta), monocamerali o bicamerali. Si differenziano dalle Giunte perché quest‟ultime si occupano del

funzionamento delle Camere, mentre le Commissioni parlamentari svolgono una funzione legislativa ed una

di indirizzo e controllo.

Analizziamo nel dettaglio i vari tipi di commissioni. Le commissioni permanenti sono sempre attive

all‟interno del Parlamento e si occupano, per materia, delle varie questioni discusse in tale sede. Vi sarà quindi

una Commissione Giustizia, una Commissione Agricoltura, una Commissione Difesa… Questa suddivisione

comporta che le varie materie vengono trattate in un ambito più ristretto e quindi più rapidamente. Inoltre i

commissari hanno una competenza maggiore nelle questioni che si trovano a discutere.

Le commissioni temporanee hanno funzioni diverse da quelle permanenti. Vengono costituite per lo

svolgimento di compiti di inchiesta e durano in carica soltanto per il tempo necessario a tale adempimento.

Nel passato hanno rivestito notevole importanza le Commissioni Stragi o la Commissione P2, mentre, tra

quelle più recenti è possibile ricordare la Commissione Mitrokin risalente alla scorsa legislatura.

Le commissioni monocamerali, come si evince molto facilmente dal nome stesso, sono composte da

appartenenti ad una sola Camera, mentre quelle bicamerali, di converso, sono composte sia da deputati che da

senatori. Le più numerose sono le prime. Tutte le commissioni permanenti sono monocamerali.

5. gli apparati burocratici delle Camere. A differenza delle strutture organizzative precedenti sono composti

da funzionari non eletti. Camera dei Deputati e Senato si avvalgono di due apparati burocratici distinti l‟uno

dall‟altro.

Il funzionamento del Parlamento

Quali adempimenti sono previsti per il funzionamento delle Camere?

In primo luogo va citata la durata delle Camere. Come già affermato in precedenza essa è pari a 5 anni per entrambe,

salvo scioglimento anticipato delle stesse. Può tuttavia avvenire una prorogatio delle Camere nel periodo intercorrente

tra lo scioglimento e l‟insediamento di quelle nuove, per un periodo comunque massimo di 70 giorni (50 giorni

precedenti alle elezioni + 20 successivi) con divieto di elezione del Presidente della Repubblica a partire dagli ultimi

tre mesi di legislatura. La prorogatio non deve assolutamente essere considerata come un allungamento della durata in

carica delle Camere, in quanto in prorogatio, esse devono limitarsi a funzioni di ordinaria amministrazione. La durata

effettiva del mandato parlamentare è definita legislatura.

L‟inizio della legislatura avviene ufficialmente con la prima convocazione delle nuove Camere, ad opera del

Presidente della Repubblica. Esistono vari tipi di convocazione, tra queste quelle di diritto. L‟art 62.1 della

3 per la Camera dei Deputati: Giulio Tremonti, Giorgia Meloni, Pierluigi Castagnetti e Carlo Leoni, per il Senato: Gavino

Angius, Roberto Calderoli, Milziade Caprili e Mario Baccini.

Page 37: Diritto privato e pubblico riassunti

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Costituzione afferma a tal proposito che “Le Camere si riuniscono di diritto il primo giorno non festivo di febbraio e

di ottobre”. Sono sempre possibili comunque convocazioni straordinarie, a richiesta del Presidente della Repubblica,

del Presidente di una Camera o di almeno 1/3 dei suoi componenti.

Per quanto riguarda la validità delle sedute, è piuttosto utopico pensare che alle riunioni partecipino tutti i

Parlamentari. Deve perciò esistere un numero minimo, per cui la seduta possa ritenersi valida, altrimenti potrebbe

paradossalmente succedere che una legge venga approvata da 5 Parlamentari. Viene quindi previsto un numero legale

(detto quorum strutturale) pari alla maggioranza assoluta (la metà più uno) dei membri delle Camere. Nella realtà vige

il principio per cui il numero legale si presume (non avviene cioè una conta, un appello dei Parlamentari presenti), ma

nulla vieta che di esso possa esserne richiesta la verifica in ogni momento da parte del Presidente o di un certo numero

di deputati o senatori.

Infine il voto. Può essere palese o segreto. In genere è palese, in alcuni casi addirittura obbligatoriamente palese (ad

esempio per la votazione della legge finanziaria). Il voto segreto è ammesso solo in alcuni casi specifici (quali le leggi

concernenti i diritti di libertà) o su richiesta di 20 deputati o 20 senatori. È obbligatorio, invece, solo per il voto sulle

persone.

24.10.2006

Tramite il voto le Camere esprimono la propria volontà, cioè deliberano. Devono essere però fissate delle regole ben

precise circa il corretto esercizio del diritto di voto dei Parlamentari. Per le deliberazioni è necessario raggiungere un

certo quorum, in altre parole occorre che un certo numero di Parlamentari esprima la propria volontà. Esso cambia a

seconda del tipo di provvedimento che deve essere adottato. La prassi abituale delle Camere consiste nell‟esprimere il

voto a maggioranza dei presenti. Tale maggioranza viene raggiunta quando la metà più uno dei presenti (e si parla in

tal caso di maggioranza assoluta) si dichiara favorevole all‟adozione di un determinato provvedimento legislativo.

Quindi per votare una legge occorre che:

venga raggiunto il quorum strutturale cioè occorre che almeno la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto

sia presente in aula. Il numero legale, come è noto, viene presunto, ma può esserne richiesta la verifica;

esprima parere favorevole almeno il 50% + 1 dei presenti in aula. Il provvedimento si intende rigettato invece

quando la maggioranza esprime parere sfavorevole

In determinate situazioni sono necessarie maggioranze qualificate, cioè è necessario che un determinato

provvedimento legislativo venga votato da una maggioranza più ampia, ad esempio i 2/3 dei Parlamentari.

Per cui, riassumendo, si parla di quorum strutturale per intendere il numero minimo di parlamentari che devono essere

presenti in aula per poter votare, mentre si parla di quorum funzionale quando si fa riferimento al numero minimo di

Parlamentari che si devono esprimere a favore di un determinato provvedimento perché il provvedimento stesso possa

considerarsi approvato.

Un problema rilevante riguarda il computo degli astenuti. Può infatti accadere che, nelle deliberazioni, un certo

numero di Parlamentari si astenga, cioè non votino né a favore, né contro un determinato provvedimento. Appare

chiaro che la determinazione del quorum funzionale può cambiare a seconda di come vengono considerati gli astenuti.

Nel regolamento della Camera dei Deputati gli astenuti sono considerati come assenti. In questo caso il quorum si

abbassa, in quanto risulta sufficiente un numero inferiore di voti per arrivare a raggiungere la soglia del 50% + 1.

Viceversa al Senato sono considerati presenti e quindi per arrivare al quorum funzionale occorre un numero più alto di

voti favorevoli per un determinato provvedimento, perché la percentuale sarà calcolata rispetto ad un numero

maggiore.

L‟esercizio del diritto di voto all‟interno del Parlamento presuppone una doppia votazione per ogni legge.

Quest‟ultima cioè viene votata alla Camera dei Deputati e successivamente il testo approvato in quella sede viene

votato al Senato, o viceversa.

L’autonomia del Parlamento.

Il Parlamento è contraddistinto da un‟autonomia specifica tutelata in modo preciso da determinate disposizioni e dalla

presenza di specifici istituti giuridici.

o In primo luogo l‟istituzione parlamentare è garantita da un‟autonomia finanziaria e contabile, cioè le risorse

necessarie per l‟esercizio delle proprie funzioni, le relative modalità di erogazione e l‟approvazione del bilancio

delle Camere spetta alle Camere stesse. Non esiste quindi un soggetto terzo che interviene sulla gestione

finanziaria e contabile e che potrebbe altrimenti inficiare tale autonomia.

o Il secondo profilo riguarda l‟immunità della sede. Come già accennato precedentemente, il Parlamento è sovrano

nel decidere chi possa accedere o meno alla sede fisica delle Camere. Nessuno perciò (ad eccezione dei

Parlamentari stessi) può entrare in Parlamento senza specifica autorizzazione. Anche i Capi di Stato stranieri o il

Papa, cioè figure di altissimo prestigio sono soggetti a tale autorizzazione. A maggior ragione questo vale per le

forze di polizia. Le funzioni d‟ordine sono svolte da dipendenti delle Camere stesse, in particolare da funzionari

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preposti a tale scopo. La forza pubblica verrebbe chiamata in casi eccezionali, ad esempio per sedare gravi

subbugli, ma a tutt‟oggi non è mai successo.

o Un terzo profilo rilevante riguarda l‟esercizio delle funzioni giurisdizionali. Il Parlamento gode di autodichia,

cioè di una particolare autonomia giurisdizionale. Con questo termine si intende che il Parlamento per quanto

concerne le controversie di lavoro relative al personale delle Camere riserva tali questioni ad organi interni

nominati ad hoc, sottraendole al giudice ordinario del lavoro. In questo contesto si parla anche di giustizia

domestica.

o La quarta forma di autonomia è la più importante, la più significativa, tanto che trova disciplina in uno specifico

articolo della Costituzione, l‟art. 68. Essa riguarda lo status di Parlamentare. L‟art. 68 prevede:

l‟insindacabilità dei voti e delle opinioni espresse nell‟esercizio delle proprie funzioni. Nessuno cioè può

giudicare il deputato o il senatore sul voto o sulle affermazioni manifestate durante l‟esercizio dei propri

diritti;

l‟inviolabilità della persona. Si tocca qui un punto particolare. L‟art. 68 è stato modificato nel 1993 in queste

parti, anche a seguito di quel fenomeno assurto alle cronache col nome di Tangentopoli. A seguito delle

notissime vicende che avevano visti coinvolti pure diversi parlamentari è stata modificata la norma

costituzionale che prevedeva l‟immunità parlamentare. Prima del 1993 era necessaria l‟autorizzazione a

procedere da parte della Camera di appartenenza ad opera della specifica Giunta. Il Parlamentare cioè non

poteva essere sottoposto a processo senza tale autorizzazione. Dopo la modifica del 1993 l‟autorizzazione

rimane per la sottoposizione del Parlamentare a misure limitative della propria libertà, dalla reclusione alla

limitazione della libertà di corrispondenza…, ad esempio nessun giudice può sottoporre un deputato o

senatore ad intercettazioni telefoniche previa autorizzazione della Camera di appartenenza. L‟indagine su un

parlamentare può comunque essere avviata, non è permesso invece arrestarlo o compiere atti limitativi della

sua libertà personale. L‟improcedibilità non è più prevista in termini generali, rimane solo per casi

strettamente connessi all‟esercizio delle funzioni di parlamentare. Il processo può continuare, ma naturalmente

non potrà concludersi nelle sue conseguenze ultime finché il Parlamentare è protetto dal proprio status a meno

che non sia stata concessa autorizzazione specifica. Nel 2003 sono stati estesi i casi in cui occorre

l‟autorizzazione a procedere.

l‟indennità, cioè la corresponsione di una somma mensile (non possiamo chiamarla “stipendio”: quella di

parlamentare è una carica, non un vero lavoro) per assicurare al parlamentare stesso una piena indipendenza

rispetto ad eventuali condizionamenti economici. Non è sempre stata prevista. In alcune fasi della storia,

infatti la carica di parlamentare era onoraria, cioè non veniva percepita indennità. Tuttavia va precisato che

allora tale carica era pure censitaria, per cui il parlamentare proveniva da una certa estrazione sociale.

Le funzioni del Parlamento

Cos‟è chiamato a fare il Parlamento? L‟attività del Parlamento si articola essenzialmente in 4 funzioni:

1) legislativa;

2) di indirizzo e controllo;

3) di revisione costituzionale;

4) funzioni accomunate dal fatto di essere svolte in seduta comune.

La funzione legislativa.

È un dato risaputo che negli Stati di diritto la funzione legislativa spetta al Parlamento, cioè all‟organo eletto dal

popolo. Nello stato assoluto spettava al Re.

Esistono comunque delle eccezioni, cioè vi sono momenti di esercizio della potestà legislativa che spettano anche ad

altri organi. Nel caso specifico del nostro ordinamento è possibile citare il Governo o altri organi modellati come il

Parlamento quali i Consigli Regionali, limitatamente alla zona di appartenenza, e, nella nostra realtà, i Consigli

provinciali di Trento e Bolzano. Il ruolo del Parlamento nell‟ambito dell‟Unione Europea è invece assai diverso. La

funzione legislativa in quel contesto spetta infatti in via preminente al Consiglio e alla Commissione mentre il

Parlamento ha un ruolo limitato. Basti pensare infatti che la Comunità Europea è stata istituita nel 1957, mentre il

Parlamento europeo è stato eletto per la prima volta nel 1979.

La funzione legislativa si svolge secondo procedure che sono esattamente disciplinate dalla legge. Mentre cioè le

attività private si svolgono in forme libere purché lecite, l‟attività dei soggetti pubblici è regolata invece da norme ben

precise. Nell‟ambito del procedimento legislativo le fasi rilevanti sono essenzialmente quattro:

1. fase di iniziativa;

2. fase istruttoria;

3. fase di decisione;

4. fase integrativa dell‟efficacia.

Page 39: Diritto privato e pubblico riassunti

39

Alcuni giuristi ne individuano solamente tre accorpando in una la prime due.

Con l‟espressione fase di iniziativa si intende la possibilità di proporre alla discussione da parte del Parlamento di un

testo di legge (se proposto dal Governo prende il nome di disegno di legge). Essa spetta ad un numero di soggetti

esattamente individuato dalla Costituzione, in primo luogo ad ogni singolo Parlamentare.

Un altro importante soggetto cui spetta l‟iniziativa legislativa nel nostro ordinamento è il Governo. Esso approva nel

corso delle proprie sedute i disegni di legge. Questi vengono presentati e diventano oggetto di discussione per le due

Camere che li potranno, secondo modalità ben definite, approvare o rigettare. A livello quantitativo, le leggi che il

Parlamento adotta provengono in misura percentualmente maggiore da disegni di legge, cioè dall‟iniziativa legislativa

del Governo. Perché accade questo? Essenzialmente per due ragioni. La prima è di ordine tecnico, nel senso che il

Governo nella redazione dei propri disegni di legge si può avvalere di organi tecnici come gli Uffici legislativi dei

Ministeri, che producono progetti di legge in una forma più facilmente trattabile dall‟Aula e quindi più “vicina” a

quello che sarà il testo definitivo. La ragione più importante però è di ordine politico. Quando il Governo presenta un

disegno di legge al Parlamento, infatti, lo propone ad una maggioranza ad esso favorevole. Il Governo, non

dimentichiamolo, deve godere della fiducia delle Camere. Questo non implica che il disegno di legge sarà sicuramente

approvato, ma comunque ha di certo una maggiore probabilità di esserlo. Si ponga attenzione comunque che quando il

Governo esercita l‟iniziativa legislativa, esso non esercita il potere legislativo. Durante l‟iniziativa legislativa, infatti,

il Governo attiva il Parlamento all‟esercizio delle proprie funzioni secondo una direzione che il Governo stesso

auspica. Il Parlamento è libero di agire nei confronti del disegno di legge nel modo che ritiene più opportuno e quindi

può iscriverlo nel calendario dei lavori oppure no, a meno che non si tratti di un disegno di legge relativo ad interventi

di carattere necessario, prime fra tutti la legge finanziaria e la legge di bilancio, che devono obbligatoriamente essere

discusse in Parlamento, in quanto espressamente previsto dalla Costituzione.

Il terzo soggetto dotato di iniziativa legislativa è il popolo. In particolare è prevista l‟iniziativa legislativa popolare

qualora un progetto di legge venga presentato al Parlamento sottoscritto da almeno 50.000 elettori.

Infine gli altri soggetti sono ciascun Consiglio Regionale ed il CNEL (acronimo di Consiglio Nazionale dell'Economia

e del Lavoro). Vi sarebbero anche i Comuni, ma limitatamente a modifiche od istituzione di nuove province. Per

quanto riguarda i Consigli Regionali, è importante non confondere la potestà legislativa di detti Consigli (che riguarda,

come noto, l‟ambito territorialmente di competenza) con l‟iniziativa legislativa che riguarda appunto la possibilità di

proporre leggi a livello nazionale. Il CNEL è un ente previsto dalla Costituzione (art. 99), che svolge funzioni di tipo

consultivo fornendo indicazioni in materia di economia e di lavoro ai vari organi dello Stato. La Costituzione

attribuisce al CNEL potestà di iniziativa legislativa appunto su queste funzioni.

Una volta esaurita la fase di iniziativa legislativa, occorre che il progetto o il disegno di legge presentato venga

discusso all‟interno del Parlamento, nello specifico all‟interno di ciascuna delle due Camere.

Comincia così la fase istruttoria. Essa si articola in tre momenti:

l‟esame del disegno di legge;

discussione all‟interno del Parlamento;

votazione.

Questi tre passaggi possono avvenire con delle procedure diverse:

o normale (ordinaria o abbreviata);

o speciale.

Procedura normale (ordinaria o abbreviata). La procedura normale è quella seguita in via ordinaria dal Parlamento.

La discussione e la votazione avvengono in Aula. È obbligatoria in alcuni casi, ad esempio per l‟approvazione dei

regolamenti parlamentari, inoltre può sempre essere richiesta o dal Governo, o da 1/10 dei componenti della Camera o

da 1/5 dei componenti le Commissioni Parlamentari qualora si stesse discutendo con procedura speciale e si

intendesse tornare a quella normale. La procedura normale può avvenire con discussione ordinaria, che prevede

l‟esame da parte di una Commissione che riferisce all‟Aula e successivamente la discussione e la votazione

avvengono in Aula. Essa può però avvenire anche con procedura abbreviata, la quale è analoga alla procedura

ordinaria, ma prevede tempi particolarmente brevi per l‟attività della Commissione.

In ipotesi di procedura normale si dice che la Commissione agisce in sede referente. Il Presidente della Camera (dei

Deputati o del Senato) dispone di una lista dei progetti di legge che sono stati presentati e li assegna alle Commissioni

per materia di competenza (ad esempio un eventuale progetto di legge in materia di riforma della pubblica

amministrazione verrà assegnato alla Commissione Affari Istituzionali). La Commissione esamina il progetto (o

disegno) di legge, lo modifica laddove sia necessario da un punto di vista formale, inizia a discuterne, istruisce la

questione. Esaurito il suo compito, riferisce all‟Assemblea riguardo al contenuto e alle finalità di quel

progetto/disegno di legge. L‟Aula successivamente lo discute e lo vota.

Page 40: Diritto privato e pubblico riassunti

40

Procedura speciale. Prevede un rapporto diverso tra la Commissione e l‟Aula, nel senso che la Commissione

competente assume un ruolo più rilevante, più significativo. Essa può seguire due percorsi. Il primo è l‟intervento in

sede redigente ed è leggermente diverso per Camera dei Deputati e Senato. In sede redigente il progetto/disegno di

legge non viene passato subito alla Commissione, ma viene in principio sottoposto all‟Assemblea per un primo esame

di massima. L‟esame e la discussione non proseguono in Aula. Il progetto/disegno viene trasmesso alla Commissione

per la redazione dei singoli articoli (di qui il termine in sede redigente) e, nel caso del Senato anche per il voto sui

singoli articoli. A questo punto si ritorna in Assemblea, al Senato con un testo in cui la Commissione ha già approvato

i singoli articoli, alla Camera dei Deputati con un testo su cui essa può solo votare, cioè non può presentare

emendamenti agli articoli. Infine avviene la votazione in Aula sulla legge nel suo complesso (e non sui singoli

articoli). La seconda modalità prevede invece l‟intervento della Commissione in sede deliberante (o legislativa). In

questo caso la Commissione si vede assegnato il progetto/disegno di legge, esamina, discute e vota ogni singolo

articolo e poi il testo nel suo complesso. Non avvengono, perciò, più passaggi in Aula: è la Commissione ad approvare

la legge, di qui la definizione “in sede deliberante (o legislativa)”. La procedura in sede deliberante può essere sempre

trasformata in procedura normale. Non è ammessa in tutte quelle situazioni per cui è prevista una specifica riserva di

assemblea ad esempio per un trattato internazionale. Serve quindi a snellire il procedimento, ma solo per leggi che

hanno importanza meno generale. La discussione e, in alcuni casi, il voto dei progetti legislativi avvengono in sedi più

ristrette e quindi con tempi notevolmente ridotti (un conto, infatti, è discutere in 630, un altro in 25).

26.10.2006

La terza fase in cui si articola il procedimento legislativo è la fase di decisione, cioè la fase in cui concretamente il

testo della legge viene approvato da una delle due Camere. Il nostro sistema però è caratterizzato da un bicameralismo

perfetto, cioè la due Camere di cui si compone il Parlamento hanno un ruolo uguale e paritario. Questo comporta che

quando una legge viene approvata da una delle Camere deve venire necessariamente trasmessa all‟altra dove l‟iter di

approvazione verrà ripetuto. Il bicameralismo quindi presenta l‟indubbio vantaggio di favorire una discussione più

approfondita e più ponderata del testo di legge, ma per contro porta allo svantaggio di allungare sensibilmente i tempi

di approvazione della legge stessa e quindi nel complesso i lavori parlamentari.

Il testo di legge non può assolutamente essere approvato in forma diversa. È questo un punto fondamentale. Se la

Camera dei Deputati o il Senato, cioè, non approvano esattamente lo stesso testo, allora l‟iter riprende. Solo quando la

discussione ha riscosso esito analogo in entrambe le Camere, il testo si intende approvato in via definitiva. Attenzione:

la procedura seguita da una delle Camere non è vincolante per l‟altra. Se cioè alla Camera dei Deputati viene

approvato un progetto/disegno di legge con commissione in sede deliberante, il Senato è libero di procedere come

ritiene più opportuno; ogni Camera è perciò sovrana rispetto alla decisione della procedura da seguire, salvo,

ovviamente, i casi di procedura normale obbligatoria. Una volta approvata nello stesso testo da entrambe le Camere, la

legge non entra ancora in vigore. È perfetta, ma non è ancora in grado di produrre effetti giuridici, non è efficace. Per

efficacia giuridica si intende infatti l‟attitudine dell‟atto giuridico a produrre i suoi effetti, cioè a far sì che i destinatari

dell‟atto debbano uniformarsi alle regole che esso prescrive. Per cui l‟efficacia dell‟atto è differita rispetto alla sua

perfezione. Da notare la polissemia del termine efficacia: l‟efficacia in senso giuridico, infatti, è concetto ben diverso

dall‟efficacia in senso economico, dove si intende la capacità di raggiungere l‟obiettivo (massimizzare il risultato) con

il minimo costo. La fase di decisione si esaurisce con la trasmissione al Presedente della Repubblica del testo

definitivo.

Ad essa segue la fase integrativa dell’efficacia. Essa serve, come si evince facilmente dal termine stesso a far

acquistare efficacia ad un atto giuridico (nel nostro caso specifico ad una legge). Per chiarire la valenza di tale fase

risulta utile però introdurre un esempio che ha come oggetto non un provvedimento legislativo, bensì un

provvedimento amministrativo. Immaginiamo la spiacevole ipotesi di una contravvenzione elevata per eccesso di

velocità. La polizia stradale rileva il superamento del limite di velocità con l‟autovelox. A questo punto i funzionari di

polizia verbalizzano l‟infrazione riscontrata ed adottano una sanzione nei confronti dell‟automobilista che ha violato le

regole. Nel momento in cui il poliziotto eleva la contravvenzione (nell‟ipotesi in cui la multa sarà consegnata a casa),

cioè nel momento in cui viene predisposto l‟atto amministrativo nella fattispecie una sanzione amministrativa), la

multa esiste, ma non produce effetti giuridici: il destinatario cioè non è ancora tenuto a pagarlo, non scattano ancora i

termini di mora (60 giorni). Perché ciò accada (e quindi si produca un obbligo nei confronti del destinatario della

multa) occorre appunto una fase integrativa dell‟efficacia. In particolare occorre che quello specifico atto

amministrativo venga notificato al destinatario. Con la notifica si consegna l‟atto presso la residenza del titolare

secondo un metodo che non si limita ad accertare il momento in cui l‟atto (® la multa) è stato spedito, ma anche il

fatto che esso è stato effettivamente ricevuto e questo avviene tramite firma sulla ricevuta. Finché l‟atto non è stato

firmato dal destinatario esso non produce i suoi effetti.

La fase integrativa dell‟efficacia è sostanzialmente analoga. Essa necessita di due atti:

Page 41: Diritto privato e pubblico riassunti

41

a) la promulgazione da parte del Presidente della Repubblica;

b) la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

La promulgazione è uno dei poteri che il Presidente della Repubblica dispone nei confronti del Parlamento. L‟atto

normativo deve essere adottato entro 30 giorni dall‟approvazione, salvo dichiarazioni di urgenza. Attraverso la

promulgazione il Capo dello Stato attesta di non ravvisare palesi violazioni (o rischi di violazione) della Costituzione

o palesi violazioni di vincoli di compatibilità finanziaria da parte dell‟atto stesso. Paradossalmente si pensi ad una

legge che prevedesse di assegnare 10.000 € ad ogni cittadino italiano. Essa sarebbe senz‟ombra di dubbio gradita a

chiunque, ma contemporaneamente sarebbe una legge non compatibile dal punto di vista finanziario e per questo

motivo il Presidente della Repubblica si troverebbe a rifiutarne la promulgazione (rinviandola in Parlamento) per

mancato rispetto del vincolo di compatibilità finanziaria. Il Capo dello Stato ha un obbligo di promulgazione della

legge, ma può avvalersi (una sola volta) della possibilità del rinvio, cioè se ravvisa i limiti esposti prima (la legge non

è del tutto costituzionale o non rispetta i vincoli di compatibilità finanziaria) può rinviare la legge alle Camere con un

messaggio motivato in cui evidenzia i vincoli (costituzionali o di compatibilità finanziaria non rispettati) e quindi i

motivi per cui non può promulgare la legge. Nella scorsa legislatura è successo ad esempio con la legge di riforma del

sistema radio televisivo oppure con quella di riforma del sistema giudiziario, rinviate alle Camere dall‟allora

Presidente Ciampi in alcuni punti che riteneva non coerenti col dettato costituzionale. Una volta che la legge è stata

rinviata alle Camere con messaggio motivato, le Camere hanno a disposizione due possibilità. La prima consiste

nell‟ignorare il messaggio presidenziale e quindi riapprovare la legge nel medesimo testo, ma questo comportamento,

peraltro discutibile, porterebbe alla fine allo scontro istituzionale. Il Presidente sarebbe obbligato a promulgare la

legge. Qualora ritenesse che la legge fosse in contrasto con le propria coscienza, con le proprie convinzioni, avrebbe

solo la scelta di dimettersi, non potendo rifiutarsi di promulgare la legge per la seconda volta. Questo comunque finora

non è mai successo: le Camere prendono atto, seppur magari solo formalmente del messaggio presidenziale ed

approvano la legge in un testo diverso. D‟altro canto generalmente accade che il Capo dello Stato poi approvi la legge

modificata nel suo secondo testo.

Senza la promulgazione da parte del Presidente della Repubblica, la legge non entra in vigore. Questa è una

condizione necessaria, ma non sufficiente. Infatti essa deve anche essere pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. La

pubblicazione deve avvenire entro 30 giorni dalla promulgazione a cura del Ministro della Giustizia e la legge entra

effettivamente in vigore dopo 15 giorni dalla pubblicazione, salvo diverse disposizioni di legge. Tale periodo è detto

di vacatio legis. Spesso però accade che trascorrano tempi diversi (generalmente più lunghi) di vacatio legis. Superato

questo periodo la legge entra in vigore a tutti gli effetti. Ciò significa che da quel momento i comportamenti dei

cittadini nei confronti della materia disciplinata dalla norma in questione dovranno essere conformi al suo testo. La

legge, da allora, detta cioè delle regole che sono cogenti (obbligatorie) per i soggetti dell‟ordinamento. A cosa serve la

pubblicazione? Serve ad assicurare la conoscibilità del testo normativo. Il cittadino deve cioè essere messo in grado di

conoscere la legge che poi sarà tenuto ad osservare. Per questo non vale il principio di retroattività: non è possibile

essere accusati di aver compiuto un reato relativo ad un comportamento che quando è stato commesso non era

considerato tale dalla legge. Da quando la norma entra in vigore però, essa si presume conosciuta da tutti i destinatari

e non è possibile invocarne l‟ignoranza per giustificarne l‟inosservanza: “Ignorantia legis non excusat”. Nella realtà

però quasi nessuno, tra la gente comune, legge la Gazzetta Ufficiale (recuperabile peraltro nelle biblioteche), per cui

formalmente la Gazzetta Ufficiale si pone come strumento di conoscibilità della legge, ma sostanzialmente questo non

avviene. Quali sono allora altri strumenti di conoscibilità delle norme che disciplinano i nostri comportamenti?

Possiamo citare motori di ricerca in Internet, oppure le banche dati di tipo elettronico in cui i testi di legge vengono

raccolti in modo coerente ed ordinato. In particolare poi, se si volessero conoscere anche i progetti/disegni di legge

presentati fino alle due scorse legislature (dalla XIII in poi) è sufficiente consultare il sito del Parlamento che poi

rimanda ai siti delle due singole Camere. Vi sono poi siti istituzionali, come quello dei Comuni ed infine raccolte

normative (ad esempio la raccolta delle leggi d‟Italia). Le leggi si ricercano per numero e data, che sono, in termini

“bruti” il “nome e cognome” della norma. In ogni modo non va dimenticato che il testo di legge che fa fede, che verrà

tenuto valido nei tribunali, è soltanto quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale: se leggiamo un testo di legge errato

causa un errore da parte del redattore del sito, non siamo scusati per il reato eventualmente commesso e non potremo

invocare a nostra difesa il fatto che ci siamo basati su tale testo. In caso invece di errore sulla Gazzetta Ufficiale la

rettifica deve avvenire sulla stessa.

Ricapitolando, una legge esiste nel nostro ordinamento dal momento della sua approvazione, ma produce effetti dopo

il periodo di vacatio legis successivo alla sua pubblicazione.

La funzione di indirizzo e controllo

Il Parlamento è chiamato a svolgere dei compiti di indirizzo e controllo nei confronti dell‟attività del Governo aventi

ad oggetto:

Page 42: Diritto privato e pubblico riassunti

42

il governo della finanza pubblica (compito disciplinato dall‟art. 81 della Costituzione);

autorizzazioni alla ratifica di trattati internazionali (art. 80 della Costituzione);

funzioni di indirizzo e controllo più specifiche che possono riguardare ancora il Governo oppure, più in generale,

la pubblica amministrazione.

Per quanto riguarda il controllo sulla finanza pubblica, spetta al Parlamento l‟approvazione di una serie di atti

fondamentali che possono avere una funzione di controllo preventivo o successivo sulla finanza pubblica. È una

funzione direttamente rilevante per la definizione delle linee fondamentali di politica economica del nostro Paese. È

cronaca di questi giorni la discussione attorno al disegno di legge finanziaria che il Governo ha presentato al

Parlamento. Esso deve prevedere per queste questioni un‟apposita sessione di bilancio e deve obbligatoriamente

riservare, tra i suoi lavori, un certo periodo per la discussione della legge di bilancio. Infatti l‟approvazione da parte

del Parlamento della legge di bilancio e della legge finanziaria che la accompagna è necessaria per il funzionamento

della macchina dello Stato. In particolare le Camere devono approvare entro il 30 giugno il documento di

programmazione economica e finanziaria (DPEF). Esso ha una valenza pluriennale e sulla sua base il Governo deve

presentare entro settembre il disegno di legge della legge di bilancio accompagnato dalla legge finanziaria che il

Parlamento dovrà approvare entro il 31 dicembre. Solitamente accanto alla legge finanziaria vengono presentate anche

le leggi ad essa delegate, che prevedono gli interventi settoriali necessari per realizzare le misure contenute nel testo

della legge finanziaria stessa (sono i cosiddetti “collegati”). Per cui, in sintesi, la manovra economica viene progettata

dal Governo, ma il Parlamento detiene istituzionalmente il compito di approvarla sulla forza appunto della funzione di

indirizzo e controllo. A differenza degli altri disegni di legge, questo deve essere obbligatoriamente presentato ed

obbligatoriamente approvato, pena l‟esercizio provvisorio di bilancio, che però comporta il proseguimento dei lavori

solo per ordinaria amministrazione e comunque non può superare i quattro mesi. In altre parole senza l‟approvazione

del bilancio lo Stato non potrebbe funzionare. Con la legge di bilancio di fatto si approva la situazione economica

dello Stato a legislazione vigente. La Costituzione, infatti prevede all‟art. 81, 3° comma, che “Con la legge di

approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese”. Per modificare la situazione

economica fotografata dalla legge di bilancio si utilizza allora lo strumento della legge finanziaria. Essa è stata

introdotta nel nostro ordinamento nel 1978 proprio per consentire al Governo di intervenire sulla situazione

economica. Nell‟ultimo decennio è diventata prassi parlamentare la presentazione della legge finanziaria in un unico

articolo, peraltro composto di numerosissimi commi (anziché un testo di legge composto di vari articoli, come

dovrebbe essere). Perché questo? Perché il Parlamento è chiamato a votare articolo per articolo e quindi si trova a

votarne uno solo, seppur esso sia nei fatti un intero testo di legge. Il dibattimento in merito si riduce notevolmente, ma

impedisce una discussione significativa della legge in quanto le proposte vengono trattate giocoforza in blocco.

Infine vi è un intervento successivo, cioè l‟approvazione del bilancio consuntivo.

La funzione di indirizzo e controllo riguarda poi la ratifica di trattati internazionali (quali l‟adesione dell‟Italia

all‟Unione Europea o al trattato di Kyoto sull‟ambiente…). Questi vengono sì sottoscritti dal Governo, ma previa

autorizzazione da parte del Parlamento, in quanto spesso con l‟adesione ai trattati internazionali lo Stato rinuncia a

quote anche significative della propria sovranità.

Infine esiste una serie di funzioni più specifiche quali:

la mozione di fiducia ovvero la mozione di sfiducia nei confronti del Governo;

interrogazioni o interpellanze. Le prime sono atti di natura più semplice, possono essere presentate sia in Aula, sia

in Commissione. Riguardano notizie su un fatto e la richiesta della posizione del Governo in merito (ad esempio

di fronte ad un problema con l‟esercito italiano impegnato in una missione in Afghanistan). Le interpellanze sono

più complesse e possono essere presentate solo in Aula. Tramite esse si chiedono le ragioni su un certo

comportamento da parte del Governo;

inchieste. Si svolgono attraverso Commissioni bicamerali;

altri atti quali le mozioni (richieste da 10 deputati o 8 senatori. Vedono la discussione ed il voto circa un

determinato problema), le risoluzioni (che possono essere richieste invece anche da un solo parlamentare), gli

ordini del giorno…

La funzione di revisione costituzionale

La Costituzione italiana è rigida. Questo non implica l‟impossibilità di modifica, che avviene appunto attraverso la

funzione di revisione costituzionale. Tale funzione va assolutamente distinta da quella costituente, perché con

quest‟ultima si adotta un nuovo testo costituzionale (e generalmente questo compito non spetta nemmeno al

Parlamento, bensì ad un‟Assemblea Costituente), con la prima invece si rivede il testo costituzionale vigente. Essa

cioè non presuppone la creazione di un fondamento nuovo per l‟ordinamento giuridico. In Italia la funzione

costituente è stata esercitata appunto dall‟Assemblea Costituente tra il 1946 e il 1948, successivamente al passaggio da

una forma di governo di tipo monarchico ad una di tipo repubblicano.

Page 43: Diritto privato e pubblico riassunti

43

La riforma del Titolo V della Costituzione operata nel 2001 consiste invece in una modifica del testo costituzionale. Si

è intervenuti su una parte significativa delle regole che riguardano l‟ordinamento italiano, che però è rimasto lo stesso.

Nel referendum dello scorso giugno (25/26.06.2006) siamo stati chiamati a votare ancora su una proposta di revisione

costituzionale, ancorché molto discussa, ma il relativo referendum ha riportato esito negativo.

31.10.2006

I punti fondamentali della funzione di revisione costituzionale sono essenzialmente due. In primo luogo tale funzione

si esercita avendo come riferimento la Costituzione e in secondo luogo trovando nel testo costituzionale le indicazioni

fondamentali per quanto riguarda sia il contenuto, sia la procedura.

Essendo la Costituzione rigida, essa non viene modificata secondo il procedimento previsto per la formazione della

legge ordinaria. Per la revisione costituzionale è invece necessaria una procedura particolare. Innanzitutto all‟interno

del Parlamento si segue la procedura normale, ma questo non è sufficiente. La legge costituzionale, infatti, per essere

approvata, dev‟essere votata due volte da ognuna delle due Camere a distanza di almeno 3 mesi tra una votazione e

l‟altra. Ciò assicura una maggiore ponderazione, posta l‟importanza della legge che si andrà ad approvare e che

modificherà la Costituzione. Questa, all‟art. 138, prevede che la legge debba essere approvata dalla maggioranza

assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Qualora venisse raggiunta la maggioranza

assoluta, ma non quella qualificata dei due terzi degli aventi diritto al voto, la legge viene comunque approvata,

promulgata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, però non ha efficacia (non entra in vigore, rimane sospesa) e può

essere oggetto di referendum sospensivo (o confermativo). Se invece in Aula si ottiene la maggioranza qualificata il

referendum non può essere richiesto, in quanto la legittimazione della legge è stata già pienamente raggiunta

nell‟ambito parlamentare. Infatti cosa significa in termini politici pervenire alla maggioranza dei due terzi? Significa

che anche parte dell‟opposizione ha votato a favore della legge, cioè che si è ottenuto un accordo bipartisan. Se invece

questo non avviene, visto che si cambieranno le regole portanti del nostro ordinamento, è prevista la possibilità del

ricorso al referendum, entro 3 mesi dalla pubblicazione. Nel 1993, quando è stato modificato l‟art. 68 della

Costituzione riguardante lo status di parlamentare la maggioranza qualificata era stata raggiunta e superata anche a

seguito del fenomeno di tangentopoli allora di stretta attualità, per cui la legge aveva trovato un forte consenso tra tutte

le forze politiche. Nel 2001 la Costituzione è stata cambiata in una parte importante, quella riguardante i rapporti tra

Stato e Regioni, in particolare il Titolo V. La legge di revisione fu approvata solo dall‟allora maggioranza (quindi con

percentuale inferiore ai due terzi), perché saltò l‟accordo inizialmente trovato tra maggioranza ed opposizione. A quel

punto venne chiesto il referendum confermativo (svoltosi il 7.10), che vide il prevalere dei consensi alla modifica. Nel

2006 infine venne proposta una revisione amplissima del testo costituzionale che mai trovò consensi tra le fila

dell‟allora opposizione. Venne richiesto referendum sospensivo che però stavolta riscosse esito negativo.

Esistono inoltre delle parti della Costituzione che non sono suscettibili di variazione. I limiti possono essere espliciti

ed impliciti.

Per quanto riguarda i limiti espliciti l‟articolo 139 prevede che “La forma repubblicana non può essere oggetto di

revisione costituzionale”.

La riflessione giuridica sul testo della Costituzione ha poi evidenziato nel corso dei decenni una serie di limiti

definibili impliciti, in quanto non sono manifestamente individuabili come tali, ma che tuttavia impediscono

ugualmente la modifica del testo costituzionale. tali limiti riguardano:

la sovranità popolare;

l‟unità dello Stato;

il riconoscimento dei diritti fondamentali dei cittadini;

il procedimento di revisione.

Perciò lo stesso articolo 138 della Costituzione viene considerato una norma immodificabile. Allo stesso modo, una

proposta di revisione della Costituzione che stabilisse che il voto non spetti a tutti i cittadini in modo uguale, libero ed

indifferenziato, costituirebbe una violazione della legittimità costituzionale, così come una legge di modifica che

minasse l‟unità dello Stato. Infine anche i diritti fondamentali dei cittadini sono da considerarsi limiti inviolabili, ad

esempio per quanto riguarda la tutela della libertà personale, la segretezza della corrispondenza…

Tutto il resto è considerato modificabile anche se, in occasione dell‟ultima proposta di revisione costituzionale, era

sorta una polemica riguardo a un limite quantitativo, perché la modifica contestuale di un numero elevatissimo di

articoli veniva da alcuni considerata non conforme alla garanzia dei limiti previsti dall‟ordinamento.

Le funzioni in seduta comune

Sono svolte da Camera dei Deputati e Senato congiuntamente.

o La prima delle funzioni che vengono svolte dal Parlamento in seduta comune riguarda l‟elezione del Presidente

della Repubblica. I parlamentari, integrati dai rappresentanti delle Regioni, votano in seduta comune. Occorre che

essi si esprimano con una maggioranza qualificata dei due terzi dell‟Assemblea per i primi tre scrutini; dal quarto

Page 44: Diritto privato e pubblico riassunti

44

scrutinio in poi è sufficiente invece la maggioranza assoluta. L‟attuale presidente Giorgio Napolitano, è stato

eletto al quarto scrutinio; nel 1999 Carlo Azeglio Ciampi al primo.

o Una seconda funzione svolta dal Parlamento in seduta comune consiste nella nomina di 5 giudici della Corte

Costituzionale.

o Allo stesso modo sono nominati dal Parlamento in seduta comune 8 membri del Consiglio Superiore della

Magistratura (detti “membri laici”). Gli altri componenti vengono eletti dalla Magistratura al proprio interno (16

giudici, i cosiddetti 16 “togati”) cui si aggiungono 3 membri di diritto tra cui il Presidente della Repubblica.

o Il Parlamento in seduta comune delibera anche sulla messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica.

Questi non ha responsabilità politica, ma può essere giudicato per alto tradimento e per attentato alla Costituzione.

Il giudizio sul Presidente della Repubblica, messo in stato d‟accusa dal Parlamento, spetta alla Corte

Costituzionale.

o Infine spetta al Parlamento in seduta comune la nomina di 16 giudici non togati che vengono aggregati alla Corte

Costituzionale in caso di giudizio per alto tradimento o attentato alla costituzione del Capo dello Stato.

CAPITOLO VII: Il Presidente della Repubblica. (pag. 193 – 212)

Il Presidente della Repubblica nella forma di Governo italiana

Per ridurre i rischi tipici del parlamentarismo è stato istituito l'organo del Presidente della Repubblica, come organo

non meccanicamente rappresentativo della maggioranza parlamentare e, al tempo stesso, titolare di alcuni poteri

particolarmente incisivi nei confronti sia del Parlamento che del Governo. Per quanto riguarda i rapporti con

Parlamento e Governo, alcuni fra i poteri del Presidente della Repubblica accentuano la possibilità che esso svolga un

ruolo rilevante: si pensi, ad esempio, alla nomina del Governo prima della fiducia parlamentare, al potere di

scioglimento anticipato delle camere, alla possibilità di rinviare una legge al Parlamento manifestando i dubbi sorti in

sede di promulgazione, al potere di messaggio alle camere, alla presidenza di due organi collegiali importanti come il

consiglio superiore della magistratura e il consiglio supremo di difesa. La sua posizione complessiva resta quella del

Presidente della Repubblica parlamentare, in quanto massimo garante del corretto e efficace svolgimento dei processi

istituzionali posti in essere dai diversi organi e soggetti cui la costituzione affida funzioni di indirizzo politico o di

garanzia.

Elezione e permanenza in carica del Presidente della Repubblica

Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune, solo a tal fine integrato da tre rappresentanti

di ciascuna regione (salvo la Val d'Aosta che nomina uno solo), designati dai rispettivi consigli regionali in modo da

garantire la rappresentanza delle minoranze. La durata in carica è pari a 7 anni, è eletto solo a scrutinio segreto e da

maggioranze qualificate (nelle prime tre votazioni è richiesto il voto favorevole dei due terzi dei componenti

dell'organo e successivamente la maggioranza assoluta). Il Presidente entra in carica dopo il "giuramento di fedeltà

alla Repubblica e di osservanza della costituzione", che deve pronunciare dinanzi al Parlamento in seduta comune. Un

Presidente può vedere prorogati i propri poteri oltre i 7 anni a causa delle ritardo che si verifichi nell'elezione del suo

successore, malgrado il Parlamento integrato debba essere convocato da parte del Presidente della Camera trenta

giorni prima della scadenza del mandato presidenziale. Il Presidente della Repubblica ha il divieto di procedere allo

scioglimento anticipato delle camere nell'ultimo semestre del suo mandato, chiamato per questo motivo "semestre

bianco". Tuttavia la legge costituzionale 1/1991 ha modificato il secondo comma dell'articolo 88 della costituzione,

consentendo al Presidente della Repubblica di sciogliere le camere anche nell'ultimo semestre del suo mandato nella

particolare ipotesi del cosiddetto "ingorgo costituzionale" e cioè quando le camere, in quello stesso periodo,

esauriscano il loro mandato, con il rischio che situazioni di crisi, più probabili in questo contesto, non possano essere

adeguatamente affrontate. Il mandato presidenziale può essere interrotto con le dimissioni volontarie dalla carica

oppure da destituzione (possibile sanzione penale accessoria irrogabile dalla corte costituzionale). In questi casi le

funzioni presidenziali vengono esercitate dal Presidente del Senato e spetta al Presidente della Camera convocare

l'organo per l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Con l'espressione "impedimento permanente" ci si

riferisce a un prolungato stato di grave malattia del Presidente, tale da rendergli impossibile l'esercizio delle sue

funzioni.

Le garanzie di autonomia e le responsabilità del Presidente della Repubblica

La necessità che il Presidente della Repubblica eserciti le sue funzioni in piena autonomia è alla base di alcune

caratteristiche del suo status personale, che mirano a garantirlo da alcuni possibili rischi di impropri condizionamenti

da parte di altri poteri dello Stato. Si è incerti sul fatto che il Presidente possa essere sottoposto, durante il suo

mandato, a giudizio penale, con la conseguente possibilità che possa essere limitato nelle sue libertà personali o

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addirittura sospeso dall'esercizio delle sue funzioni da parte dell'autorità giudiziaria ordinaria. È stato invece risolto il

problema di stabilire se il Presidente debba adempie ai doveri di testimonianza presso le autorità giurisdizionali:

l'articolo 205.1 del nuovo codice di procedura penale prevede esplicitamente questa ipotesi, con il solo privilegio che

la testimonianza viene "assunta nella sede in cui egli esercita la funzione di capo dello Stato". Per i reati di "alto

tradimento" o "attentato contro la costituzione dello Stato", la costituzione li ha individuati come reati propri solo del

Presidente della Repubblica. I comportamenti sanzionabili sono gli atti dolosi mediante i quali un Presidente della

Repubblica, con l'eventuale complicità di altri soggetti, abbia abusato dei suoi poteri o violati i suoi doveri. La

costituzione prevede che la legge assicuri al Presidente un assegno personale (cioè un compenso di tipo periodico per

l'attività svolta), nonché una dotazione (in denaro, in beni mobili e immobili), destinata agli apparati organizzativi

della presidenza per il miglior espletamento delle funzioni presidenziali.

Le funzioni del Presidente della Repubblica e quelle proprie del Governo

Per quanto riguarda i rapporti tra il Presidente della Repubblica di Governo, egli non è più configurabile come capo

del potere esecutivo: tuttavia rimane l'organo monocratico rappresentativo dell'unità dello Stato, cioè il soggetto cui si

imputano formalmente ancora una numerosa serie di atti statali di particolare rilevanza, pur nella sostanza sicuramente

di competenza del Governo. L'articolo 89 della costituzione stabilisce che "nessun atto del Presidente della Repubblica

è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità". Si distinguono, in genere,

atti presidenziali corrispondenti alla lettera dell'articolo 89, caratterizzati da un sicuro potere governativo in materia e

da un gol essenzialmente di controllo del Presidente (oltre a tutti i casi di atti governativi adottati nella forma del

D.P.R., si possono fare rientrare in questa categoria i decreti di indizione delle elezioni e dei referendum, nonché tutti

gli atti presidenziali in tema di relazioni internazionali); atti di esclusiva competenza presidenziale, in ordine ai quali

l'intervento governativo non può che assumere un ruolo di mero controllo; infine atti in cui la funzione presidenziale

appare preminente, ma in relazione ai quali il Governo o il Presidente del consiglio dispongono di un vero e proprio

autonomo potere di valutazione, come il decreto di scioglimento anticipato delle camere e il decreto di nomina di un

nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri. L'ordinamento costituzionale offre alcuni strumenti di risoluzione, in sede

giuridica, di possibili conflitti tra Presidente della Repubblica e Governo: innanzitutto, quello rappresentato

dall'intervento del legislatore; in secondo luogo, il ricorso alla corte costituzionale per conflitto di attribuzione fra i

poteri dello Stato.

I poteri del Presidente della Repubblica rispetto al corpo elettorale

Il riferimento al corpo elettorale, il Presidente dispone di poteri molto ridotti, da esercitare su proposta di organi

governativi. In primo luogo, l'indizione della data delle elezioni e dei referendum; contemporaneamente l'indizione

delle elezioni delle camere, il Presidente della Repubblica fissa la data della loro prima riunione, che non deve

svolgersi oltre il ventesimo giorno dalle elezioni.

I poteri del Presidente della Repubblica rispetto al Parlamento

Ben più rilevanti sono i poteri di cui il Presidente dispone nei confronti del Parlamento. La nomina a Senatori a vita di

"cinque cittadini che hanno illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario".

Il messaggio formale al Parlamento rappresenta il più solenne e libero potere di stimolo del Presidente della

Repubblica nei confronti dell'organo rappresentativo del corpo elettorale e titolare dei supremi poteri normativi e di

indirizzo politico. Del tutto diverso è il messaggio motivato con il quale il Presidente rinvia al Parlamento una legge

che ha esaminato in sede di promulgazione, richiedendo un suo riesame per presunti motivi di illegittimità

costituzionale o di gravi inopportunità in relazione a principi o a valori costituzionali. La promulgazione rappresenta

un importante forma di controllo preventivo che deve essere svolta dal Presidente della Repubblica entro un mese

dall'approvazione parlamentare o nel termine minore fissato per motivi di urgenza dalle camere, a maggioranza

assoluta. La prescrizione dell'articolo 74.2 secondo cui "se le camere riapprovano nuovamente la legge, questa

dev'essere promulgata" tende a ristabilire il principio fondamentale dell'esclusiva titolarità del potere legislativo da

parte delle camere. Un vero e proprio rifiuto di promulgazione costituirebbe un illecito costituzionale assai grave,

tant'è che lo stesso Parlamento potrebbe mettere in stato di accusa il Presidente. Fondamentale tra i poteri presidenziali

è quello di sciogliere anticipatamente le camere per consentire il superamento di un dannoso ed altrimenti

insuperabile stato di disfunzionalità politica o istituzionale.

I poteri del Presidente della Repubblica rispetto al Governo

Per quanto riguarda i poteri che il capo dello Stato esercita nei confronti del governo, è da considerare innanzitutto il

potere del presidente di risolvere le crisi di governo nominando "il presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta

di questo, i ministri", formando anche il nuovo governo, in sostituzione di quello dimissionario o decaduto. Le

consultazioni che il presidente della Repubblica svolge, al fine di acquisire le opinioni dei presidenti dei gruppi

parlamentari, dei segretari dei corrispondenti partiti, nonché quella dei presidenti di camera e senato e degli ex

presidenti della Repubblica, mirano a orientare la scelta del presidente della Repubblica nell'ambito delle ipotesi che

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possono realisticamente consentire al nuovo governo di conseguire la fiducia parlamentare. Gli istituti dell'incarico o

del pre-incarico a formare il governo, affidato dal presidente a un esponente politico che egli reputa idoneo ad

assumere l'incarico del presidente del consiglio, operazione che ha termine o con l'accettazione a formare il governo e

quindi con la nomina, o con la rinuncia, o con la stessa revoca dell'incarico da parte del presidente della Repubblica. Il

mandato esplorativo rappresenta un istituto cui il presidente della Repubblica ricorre ove reputi opportuno far svolgere

da parte di un'alta carica dello Stato (in genere il presidente di una camera) un'ulteriore indagine sui gruppi

parlamentari (oltre le consultazioni), al fine di acquisire informazioni sulle possibili vie di superamento della crisi. Fra

i poteri presidenziali è da annoverare anche il potere di autorizzare la presentazione dei disegni di legge governativi

alle camere. Ai poteri presidenziali si aggiungono quelli del cosiddetto potere estero e quello della politica militare

(con il ruolo formale di comandante delle forze armate). Infine il presidente ha il potere della concessione della grazia

o del provvedimento di commutazione della pena, che sembrano essere sostanzialmente governativi.

I poteri del Presidente della Repubblica rispetto alla magistratura

Il presidente della Repubblica è anche, per l'articolo 104.2 della costruzione, presidente del consiglio superiore della

magistratura, e dispone di ulteriori poteri relativi a questa sede. Tutti i provvedimenti riguardanti i magistrati sono

adottati, in conformità delle deliberazioni del consiglio superiore, con decreto del presidente della Repubblica

controfirmato dal ministro.

I poteri del Presidente della Repubblica rispetto alla Corte Costituzionale

In riferimento al potere di nomina da parte del presidente della Repubblica di cinque giudici costituzionali, si è fin

dall'inizio affermata la tesi che si tratti di una libera designazione da parte del presidente, pur soggetta alla controfirma

del presidente del consiglio.

CAPITOLO XII: Il Governo della Repubblica. (pag. 213 – 250)

Importanza del ruolo e delle funzioni del Governo nel sistema costituzionale italiano

Il governo ha un ruolo assolutamente insostituibile e del tutto centrale del sistema politico. Nell'articolo 92 della

costituzione, l'espressione "governo della Repubblica" è atta ad evidenziare il fatto che esso è chiamato a svolgere le

sue funzioni, riferite, oltre che all'amministrazione, alla legislazione dello Stato centrale e allo sviluppo delle relazioni

con gli altri stati e con le organizzazioni sovranazionali, anche alla tutela del buon funzionamento di tutte le istituzioni

pubbliche (pur dotate di un grado di autonomia più o meno accentuato) e alla garanzia del corretto sviluppo delle

relazioni fra i diversi gruppi sociali.

La formazione e l’entrata in funzione del Governo

La formazione del governo si realizza con l'adozione dei decreti presidenziali di nomina del presidente del Consiglio

dei Ministri e dei ministri, controfirmati dal nuovo presidente del consiglio, al termine della fase delle consultazioni,

ma l'articolo 93 della costituzione subordina esplicitamente l'assunzione delle funzioni governative al giuramento dei

componenti del governo "nelle mani del presidente della Repubblica". La diretta partecipazione dei ministri al

giuramento costituisce la verifica dell'accettazione della loro carica. Il governo, prima della fiducia, è tenuto ad

adottare atti di grande rilevanza politica e istituzionale (approvazione del programma del governo, attribuzione degli

incarichi ai ministri senza portafoglio, nomina dei sottosegretari ed eventualmente del vice-presidente del consiglio).

Poiché i governi dimissionari o sfiduciati continuano a esercitare le funzioni governative con il solo limite del disbrigo

di affari correnti, nel momento in cui il nuovo governo sta apprestandosi a chiedere la fiducia alle camere dovrebbe

disporre quantomeno degli stessi poteri. Nella prima fase di vita del governo si collocano la nomina da parte del

consiglio dei ministri dei sottosegretari, che non fanno parte del governo ma sono i più stretti collaboratori del

presidente del consiglio e dei ministri, e l'eventuale nomina, su proposta del presidente del consiglio, di uno o più

vice-presidenti del consiglio.

La permanenza in carica del Governo e dei singoli Ministri

Il conferimento della fiducia parlamentare, mediante la solenne approvazione da parte di ciascuna camera, a voti

palesi, delle apposite mozioni motivate di fiducia alla piattaforma politica e programmatica del governo, permette la

permanenza in carica del governo per tutta la durata della legislatura. Secondo l'articolo 94.4 della costituzione "il

voto contrario di una o di entrambe le camere su una proposta del governo non importa l'obbligo di dimissioni". Le

norme regolamentari delle camere hanno disciplinato la "questione di fiducia" e cioè l'istituto mediante il quale

governo dichiara di far dipendere la propria permanenza in carica dall'approvazione parlamentare in un determinato

oggetto all'esame delle camere. Il presidente della Repubblica invita i governi dimissionari a presentarsi alle camere

per verificare la sussistenza del rapporto fiduciario o almeno per fornire un'informazione esaustiva delle ragioni

politiche della crisi. Alle crisi determinate dalle deliberazioni del Consiglio dei Ministri, si aggiungono quelle

determinate dalle dimissioni (o per la morte) del presidente del consiglio. I poteri dei governi dimissionari vengono

prolungati in attesa della nomina del nuovo governo e vengono limitati al solo "disbrigo degli affari correnti". Le

dimissioni di un ministro non provocano crisi del governo e obbligano semplicemente a colmare il vuoto attraverso la

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nomina di un nuovo ministro o l'attribuzione dell'interim (incarico provvisorio in attesa del nuovo titolare) a uno dei

ministri già in carica. A ciò si procede con decreto presidenziale, su proposta del presidente del consiglio. Nel

medesimo modo si opera anche per i cosiddetti rimpasti, consistenti nel mutamento di più incarichi ministeriali

all'interno del governo in carica. Per quanto riguarda gli effetti di un voto di sfiducia individuale, la corte

costituzionale ha previsto le dimissioni del ministro che ne sia fatto oggetto. La costituzione non prevede particolari

requisiti soggettivi per poter essere nominati membri del governo, né prescrive che essi debbano essere parlamentari;

in via di interpretazione sistematica, può ritenersi che sia indispensabile la cittadinanza, la capacità di agire e la

condizione di alfabetismo.

Il Presidente del Consiglio

Il presidente del consiglio è indicato dall'articolo 95.1 della costituzione come l'organo che "dirige la politica generale

del governo e ne è responsabile e mantiene l'unità dell'indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e

coordinando l'attività dei ministri". Non sussiste un rapporto gerarchico fra presidente del consiglio e singoli ministri,

ma il presidente del consiglio può concretamente esercitare il suo primato politico sugli altri membri del governo.

Spetta al presidente il potere di manifestare autonomamente verso l'esterno gli indirizzi politici generali del governo,

approvare e autorizzare la diffusione del comunicato sui lavori del consiglio dei ministri, esporre alle camere il

programma del governo, porre la questione di fiducia, assumere le decisioni proprie del governo nei procedimenti

legislativi, controfirmare le leggi e gli atti con forza di legge, mantenere i contatti con il presidente della Repubblica.

Dispone dell'importantissimo potere di fissazione della data delle riunioni del consiglio e di determinazione del

relativo ordine del giorno, seppure sulla base delle proposte dei ministri. Presiede e dirige il consiglio di gabinetto, può

istituire speciali comitati di ministri con funzioni istruttorie, presiede le conferenze permanenti per i rapporti fra lo

Stato e il sistema delle autonomie territoriali, può promuovere verifiche sul funzionamento di uffici pubblici e devono

essergli comunicati, prima della loro adozione, tutti i regolamenti ministeriali ed interministeriali. La legge 801/1977

ha affidato al presidente del consiglio "l'altra direzione, la responsabilità politica generale e il coordinamento della

politica informativa e di sicurezza" svolta dai cosiddetti servizi segreti.

Il Consiglio dei Ministri

Il Consiglio dei Ministri, organo collegiale composto da tutti i ministri e presieduto dal presidente del consiglio, è

titolare delle fondamentali funzioni governative, come l'iniziativa legislativa, la predisposizione dei bilanci, l'adozione

dei decreti legislativi, dei decreti legge, dei regolamenti governativi e l'esercizio del controllo sulle leggi regionali. In

relazione ai settori in cui opera, i suoi compiti possono essere suddivisi nel modo seguente:

1 in tema di indirizzo politico, può dare direttive ai comitati interministeriali su richiesta del presidente del

consiglio;

2 in tema di attività normativa, delibera i disegni di legge e adotta i decreti legislativi e i decreti legge;

3 in tema di politica internazionale e comunitaria, determina le linee di indirizzo e delibera "i progetti dei

trattati degli accordi internazionali di natura politica o militare";

4 in tema di agenzie, enti, istituti e aziende di carattere nazionale, salvi gli enti pubblici creditizi, delibera la nomina

dei rispettivi presidenti;

5 in relazione alle regioni, esercita le funzioni di controllo sulla legislazione regionale;

6 in relazione alle confessioni religiose, delibera gli atti concernenti i rapporti con la Chiesa cattolica;

7 in relazione alla tutela dei principi di costituzionalità, procede all'annullamento straordinario, a tutela dell'unità

dell'ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi.

I Ministri

I Ministri sono contemporaneamente componenti del Consiglio dei Ministri e organi di vertice degli apparati

amministrativi in cui la legge ripartisce organicamente la pubblica amministrazione statale, denominandoli Ministeri

(o Dicasteri). Il numero dei ministri potrebbe essere anche inferiore a quello dei ministeri, dal momento che un

ministro può essere preposto a più ministeri. Accanto a questi ministri, vi sono anche i cosiddetti ministri senza

portafoglio, e cioè i ministri non preposti a ministeri. La nomina dei ministri senza portafoglio è facoltativa e svolgono

le funzioni loro delegate dal presidente del Consiglio dei Ministri. I cosiddetti vice-ministri sono degli speciali

sottosegretari. Per quanto riguarda il vice-presidente del consiglio, il presidente del consiglio può proporre al

Consiglio dei Ministri la nomina di uno o più vicepresidenti, che hanno lo scopo di essere chiamati a supplire il

presidente del consiglio in caso di assenza od impedimento temporaneo.

Il Consiglio di Gabinetto ed i Comitati fra i Ministri

Con l'articolo 6 della legge 400/1988 si è previsto che il presidente del consiglio possa istituire, con ministri da lui

designati, il consiglio di gabinetto per farsi coadiuvare nello svolgimento delle sue funzioni di direzione della politica

generale del governo e di mantenimento dell'unità dell'indirizzo politico ed amministrativo. Per l'esercizio di vere e

proprie puntuali funzioni istruttorie o di stimolo nei riguardi del governo, il presidente del consiglio può disporre, con

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proprio decreto, l'istituzione di particolari comitati di ministri, con il compito di esaminare in via preliminare questioni

di comune competenza, di esprimere parere su direttive dell'attività del governo e sui problemi di rilevante importanza

da sottoporre al Consiglio dei Ministri, eventualmente avvalendosi anche di esperti non appartenenti alla pubblica

amministrazione. I comitati interministeriali sono organi creati perlopiù tramite apposite leggi, che attribuiscono loro

rilevanti funzioni di governo in specifici ma importanti settori. In genere sono presieduti dal presidente del consiglio e

sono composti dai ministri competenti nel settore, cui si aggiungono, in alcuni casi, funzionari ed esperti, e svolgono

non solo attività di indirizzo, ma anche di tipo normativo o di tipo provvedimentale.

Le norme speciali in tema di reati ministeriali

L'articolo 96 della costituzione prevedeva che il presidente del Consiglio dei Ministri e i ministri potessero essere

messi in stato di accusa da parte del parlamento riunito in seduta comune per i reati commessi nell'esercizio delle loro

funzioni. Tuttavia la legge costituzionale che ha approvato un nuovo testo dell'articolo 96, afferma che sui reati

commessi dal presidente del consiglio e dai ministri (anche non più in carica), nell'esercizio delle loro funzioni,

giudica la magistratura ordinaria, previa semplice autorizzazione da parte della camera a cui l'inquisito appartiene, o

del senato se sono coinvolti appartenenti a entrambe le camere o non parlamentari. Le camere stesse devono

autorizzare le necessarie misure limitative della libertà personale, come intercettazioni telefoniche o perquisizioni

personali e domiciliari, salvo che siano colti nell'atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o

l'ordine di cattura. I cosiddetti reati ministeriali, cioè i reati commessi nell'esercizio delle funzioni ministeriali,

consistono in reati comuni (prevalentemente contro la pubblica amministrazione) commessi dal presidente del

consiglio o da un ministro, utilizzando i loro poteri o comunque nell'ambito delle funzioni ministeriali. L'organo

parlamentare può negare l'autorizzazione alla continuazione del procedimento penale nel caso in cui l'inquisito abbia

agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un

preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di governo.

Gli Alti Commissari ed i Commissari straordinari

In alcune occasioni, apposite leggi hanno previsto la figura degli Alti Commissari, attribuendo loro la responsabilità di

particolari settori amministrativi, estranei alle attribuzioni ministeriali e, a volte, un ruolo di importanza quasi

paragonabile a quella di un ministro. L'articolo 11 della legge 400/1988 ammette, in generale, l'istituto del

Commissario straordinario del Governo, ma la stessa disposizione chiarisce che "sull'attività del commissario

straordinario riferisce al parlamento il presidente del Consiglio dei Ministri o un ministro da lui delegato". Può essere

nominato solo al fine di realizzare specifici obiettivi determinati in relazione a programmi o indirizzi deliberati dal

parlamento o dal Consiglio dei Ministri o per particolari e temporanee esigenze di coordinamento operativo tra

amministrazioni statali.

I Sottosegretari

Questi organi, pur non facendo parte del governo, svolgono rilevanti funzioni di governo e di amministrazione,

essendo i più stretti collaboratori politici rispettivamente del presidente del Consiglio dei Ministri e dei ministri (con e

senza portafoglio) nell'ambito delle loro responsabilità governative. L'articolo 10 della legge 400/1988 configura i

sottosegretari come collaboratori di un ministro o del presidente del consiglio, competente a esercitare i compiti a essi

delegati con decreto ministeriale pubblicato sulla gazzetta ufficiale. Si giunge alla loro nomina mediante un decreto

del presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio dei Ministri, in accordo con il ministro che il

sottosegretario è chiamato a coadiuvare, sentito il Consiglio dei Ministri. Il sottosegretario assume le sue funzioni solo

dopo il giuramento, che deve prestare dinanzi al presidente del Consiglio dei Ministri, con la stessa formula utilizzata

dei ministri. Una posizione del tutto particolare è quella del sottosegretario alla presidenza del consiglio, nominato

segretario del Consiglio dei Ministri, da cui dipendono l'ufficio di segreteria del Consiglio dei Ministri e anche quei

dipartimenti e uffici della presidenza del consiglio per i quali il sottosegretario abbia ricevuto delega del presidente del

Consiglio dei Ministri.

Le funzioni di indirizzo politico del Governo

La politica generale del governo si concretizza in una serie innumerevole di atti normativi e amministrativi, ma anche

più tipicamente di indirizzo politico. Per quanto riguarda quest‟ultimo, si fa riferimento agli atti relativi alla

determinazione della piattaforma politica e programmatica sulla quale il governo chiede la fiducia, gli atti mediante i

quali il governo esercita la sua azione nell'ambito delle relazioni internazionali, i poteri del consiglio supremo di difesa

per l'organizzazione e il coordinamento delle attività che riguardano la difesa nazionale, i poteri del presidente del

consiglio in ambito della pubblica sicurezza e delle questioni di ordine pubblico, le relazioni intrattenute dal governo

con le confessioni religiose, il potere di iniziativa legislativa del governo, il disegno di legge relativo al bilancio

preventivo e tutti gli atti governativi che lo precedono o lo accompagnano, il potere legislativo delegato o esercitato in

via di urgenza.

Le funzioni amministrative

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Il presidente del consiglio e il Consiglio dei Ministri sono titolari di importanti funzioni amministrative. Alcune sono

espressamente previste dalla legge 400/1988: quelle che mirano a dirigere e coordinare in modo unitario le funzioni

ministeriali, a dirimere i conflitti di attribuzione fra i ministri, a dare direttive ai comitati dei ministri e a quelli

interministeriali, a indirizzare e coordinare le funzioni amministrative regionali o a dirigere quelle delegate o a

sostituirsi alle amministrazioni regionali, annullare in via straordinaria gli atti amministrativi illegittimi. Anche se non

previsti dalla suddetta legge, il presidente del consiglio e il Consiglio dei Ministri sono titolari di altri numerosi poteri

amministrativi: spetta al governo deliberare sulla nomina, su proposta del Ministro competente, dei segretari generali

dei ministeri; è sempre il Consiglio dei Ministri che nomina la quota dei componenti della corte dei conti e del

Consiglio di Stato di spettanza del governo; la gestione del bilancio statale e il corretto funzionamento del settore

creditizio.

Le funzioni normative

La nostra costituzione ha operato uno sforzo rilevante per circoscrivere entro limiti precisi la possibilità che il governo

possa adottare atti normativi con forza pari a quella delle leggi: l'intervento del governo può avvenire o per motivi di

improrogabile urgenza a provvedere, o per un atto espresso di volontà in tal senso dello stesso parlamento. Tutta la

materia degli atti normativi del governo è stata disciplinata dalla legge 400/1988: è stato introdotto un obbligo di

autoqualificazione per tutti questi atti normativi, e cioè un obbligo per essi di autodenominarsi di volta in volta

"decreto legislativo", "decreto legge" o "regolamento".

I decreti legislativi

Si tratta di un atto normativo adottato mediante una decisione ("decretare" significa decidere) del governo. Con una

legge chiamata "legge delega" il Parlamento, con una propria decisione, può affidare al governo il compito di emanare

una norma giuridica, a patto che questa rispetti i principi generali stabiliti dal Parlamento nella legge-delega e il

termine entro il quale il decreto deve essere emanato. I decreti legislativi devono essere successivamente controfirmati

dal presidente della Repubblica. In alcune importanti materie (imposizione di tributi e ratifica di trattati di diritto

internazionale) il governo non può emanare decreti e la competenza a decidere nuove norme è del Parlamento, il solo

organo rappresentativo della volontà dei cittadini. Assumono forma di decreti legislativi anche le norme di attuazione

degli statuti speciali delle cinque regioni ad autonomia particolare; si tratta tuttavia di un caso del tutto anomalo di

delegazione legislativa, tant'è che ci si trova dinanzi a una delega a tempo indeterminato, esercitabile più volte, l'unico

caso nel quale il governo dispone di un vero e proprio potere legislativo. Un altro caso di delega legislativa del tutto

anomalo è previsto dall'articolo 78 della costituzione che stabilisce che siano le camere a deliberare lo stato di guerra

conferendo al governo i poteri necessari per agire.

I decreti legge

Si tratta in questo caso di un provvedimento governativo provvisorio che ha forza di legge. In casi straordinari di

necessità e di urgenza il governo può infatti sostituirsi al Parlamento (che secondo la Costituzione italiana è l'organo

legislativo dello stato) ed emanare con un decreto una norma giuridica che diventerà legge dello stato soltanto se entro

60 giorni il Parlamento ne voterà l'approvazione del contenuto. In caso di approvazione si dice che il decreto è

"convertito", cioè trasformato, in legge. L'abuso dello strumento del decreto legge per disciplinare la vita dei cittadini

è stato recentemente denunciato perché toglie all'organo che rappresenta la volontà popolare dei cittadini, ossia il

Parlamento, una funzione essenziale (quella legislativa) alla vita democratica del paese.

I regolamenti

Il potere regolamentare del governo è stato di disciplinato dalla legge 400/1988. I regolamenti del governo sono

deliberati del Consiglio dei Ministri, sono emanati con decreto del presidente della Repubblica, registrati presso la

corte dei conti e pubblicati sulla gazzetta ufficiale. Sul piano delle tipologie, i regolamenti possono distinguersi tra

loro o per l'ambito di discrezionalità di cui governo dispone in riferimento al sistema normativo primario, o per il loro

particolare oggetto. Dal primo punto di vista, la legge si riferisce i regolamenti di esecuzione di leggi, decreti

legislativi e regolamenti comunitari, ai regolamenti di attuazione e integrazioni di leggi e decreti legislativi, ai

regolamenti indipendenti, ai regolamenti delegati. Attualmente sembra difficile ipotizzare l'esistenza di spazi liberi

significativi per l'esercizio di un simile potere regolamentare, ove si considerino le numerosissime riserve di legge

previste dalla costituzione, nonché il vero e proprio stato d'inflazione legislativa che caratterizza il nostro sistema

normativo. Dalla stessa legge vengono disciplinati i regolamenti ministeriali e interministeriali, che possono essere

adottati dal presidente del consiglio dei ministri con l'obbligo ulteriore di autoqualificarsi come regolamenti. Il potere

regolamentare dei ministri può essere esercitato solo nelle materie di competenza del ministro o di autorità

sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere; non possono dettare norme contrarie a

quelle dei regolamenti emanati dal governo.

CAPITOLO 12: IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA

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Il Governo L‟Italia è uno Stato di diritto, con forma di governo parlamentare. In quanto Stato di diritto i tre poteri: legislativo,

esecutivo e giudiziario sono distinti, mentre in quanto repubblica parlamentare esiste una primazia del Parlamento sul

Governo. Infatti quest‟ultimo trae lapropria legittimità a governare dalla fiducia che il Parlamento gli esprime. A

differenza della forma di governo presidenziale, non c‟è una legittimazione popolare diretta del Capo del Governo:

egli trae al contrario la propria legittimazione dalla nomina del Presidente della Repubblica suffragata dalla fiducia

espressa dal Parlamento. Questo, cioè, può decidere se il governo può rimanere in carica o meno.

Il Governo è composto dal Presidente del Consiglio e dai Ministri che nel loro insieme costituiscono il Consiglio

dei Ministri. Per cui, e su questo bisogna porre particolare attenzione, gli organi rilevanti del Governo sono 3:

Presidente del Consiglio, Ministri e Consiglio dei Ministri. Ministri e Consiglio dei Ministri sono due soggetti distinti:

pur essendo sostanzialmente le stesse persone, i loro ruoli sono diversi. Il Presidente del Consiglio si colloca nel

Governo come primus inter pares: ha una posizione cioè di primazia sugli altri. In altri termini è “primo tra gli altri”,

ma rimane con essi su un piano di parità, non è un superiore gerarchico dei Ministri. Detiene la responsabilità

dell‟azione complessiva di governo, ma non è un capo.

Le disposizioni in materia di Governo della Repubblica sono dettate a partire dall‟art. 92 della Costituzione e in modo

molto dettagliato dalla legge 23.08.1988, n. 400.

Al Governo spetta il potere esecutivo. La definizione però non è affatto esaustiva, in quanto esprime una linea

tendenziale. In realtà quest‟organo svolge altre funzioni che attengono all‟amministrazione dello Stato, alla

legislazione dello Stato (il Governo infatti esercita, sotto alcune forme, anche il potere legislativo), alle rappresentanza

nelle relazioni internazionali, al buon funzionamento delle istituzioni pubbliche ed infine alla garanzia del corretto

svolgimento delle dinamiche fra i diversi gruppi sociali (possono essere ad esempio funzioni di mediazione fra

sindacati e datori di lavoro).

Il Presidente del Consiglio.

È l‟organo che dirige la politica generale del Governo e ne è il responsabile. In questa sua funzione egli mantiene

l‟unità dell‟indirizzo politico ed amministrativo promuovendo e coordinando l‟attività dei Ministri. Per rendere un

paragone è come fosse un direttore d‟orchestra che deve infondere unità nella “sinfonia” che viene suonata dai vari

orchestrali: i Ministri. A prescindere dalle metafore, il Presidente del Consiglio svolge una fondamentale funzione di

coordinamento, la quale serve a far sì che i vari Ministri, magari appartenenti anche a forze politiche diverse, pur

svolgendo ognuno i propri compiti, si muovano all‟interno di un indirizzo politico univoco. In particolare al Presidente

del Consiglio dei Ministri spettano alcuni compiti:

poteri di esternazione. Spetta cioè al Presidente del Consiglio esternare gli indirizzi di politica generale del

Governo. Per questo motivo le esternazioni dei singoli ministri vengono viste sotto una luce non proprio positiva

dal Presidente del Consiglio, che a volte le smentisce o rettifica in quanto potrebbero rendere confusa all‟esterno

la linea politica generale del Governo;

poteri di rappresentanza. Rappresenta cioè il Governo verso l‟esterno: in sedi internazionali, di fronte al

Parlamento…

poteri di direzione degli organi collegiali, in primis il Consiglio dei Ministri. È una funzione analoga a quella

svolta, in Parlamento, dai Presidenti delle Camere. Fissa le date del Consiglio, stabilisce l‟ordine del giorno…;

poteri di coordinamento dell‟attività dei Ministri.

Il Consiglio dei Ministri

È un organo collegiale, cioè una figura soggettiva pubblica formato da più persone. Al Consiglio dei Ministri spettano

fondamentali funzioni di governo:

funzioni che la Costituzione assegna genericamente al Governo. Quando la Costituzione parla di Governo è da

intendersi il Consiglio dei Ministri;

funzioni relative alla determinazione della politica generale del Governo e delle linee fondamentali dell‟attività

amministrativa;

funzioni relative al rapporto fiduciario con le Camere. In altre parole la richiesta della fiducia viene proposta dal

Presidente del Consiglio, ma è il Consiglio dei Ministri che si presenta per ottenerla.Queste funzioni vengono

dettagliatamente specificate dalla legge 400/88 la quale prevede che il Consiglio dei Ministri:

o adotti delle delibere che riguardano le dichiarazioni di indirizzo politico del Governo. Per cui l‟indirizzo politico

del Governo viene sempre espresso in modo collegiale attraverso degli atti formali ( art. 2.3 L. 400/88);

o deliberi sugli atti di iniziativa legislativa. La presentazione di un disegno di legge, cioè, avviene sempre attraverso

una deliberazione del Consiglio dei Ministri ed è sempre quest‟ultimo, nella sua collegialità, che adotta gli atti

aventi forza di legge;

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51

o determini le linee della politica internazionale e comunitaria, nonché i progetti di adesione ai trattati

internazionali;

o nomini i presidenti ed i massimi dirigenti di enti, istituti o aziende di competenza dell'amministrazione statale;

o curi i rapporti con le Regioni ed eventualmente decida di impugnare davanti alla Corte Costituzionale le leggi

regionali in caso vengano ritenute invasive della competenza statale;

o intervenga in caso di conflitti tra i poteri dello Stato;

o adotti le deliberazioni in difformità con pareri obbligatori;

o curi i rapporti con le confessioni religiose.

I singoli Ministri

Sono gli stessi soggetti che compongono il Consiglio dei Ministri (e ne svolgono quindi le funzioni). Ai singoli

Ministri spetta inoltre tutta una serie di funzioni specifiche in quanto organi di vertice degli apparati ministeriali, cioè i

ministeri di riferimento. Quindi sono degli organi che oltre ad avere un ruolo strettamente politico (che esprimono,

appunto nel Consiglio dei Ministri), sono anche organi di vertice di apparati amministrativi: sono membri del

Governo, ma anche a capo di un Ministero. Il numero di questi ultimi è variabile; è determinato per legge e talora può

essere ulteriormente incrementato attraverso l‟individuazione dei cosiddetti Ministri senza portafoglio, cioè ministri

che non hanno alle proprie dipendenze un vero e proprio apparato ministeriale (nell‟attuale Governo sono 8). Da un

punto di vista organizzativo sono nominati presso ( fanno capo a) la Presidenza del Consiglio, non sono a capo di un

dicastero. Volendo introdurre un esempio concreto, nel Governo attuale il Ministro dell‟Economia è a capo di un

importante ministero, previsto dalla legge, mentre il Ministro della Funzione Pubblica è a capo di un dipartimento

della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Le funzioni svolte sono quelle però di un Ministro ed egli è quindi un

ministro a tutti gli effetti.

Altre figure governative

L‟arricchimento e la notevole diversificazione delle funzioni governative sono all‟origine della tendenza a formare

all‟interno del Governo organi collegiali più ristretti.

Dal 1983 si è sperimentata la creazione del Consiglio di Gabinetto, ossia una struttura formata dal Presidente del

Consiglio con altri Ministri da lui designati per farsi coadiuvare nelle funzioni di indirizzo politico e di direzione nella

politica generale del Governo.

Un‟altra struttura simile è rappresentata dai Comitati dei Ministri la cui funzione è di affrontare e discutere questioni

di competenza comune. Essi hanno un ruolo consultivo – preparatorio.

Vanno poi citati i Comitati Interministeriali i quali, a differenza dei Comitati dei Ministri, rivestono una funzione

più significativa proprio nell‟ambito di alcune attività fondamentali del Governo. Sono previsti da apposite leggi, sono

formati da alcuni Ministri e ricoprono funzioni specifiche in determinati settori. I più importanti sono attualmente il

CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica), il CICR (Comitato Interministeriale per il

Credito e il Risparmio) e il CESIS (Comitato Esecutivo per l‟Informazione e la Sicurezza). Il CICR ha un‟importanza

fondamentale, ad esempio, anche sulla vigilanza del risparmio.

All‟interno del Governo vengono inoltre individuati gli alti Commissari e i Commissari straordinari (es l‟Alto

Commissariato per la Protezione Civile). Si tratta di strutture che individuano degli ambiti di intervento di particolare

importanza, ma per le quali è già prevista una struttura ministeriale. Costituiscono il primo passo per verificare se si

può pensare alla creazione di una struttura stabile. I Commissari straordinari invece intervengono su questioni di

particolare delicatezza, ad esempio quando si verifica una calamità naturale (si pensi all‟alluvione del Piemonte del

2000) per far fronte all‟emergenza.

Infine non vanno dimenticati i Sottosegretari. Sono delle figure strettamente collegate ai Ministeri, sono infatti dei

collaboratori dei Ministri; in alcuni casi si può parlare, almeno da un punto di vista funzionale, di “viceministri”. Sono

degli organi non tecnici, ma politici, in quanto funzionari nominati su base fiduciaria dai Ministri per coadiuvarli nelle

diverse attività del rispettivo dicastero. In alcuni casi i Sottosegretari si occupano di questioni che per importanza

superano quelle di altri Ministeri. Il caso tipico è costituito dal Ministero dell‟Economia, dove i Sottosegretario al

Tesoro e alle Finanze sono di fatto come dei veri e propri Ministri.

La formazione del Governo

Si esplica in 3 fasi:

1. nomina,

2. giuramento;

3. fiducia.

Il primo passaggio fondamentale nella formazione del Governo è quindi la nomina del Presidente del Consiglio da

parte del Presidente della Repubblica secondo quanto previsto dall‟art. 92, 2° comma della Costituzione. La nuova

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nomina avviene o per dimissioni del precedente Presidente del Consiglio od in seguito a nuove elezioni parlamentari.

Il nuovo presidente del Consiglio provvede poi a sottoporre al Capo dello Stato una lista di possibili Ministri i quali

vengono nominati dal Presidente della Repubblica stesso.

Il secondo passaggio fondamentale consiste nel giuramento da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei

Ministri nelle mani del Presidente della Repubblica.

Per cui, riassumendo, il Capo dello Stato svolge due ruoli fondamentali:

a. nomina attraverso dei decreti il Presidente del Consiglio ed i Ministri;

b. riceve il giuramento alla Repubblica, alla Costituzione e alle leggi da parte degli stessi.

Si è instaurata una prassi costituzionale in base alla quale il Presidente della Repubblica per procedere alla nomina del

Presidente del Consiglio svolge una serie di consultazioni onde verificare a chi assegnare l‟incarico di formare il

nuovo Governo. In base a ciò convoca gli esponenti delle principali forze politiche in Parlamento e successivamente i

Presidenti della Repubblica precedenti.

Dal 1994 in poi, in seguito alle modifiche al sistema elettorale, la risposta alle consultazioni appare già scontata, in

quanto viene indicato già prima delle elezioni quale sarà il leader della maggioranza. Nei fatti il Capo dello Stato da

allora ha sempre nominato tale soggetto come Presidente del Consiglio, eccezion fatta per la XIII legislatura (governo

Dini del 1995 a seguito della caduta del primo governo Berlusconi). Occorre ricordare che non è un obbligo nominare

il leader di maggioranza, è piuttosto una ragione contingente. In effetti prima del 1994 non si sapeva prima delle

elezioni chi avrebbe ricevuto l‟incarico di Presidente del Consiglio e succedeva frequentemente che nel corso della

medesima legislatura si succedessero più governi con Presidenti diversi.

Generalmente poi il Capo dello Stato non solleva obiezioni sulle liste che il Presidente del Consiglio gli sottopone per

la nomina dei Ministri. Tuttavia in alcuni casi è successo che abbia avanzato delle osservazioni che hanno poi portato

alla modifica della collocazione di alcuni Ministri (ad esempio non era opportuno nominare Ministro della Giustizia

una persona raggiunta in quel periodo da avvisi di garanzia). Vi è quindi un controllo, da parte del Presidente della

Repubblica sull‟idoneità dei futuri Ministri, il suo perciò non è un ruolo meramente formale.

Dopo il giuramento il Governo entra nel pieno dei propri poteri, ma per poter rimanere in carica deve veder soddisfatta

una condizione risolutiva: ottenere la fiducia da parte del Parlamento. Proprio per questo entro 10 giorni il nuovo

Governo deve presentarsi alle Camere per ottenerla.

Il rapporto di fiducia è essenziale per la durata in carica del Governo e non costituisce affatto un momento isolato alla

fase di insediamento. Il Governo infatti può aver bisogno di successive riconferme nel corso della legislatura e la

fiducia essere suscettibile di verifiche o addirittura essere revocata.

La permanenza in carica

Il Governo, si è appreso, rimane in carica finché gode della fiducia del Parlamento. La fiducia può essere revocata

tramite due atti formali:

il voto favorevole ad una mozione di sfiducia;

il voto contrario all‟approvazione di una legge sulla quale è stata posta la questione di fiducia.

Per quanto riguarda il primo, accade che almeno un decimo dei componenti della Camera in cui la mozione viene

proposta chiede alla Camera di approvare tale mozione. Quindi in questo caso l‟oggetto della votazione è proprio la

permanenza della fiducia parlamentare nei confronti del Governo. Si vuole cioè accertare se la maggioranza

parlamentare è ancora favorevole a quel Governo. Peraltro nella storia costituzionale del nostro Paese si è verificata

l‟ipotesi della sfiducia anche ad un solo Ministro. In questo caso è costretto alle dimissioni solo il singolo Ministro,

mentre in caso di sfiducia al Governo, cade appunto l‟intero complesso.

Per quanto concerne invece la seconda ipotesi essa è molto più rilevante nell‟ambito della dinamica politica. Infatti il

primo atto viene proposto dall‟opposizione, la quale però è in minoranza, per cui, salvo casi clamorosi, è raro che una

mozione di sfiducia venga approvata dalle Camere. La seconda ipotesi invece è sfruttata dal Governo per vedere

approvata una legge che ritiene di importanza fondamentale, tanto che se la maggioranza non la votasse si

dimostrerebbe non favorevole all‟indirizzo politico del Governo e quindi al Governo stesso. Va notato che quando il

Governo pone il voto di fiducia, esso costringe il Parlamento a ragionare su due piani inscindibilmente connessi:

l‟analisi della legge che viene discussa e la fiducia al Governo. Questo potrebbe portare deputati e senatori ad essere

“condizionati” e a votare quindi ugualmente la legge, anche se non condivisa, pur di non far mancare la fiducia al

Governo, in virtù di un‟analisi “costi/benefici”. Il rischio però è un abuso del ricorso al voto di fiducia che fa venir

meno la dialettica parlamentare: si riduce la discussione in Aula, si riduce la possibilità di proporre emendamenti…

Questo è accaduto spesso negli ultimi 15/20 anni.

Vi possono essere delle situazioni in cui la crisi di Governo ha natura extraparlamentare. Come si evince facilmente

dal termine stesso, tale crisi ha origine fuori dalla dinamica del Parlamento. Si verifica in 3 particolari situazioni:

crisi extraparlamentari in senso stretto;

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le dimissioni del Governo deliberate dal Consiglio dei Ministri (non del singolo Ministro che può venir sostituito

ad interim dal Presidente del Consiglio o da un altro Ministro. Si parla a tal proposito di rimpasto);

le dimissioni del Presidente del Consiglio.

La crisi extraparlamentare in senso stretto viene a determinarsi non all‟interno del dibattito dell‟Aula, ma in una sede

estranea, sempre restando comunque nell‟ambito delle forze politiche delle Camere. Succede che diversi partiti che

sostengono il Governo, nei rapporti che intrattengono dal punto di vista informale, si ritrovano in una situazione

conflittuale nei confronti del Governo stesso. A quel punto non si passa attraverso una mozione di sfiducia, ma viene

fatto capire al Governo in carica che non può più contare sulla maggioranza parlamentare che fino ad allora lo ha

sostenuto e viene informalmente invitato a dimettersi. Questa tipologia di crisi non si è più verificata dal 1994, cioè da

quando la legge elettorale individua già prima del voto la maggioranza che dovrà poi governare. Prima di tale data,

quando vigeva il sistema proporzionale puro, la maggioranza si formava invece dopo le elezioni ed i partiti politici che

la componevano potevano in corso di legislatura spingere per una modifica del Governo (la maggioranza magari

rimaneva la stessa, ma, al suo interno, si voleva che fosse il rappresentante del proprio partito a guidare la compagine

governativa). Si trattava di un caso piuttosto frequente, tanto che si è parlato di “governi balneari”, poiché la

permanenza in carica era brevissima, di pochi mesi, da giugno a settembre.

Il Governo poi cessa le sue funzioni anche quando si dimette nella sua interezza oppure lo fa il Presidente del

Consiglio.

Le funzioni del Governo

Il Governo svolge essenzialmente tre grandi tipologie di funzioni:

o funzioni di indirizzo politico;

o funzioni normative: adotta atti che si pongono come fonti del diritto, sia primaria che secondaria;

o funzioni amministrative: funzioni di carattere eterogeneo che riguardano sia il coordinamento dell‟attività dei

Ministri, sia una serie di interventi diretti sull‟amministrazione (ad esempio la nomina dei vertici di alcune

amministrazioni).

Le funzioni di indirizzo politico

Il Governo adotta degli atti che esprimono in modo specifico il proprio indirizzo politico.

Tra questi vanno indicati in primo luogo gli atti con i quali il Governo svolge la funzione di iniziativa legislativa, cioè

i disegni di legge che sottopone al Parlamento.

In secondo luogo vi è una serie di atti attraverso i quali il Governo determina la piattaforma politica e programmatica,

cioè indica quali sono le sue linee strategiche fondamentali. L‟atto tipico da questo punto di vista è il discorso

attraverso il quale il Presidente del Consiglio chiede la fiducia al Parlamento, in cui espone il programma del Governo.

Un altro atto di indirizzo politico, di stretta attualità in questi giorni, è la manovra finanziaria. È uno degli atti in cui

più specificamente si manifesta l‟indirizzo politico del Governo, in quanto mostra il tipo di scelte che esso intende

adottare per il futuro del Paese pur tenendo conto di alcuni parametri rispetto ai quali non può derogare. La manovra

finanziaria riguarda infatti una serie di strumenti da utilizzare per rispettare certi parametri finanziari e monetari

imposti a livello comunitario. L‟Unione Europea indica i parametri, ma non si pronuncia su come questi debbano

essere raggiunti e/o rispettati, se aumentando le tasse o attraverso tagli alla spesa o introducendo fonti di

finanziamento… Tali scelte attengono ai Governi dei singoli Stati e quindi al proprio indirizzo politico. Negli anni

„60/70 si ricorreva spesso alla leva monetaria (emissione di titoli di Stato, aumento della base monetaria…), con la

conseguenza di un forte aumento dell‟inflazione e del debito pubblico. Questo è stato possibile in quanto non

esistevano parametri rigorosi entro i quali la manovra finanziaria doveva porsi.

Un‟ulteriore tipologia di atti riguarda la determinazione delle relazioni internazionali. Sono atti di politica estera tra i

quali ad esempio l‟intervento da parte del Presidente del Consiglio nell‟ambito delle riunioni del G8.

Va inoltre ricordata una seri di atti che riguardano la difesa militare e la sicurezza pubblica. Si pensi al finanziamento

delle missioni militari italiane in Iraq o in Afghanistan. Sono decisioni di indirizzo politico che necessitano comunque

dell‟approvazione del Parlamento.

Sono atti di indirizzo politico anche quelli che riguardano le relazioni tra Stato e Regioni.

Vanno poi citati gli atti che riguardano i rapporti del Governo con le confessioni religiose quali le convenzioni che lo

Stato italiano stipula con le diverse confessioni religiose, la destinazione ad esse dell‟8 ‰…

Infine sono atti di indirizzo politico le programmazioni settoriali.

Dalla serie di atti adottati è possibile ricavare spesso il tipo di impostazione generale di indirizzo del Governo.

Interventi ampliativi dell‟autonomia regionale infatti implicano una maggiore vocazione del Governo verso una

visione autonomistica dello Stato; al contrario atti che riducono le autonomie locali lasciano trasparire un indirizzo del

Governo a carattere più centralistico. Interventi di manovra finanziaria volti ad una forte riduzione della spesa

pubblica conducono a pensare ad un indirizzo politico di carattere liberista, viceversa una manovra finanziaria che

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presuppone un maggior intervento pubblico, porta a dedurre un indirizzo più solidarista. Nella realtà la distinzione non

è così netta ed immediata, occorre analizzare anche, ad esempio gli effetti economici che le decisioni in materia di

manovra finanziaria produrranno.

Le funzioni di tipo normativo

Prevedono in generale l‟adozione di atti che hanno valore normativo, cioè che si connotano come fonti del diritto sia,

come si è visto, di livello primario, sia secondario.

La funzione normativa di cui dispone il Governo si articola in due forme:

una potestà legislativa che gli spetta in via eccezionale in cui adotta atti aventi forza di legge;

una potestà regolamentare che gli spetta in via ordinaria in cui adotta regolamenti. Questo non significa che è sua

prerogativa esclusiva: esiste il potere regolamentare delle Regioni, dei Comuni, dell‟Università… esso spetta a

vari soggetti dell‟ordinamento giuridico e il Governo è uno di questi.

La potestà legislativa può riguardare due atti aventi forza di legge:

1) i decreti legislativi;

2) i decreti legge.

Sono due atti profondamente diversi tra loro. Li accomuna soltanto l‟efficacia giuridica e la competenza governativa.

Il decreto legislativo viene adottato dal Governo sulla base di una apposita legge di delegazione approvata dal

Parlamento che è in qualsiasi momento revocabile. Nella legge di delegazione il Parlamento indica al Governo

l‟oggetto e il termine di esercizio (generalmente due anni) della delega, nonché i principi e i criteri direttivi da seguire.

Il Parlamento si affida al Governo in caso di materie piuttosto complesse quali ad esempio la riforma del pubblico

impiego o della scuola, per cui ritiene che la questione possa essere meglio valutata ed elaborata a livello dei Ministeri

competenti. Il Governo quindi si trova ad operare all‟interno di un binario in qualche modo già tracciato. Nella

fattispecie sopra esposta troveremo la legge delega 421/92 che individua oggetto, principi, criteri e termine per

l‟adozione delle norme di riforma in materia di pubblico impiego ed il decreto legislativo 29/93 che specifica tali

regole di riforma.

Per alcune materie però è impossibile ricorrere alla delegazione legislativa perché si ritiene che il Parlamento non

possa esimersi dall‟intervenire direttamente su alcune questioni specifiche, in particolare per quanto riguarda la legge

finanziaria e l‟approvazione dei trattati internazionali, cioè per materie su cui il Parlamento si trova a svolgere una

funzione di controllo sull‟operato del Governo.

Il Governo può adottare più decreti legislativi su una sola legge delega solo se questa indica oggetti plurimi, altrimenti

l‟atto deve essere unico, corrispondente alla legge delega.

Inoltre se la delega supera i due anni (cioè il termine è ultrabiennale) il testo del decreto legislativo prima di essere

approvato deve ottenere parere favorevole da parte dalle Commissioni parlamentari competenti.

Una volta approvato dal Consiglio dei Ministri il decreto legislativo viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Entra in

vigore e resta in vigore a tempo indeterminato, finché non venga abrogato da un ulteriore atto avente forza di legge:

una legge ordinaria, un altro decreto legislativo… Quindi il decreto legislativo è un atto del Governo che ha valore di

legge e che una volta approvato entra a far parte del sistema delle fonti in maniera stabile. Proprio perché presenta

valore di legge resiste all‟efficacia abrogativa di atti di livello subordinato. Per cui corrisponde in tutto e per tutto ad

una legge salvo per il fatto che è adottato dal Governo e su un ambito limitato da una legge precedente, sia per quanto

riguarda la materia, sia per i principi ed i criteri direttivi.

Il secondo atto avente forza di legge che vede la competenza del Governo è il decreto legge. Come già sostenuto, ha

caratteristiche completamente diverse. Innanzitutto il decreto legge viene adottato dal Governo di propria iniziativa in

casi eccezionali di necessità ed urgenza, secondo quanto sancito dall‟art. 77 della Costituzione. Si è di fronte ad

un‟anomalia nel sistema di produzione delle fonti giuridiche, visto che nel nostro sistema il potere legislativo spetta

alle Camere. Tutto sommato, infatti, il decreto legislativo era subordinato alla legge delegata del Parlamento, mentre il

decreto legge nasce appunto dall‟iniziativa stessa del Governo. Per questo la Costituzione ammette il ricorso al decreto

legge solo in casi di necessità ed urgenza, tanto che si parla del decreto legge come decretazione di urgenza. Viene

pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale lo stesso giorno della sua emanazione. Ha efficacia immediata, non esiste cioè il

periodo di vacatio legis. Questo in relazione alle caratteristiche di urgenza e alla conseguente necessità che le

disposizioni contenute in esso siano immediatamente applicabili. Il potere legislativo del Parlamento, tuttavia, non

viene bypassato; semplicemente, a differenza del decreto legislativo, interviene dopo. Il decreto legge, infatti, viene

approvato, entra in vigore, comincia a produrre i suoi effetti, ma entro 5 giorni le Camere devono riunirsi per

discuterne e possono, entro 60 giorni dalla pubblicazione, convertirlo in legge. In altre parole, il decreto legge di per sé

non assume mai il carattere di fonte stabile nel nostro ordinamento giuridico.

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Si è detto che entro 60 giorni dalla pubblicazione l‟Aula può convertire il decreto legge in legge. Le Camere sono

ovviamente sovrane nell‟esercizio della propria potestà legislativa e quindi possono convertire il decreto legge così

com‟è, possono introdurne delle modificazioni oppure ancora possono rigettare il decreto. Nel primo caso (che nella

realtà quasi mai si verifica) il decreto entra in vigore col medesimo testo presentato dal Governo. Cambia solo la

forma, diventando legge di conversione di un decreto legge. Nel secondo caso, quello più frequente, il decreto legge

viene variamente modificato nella legge di conversione. Questa diventa una fonte in parte innovativa rispetto al

disegno originale proposto inizialmente dal Governo. Il terzo caso è il più delicato, poiché il decreto legge che per 60

giorni ha prodotto effetti tipici della legge, viene a cessare, è come se non fosse mai stato adottato. Si produce cioè una

totale caducazione della norma approvata dal Governo. Il decreto perde efficacia ex tunc (= da allora dal momento

della sua emanazione), non dal momento della mancata conversione (ex nunc). Dal punto di vista giuridico si pone

evidentemente un problema. Si ipotizzi infatti che in quel decreto legge siano state introdotte delle regole che

disciplinano il rapporto di servizio delle pubbliche amministrazioni e in cui sono previste progressioni di carriera,

aumenti di stipendi di dipendenti pubblici… Tali regole diventano immediatamente applicabili, quindi può succedere

che soggetti dell‟ordinamento adottino provvedimenti concreti sulla base di quanto previsto dal decreto legge. In caso

di mancata conversione però gli effetti del decreto vengono meno dal giorno della sua entrata in vigore, quindi gli atti

adottati perdono la loro legittimazione, in quanto viene meno la fonte che ne aveva permesso l‟adozione. Per evitare

questo, le Camere, nel rifiutare la conversione del decreto legge, possono adottare una legge che fa salvi gli effetti

prodotti dal decreto nel periodo della sia vigenza.

Il decreto legge rappresenta una forma di esercizio del potere legislativo che nella sua fase iniziale è interamente in

mano al Governo, quindi attraverso tale atto il governo si trova nella possibilità di influenzare significativamente il

processo di produzione normativa. Nei primi decenni della Repubblica si era creata una prassi in base alla quale il

Governo tendeva a reiterare i decreti legge non adottati. Questi cioè lo ripresentava, magari modificato in parti

marginali ed esso rimaneva in vigore per altri 60 giorni e così di seguito. Accadeva quindi che una fonte pensata dal

Costituente come assolutamente transitoria ed eccezionale veniva invece ad acquisire una certa stabilità. Per porre

rimedio a questo sistema sono intervenute la Corte Costituzionale con sentenza 360/1996 e la legge ordinaria, n.

400/1988 all‟art. 15, comma 2, le quali prevedono che la reiterazione del decreto legge non è ammessa salvo casi

eccezionali ed in ogni caso non sia reiterabile un decreto che riproduca non solo nella forma, ma anche nella sostanza,

quello rigettato dalle Camere.

In alcuni casi il Governo non può assolutamente ricorrere alla decretazione d‟urgenza. Le materie sono indicate

principalmente dall‟art. 72, comma 4 della Costituzione, in particolare per disegni in materia costituzionale ed

elettorale, di deleghe legislative, di autorizzazione a ratificare i trattati internazionali, i provvedimenti di approvazione

di bilanci e consuntivi…, cioè materie riservate alle Camere e richiamate nell‟art. 12, comma 2, della legge 400/88.

Potrebbe infatti succedere per assurdo che il Governo delegasse se stesso alla produzione di una legge che assume poi

carattere di stabilità. Un caso ancor più significativo è rappresentato dalla legge finanziaria. Questa in nessun caso

potrà essere varata con un decreto legge, anche qualora si ravvisi l‟urgenza (si è prossimi al 31.12, il Parlamento non

intende approvarla e si rischia l‟esercizio provvisorio).

Quando il Governo adotta un decreto legge le Camere devono riunirsi (anche se sciolte) entro 5 giorni o, se sono già

riunite, porre all‟ordine del giorno la discussione del decreto stesso. Questo può portare a modificare il calendario dei

lavori parlamentari. Il Governo, quindi, attraverso lo strumento del decreto legge in un certo senso “condiziona” il

Parlamento, perché lo costringe ad inserire nel calendario dei lavori una certa materia. Il decreto legge, perciò, può

essere considerato, sotto un certo punto di vista, come un‟iniziativa legislativa anomala, cui il Governo ricorre quando

vuol vedere discussa una certa questione che ritiene importante, mentre il Parlamento è di parere opposto. Il metodo

risulta peraltro discutibile, alla luce anche del fatto che non è in linea col disegno costituzionale, il quale prevede che

l‟iniziativa legislativa del Governo avvenga tramite la presentazione di disegni di legge, strumenti ben diversi dai

decreti legge.

La potestà regolamentare, al contrario di quella legislativa, spetta in via ordinaria al Governo. Essa si esplicita

attraverso alcune categorie di regolamenti indicate in modo preciso e puntuale dall‟art. 17 della legge 400/1988:

regolamenti di esecuzione di leggi, di decreti legislativi, di regolamenti comunitari. Non hanno alcuna forza

normativa; semplicemente chiariscono con delle regole di dettaglio come deve essere portata ad esecuzione una

certa norma di legge;

regolamenti di attuazione ed integrazione, sempre a leggi, decreti legislativi, regolamenti comunitari. A differenza

del caso precedente, in questo la legge non è dettagliata e completa, ma rinvia a regolamenti per la specificazione

di alcune parti della sua disciplina. Ad esempio la legge sul procedimento amministrativo che prevede la

possibilità di sostituire atti autorizzatori dell‟amministrazione con la figura del silenzio – assenso rimanda

all‟adozione di regolamenti per specificare i casi in cui questa sostituzione può avvenire. In questo caso finché i

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regolamenti non vengono adottati non esiste un oggetto specifico sul quale applicare la materia di legge. Ecco

perché si parla di regolamenti di attuazione, perché finché non vengono adottati risulta impossibile applicare

completamente le disposizioni della legge;

regolamenti indipendenti. Vengono adottati dal Governo in materie per le quali non esiste una norma di legge

(sono, appunto, indipendenti dalla legge). La possibilità di ricorrere a regolamenti indipendenti, che quindi

disciplinano con fonte secondaria una materia in cui non esiste una fonte primaria è prevista soltanto se non si

verifica una situazione cosiddetta di riserva di legge. Cosa si intende per riserva di legge? È la previsione in base

alla quale una certa materia deve necessariamente essere regolata con delle leggi. Si consideri come esempio l‟art.

13, commi 1 e 2, della Costituzione: la libertà personale è inviolabile. Non è ammessa alcuna forma di

detenzione… se non per atto motivato dall‟Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. Questo

significa che le possibilità di privare qualcuno della propria libertà personale sono ammesse soltanto se previste

dalla legge del Parlamento. In questo caso la riserva di legge si dice assoluta. Si parla di riserva di legge assoluta

quando una certa materia non può essere disciplinata che con legge. Non sono ammesse regole poste da fonti di

livello diverso rispetto alla legge. Consideriamo ora l‟art. 97 della Costituzione il quale prevede che i pubblici

uffici siano organizzati secondo disposizioni di legge. Tuttavia quasi tutte le amministrazioni pubbliche hanno

adottato dei regolamenti, per esempio in materia di gestione del personale. In questo caso però la riserva di legge è

relativa, per cui è ammesso che una materia sia disciplinata anche da fonte regolamentare, a condizione però che

su quella materia sia già stata approvata una legge;

regolamenti di organizzazione delle pubbliche amministrazioni. La materia è coperta da riserva di legge relativa,

per cui ammette l‟integrazione attraverso un atto regolamentare del Governo;

regolamenti delegati di delegificazione. Hanno l‟obiettivo di delegificare una certa materia per semplificarne la

disciplina. Si trasforma un atto avente forza di legge in un atto regolamentare. Questo implica riordinare tutte le

disposizioni di legge che regolano quella materia, riscriverle in un unico testo e, se la materia non è troppo

delicata, approvare quest‟ultimo come regolamento e non più come legge. Succede spesso infatti che vi siano

troppe leggi, le quali prevedono indicazioni a volte contrastanti fra di loro. Perché si ricorre al regolamento?

Perché se nel futuro si rivelassero necessarie delle modifiche, la procedura sarebbe molto più snella rispetto ad una

legge, dove è necessario avviare un procedimento legislativo da parte del Parlamento. Sorge però un problema.

Infatti nelle delegificazione di una certa materia, se si vuole che le leggi precedenti perdano efficacia, sarà

necessario abrogarle, altrimenti andrebbero a sommarsi al nuovo regolamento. Se si adottasse un testo di legge

sarebbe sufficiente inserire un articolo in cui vengono abrogate tutte le disposizioni precedenti. Ma nel caso di un

regolamento? Questo, per definizione, non può abrogare atti aventi forza di legge. La risposta risiede nel

meccanismo previsto per l‟adozione del regolamento di delegificazione. Esso infatti non viene mai adottato su

iniziativa del Governo, bensì sulla base di un‟apposita legge del Parlamento che autorizza il Governo ad adottare

regolamenti di delegificazione ed indica la possibilità di abrogare le leggi in contrasto con la materia che quel

regolamento andrà a disciplinare. Quindi il regolamento di delegificazione non ha la forza di abrogare le leggi che

di fatto sostituisce, perché tale forza sta nella legge di delega del Parlamento. Ecco perché questi sono regolamenti

delegati. Un caso concreto tipico riguarda un regolamento del 1994 che disciplina l‟attività di rilascio e rinnovo

delle patenti di guida. Fino a quell‟anno anche solo per ottenere un cambio di indirizzo sul documento occorreva

rivolgersi ad almeno tre amministrazioni pubbliche diverse. Questo perché esistevano alcune leggi che

prevedevano la competenza di varie amministrazioni pubbliche in tema di rilascio e rinnovo delle patenti. La

legge collegata alla finanziaria del 1994 aveva previsto che tale materia venisse semplificata e delegificata. Le

leggi sono state quindi coordinate fra di loro e sostituite da un regolamento di delegificazione, il quale prevede che

sia sufficiente recarsi in Comune a segnalare il cambio di residenza e poi questo avverte gli altri soggetti

competenti dell‟avvenuto cambio. Quindi la delegificazione porta con sé anche la semplificazione dell‟attività

della pubblica amministrazione.

L‟adozione dei regolamenti del Governo prevede una procedura particolare:

quando il Governo adotta un regolamento deve essere richiesto preventivamente il parere del Consiglio di Stato;

segue la deliberazione del Consiglio dei Ministri;

l‟emanazione del regolamento deve avvenire con decreto del Presidente della Repubblica;

segue la registrazione presso la Corte dei Conti;

infine la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

Senza tutti questi passaggi il regolamento non acquista efficacia.

Oltre ai regolamenti del Governo, sono previsti anche regolamenti dei singoli Ministeri, che non vengono approvati

però con decreto del Presidente della Repubblica, ma con decreto ministeriale e regolamenti interministeriali,

approvati con Decreto del Presidente del Consiglio.

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Il Governo della Repubblica.

Importanza del ruolo e delle funzioni del Governo nel sistema costituzionale italiano

Il governo ha un ruolo assolutamente insostituibile e del tutto centrale del sistema politico. Nell'articolo 92 della

costituzione, l'espressione "governo della Repubblica" è atta ad evidenziare il fatto che esso è chiamato a svolgere le

sue funzioni, riferite, oltre che all'amministrazione, alla legislazione dello Stato centrale e allo sviluppo delle relazioni

con gli altri stati e con le organizzazioni sovranazionali, anche alla tutela del buon funzionamento di tutte le istituzioni

pubbliche (pur dotate di un grado di autonomia più o meno accentuato) e alla garanzia del corretto sviluppo delle

relazioni fra i diversi gruppi sociali.

La formazione e l’entrata in funzione del Governo

La formazione del governo si realizza con l'adozione dei decreti presidenziali di nomina del presidente del Consiglio

dei Ministri e dei ministri, controfirmati dal nuovo presidente del consiglio, al termine della fase delle consultazioni,

ma l'articolo 93 della costituzione subordina esplicitamente l'assunzione delle funzioni governative al giuramento dei

componenti del governo "nelle mani del presidente della Repubblica". La diretta partecipazione dei ministri al

giuramento costituisce la verifica dell'accettazione della loro carica. Il governo, prima della fiducia, è tenuto ad

adottare atti di grande rilevanza politica e istituzionale (approvazione del programma del governo, attribuzione degli

incarichi ai ministri senza portafoglio, nomina dei sottosegretari ed eventualmente del vice-presidente del consiglio).

Poiché i governi dimissionari o sfiduciati continuano a esercitare le funzioni governative con il solo limite del disbrigo

di affari correnti, nel momento in cui il nuovo governo sta apprestandosi a chiedere la fiducia alle camere dovrebbe

disporre quantomeno degli stessi poteri. Nella prima fase di vita del governo si collocano la nomina da parte del

consiglio dei ministri dei sottosegretari, che non fanno parte del governo ma sono i più stretti collaboratori del

presidente del consiglio e dei ministri, e l'eventuale nomina, su proposta del presidente del consiglio, di uno o più

vice-presidenti del consiglio.

La permanenza in carica del Governo e dei singoli Ministri

Il conferimento della fiducia parlamentare, mediante la solenne approvazione da parte di ciascuna camera, a voti

palesi, delle apposite mozioni motivate di fiducia alla piattaforma politica e programmatica del governo, permette la

permanenza in carica del governo per tutta la durata della legislatura. Secondo l'articolo 94.4 della costituzione "il

voto contrario di una o di entrambe le camere su una proposta del governo non importa l'obbligo di dimissioni". Le

norme regolamentari delle camere hanno disciplinato la "questione di fiducia" e cioè l'istituto mediante il quale

governo dichiara di far dipendere la propria permanenza in carica dall'approvazione parlamentare in un determinato

oggetto all'esame delle camere. Il presidente della Repubblica invita i governi dimissionari a presentarsi alle camere

per verificare la sussistenza del rapporto fiduciario o almeno per fornire un'informazione esaustiva delle ragioni

politiche della crisi. Alle crisi determinate dalle deliberazioni del Consiglio dei Ministri, si aggiungono quelle

determinate dalle dimissioni (o per la morte) del presidente del consiglio. I poteri dei governi dimissionari vengono

prolungati in attesa della nomina del nuovo governo e vengono limitati al solo "disbrigo degli affari correnti". Le

dimissioni di un ministro non provocano crisi del governo e obbligano semplicemente a colmare il vuoto attraverso la

nomina di un nuovo ministro o l'attribuzione dell'interim (incarico provvisorio in attesa del nuovo titolare) a uno dei

ministri già in carica. A ciò si procede con decreto presidenziale, su proposta del presidente del consiglio. Nel

medesimo modo si opera anche per i cosiddetti rimpasti, consistenti nel mutamento di più incarichi ministeriali

all'interno del governo in carica. Per quanto riguarda gli effetti di un voto di sfiducia individuale, la corte

costituzionale ha previsto le dimissioni del ministro che ne sia fatto oggetto. La costituzione non prevede particolari

requisiti soggettivi per poter essere nominati membri del governo, né prescrive che essi debbano essere parlamentari;

in via di interpretazione sistematica, può ritenersi che sia indispensabile la cittadinanza, la capacità di agire e la

condizione di alfabetismo.

Il Presidente del Consiglio

Il presidente del consiglio è indicato dall'articolo 95.1 della costituzione come l'organo che "dirige la politica generale

del governo e ne è responsabile e mantiene l'unità dell'indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e

coordinando l'attività dei ministri". Non sussiste un rapporto gerarchico fra presidente del consiglio e singoli ministri,

ma il presidente del consiglio può concretamente esercitare il suo primato politico sugli altri membri del governo.

Spetta al presidente il potere di manifestare autonomamente verso l'esterno gli indirizzi politici generali del governo,

approvare e autorizzare la diffusione del comunicato sui lavori del consiglio dei ministri, esporre alle camere il

programma del governo, porre la questione di fiducia, assumere le decisioni proprie del governo nei procedimenti

legislativi, controfirmare le leggi e gli atti con forza di legge, mantenere i contatti con il presidente della Repubblica.

Dispone dell'importantissimo potere di fissazione della data delle riunioni del consiglio e di determinazione del

relativo ordine del giorno, seppure sulla base delle proposte dei ministri. Presiede e dirige il consiglio di gabinetto, può

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istituire speciali comitati di ministri con funzioni istruttorie, presiede le conferenze permanenti per i rapporti fra lo

Stato e il sistema delle autonomie territoriali, può promuovere verifiche sul funzionamento di uffici pubblici e devono

essergli comunicati, prima della loro adozione, tutti i regolamenti ministeriali ed interministeriali. La legge 801/1977

ha affidato al presidente del consiglio "l'altra direzione, la responsabilità politica generale e il coordinamento della

politica informativa e di sicurezza" svolta dai cosiddetti servizi segreti.

Il Consiglio dei Ministri

Il Consiglio dei Ministri, organo collegiale composto da tutti i ministri e presieduto dal presidente del consiglio, è

titolare delle fondamentali funzioni governative, come l'iniziativa legislativa, la predisposizione dei bilanci, l'adozione

dei decreti legislativi, dei decreti legge, dei regolamenti governativi e l'esercizio del controllo sulle leggi regionali. In

relazione ai settori in cui opera, i suoi compiti possono essere suddivisi nel modo seguente:

8 in tema di indirizzo politico, può dare direttive ai comitati interministeriali su richiesta del presidente del

consiglio;

9 in tema di attività normativa, delibera i disegni di legge e adotta i decreti legislativi e i decreti legge;

10 in tema di politica internazionale e comunitaria, determina le linee di indirizzo e delibera "i progetti dei

trattati degli accordi internazionali di natura politica o militare";

11 in tema di agenzie, enti, istituti e aziende di carattere nazionale, salvi gli enti pubblici creditizi, delibera la

nomina dei rispettivi presidenti;

12 in relazione alle regioni, esercita le funzioni di controllo sulla legislazione regionale;

13 in relazione alle confessioni religiose, delibera gli atti concernenti i rapporti con la Chiesa cattolica;

14 in relazione alla tutela dei principi di costituzionalità, procede all'annullamento straordinario, a tutela

dell'unità dell'ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi.

I Ministri

I Ministri sono contemporaneamente componenti del Consiglio dei Ministri e organi di vertice degli apparati

amministrativi in cui la legge ripartisce organicamente la pubblica amministrazione statale, denominandoli Ministeri

(o Dicasteri). Il numero dei ministri potrebbe essere anche inferiore a quello dei ministeri, dal momento che un

ministro può essere preposto a più ministeri. Accanto a questi ministri, vi sono anche i cosiddetti ministri senza

portafoglio, e cioè i ministri non preposti a ministeri. La nomina dei ministri senza portafoglio è facoltativa e svolgono

le funzioni loro delegate dal presidente del Consiglio dei Ministri. I cosiddetti vice-ministri sono degli speciali

sottosegretari. Per quanto riguarda il vice-presidente del consiglio, il presidente del consiglio può proporre al

Consiglio dei Ministri la nomina di uno o più vicepresidenti, che hanno lo scopo di essere chiamati a supplire il

presidente del consiglio in caso di assenza od impedimento temporaneo.

Il Consiglio di Gabinetto ed i Comitati fra i Ministri

Con l'articolo 6 della legge 400/1988 si è previsto che il presidente del consiglio possa istituire, con ministri da lui

designati, il consiglio di gabinetto per farsi coadiuvare nello svolgimento delle sue funzioni di direzione della politica

generale del governo e di mantenimento dell'unità dell'indirizzo politico ed amministrativo. Per l'esercizio di vere e

proprie puntuali funzioni istruttorie o di stimolo nei riguardi del governo, il presidente del consiglio può disporre, con

proprio decreto, l'istituzione di particolari comitati di ministri, con il compito di esaminare in via preliminare questioni

di comune competenza, di esprimere parere su direttive dell'attività del governo e sui problemi di rilevante importanza

da sottoporre al Consiglio dei Ministri, eventualmente avvalendosi anche di esperti non appartenenti alla pubblica

amministrazione. I comitati interministeriali sono organi creati perlopiù tramite apposite leggi, che attribuiscono loro

rilevanti funzioni di governo in specifici ma importanti settori. In genere sono presieduti dal presidente del consiglio e

sono composti dai ministri competenti nel settore, cui si aggiungono, in alcuni casi, funzionari ed esperti, e svolgono

non solo attività di indirizzo, ma anche di tipo normativo o di tipo provvedimentale .

Le norme speciali in tema di reati ministeriali

L'articolo 96 della costituzione prevedeva che il presidente del Consiglio dei Ministri e i ministri potessero essere

messi in stato di accusa da parte del parlamento riunito in seduta comune per i reati commessi nell'esercizio delle loro

funzioni. Tuttavia la legge costituzionale che ha approvato un nuovo testo dell'articolo 96, afferma che sui reati

commessi dal presidente del consiglio e dai ministri (anche non più in carica), nell'esercizio delle loro funzioni,

giudica la magistratura ordinaria, previa semplice autorizzazione da parte della camera a cui l'inquisito appartiene, o

del senato se sono coinvolti appartenenti a entrambe le camere o non parlamentari. Le camere stesse devono

autorizzare le necessarie misure limitative della libertà personale, come intercettazioni telefoniche o perquisizioni

personali e domiciliari, salvo che siano colti nell'atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o

l'ordine di cattura. I cosiddetti reati ministeriali, cioè i reati commessi nell'esercizio delle funzioni ministeriali,

consistono in reati comuni (prevalentemente contro la pubblica amministrazione) commessi dal presidente del

consiglio o da un ministro, utilizzando i loro poteri o comunque nell'ambito delle funzioni ministeriali. L'organo

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parlamentare può negare l'autorizzazione alla continuazione del procedimento penale nel caso in cui l'inquisito abbia

agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un

preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di governo.

Gli Alti Commissari ed i Commissari straordinari

In alcune occasioni, apposite leggi hanno previsto la figura degli Alti Commissari, attribuendo loro la responsabilità di

particolari settori amministrativi, estranei alle attribuzioni ministeriali e, a volte, un ruolo di importanza quasi

paragonabile a quella di un ministro. L'articolo 11 della legge 400/1988 ammette, in generale, l'istituto del

Commissario straordinario del Governo, ma la stessa disposizione chiarisce che "sull'attività del commissario

straordinario riferisce al parlamento il presidente del Consiglio dei Ministri o un ministro da lui delegato". Può essere

nominato solo al fine di realizzare specifici obiettivi determinati in relazione a programmi o indirizzi deliberati dal

parlamento o dal Consiglio dei Ministri o per particolari e temporanee esigenze di coordinamento operativo tra

amministrazioni statali.

I Sottosegretari

Questi organi, pur non facendo parte del governo, svolgono rilevanti funzioni di governo e di amministrazione,

essendo i più stretti collaboratori politici rispettivamente del presidente del Consiglio dei Ministri e dei ministri (con e

senza portafoglio) nell'ambito delle loro responsabilità governative. L'articolo 10 della legge 400/1988 configura i

sottosegretari come collaboratori di un ministro o del presidente del consiglio, competente a esercitare i compiti a essi

delegati con decreto ministeriale pubblicato sulla gazzetta ufficiale. Si giunge alla loro nomina mediante un decreto

del presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio dei Ministri, in accordo con il ministro che il

sottosegretario è chiamato a coadiuvare, sentito il Consiglio dei Ministri. Il sottosegretario assume le sue funzioni solo

dopo il giuramento, che deve prestare dinanzi al presidente del Consiglio dei Ministri, con la stessa formula utilizzata

dei ministri. Una posizione del tutto particolare è quella del sottosegretario alla presidenza del consiglio, nominato

segretario del Consiglio dei Ministri, da cui dipendono l'ufficio di segreteria del Consiglio dei Ministri e anche quei

dipartimenti e uffici della presidenza del consiglio per i quali il sottosegretario abbia ricevuto delega del presidente del

Consiglio dei Ministri.

Le funzioni di indirizzo politico del Governo

La politica generale del governo si concretizza in una serie innumerevole di atti normativi e amministrativi, ma anche

più tipicamente di indirizzo politico. Per quanto riguarda quest‟ultimo, si fa riferimento agli atti relativi alla

determinazione della piattaforma politica e programmatica sulla quale il governo chiede la fiducia, gli atti mediante i

quali il governo esercita la sua azione nell'ambito delle relazioni internazionali, i poteri del consiglio supremo di difesa

per l'organizzazione e il coordinamento delle attività che riguardano la difesa nazionale, i poteri del presidente del

consiglio in ambito della pubblica sicurezza e delle questioni di ordine pubblico, le relazioni intrattenute dal governo

con le confessioni religiose, il potere di iniziativa legislativa del governo, il disegno di legge relativo al bilancio

preventivo e tutti gli atti governativi che lo precedono o lo accompagnano, il potere legislativo delegato o esercitato in

via di urgenza.

Le funzioni amministrative

Il presidente del consiglio e il Consiglio dei Ministri sono titolari di importanti funzioni amministrative. Alcune sono

espressamente previste dalla legge 400/1988: quelle che mirano a dirigere e coordinare in modo unitario le funzioni

ministeriali, a dirimere i conflitti di attribuzione fra i ministri, a dare direttive ai comitati dei ministri e a quelli

interministeriali, a indirizzare e coordinare le funzioni amministrative regionali o a dirigere quelle delegate o a

sostituirsi alle amministrazioni regionali, annullare in via straordinaria gli atti amministrativi illegittimi. Anche se non

previsti dalla suddetta legge, il presidente del consiglio e il Consiglio dei Ministri sono titolari di altri numerosi poteri

amministrativi: spetta al governo deliberare sulla nomina, su proposta del Ministro competente, dei segretari generali

dei ministeri; è sempre il Consiglio dei Ministri che nomina la quota dei componenti della corte dei conti e del

Consiglio di Stato di spettanza del governo; la gestione del bilancio statale e il corretto funzionamento del settore

creditizio.

Le funzioni normative

La nostra costituzione ha operato uno sforzo rilevante per circoscrivere entro limiti precisi la possibilità che il governo

possa adottare atti normativi con forza pari a quella delle leggi: l'intervento del governo può avvenire o per motivi di

improrogabile urgenza a provvedere, o per un atto espresso di volontà in tal senso dello stesso parlamento. Tutta la

materia degli atti normativi del governo è stata disciplinata dalla legge 400/1988: è stato introdotto un obbligo di

autoqualificazione per tutti questi atti normativi, e cioè un obbligo per essi di autodenominarsi di volta in volta

"decreto legislativo", "decreto legge" o "regolamento".

I decreti legislativi

Si tratta di un atto normativo adottato mediante una decisione ("decretare" significa decidere) del governo. Con una

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legge chiamata "legge delega" il Parlamento, con una propria decisione, può affidare al governo il compito di emanare

una norma giuridica, a patto che questa rispetti i principi generali stabiliti dal Parlamento nella legge-delega e il

termine entro il quale il decreto deve essere emanato. I decreti legislativi devono essere successivamente controfirmati

dal presidente della Repubblica. In alcune importanti materie (imposizione di tributi e ratifica di trattati di diritto

internazionale) il governo non può emanare decreti e la competenza a decidere nuove norme è del Parlamento, il solo

organo rappresentativo della volontà dei cittadini. Assumono forma di decreti legislativi anche le norme di attuazione

degli statuti speciali delle cinque regioni ad autonomia particolare; si tratta tuttavia di un caso del tutto anomalo di

delegazione legislativa, tant'è che ci si trova dinanzi a una delega a tempo indeterminato, esercitabile più volte, l'unico

caso nel quale il governo dispone di un vero e proprio potere legislativo. Un altro caso di delega legislativa del tutto

anomalo è previsto dall'articolo 78 della costituzione che stabilisce che siano le camere a deliberare lo stato di guerra

conferendo al governo i poteri necessari per agire.

I decreti legge

Si tratta in questo caso di un provvedimento governativo provvisorio che ha forza di legge. In casi straordinari di

necessità e di urgenza il governo può infatti sostituirsi al Parlamento (che secondo la Costituzione italiana è l'organo

legislativo dello stato) ed emanare con un decreto una norma giuridica che diventerà legge dello stato soltanto se entro

60 giorni il Parlamento ne voterà l'approvazione del contenuto. In caso di approvazione si dice che il decreto è

"convertito", cioè trasformato, in legge. L'abuso dello strumento del decreto legge per disciplinare la vita dei cittadini

è stato recentemente denunciato perché toglie all'organo che rappresenta la volontà popolare dei cittadini, ossia il

Parlamento, una funzione essenziale (quella legislativa) alla vita democratica del paese.

I regolamenti

Il potere regolamentare del governo è stato di disciplinato dalla legge 400/1988. I regolamenti del governo sono

deliberati del Consiglio dei Ministri, sono emanati con decreto del presidente della Repubblica, registrati presso la

corte dei conti e pubblicati sulla gazzetta ufficiale. Sul piano delle tipologie, i regolamenti possono distinguersi tra

loro o per l'ambito di discrezionalità di cui governo dispone in riferimento al sistema normativo primario, o per il loro

particolare oggetto. Dal primo punto di vista, la legge si riferisce i regolamenti di esecuzione di leggi, decreti

legislativi e regolamenti comunitari, ai regolamenti di attuazione e integrazioni di leggi e decreti legislativi, ai

regolamenti indipendenti, ai regolamenti delegati. Attualmente sembra difficile ipotizzare l'esistenza di spazi liberi

significativi per l'esercizio di un simile potere regolamentare, ove si considerino le numerosissime riserve di legge

previste dalla costituzione, nonché il vero e proprio stato d'inflazione legislativa che caratterizza il nostro sistema

normativo. Dalla stessa legge vengono disciplinati i regolamenti ministeriali e interministeriali, che possono essere

adottati dal presidente del consiglio dei ministri con l'obbligo ulteriore di autoqualificarsi come regolamenti. Il potere

regolamentare dei ministri può essere esercitato solo nelle materie di competenza del ministro o di autorità

sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere; non possono dettare norme contrarie a

quelle dei regolamenti emanati dal governo.

Capitolo 13: Organizzazione apparati amministrativi

CAPITOLO 14: PRINCIPI ATTIVITA‟ AMMINISTRATIVA (Tutti e due insieme)

La pubblica amministrazione

Il diritto pubblico oltre a studiare gli apparati chiamati ad adottare le regole dell‟ordinamento giuridico, studia anche

gli apparati chiamati a far applicare tali regole che hanno come dimensione specifica la realizzazione concreta

dell‟interesse generale. Il legislatore infatti adotta norme che valgono in astratto, che rimangono allo stato potenziale

fino a che degli apparati non intervengono per realizzare concretamente quegli interventi. Introduciamo un esempio

concreto. Il legislatore prevede che venga incoraggiato l‟acquisto della prima casa. Di conseguenza prevede delle leggi

rivolte a soggetti in possesso di determinati requisiti (non abbiano una casa propria, non abbiano superato un‟età

stabilita, presentino una certa situazione reddituale…) affinché possano usufruire di aiuti economici finalizzati

all‟acquisto della prima casa. Perché tali aiuti possano poi effettivamente essere erogati occorre che esistano i soggetti

destinatari, ma anche degli apparati cui spetta il compito specifico di tradurre in attività concrete le norme introdotte in

linea astratta e generale dal legislatore: la pubblica amministrazione. In termini generali quindi la pubblica

amministrazione opera per la cura concreta dell‟interesse generale ed astratto.

Oggi le pubbliche amministrazioni sono organizzate secondo un modello che non fa più riferimento soltanto allo

Stato. Si tratta cioè di un modello organizzativo complesso che presenta un carattere di pluricentrismo, di

plurimorfismo e di pluralismo.

Che cosa si intende per carattere pluricentrico? La pubblica amministrazione è articolata non soltanto con riferimento

allo Stato, ma anche ad una pluralità di altri centri pubblici che si trovano distribuiti a vario livello: regionale,

provinciale, comunale, a livello di enti nazionali ma non dello Stato (ad esempio l‟Università)…

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Per plurimorfismo invece si intende il fatto che l‟amministrazione pubblica si articola secondo modelli organizzativi

che presentano forme differenti, dalla struttura piramidale tipica dei Ministeri, a strutture organizzative di tipo

reticolare quali le unioni di Comuni.

Infine pluralismo, in quanto l‟amministrazione opera per la cura di una pluralità di interessi.

Per cui la locuzione amministrazione pubblica presenta un valore di sintesi, che si riferisce ad una pluralità di forme.

Ecco perché si parla di pubbliche amministrazioni. In passato al contrario si tendeva a far riferimento alla pubblica

amministrazione come all‟apparato servente del potere esecutivo. Si riteneva cioè che essa fosse semplicemente lo

strumento attraverso cui agiva il potere esecutivo dove, con questo termine, si intendeva il potere dello Stato. Oggi

questo modello è da considerarsi superato, perché incapace di esaurire da solo il discorso sulla pubblica

amministrazione. Sino a qualche decennio fa si definiva la pubblica amministrazione come l‟apparato operativo del

potere esecutivo. Questo aspetto però costituisce soltanto una parte della pubblica amministrazione: è una delle

pubbliche amministrazioni. Il sistema dei poteri pubblici al giorno d‟oggi è infatti complesso. In esso tali poteri sono

fra loro coordinati e nel loro insieme formano la Repubblica. Non esiste più cioè un sistema di poteri pubblici

incentrato totalmente sulla figura dello Stato, bensì un sistema complesso in cui lo Stato è una componente assieme ad

altri. La Costituzione, all‟art. 114, comma 1, recita che “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle

Città metropolitane4, dalle Regioni e dallo Stato”. In passato invece si riteneva che tutto il pubblico coincidesse con lo

Stato e che tutte le altre articolazioni citate nell‟articolo ne fossero soltanto dei meri “segmenti”, cioè degli organi

periferici, riconducibili allo Stato secondo un rapporto di dipendenza. Oggi invece questi soggetti godono di una

propria autonomia specifica riconosciuta dalla Costituzione. Non è più possibile quindi pensare, ad esempio, al

Comune come amministrazione indiretta dello Stato.

Perciò quando si parla di amministrazione pubblica si fa riferimento necessariamente ad una realtà complessa definita

dalla composizione di più centri organizzativi.

Tra i soggetti che svolgono funzioni amministrative va annoverato, come ben si ricorda, il Governo.

Le funzioni amministrative del Governo (segue)

Il Governo svolge nella sua collegialità funzioni amministrative.

coordinamento dell‟attività dei Ministri. Nello specifico deve dirigere la loro attività, dirimere i conflitti di

attribuzione, fornire direttive ai Comitati dei Ministri ed interministeriali ed eventualmente annullare atti

amministrativi illegittimi;

poteri di nomina dei vertici delle diverse amministrazioni pubbliche statali. Il Governo quindi non può nominare il

Presidente della Provincia di Trento o il Sindaco del Comune di Roma (questo accadeva nel periodo fascista).

Essi, infatti, sono enti autonomi ed eleggono da sé i propri vertici. Nominerà invece dirigenti generali dei

Ministeri, i Consiglieri di Stato di nomina governativa (non assunti cioè per concorso), Consiglieri della Corte dei

Conti, organi di vertice di alcuni enti pubblici o di società per azioni pubbliche…;

poteri di gestione del bilancio;

poteri di governo nel settore valutario e finanziario del sistema creditizio (assieme alla Banca d‟Italia).

Accanto a queste funzioni svolte dal Governo nel suo complesso vi sono le funzioni amministrative dei singoli

ministeri.

A fianco delle funzioni amministrative del Governo si pone poi, come si è visto la pubblica amministrazione in senso

stretto. Si definisce pubblica amministrazione quell‟insieme di apparati che operano per la cura concreta dell‟interesse

generale. Gli schemi attraverso cui l‟amministrazione opera per raggiungere tal fine sono essenzialmente due:

l‟amministrazione autoritativa;

l‟amministrazione di prestazione.

Che cosa significa curare in concreto l‟interesse generale? Significa agire per assicurare la realizzazione dell‟interesse

della collettività intesa come altri, al contrario ad esempio della società per azioni che opera per la cura dell‟interesse

proprio, per quanto collettivo. Si pensi all‟interesse (generale) della sicurezza stradale. Per garantire che esso venga

concretizzato il legislatore adotta una serie di regole riassunte nel Codice della Strada, il quale contiene specifiche

prescrizioni che chi circola su una strada è tenuto a rispettare. Tali norme sono poste, appunto, nell‟interesse generale.

Quest‟ultimo viene fatto valere in diversi modi, sia attraverso sistemi di tipo autoritativo (ed in tal caso la pubblica

amministrazione opera come autorità pubblica), sia attraverso sistemi di tipo paritario. Consideriamo come esempio il

4 La città metropolitana è un nuovo ente amministrativo italiano. Ad esso sono attribuite le funzioni della Provincia e

parte delle funzioni di interesse sovracomunale, proprie dei singoli Comuni. Nessuna città metropolitana è stata ancora istituita sul territorio italiano

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caso dell‟autovelox: chi viola la regola viene multato. In questa situazione la pubblica amministrazione agisce come

autorità nell‟obiettivo di far rispettare il Codice della Strada. Esistono però altre vie, quali le campagne condotte dalla

Presidenza del Consiglio dei Ministri sulla sicurezza stradale attraverso vari spot che esortano alla prudenza o che

consigliano di non guidare dopo una serata trascorsa in discoteca… Queste campagne pubblicitarie costituiscono

comunque degli interventi volti a perseguire l‟interesse generale in cui però l‟amministrazione non opera come

soggetto autoritativo, ma come soggetto paritario, cioè si avvale di strumenti utilizzati anche da privati.

Infine le pubbliche amministrazioni curano l‟interesse generale attraverso opere di prestazione, ad esempio per

garantire il diritto alla salute, predisponendo delle strutture che erogano prestazioni sanitarie a vantaggio dei cittadini.

In questo caso non vi sono atti autorizzativi e sanzioni amministrative, bensì interventi di cura

Quindi nel caso dell‟amministrazione autoritativa vengono adottati atti che possono incidere negativamente sulla sfera

giuridica del destinatario (multe, ordine di demolizione di un muro pericolante, atti di accertamento tributario…), nel

secondo caso invece l‟amministrazione opera per raggiungere risultati concreti attraverso i quali dar soddisfazione agli

interessi dei cittadini.

Questi due schemi sono presenti in tutte le diverse pubbliche amministrazioni. È chiaro che la cura dell‟interesse

generale appare più evidente nell‟intervento di prestazione (una multa non è mai gradita!); in realtà il perseguimento

avviene in entrambi i casi.

Principi costituzionali

L‟attività e l‟organizzazione della pubblica amministrazione vengono espressamente richiamate dalla Costituzione che

detta in merito alcuni principi fondamentali ed in particolare:

agli articoli 97 e 98, dove si parla di organizzazione dei pubblici uffici e si affermano i principi di buon

andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione;

agli articoli 28 ed ancora 98 che dettano principi in materia di responsabilità dei dipendenti pubblici. Nello

specifico, l‟articolo 28 parla di responsabilità civile dell‟amministrazione pubblica e dei dipendenti pubblici,

l‟articolo 98 prevede che il dipendente pubblico operi al servizio esclusivo della Nazione;

all‟articolo 5 e tutto il Titolo V (dall‟art. 114 al 133) che affermano il principio delle autonomie locali e

territoriali. Riconoscono quel principio di pluricentrismo dell‟amministrazione già citato in precedenza;

agli articoli 103 e 113 che sanciscono la tutela del privato nei confronti della pubblica amministrazione,

prevedendo dei rimedi di cui i destinatari di atti della pubblica amministrazione possono avvalersi per difendere la

propria sfera soggettiva qualora tali interventi fossero illegittimi (ricorsi… ad esempio se viene comminata una

multa per eccesso di velocità e si riesce a dimostrare che quel giorno non si è nemmeno saliti in auto).

Dall‟insieme di questi articoli si ricavano alcuni principi fondamentali che riguardano:

a) l‟organizzazione amministrativa;

b) l‟attività amministrativa.

Principi in tema di organizzazione amministrativa

Il primo principio indicato dalla Costituzione riguarda la distinzione tra politica ed amministrazione. Una cosa cioè è

fissare l‟indirizzo politico, un‟altra agire per raggiungere risultati che danno realizzazione concreta all‟indirizzo

politico. È vero cioè che le pubbliche amministrazioni agiscono per realizzare concretamente quanto previsto

nell‟indirizzo politico, ma questo non significa che esse operino secondo criteri di parzialità politica. Ad esempio,

fissare l‟indirizzo politico significa decider che i fondi a disposizione dello Stato vengano utilizzati per potenziare la

spesa sanitaria e la ricerca oppure, al contrario, restringere la spesa pubblica, affiancando una diminuzione del prelievo

fiscale. Nel momento in cui, però viene stabilito un certo indirizzo politico, nel perseguimento dei risultati

l‟amministrazione deve farsi carico di tutti i cittadini, anche di quelli che avrebbero preferito l‟altro indirizzo.

Il secondo principio riguarda la riserva di legge circa l‟organizzazione dei pubblici uffici. L‟istituzione di nuove figure

organizzative pubbliche, cioè, può avvenire soltanto con legge. Le relative modalità di funzionamento possono anche

essere disciplinate tramite regolamento, ma non la creazione.

Un terzo principio costituzionale concerne il reclutamento all‟interno della pubblica amministrazione che deve

avvenire, di regola, mediante concorso pubblico, salvo i casi stabiliti dalla legge. Questo per evitare favoritismi e

garantire che vengano scelte le persone più idonee, le più capaci.

Un altro principio organizzativo fondamentale è quello del decentramento e del pluricentrismo della pubblica

amministrazione. L‟organizzazione amministrativa, così come delineato dalla Costituzione, infatti, non è monolitica

con baricentro nello Stato, ma, appunto, pluricentrica e pluromorfa.

Principi in tema di attività amministrativa

Il primo principio è senz‟ombra di dubbio quello di legalità. In questo contesto si distingue tra due accezioni:

a) principio di legalità in senso formale: l‟amministrazione pubblica può agire soltanto sulla base di poteri che le

sono formalmente conferiti dalla legge. Sono cioè poteri tipici, nel senso che sono stati attribuiti dal legislatore;

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b) principio di legalità in senso sostanziale: l‟esercizio del potere amministrativo deve sempre avvenire in conformità

alle previsioni di legge.

Il secondo importante principio è quello di imparzialità. Che cosa si intende per imparzialità? Significa da un lato

divieto di favoritismi, dall‟altro obbligo di inclusione. Agire in modi imparziale quindi vuol dire garantire che in una

certa attività di interesse generale siano presi in considerazione tutti gli interessi, nel loro complesso, effettivamente

rilevanti. Si consideri come esempio la costruzione di una strada. Nel procedimento che porterà poi alla realizzazione

dell‟opera pubblica, l‟amministrazione dovrà farsi carico sia degli interessi degli albergatori, degli operatori

commerciali (che vedrebbero con favore il lavoro), sia dell‟interesse ambientale, che magari è dotato di minor forza.

Corollari del principi di imparzialità sono i principi di trasparenza e partecipazione. Per essere imparziale cioè

l‟amministrazione deve garantire ai cittadini di conoscerne l‟attività (ad esempio tramite l‟accesso agli atti

amministrativi) e consentire agli interessati la partecipazione all‟attività amministrativa ( presentazione di memorie,

documenti…). È questa una manifestazione del principio democratico sul piano amministrativo.

Va poi citato il principio di buon andamento, ovvero l‟esigenza che la pubblica amministrazione operi in modo da

ottimizzare l‟uso delle risorse che ha a disposizione, senza sprecarle e trovando gli strumenti più adatti per addivenire

a ciò. In altre parole essa deve operare in modo efficiente (realizzando il massimo dei risultati a parità di risorse),

economico (trovando tali risorse con la minor spesa) ed efficace (individuando gli strumenti più adatti rispetto ai

risultati da raggiungere).

È da ricordare infine il principio di giustizialità che riguarda la tutela delle posizioni soggettive del cittadino di fronte

alla pubblica amministrazione. In uno Stato di diritto la pubblica amministrazione agisce effettivamente come soggetto

dotato di poteri autoritativi, ma di fronte ad essi il cittadino si vede sempre riconosciuti degli strumenti di tutela.

L’assetto dell’organizzazione amministrativa

È possibile immaginare l‟organizzazione amministrativa della Repubblica italiana come un‟organizzazione complessa

che si compone, come noto, di una pluralità di centri diversi che sono variamente articolati e che comprendono: le

amministrazioni dello Stato in senso stretto, gli enti pubblici di livello statale, le amministrazioni indipendenti ed

infine gli organi ausiliari dello Stato. Essi hanno tutti una dimensione statale.

Vi sono poi le amministrazioni territoriali: i Comuni, le Province, le Regioni, ovvero enti pubblici che presentano una

base di riferimento territoriale.

Esse a loro volta sono affiancate da enti pubblici strumentali.

Le amministrazioni dello Stato

Trovano il proprio fulcro nei Ministeri. Collegate ai singoli Ministeri è possibile trovare delle strutture di staff, le

Agenzie: dei modelli operativi che si affiancano ai Ministeri, ma non fanno parte delle struttura gerarchico –

piramidale tipica degli stessi. Un caso concreto è rappresentato dal Ministero dell‟Economia, affiancato dall‟Agenzia

per le Entrate.

I Ministeri presentano poi delle articolazioni interne di livello centrale (dipartimenti, direzioni generali…) e delle

strutture periferiche (gli uffici territoriali dei diversi Dicasteri). L‟importanza di queste ultime è decresciuta nel tempo

in forza della crescente autonomia regionale e locale.

Vi sono poi altri uffici, quali quelli di diretta collaborazione col Ministro, organi consultivi o di controllo ed infine le

aziende ministeriali, oggi praticamente superate, ma che in passato hanno rivestito un ruolo molto importante nella

storia economica del nostro Paese. Si pensi alle Ferrovie dello Stato, nate come azienda del Ministero dei Trasporti o

le Poste e la SIP (Società Idroelettrica Piemontese), aziende del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni… Sono

articolazioni interne ai Ministeri che operano in attività di rilievo economico. Oggi, in virtù di un percorso di

progressiva liberalizzazione e privatizzazione delle attività economiche dello Stato le aziende si sono notevolmente

ridotte.

A livello locale si trovano poi gli Uffici territoriali del Governo, in particolare i Prefetti che coordinano nel loro

complesso le strutture periferiche dei Ministeri. I Prefetti dipendono dal Ministero dell‟Interno; in passato il ruolo da

loro occupato era molto rilevante, ora sempre meno per la medesima ragione citata in precedenza e cioè perché sempre

più competenze vengono trasferite a livello regionale e locale.

Le amministrazioni indipendenti

Sono soggetti dotati di un ruolo indipendente dal Governo e dagli apparati ministeriali, ma che svolgono delle funzioni

di tipo strategico. Sono state introdotte su imitazione dei modelli anglosassoni. Non intervengono direttamente nello

svolgimento dell‟attività economica, ma si preoccupano di garantire che chi opera nel mercato segua determinate

regole. Tra le amministrazioni indipendenti è possibile nominare l‟Autorità garante per la concorrenza nei mercati,

l‟Autorità di garanzia per le telecomunicazioni, l‟Autorità per l‟energia elettrica ed il gas, il Garante per la protezione

dei dati personali… Si tratta quindi di una serie di amministrazioni pubbliche di alto livello che operano per svolgere

essenzialmente delle funzioni di regolazione in una posizione di indipendenza sia rispetto al Governo, sia rispetto ai

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soggetti regolati (l‟Autorità garante per la concorrenza nei mercati, ad esempio, dev‟essere indipendente sia dal

Governo sia dalle imprese…), con l‟obiettivo di tutelare gli interessi deboli. Si ipotizzi ad esempio che l‟Autorità

garante per la concorrenza nei mercati rilevi che il prezzo dei carburanti sia troppo alto in conseguenza del fatto che le

imprese petrolifere hanno effettuato un accordo di cartello. Questo è un comportamento vietato dalla legge, in quanto

restrittivo della concorrenza. A questo punto l‟Autorità garante per la concorrenza nei mercati interviene per tutelare

l‟interesse de più debole, il consumatore.

16.11.2006

Le amministrazioni indipendenti non esercitano soltanto un potere esecutivo, ma svolgono anche un ruolo normativo

(in particolar modi per quanto riguarda regolamenti) e compiti anche giurisdizionali: è possibile presentare ricorso,

infatti, contro comportamenti ritenuti lesivi delle regole del mercato.

Gli organi ausiliari dello Stato

Appartengono anch‟essi all‟amministrazione pubblica, ma sono distinti dalla sfera delle amministrazioni centrali dello

Stato. Sono previsti dalla Costituzione e come le amministrazioni indipendenti non svolgono un ruolo di

amministrazione attiva (vedi i Ministeri), bensì rivestono compiti di consulenza o di controllo.

Gli organi ausiliari dello Stato sono essenzialmente 3:

1. il Consiglio di Stato;

2. la Corte dei Conti;

3. il CNEL.

La Corte dei Conti. È un organo che ha funzioni di controllo, giurisdizionali e consultive. Per quanto riguarda le

prime, esse sono di tipo preventivo (atti del Governo e delle regioni a statuto speciale) o successivo (rendiconto

annuale dello Stato, aziende pubbliche…) sulla legittimità contabile dell‟attività di gestione della pubblica

amministrazione. Per quanto concerne invece le funzioni giurisdizionali, la Corte dei Conti viene chiamata a giudicare

in materia di responsabilità amministrativo – contabile dei dipendenti pubblici e in materia di pensioni. Ad esempio se

un dipendente pubblico, cui, in ragione delle sue funzioni, viene affidato del denaro e lo perde per incuria, provoca un

danno erariale e l‟amministrazione può rivolgersi alla Corte dei Conti.

Il Consiglio di Stato. È l‟organo ausiliario più importante. Esercita funzioni consultive e giurisdizionali. Adotta infatti

pareri tecnico – giuridici che gli vengono richiesti dalla pubblica amministrazione o dal Governo (si pensi proprio ai

regolamenti del Governo). Esso è inoltre un giudice amministrativo, cioè può essere chiamato a valutare la legittimità

degli atti della pubblica amministrazione. Dal 1971 è il giudice di secondo grado. Questo significa che in caso di

ricorso contro la pubblica amministrazione non ci si rivolge inizialmente al Consiglio di Stato, ma al TAR il quale

appunto opera come giudice di primo grado ed adotterà quindi una prima sentenza. Al Consiglio di Stato ci si rivolge

in appello per contestare le decisioni del TAR. In virtù di questa posizione il Consiglio di Stato è da considerarsi il

giudice più importante ed infatti il TAR si rifà spesso alle conclusioni di questo per evitare ricorsi (che quindi

diventano giurisprudenza).

Gli enti pubblici statali

Svolgono un ruolo di amministrazione attiva. Presentano caratteristiche di autonomia o di strumentalità, cioè possono

presentare una propria autonomia e quindi un proprio Statuto oppure essere solo dei meri apparati di servizio di altre

amministrazioni.

Esiste una tipologia eterogenea di enti pubblici statali, così riassumibile:

o università e scuole: sono riconosciuti come enti autonomi soltanto dal 1989 le prime e dal 1997 le seconde; prima

erano considerati come organi periferici del Ministero della Pubblica Istruzione;

o enti previdenziali: quali l‟INPS, l‟INAIL…;

o enti funzionali: tra questi le Camere di Commercio;

o enti pubblici economici: sono delle vere e proprie imprese che a differenza di quelle private hanno personalità

giuridica di diritto pubblico e non sono interamente nel mercato. I loro fondi, infatti, vanno sempre a ricadere sul

bilancio dello Stato sia in caso di guadagno che di perdita. Se nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale

erano state delle figure importantissime (quasi strategiche per lo sviluppo economico del nostro Paese, basti

ricordare l‟ENI per quanto riguarda il settore energetico), a partire dagli anni ‟90 si sta assistendo ad un sempre

più frequente fenomeno di loro privatizzazione: da enti pubblici economici vengono trasformati in Società per

Azioni. Si può citare in questo contesto la Telecom, in cui la privatizzazione è totale (la società è totalmente

privata), mentre per altri enti (quali l‟ENEL) la privatizzazione è ancora soltanto formale, in quanto il controllo è

ancora statale. Il legislatore comunitario, tuttavia, spinge verso una privatizzazione anche sostanziale degli enti;

o enti di tipo associativo: il CONI e le varie federazioni sportive che ad esso fanno capo, il CAI, gli ordini

professionali (l‟ordine degli avvocati, dei commercialisti…), l‟ACI ed inoltre tutta una serie di enti che presentano

però un‟utilita al giorno d‟oggi piuttosto limitata come ad esempio l‟Associazione Combattenti e Reduci. Tuttavia

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questi stanno venendo progressivamente eliminati tramite specifiche leggi perché non gravino ormai quasi

inutilmente sul bilancio statale;

o altri enti particolari, quali l‟ISTAT, la SIAE…

Gli enti territoriali autonomi

Fanno parte dell‟amministrazione della Repubblica italiana, ma non dell‟amministrazione statale. Come ben si ricorda

infatti, l‟amministrazione è pluricentrica.

Gli enti territoriali autonomi hanno tra le componenti fondamentali il territorio, a differenza degli enti precedenti che

non sono affatto collegati ad esso. Le competenze dell‟Università di Trento infatti riguardano l‟istruzione, non il

territorio trentino. Al contrario il Comune di Trento è un ente territoriale, in quanto la sua dimensione è la dimensione

geografica del Comune di Trento. Quindi quali sono gli enti territoriali autonomi?

o lo Stato, con la caratteristica peculiare della sovranità;

o le amministrazioni regionali, tra le quali vanno comprese le Province Autonome di Trento e Bolzano, le quali

sono dotate di sfera di competenza tipica delle Regioni a Statuto Speciale;

o i Comuni. La loro autonomia è riconosciuta dalla Costituzione e dalla legge ed è ovviamente limitata dai confini

geografici. Sono cioè enti esponenziali della comunità di riferimento. Sono molto diversi tra loro (è innegabile che

tra il Comune di Roma e quello di Stravino intercorra una differenza abissale per dimensioni, strutture, problemi

specifici…) pur presentando le medesime competenze. Per i Comuni di piccole dimensioni l‟autonomia non

sempre si presenta funzionale e per questo la legge prevede che i Comuni possano associarsi per svolgere

determinati servizi;

o gli organi di raccordo tra Stato e Regioni: per esempio la Conferenza Stato – Regioni;

o le amministrazioni degli enti territoriali intermedi, quali i Comprensori e in prospettiva le Comunità di valle,

enti intermedi tra Comuni e Province;

o le amministrazioni provinciali: escluse naturalmente le Province di Trento e Bolzano. Pur presentando

specifiche autonomie non sono dotate di potestà legislativa.

Tutte queste amministrazioni operano sullo stesso territorio e sui medesimi cittadini. In altre parole un cittadino

residente nel Comune di Trento è amministrato contemporaneamente dal Comune e dalla Provincia, dal Comprensorio

(C5), dalla Regione, dallo Stato, per cui è davvero importante che le diverse amministrazioni operino per trovare delle

modalità di raccordo tra di loro per soddisfare coerentemente l‟interesse generale.

L’attività amministrativa

Le nozioni fondamentali in merito sono essenzialmente due:

procedimento amministrativo;

atto o provvedimento amministrativo.

Il procedimento amministrativo

La nozione di procedimento amministrativo fa riferimento in termini generali all‟attività dell‟amministrazione nel suo

svolgersi. Questa definizione però indica concretamente due fenomeni distinti che sono presenti quando

l‟amministrazione agisce e precisamente:

A) Il procedimento amministrativo in senso formale strutturale

Il procedimento amministrativo viene individuato come quella serie di atti od operazioni posti in essere da uno o

più diversi agenti tendenti alla produzione di un unico effetto giuridico e generalmente culminanti in un atto

amministrativo o provvedimento.

Perché questa nozione è importante? Perché essa è stata elaborata essenzialmente per garantire la tutela del

destinatario dell‟atto amministrativo. Ad esempio chi si vede negare illegittimamente una concessione edilizia

(tramite provvedimento di diniego) può tutelarsi nei confronti dell‟amministrazione e può impugnare l‟atto

davanti al TAR chiedendo che esso venga annullato. Può però succedere che il provvedimento di diniego che

viene rilasciato in virtù di documentazioni o pareri prodotti e sia legittimo, mentre non lo sia uno dei pareri (ad

esempio un nulla – osta paesaggistico contrario per errore). In questo caso il vizio di legittimità si riscontra non

nell‟atto finale, bensì appunto nel parere. La nozione di procedimento amministrativo serve proprio a risolvere

questo problema, creando una connessione fra gli atti coordinandoli tra di loro. Sulla base di questo il

provvedimento è impugnabile anche se è illegittimo un atto intermedio. Questa connessione costituisce un punto

molto importante, cui fa riferimento la giurisprudenza. Tuttavia questa definizione considera il procedimento

amministrativo come una serie di atti, e questo porta ad una visione troppo formalistica dello svolgimento

del‟attività della pubblica amministrazione.

B) Il procedimento amministrativo in senso sostanziale - funzionale

Nel procedimento amministrativo l‟amministrazione è chiamata a valutare e comporre tra loro una serie di

interessi, che vanno poi ponderati. In questo caso il procedimento amministrativo è definito come la sede

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giuridica più idonea a introdurre, confrontare, comparare e ponderare fra loro i diversi interessi pubblici e

privati rilevanti per la fattispecie concreta.

In una società democratica, infatti, esiste un pluralismo di interessi ugualmente rilevanti che l‟amministrazione è

tenuta a considerare nel momento in cui si trova a decidere. Può trattarsi di un confronto tra interessi pubblici e

privati, ma anche solo tra interessi pubblici, ad esempio quando amministrazioni pubbliche operano per dotare il

Paese di infrastrutture per lo sviluppo economico. Si pensi a tal proposito alla realizzazione della rete ad alta

velocità ferroviaria. Può accadere che l‟adozione di un determinato atto amministrativo (ad esempio

l‟autorizzazione al potenziamento della rete ferroviaria) può porre in contrasto tra loro interessi pubblici diversi:

l‟interesse dell‟amministrazione preposta alla tutela ambientale, delle amministrazioni comunali e

dell‟amministrazione competente per la costruzione delle infrastrutture. In Val di Susa (per citare un esempio

concreto) i Sindaci partecipavano alle manifestazioni con la fascia tricolore ad indicare che erano presenti non

come privati cittadini, ma come rappresentanti di una comunità e quindi esponenti di un interesse pubblico in

contrasto con un altro interesse pubblico. Il procedimento amministrativo è proprio la sede di confronto fra gli

interessi tant‟è vero che è prevista la partecipazione al procedimento amministrativo stesso per riuscire a giungere

a decisioni che tengano conto del maggior numero possibile di interessi.

Per cui è vero che il procedimento amministrativo è costituito da una serie di atti, ma è necessario tener presente

che tali atti introducono nel procedimento degli interessi rilevanti.

Nel procedimento amministrativo in senso sostanziale perciò si esplica la discrezionalità amministrativa che va

intesa come la possibilità dell‟amministrazione di compiere una scelta tra le diverse soluzioni ammesse dalla legge

e di ponderare quindi fra di loro i diversi interessi rilevanti.

Il procedimento amministrativo dal punto di vista formale si articola in diverse fasi:

1) preparatoria, nell‟arco della quale si distinguono ancora:

o la fase di iniziativa;

o la fase istruttoria;

È la fase più importante, perché vengono introdotti gli interessi rilevanti e svolto un confronto tra essi. È durante

questa fase che avvengono gli accadimenti più importanti;

2) costitutiva, in cui viene concretamente adottato il procedimento amministrativo;

3) integrativa dell’efficacia, in cui l‟atto acquista effetti giuridici ( diventa efficace) se non è già avvenuto nella

fase precedente.

In ragione di queste fasi vengono adottati atti, ma non solo: attraverso questi atti vengono introdotti, confrontati e

selezionati interessi rilevanti.

La fase preparatoria. Come già accennato si compone di due momenti importanti: quello di iniziativa e quello di

istruttoria. Durante la fase di iniziativa viene dato avvio al procedimento amministrativo. Questo può accadere o da

parte dello stesso ufficio che è competente ad adottare l‟atto (e in questo caso si parla di iniziativa d’ufficio) oppure da

un cittadino che chiede un determinato intervento da parte dell‟amministrazione (iniziativa di parte) o da un‟altra

pubblica amministrazione (iniziativa su proposta di altra amministrazione o ad istanza pubblica).

L‟iniziativa di ufficio può essere efficacemente illustrata dal seguente esempio: viene riscontrata una discarica di

materiali inerti. La polizia municipale decide di propria iniziativa di svolgere delle ispezioni su quel terreno. La

seconda ipotesi avviene molto più frequentemente: il proprietario di un terreno che richiede al Comune la concessione

edilizia, un disoccupato che si iscrive ad un concorso, un artigiano che presenta domanda di contributo per la propria

attività, lo studente che richiede la tessera mensa… La pubblica amministrazione inizia ad operare quando il cittadino

presenta istanza.

La fase istruttoria è la più complessa ed importante di tutto il procedimento amministrativo. Al contrario del

procedimento legislativo in questo caso non esiste una tipizzazione specifica, nel senso che le modalità di svolgimento

del procedimento istruttorio sono molteplici. Si fa riferimento alla legge 241 del 7.08.1990 (la legge generale sul

procedimento amministrativo che prevede alcuni passaggi fondamentali dell‟istruttoria procedimentale), ma accanto

ad essa si trovano modelli diversi di istruttoria procedimentale disciplinati dalle leggi che regolano l‟attività della

pubblica amministrazione. Dei passaggi fondamentali previsti dalla legge 241/90 vanno essenzialmente ricordati: la

necessità di individuare per ogni procedimento un unico responsabile, la necessità di effettuare una comunicazione di

avvio del procedimento nei confronti dei soggetti destinatari dell‟attività amministrativa, la necessità di introdurre,

laddove possibile, una serie di strumenti di semplificazione dell‟istruttoria. Inoltre, nell‟ambito del procedimento, è

prevista la partecipazione all‟attività amministrativa da parte dei cittadini presentando memorie scritte o documenti o

attraverso l‟accesso agli atti.

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La fase costitutiva (di decisione). Viene concluso il procedimento. L‟atto tipico è il provvedimento amministrativo

anche se la legge 241/90 ammette la possibilità di chiudere il procedimento non attraverso un atto bilaterale, bensì

attraverso un accordo consensuale fra amministrazione e privato.

La fase integrativa dell’efficacia. È una fase soltanto eventuale. Si consideri ancora una volta l‟esempio della

contravvenzione. Quando la polizia stradale eleva una multa, il provvedimento viene adottato, ma non è ancora

efficace. Esiste cioè un verbale, esiste una sanzione, il fenomeno è rilevante, è perfetto, ma non produce ancora effetti.

Perché questo avvenga è necessario che si svolga la fase integrativa dell‟efficacia, cioè che la sanzione venga

notificata all‟indirizzo del destinatario e firmata da questi per ricevuta.

Trattando del procedimento in senso sostanziale funzionale si è introdotto il concetto di discrezionalità amministrativa,

che è un margine di scelta notevolmente differente rispetto all‟autonomia di cui godono i privati nell‟adottare le

decisioni. Il punto fondamentale di questa differenza consiste nel fatto che l‟autonomia dei privati consente di operare

delle scelte che sono libere nel fine (anche le più banali: acquistare un televisore, sposarsi…) purché lecite ricorrendo

agli strumenti giuridici che essi ritengono più opportuni. Persegue cioè un interesse privato. La pubblica

amministrazione di converso agisce nelle sue decisioni per la cura concreta di interessi generali. Non è sufficiente che

il fine perseguito sia lecito, ma dev‟essere anche previsto dalla legge. Per cui la discrezionalità amministrativa è un

margine di scelta che però è vincolato nel fine da perseguire, mentre l‟autonomia privata si estende fino a tale fine. Se

un datore di lavoro privato decide di assumere una persona è libero di regolarsi come meglio ritiene, fatti salvi

ovviamente gli obblighi di legge (ma potrebbe assumere il primo individuo che incontra per strada). La pubblica

amministrazione invece assume in senso strumentale al perseguimento dell‟interesse generale, perché non è solo

interesse dell‟amministrazione stessa che a ricoprire un posto sia una persona capace, ma anche dell‟intera collettività

e quindi il suo agire è vincolato da leggi e regolamenti. La stessa Costituzione, a tal proposito, prevede che

l‟assunzione avvenga per pubblico concorso (salvo i casi previsti dalla legge). Oppure ancora: se il privato decide di

comprare qualcosa è sufficiente che entri in un negozio; la pubblica amministrazione al contrario è tenuta ad indire

una gara d‟appalto.

L’atto (provvedimento) amministrativo

Che cos‟è l‟atto amministrativo?

È la dichiarazione di volontà, di conoscenza e di giudizio adottata da una pubblica amministrazione nell’esercizio di

una potestà amministrativa.

All‟interno della categoria generale dell‟atto amministrativo si distingue tra provvedimenti amministrativi e i meri atti.

I primi sono dotati di autoritarietà e regolano in modo unilaterale i rapporti giuridici, mentre i secondi sono semplici

atti interni al procedimento o atti di conoscenza (ad esempio un certificato).

Quali sono gli aspetti fondamentali perché si possa parlare di atto amministrativo? Sono espressamente contenuti nella

definizione precedente: occorre l‟esistenza di una dichiarazione (di volontà, di conoscenza o di giudizio) che provenga

da un soggetto della pubblica amministrazione e che venga adottato nell‟esercizio di una potestà amministrativa.

Analizziamo la definizione nei singoli punti:

dichiarazione di volontà, di conoscenza, di giudizio: l‟amministrazione deve esprimersi o indicando una volontà

specifica (es.: concessione), o operando una dichiarazione di conoscenza (il caso tipico è il certificato: il

certificato di nascita non è una dichiarazione di volontà che si è nati in quella data, bensì di conoscenza da parte

dell‟amministrazione della data di nascita dell‟individuo) oppure ancora attraverso una dichiarazione di giudizio (i

pareri che possono essere facoltativi, obbligatori o vincolanti);

adozione da parte di un soggetto attivo della pubblica amministrazione: gli atti dei privati adottati all‟interno del

procedimento non sono da considerarsi atti amministrativi;

l’atto deve essere adottato nell’esercizio di una potestà amministrativa, cioè l‟amministrazione deve agire come

un soggetto particolare, non qualunque.

All‟interno degli atti amministrativi si ricava una particolare tipologia costituita dai provvedimenti amministrativi.

Essi sono dichiarazioni di volontà attraverso i quali l‟amministrazione modifica in modo unilaterale le sfera giuridica

del destinatario. In questo si differenziano da quanto avviene tra privati ad esempio coi contratti. Si ipotizzi come

esempio chiarificatore l‟esborso di una somma di denaro in due casi concreti. In primo luogo a seguito

dell‟irrogazione di una sanzione amministrativa per esser circolati con veicolo Euro 0 nei giorni di divieto. L‟esborso

è una conseguenza di un provvedimento amministrativo (la multa) cioè un atto giuridico dal quale discende l‟obbligo a

pagare una somma di denaro in modo unilaterale (ossia SENZA l‟incontro della volontà delle parti). Ora si immagini

che lo stesso esborso avvenga per comperare un lettore MP3. Da un punto di vista giuridico l‟acquirente deve versare

la somma di denaro per poter entrare in possesso del lettore. In quel caso però l‟obbligo non gli deriva

dall‟imposizione del negoziante (la controparte) che lo vede sostare davanti alla vetrina e lo costringe all‟acquisto, ma

sorge dall‟incontro tra la volontà delle due parti all‟acquisto e alla vendita. In questo caso, quindi, l‟effetto giuridico si

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manifesta quando le due volontà si incontrano. Teoricamente posso anche prendere il lettore e arrivato alla cassa

ripensarci e riporlo nuovamente sullo scaffale. Questo non avviene con la multa, dove l‟esborso avviene

obbligatoriamente a prescindere dalla volontà dell‟automobilista. Nella prima ipotesi inoltre avviene il perseguimento

dell‟interesse generale (la salubrità dell‟aria), nella seconda i fini sono privati (ascoltare musica – vendere un

prodotto).

Caratteristiche del provvedimento amministrativo. Il provvedimento amministrativo si caratterizza per il fatto di

essere autoritativo, imperativo, cioè introduce i propri effetti in maniera unilaterale, a prescindere dalla volontà del

destinatario. Per bilanciare questo carattere l‟ordinamento prevede che l‟atto amministrativo sia anche nominato e

tipico. La nominatività implica che il provvedimento amministrativo debba sempre essere previsto da una norma di

legge (sanzioni, autorizzazioni, sovvenzioni…). La tipicità invece si esplica nel produrre soltanto gli effetti consentiti

loro ( tipizzati) dalla legge. Si consideri il caso di una concessione d‟uso di suolo pubblico riguardante ad esempio la

spiaggia. Lo stabilimento balneare dove ci si reca è un‟attività di impresa svolta da un determinato soggetto che

utilizza in parte beni propri (sdraio, ombrelloni, bibite…), ma anche beni pubblici (la spiaggia appunto, bene

demaniale). Il bagnino la può utilizzare in seguito al rilascio di uno specifico provvedimento amministrativo: la

concessione d‟uso di un bene pubblico. Tale concessione, in quanto provvedimento amministrativo, prevede degli

aspetti che sono tipici. Si supponga che l‟amministrazione oltre al rilascio della concessione voglia ottenere dal privato

degli interventi migliorativi (ad esempio che si accolli le spese per la demolizione di un manufatto in rovina esistente

sul terreno e della messa in pristino della spiaggia). Naturalmente essa può accordarsi con il privato per raggiungere

questo effetto, ma non può farlo tramite la concessione, è necessario che venga stipulato un accordo integrativo

proprio perché la concessione è un atto tipico. In tal modo si tutela il destinatario del provvedimento dal rischio che

l‟amministrazione operi al di fuori della legge. Per cui nominatività e tipicità sorgono a garanzia del cittadino.

Vizi di legittimità. Può accadere che il provvedimento adottato dalla pubblica amministrazione non sia conforme alla

legge che lo disciplina e quindi non rispetti le condizioni di tutela del cittadino. Di che tipo possono essere i vizi di

legittimità?

incompetenza: il provvedimento viene adottato da un soggetto non competente a farlo. Può essere assoluta o

relativa. La prima si determina quando chi adotta il provvedimento manca del tutto del potere di adottarlo, ad

esempio una multa per divieto di sosta comminata dagli uscieri dell‟università. L‟atto è nullo (l‟università non ha

la facoltà di erogare multe). Si immagini ora che la Giunta Comunale adotti un‟ordinanza di competenza del

Sindaco. Anche in questo caso vi è incompetenza, ma relativa, perché il potere di adottare un‟ordinanza spetta al

Comune, ma nella fattispecie non a quell‟organo. In questo caso l‟atto è illegittimo, ma non è più nullo, bensì

annullabile: cioè è invalido solo se qualcuno lo contesta entro 60 giorni altrimenti rimane valido;

violazione di legge: qualsiasi scostamento dell‟amministrazione dallo schema che la legge prevede per l‟esercizio

del potere legislativo;

eccesso di potere. Viene rilevato secondo due importanti tipologie: lo sviamento e le figure sintomatiche. Si parla

di eccesso di potere per sviamento quando l‟amministrazione pubblica adotta un provvedimento di sua

competenza, ma con scopi diversi da quelli previsti dall‟ordinamento. Ad esempio se la legge attribuisce

all‟amministrazione il potere di trasferire un dipendente per raggiungere delle finalità connesse alla corretta

distribuzione dei carichi di lavoro, il trasferimento non può avvenire per punire un dipendente indisciplinato

(andrebbe adottato il provvedimento disciplinare che però è molto più gravoso). Le figure sintomatiche invece

prevedono che determinati difetti del provvedimento vengano letti come “sintomi” della presenza di eccesso di

potere: motivazioni insufficienti delle proprie decisioni (difetto di motivazione), adozione di due provvedimenti

contraddittori fra di loro (da un lato l‟amministrazione attesta che l‟organico è completo e tre giorni dopo bandisce

un concorso per un posto nella medesima amministrazione).

Che cosa accade qualora sorga il dubbio circa l‟esistenza di un vizio di legittimità? In altre parole di quale tutela

dispone il cittadino contro degli atti illegittimi? L‟ordinamento prevede essenzialmente tre possibilità:

o l‟autotutela: la pubblica amministrazione si rende conto di aver adottato un atto illegittimo e vi pone rimedio da

sola o sanandolo tramite ratifica (ad esempio nel caso visto in precedenza dell‟ordinanza adottata dalla Giunta il

Comune provvede con una ratifica del Sindaco), convalida (viene aggiunto un elemento fondamentale mancante)

o conversione (si rilascia un‟autorizzazione anziché una concessione) oppure annullandolo d‟ufficio (se

impossibilitata a rimediare: rilascio di una concessione edilizia su un terreno non edificabile). Nel caso della

sanatoria l‟atto illegittimo viene trasformato in un atto legittimo, valido, nel caso dell‟annullamento l‟atto perde

efficacia ex tunc;

o il ricorso amministrativo: ci si rivolge ad un altro organo della pubblica amministrazione che detiene il potere di

annullare l‟atto ritenuto illegittimo o alla stessa amministrazione che ha adottato l‟atto. In particolare si

individuano:

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il ricorso in opposizione: si ricorre contro lo stesso Ufficio che ha adottato l‟atto;

il ricorso gerarchico: si ricorre presso un organo superiore rispetto a quello che ha adottato il provvedimento

(ricorso ad un Ministro contro un atto adottato da un Dirigente del Ministero). Se l‟organo superiore non

esiste, ad esempio nel caso di un organo collegiale il ricorso è effettuato presso un altro organo collegiale

previsto dalle leggi che riguardano le singole amministrazioni. In questo caso si parla di ricorso gerarchico

improprio;

il ricorso straordinario al Capo dello Stato: è un particolare tipo di ricorso gerarchico rivolto solo

formalmente al Presidente della Repubblica il quale non decide esplicitamente. Chi di fatto decide è il

Consiglio di Stato che esprime un parere vincolante;

o i ricorsi giurisdizionali: ricorsi contro gli atti della pubblica amministrazione che possono essere rivolti:

al giudice ordinario, che disapplica l‟atto;

al giudice amministrativo: rivolto cioè ad un giudice speciale, il TAR in primo grado, il Consiglio di Stato in

secondo grado per chiedere l‟annullamento dell‟atto.

Principi in tema di attività amministrativa.

L’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA

Fra i fini che lo Stato sociale si pone troviamo il buon andamento e l‟efficienza degli apparati pubblici, intesa come

rapporto fra risultati conseguiti e risorse impiegate, mentre per efficacia si intende il rapporto fra risultati conseguiti e

obiettivi prestabiliti.

Attività amministrativa e principio di legalità

Nel nostro sistema costituzionale, l'attività degli organi amministrativi appare sottoposta sotto molteplici aspetti alla

legge e può essere descritta come l'attività volta a conseguire i fini determinati dalle prescrizioni costituzionali e

legislative, tant'è che la pubblica amministrazione può fare solo ciò che la legge le prescrive o le permette di fare.

Risulta diverso affermare che la legge debba limitarsi a prevedere che l'amministrazione provveda in un determinato

ambito (legalità in senso formale) o che, invece, essa debba anche determinare quanto meno le linee fondamentali

entro cui l'amministrazione pubblica deve operare (legalità in senso sostanziale). La nostra costituzione prevede

l'ipotesi di riserve di legge, che equivalgono alla prescrizione che la disciplina di quelle determinate materie possa

essere posta solo dal legislatore o integralmente o, almeno, nelle sue linee generali. Gli atti amministrativi sono

attribuiti alla competenza degli organi politici di vertice dei diversi sistemi amministrativi, a conferma della rilevanza

della natura largamente discrezionale delle scelte che vengono in tal modo operate in attuazione, ma spesso anche a

integrazione, più o meno accentuata, delle scelte operate dal legislatore.

Gli atti della pubblica amministrazione

L'attuazione della legge in via amministrativa consiste in attività o in atti fisici, i quali o costituiscono atti materiali

della pubblica amministrazione o, più comunemente, atti formali posti in essere dalla pubblica amministrazione. Fra le

tante distinzioni possibili degli atti amministrativi troviamo gli atti unilaterali di tipo autoritativo (posti in essere solo

da gli organi della pubblica amministrazione), quelli privi di una particolare efficacia giuridica e quelli di diritto

comune. Nell'ambito dei servizi pubblici, buona parte delle attività poste in essere dalla pubblica amministrazione

consistono in attività di servizio verso gli utenti e in comportamenti del tutto omogenei a quelli prestati da un qualsiasi

soggetto che svolga attività analoga e quindi non sono certo disciplinati legislativamente mediante una rigorosa

tipizzazione dei singoli atti.

La discrezionalità amministrativa

L'autorità amministrativa deve concretizzare la volontà legislativa, che rappresenta la sua fonte di legittimazione, e

deve quindi attuare il fine indicato dalla legge (quindi per definizione fine pubblico), nel contesto reale nel quale è

chiamata operare e nella considerazione di tutti gli interessi, in quel contesto, giuridicamente rilevanti. Di norma,

all'amministrazione spetta determinare se e quando adottare l'atto, attraverso quali modalità, con quali eventuali

contenuti più specifici. La discrezionalità amministrativa è pressoché inesistente nei cosiddetti atti vincolati ma può

essere massima negli atti della cosiddetta alta amministrazione. L'organo amministrativo deve quindi operare per il

perseguimento del fine legislativo (il cosiddetto interesse pubblico primario), ma nel contesto reale in cui occorre

operare e rispetto al quale deve ricercare, e correttamente valutare, anche nei cosiddetti interessi pubblici secondari,

nonché gli stessi interessi privati legittimamente considerabili.

I procedimenti amministrativi

Lo studio dei procedimenti amministrativi mira a evidenziare i rapporti intercorrenti fra i diversi atti degli organi degli

uffici pubblici al fine di svolgere l'attività amministrativa necessaria per produrre gli effetti giuridici voluti. L'atto

della pubblica amministrazione è il prodotto di un'organizzazione e pertanto, in genere, rappresenta una fase

intermedia o finale di un procedimento, in parte originato dalla competenza specifica dei diversi uffici e organi che vi

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intervengono e dovrà essere il prodotto di un giusto procedimento. In ogni procedimento si usano distinguere tre fasi

principali, ovvero la preparatoria (per fornire gli elementi necessari per la decisione a partire dall'atto di iniziativa), la

costitutiva (così importante fase deliberativa che può essere semplice o complessa in base all'organo che si occupa di

compierla) e l'integrativa dell'efficacia dell'atto deliberato (il modo in cui gli atti producono effetti giuridici). Al

termine delle varie fasi del procedimento, si ha quindi un atto non solo perfetto, ma anche efficace. La validità dell'atto

dipende dalla sua conformità alle diverse prescrizioni normative.

GLI ATTI AMMINISTRATIVI

Atti e provvedimenti amministrativi

Fra gli atti amministrativi si opera una distinzione fra i meri atti amministrativi o atti amministrativi in senso stretto e i

provvedimenti amministrativi: solo questi ultimi rappresentano infatti la manifestazione di volontà di una pubblica

amministrazione diretta a soddisfare un interesse pubblico primario e pertanto sono assistiti dalla capacità di incidere,

in modo unilaterale, sulle posizioni giuridiche coinvolte. Nel linguaggio giuridico corrente, si usa l'espressione atti

amministrativi in un'accezione generica, riferendosi quindi anche ai provvedimenti amministrativi.

Particolare efficacia dei provvedimenti amministrativi

I provvedimenti godono di esecutività e cioè dell'idoneità di poter immediatamente giungere alla fase della loro

esecuzione, ove necessaria, consistente nella capacità di produrre i loro effetti sui destinatari, senza necessità di alcun

intervento dell'autorità giudiziaria che ne confermi la legittimità. L‟esecutorietà riguarda la fase dell'esecuzione

forzata della pretesa dell'amministrazione, contro la volontà del soggetto coinvolto, senza che ciò dipenda

dall'intervento, come del diritto privato, di un apposito giudice preposto all'esecuzione. Con l'inoppugnabilità ci si

riferisce al fatto che numerose disposizioni di legge restringono i termini entro i quali provvedimenti amministrativi

possono essere impugnati dinanzi agli organi della giustizia amministrativa.

Elementi degli atti amministrativi

Il soggetto del provvedimento corrisponde all'organo titolare del potere amministrativo che viene esercitato ed è

individuato dalla legge; le competenze fra i vari organi dell'apparato amministrativo vengono individuate per materia,

per territorio o per grado. Per oggetto del provvedimento può intendersi la persona, la cosa o la situazione giuridica su

cui si producono gli effetti dell'atto: è necessario che l'oggetto sia determinabile e idoneo a subire gli effetti del

provvedimento. Con causa giuridica del provvedimento ci si riferisce all'interesse pubblico primario che la legge ha

voluto tutelare ed è accompagnata da un'apposita motivazione, nella quale si indicano le ragioni che hanno portato

all'adozione del provvedimento.

Alcune innovazioni introdotte dalla legge 241/1990 sulle modalità di esercizio dell’attività amministrativa

L'articolo 2 della suddetta legge stabilisce che, ove il procedimento debba essere iniziato d'ufficio o su istanza di parte,

esso deve essere concluso entro i termini fissati per legge, per regolamento o per un apposito atto dell'amministrazione

interessata, altrimenti la legge fissa il breve termine di trenta giorni. Nella stessa direzione vanno tutte quelle

numerose disposizioni che impongono larghe forme di pubblicità riguardo il termine entro il quale il procedimento

deve terminare e la persona fisica responsabile. L'articolo 7, in tema di potere di intervento del procedimento, equipara

ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinata a produrre effetti diretti e a quelli che per legge

posso intervenirvi anche i soggetti individuabili a cui possa derivare un pregiudizio da provvedimenti in formazione.

In ogni amministrazione viene individuato un'unità organizzativa responsabile del procedimento.

Alcuni tipi di provvedimenti amministrativi

Una delle distinzioni più comuni operate tra le diverse categorie di provvedimenti attiene al loro contenuto, vi possono

essere provvedimenti ampliativi o provvedimenti restrittivi. Fra i primi abbiamo, le autorizzazioni (o abilitazioni,

licenze, permessi) corrispondono alla rimozione di un ostacolo da parte della pubblica amministrazione all'esercizio di

un diritto o di un potere di cui sono titolari un soggetto privato o un ente o un organo tecnico; le concessioni

consistono in provvedimenti mediante i quali la pubblica amministrazione attribuisce ad altri l'esercizio di un suo

diritto o potere (concessione traslativa) o una situazione giuridica positiva appositamente creata (concessione

costitutiva). Simili alle concessioni sono le sovvenzioni consistenti nell'attribuzione di contributi in denaro o in beni; le

rinunce (dette anche esenzioni, esoneri, deroghe) consistono in provvedimenti mediante i quali la pubblica

amministrazione rinuncia ad una sua precedente pretesa. Le ammissioni consistono in provvedimenti amministrativi

che permettono a soggetti in possesso di determinati requisiti, di accedere ad un certo status, di utilizzare un servizio

pubblico, di esercitare determinate attività lavorative. Fra i provvedimenti restrittivi abbiamo, le revoche consistono

semplicemente in provvedimenti che fanno venir meno i provvedimenti precedentemente adottati; gli ordini e i divieti

valgono a specificare prescrizioni genericamente contenute nella legge e comportano, a carico dei trasgressori,

possibili conseguenze di ordine disciplinare, amministrativo o penale; le requisizioni riguardano beni mobili o

immobili che possono essere prese in uso dalla pubblica amministrazione; l'espropriazione per pubblica utilità

riguarda il trasferimento coattivo alla pubblica amministrazione della proprietà di beni immobili in cambio del

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pagamento a colui che era il proprietario di un indennizzo. Le occupazioni di beni immobili si distinguono in quelle

finalizzate ad un uso temporaneo e quelle finalizzate all'esecuzione di opere pubbliche in situazioni di assoluta

distanza.

Atti normativi, di direzione, di indirizzo, di coordinamento, di programmazione

È antica prerogativa dei vertici delle diverse amministrazioni quella di essere titolari di un potere normativo di tipo

secondario. Il potere direttivo tende sempre più ad esprimersi attraverso atti dotati di relativa generalità, che dovranno

essere rispettati dagli uffici e dagli organi pubblici, proprio sulla base del tipo di rapporto gerarchico esistente e dello

stesso contenuto di questi atti. Fra le direttive (o atti di indirizzo) occorre distinguere quelle interorganiche da quelle

intersoggettive, a seconda che si riferiscono o meno solo ad organi appartenenti all'amministrazione dal cui vertice

viene adottata la direttiva. Per le direttive intersoggettive, occorre distinguere fra quella relativa gli enti pubblici

strumentali, che tendono ad essere assimilato a quelle interorganiche e quelle relative ai rapporti fra enti dotati di

reciproca autonomia, poiché in questo settore appare decisivo il rapporto deducibile dal sistema costituzionale per

legittimare il tipo di vincolo che questi atti possono avere. I programmi o i piani corrispondono ad un'esigenza molto

avvertita dall'amministrazione pubblica contemporanea di ricercare momenti di prederminazione delle linee generali

dell'azione amministrativa in interi settori. Le istruzioni, o circolari, o normali, corrispondono alla trasmissione di

istruzioni e/o direttive agli uffici ed agli organi, al fine di assicurare l'omogenea applicazione delle diverse

disposizioni.

Cause di invalidità dei provvedimenti amministrativi

Le particolari caratteristiche di provvedimenti amministrativi sono alla base anche delle loro possibili cause di

invalidità. La nullità o inesistenza del provvedimento amministrativo deriva dalla carenza delle condizioni minime

necessarie per poterlo ritenere esistente, si parla di mancanza assoluta di uno di elementi essenziali. I casi di mera

irregolarità attengono alla presenza di quelle anomalie del provvedimento che vengono ritenute sanabili. Per ciò che

riguarda i vizi di legittimità ci si continua a risalire alla tripartizione della incompetenza, dell'eccesso di potere e della

violazione di legge, con l'avvertenza che attraverso il sindacato su questi vizi, devono essere sanzionate tutte le cause

di possibile di legittimità dei provvedimenti amministrativi. Con il vizio dell'incompetenza, ci si riferisce alla classica

carenza del provvedimento sotto il profilo soggettivo. L'incompetenza assoluta porta alla nullità dell'atto, si ha non

solo quando l'organo amministrativo esercita un potere appartenente ad un'autorità non amministrativa, ma anche

quando esercita un potere di un organo appartenente ad un altro apparato amministrativo, mentre la incompetenza

relativa si verifica quando il potere esercitato appartiene ad altro organo del medesimo apparato amministrativo. Per

eccesso di potere si intende un vizio di sviamento di potere, che mira a colpire l'abuso sostanziale del potere di cui

dispone l'organo che adotta all'atto. Il vizio di violazione di legge svolge una funzione di tipo residuale rispetto agli

altri vizi di legittimità.

L’autotutela

L'autotutela costituisce un potere amministrativo della pubblica amministrazione, e mediante il quale essa può

eliminare o ridurre i conflitti, reali o potenziali, che possono sorgere in relazione ai suoi atti illegittimi od inopportuni,

provvedendo direttamente ad annullarli, sanarli o modificarli. La titolarità del potere è riconosciuta oltre che all'organo

che ha adottato l'atto, a quelli gerarchicamente superiori. L'istituto che mira a salvare, con efficacia ex tunc, una

deliberazione affetta da un vizio sanabile è la sanatoria: si parla di ratifica nel caso in cui l'organo competente faccia

propria una delibera affetta da incompetenza relativa; di convalida, nel caso in cui si completi un elemento

parzialmente mancante nella delibera; di conversione allorché si possa sostituire ad un provvedimento illegittimo un

altro, di cui sussistano tutti gli elementi necessari. L'annullamento d'ufficio consiste nell'eliminazione di un

provvedimento illegittimo; di questo potere di annullamento non è titolare solo l'organo che ha adottato l'atto e

l'autorità gerarchicamente superiore ma anche il Governo. La revoca, è invece, un istituto mediante il quale

l'amministrazione pubblica produce la cessazione del futuro degli effetti di un provvedimento amministrativo ad

efficacia continuativa, il quale, opportuno e legittimo al momento della sua adozione, sia successivamente divenuto

inopportuno o illegittimo a causa dei mutamenti intervenuti.

LE FORME DI TUTELA CONTRO L’ATTIVITA’ AMIMNISTRATIVA ILLEGITTIMA

I ricorsi amministrativi

Con i ricorsi amministrativi, i soggetti che si ritengono danneggiati da una deliberazione amministrativa chiedono che

l'amministrazione inizi un apposito procedimento per riesaminare la legittimità o l'opportunità di quella di liberazione.

Sulla base della disciplina attuale occorre distinguere i due ricorsi ordinari, consistenti nel ricorso gerarchico e nel

ricorso in opposizione, dal ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Il ricorso gerarchico ha carattere

generale mentre il ricorso in opposizione ha carattere speciale, essendo ammesso solo nei casi previsti dalla legge.

Comune ai due tipi di ricorso è il fatto di poter riguardare profili sia di legittimità che di merito, di essere facoltativi e

non preclusivi dei ricorsi giurisdizionali, di essere esperibili in termini brevi (di regola trenta giorni) dalla data della

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notificazione. Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è un rimedio amministrativo di carattere

generale, ma di sola legittimità esperibile solo nei riguardi dei provvedimenti definitivi; esso può essere proposto entro

centoventi giorni.

Il riparto della giurisdizione in materia amministrativa fra giudice ordinario e giudice amministrativo In ogni ordinamento giuridico nel quale esista un diritto speciale per l'amministrazione pubblica, sorge il problema di

come garantire un'efficace ed idoneo controllo di legittimità sugli atti amministrativi. Nel nostro sistema la cognizione

delle controversie in cui è parte la pubblica amministrazione è suddivisa fra la magistratura ordinaria, competente nei

casi in cui si lamenti la lesione dei diritti soggettivi, e la magistratura amministrativa, competente nei casi in cui si

lamenti la lesione "degli interessi legittimi". Il giudice amministrativo può annullare il provvedimento amministrativo,

mentre il giudice ordinario può solo disapplicarlo nel caso concreto sottoposto a suo giudizio. Discrimine

fondamentale nel riparto delle competenze giurisdizionale resta la distinzione fra diritto soggettivo ed interesse

legittimo. Per diritto soggettivo si intende una situazione soggettiva di vantaggio riconosciuta dal legislatore come

autonomamente degna di tutela nei riguardi sia dei privati che della pubblica amministrazione, mentre per interesse

legittimo si intende quella situazione soggettiva di vantaggio riconosciuta dal legislatore come intimamente connessa

ad una norma che garantisce in via primaria l'interesse generale. A colui che è leso nei suoi diritti soggettivi si

garantisce la reintegrazione nella situazione originaria o almeno, il risarcimento dei danni; a colui che è leso nei suoi

interessi legittimi si garantisce l'eliminazione dell'atto della pubblica amministrazione che ha operato la lesione. Al di

là degli interessi legittimi, rilevano le posizioni soggettive qualificate come interessi collettivi e interessi diffusi. Gli

interessi collettivi, ossia gli interessi propri degli appartenenti ad un gruppo delimitato vengono fatti valere solo

tramite i loro organismi esponenziali. Gli interessi diffusi ossia gli interessi dell'intera comunità hanno suscitato molti

problemi in sede giurisprudenziale.

Alcune caratteristiche del giudizio amministrativo Al momento attuale gli organi della giurisdizione amministrativa ordinaria (quelli speciali sono la Corte dei conti ed il

Tribunale superiore delle acque pubbliche) sono i Tribunali amministrativi regionali (TAR) ed il Consiglio di Stato in

sede giurisdizionale, che svolge le funzioni di giudice di appello. La fondamentale funzione giurisdizionale dei TAR e

del Consiglio di Stato è la giurisdizione generale di legittimità sugli atti amministrativi della pubblica

amministrazione, con il potere di annullarli ove venga accertata l'illegittimità. Solo nel caso che si constati il mancato

adempimento da parte dell'amministrazione, gli interessati possono ricorrere ai giudici amministrativi per ottenere,

tramite un nuovo giudizio (il cosiddetto giudizio di ottemperanza), "l'adempimento dell'obbligo dell'autorità

amministrativa di conformarsi al giudicato" sia della autorità giudiziaria ordinaria che del giudice amministrativo. Gli

stessi organi giurisdizionali dispongono della giurisdizione di merito e cioè del potere di sindacare non solo la

legittimità ma anche l'opportunità dei provvedimenti contro cui sia stato presentato un ricorso. Ben più importante è

l'attribuzione agli organi della giurisdizione amministrativa della cosiddetta giurisdizione esclusiva nelle materie

indicate dalla legge. Appare molto significativa la crescente utilizzazione della giurisdizione esclusiva cui si riferisce

l'art. 103.1 Cost.. nella giurisdizione amministrativa i ricorsi devono essere presentati entro i termini brevi: entro 60

giorni dalla notifica dell'atto, dalla sua piena conoscenza o dalla sua pubblicazione nell'albo. Al ricorso presentato per

l'annullamento di un provvedimento può accompagnarsi la richiesta in via di urgenza di una sospensione della sua

esecuzione durante il periodo di svolgimento del processo allorché questa possa produrre "danni gravi ed irreparabili".

Il provvedimento di sospensione provvisoria dell'esecuzione dell'atto impugnato presuppone una prima valutazione

sulla sussistenza di un fondamento del ricorso principale. La sentenza è esecutiva ma impugnabile presso il Consiglio

di Stato entro 60 giorni dalla data di notifica.

La giurisdizione dei giudici ordinari in materia amministrativa Il giudice ordinario può intervenire solo incidentalmente e limitatamente agli effetti che un atto amministrativo, che si

presume illegittimo, ha direttamente su un diritto soggettivo. Ove il magistrato ordinario ritenga il provvedimento

illegittimo non può ne annullarlo, né modificarlo, ma semplicemente disapplicarlo nel caso che è sottoposto al suo

giudizio. Al di là delle sentenze di mero accertamento, lo stesso suo essenziale potere di reintegrare la posizione

soggettiva illecitamente danneggiata potrà portare ad una sentenza di condanna della pubblica amministrazione a

risarcire i danni. Nei casi in cui il giudice ordinario è titolare di una giurisdizione esclusiva in una determinata materia,

egli dispone di poteri di annullamento, di modifica, di sospensione, dei provvedimenti amministrativi.

Capitolo 15: Diritto privato e il rapporto giuridico

All‟interno del diritto possiamo operare una tradizionale distinzione tra pubblico e privato:

Il diritto privato è quello che disciplina e regola i rapporti sulla base di una reciproca posizione di eguaglianza dei

soggetti, siano essi privati o enti pubblici.

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Il diritto pubblico è quello che anzitutto regola gli aspetti organizzati e istituzionali e rispetto al rapporto attribuisce

a uno dei soggetti una posizione di supremazia o autorità sull’altro, costretto a “subire”. (es. esproprio).

Norme dispositive e norme imperative

Il diritto privato si fonda sulla regola della parità fra i soggetti del rapporto, ma si fonda altresì sulla autonomia dei

soggetti (es. assumerò un impegno se lo vorrò e se la paga mi andrà bene, venderò o comprerò al prezzo che ritengo

equo, stipulerò il contratto che mi soddisfi pienamente). Tale autonomia non è assoluta ma ha dei limiti dettati da leggi

che sottraggono potere alla sfera dell‟autodeterminazione. Tutto questo si esprime dicendo che nell‟ambito del diritto

privato si distinguono due norme: norme dispositive o derogabili, norme imperative o inderogabili.

Norme dispositive o derogabili: norme che si limitano a prevedere una disciplina per l‟ipotesi in cui gli interessati

non abbiano provveduto a dettare essi stessi una specifica regola per il loro rapporto (es. art 1182. “dispone che il

pagamento di somme di denaro deve farsi al domicilio del creditore”, ma con il consenso di entrambi i soggetti si può

decidere un altro luogo dove deve avvenire il pagamento.(autonomia dei soggetti)).

Le norme dispositive possono avere anche una funzione di integrazione e completano le parti del contratto; (es. art.

1490 il venditore è tenuto alla garanzia per i vizi della cosa; tale norma integra il contratto tutelando il compratore ma

essendo una norma dispositiva può essere elusa dichiarando sul contratto che il venditore non assume nessuna

garanzia)

Norme imperative o inderogabili: norme che si impongono alla osservanza dei destinatari (es. art. 1350 “la forma

scritta per le compravendite immobiliari” questa norma non può essere elusa, modificata ma solamente rispettata)

Partizioni del diritto

Nell‟ambito del diritto privato si distinguono:

Diritto civile: disciplina i rapporti personali e familiari , i beni, gli atti giuridici.

Diritto commerciale: disciplina le attività d‟impresa, le società i titoli di credito, il fallimento ecc.

Diritto del lavoro: regola le prestazione del lavoro subordinato, attività sindacale, la tutela previdenziale

Diritto della navigazione: disciplina i rapporti privati connessi all‟esercizio della navigazione

Per chi non lo avesse ancora capito il nostro corso tratterà del diritto civile!!!!!!, cioè quella parte del diritto privato

che riguarda le persone e i beni.

Il rapporto giuridico: ogni relazione fra i soggetti giuridici (persone e enti) disciplinati dal diritto. In tale rapporto,

ciascuno dei soggetti assume una particolare posizione in funzione della realizzazione degli interessi tutelati dalla

legge.

Il rapporto è composto da tre elementi/concetti: soggetti giuridici, situazioni giuridiche e oggetto del rapporto

giuridico.

I soggetti: sono le persone/enti fra le quali intercorre il rapporto giuridico titolari di posizioni giuridiche (diritti o

doveri)

Le posizioni o situazioni giuridiche soggettive si dividono in due fondamentali tipologie:

1. situazioni di vantaggio o situazioni attive: diritti soggettivi, la potestà, le aspettative, gli interessi legittimi.

2. situazioni di svantaggio o situazioni passive: doveri, obblighi, oneri, soggezione.

Diritto soggettivo: è il potere attribuito ad un soggetto per la tutela di un suo interesse (es. chi ha dato a mutuo una

somma di denaro può pretenderne la restituzione). Consiste nel potere di esigere da altri l‟osservanza di un dovere o di

un obbligo, imposto per la soddisfazione di un interesse individuale.

La potestà: è il potere attribuito a un soggetto per la tutela di un interesse altrui; costituisce allo stesso tempo un diritto

e un dovere. (es. diritti e doveri dei genitori verso la prole. Dovere di esercitare i poteri nell‟interesse del figlio ma e

solo i genitori hanno il diritto di esercitarli e farne le veci)

Interesse legittimo: è il potere attribuito ad un soggetto al fine di tutelare l‟interesso individuale e quello collettivo (es.

nei concorsi per le cariche pubbliche, il partecipante ha il diritto di fare annulla gli atti del concorso che violino la

legge nei suoi interessi e negli interessi di tutti)

Aspettativa: è una posizione giuridica provvisoria e strumentale alla nascita dell‟eventuale diritto (es. chi ha acquistato

una bottega e subordinato all‟acquisto il rilascio della licenza con una aspettativa giuridicamente tutelata al bene, può

compiere atti conservativi nel caso in sui il proprietario nel frattempo venda la bottega)

Status: con questo termine non si designa una autonoma posizione giuridica e neppure specifici poteri, bensì la

complessiva posizione di un soggetto rispetto a un gruppo o a una collettività.

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I diritti soggettivi (quelli con più ampio contenuto) si possono suddividere in:

diritti assoluti: attribuiscono una pretesa nei confronti di tutti i consociati (orga omnes)(es. diritti inviolabili

della persona, diritti reali)

diritti relativi: attribuiscono una pretesa nei confronti di un soggetto determinato (es. diritti di credito)

una posizione intermedia occupano i diritti personali di godimento (fanno rif. a entrambi i due)

diritti potestativi: sono una categoria differente; consistono nel potere di produrre unilateralmente effetti nella

sfera giuridica di un altro, tenuto a subire tali conseguenze.

Dovere: diritto assoluto in capo alla controparte

Obbligo: diritto relativo di tipo personale

Obbligazione: diritto relativo di carattere patrimoniale

Soggezione: diritto potestativo

Onere:comportamento imposto a un soggetto per la realizzazione di un suo interesse

L’oggetto del rapporto giuridico è il bene, inteso in senso ampio, su cui cade l‟interesse tutelato dalla legge. Sono

beni tutto ciò che è in grado di soddisfare un bisogno umano, cioè le cose materiali, cose immateriali (nome,onore…),

spirituali, servizi (trasporto,concerto..). La tensione, la spinta verso tali beni è chiamata interesse.

Il rapporto giuridico tra due soggetti, con le relative posizioni giuridiche, sorge quando si verificano le condizioni

previste dalla legge. Il rapporto nasce al verificarsi di determinate fattispecie, al verificarsi di un fatto tipico cui

l‟ordinamento ricollega la conseguenza della nascita di diritti e corrispondenti obblighi. (es. nascita di un essere

umano)

Pubblicità dei fatti giuridici

La pubblicità dei fatti giuridici è quel sistema predisposto dall‟ordinamento al fine di garantire e rendere agevole la

conoscenza di determinati fatti e atti giuridici, assicurando le condizioni di sicurezza del traffico giuridico.

Si distinguono tre tipi di pubblicità:

1. pubblicità notificativa: serve a dare una semplice notizia di alcuni fatti che la suo omissione non tocca ne la

validità ne la sua efficacia dei fatti stessi. (es. pubblicazioni matrimoniali art. 93)

2. pubblicità dichiarativa: serve a rendere opponibile ai terzi determinati atti e la sua omissione non tocca la sua

validità, bensì l‟efficacia dell‟atto. (es. se compro una casa e non trascrivo l‟acquisto nei registri immobiliari

l‟atto sarà valido (e quindi sono proprietario) ma l‟efficacia dell‟atto è limitata: non potrò far valere l‟acquisto

contro chi, pur acquistando successivamente, trascrivi il suo acquisto).

3. pubblicità costitutiva: condiziona sia la validità che l‟efficacia dell‟atto. In mancanza di essa l‟atto non

produrrà effetti neppure fra le parti (es. la spa non si costituisce se non è iscritta al registro delle società).

Estinzione del rapporto giuridico

L‟estinzione può avvenire per prescrizione o decadenza dell‟atto.

Prescrizione: è un istituto collegato al decorso del tempo e comporta l‟estinzione del diritto ove il titolare non lo

eserciti nell‟arco di tempo determinato dalla legge (art 2943) (ordinario temine di prescrizione è di 10 anni) (es. si

trascurano i diritti che si hanno per un contratto per dieci anni, non si potrà più esercitarli). La legge stabilisce

l‟estinzione, per prescrizione, di tutti i diritti, ad esclusione del diritto di proprietà e di quelli indisponibili.

Decadenza: consiste nella perdita del diritto per il mancato compimento, entro un dato termine, di uno specifico atto

previsto dalla legge. Anch‟ essa è un istituto collegato al decorso del tempo e all‟inerzia del titolare, ma si diversifica

dalla prescrizione perché la decadenza è impedita esclusivamente dal compimento dell‟atto previsto dalla legge o dal

contratto (es. denunzia dei vizi di una cosa entro 8 giorni).

IL RAPPORTO GIURIDICO

I soggetti:

A. persone fisiche

B. enti giuridici

Oggetto del rapporto giuridico

Atti, fatti, negozi giuridici e tutela e attuazione del rapporto giuridico

Capitolo 16: Diritti assoluti e relativi

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Passiamo ora allo studio delle posizioni giuridiche soggettive. I diritti soggettivi come nello schema di dividono in

assoluti e relativi. Nella prima categoria rientrano i diritti della personalità e i diritti reali, in quanto si possono far

valere in maniera diretta verso tutti i consociati, attribuendo al titolare la pretesa che gli altri si astengono dal violare

tali posizioni giuridiche. Nella seconda categoria, invece, rientrano i diritti d credito, in quanto possono farsi valere in

maniera diretta solo nei confronti di determinate persone, e cioè i debitori specificamente individuati in base al titolo.

Oppure più semplicemente possiamo dire che i diritti assoluti conferiscono al titolare una pretesa generica verso tutti i

consociati, mentre i diritti relativi conferiscono al titolare una pretesa specifica verso un soggetto determinato. Tutti e

due i diritti, conferiscono al titolare specifiche forme di tutela contro l‟altrui violazione, al fine di reintegrare la

situazione violata; nel caso dei diritti assoluti, possiamo distinguere due forme di tutela: tutela reale e tutela

risarcitoria. La prima è volta a inibire la violazione del diritto o a impedirne la prosecuzione. La seconda non è

collegata alla violazione in se del diritto, ma alle conseguenze dannose di essa; l‟atto dannoso, infatti, impone ad un

soggetto specifico uno specifico obbligo, cioè un risarcimento pari al pregiudizio arrecato.

Diritti assoluti: erga omnes (diritti inviolabili, diritti reali)

Diritti relativi: relativi ad una persona determinata (diritto di credito)

Capitolo 17: I diritti reali

E‟ l‟altra grande categoria di diritti assoluti; i diritti reali sono diritti su una cosa avendo ad oggetto una porzione

materiale della realtà. In pratica, i diritti reali attribuiscono un potere diretto e immediato su una cosa, che consente

una diretta soddisfazione dell‟interesse e può farsi valere verso tutti.

Le caratteristiche:

a) immediatezza del potere: il diritto si realizza direttamente e immediatamente ad opera del titolare che trae dal

godimento della cosa le relative utilità.

b) inerenza della cosa: consiste nel rapporto tra diritto e cosa; quindi in primo luogo si traduce nella opponibilità erga

omnes ma anche a facultas excludendi alios (facoltà del titolare di escutere altri dal relativo godimento).

c) connessa all‟inerenza è la facoltà di seguito o sequela: tali diritti possono farsi valere non solo nei confronti della

generalità dei consociati, ma a certe condizioni, anche nei confronti di chi venga ad acquistare uno specifico diritto

sullo stesso bene.(es. l‟usufruttuario potrà far valere il proprio diritto anche nei confronti di tutti i successi acquirenti

del bene, mantenendo il diritto di goderne).

d) elasticità: ci intende l‟idoneità del diritto ad espandersi su tutta la cosa quando essa si accresca o vengano meno i

diritti altrui gravanti su di essa. (es. se sul fondo è costruito un edificio, la proprietà del fondo si trasferisce anche sul

edificio)

e) tipicità: con il termine tipicità si sottolinea che i diritti reali sono soltanto quelli previsti dalla legge, non è perciò

consentito ai privati di creare nuove categorie o tipi di diritto reale. È consesso ai privati solamente di modificare il

contenuto dei diritti reali tipici (es. ampliando o restringendo i poteri dell‟usufruttuario).

La categoria dei diritti reali di divide in due grandi partizioni:

1. diritti su cosa propria (proprietà)

2. diritti su cosa altrui cd. Minori o parziali (diritti reali di godimento, diritti reali di garanzia)

Capitolo 18: I beni

L‟oggetto dei diritti reali: i beni

I beni secondo l’art. 810 sono le cose che possono formare oggetto del diritto. Dunque si fa riferimento anzitutto a

una cosa, e cioè a una porzione materiale della realtà, che possa essere oggetto di diritti, in quanto assoggettabile al

potere dell‟uomo (es. aria luce del sole, non sono beni in senso giuridico). Non sono beni in senso giuridico l‟aria, il

sole e il vento, ma lo sono cose immateriali come l‟onore, l‟integrità psicofisica, le creazioni intellettuali e il marchio.

Art. 812 Distinzione dei beni

Sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d'acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al

suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo.

Sono reputati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o

all'alveo e sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione (1350).

Sono mobili tutti gli altri beni (923, 1153).

Distinzione tra beni materiali in immobili e mobili:

beni immobili: l‟art. 812 definisce immobili, il suolo e “tutto ciò che naturalmente o artificiosamente è

incorporato al suolo” quindi alberi e le costruzioni.

beni mobili: tutti gli altri beni.

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La differenza principale attiene principalmente al regime di circolazione e difesa dei beni. Per i beni immobili vige un

sistema basato sul carattere formale degli atti di trasferimento e sulla pubblicità degli atti stessi, mentre i mobili non si

richiede ne forma particolare ne alcun tipo di pubblicità nel trasferimento.

Si distinguono altre due categorie che sono caratterizzate per taluni aspetti dalla stessa disciplina degli immobili:

Beni mobili registrati: sono dei mobili che devono essere annotati in appositi registri (auto, navi, aerei..)

Le universalità dei mobili: sono la pluralità di cose che appartengono a una stessa persona e hanno una

destinazione unitaria (art. 816). (es. la collezione, la biblioteca, il gregge…). La peculiarità deriva dal fatto

che il valore complessivo è di norma maggiore della somma del valore dei componenti.

Art. 816 Universalità di mobili

E' considerata universalità di mobili la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione

unitaria (771, 994, 1010, 1156, 1160, 1170).

Le singole cose componenti l'universalità possono formare oggetto di separati atti e rapporti giuridici.

Un‟ altra distinzione dei beni si ha osservando il modo in cui le cose si rapportano l‟una all‟altra sotto il profilo

funzionale ed economico:

1. cosa semplice: è quella in cui i sui elementi sono connessi tra loro ma una loro separazione distruggerebbe

senz‟altro la cosa (es: un tavolo,un animale)

2. cosa composta: è quella che risulta dall‟unione materiale di più cose (es. una radio, un‟automobile, una casa)

3. cosa divisibile: sono i beni il cui frazionamento non altera la funzione economica delle parti risultanti e ne

mantiene, proporzionalmente il suo valore. (es. edifici con più appartamenti, partita di vino)

Un‟altra tipologia di beni sono le pertinenze: per l‟art. 817 sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a

servizio o ad ornamento di un altro bene. (es. aeree di parcheggio rispetto gli edifici) La destinazione pertinenziale può

essere fatta dal proprietario della cosa principale o dal titolare di un diritto reale su di essa. La destinazione di una cosa

a pertinenza di un‟altra non comprime i diritti preesistenti su di essa a favore di terzi.

Art. 817 Pertinenze

Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa.

La destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima

(952, 957, 981, 1021, 1022, 1027).

I frutti: sono beni che provengono da un altro bene, sia direttamente che indirettamente.

Si dicono frutti naturali quelli che provengono direttamente dalla cosa, come prodotti agricoli, i prodotti delle

miniere.

Si dicono frutti civili quelli che si traggono dalla cosa indirettamente come corrispettivo del godimento che altri ne

abbia, come interessi su capitali, canone di locazione.

Beni fungibili e infungibili: sono definiti i beni sostituibili con altri dello stesso tipo senza che l‟interesse

dell‟utilizzatore venga a soffrirne. (es. la lavatrice)

Sono beni infungibili i beni che presentano caratteristiche proprie, che li distinguono da altri analoghi. (es. opere

d‟arte, prodotti non di serie di artigiani )

Ultima distinzione riguarda i beni consumabili inconsumabili e i beni deteriorabili

Beni consumabili: “delle quali non si può far uso senza consumarle” art. 750 (es. denaro, alimenti)

Beni inconsumabili: (es. fondo rustico)

Beni deteriorabili: i beni che “ senza consumarsi in un tratto, si deteriorano a poco a poco” (art 996)(es. automobile)

Beni pubblici

Si distinguono in beni demaniale e beni patrimoniali indisponibili:

a. beni demaniali:

demanio necessario( spettano allo stato), il demanio marittimo, idrico, militare(lido del mare,

spiagge, porti fiumi..)

demanio eventuale (potrebbero appartenere ad un ente pubblico) strade, ferrovie, aeroporti,

acquedotti, immobili.

Demanio comunale: i mercati e i cimiteri art.822. tali beni sono inalienabili

b. patrimonio indisponibile: le foreste, le miniere , le cose di interesse storico, sedi di uffici

k pubblici ecc.

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Tutti gli altri beni pubblici rientrano nel patrimonio disponibile e sono soggetti alle stesse norme che regolano i beni

privati, salvo specifica regolamentazione.

Capitolo 19: La proprietà

Diritti su cosa propria: la proprieta’

La proprietà è il primo e fondamentale fra i diritti reali ed è descritta nell’art. 832 come “il diritto di godere e disporre

delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento

giuridico”. Il diritto di godere delle consiste nella facoltà di utilizzare il bene perseguendo interessi e fini liberamente

scelti; il diritto a disporre consiste nella facoltà di alienare il bene o di costituire su di esso diritti reali in favori di terzi.

Tali facoltà possono esercitarsi in modo pieno ed esclusivo.

La funzione della proprietà, ieri e oggi.

Ieri: lo stato garantista dell‟800 vedeva la garanzia della proprietà un fine, la proprietà come centralità dell‟assetto

economico-istituzionale.

Oggi: lo stato sociale assume come fine la tutela della persona e vede la proprietà come strumento. La stato odierno

punta alla utilità collettiva (funzione sociale) anche attraverso la proprietà (es. diritto di prelazione sulla cessione di un

fondo agricolo ai confinanti e coltivatori).

La funzione sociale della proprietà vale sia per il legislatore ordinario che per l‟interprete, svolgendo un ruolo

complesso che si può schematizzare cosi:

a) Essa costituisce la cornice teorica di riferimento al cui interno si giustificano ,e si compongono in un quadro

unitario , i limiti e gli obblighi gia specificamente previsti dalla legge.

b) Essa opera come criterio di interpretazione della disciplina e come strumento di integrazione per

l‟imposizione di nuovi limiti, oltre gia quelli previsti.

La proprietà fondiaria

Essa è distinta in proprietà agricola/rurale e proprietà edilizia. L‟art. 840 è dedicato alla estensione della proprietà:

In linea verticale: stabilisce che essa si estenda al sottosuolo, con tutto ciò che vi si contiene (fatta eccezione per le

acque, le miniere e i beni di interesso storico e artistico); la stessa norma aggiunge che il proprietario non può

opporsi ad attività svolte di terzi a tale altezza o profondità che egli non abbia interesse a escluderle. (es. linee

elettriche, gallerie)

In senso orizzontale: la proprietà e delimitata dai confini del fondo che il titolare può chiudere in qualsiasi

momento impedendo cosi l‟accesso ad estranei. In mancanza di recinzioni egli deve consentire l‟accesso a chi

voglia esercitarci la caccia, intenda raccogliere funghi o semplicemente passeggiarvi salvo che vi siano culture

suscettibili di danno.

Le immissioni e i rapporti di vicinato

Sono previsti limiti e obblighi specifici per i rapporti tra proprietà vicine, per assecondare i diversi interessi e

consentirne la coesistenza e rispettare la funzione sociale. Le immissioni invece sono le propagazioni derivanti da un

fondo dalla attività svolta in un altro (es. propagazione di fumo, calore, rumore..). Si tratta di immissioni indirette,

derivanti da un‟altra attività e involontarie. (le immissioni dirette quali per es. l‟acqua spruzzata a pioggia che

sconfina, sono vietate)

La regola generale è che il proprietario non può impedire le propagazioni derivanti dal fondo vicino se non superano la

normale tollerabilità. (art 844)

La proprietà agricola

È specificamente contemplata nella costituzione art. 44 che prevede “i limiti alla sue estensione e bonifica delle terre,

trasformazione del latifondo e ricostruzione delle unità produttive, sostegno della piccola e alla media proprietà”.

La proprietà edilizia

Il proprietario del fondo non ha più un insindacabile potere di edificare ma può costruire solo se e nei limiti in cui gli

strumenti di pianificazione urbanistica prevedano una siffatta destinazione per le singole zone e previo rilascio di un

permesso per costruire, rilasciato dietro pagamento del cd. Contributo di costruzione. Si ritengono prevalenti sul dritto

proprietario gli interessi pubblici alla razionale utilizzazione del suolo, e cosi un ordinato assetto urbanistico.

L‟espropriazione per motivi di interesse generale è prevista dalla costituzione che ne prevede l‟indennizzo. Entità

dell‟indennizzo? Non solo il valore intrinseco ma anche un serio ristoro per il sacrificio imposto al privato.

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Distanze tra edifici

L‟art. 873 stabilisce che le costruzioni su fondi vicini devono essere realizzate in aderenza ovvero tenute a una

distanza non inferiore ai tre metri. Una distanza maggiore è tuttavia quasi ovunque stabilita dagli strumenti urbanistici.

Queste distanze, però possono essere derogate dalle parti con apposita convenzione. In caso di violazione la legge

prevede il risarcimento del danno e demolizione delle opere

Modi di acquisto della proprietà.

Sono atti ai quali è collegato l‟effetto giuridico dell‟acquisto. Si distinguono in:

1. acquisto a titolo originario: sono gli acquisti che non trovano la loro base o fonte in un precedente diritto in

capo ad altri diritto vuoi perchè si tratta di un bene che non ha mai avuto proprietario (es. pesci del mare), vuoi

perchè l‟acquisto è comunque indipendente da una precedente titolarità (usucapione); si configura come un

diritto nuovo.

2. acquisto a titolo derivativo: acquisto presuppone un precedente titolare del diritto, da cui è derivato

l‟acquisto stesso tramite un titolo (compravendita, successione per causa di morte) che trasferisce il diritto. Il

titolo si trasferisce con gli stessi caratteri che aveva in capo al precedente titolare.

Modi di acquisto a titolo originario sono: l‟occupazione, invenzione, l‟accensione.

occupazione:è la presa in possesso di cose mobili non appartenenti ad alcuno, (es. pesci del mare, funghi) o le

cose abbandonate dal proprietario (es. rottami di ferro, vecchi mobili) art.923

Art. 923 Cose suscettibili di occupazione

Le cose mobili che non sono proprietà di alcuno si acquistano con l'occupazione (827).

Tali sono le cose abbandonate e gli animali che formano oggetto di caccia o di pesca (842) [Secondo l'art. 1, L. 27

dicembre 1977, n. 968 (vedi nota all'art. 826), a fauna selvatica costituisce patrimonio indisponibile dello Stato].

invenzione:è il ritrovamento di cose mobili smarrite (ma non abbandonate) dal proprietario. Il ritrovatore ne

acquista la proprietà se, consegnata la cosa al sindaco e data la pubblicità prescritta al ritrovamento, il

proprietario non la reclami entro un anno. Ove il proprietario si presenti, recupererà la sua cosa ma dovrà al

ritrovatore un premio proporzionale al valore della cosa (art927. -929)

l’accensione: è l‟acquisto della proprietà di un bene per effetto della sua congiunzione a un altro, riguardato

come principale. Si distinguono l‟accensione di mobile a immobile, di mobile a mobile, di immobile a

immobile.

1. di mobile a immobile: es. la costruzione di un edificio o piantagione che si realizzi sul suolo di terzi,

(in modo abusivo) rende automatico il passaggio di proprietà al proprietario del suolo perché

questo possiede il bene principale.

2. di mobile a mobile: prende il nome di unione quando più cose appartenenti a più soggetti sono state

unite o mescolate da formare un tutt‟uno. La proprietà sarà in proporzione al valore delle cose.

3. di immobile a immobile: solo in un raro caso denominato avulsione che consiste nel distacco

istantaneo di una parte considerevole di un fondo che viene trasportato a valle e unito ad un altro

fondo.

Le azioni a difesa della proprietà

Le azioni a difesa della proprietà disciplinate dagli artt. 948-951 sono:

la rivendicazione

l’azione negatoria

l’azione di regolamento di confini

l’azione per apposizione di termini

Art. 948 Azione di rivendicazione

Il proprietario può rivendicare la cosa (1153, 1994, 2653, 2697) da chiunque la possiede o detiene (1140) e può

proseguire l'esercizio dell'azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o

detenere la cosa. In tal caso il convenuto è obbligato a ricuperarla per l'attore a proprie spese, o, in mancanza, a

corrispondergliene il valore, oltre a risarcirgli il danno.

Il proprietario, se consegue direttamente dal nuovo possessore o detentore la restituzione della cosa, è tenuto a

restituire al precedente possessore o detentore la somma ricevuta in luogo di essa.

L'azione di rivendicazione non si prescrive, salvi gli effetti dell'acquisto della proprietà da parte di altri per

usucapione (1158 e seguenti).

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Art. 949 Azione negatoria

Il proprietario può agire per far dichiarare l'inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivato

di temerne pregiudizio (1079).

Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può anche chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la

condanna al risarcimento del danno (1170).

Art. 950 Azione di regolamento di confini

Quando il confine tra due fondi è incerto, ciascuno dei proprietari può chiedere che sia stabilito giudizialmente.

Ogni mezzo di prova è ammesso.

In mancanza di altri elementi, il giudice si attiene al confine delineato dalle mappe catastali.

Art. 951 Azione per apposizione di termini

Se i termini tra fondi contigui mancano o sono diventati irriconoscibili, ciascuno dei proprietari ha diritto di

chiedere che essi siano apposti o ristabiliti a spese comuni.

La rivendicazione è l‟azione fondamentale concessa al proprietario che può rivendicare la cosa da chiunque la

possiede o detiene. L‟azione a una duplice funzione: di accertamento della titolarità e restituzione del bene

(accertamento è strumentale rispetto alla restituzione)

Legittimato attivo è chi sostiene di essere il proprietario: egli dovrà dimostrare tale sua qualità, in conformità alla

regola che l‟attore deve provare i fatti che stanno a fondamento della sua pretesa. (art. 2697)

Legittimo passivo è chiunque abbia il possesso o la detenzione della cosa. Se la cosa è stata ceduta o alienata il

legittimo passivo dovrà recuperarla (a spese sue), e se fosse impossibile ripristinarla dovrà pagarne il controvalore. Se

il giudizio grava sue detentore lui può estromettersi dal giudizio dichiarando da chi gli fosse stata ceduta la cosa (es. il

locatore del bene).

L’azione negatoria è concessa al proprietario per fare dichiarare l‟inesistenza di diritti altrui e per far cessare

eventuali molestie o turbative (art. 949). L‟oggetto del contendere non è chi o meno titolare di tale diritto ma il suo

contenuto.

Legittimo attivo è il proprietario dell‟immobile che, non essendo contestata la titolarità della cosa, non deve dare una

prova rigorosa della titolarità (es. basterà dimostrare l‟acquisto con un titolo derivato).

Legittimo passivo è chi pretende di avere diritti reali sul bene e sarà lui che dovrà darne la relativa prova.

L’azione di regolamentazione dei confini suppone un‟incertezza in ordine alla posizione del confine tra due fondi

ed è diretta ad accertarlo (art. 950). In contestazione perciò non è la titolarità del diritto (come nella rivendicazione) e

neppure il relativo contenuto (come nella negatoria) bensì il suo oggetto, e in particolare l‟estensione materiale del

fondo.

L’azione per apposizione di termini presuppone la non contestazione dei confini, ma ha lo scopo di far apporre o

ristabilire, a spese comuni, i “termini”, e cioè i cippi o pilieri di riconoscimento.

Capitolo 20: La comunione e i diritti reali di godimento

I DIRITTI REALI DI GODIMENTO

Questa categoria contenuta nei diritti reali attribuiscono un potere su cosa altrui: sono i cdd. diritti reali minori o

parziali. Si dicono minori o parziali perché hanno un più ristretto contenuto, che si riduce talvolta a una sola facoltà.

Sono diritti su cosa altrui perché gravano su beni di proprietà altrui, limitando le facoltà del proprietario e il contenuto

del suo diritto, potenzialmente pieno e completo.

Le caratteristiche sono sempre: assolutezza, inerenza della cosa, elasticità, tipicità.

I diritti reali di godimento sono la superficie, enfiteusi, usufrutto, l’uso,l’abitazione, le servitù.

LA COMUNIONE

La comunione è la contitolarità di un diritto reale da parte di più persone. Art. 1100 la definisce l‟ipotesi in cui “la

proprietà o altro diritto reale spetti in comune a più persone”, quindi uno stesso diritto distribuito fra più persone, non

in quanto sia diviso tra esse, bensì in quanto spetta contemporaneamente a più soggetti. La quota indica la misura della

partecipazione di ciascuno della titolarità (1/2, 1/3, ¼).

Capitolo 21: Il possesso art.1140

Art. 1140 Possesso

Il possesso e il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro

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diritto reale.

Si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa.

Il possesso non è un diritto. Consiste nel fatto che un soggetto gode di un bene, a prescindere dalla circostanza che tale

soggetto abbia o non abbia il diritto di farlo. Ciò che conta è che, di fatto, un soggetto esercita i poteri che competono

al titolare di un diritto reale sulla cosa, abbia o non abbia il diritto di farlo. Di regola, tale potere viene esercitato da chi

ha il diritto di farlo: il proprietario, usufruttuario; ma può anche essere esercitato da chi non ha alcun titolo per farlo:

es. il ladro che porta l‟orologio, chi coltiva il fondo abbandonato. In entrambi i casi, la tutela consiste nel garantire

temporaneamente il mantenimento della situazione possessoria, eventualmente anche contro il legittimo proprietario al

fine di garantire la pace sociale.

I vantaggi che il possesso assicura:

1. la posizione di convenuto nell‟azione di rivendica. Chi possiede qualcosa. Anche se non è sua, non è tenuto a

dimostrare di aver un titolo per es. di proprietà a fondamento del proprio possesso. Sarà chi pretende di avere quel

diritto che dovrà dimostrare tale diritto.

2. la tutela giudiziaria: tramite azioni di reintegrazione nella situazione di fatto contro chi abbia sottratto o turbato il

possesso.

3. diritto di rimborso di determinate spese sostenute per la cosa.

Art. 1140 detta la nozione di possesso. “il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un‟attività corrispondente

(quasi uguale) all‟esercizio della proprietà o di altro diritto reale”.

Si distinguono diverse posizioni di possesso:

1. possesso vero e proprio: consiste nell‟esercizio diretto dei poteri sulla cosa

2. possesso mediato: che si ha quando i poteri sono esercitati per il tramite di un terzo

3. la detenzione: la materiale disponibilità

la prima situazione include in se anche l‟ultima, avendo il possessore la detenzione della cosa. Il possessore mediato

invece implica che la detenzione sia presso un terzo (es.affituario), presso il quale la detenzione si configura come

situazione di fatto distinta dal possesso ma da esso in vario modo dipendente.

Acquisto del possesso

Mentre la detenzione può acquisirsi solo in modo derivato, il presupponendo un possessore dal quale si riceva la cosa,

il possesso può acquistarsi anche in modo originario:

a) nelle ipotesi di acquisto della proprietà a titolo originario, che presuppone l‟apprensione materiale della cosa.

b) Nelle ipotesi di mutamento della detenzione in possesso.

c) Quando il possesso sia conseguito direttamente con la materiale apprensione del bene altrui.

Qualificazione del possesso

Il possesso a seconda delle circostanze che lo si assume viene qualificato in vario modo.

1. lo stato psicologico del soggetto qualifica il possesso in:

i. possesso di buona fede: chi possiede ignorando di ledere l‟altrui diritto

ii. possesso di cattiva fede

2. le modalità di acquisto qualificano il possesso in:

i. possesso viziato ove sia acquistato in modo violento o clandestino. Violento quando viene

usata la forza verso persone o cose(scippo, forzatura del lucchetto); possesso clandestino

quando l‟acquisto sia stato realizzato in modo da tenerlo nascosto alla pubblica conoscenza.

3. modalità di esercizio del possesso lo qualificano:

i. possesso continuo quando non siano sopravvenute interruzioni civili o naturali. L‟interruzione

civile si verifica quando il proprietario ad es. reclama il suo possesso in giudizio. L‟

interruzione naturale si verifica quando si sia perduto il possesso per oltre un anno.

Le azioni di difesa del possesso sono: l‟azione di reintegrazione,di manutenzione, di denunzia di nuova opera e di

danno temuto. (Tranne l’azione di reintegrazione, le altre sono spiegate ma non sono comprese nel programma)

L’azione di reintegrazione o spoglio è concessa a chi sia stato spogliato violentemente od occultamente del possesso

o della detenzione e mira ad ottenere la reintegrazione nella situazione possessoria.(art 1168). L‟azione è soggetta al

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termine di decadenza di un anno dal giorno dello spoglio o, se clandestino, da quello in cui s‟è scoperto l‟autore dello

spoglio.

Legittimo attivo: colui che è possessore o detentore del bene

Legittimo passivo: colui che abbia commesso uno spoglio violento o clandestino

L’azione di manutenzione è concessa a chi sia stato molestato nel possesso di un immobile o di una universalità di

immobili e miri a ottenere la manutenzione del possesso medesimo.

Legittimo attivo è solo il possessore(non il detentore) di diritti reali su beni immobili o università di mobili

Legittimo passivo è chiunque compie atti di turbativa o molestia ad es. immissioni di fumo, iniziando a costruire senza

il rispetto delle distanze legali, ostruire il passaggio.

L‟azione di manutenzione (anch‟essa soggetta alla decadenza di un anno) mira ad ottenere la cessione della turbativa e

a consentire la continuazione del libero esercizio del potere sulla cosa.

La denunzia di nuova opera e di danno temuto più che azioni possessorie sono azioni cautelari.

La denunzia di nuova opera può essere esercitata quando si abbia ragione di temere che da una nuova opera, da altrui

intrapresa da non oltre un anno, possa derivare un danno. Il giudice potrà vietare o permettere la prosecuzione

ordinando le opportune cautele.

La denunzia di danno temuto può essere esercitata quando si abbia ragione di temere un danno grave e imminente. ad

es. un muro o cornicione pericolante, una gru male assicurata al suolo. Il giudice disporrà le idonee cautele, e gli

eventuali risarcimenti.

Capitolo 22: Acquisto di diritti reali mediante il possesso

L‟acquisto dei diritti reali mediante il possesso.

Tra gli effetti del possesso la legge inserisce alcuni modi d‟acquisto a titolo originario della proprietà e degli altri

diritti reali: il possesso titolato di beni mobili e usucapione.

Il possesso titolato di beni mobili (detto anche “possesso vale titolo”). Secondo l‟art 1153 se si acquista mobili dal

non proprietario ne consegue la proprietà se ricorrono le seguenti condizioni: un titolo idoneo al trasferimento del

diritto, la buona fede, il possesso. (es. se in buona fede acquisto una bici da un ladro e ne ricevo la consegna, divento a

tutti gli effetti proprietario del bene. Il derubato nulla potrà pretendere da me.)

L‟ambito di applicazione della regola è esclusivamente quello dei beni mobili.

Per applicare la regola possesso vale titolo occorrono i tre requisiti citati sopra:

1. un titolo idoneo al trasferimento del diritto: deve aversi cioè un atto o fatto di per se in grado di realizzare

un‟attribuzione immediata all‟acquirente: una vendita,una sentenza costitutiva, una donazione.

2. la buona fede al momento della consegna: qui buona fede significa l‟ignoranza dell‟altruità della cosa.

3. il possesso della cosa derivante da una effettiva consegna da parte del disponente. Occorre una consegna

materiale.

Art. 1153 Effetti dell'acquisto del possesso

Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il

possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un Titolo idoneo al trasferimento della

proprietà.

La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal Titolo e vi è la buona fede

dell'acquirente.

Nello stesso modo si acquistano diritti di usufrutto, di uso e di pegno (981, 1021, 2784).

Art. 1158 Usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari

La proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso

continuato per venti anni.

L’usucapione: è un modo d‟acquisto della proprietà e degli altri diritti reali di godimento derivante dal possesso

continuato per un certo periodo.

L‟acquisto è a titolo originario e la proprietà della cosa si acquista libera da eventuali pesi e diritti altri. Si distinguono

due figure di usucapione: ordinaria e abbreviata.

L’usucapione ordinaria: si compie in virtù del possesso continuativo per 20 anni (art.1158). Hai fini dell‟usucapione

il possesso deve presentare alcuni requisiti:

1. pacifico e pubblico( non acquistato in modo violento e clandestino)

2. non si richiede la buona fede (cosi anche il ladro può diventarne il proprietario)

3. deve essere continuo e non interrotto

è previsto un termine di 15 anni per l‟usucapione della cd. Piccola proprietà rurale.

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L’usucapione abbreviata richiede altri requisiti: un titolo idoneo al trasferire il diritto, la buona fede, la trascrizione

del titolo.

1. titolo richiesto è un titolo astrattamente idoneo a trasferire il diritto; (es, una sentenza costitutiva di servitù)

2. buona fede significa ignoranza non gravante colposa dell‟altruità del bene.

3. la trascrizione del titolo è richiesta per i soli beni immobili e mobili registrati e rileva anche perché è da tale

momento che comincia a decorrere il possesso utile per l‟usucapione

Quanto il possesso la sua durata varia il relazione ai beni:

Usucapione per dieci anni per i beni immobili e per le universalità dei mobili e i mobili; in cinque anni per la piccola

proprietà rurale; in tre per i mobili registrati.

Capitolo 23: I diritti relativi: il rapporto obbligatorio

L‟altra grande categoria di diritti soggettivi sono i diritti relativi che attribuiscono una pretesa tutelata in via diretta

solo nei confronti di determinati soggetti. Rientrano fra tali diritti essenzialmente i diritti di credito. Ritornando

indietro, i diritti reali si caratterizzavano per l‟attribuzione di un potere sulle cose che consente una diretta

soddisfazione dell‟interesse, mentre i diritti di credito, ad esempio, si caratterizzano come specifica pretesa verso un

soggetto determinato: attribuiscono cioè il diritto di pretendere un certo comportamento.

Nel riguardo di diritto di credito si parla di obbligazioni quando la prestazione ha carattere patrimoniale; si parla di

obbligo quando manca tale carattere o comunque esso non è qualificante del rapporto.

IL RAPPORTO OBBLIAGAZIONARIO

OGGETTO E SOGGETTO DI TALE RAPPORTO

ESTINZIONE DELL‟OBBLIGAZIONE

- ADEMPIMENTO

- INADEMPIMENTO

- MODI DIVERSI PER L‟ESTINZIONE

CIRCOLAZIONE DELLE OBBLIGAZIONI (principale cessione titolo di credito)

RESPONSABILITA‟ PATRIMONIALI

Il rapporto obbligatorio consiste in un vincolo tra due soggetti in virtù del quale uno di essi, detto debitore, è tenuto

a conseguire una specifica prestazione a favore dell’altro, detto creditore. L‟una posizione si denomina credito, l‟altra

debito. Il creditore non può soddisfare da se, direttamente, l‟interesse sotteso all‟utilizzazione di beni e servizi, ma ha

bisogno della cooperazione altrui (debitore).

Art. 1173 Fonti delle obbligazioni

Le obbligazioni derivano da contratto (1321 e seguenti), da fatto illecito (2043 e seguenti), o da ogni altro atto o fatto

idoneo a produrle (433 e seguenti, 651, 2028 e seguenti, 2033 e seguenti, 2041 e seguenti) in conformità

dell'ordinamento giuridico.

Secondo l‟art. 1173 le fonti delle obbligazioni sono “ il contratto, il fatto illecito, o ogni altro atto o fatto idoneo a

produrle in conformità dell‟ordinamento giuridico”. Essi,cioè, sono i fatti giuridici cui la legge attribuisce idoneità a

far sorgere un rapporto obbligatorio. Tali fattispecie si qualificano come fatti giuridici, nel senso che al verificarsi di

tal fatti si produrrà l‟effetto della nascita di un rapporto obbligatorio. (es. da un contratto di compravendita nasce

l‟obbligazione di pagare il prezzo, da un sinistro stradale l‟obbligazione di risarcire il danno, dalla generazione di un

figlio nasce l‟obbligo di educarlo, allevarlo ecc.)

Fonti:

- il contratto: è un accordo liberamente stipulato fra due o più persone ( atto negoziale)

- fatto illecito: ad es. un ferimento, anche involontario (atto giuridico in senso stretto)

- altri atti o fatti: diverse figure es. promesse unilaterale ecc..( possono essere atti, negozi, meri fatti)

Le caratteristiche del rapporto sono: vincolatività (obbligatorietà del comportamento) e coercibilità .

Dove manchi un adempimento spontaneo del debitore, il creditore potrà agire in giudizio per far valere la sua pretesa

chiedendo l‟esecuzione forzata che si articola in due possibilità: esecuzione in forma specifica o una esecuzione per

equivalente:

esecuzione in forma specifica: consente di ottenere coattivamente un risultato in tutto corrispondente a quello

dedotto in obbligazione e potrà essere chiesta ove essa sia possibile in relazione alla prestazione inadempiuta.

(consegna di una cosa determinata, concludere il contratto)

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esecuzione per equivalente: nel caso in cui l‟esecuzione in forma specifica non è praticabile (es. perché si tratta di

un fare infungibile, o l‟adempimento non presenta più interesse per il creditore) si potrà chiedere l‟esecuzione per

equivalenti e cioè un risultato economico equivalente alla prestazione ineseguita.

Capitolo 24: Elementi del rapporto obbligatorio

OGGETTO

L‟oggetto del rapporto obbligatorio è costituito dalla prestazione del debitore(art.1174)

Per prestazione s‟intende il comportamento cui il debitore è tenuto e specificamente:

a) l‟attività che egli è obbligato a svolgere

b) il risultato che è tenuto a conseguire per soddisfare l‟interesse creditorio.

La prestazione può consistere in:

dare: la consegna di un bene o il trasferimento di un diritto. (es. la consegna del bene venduto, il pagamento

della somma di denaro, la restituzione di una cosa avuta in prestito ecc). si distinguono poi obbligazioni:

- generiche (il debitore deve dare una certa quantità di cose appartenenti a un genere; es. denaro, 100 l di gasolio

- specifiche (il debitore deve dare una cosa specifiche, es. appartamento, il quadro di un preciso artista)

fare: una attività materiale o giuridica, come curare un paziente o costruire una casa.

non fare: è un comportamento omissivo. Tipici es. sono quelli di non fare concorrenza sleale, obbligo al

lavoratore di non divulgare notizie relative all‟impresa presso cui svolge attività.

Carattere distintivo della prestazione è la patrimonialità: deve essere cioè suscettibile di valutazione economica. (es. si

avrà una vera e propria obbligazione se gli abitanti di una zona sono obbligati, pena il pagamento di una penale, a non

tenere animali). Comunque essa è considerata come segno di riconoscibilità di una obbligazione in senso teorico. La

prestazione, poi, deve corrispondere ad un interesse, che può essere anche non patrimoniale. Nessuna corrispondenza

quindi tra carattere della prestazione e natura dell‟interesse.

Altri caratteri della prestazione:

1. possibile: è possibile quando qualsiasi altro debitore è in grado di adempierne.( l‟impiego della diligenza

richiesta per legge o per contratto, consentirebbe astrattamente, a un qualsiasi debitore di adempiere c.libro)

2. lecita: quando non urta contro “norme imperative, ordine pubblico o il buon costume” (es. è illecito

l‟obbligazione di costruire edifici senza concessione)

3. determinata o determinabile: quando è fissata nei suoi estremi qualitativi e quantitativi (es. sono precisati i

caratteri costruttivi dell‟ opera quindi il denaro dovuto). È sufficiente che la prestazione sia determinabile,

cioè siano fissati dalla legge o dalle parti i criteri o parametri per la sua determinazione(compensi ai

professionisti).

Le obbligazioni pecuniarie sono obbligazioni che hanno ad oggetto una somma di denaro (art. 1224)

Tre sono le funzioni classiche del denaro: 1)generale mezzo di scambio per beni e servizi, 2)unità di misura dei valori,

3)riserva di liquidità, o capitale.

Regola del principio nominalistico: irrilevanza delle variazioni del potere di acquisto della moneta tra il momento

della nascita della obbligazione e quello della scadenza. Irrilevanti quindi sia la rivalutazione che la svalutazione della

moneta (es. se 10 anni fa ho ricevuto un prestito devo restituire la stessa somma, indipendentemente che sia di valore

superiore o inferiore). Il nuovo sistema monetario ha semplicemente sostituito la lira con l„euro, quale moneta avente

corso legale nello Stato.

Gli interessi sono una obbligazione pecuniaria accessoria. Essi consistono in una somma ulteriore, che si aggiunge al

capitale, determinata in misura percentuale e in relazione al tempo. In quanto obbligazioni accessoria esse segue le

sorti della principale, quindi non è dovuto, o viene meno se l‟obbligazione principale viene annullata.

Si distinguono tre profili generali: funzione, fonte e saggio degli interessi

(Art. 1174 Carattere patrimoniale della prestazione. La prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere

suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore).

Art. 1224 Danni nelle obbligazioni pecuniarie

Nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro (1277 e seguenti), sono dovuti dal giorno della mora

gli interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun

danno. Se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale (1284), gli interessi moratori

sono dovuti nella stessa misura.

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84

Al creditore che dimostra (2697) di aver subito un danno maggiore spetta l'ulteriore risarcimento Questo non è dovuto

se è stata convenuta la misura degli interessi moratori

Le funzioni degli interessi sono:

funzioni compensativa: si ricollega alla natura del denaro, e indica che gli interesse rappresentano il compenso

dovuto per il godimento del denaro.

Funzione risarcitoria: svolta dagli interessi moratori e servono per risarcire il danno per il ritardo

dell‟adempimento.

Quanto alla fonte degli interessi distinguiamo:

Gli interessi convenzionali, sono quelli che traggono origine da un apposito accordo tra le parti, fermo

restando i limiti della legge.

Gli interessi legali art. 1282 a tenore del quale i crediti liquidi ed esigibili producono interessi di pieno diritto.

Liquidi: i crediti sono determinati nel loro ammontare o agevolmente determinabili. Esigibili: i crediti non

sottoposti a termine ne a condizione o il cui termine sia scaduto. Quindi su tutti i crediti liquidi ed esigibili

decorrono interessi senza che occorra ulteriore specifica previsione. Negli altri casi sono dovuti interessi solo

in presenza di esplicita disposizione di legge. (es. crediti non esigibili: mutuo, conto corrente, deposito

bancario)(es. non liquidi: obbligazioni risarcitorie e indennitarie)

Quanto al saggio degli interessi:

È fissato attualmente a 3% sia per gli interessi legali e quelli convenzionali, salvo che le parti abbiano

diversamente disposto. La pattuizione di un saggio superiore richiede la forma scritta. Rimane vietato la

pattuizione di interessi usurai. Il saggio usuraio di interesse oltre a dar luogo a sanzioni penali, e oltre a

rendere nulla la pattuizione fa venire meno l‟obbligo di pagare qualsiasi interesse, compreso l‟interesse legale.

I SOGGETTI

I soggetti del rapporto obbligatorio sono i titolari delle posizioni giuridiche di debito e di credito, e perciò il

debitore e il creditore. I soggetti devono essere almeno due, conformemente alla articolazione del rapporto in due

distinte situazioni, attiva e passiva, che non possono confondersi l‟una con l‟altra. I soggetti devono essere determinati

o almeno determinabili al momento in cui sorge l‟obbligazione, cioè devono essere fissati i criteri per la loro

individuazione.

Le obbligazioni con pluralità dei soggetti.

E‟ possibile però che si siano obbligazioni con pluralità di soggetti, sia nel lato attivo che dal lato passivo: cd.

Obbligazioni plurisoggettive o soggettivamente complesse. Es. il contratto stipulato da più persone, il danno imputato

a più persone. Si dicono perciò plurisoggettive le obbligazioni in cui più debitori sono obbligati, o più creditori hanno

diritto, alla medesima prestazione. La pluralità dei soggetti dell‟obbligazioni può dar luogo a figure diverse. Le

principali sono quelle delle obbligazioni solidali, parziali, divisibili e indivisibili.

sotto il profilo della natura della prestazione:

1. obbligazione divisibili: ove la prestazione sia materialmente o economicamente divisibili (eredità)

2. obbligazioni indivisibili: ove la prestazione non sia materialmente o economicamente divisibili (un animale

vivo)

sotto il profilo della disciplina del rapporto:

1. obbligazioni solidali: requisiti perché si abbia una obbligazione solidale sono: l‟unicità della prestazione e

l‟unicità della causa.

i. si dicono solidali passive le obbligazioni in cui ciascuno dei condebitori è obbligato a pagare

l‟intero e l‟adempimento di uno libera anche gli altri (art. 1292)

ii. si dicono solidali attive le obbligazioni (plurisoggettive) in cui ciascuno dei creditori può

pretendere il pagamento dell‟intero e l‟adempimento conseguito da uno di essi libera il

debitore verso tutti i creditori (es. libretto di deposito intestato a più persone)

2. obbligazioni parziali: sono l‟esatto contrario delle obbligazioni solidali; ciascuno dei debitori deve, e ciascuno

dei creditori può pretendere soltanto la propria parte di prestazioni (art. 1314)

Art. 1282 Interessi nelle obbligazioni pecuniarie

I crediti liquidi ed esigibili di somme di danaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge o il titolo

stabiliscano diversamente (2948 n. 4; Cod. Proc. Civ.161).

Salvo patto contrario, i crediti per fitti e pigioni (1639, 1587) non producono interessi se non dalla costituzione in

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85

mora (1219).

Se il credito ha per oggetto rimborso di spese fatte per cose da restituire, non decorrono interessi per il periodo di

tempo in cui chi ha fatto le spese abbia goduto della cosa senza corrispettivo e senza essere tenuto a render conto del

godimento.

Art. 1292 Nozione della solidarietà

L'obbligazione e in solido quando più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno

può essere costretto all'adempimento per la totalità e l'adempimento da parte di uno libera gli altri; oppure quando tra

più creditori ciascuno ha diritto di chiedere l'adempimento dell'intera obbligazione e l'adempimento conseguito da uno

di essi libera il debitore verso tutti i creditori.

Art. 1314 Obbligazioni divisibili

Se più sono i debitori o i creditori di una prestazione divisibile e l'obbligazione non è solidale (1292), ciascuno dei

creditori non può domandare il soddisfacimento del credito che per la sua parte, e ciascuno dei debitori non è tenuto a

pagare il debito che per la sua parte (es. crediti o debiti ereditari)

Rapporto tra obbligazioni divisibili e non divisibili con le obbligazioni solidali e parziarie sia nel lato attivo che nel

lato passivo:

lato passivo Lato attivo

Obbligazioni divisibili Obbligazioni Solidali Obbligazioni Solidali o parziarie

Obbligazioni indivisibili Obbligazioni Solidali Obbligazioni Solidali

Capitolo 25: Adempimento e modi di estinzione delle obbligazioni

L’adempimento è l’esatta realizzazione della prestazione dovuta o obbligazione. Con l‟adempimento l‟obbligazione

si estingue e il debitore consegue la liberazione dal vincolo obbligatorio.(Art.1218)

Perché consegua l‟effetto liberatorio, l‟adempimento deve essere fatto in modo esatto, cioè conforme ai criteri legali

che definiscono il modo tipico di realizzazione dell‟interesse creditorio.

Per l’esatto adempimento occorrono diversi criteri fondamentali tra cui:

diligenza: art. 1176 fa riferimento alla “diligenza del buon padre di famiglia” che sostanzialmente si riferisce a

quel livello di competenza e di cura che gli operatori di ciascun settore sono soliti impiegare nell‟adempiere le

loro obbligazioni.

buona fede: art. 1175 che impone a entrambi i soggetti del rapporto, debitore e creditore, di comportarsi

secondo le regole di correttezza (buona fede cd. Oggettiva, che consiste in un obbligo).

Quando oggetto della prestazione sia un bene, costituiscono requisiti dell‟esatto adempimento la sua esattezza

materiale e la sua regolarità giuridica.

esattezza materiale: sia nella qualità (art. 1178 devono prestare cose di “qualità non inferiori alla media” e

immuni da vizi) sia nella quantità (infatti il creditore può rifiutare un adempimento parziale)

regolarità giuridica della prestazione: il debitore deve adempiere con cose cui abbia piena disponibilità ed è

perciò inesatto il pagamento conseguito con cose altri o gravate da diritti di terzi.

Effetti dell’esatto adempimento:

1. Estinzione dell‟obbligazione e la liberazione del debitore. L‟adempiente ha diritto di ottenere

quietanza liberatoria (ricevuta), nonché di dichiarare, quando paga, quale debito intende soddisfare

ove abbia più debiti verso il medesimo creditore. E‟ la cd. Imputazione di pagamento. (1193)

2. Estinzione delle garanzie reali e personali che assistevano il credito (art. 1200)

.

3. Liberazioni di altri eventuali obbligati (es. il fideiussore è liberato)

La mora del creditore e la liberazione coattiva

L‟adempimento, per poter essere effettuato, richiede di norma la cooperazione del creditore che riceva la prestazione e

più in generale, faccia quanto gli compete per mettere il debitore in grado di adempiere (ad es. il creditore deve

consegnare l‟auto all‟officina per le riparazioni). Il creditore ha diritto e non obbligo di ricevere la prestazione; il

debitore, però ha il diritto a non rimanere indefinitamente obbligato. Sono previsti allora gli istituti della mora del

creditore e della liberazione coattiva del debitore. La mora credendi si verifica quando il creditore, senza motivo

legittimo, rifiuta l‟offerta formale del debitore. Sono possibili due tipi di offerta formale:

a) offerta solenne: tramite pubblico ufficiale in modo reale ovvero per intimazione

b) offerta secondo gli usi: effettuata direttamente dal debitore che o offre la prestazione in modo

conforme alla prassi o effettua il deposito/sequestro delle cose dovute.

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Effettuata l‟offerta formale, il creditore è costituito in mora: conseguenza ne è che si trasferisce su di lui il rischio

dell‟impossibilità sopravvenuta dell‟obbligazione ed è tenuto al risarcimento dei danni. Nel caso di offerta solenne se

pure il debitore non può essere considerato inadempiente, l‟obbligazione non è stata comunque inadempiuta: essa

perciò non è ancora estinta ne il debitore è liberato; E‟ prevista, allora la cd. Liberazione coattiva del debitore; egli,

adempiendo nelle mani di un terzo, estingue definitivamente l‟obbligazione. La liberazione coattiva consegue solo al

deposito (per le cose mobili) o al sequestro (per gli immobili), effettuati dal debitore nelle forme previste dall‟artt.

1210-1216.

Art. 1175 Comportamento secondo correttezza

Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza (1337, 1358).

Art. 1176 Diligenza nell'adempimento

Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia (703, 1001, 1228, 1587,

1710-2, 1768, 2148, 2167).

Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale la diligenza deve valutarsi con

riguardo alla natura dell'attività esercitata (1838 e seguente, 2104-1, 2174-2, 2236).

Art. 1178 Obbligazione generica

Quando l'obbligazione ha per oggetto la prestazione di cose determinate soltanto nel genere, il debitore deve prestare

cose di qualità non inferiore alla media (664).

Art. 1193 Imputazione del pagamento

Chi ha più debiti della medesima specie verso la stessa persona può dichiarare, quando paga, quale debito intende

soddisfare.

In mancanza di tale dichiarazione, il pagamento deve essere imputato al debito scaduto; tra più debiti scaduti, a quello

meno garantito; tra più debiti ugualmente garantiti, al più oneroso per il debitore; tra i più debiti ugualmente onerosi,

al più antico. Se tali criteri non soccorrono, l'imputazione è fatta proporzionalmente ai vari debiti (1194 e seguente,

1249, 2726).

Art. 1200 Liberazione dalle garanzie

Il creditore che ha ricevuto il pagamento deve consentire la liberazione dei beni dalle garanzie reali date per il credito

e da ogni altro vincolo che comunque ne limiti la disponibilità

MODI DIVERSI DI ESTINZIONE DALL’ADEMPIMENTO

Se l‟adempimento costituisce il modo ordinario, naturale di estinzione delle obbligazioni, è tuttavia possibile che esse

si possano estinguere attraverso altre vie o modi che sono:

Art. 1241 Estinzione per compensazione

Quando due persone sono obbligate l'una verso l'altra, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti,

secondo le norme degli articoli che seguono (2917).

Compensazione: è estinzione dei reciproci rapporti obbligazionari correnti fra gli stessi soggetti (art. 1241).

Presupposto generale della compensazione è l‟autonomia dei debiti, nel senso che essi devono derivare da distinte

fonti. Possono aversi tre tipi di compensazione:

compensazione legale: è disposta dalla legge e opera a automaticamente l‟estinzione dei debiti reciproci chi

siano omogenei, liquidi, esigibili (art. 1243)

compensazione giudiziale: è pronunziata dal giudice quando in giudizio sia opposto in compensazione un

credito omogeneo ed esigibile, ma non ancora liquido

la compensazione volontaria: è operata dalle parti con apposito accordo, quando non ricorrano le condizioni

per la compensazione legale o giudiziale

Confusione: è un distinto modo per l‟estinzione delle obbligazioni che si realizza quando le qualità del creditore e del

debitore si riuniscono nella stessa persona (art.1253). Tale ipotesi si può verificare ad es. successione ereditaria,

cessioni di aziende, fusioni tra società)

Novazione: è il contratto con cui le parti sostituiscono all‟obbligazione originaria una nuova obbligazione. La vecchia

obbligazione si estingue e il debitore sarà dovuto ad adempiere alla nuova.

novazione soggettiva: quando la modifica riguarda il soggetto (modificazione dell‟obbligazione dal lato

passivo)

novazione oggettiva: quando la modifica riguarda l‟oggetto (es. al posto del denaro mi obbligo a dare un auto)

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Gli elementi caratterizzanti sono l’animus novandi, cioè la volontà di estinguere l’obbligazione, e l’aliquid novi, cioè

l’oggetto o titolo diverso che caratterizza la nuova obbligazione.

La remissione: è la rinuncia del creditore al proprio diritto. Essa ha effettto di estinguere il debito non appena è

comunicata al debitore (art1236)

La remissione è un negozio:

Unilaterale: perché consiste in una dichiarazione proveniente dal sol creditore

Recettivo: perché produce i sui effetti quando il debitore ne viene e conoscenza

Gratuito: cioè senza vantaggio ne corrispettivo

Impossibilità sopravvenuta non imputabile: (art. 1256). Tipiche ipotesi di impossibilità sono il caso fortuito, la

forza maggiore, il fatto dell‟autorità (es. decreto), malattia, morte.

N.B. confusione e remissione non fanno arte del programma

CAPITOLO 26: INADEMPIMENTO DELLE OBBLIGAZIONI

L’inadempimento è l’inesatta esecuzione della prestazione dovuta, e cioè una esecuzione non conforme alle regole

che definiscono l‟esatto adempimento

Inadempimento può essere:

assoluto quando la prestazione è mancata del tutto.

relativo quando la prestazione vi è stata ma risulta difforme da quella dovuta. Es. per il ritardo con cui è stata

adempiuta.

Conseguenza dell‟inadempimento: l’art 1218 sancisce che “il debitore che non esegue esattamente la prestazione

dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da

impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

La prestazione è impossibile quando non può essere eseguita con l‟impiego della diligenza richiesta (quella del buon

padre di famiglia), cioè quando nessun debitore, applicando lo sforzo diligente dovuto, non sarebbe in grado di

adempiere.

Tale impossibilità non deve essere assoluta (tale che nessuno sforzo immaginabile potesse vincerla), bensì una

impossibilità oggettiva tale cioè che nessun debitore medio avrebbe potuto superarla e relativa cioè analizzata a

seconda del contratto e l‟oggetto. Il debitore per provare l‟impossibilità della prestazione dovrà provare la causa

specifica, e che tale causa non è a lui imputabile e cioè che essa è stata imprevedibile e inevitabile (caso fortuito, forza

maggiore: es. frana, terremoto, una guerra).

Il ritardo e la mora del debitore

L‟art. 1219 sancisce il principio per cui il ritardo semplice non costituisce sempre e necessariamente inadempimento.

Costituisce inadempimento vero e proprio quel ritardo che prende il nome di mora, caratterizzato da un ritardo

intollerabile. La mora del debitore è allora un ritardo imputabile e qualificato. Tale circostanza può essere costituita

da un atto di costituzione in mora da parte del creditore, e cioè con una intimazione o richiesta di adempimento fatta

per iscritto. (cd.mora ex persona)

In altri casi, la mora non richiede una specifica iniziativa del creditore, verificandosi automaticamente, quando:

1. quando il debito deriva da fatto illecito

2. quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non voler adempiere

3. quando è scaduto il termine e si tratti di prestazione da eseguire al domicilio del creditore

4. quando si tratti di obbligazioni di non fare.

Gli effetti della mora consistono:

nell‟obbligo di risarcire il danno

nell‟aggravamento del rischio (durante la mora, la sopravenuta impossibilità di adempimento è a carico del

debitore pur se derivi da causa da lui non imputabile)

La responsabilità dell’inadempimento

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L‟inadempimento imputabile al debitore è causa di responsabilità: l‟inadempiente è chiamato a rispondere delle

conseguenze del suo comportamento. La responsabilità è un profilo essenziale delle obbligazioni: è vietato il patto che

esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore pre dolo o colpa grave, poiché verrebbe meno la serietà

giuridica dell‟impegno. Ci sono due tipi di responsabilità:

contrattuale: essa comprende tutte le ipotesi di inadempimento di una specifica, preesistente obbligazione,

quale ne sia la fonte.

extracontrattuale: da fatto illecito, essa comprende le violazioni del neminem ledere (es. sinistro stradale)

Risarcimento del danno

L‟inadempimento imputabile al debitore, dunque, non estingue la obbligazione che rimane dovuta, anzi aggiunge un

nuovo obbligo: L’obbligo di risarcire i danni. L‟art. 1223 afferma che il risarcimento deve comprendere la perdita

subita dal creditore e il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta. Altri artt. Importanti

sono 1225 e 1227.

Art. 1223 Risarcimento del danno

Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore

come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta (1382, 1479, 2056 e seguenti).

Il danno risarcibile si determina in funzione dei seguenti elementi:

1. perdita subita o danno emergente: consiste nel valore del bene dovuto e non consegnato

2. mancato guadagno o lucro cessante: è il guadagno che il creditore avrebbe potuto realizzare vendendo il bene

sul mercato (per le obbligazioni pecuniarie verificatosi la mora il risarcimento si effettua tramite gli interessi

moratori)

3. il nesso di casualità tra inadempimento e danno: occorre che sussista un rapporto di derivazione e

precisamente che l‟ uno sia conseguenza immediata e diretta dell‟altro. Tale requisito deve rispondere

all‟esigenza di porre un limite alla responsabilità del debitore. Es. in seguito ad una mancata forniture di

petrolio grezzo, il creditore non ha potuto raffinare e consegnare la benzina, ha dovuto pagare una penale ai

suoi clienti, ha dovuto sospendere la produzione, non ha potuto far fronte agli impegni presi in precedenza

cosi si è poi dichiarato fallito. Si trattano di conseguenze che non si sarebbero verificate senza l‟adempimento,

e tuttavia non di tutte si può far carico il debitore. La giurisprudenza fa riferimento al criterio della regola

casuale: si imputano all‟adempimenti tutte le conseguenze che possono ritenersi “normali”, conformi cioè a

quello che ordinariamente succede a partire da una determinata causa.

4. la prevedibilità del danno al tempo in cui è sorta l‟obbligazione(art1225). Se il bene che il debitore doveva

consegnare aumenta notevolmente il proprio valore sul mercato, l‟inadempiente non risponderà di tale

imprevedibile incremento di valore.

Art. 1225 Prevedibilità del danno

Se l'inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva

prevedersi nel tempo in cui è sorta l'obbligazione.

Art. 1227 Concorso del fatto colposo del creditore

Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della

colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate.

Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (2056 e

seguenti).

5. il concorso di fatto colposo del creditore (art.1227) in tale previsione si distinguono due ipotesi:

i. il creditore a contribuito con il proprio comportamento a cagionare il danno e cosi il risarcimento

sarà diminuito il proporzionane alla responsabilità (es. il bene era difettoso ma impazienza del

creditore ad usarlo ha aggravato il danno)

ii. mancata cooperazione del creditore nei limiti dell‟ ordinaria diligenza (es. in caso di mancata

consegna della materia prima, il creditore omette di acquistarne altre sul mercato dovendo cosi

fermare gli impianti; qui il risarcimento non è dovuto perché è un danno imputabile al

comportamento del creditore)

CAPITOLO 27: CIRCOLAZIONE DELLE OBBLIGAZIONI

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La circolazione delle obbligazioni, cioè il trasferimento da un soggetto all‟altro di diritti di credito (posizioni di debito

o credito) modifica la posizione dei soggetti sia dal lato passivo che quello attivo.

Anche qui sono possibili acquisti a titolo originario o a titolo derivato. Mentre le modificazioni del lato attivo del

rapporto obbligatorio danno luogo a ipotesi di vera e propria successione nello stesso rapporto che, a parte la modifica

soggettiva, rimane identico in tutti gli altri elementi, le modificazioni dal lato passivo possono dar luogo a fenomeni

diversi: una successione vera e propria, una novazione che estingue il vecchio debito, semplice aggiunta di un nuovo

debitore o l‟aggiunta di una nuova obbligazione.

N.B. sono comprese nel programma solo le modificazioni del lato attivo

Le modificazioni dal lato attivo

Esse danno luogo a una successione nel credito, e cioè a fattispecie in cui al creditore originario subentra un nuovo

creditore. Il principio generale della successione nel lato attivo è quello per cui il trasferimento del credito non

richiede il consenso del debitore, essendo per lui indifferente adempiere a uno piuttosto che all‟altro. Comunque la

posizione debitoria non deve venire aggravata dal mutamento della persona del creditore.

Dal lato passivo il principio generale è quello per cui, senza il consenso del ceditore, è possibile solo associare un

nuovo soggetto al nel vincolo obbligazionario, cioè aggiungere un nuovo debitore accanto al debitore originale.

La cessione del credito consiste nel trasferimento di un credito dal creditore originario (detto cedente) a un nuovo

creditore (detto cessionario).

La cessione non è un contratto ma solo il possibile oggetto di tale contratto.

1. la cessione può avvenire dietro corrispettivo di un prezzo, e quindi si avrà una vendita

2. la cessione può avvenire per spirito di liberalità, e quindi si avrà una donazione

3. la cessione può avvenire per estinguere un proprio debito verso il cessionario, e si avrà un contratto solutorio

Non tutti i crediti sono cedibili. Vi è una incedibilità:

oggettiva: se il credito a carattere strettamente personale (es. crediti alimentari)

soggettiva: che può dipendere o dalla qualità dei possibili cessionari(art.1261) o dalla volontà delle parti che

abbiano escluso detta cedibilità.

Effetti della cessione.

Concluso l‟accordo di cessione il credito si trasferisce al cessionario con effetto immediato, unitamente agli accessori

del credito (quali garanzie reali e personali, interessi convenzionali ecc.). La cessione non richiede il consenso del

debitore ceduto, però è necessario che egli venga informato. L‟art. 1264 dispone che la cessione ha effetto nei riguardi

del debitore quando gli è stata notificata o egli l‟abbia accettata: in tali ipotesi il debitore che paghi al cedente non è

liberato.

La notifica serve anche a risolvere il conflitto fra più cessionari di un medesimo credito. (prevale l‟alienazione del

credito più anteriore nel tempo)

Art. 1264 Efficacia della cessione riguardo al debitore ceduto

La cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l'ha accettata o quando gli è stata notificata

(967-2, 1248, 1407-1, 2914).

Tuttavia, anche prima della notificazione, il debitore che paga al cedente non è liberato, se il cessionario prova che il

debitore medesimo era a conoscenza dell'avvenuta cessione (1978, 2559).

Art. 1267 Garanzia della solvenza del debitore

Il cedente non risponde della solvenza del debitore, salvo che ne abbia assunto la garanzia (2255). In questo caso egli

risponde nei limiti di quanto ha ricevuto, deve inoltre corrispondere gli interessi, rimborsare le spese della cessione e

quelle che il cessionario abbia sopportate per escutere il debitore, è risarcire il danno. Ogni patto diretto ad aggravare

la responsabilità del cedente è senza effetto (1421 e seguente).

Quando il cedente ha garantito la solvenza del debitore, la garanzia cessa, se la mancata realizzazione del credito per

insolvenza del debitore è dipesa da negligenza del cessionario nell'iniziare o nel proseguire le istanze contro il debitore

stesso (1198).

Le garanzia della cessione

La garanzia che il cedente è tenuto a prestare al cessionario si configura diversamente in relazione alla causa della

cessione: se la cessione è a titolo oneroso il cedente deve garantire, per legge, soltanto l‟esistenza del credito, non

anche la solvenza del ceduto. E‟ possibile poi che le parti pattuiscono una estensione della garanzia alla solvenza del

debitore ceduto e tale significato hanno le clausole salvo buon fine e salvo incasso.

Page 90: Diritto privato e pubblico riassunti

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IL FACTORING (cessione dei crediti di impresa, disciplinata dalla l. 52/91).

Peculiarità della fattispecie:

- il cedente è un imprenditore;

- il cessionario è una banca o un intermediario finanziario sottoposto a vigilanza;

- i crediti ceduti sono crediti pecuniari;

- i crediti ceduti sorgono da contratti stipulati nell‟ambito dell‟attività di impresa;

- i crediti possono essere anche futuri (purché nascenti da contratti da stipulare entro un periodo massimo di

24 mesi) e anche in massa, purché è indicato il debitore ceduto;

- la cessione è a titolo oneroso (verso corrispettivo);

- il cedente garantisce la solvenza del debitore ceduto nei limiti del corrispettivo pattuito, salvo che il cessionario

rinunci in tutto o in parte alla garanzia (cfr. art. 1267 c.c.”>vedi sopra” in tema di cessione dei crediti in

generale).

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CAPITOLO 28: GARANZIA PATRIMONIALE GENERICA

LA RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE

L’art 2740 sancisce il principio della responsabilità patrimoniale: il debitore risponde dell’adempimento delle

obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri. Il debitore, quindi, risponde delle sue obbligazione, quale che ne sia

la fonte, con tutto il suo patrimonio. I beni del debitore costituiscono una garanzia patrimoniale dei creditori; in caso

di inadempimento il patrimonio verrà espropriato e venduto all‟asta per soddisfare i creditori.

Oggi è consentito alla volontà privata creare patrimoni separati, e cioè distaccare alcuni beni sottraendoli alla

responsabilità patrimoniale (es. fondo patrimoniale a beneficio della famiglia, fondi pensione, fondi speciali per la

previdenza e assistenza, fondi comuni di investimento).

Il patrimonio di ciascun soggetto costituisce dunque la garanzia patrimoniale dei creditori: Si parla di due garanzie:

generica e specifica.

Garanzia patrimoniale generica: detta generica sia perché riguarda tutti i beni in generale sia perché sussiste

soltanto se, e fino a quando, tali beni vi siano.

Garanzia specifica: si attua tramite strumenti che garantiscono in maniera puntuale un creditore rispetto agli

creditori ovvero un credito rispetto a tutti gli altri crediti. Si dividono in:

i. Garanzie personali: consistono nel vincolo personale di un soggetto; obbligo della persona di rispondere

dei debiti di quest‟ultimo. (es. contratto di fideiussione)

ii. Garanzie patrimoniali specifiche: consistono in un vincolo che riguarda alcuni beni particolari, del

debitore o di terzi.

Altro principio che caratterizza la responsabilità patrimoniale è quello della parità di trattamento dei creditori. Tutti i

creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore e in caso di mancanza di patrimonio i creditori

subiranno una eguale perdita proporzionale. Questa è una regola generale ma non assoluta visto che se esistono delle

cause legittime di prelazione; (privilegi pegno, ipoteca) il patrimonio prima soddisferà i creditori che hanno dei

privilegi poi con l‟eventuale residuo si soddisferà gli altri creditori non privilegiati (cd. Creditori chirografari).

I beni del debitore, dunque, costituiscono la garanzia patrimoniale generica dei creditori. I mezzi di conservazione

della garanzia patrimoniale che possono svolgere i creditori allo scopo di tutelare il patrimonio sono di tre tipi:

Azione surrogatorio

Azione revocatoria

Sequestro conservativo

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Capo V: Dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale

Sezione I: Dell'azione surrogatoria

Art. 2900 Condizioni, modalità ed effetti

Il creditore, per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni (2740), può esercitare i diritti e le azioni

che spettano verso i terzi al proprio debitore e che questi trascura di esercitare, purché i diritti e le azioni abbiano

contenuto patrimoniale e non si tratti di diritti o di azioni che, per loro natura o per disposizione di legge, non

possono essere esercitati se non dal loro titolare (187, 324, 447, 470, 524, 557, 713, 802, 974, 1015, 1113, 1416,

2789, 2939).

Il creditore, qualora agisca giudizialmente, deve citare anche il debitore al quale intende surrogarsi (Cod. Proc. Civ.

102, 163).

Sezione II: Dell'azione revocatoria

Art. 2901 Condizioni

Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione (13531 o a termine, può domandare che siano dichiarati

inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio coi quali il debitore rechi pregiudizio alle sue

ragioni (206, 1113, 2740) quando concorrono le seguenti condizioni:

che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al

sorgere del credito, l'atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento;

che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio, e, nel caso di atto anteriore

al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.

Agli effetti della presente norma, le prestazioni di garanzia (1936, 1960, 2784, 2808), anche per debiti altrui, sono

considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito.

Non è soggetto a revoca l'adempimento di un debito scaduto.

L'inefficacia dell'atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della

trascrizione (2652) della domanda di revocazione.

Art. 2902 Effetti

Il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia, può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni

esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell'atto impugnato.

Il terzo contraente, che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall'esercizio dell'azione revocatoria, non

può concorrere sul ricavato dei beni che sono stati oggetto dell'atto dichiarato inefficace, se non dopo che il creditore

è stato soddisfatto.

Art. 2903 Prescrizione dell'azione

L'azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell'atto (2934 e seguenti).

Art. 2904 Rinvio

Sono salve le disposizioni sull'azione revocatoria in materia fallimentare e in materia penale (c.p. 192 e seguenti).

Sezione III: Del sequestro conservativo

Art. 2905 Sequestro nei confronti del debitore o del terzo

Il creditore può chiedere il sequestro conservativo (2770) dei beni del debitore, secondo le regole stabilite dal codice

di procedura civile (Cod. Proc. Civ. 671 e seguenti).

Il sequestro può essere chiesto anche nei confronti del terzo acquirente dei beni del debitore, qualora sia stata

proposta l'azione per far dichiarare l'inefficacia dell'alienazione.

Art. 2906 Effetti

Non hanno effetto il pregiudizio del creditore sequestrante le alienazioni e gli altri atti che hanno per oggetto la cosa

sequestrata, in conformità delle regole stabilite per il pignoramento.

Non ha parimenti effetto in pregiudizio del creditore opponente il pagamento eseguito dal debitore, qualora

l'opposizione sia stata proposta nei casi e con le forme stabilite dalla legge (2742, 2825).

Azione surrogatoria: è il potere di surrogarsi, cioè di sostituirsi al debitore nell‟esercizio dei diritti che gli aspettano

verso terzi (art. 2900)

Presupposti per l‟esercizio del potere surrogatorio sono:

1. inerzia del debitore che trascura di esercitare i propri diritti.

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2. il pregiudizio del creditore derivante dal fatto che il rimanente patrimonio non rappresenta una sufficiente

garanzia di adempimento.

3. i diritti che il debitore trascura devono essere diritti di credito o potestativi cioè diritti esercitabili verso una

persona determinata, e di contenuto patrimoniali.

Azione revocatoria: è diretta a reagire contro un comportamento commissivo, contro gli atti con cui il debitore

deteriora la propria situazione patrimoniale. (es. si pensi al debitore che vende una parte rilevante dei sui beni. Il

creditore vede drasticamente diminuita la garanzia patrimoniale poiché in caso di inadempimento non troverà nulla da

espropriare.

Presupposti per l‟azione revocatoria sono:

1. l’atto di disposizione con cui il debitore modifiche in modo negativo la propria situazione patrimoniale

2. il pregiudizio per il creditore consiste nel fatto che il patrimonio rimanente è insufficiente a garantire il

pagamento dei debiti

3. la conoscenza del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore da parte del debitore

Effetto dell’azione revocatoria, sempre se sia accolta dal giudice, è la inefficacia relativa dell’atto revocato: l‟atto

cioè diviene in opponibile al creditore revocante, ma per il resto mantiene la sua efficacia, sia tra le parti, (il terzo

acquirente rimarrà proprietario) sia rispetto ai creditori che non hanno partecipato al giudizio revocatorio.

L‟ atto perciò non è nullo ne in altro modo invalido. Semplicemente verso il creditore è come se quel atto non fosse

stato compiuto e il revocante potrà sottoporlo a esecuzione forzata come se ancora appartenesse al debitore. Poi il

terzo trovatosi espropriato del bene inizierà una azione di rivalsa.

Il sequestro conservativo: è un provvedimento preventivo e cautelare emesso dal giudice su istanza del creditore che

ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito. Per affetto del sequestro sorge un vincolo di

indisponibilità che rende automaticamente inefficaci le alienazioni e gli altri atti di disposizioni dei beni sequestrati.

CAPITOLO 29: GARANZIE PATRIMONIALI SPECIFICHE

Oltre alle garanzie patrimoniali generiche, sono previste forme di garanzie del credito che, di contro, possono dirsi

specifiche: sono i privilegi, il pegno, ipoteca.

I caratteri comuni a tali garanzia:

esse cadono sui beni determinati, dal debitore o da un terzo e non in genere su tutto il patrimonio

esse non sono automatiche cioè occorre un titolo apposito o specifico per la loro costituzione (es. contratto)

caratterizzate dal diritto di prelazione, cioè di soddisfarsi con precedenza sul ricavo della vendita di alcuni

beni.

attribuiscono il diritto di seguito o sequela sul bene

Il privilegio: è la prelazione che la legge accorda in considerazione della causa del credito(art.2745) Alcuni crediti

sono guardati con particolare favore dalla legge in considerazione della causa per la quale essi sono sorti. Il credito è

privilegiato fin dalla sua nascita(determinato dalla legge) oppure non potrà più esserlo.

Sono previsti due tipi di privilegi, generale e speciale:

privilegio generale: cade su tutti i beni mobili del debitore. Essa da prelazione, ma non diritto di sequela. (es.

crediti per spese funebri, sanitarie, alimentari, crediti derivanti da rapporti di lavoro)

privilegio speciale: cade su determinati beni, mobili, immobili (art. 2746) (es. il credito per le imposte

fondiarie ha privilegio sul fondo stesso). Essa da prelazione e anche il diritto di seguito.

Art. 2745 Fondamento del privilegio

Il privilegio (att. 234) è accordato dalla legge in considerazione della causa del credito. La costituzione del privilegio

può tuttavia dalla legge essere subordinata alla convenzione delle parti; può anche essere subordinata a particolari

forme di pubblicità.

Art. 2746 Distinzione dei privilegi

Il privilegio è generale o speciale. Il primo si esercita su tutti i beni mobili del debitore, il secondo su determinati

beni mobili o immobili.

Pegno: è un diritto reale che vincola un bene mobile a garanzia di un credito. Il diritto attribuisce al creditore

pignoratizio la facoltà di espropriare la cosa anche se essa sia stata alienata a terzi.

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Oggetto: i beni mobili, le universalità di mobili e i crediti del debitore o di un terzo

Il diritto di pegno è caratterizzato dallo spossessamento del bene al debitore, e che la cosa rimanga in possesso del

creditore.

Il creditore custodirà il bene senza utilizzarlo, ne darlo ad altri fino alla sua restituzione dopo il pagamento del

credito. Alcuni beni possono venire utilizzati per la loro conservazione (gregge di pecore) o se si tratta di beni

fungibili: denaro, azioni.

Se il credito garantito non viene pagato, il creditore può far vendere la cosa quindi farsi assegnare in pagamento dal

giudice la cosa cosi sarà saldato il credito.

Ipoteca: è un diritto reale che vincola un bene immobile a garanzia di un credito. L‟ipoteca da prelazione

sull‟eventuale ricavo della vendita del bene e assicura il diritto di sequela.

Oggetto: beni immobili, mobili registrati, e le rendite dello stato.

Caratteri dell‟ipoteca sono:

specialità: essa può costituirsi solo su beni specialmente indicati e per una somma determinata (art. 2809)

indivisibilità: cioè che sussiste per intero sopra tutti i beni vincolati, sopra ciascuno di essi e sopra ogni loro

parte.

Costituzione dell’ipoteca

A costituire l‟ipoteca concorrono due elementi: il titolo e l‟iscrizione in pubblici registri.

L‟iscrizione è una particolare forma di pubblicità costitutiva: in mancanza di essa l‟ipoteca non sorge.

Per potere accedere all‟iscrizione occorre uno specifico titolo che autorizzi il creditore, che gli conferisca tale facoltà.

Fonti del diritto per iscrivere ipoteca sono la legge, la sentenza del giudice, e la volontà privata e si distinguono perciò:

Ipoteca legale: nasce con una specifica previsione della legge che attribuisce a determinati creditori, il diritto

di iscrivere ipoteca (art. 2817). Tali creditori sono:

Alienante sugli immobili alienati

I coeredi, i soci e altri condividenti a garanzia del pagamento dei conguagli

L‟ipoteca dell‟alienante e del condividente ha questo di caratteristico: è iscritto d‟ufficio(senza bisogno di

richiesta) dal conservatore dei registri immobiliari.

Ipoteca giudiziale: trova titolo in una sentenza o altro provvedimento giudiziale che comporti condanna del

debitore al pagamento di una somma di denaro o all‟adempimento dell‟obbligazione. Presentando tale

provvedimento di condanna, il creditore può ottenere iscrizione di ipoteca sui pubblici registri .

Ipoteca volontaria nasce in forza di un contratto o di una dichiarazione unilaterale, redatti per atto pubblico o

scrittura privata autenticata (art. 2821). Presentando tale contratto si iscriverà l‟ipoteca sui registri pubblici.

La pubblicità ipotecaria: ha semplicemente funzione costitutiva; consiste nella iscrizione nei registri. L‟ipoteca non

nasce fino a quando non è iscritta. L‟iscrizione va eseguita nei registri del luogo dove si trova il bene e si effettua

rispettivamente, per le diverse categorie di beni, sui registri immobiliari, sul pubblico registro automobilistico, registri

navali e aeronautico.

Terzo acquirente e terzo datore d’ipoteca: il creditore può far valere il suo diritto anche in confronti di un terzo

acquirente. In pratica, il terzo acquirente di un bene può:

a) pagare egli stesso i creditori ipotecari

b) effettuare il rilascio dei beni ipotecati

c) effettuare la cd. purgazione delle ipoteche, cioè liberare i beni tramite un apposito procedimento e l‟offerta

di una somma di denaro a tacitazione dei crediti garantiti

Il terzo datore di ipoteca ha comunque offerto garanzia per il debito altrui e , nei limiti del bene ipotecato, ne risponde.

Estinzione dell’ipoteca: decorso dei termini,(20 anni); oppure la mancanza del titolo stesso(es. pagamento quindi

estinzione della causa o del titolo che la fonda).

La legge stabilisce anche l’ordine di priorità tra creditori privilegiati. Salvo che la legge disponga diversamente, il

privilegio mobiliare soccombe rispetto al pegno sullo stesso bene mobile e il privilegio immobiliare prevale rispetto

all‟ipoteca.

CAPITOLO 30: IL CONTRATTO

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Le singole fonti di obbligazione sono il contratto, il fatto illecito e ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in

conformità dell‟ordinamento giuridico.

Il contratto è l’accordo di due o più parti per costruire, regolare, estinguere tra loro un rapporto giuridico

patrimoniale (art. 1321 c.c.). Il contratto si configura come fonte di rapporti giuridici e in particolare di obbligazioni,

ma si configura anche come lo strumento principale con cui si attua il trasferimento della proprietà e degli altri diritti

reali sui beni, infatti, lo abbiamo trovato già nei modi derivati di acquisto della proprietà.

Elementi qualificanti del contratto dunque sono la creazione di un rapporto giuridico, e la sua derivazione

dall‟accordo, e cioè da un atto di volontà degli interessati. Il termine contatto dunque viene usato sia per indicare

l‟atto posto in essere delle parti, sia per indicare il rapporto, e cioè la relazione giuridica che dall‟atto stesso deriva.

Principio della autonomia contrattuale: libertà delle parti di determinare il contenuto e, così, di decidere

liberamente delle relative clausole-prezzo, consegna, luogo e tempo dell‟adempimento: esso si colloca all‟interno

dell‟autonomia privata, come libertà dei soggetti di autodeterminarsi, di decidere da se i propri interessi e consiste in:

liberta contrattuale in senso negativo: facoltà di concludere o no il contratto

libertà contrattuale in senso positivo: consiste nel determinare liberamente il contenuto del contratto

nei limiti imposti dalla legge. (art. 1322)

Art. 1322 Autonomia contrattuale

Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge (e dalle norme

corporative).

Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché

siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico.

libertà di concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare. Possono

cioè stipulare contatti cdd. innominati ( o atipici).

Categorie di contratti: sono variamente classificati, in relazione alla struttura, al tipo di raporto e in relazione agli

effetti. Possiamo distinguere tra:

bilaterali: i contratti in cui intervengono due parti, intese come contrapposti centri d‟interesse (contratti di

scambio)

plurilaterali: contratti in cui intervengono due o più parti ma i relativi interessi non sono contrapposti tra loro.

(es. contratti con comunione di scopo, contratti di società)

a titolo oneroso: sono quelli in cui alla prestazione di una delle parti corrisponde un sacrificio economico

dell‟altra

a titolo gratuito: il sacrificio economico è unilaterale

aleatorio: quando l‟entità di una o entrambe le prestazioni dipende da un evento casuale

negozio: dichiarazione di volontà diretta a produrre effetti giuridici riconosciuti e tutelati dall’ordinamento.

CAPITOLO 31: LA FORMAZIONE DEL CONTRATTO

Le trattative sono quella fase antecedente alla stipulazione di un contratto in cui le parti tentano di raggiungere

un‟intesa sul programma contrattuale.

Tuttavia non è una fase obbligatoria e molti contratti nella vita quotidiano si concludono senza trattative. L‟art. 1337

stabilisce che esse “devono comportarsi secondo buona fede” intesa come vero e proprio dovere di comportamento e

correttezza. Una eventuale violazione della buona fede nella fase delle trattative obbligherebbe a risarcire il danno alla

controparte; si tratta della responsabilità precontrattuale.

Nella fase delle trattative il dovere di buona fede si specifica in una serie di obblighi:

non rottura ingiustificata delle trattative

la correttezza impone degli obblighi di informazioni che consiste nella divulgazione della informazione in

modo specifico, trasparente e chiaro

art. 1338 sancisce un obbligo particolare di informazione che rende responsabile la parte, che conoscendo una

causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia.

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Art. 1337 Trattative e responsabilità precontrattuale

Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede

(1366,1375, 2208).

Art. 1338 Conoscenza delle cause d'invalidità

La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa d'invalidità del contratto (1418 e seguenti),

non ne ha dato notizia all'altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua

colpa, nella validità del contratto (1308).

Effetti violazione dell’obbligo di correttezza:

risarcimento del danno: danno emergente più lucro cessante

In caso di responsabilità contrattuale il lucro cessante consisterà nel guadagno che avrei realizzato.

In caso di responsabilità precontrattuale il lucro cessante sarà costituito dal guadagno che avrei realizzato

impegnandomi in un altro affare.

Le trattative, dunque, se pur impegnano le parti a comportarsi in buona fede, non obbligano di concludere il contratto.

Può accadere che le parti, una volta concluse le trattative con esito positivo, trovino utile garantirsi la facoltà di

concludere il contratto e al contempo rinviare la stipulazione vera e propria a un tempo successivo. A tal proposito è

possibile che la stipulazione sia preceduta da specifici rapporti giuridici, strumentali alla successiva stipulazione, che

sono forme di vincoli a carico delle parti. Gli strumenti giuridici possono essere la prenotazione, la prelazione, la

proposta irrevocabile, l‟opzione, il contratto preliminare ma una distinzione tra essi è costituita dal fatto che lo

strumento può vincolare una sola o entrambe le parti; in un ottica più ampia le trattative possono essere vincolate da

obblighi, quali:

obbligo di contrarre:

o obblighi legali: in alcuni ipotesi la libertà negativa (cioè la facoltà di decidere liberamente se stipulare

o no un contratto) viene meno ed il soggetto è obbligato a contrarre; cd. obbligo legale di contrarre

che trova la sua fonte nella legge (es. per le imprese con il monopolio legale)

o obblighi negoziali: gli obblighi negoziali di contrarre trovano la loro fonte in un obbligazione

precedentemente assunta, come quella nascente dal contratto preliminare che è un contratto che ha

come oggetto l‟obbligo di stipulare un successivo contratto. (es. preliminare di vendita immobiliare

chiamato compromesso; questo contratto ha soltanto effetti obbligatori mentre il passaggio della

proprietà si avrà a seguito del contratto definitivo). Il preliminare deve essere fatto nella stessa forma

del definitivo, altrimenti sarebbe nullo.

obbligo di preferire. Ad esempio la prelazione che è l‟obbligo di preferire, quindi non è obbligato, un certo

contraente, a parità di condizioni, qualora di decida di stipulare un certo contratto. Fonte del diritto di

prelazione può essere:

o l’accordo tra le parti (cd. Patto di prelazione)

o la stessa legge (cd. Prelazione legale del vicino coltivatore diretto di fondi rustici)

obbligo di non discriminare nella scelta del contraente. Specifiche disposizioni hanno introdotto il divieto

di discriminazioni basate sulla appartenenza razziale, etnica o religiosa, ovvero sulle condizioni di disabilità

della persona. Comportamenti illeciti sono quindi il rifiuto all‟occupazione, all‟alloggio all‟istruzione, ecc..

I REQUISITI DEL CONTRATTO (art. 1325):

elementi essenziali sono:

1. accordo delle parti

2. causa

3. oggetto

4. forma

In mancanza di tali elementi il contratto è nullo.

CAPITOLO 32: I REQUISITI DEL CONTRATTO

Accordo delle parti: incontro delle dichiarazione di volontà di ciascuno delle parti e successiva intesa che le parti

raggiungono in ordine a un certo programma contrattuale.

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Di dividono in:

parti in senso formale per indicare i soggetti che emettono le dichiarazioni contrattuali e formano il contratto-

atto.

parti in senso sostanziale coloro in capo ai quali si producono gli effetti del negozio, i punti di riferimento

soggettivo del rapporto contrattuale istauratosi in base all‟atto.

Tipo di dichiarazione:

dichiarazione espressa: quando è attuata con segni linguistici: verbalmente, con uno scritto o con gesti.

manifestazione tacita: quando è attuata tramite comportamenti concludenti cioè con comportamenti da cui si

desume indirettamente la volontà del soggetto (es. salendo su un autobus); silenzio circostanziato.

Momenti dell’accordo:

accordo simultaneo: persone presenti l‟una all‟altra, dove proposta e accettazione non si distinguono

accordo successivo: caratterizzato da proposta e accettazione e la regola generale è che il contratto è concluso

quando il proponente riceve la notizia dell‟accettazione

La legge considera intervenuto l‟accordo tra le parti quando vi sia stato uno scambio o incontro fra le due

dichiarazioni di volontà: la proposta e l‟accettazione. Quando ci sono entrambe il contratto è concluso, cioè stipulato.

Modi di stipulazione/formazione del contratto:

a) scambio di proposta e accettazione

b) inizio dell’esecuzione

c) mancato rifiuto, nei contratti con obbligazione del solo proponente

d) contratti reali

e) contratti standard

a) scambio di proposta e accettazione

Secondo l‟art. 1326 il contratto è concluso nel momento e nel luogo in cui il proponente ha notizia dell‟accettazione

della controparte.

Per proposta si intende l‟atto unilaterale mediante il quale un soggetto dichiara ad un altro soggetto di voler

concludere il contratto di cui specifica gli elementi essenziali; essa deve essere completa.

Per accettazione si intende l‟atto unilaterale mediante il quale il soggetto che ha ricevuto una proposta contrattuale

dichiara di voler concludere il contratto cui la proposta si riferisce negli stessi termini indicati dalla proposta stessa;

essa deve essere conforme alla proposta.

Gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono

destinati, hanno cioè carattere recettizio. (art. 1334)

La revoca della proposta e la revoca dell’accettazione

Proposta e accettazione possono essere revocate fino a quando il contratto non è concluso. (art. 1328). Per revoca

(della proposta o dell‟accettazione) si intende l‟atto unilaterale mediante il quale colui che ha formulato la proposta o

l‟accettazione dichiarano di voler porre nel nulla gli effetti della proposta o dell‟accettazione. Tolgono efficacia a

proposta e accettazione anche la morte o l‟incapacità di una delle parti.

Art. 1328 Revoca della proposta e dell'accettazione

La proposta può essere revocata finché il contratto non sia concluso. Tuttavia, se l'accettante ne ha intrapreso in buona

fede l'esecuzione prima di avere notizia della revoca, il proponente è tenuto a indennizzarlo delle spese e delle perdite

subite per l'iniziata esecuzione del contratto.

L'accettazione può essere revocata, purché la revoca giunga a conoscenza del proponente prima dell'accettazione.

Art. 1329 Proposta irrevocabile

Se il proponente si è obbligato a mantenere ferma la proposta per un certo tempo, la revoca è senza effetto.

Nell'ipotesi prevista dal comma precedente, la morte o la sopravvenuta incapacità (414) del proponente non toglie

efficacia alla proposta, salvo che la natura dell'affare o altre circostanze escludano tale efficacia.

Art. 1331 Opzione

Quando le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l'altra abbia facoltà di

accettarla o meno, la dichiarazione della prima si considera quale proposta irrevocabile per gli effetti previsti dall'Art.

1329.

Se per l'accettazione non è stato fissato un termine, questo può essere stabilito dal giudice (1183).

Art. 1333 Contratto con obbligazioni del solo proponente

La proposta diretta a concludere un contratto da cui derivino obbligazioni solo per il proponente è irrevocabile appena

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giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata.

Il destinatario può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell'affare o dagli usi. In mancanza di tale

rifiuto il contratto è concluso.

Proposta irrevocabile, diritto di opzione

La proposta è irrevocabile quando il proponente si è obbligato a mantenerla ferma per un certo tempo (art. 1329). Il

proponente si vincola per un tempo indicato nella proposta stessa, lasciando il tempo alla controparte di valutare

l‟affare.

Il proponente è in una situazione di soggezione in quanto è esposto alla volontà dell‟accettante il quale può accettare e

determinare la conclusione del contratto oppure rifiutare e determinare il venir meno della proposta (o, secondo taluni,

la trasformazione della proposta irrevocabile in proposta revocabile)

La proposta è irrevocabile se:

- è stabilito dalla legge (es.: art. 1333)

- è stabilito dal proponente (art. 1329 c.c.)

- è stabilito di comune accordo tra le parti

Con riguardo a quest‟ultimo caso, il contratto che dà vita ad una proposta irrevocabile stabilito in comune accordo si

chiama opzione (art. 1331 c.c.). Dal patto di opzione nasce l‟opzionario colui che ha il diritto potestativo di

concludere il contratto con una dichiarazione unilaterale di accettazione.

Offerta al pubblico e invito a trattare

L’offerta al pubblico è l‟offerta rivolta a una generalità di persone piuttosto che a un soggetto determinato. (art.

1336) ( es. esposizione in vetrina di un vestito con il prezzo, offerta di merci ai distributori)

La proposta (che, come di regola contiene gli elementi essenziali del contratto) non essendo rivolta ad un destinatario

determinato, non ha carattere recettizio.

Il contratto si conclude quando l‟accettazione di uno qualsiasi destinatario della proposta giunge a conoscenza del

proponente.

La revoca della proposta può essere:

- indirizzata a soggetto determinato (e allora ha efficacia se costui ne abbia avuto notizia, purché effettuata prima

che costui abbia accettato, secondo la regola generale)

- rivolta al pubblico nelle stesse forme dell‟offerta o in forma equipollente (e allora ha efficacia anche nei

confronti di chi non ne abbia avuto notizia)

È possibile però che le circostanze o gli usi escludono il carattere di vera e propria proposta contrattuale. Costituiscono

perciò un semplice invito a trattare basti pensare alle riveste, cataloghi di prodotti. Se questo fosse un contratto il

cliente potrebbe pretendere le merci, se pur l‟inserzionista abbia esaurito le scorte.

Adesione al contratto aperto (tipo di accettazione)

Sono contratti già conclusi fra le due o più parti e aperti all‟adesione di altri soggetti.

- contratti originariamente bilaterali ma destinati a diventare plurilaterali mediante la successiva adesione di altre

parti

- contratti originariamente plurilaterali destinati a vedere aumentare il numero delle parti mediante una successiva

adesione di altri soggetti

Diversamente dall’accettazione, l’adesione può essere:

- effettuata secondo le modalità stabilite nel contratto

- diretta all‟organo costituito per l‟attuazione del contratto (es. il consiglio di amministrazione dell‟associazione)

- (in mancanza del precedente) diretta a tutti i contraenti originari (derivazione del modello di conclusione del

contratto plurilaterale)

b) inizio dell’esecuzione.

Oltre che con lo scambio di proposta e accettazione il contratto in alcuni casi si può stipulare con l‟inizio

dell‟esecuzione da parte dell‟obligato accettante. (art. 1327)

Tale modo di conclusione è ammesso quando:

• su richiesta del proponente (il proponente rinuncia preventivamente alla ricezione della accettazione per

consentire una più immediata conclusione ed esecuzione del contratto; clausole „pronta consegna‟ e „consegna

urgente‟)

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• per la natura dell‟affare o secondo gli usi (es: contratti tra commercianti relativi a merci con valori fissati in

listini; vendite per corrispondenza; incarichi alle banche per l‟acquisto di titoli; …)

La conclusione del contratto

• il contratto si conclude con l‟inizio dell‟esecuzione (es.: quando il tecnico giunge presso l‟impianto da riparare,

quando la merce ordinata giunge a destinazione, …)

L‟obbligo di comunicazione a favore del proponente consiste nel “pronto avviso” dell‟iniziata esecuzione che

l‟accettante deve dare alla controparte; questo non condiziona la conclusione del contratto ma la sua mancanza

comporta responsabilità per gli eventuali danni.

c) contratti con obbligazioni del solo proponente

Questi contratti prevedono obbligazioni a carico di una sola parte (es. fideiussione, contratto gratuito di opzione). L‟art

1333 dispone che la proposta di un contratto da cui derivi obbligazione del solo proponente è irrevocabile appena

giunge a conoscenza all‟oblato. Esso potrà rifiutarla, ma in mancanza di un tempestivo rifiuto equivale ad accettazione

(silenzio circostanziato).

La fattispecie si distingue strutturalmente dalla promessa unilaterale, in quanto quest‟ultima è un negozio unilaterale,

mentre il codice considera questa fattispecie come un contratto (e dunque un atto bilaterale), sebbene il procedimento

di formazione faccia essenzialmente leva sulla volontà di una sola parte (quella che si obbliga mediante il contratto).

d) contratti consensuali e contratti reali Per contratto consensuale si intende il contratto che si conclude mediante la prestazione del consenso da parte dei

contraenti.

Di regola i contratti sono consensuali ed in particolare sono consensuali i contratti che producono effetti reali, vale a

dire quei contratti che:

- costituiscono diritti reali

- trasferiscono diritti (di qualsiasi natura, reali, ma anche di credito, es.: cessione del credito)

Per contratto reale si intende quel contratto che per concludersi, oltre all’accordo tra le parti, ha bisogno anche della

consegna della cosa oggetto del contratto.

e) contratti standard

I contratti di massa contengono condizioni generali con una predisposizione unilaterale delle clausole contrattuali.

Nella prassi commerciale contratti standard o contratti di massa che contengono clausole unilateralmente predisposte

sono di regola conclusi mediante l‟adozione di moduli o formulari, i quali contengono il testo del contratto poi

sottoscritto dalla controparte. ( es. contratti per assicurazione, per fornitura della luce..). Si ha un‟esigenza

dell‟impresa di regolare in modo uniforme la gran mole di contratti stipulati quotidianamente.

Nascono però due problemi:

- il cliente on discute le clausole del contratto ma spesso lo firma senza neppure conoscere le condizioni

generali.

- particolare forma di tutela con riferimento alle clausole vessatorie, quelle cioè che aggravano sensibilmente

la posizione dell‟aderente rispetto alla disciplina legale dei contratti.

Tutela del consumatore

Il codice civile si occupa con gli art. 1341/1342 dei soggetti in condizione di soggezione senza nessuna specificazione

dei soggetti, dettando cosi solo delle regole generali.

Codice del consumo si occupa solamente dei rapporti tra consumatore e imprenditore stabilendo delle regole nella

formazione del contratto, predisponendo alcuni strumenti di tutela del consumatore, tra cui:

a) gli obblighi di informazione: adeguata informazione e una corretta pubblicità.(es. nel caso dei contratti a

distanza e telematici il legislatore elenca una serie di obblighi di informazione)

b) il controllo sulle clausole contrattuali: controllo della vessatorietà delle clausole. Le clausole vessatorie sono

quelle clausole che possono determinare forti squilibri tra i diritti e doveri derivanti dal contratto.(equilibrio

non economico). Quali sono le clausole vessatorie? Art.33, 36 del codice del consumo. Tali clausole sono

nulle ma non annullano il contratto.

c) il recesso del consumatore: 10 giorni per i contratti a distanza o nei contratti conclusi fuori dai locali

commerciali

Page 99: Diritto privato e pubblico riassunti

99

CAPITOLO33: LA CAUSA, L‟OGGETTO, LA FORMA

La causa

Per causa s‟intende la funzione economico-sociale del contratto, cioè lo scopo, il risultato economico-giuridico cui è

diretto un certo schema contrattuale.

La causa definisce e riassume il nucleo essenziale dell‟operazione economica, consentendo cosi di valutarne la

meritevolezza.

Tipi di causa classificano il contratto in:

contratti tipici: si presentano come dei modelli astratti o schemi tipici di operazioni economiche disciplinati

dalla legge che le parti possono tranquillamente adottare. Questa tipizzazione equivale ed una preventiva

valutazione circa la tutelabilità degli interessi perseguiti e la meritevolezza del contratto. (es. vendita,

locazione, mutuo)

contratti atipici: nell‟autonomia delle parti è consentito stipulare contratti che non appartengono a tipi aventi

una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela. art. 1322

Art. 1322 Autonomia contrattuale

Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge (e dalle norme

corporative).

Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché

siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico.

contratti misti (causa mista): consiste nella combinazione in un solo contratto di più contratti

tipici. Caratteristica: un contratto nullo, tutto nullo. Es. leasing presente degli elementi della

locazione e della opzione di vendita.

contratti collegati (causa collegate): contratti che insieme attuano tra le parti una unitaria e

complessa operazione economica. (non c‟è fusione come nei contratti misti). Caratteristica:

un contratti nullo non pregiudica gli altri.

Contratti onerosi

Contratti gratuiti

La causa è un profilo oggettivo del contratto e costituisce un elemento comune alle parti, ed è unica per le parti. Si

distingue dai motivi, e cioè dalle finalità individuali, dalle utilità specifiche che ciascuno si ripromette e che possono

essere le più varie. Si distinguono:

Motivi rilevanti:

Motivo illecito rende nullo il contratto quando sia comune a entrambe le parti e sia

determinante del consenso. Es. un contratto per affitto di una barca per il contrabbando di

armi e droga.art 1345

Art. 1345 Motivo illecito

Il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune

ad entrambe (788, 14182).

Errore sui motivi rilevante solo nella donazione e testamento; l‟atto è annullabile se il

donatore o testatore abbiano operato per un motivo erroneo.art.624

Motivi irrilevanti: ogni altro caso

L’oggetto

Per oggetto deve intendersi il contenuto del contratto, e cioè l‟insieme delle disposizioni contrattuali, delle clausole in

cui esso consiste.

L‟oggetto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile:

Possibilità: sia materiale che giuridica. Deve essere realizzabile con l‟impegno della diligenza richiesta.

Lecito: non deve essere contrario a norme imperative, all‟ordine pubblico, al buon costume.

Determinato o determinabile: l‟oggetto è gia specificato con sufficienti indicazioni.

Di norma sono le stesse parti a fissare i criteri per la successiva determinazione dell‟oggetto ma possono anche

affidarsi ad un terzo e quindi si parla di “arbitraggio”.

Due tipi di arbitraggio:

1. di equo apprezzamento (le parti possono contestare la valutazione)

2. mero arbitrio del terzo ( la valutazione è impugnabile solo provando la mala fede del terzo art. 1349)

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La forma

Per forma s‟intende il modo in cui è espressa la dichiarazione contrattuale; è il modo di manifestazione della volontà

negoziale, la modalità con cui detta volontà viene esternata.

La forma costituisce elemento essenziale del contratto solo nei casi previsti dalla legge. (art. 1325)

Il principio generale è quello della libertà della forma. Tuttavia il principio non è assoluto e subisce delle limitazioni.

In alcuni casi la forma è richiesta a pena di nullità e quindi è essenziale. La forma, quindi, imposta dalla legge,

consiste nella redazione del contratto per iscritto; in alcuni casi è sufficiente la scrittura privata, in altri anche l‟atto

pubblico.

Deve farsi:

per atto pubblico (redatto da un notaio): il contratto di donazione, costituzione di società di capitali….e altri

atti indicati dalla legge (art. 14, 162, 782, 2328, 2518)

per scrittura privata (qualsiasi documento scritto sottoscritto dall‟interessato):

contratti di alienazione della proprietà e altri diritti reali su beni immobili

le locazioni abitative, le locazioni ultranovennali

i contratti relativi alle operazioni e ai servizi di banca nonché i contratti stipulati con i clienti

delle società di intermediazione mobiliare.

L‟onere della forma scritta è assolto anche quando gli atti siano formati con strumenti elettronici e telematici che

diano luogo a documenti informatici; qui i segni di linguaggio non sono segni tracciati sulla carta ma impulsi

magnetici impressi su un supporto elettronico (ad es.computer).

I contratti telematici sono contratti che vengono conclusi tramite collegamento a siti internet dei fornitori, prevedendo

in particolare l‟obbligo di informazioni chiare, precise e in equivoche ai consumatori

CAPITOLO 34: LE CLAUSOLE ACCIDENTALI DEL CONTRATTO

Oltre agli elementi essenziali i contratti possono essere arricchiti inserendo particolari clausole per soddisfare

specifiche esigenze e interessi.

Le clausole accessorie o accidentali trovano una dettagliata disciplina nel codice (per la loro frequenza e importanza)

e sono:

Condizione

Termine

Modo

La clausola penale e caparra

La condizione

La condizione è una clausola che subordina gli effetti del contratto a un avvenimento futuro e incerto, art. 1353.

La condizione si dice:

Sospensiva: se sospende l‟efficacia del negozio fino a che l‟evento non si sia verificato. Es. ti pagherò un

supplemento di prezzo se il terreno diventerà edificabile

Risolutiva: se, al verificarsi dell‟evento essa fa venir meno gli effetti gia prodotti; in questo caso gli effetti si

producono immediatamente, ma se non si verificherà l‟evento previsto essi verranno meno. es. compro la

bottega ma se non otterrò la licenza di commercio il contratto si risolverà.

Ci sono:

Condizioni volontaria: decisa dalle parti e in generale consentita su ogni atto

Condizione legale: essa è condizione posta dalla legge. Es. condizione legale per l‟efficacia di una donazione

a favore di un nascituro non concepito è la sua nascita.

In ordine al tipo di evento dedotto in condizioni si distinguono:

Condizione casuale: se il suo avvenimento dipende dal caso

Condizione potestativa: quando il suo verificarsi dipende dalla volontà di una delle parti

o Potestativa semplice: quando l‟evento è collegato a un comportamento volontario ma che non è

indifferente il compierlo o no. Es. se venderò la casa, se mi trasferirò a firenze

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o Meramente potestativa: es. se vorrò, se mi parà opportuno. Questa condizione rende nullo il contratto

perché risulterà ovvio la mancanza di serietà dell‟ impegno assunto. (art. 1355)

Art. 1355 Condizione meramente potestativa

E' nulla l'alienazione di un diritto o l'assunzione di un obbligo subordinata a una condizione sospensiva che la faccia

dipendere dalla mera volontà dell'alienante o, rispettivamente, da quella del debitore.

L‟evento dedotto in condizione deve essere futuro, incerto, possibile e lecito.

La condizione impossibile (es. costruire un grattacielo in un giorno) e condizioni illecita rendono il contratto nullo.

Pendenza della condizione.

Questo stato è caratterizzato dal fatto che la parte, il cui acquisto è condizionato a un ceto evento, non ha un diritto

pieno e completo. La legge dispone che, in pendenza della condizione, ciascuna delle parti deve comportarsi secondo

buona fede per conservare integre le ragioni dell‟altro.

Art.1358.

Art. 1358 Comportamento delle parti nello stato dipendenza

Colui che si è obbligato o che ha alienato un diritto sotto condizione sospensiva, ovvero lo ha acquistato sotto

condizione risolutiva, deve, in pendenza della condizione, comportarsi secondo buona fede per conservare integre le

ragioni dell'altra parte (1175, 1375).

Avveramento della condizione.

Si ha avveramento al verificarsi dell‟evento contemplato. L‟avveramento risolve la situazione di incertezza e rende il

contratto definitivamente efficace o inefficacie. Ha effetto retroattivo (art. 1360)

Art. 1360 Retroattività della condizione

Gli effetti dell'avveramento della condizione retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il contratto, salvo che, per

volontà delle parti o per la natura del rapporto, gli effetti del contratto o della risoluzione debbano essere riportati a un

momento diverso (646).

Se però la condizione risolutiva è apposta a un contratto ad esecuzione continuata o periodica, l'avveramento di essa,

in mancanza di patto contrario, non ha effetto riguardo alle prestazioni già eseguite (1465, 2655).

Il termine

Il termine è il momento dal quale o fino al quale si produrranno gli effetti del contratto. Cd. termine di efficacia. (Es.

locazione di un appartamento 1 luglio 3 settembre)

Il termine è stabilito in relazione a un evento futuro e certo:

Termine determinato (1 luglio, il giorno di pasqua)

Termine indeterminato (morte di una persona)

Il termine ha funzione di adeguare gli effetti di un contratto in ordine della durata del rapporto (delimitare gli effetti

nel tempo).

Il termine di efficacia va tenuto distinto dal termine di perfezione/conclusione del contratto e dal termine di

adempimento( il momento in cui si deve adempire all‟obbligazione). Es. stipulo una locazione il 1 maggio (termine di

prefazione) pattuendo una durata dal 1 al 31 agosto (termine di efficacia) e il pagamento del canone al 31 luglio

(termine di adempimento).

Il modo

Il modo è una limitazione apposta a una attribuzione gratuita. (es. dono un edificio al vescovo con l‟onere di destinarlo

a centro di accoglienza per extracomunitari).

Il modo è perciò un obbligo giuridico che grava sul beneficiario di una attribuzione gratuita e che viene a limitare e

ridurre il valore del beneficio.

La clausola penale e caparra

Sono clausole che rafforzano il vincolo contrattuale.

La clausola penale è una determinazione anticipata e forfetaria del risarcimento per il caso di inadempimento o ritardo

(art. 1382). Es. in un contratto di appalto si pattuisce che per ogni giorno di ritardo nella consegna delle opere saranno

dovuti 100€ a titolo di penale.

Art. 1382 Effetti della clausola penale

La clausola, con cui si conviene che, in caso d'inadempimento o di ritardo nell'adempimento (1218), uno dei contraenti

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è tenuto a una determinata prestazione, ha l'effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata

convenuta la risarcibilità del danno ulteriore (1223).

La penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno.

La caparra confirmatoria è la somma consegnata a una parte, al momento della conclusione del contratto, a garanzia

dell‟impegno contrattuale assunto. In caso di inadempimento di chi ha dato la caparra, l‟altra parte può recedere dal

contratto ritenendo la caparra a titolo di risarcimento. Ove sia inadempiente chi ha ricevuto la caparra, sarà la

controparte a poter recedere dal contratto esigendo il doppio della caparra data (art. 1385).

La caparra penitenziale è la somma consegnata ad una parte, al momento della conclusione del contratto, a titolo di

corrispettivo per il futuro/eventuale diritto di recesso attribuito alla controparte.

La multa penitenziale, è caratterizzata dal fatto che la facoltà di recesso non è accompagnata dalla consegna

immediata della somma di denaro, bensì dalla previsione dell‟obbligo di pagare una multa se e quando la parte

deciderà di recedere.

CAPITOLO 35: INVALIDITA DEL CONTRATTO

Quando l‟atto è conforme ai requisiti essenziali e accessori previsti si dici che esso è valido, e si parla di validità del

contratto. L‟invalidità del contratto si ha quando esso non sia regolarmente formato, quando manchi o sia illecito uno

dei suoi elementi. L‟invalidità è quindi la sanzione che colpisce l‟atto giuridicamente irregolare e comporta

l‟inidoneità dell‟atto a conseguire gli effetti cui è diretto.

Si distinguono tre forme o specie di invalidità: la nullità, l‟ annullamento, la rescindibilità.

Nullità: è la forma di invalidità che ha carattere generale

Annullabilità e rescindibilità: sono forme speciali di invalidità che conseguono solo nei casi previsti dalla

legge.

LA NULLITA’

La nullità è la forma generale e più grave di invalidità del contratto che comporta la radicale e definitiva inefficacia

dell’atto. E‟ prevista a tutela di interessi generali ed è obbligo rilevarla sia da parte dei soggetti del contratto che dal

giudice.

La nullità è irrimediabile, nel senso che non è consentito alle parti di rimediare al vizio.

Tra le norme imperative la cui violazione comporta la nullità del negozio, assumono importanza centrale le ipotesi di

mancanza o di illiceità dei requisiti del contratto.

a) mancanza dei requisiti del contratto: il contratto è nullo quando manca uno dei suoi requisiti essenziali (art.

1418): causa, oggetto, forma, accordo

Art. 1418 Cause di nullità del contratto

Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente. Producono

nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'Art. 1325, l'illiceità della causa (1343), l'illiceità

dei motivi nel caso indicato dall'Art. 1345 e la mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dall'Art. 1346.

Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge (190, 226, 458, 778 e seguente, 780 e seguente, 788,

794, 1261, 1344 e seguente, 1350, 1471, 1472, 1895, 1904, 1972)..

La causa nei contratti tipici potrebbe non sussistere (es. assicuro una cosa gli rubata), nei contratti atipici la causa

manca quando le parti perseguono interessi non meritevoli di tutela.

L’oggetto manca quando non esiste materialmente il bene (es. perché distrutto, o mai esistito) ovvero è impossibile o

indeterminato.

La forma manca quando quella adottata non rispetta le prescrizioni legali (es. vendita di un immobile a voce)

Mancanza dell’accordo delle parti: il contratto nasce dalla volontà delle parti, ma la sola dichiarazione di volontà

non è sufficiente a porre in essere un negozio (concluderlo). Occorre quindi anche una dichiarazione della effettiva

volontà della parte. Tale principio pone un quesito essenziale: chi riceve una dichiarazione non sempre potrà

rendersi conto che, dietro essa, manca una effettiva volontà.

La disciplina oscilla quindi, tra due poli: la tutela del soggetto che emette una dichiarazione in effetti non voluta e la

tutela di coloro che hanno fatto affidamento su di essa.

Si distinguono due ipotesi fondamentali: mancanza di volontà, divergenza tra volontà e dichiarazione.

1. mancanza di volontà sussiste quando: la dichiarazione non è seria (es. dich. Per scherzo)

la volontà è totalmente coartata (cd. violenza fisica-

mentale)

2. divergenza tra volontà e dichiarazione, nei casi di errore ostativo e di simulazione:

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i. errore ostativo: Es. scrivere 10000 invece che 100. Qui la dichiarazione è diversa dalla

volontà e rende nullo il contratto.

ii. simulazione: es. dichiaro di donare a Tizio ma in realtà intendo arricchire Caio.

L’accordo è un elemento essenziale del contratto e se manca il contratto è nullo. Tuttavia per parlare di nullità del

contratto accorre che ci sia una parvenza di accordo contrattuale; altrimenti il contratto non sarebbe nulla ma

inesistente.

b) illiceità del contratto: cioè quando è contrario a norme imperative, all’ordine pubblico, o al buon costume

(art. 1343, art. 1418 c.2)

Art. 1443 Ripetizione contro il contraente incapace

Se il contratto è annullato per incapacità (1425) di uno dei contraenti, questi non è tenuto a restituire all'altro

la prestazione ricevuta se non nei limiti in cui è stata rivolta a suo vantaggio (1190, 2039 e seguenti).

Norme imperative: es. le ipotesi di nullità esaminate in precedenza(mancanza dei requisiti essenziali) sono in sostanza

violazioni alle norme imperative.

Ordine pubblico: è l‟insieme dei principi fondamentali e inderogabili sanciti dalla legge e non, ricavati da una

interpretazione sistematica. (tra quelli sanciti dalla legge ricordiamo la libertà di culto, religione uguaglianza davanti

alla legge; quelli invece non sanciti dalla legge es. libertà di sposarsi e non, avere figli).

Buon costume: è l‟insieme dei principi morali comunemente accolti nella società. (es. di negozio immorale: corruzione

di pubblico ufficiale, contratti di prostituzione, affitto di utero)

L’azione della nullità

È una azione di mero accertamento: il giudice dovrà solo accertare, verificare che il contratto impugnato sia

effettivamente nullo e la relativa pronuncia sarà una sentenza dichiarativa.

Effetto: le prestazioni eventualmente eseguite in adempimento sono prive di giustificazione, e vanno restituite secondo

le norme sulla cd. ripetizione di indebito (restituzione) art. 2037.

La nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse. (art. 1421). Quindi dalle parti, dal giudice, gli eredi, il

creditore…

L‟azione di nullità è imprescrittibile: può essere fatta valere senza limiti di tempo anche se art. 1422 fa salvi i casi di

usucapione e della prescrizione di azioni di ripetizione (cioè di restituzione).

Art. 1421 Legittimazione all'azione di nullità

Salvo diverse disposizioni di legge, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata

d'ufficio dal giudice.

Art. 1422 Imprescrittibilità dell'azione di nullità

L'azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti dell'usucapione (1158 e seguenti) e

della prescrizione delle azioni di ripetizione (2934 e seguenti).

Art. 1424 Conversione del contratto nullo

Il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma,

qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero

conosciuto la nullità (1367).

Art. 2037 Restituzione di cosa determinata

Chi ha ricevuto indebitamente una cosa determinata è tenuto a restituirla.

Se la cosa è perita, anche per caso fortuito (1218, 1256), chi l'ha ricevuta in mala fede è tenuto a corrisponderne il

valore; se la cosa e soltanto deteriorata, colui che l'ha data può chiedere l'equivalente, oppure la restituzione e

un'indennità per la diminuzione di valore.

Chi ha ricevuto la cosa in buona fede (1147) non risponde del perimento o del deterioramento di essa, ancorché

dipenda da fatto proprio, se non nei limiti del suo arricchimento.

Recupero del contratto nullo: la nullità è una forma di invalidità insanabile. Le parti possono fare solamente una

rinnovazione, cioè stipulare un nuovo contratto evitando il vizio che ha dato luogo alla nullità.

Ferma l‟insanabilità del contratto nullo, sono previste alcune forme di recupero dell‟atto nullo fondate, in buona

sostanza, su un meccanismo di modificazione legale dell‟atto viziato. Ciò si verifica nelle seguenti ipotesi: nullità

parziale, conversione

Nullità parziale: è la nullità che riguarda solo una parte o clausola del contratto. In tal caso si osserva

l‟importanza oggettiva della clausola all‟interno del contratto e se essa non è di centrale importanza la nullità

riguarderà solamente quella parte.

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Conversione: è la trasformazione del contratto nullo in un contratto diverso e valido. Secondo l‟art. 1424 il

contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di

forma, qualora debba ritenersi che le parti lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la causa di nullità. Es.

l‟usufrutto di un edificio, nullo per mancanza di forma scritta, può produrre gli effetti di una locazione se,

avuto riguardo delle concrete pattuizioni, possa ritenersi che le parti l‟avrebbero stipulata se avessero

conosciuto la nullità del primo.

ANNULLABILITA’

L’annullabilità è una forma di invalidità meno grave della nullità. Il negozio annullabile è provvisoriamente efficace,

ma si tratta di una efficacia precaria: gli effetti possono venire meno a seguito di sentenza di annullamento, su

domanda della parte tutelata.

L‟annullabilità è una forma speciale di invalidità cioè non è di portata generale, bensì limitata alle sole ipotesi

specificamente previste. Tuttavia alcune figure di annullabilità si configurano come generali non attenendo a specifici

negozi o conflitti di interesse. Tali ipotesi generali sono: incapacità di agire, vizi del consenso ( errore,violenza, dolo)

Incapacità di agire: il negozio è annullabile nel caso di incapacità di una delle parti, legale o naturale (art. 1425)

1. incapacità legale di agire: è la condizione in cui si trovano il minore d‟età e l‟interdetto e, per alcuni casi

l‟inabilitato, l‟emancipato e il beneficiario dell‟amministrazione di sostegno. La legge provvede ai casi in cui

l‟incapace abbia posto in essere atti a lui vietati, disponendo che tali atti possono essere annullati a domanda

dell‟incapace o del suo rappresentante. (art. 427, 1425).

2. incapacità naturale: (es. contraente ubriaco, sotto droghe). Nel caso di incapacità naturale per l‟annullamento

dei contratti occorre dimostrare la “mala fede dell‟altro contraente” desunta dalla qualità del contratto (es.

cedere la propria automobile ad un prezzo assurdo). Per gli altri atti occorre invece che ne risulti un grave

pregiudizio all‟incapace. (art. 428)

Art. 1425 Incapacità delle parti

Il contratto è annullabile se una delle parti era legalmente incapace di contrattare (1441 e seguenti). E' parimenti

annullabile, quando ricorrono le condizioni stabilite dall'Art. 428, il contratto stipulato da persona incapace d'intendere

o di volere (1191, 1934 e seguente).

Art. 427 Atti compiuti dall'interdetto e dall'inabilitato

Gli atti compiuti dall'interdetto dopo la sentenza di interdizione possono essere annullati su istanza del tutore,

dell'interdetto o dei suoi eredi o aventi causa (1425 e seguenti). Sono del pari annullabili gli atti compiuti

dall'interdetto dopo la nomina del tutore provvisorio, qualora alla nomina segua la sentenza d'interdizione.

Possono essere annullati su istanza dell'inabilitato o dei suoi eredi o aventi causa gli atti eccedenti l'ordinaria

amministrazione fatti dall'inabilitato, senza l'osservanza delle prescritte formalità, dopo la sentenza di inabilitazione o

dopo la nomina del curatore provvisorio, qualora alla nomina sia seguita l'inabilitazione (776).

Per gli atti compiuti dall'interdetto prima della sentenza d'interdizione o prima della nomina del tutore provvisorio si

applicano le disposizioni dell'articolo seguente.

Art. 428 Atti compiuti da persona incapace d'intendere o di volere

Gli atti compiuti da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria,

incapace d'intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti, possono essere annullati su istanza della

persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all'autore (1425 e seguenti).

L'annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o possa

derivare alla persona incapace d'intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede

dell'altro contraente (1425).

L'azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui l'atto o il contratto è stato compiuto (2953).

Resta salva ogni diversa disposizione di legge (120, 591, 775,1195; att. 130).

I vizi del consenso: sono ipotesi di alterazione della volontà negoziale che si forma in maniera distorta; sono anomalie

del processo formativo della volontà, in quanto viziato il consenso a un contratto.

Il rimedio offerto dalla legge è quello della annullabilità. La legge considera come vizi del consenso: l’errore, la

violenza, il dolo.

L’errore

l‟errore consiste in una falsa conoscenza della realtà che determina una delle parti a un contratto che, senza

quell‟errore, non avrebbe stipulato. (es. compro un quadro pensando che sia l‟originale).

Page 105: Diritto privato e pubblico riassunti

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L‟errore è causa di annullamento del contratto a condizione che esso sia essenziale e riconoscibile dell‟altro

contraente. (art. 1428).

Riconoscibile: quando una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo. (art. 1431)

Essenziale: quando è determinante del consenso, cioè se la parte non avrebbe concluso il contratto senza errore in cui

è caduta.

L’art. 1429 elenca alcuni casi tipici di errore essenziale. Quindi l‟errore è essenziale quando cade:

sulla natura o sull‟oggetto del contratto

su una qualità della prestazione in concreto essenziale per il contraente

sull‟identità o sulle qualità dell‟altro contraente, sempre se esse sono determinanti per la conclusione del

contratto

sulla quantità della prestazione che non soddisfa proporzionalmente l‟interesse del contraente

Per errore di diritto s‟intende l‟errore che cade sull‟esistenza o sul contenuto di una norma giuridica.

Art. 1428 Rilevanza dell'errore

L'errore è causa di annullamento del contratto quando è essenziale ed è riconoscibile dall'altro contraente.

Art. 1429 Errore essenziale

L'errore è essenziale:

quando cade sulla natura o sull'oggetto del contratto;

quando cade sull'identità dell'oggetto della prestazione ovvero sopra una qualità dello stesso che, secondo il comune

apprezzamento o in relazione alle circostanze, deve ritenersi determinante del consenso;

quando cade sull'identità o sulle qualità della persona dell'altro contraente, sempre che l'una o le altre siano state

determinanti del consenso (122);

quando, trattandosi di errore di diritto, è stato la ragione unica o principale del contratto (1969).

Il dolo

Il dolo è un inganno che induce in errore l‟altro contraente. Es. esibendo un falso certificato di autenticità inganno

l‟acquirente. Comunque è causa di annullamento del contratto quando i raggiri sono stati tali che, senza di essi, l‟altro

contraente non avrebbe stipulato; quindi il dolo deve essere determinante del consenso.

Si suddivide:

1. dolo commissivo: suppone un atto, la commissione di qualche azione atta ad ingannare

2. dolo omissivo: l‟inganno è realizzato tramite una omissione, quindi tramite il silenzio o la reticenza nelle

ipotesi in cui, secondo la buona fede, la parte aveva uno specifico obbligo di informazione.

Il contraente a diritto a risarcimento. Inoltre il contratto è annullabile anche quando i raggiri sono stati usati da un

terzo, se essi erano noti al contraente che ne ha tratto vantaggio.

La violenza

La violenza, quale vizio del volere, è la minaccia di un male ingiusto e notevole alla persona o ai beni del contraente o

di terzi, esercitata al fine di estorcere il consenso a un determinato contratto o negozio (art. 1435). Caratteristica della

violenza è la pressione psicologica esercitata sul soggetto.

Es. minaccio di dar fuoco ai magazzini di un imprenditore per indurlo ad assumermi come guardiano. La

violenza/minaccia che da luogo a un “vizio del volere” e alla seguente annullabilità deve essere “seria” e non esclude

del tutto la libertà (altrimenti il contratto sarebbe inesistente).

L’azione di annullamento

L‟azione di annullamento è la domanda giudiziale diretta a fare annullare il contratto. Essa spetta alla parte nel cui

interesse è stabilito dalla legge (art. 1441). A differenza della nullità, che può essere proposta da chiunque ne abbia

interesse, l‟iniziativa è riservata al soggetto tutelato: cioè all‟incapace, e al contraente in cui consenso è viziato da

errore, dolo,violenza.

L‟azione si prescrive in cinque anni, decorrenti dal momento in cui è cessato lo stato di incapacità ovvero si è scoperto

l‟errore o il dolo o è cessata la violenza (art. 1442). trascorso tale periodo non è possibile un azione diretta alla

annullabilità dell‟atto. Rimane tuttavia la possibilità di chiedere l‟annullamento in via eccezionale. Infatti poiché

l‟azione per l‟adempimento del contratto si prescrive in dieci anni, potrebbe accadere che l‟altra parte attenda

l‟avverarsi della prescrizione per chiedere poi l‟esecuzione coattiva.

Art. 1441 Legittimazione

L'annullamento del contratto può essere domandato solo dalla parte nel cui interesse è stabilito dalla legge.

Page 106: Diritto privato e pubblico riassunti

106

L'incapacità del condannato (Cod. Pen. 32) in istato di interdizione legale può essere fatta valere da chiunque vi ha

interesse.

Art. 1442 Prescrizione

L'azione di annullamento si prescrive (2962) in cinque anni (428, 761, 775).

Quando l'annullabilità dipende da vizio del consenso o da incapacità legale (1425 e seguenti), il termine decorre dal

giorno in cui è cessata la violenza, è stato scoperto l'errore o il dolo, è cessato lo stato d'interdizione o d'inabilitazione

(429), ovvero il minore ha raggiunto la maggiore età (2).

Negli altri casi il termine decorre dal giorno della conclusione del contratto (428, 775, 1326) ).

. L'annullabilità può essere opposta dalla parte convenuta per l'esecuzione del contratto, anche se è prescritta l'azione

per farla valere.

Effetti dell’annullamento

L‟effetto dell‟annullamento è l‟eliminazione del contratto e la cauzione fin dall‟origine del rapporto giuridico sorto da

esso.

La sentenza di annullamento è una sentenza costitutiva (non dichiarativa come quella per la nullità) perché ad essa va

riportata l‟eliminazione del contratto-atto e la caduzione del rapporto.

Ha effetto retroattivo tra le parti ma rispetto ai terzi la retroattività non è assoluta. Es. tizio vende un fondo a Caio e

questi poi lo rivende a Sempronio. Se il primo atto è annullato il secondo rimane in piedi e valido se l‟atto annullato è

stato annullato non per incapacità legale del contraente. (art 1445). L‟annullamento del contratto da diritto al

risarcimento dei danni, sempre che, ovviamente, v sia colpa dell‟altro contraente.

Art. 1445 Effetti dell'annullamento nei confronti dei terzi

L'annullamento che non dipende da incapacità legale non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di

buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di annullamento (23, 25, 2377, 2652, 2824; att. 165).

Convalida del contratto

A differenza del contratto nullo, il contratto annullabile è sanabile tramite la convalida del contratto. La convalida è un

atto di conferma del contratto annullabile proveniente “dal contraente al quale spetta l‟azione di annullamento. (art.

1444)

Art. 1444 Convalida

Il contratto annullabile può essere convalidato dal contraente al quale spetta l'azione di annullamento, mediante un atto

che contenga la menzione del contratto e del motivo di annullabilità, e la dichiarazione che s'intende convalidarlo.

Il contratto è pure convalidato, se il contraente al quale spettava l'azione di annullamento vi ha dato volontariamente

esecuzione conoscendo il motivo di annullabilità.

La convalida non ha effetto, se chi l'esegue non è in condizione di concludere validamente il contratto (1423,1451).

Requisito della convalida è che il soggetto sia in condizioni di stipulare un valido contratto (deve essere cessata

l‟incapacità o la violenza o scoperto l‟errore e il dolo).

La convalida può essere:

convalida espressa: è una esplicita dichiarazione di voler convalidare il contratto

convalida tacita: è un comportamento concludente, incompatibile con la volontà di chiedere l‟annullamento.

(es. volontaria esecuzione del contratto)

Accanto alla convalida c‟è un altro strumento a tutela della controparte, che è il rimedio della rettifica in caso di

errore.

La rettifica consiste nell‟offerta di eseguire il contratto in modo conforme alle aspettative della controparte (art. 1432)

Es. se l‟errore consiste di aver scritto 1010 invece che 1100, l‟altro contraente può evitare l‟annullamento offrendo di

eseguire il contratto a 1100.

Al pari della convalida, la rettifica rende il contratto definitivamente efficace.

Tavola sinottica e riepilogativa

NULLITÀ ANNULLABILITÀ

Page 107: Diritto privato e pubblico riassunti

107

CAUSE Contrarietà a norme imperative

Vizi concernenti causa, oggetto, forma

(v. sopra)

Altri casi stabiliti dalla legge (es.:

contratti con i consumatori)

Difetto di capacità (naturale o di agire)

Vizi del consenso (errore, violenza, dolo)

LEGITTIMAZION

E AD AGIRE

(il potere di

rivolgersi al giudice

per ottenere la forma

di tutela in

questione)

Spetta a chiunque vi abbia interesse

(c.d. „legittimazione assoluta‟)

In alcuni casi spetta soltanto ad una

delle parti

(c.d. „nullità relativa‟; es.: contratti con i

consumatori)

Il giudice può rilevarla d‟ufficio

Spetta al soggetto la cui capacità o il cui

consenso mancano dei requisiti di legge

(c.d. „legittimazione relativa‟).

In alcuni casi spetta anche ad altri soggetti

(es.: rappresentante legale, eredi, …)

NATURA DELLA

SENTENZA

Dichiarativa

(il contratto è del tutto inidoneo a

produrre effetti, a prescindere

dall‟intervento del giudice, il quale si

limita a „dichiarare‟ la nullità)

Costitutiva

(il contratto produce effetti, ma in modo

precario; in quanto, mediante l‟azione di

nullità, tali effetti possono essere rimossi,

come se non si fossero mai prodotti)

EFFETTI DELLA

SENTENZA TRA

LE PARTI

La sentenza accerta la nullità del

contratto.

In assenza degli effetti vincolanti del

contratto e degli obblighi ad esso

conseguenti,

le prestazioni previste dal contratto non

sono dovute.

Se già eseguite ne può essere richiesta

la restituzione.

La sentenza elimina gli effetti del contratto a

far tempo dalla sua conclusione (come se non

si fossero mai prodotti).

Anche in questo caso può essere richiesta la

restituzione delle prestazioni già eseguite.

EFFETTI VERSO

I TERZI

Sono salvi i diritti acquistati dai terzi in

forza di usucapione.

Sono salvi i diritti acquistati dai terzi a titolo

oneroso e in buona fede, salva la trascrizione

della domanda di annullamento.

Se l‟annullamento dipende da incapacità

legale i diritti dei terzi non sono salvi.

PRESCRIZIONE

(il termine entro il

quale l‟azione può

essere esercitata)

L‟azione è imprescrittibile, ma si

prescrivono in dieci anni le azioni volte

ad ottenere la restituzione dei beni.

L‟azione si prescrive in cinque anni dalla

cessazione o scoperta della causa di invalidità.

In caso di incapacità naturale il termine

decorre dalla conclusione del contratto.

INVALIDITÀ E

SOSTITUZIONE

DELLE

CLAUSOLE

INVALIDE

Le clausole imposte (es. prezzi dei farmaci) sono sostituite di diritto a quelle nulle.

In alcuni casi la clausola è sostituita da altra clausola più favorevole alla parte a cui

favore la nullità è fatta valere (es.: mutuo usurario diventa mutuo gratuito, senza

interessi).

INVALIDITÀ

PARZIALE DEL

CONTRATTO

(nullità delle singole

clausole)

Comporta la nullità dell‟intero contratto se:

- le parti non lo avrebbero concluso senza la parte colpita da nullità e

- la clausola nulla non è tra quelle che sono sostituite di diritto da norme

imperative

Page 108: Diritto privato e pubblico riassunti

108

INVALIDITÀ E

“SANATORIA”

DEL

CONTRATTO

Il contratto nullo non può essere sanato.

Si ammette la CONVERSIONE:

il contratto produce gli effetti di un

contratto diverso se:

- sussistono i requisiti di sostanza

e di forma di questo diverso

contratto

- in base allo scopo le parti lo

avrebbero voluto conoscendo la

nullità

Si ammette la CONVALIDA da parte del

contraente legittimato a chiedere

l‟annullamento, consapevole del motivo di

annullamento. La volontà della convalida

risulta da:

- dichiarazione espressa

- comportamento tacito (es.

esecuzione del contratto)

In caso di errore si ammette la RETTIFICA

(v. art. 1432)

CONTRATTO

PLURILATERAL

E

La nullità che colpisce il vincolo di una

sola delle parti comporta la nullità

dell‟intero contratto (con effetti per tutte

le parti) se:

- la partecipazione del singole è

essenziale secondo le circostanze

Come per la nullità.

LA RESCINDIBILITA’

La rescindibilità è una forma particolare di invalidità contrattuale che si avvicina all‟annullabilità. Il contratto può

essere rescisso quando è stato concluso a condizioni inique per la condizione di alterata libertà del volere di uno dei

componenti. Tali condizioni sono “stato di bisogno, stato di pericolo”

L‟azione di rescissione compete solo alla parte che si trovava nelle condizioni sopra citate (stato di bisogno o di

pericolo). A differenza dell‟annullamento si prescrive in un anno dalla conclusione del contratto e non è ammessa

convalida (art. 1451). E‟ ammissibile solo la rettifica, quale offerta di una modificazione del contratto sufficiente per

ricondurlo ad equità.

La rescissione pronunziata dal giudice a effetto retroattivo solo tra le parti, non anche verso i terzi.

Le due condizioni per la rescissione sono:

Rescissione per stato di pericolo: è la particolare condizione del soggetto che contrae per la necessità di

salvare se o altri dal pericolo di un danno grave alla persona. (art. 1447) Requisiti sono l‟attualità del pericolo,

il fatto che esso sia conosciuto dall‟altra parte e la gravità del pregiudizio temuto a beni personali. Es. avendo

subito un infarto accetto le condizioni inique da un autista per trasportarmi all‟ospedale.

Rescissione per stato di bisogno: condizione di seria difficoltà economica o finanziaria in cui versa una parte.

(es. impossibilità di far fronte ai pagamenti).

o Lesione: è una specifica sproporzione fra l‟entità di due prestazioni (es. vendo a 10 una cosa che vale

20)

o Approfittamento dello stato di bisogno: accade quando c‟è uno sfruttamento oggettivo della situazione

di difficoltà dell‟altro contraente.

CAPITOLO 36: EFFETTI DEL CONTRATTO

L’art. 1372 descrive in modo riassuntivo l‟efficacia del contratto: il contratto ha forza di legge tra le parti, non può

essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge.

Quanto al rapporto con la validità, un contratto nullo è radicalmente e definitivamente inefficace.

Tali effetti sono diversi e si prestano a numerose classificazioni:

Effetto fondamentale (o generale): consiste nel vincolo che si istaura tra le parti. Esso si concretizza nel

divieto di sciogliere unilateralmente dal rapporto e di conservare integre le ragioni della controparte.

Effetti finali (o propri o tipici): variano in relazione al tipo di contratto e che sono volti direttamente a

soddisfare gli interessi specifici che le parti hanno inteso regolare nel contratto.

Page 109: Diritto privato e pubblico riassunti

109

Pertanto in un contratto nullo non si produrrà nessun tipo di interesse ne fondamentale ne finale mentre per un

contratto valido si produrranno entrambi gli interessi sia quelli fondamentali che quelli finali. (quest‟ultimi possono

essere sospesi o rinviati).

Al riguardo degli effetti finali si distinguono i:

Contratti a effetti obbligatori (a effetto traslativo differito): da cui derivano obbligazioni in capo ai contraenti.

Contratti a effetti reali (a effetto traslativo immediato): che producono l‟immediata attribuzione del diritto alla

controparte (es. vendita di cosa determinata; qui il trasferimento della proprietà avviene immediatamente per

effetto del semplice consenso).

Nei contratti a effetti reali si producono di norma anche effetti obbligatori: consegnare la merce, garantire il

compratore per i vizi.. sono vere e proprie obbligazioni. Ma con la denominazione a effetti reale si vuole evidenziare

che il trasferimento del diritto è immediato e automatico, cioè si produce appena il contratto è concluso. Secondo l‟art.

1376 sono a effetti reali i contratti che hanno ad oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la

costituzione, o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro diritto. (quindi anche la cessione di

credito) Gli effetti reali perciò si realizzano immediatamente, per effetto del consenso delle parti legittimamente

manifestato e tali contratti ben si potrebbero definire contratti a effetto traslativo immediato.

Si parla invece di contratti a effetti obbligatori per sottolineare come da essi non derivi l‟effetto reale del trasferimento

immediato della proprietà, bensì soltanto l‟obbligazione di far acquistare il diritto, ponendo in essere tutte le attività a

ciò necessarie (costruzione del bene, convincimento del terzo a vendere il bene). Ove il venditore non riesca a

procurare all‟acquirente il diritto promesso, risulterà inadempiente al contratto (art. 1381).

Art. 1381 Promessa dell'obbligazione o del fatto del terzo

Colui che ha promesso l'obbligazione o il fatto di un terzo è tenuto a indennizzare l'altro contraente, se il terzo rifiuta

di obbligarsi o non compie il fatto promesso.

Il scioglimento del rapporto contrattuale. Il recesso.

Come gia detto il contratto può sciogliersi solo per mutuo consenso o per cause ammesse dalle legge. Il suo

scioglimento, e cioè la cessazione della sua efficacia, richiede il consenso di entrambi i contraenti ovvero che ricorra

una delle cause previste dalla legge. Esso a di assima effetti retroattivi. Il recesso è un atto unilaterale recettizio col

quale si esercita il diritto di determinare lo scioglimento del rapporto. I casi per tale possibilità possono essere sanciti

dalla legge (es. codice del consumo che ammette il recesso entro dieci giorno in favore dei consumatori per i contratti

stipulati fuori dei locali commerciali) oppure dalle parti con specifico accordo.

Esercitato il recesso, il contratto è sciolto e vanno restituite le prestazioni eventualmente gia eseguite.

Integrazione del contratto

a) Quanto alla legge vengono qui in considerazione sia le norme dispositive che le norme cogenti o

inderogabili. Le prime operano la cd. integrazione suppletiva, suppliscono cioè a una mancata previsione

del contratto. Le seconde determinano il contenuto del rapporto anche contro una diversa volontà delle parti.

b) Gli usi che integrano gli effetti del contratto sono sia quelli normativi che quelli negoziali. I primi sono vere

e proprie fonti di diritto e sono stati trattati nel quadro generale delle fonti. I secondi sono le pratiche

contrattuali diffuse nei diversi settori d‟affari e usualmente praticate dagli operatori economici.

c) L’equità è un criterio di giustizia sostanziale che, nell‟ambito dei contratti, si specifica nell‟esigenza di

massima un equilibrio dei sacrifici reciproci

d) A integrare il contratto concorre anche la buona fede in senso oggettivo, o correttezza, espressamente

richiamata dall‟art. 1375 come criterio di esecuzione del contratto.

CAPITOLO 37: IL CONTRATTO E I TERZI

Mentre, come s‟è veduto il contratto a forza di legge tra le parti, rispetto ai terzi non produce effetto che nei casi

previsti dalla legge. Infatti il principio della relatività degli effetti del contratto dice che: il contratto intercorso fra

alcuni non può ne avvantaggiare ne essere di pregiudizio ai terzi, e cioè a coloro che siano rimasti estranei alla sua

stipulazione.

Effetti rispetto ai terzi

Il contratto, dunque, produce effetti solo nei casi previsti. dalla legge. V‟è anzitutto un effetto indiretto o riflesso: il

contratto costituisce o modifica posizioni giuridiche e perciò incide sulla titolarità dei diritti con i quali anche i terzi

possono venire in contatto/conflitto. Si pone allora il problema della opponibilità dei contratti. I criteri per risolvere i

conflitti sono diversi. Particolare riferimento all‟ipotesi del conflitto tra più acquirenti di uno stesso diritto.

Page 110: Diritto privato e pubblico riassunti

110

a) se si tratta dell‟acquisto di diritti reali su universalità di immobili si applica la regola della priorità d‟acquisto

b) se si tratta dell‟acquisto di diritti reali su beni mobili, il conflitto si risolve in base alla regola sul possesso

titolato (o possesso vale titolo)

c) se si tratta dell‟acquisto di diritti reali su beni immobili o su mobili registrati, prevale colui che per primo ha

effettuato la trascrizione del suo acquisto, anche se di data posteriore

d) ove oggetto sia un credito, prevale la cessione notificata o accettata per prima dal debitore

e) se si tratta dell‟acquisto di diritti personali di godimento prevale colui che per primo ha conseguito il

godimento della cosa o colui che ha un titolo di data certa inferiore.

Il contratto a favore di terzi

E‟ possibile, infine, anche una efficacia diretta del contratto nei confronti di terzi, ma solo quando si tratti di effetti

favorevoli e il terzo, ne voglia approfittare. E‟ questo il contratto a favore di terzo, nel quale i contraenti prendono l

nome di stipulante e promettente.

Il contratto simulato

Si ha simulazione quando le parti fingono di stipulare un contratto ma in realtà non ne vogliono gi effetti (simulazione

assoluta) ovvero vogliono gli effetti di un contratto diverso (simulazione relativa). Questo risultato viene raggiunto

affiancando alla dichiarazione contrattuale una controdichiarazione nella quale si chiarisce il reale intendimento delle

parti.

LA TUTELA DEI DIRITTI

LA TRISCRIZIONE

La trascrizione è una forme dai pubblicità dichiarativa dei beni immobili e beni mobili registrati. Esse si attuano

riportando su pubblico registro gli atti (es.una vendita) che incidono sulle vicende giuridiche di tali beni.

La pubblicità dichiarativa è una forma di pubblicità il cui assolvimento non condizione la validità o l‟efficacia degli

atti; semplicemente ne condiziona l‟opponibilità ai terzi.

Funzione: è quella di risolvere il conflitto tra più acquirenti di uno stesso diritto; tra i diversi acquirenti viene preferito

quello che per primo ha reso pubblico il suo acquisto col mezzo della trascrizione anche se il suo acquisto è di data

posteriore.

La trascrizione non svolge un ruolo sostanziale e non costituisce un obbligo per l‟acquirente, bensì un onere, una

formalità necessaria contro un terzo.

Gli atti soggetti a trascrizione sono elencati nell’art. 2643ss:

1. contratti che trasferiscono la proprietà o modificano o estinguono diritti reali di godimento

2. gli atti unilaterali che producono medesimi effetti

3. le sentenze e ogni altro atto o provvedimento che produce gli effetti sopra menzionati

Gli atti vengono trascritti con riferimento alle persone che li hanno compiuto, e perciò per ogni atto viene effettuata

una doppia trascrizione: una a favore dell‟acquirente e una contro l‟alienante.

Il principio di continuità delle trascrizioni: se manca una trascrizione antecedente, le successive trascrizioni non

hanno effetto perché non sono in grado di rendere note ai terzi tutte le vicende del bene. Tali trascrizioni pur non

avendo effetto hanno una funzione di “prenotazione”.

Altre funzioni delle trascrizione:

1. la trascrizione delle domande giudiziali

2. la trascrizione del contratto preliminare: prenota la possibilità di trascrivere il contratto definitivo

3. le trascrizioni a efficacia costitutiva (atti interattivi dell‟usucapione, atti per usucapione abbreviato, e

notificativi (mera funzione di notizia es. acquisti a causa di morte)

Forma e titoli per la trascrizione.

La trascrizione va eseguita presso l‟ufficio dei registri immobiliari nella cui circoscrizione sono situati i beni (art.

2663) e può essere ottenuta solo in forza di un titolo, e cioè “ in forza di sentenza, di atto pubblico o di scrittura privata

con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente” (art. 2657).

Art. 2643 Atti soggetti a trascrizione

Si devono rendere pubblici col mezzo della trascrizione:

Page 111: Diritto privato e pubblico riassunti

111

i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili (812);

i contratti (1350, 2651) che costituiscono, trasferiscono o modificano il diritto di usufrutto (978 e seguenti) su beni

immobili, il diritto di superficie (952 e seguenti), i diritti del concedente e dell'enfiteuta (957 e seguenti);

i contratti che costituiscono la comunione (1100 e seguenti) dei diritti menzionati nei numeri precedenti

i contratti che costituiscono o modificano servitù prediali (1027 e seguenti), il diritto di uso sopra beni immobili, il

diritto di abitazione (1021 e seguenti);

gli atti tra vivi di rinunzia ai diritti menzionati nei numeri precedenti;

i provvedimenti con i quali nell'esecuzione forzata si trasferiscono la proprietà di beni immobili o altri diritti reali

immobiliari (Cod. Proc. Civ. 574, 586, 590), eccettuato il caso di vendita seguita nel processo di liberazione degli

immobili dalle ipoteche a favore del terzo acquirente (2896);

gli atti e le sentenze di affrancazione del fondo enfiteutico (971);

i contratti di locazione (1571 e seguenti) dei beni immobili che hanno durata superiore a nove anni (1350, 1599,

2923);

gli atti e le sentenze da cui risulta liberazione o cessione di pigioni o di fitti non ancora scaduti (1605), per un termine

maggiore di tre anni (2918);

i contratti di società (2247 e seguenti) e di associazione (14 e seguenti, 2549 e seguenti) con i quali si conferisce il

godimento di beni immobili o di altri diritti reali immobiliari, quando la durata della società o dell'associazione eccede

i nove anni o è indeterminata (att. 231);

gli atti di costituzione dei consorzi (862 e seguenti; 2602 e seguenti) che hanno l'effetto indicato dal numero

precedente (att. 231);

i contratti di anticresi (1960 ss; att. 231);

le transazioni (1965 e seguenti) che hanno per oggetto controversie sui diritti menzionati nei numeri precedenti;

le sentenze (1032, 2932) che operano la costituzione, il trasferimento o la modificazione di uno dei diritti menzionati

nei numeri precedenti (2932).

Art. 2657 Titolo per la trascrizione

La trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza (Cod. Proc. Civ. 131 e seguenti), di atto pubblico

(2699) o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata (2703) o accertata giudizialmente (Cod. Proc. Civ. 215 e

seguenti).

Le sentenze e gli atti seguiti in paese estero (Cod. Proc. Civ. 796 e seguenti; 804) devono essere legalizzati (2674).

Art. 2663 Ufficio in cui deve farsi la trascrizione

La trascrizione deve essere fatta presso ciascun ufficio dei registri immobiliari nella cui circoscrizione sono situati i

beni.

CAPITOLO 38: LA RAPPRESENTANZA

Quando abbiamo parlato delle parti del contratto abbiamo distinto la parte in senso formale (il soggetto che emette la

dichiarazione negoziale) e la parte in senso sostanziale (il soggetto nella cui sfera giuridica incide il contratto). Di

norma c‟è sempre coincidenza nello stesso soggetto ma non è sempre così si ha dunque il fenomeno per cui un

soggetto, munito del relativo potere, compie un atto giuridico destinato ad incidere direttamente sulla sfera giuridica di

altri e si parla di sostituzione dell’altrui attività giuridica.

La rappresentanza è il potere attribuito a un soggetto (rappresentante) di compiere atti giuridici che producono effetti

direttamente nella sfera di un altro soggetto (rappresentato). (art. 1387)

Rappresentanza diretta: è il potere di compiere atti giuridici in nome e nell‟interesse del rappresentato(ne

spende il suo nome). Tale potere è conferito o dall‟interessato o dalla legge (es. in caso di incapacità di

agire).È esclusa in alcuni atti a carattere personale, es. matrimonio.

Rappresentanza legale: è conferita dalla legge nelle ipotesi di incapacità legale di agire

Rappresentanza volontaria: è conferita all‟interessato con apposito negozio detto procura (o

delega); serve per far conoscere ai terzi l‟esistenza di un delegato.

Delega speciale: conferita per singoli affari

Delega generale: per tutti gli affari del rappresentato

La revoca della procura è sempre possibile trattandosi di atto unilaterale. La revoca o la modifica della procura devono

farsi sapere ai terzi(iscritte negli appositi registri) altrimenti non hanno efficacia.

La procura riguarda il rapporto tra rappresentante e i terzi(lato esterno) mentre il rapporto tra rappresentante e

rappresentato si chiama rapporto di gestione (lato interno).

Page 112: Diritto privato e pubblico riassunti

112

Rappresentanza indiretta: è caratterizzata dall‟agire di un soggetto nell‟interesse altrui ma in proprio nome.

Pertanto il rappresentante è sia parte formale sia sostanziale, successivamente con un apposito atto di

trasferimento riverserà gli effetti a capo del rappresentato. (es. non desidero far sapere che sono interessato a

un certo affare e incarico un‟altra persona, la quale agirà senza rivelare che opera nel mio interesse)

Vizi per la rappresentanza

Vizi della volontà: anomalie del processo formativo della volontà oppure male fede del rappresentante. La

legge ammetta l‟annullabilità dell‟atto.

Conflitto di interesse.

Se il rappresentante, in un affare, non realizza più l‟interesse del rappresentato ma tutela i propri interessi, si trova

in una situazione di conflitto di interesse; cosi il contratto è annullabile per abuso di potere del rappresentativo.

Inoltre non è obbligatorio dimostrare che l‟atto del rappresentante sia dannoso per il rappresentato, ma il

rappresentante è in una situazione di conflitto di interesse anche quando è solo portatore di interessi incompatibili.

La legge ammette l‟annullabilità dell‟atto.

Rappresentanza senza potere: art 1398 sancisce la rappresentanza senza potere il caso di chi contratta come

procuratore di altri senza averne i poteri o eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli. Cd.falso rappresentante

e tutti i suoi atti sono inefficaci. L‟atto è inefficace e si dovrà procedere al risarcimento dei danni a favore

della parte lesa (rappresentato in modo fasullo)

Il contratto da persone da nominare è il contratto nel quale una parte si riserva la facoltà di nominare

successivamente il soggetto nella cui sfera il contratto produrrà i sui effetti(art. 1401). Non c‟è dunque una immediata

spendita del nome, come nella rappresentanza, ma solo una riserva di nomina successiva. Con la dichiarazione di

nomina il soggetto nomina il proprio rappresentante, a sua volta il rappresentato dovrà accettare la nomina

(accettazione). In caso in cui il rappresentante rifiuti la nomina il contratto avrà effetti tra le parti originarie.

Cessione del contratto

È il negozio con cui una parte, col consenso dell‟altra sostituisce a se un terzo nei rapporti derivanti da un contratto a

prestazioni corrispettive. (as.cedo al nuovo inquilino il contratto per la fornitura del gas). A differenza della cessione

del credito non viene ceduto solo il lato attivo ma anche le obbligazioni.

Si tratta di un contratto plurilaterale occorrendo per la sua validità il consenso del contraete ceduto.

Il subcontratto

Col subcontratto si da vita ad un nuovo contratto, derivato da quello precedente, che continua a sussistere tra le parti

origate. es. l‟inquilino subloca la casa ad un altro.

CAPITOLO 39: L‟ESECUZIONE DEL CONTRATTO.

LA RISOLUZIONE.

Il contratto efficace deve essere eseguito: devono cioè adempiersi le obbligazioni in esso previste.

Anomalie del sinallagma e strumenti di tutela

Sinallagma contrattuale: è il rapporto di corrispettività e reciprocità tra le prestazioni. Ciascuna prestazione e perciò

la giustificazione dell‟altra.

La legge prevede alcuni istituti di tutela per tenere fermo questo sinallagma e, nel caso, volti a rimediarne al suo venir

meno.

1. eccezione di inadempimento: nei contratti a prestazioni corrispettive ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di

adempiere la sua obbligazione se l‟altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la

propria. (art. 1460). E‟ possibile che le parti escludano pattiziamente la possibilità di eccepire altrui

inadempimento con la “ clausola limitativa della facoltà di proporre eccezioni” (art. 1462). Es. non si può

rifiutarsi di pagare la bolletta telefonica adducendo che c‟è un errore nel conteggio o per qualsiasi motivo.

Prima si paga, poi si apre un contenzioso e si fanno valere le proprie ragioni.

2. sospensione dell’esecuzione della prestazione: nel caso in cui le condizioni patrimoniali dell‟ altro sono

divenute tali da porre in pericolo il conseguimento della controprestazione (art. 1461)

Page 113: Diritto privato e pubblico riassunti

113

Queste sono tutele temporanee, non definitive. Per il caso di inadempimento che si protrae nel tempo il contraente a

ha essenzialmente due possibilità di tutela:

- chiedere la manutenzione del contratto

- chiedere la risoluzione del contratto

1) Manutenzione del contratto: si consegue con la domanda in giudizio volta ad ottenere la condanna

all‟adempimento: si chiederà al giudice di condannare il contraente, a eseguire il contratto e di disporne,

eventualmente, l‟esecuzione forzata in forma specifica (art. 2930)

2) Risoluzione del contratto: è lo scioglimento del rapporto contrattuale per cause successive alla sua stipulazione.

La risoluzione è prevista nei contratti a prestazioni corrispettive per:

i. Causa di inadempimento

ii. Impossibilità sopravvenuta

iii. Eccessiva onerosità sopravvenuta

La risoluzione può operare di diritto, automaticamente oppure con una sentenza del giudice. Ha effetti retroattivi solo

tra le parti.

1. Risoluzione per inadempimento:

È lo scioglimento del rapporto determinato dall‟inadempimento imputabile di uno dei due contraenti.

Possono aversi due tipi di risoluzione per inadempimento:

a. Risoluzione giudiziale. Si realizza con sentenza del giudice, a seguito di domanda dell‟interessato, e previa

verifica della sussistenza dei requisiti supposti per la risoluzione e sulla gravità dell‟inadempimento.

b. Risoluzione di diritto. Può verificarsi nei seguenti casi:

a. Diffida ad adempiere: è il caso in cui uno dei contraenti intima per iscritto alla controparte di

adempiere entro un certo limite, con l‟avvertenza che altrimenti il contratto si intenderà senz‟altro

risolto di diritto.art.1454

b. Termini essenziali: è ipotesi in cui un adempimento tardivo sarebbe del tutto inutile per la controparte

(art1457) es. vestito delle nozze consegnato un giorno dopo.

c. Clausola risolutiva espressa: è la clausola contrattuale in cui si prevede che, in caso di

inadempimento di una determinata e specifica obbligazione, il contratto si risolverà automaticamente

(art. 1456). es. la clausola può riguardare la qualità della merce, un a determinata sfumatura di

colore…

2. Risoluzione per impossibilità sopravvenuta. L‟impossibilità sopravvenuta della prestazione è causa di estinzione dell‟obbligazione. La parte liberata per la

sopravvenuta impossibilità della prestazione non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella che abbia

gia ricevuta secondo le norme sulla “ripetizione dell‟indebito”. (art 1463) es. se il complesso musicale non terrà il

concerto, ho diritto di farmi rimborsare il prezzo del biglietto.

3. Risoluzione per eccessiva onerosità

è prevista la possibilità di risolvere il contratto quando eventi eccezionali e imprevedibili alterino l‟originale equilibro

di valore stabilito fra due prestazioni. Es. una raffineria che si è impegnata fornire e a trasportare il petrolio per un

anno può chiedere la risoluzione del contratto nel caso in cui per motivi fiscali, rincari del petrolio la prestazione

diviene eccessivamente onerosa.

La risoluzione per eccessiva onerosità può essere chiesta solo se ricorrono le condizioni indicate nell‟art. 1467:

Deve trattarsi di contratti a esecuzione differita

Occorre che l‟onerosità sia eccessiva, essa cioè deve superare l‟alea normale del contratto.

Onerosità deve essere dovuta a eventi straordinari e imprevedibili successivi al momento della stipula.

Ricorrendo a tali estremi, la parte pregiudica potrà chiedere la risoluzione, ma la controparte può evitarla offrendo di

modificare equamente le condizioni del contratto.

Capitolo 40: SUL LIBRO

CAPITOLO 41: LA RESPONSABILITA‟ PER FATTO ILLECITO

Page 114: Diritto privato e pubblico riassunti

114

I FATTI ILLECITI

Anche i fatti illeciti (atti e fatti che provocano un danno agli altri, vietati dalla legge) sono fonti dell‟obbligazione

come i contratti e le promesse unilaterali: essi sono fonte di obbligazione risarcitoria, obbligano cioè e

risarcire/riparare il danno cagionato ad altri e l‟istituto prende il nome di responsabilità extra-contrattuale. La qualifica

extra-contrattuale vale a sottolineare che si tratta di responsabilità che nasce al di fuori di una specifico, presistente

rapporto obbligatorio fra le parti. La responsabilità disciplinata dal diritto privato, contrattuale ed extracontrattuale,

viene chiamata civile, per contrapporla a quella penale che deriva da un fatto costituente reato. L‟illecito civile è

atipico, poiché non è necessario che la legge preveda specificamente questo o quel comportamento.

I requisiti della responsabilità:

L’art. 2043 sancisce che “qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che

ha commesso il fatto a risarcire il danno”

a) Il fatto: può consistere sia in un fatto giuridico in senso stretto che in un etto giuridico.

b) Il danno: il danno consiste nella lesione di un interesse tutelato dalla legge, oppure dalla modificazione

peggiorativa di un bene. Si suddivide in:

i. patrimoniale: quando il pregiudizio riguarda un bene economico, cioè valutabile a denaro, e

più on generale un interesse patrimoniale del soggetto

ii. non patrimoniale: quando il pregiudizio riguarda un bene della personalità: onore, integrità

psicofisica…

Il danno deve essere “ingiusto”, secondo l‟art. 2043, deve cioè ledere un diritto o un interesse protetto dalla

legge. Infatti, non tutti i pregiudizi che si verificano nella vita associata ledono un interesse tutelato

giuridicamente: a volte si tratta di semplici pregiudizi di fatto.

c) Il nesso di casualità tra il fatto e l‟evento dannoso: sono rilevanti, solo i danni che siano conseguenza

immediata e diretta dell‟illecito. Se più persone hanno concorso a cagionare il danno sono tutte obbligate al

risarcimento con vincolo di solidarietà, pur se diverso sia stato il contributo di ciascuno. (art. 2055). es. se

tizio lascia una rivoltella sua tavolo di casa e Caio la usa e ferisce un terzo, entrambi saranno responsabili per

l‟intero danno.

Nei rapporti interni fra i corresponsabili la responsabilità si suddivide in base alla colpa. Nel dubbio, le singole

colpe si presumono uguali.

d) Il dolo o la colpa: per esserci responsabilità il comportamento deve essere doloso o colposo.

i. Dolo: si ha quando l‟evento è voluto dall‟agente come conseguenza della propria azione od

omissione.

ii. Colpa: si ha quando vi sia negligenza, imprudenza, imperizia ovvero inosservanza delle leggi.

Non rileva il fanno che l‟evento dannoso sia stato eventualmente preveduto dall‟agente:

l‟importante è che non sia direttamente voluto, che non sia lo scopo cui è diretta l‟azione.

e) Imputabilità: l‟atto deve essere imputabile al suo autore, e cioè deve essere commesso con coscienza e

volontà. Imputabilità può mancare per difetto di coscienza e/o di libertà di agire nei seguenti casi:

a. Non sarà responsabile colui che non aveva la capacità di intendere e volere al momento in cui ha

commesso il fatto. (cap. naturale). Es. se il soggetto si fosse volontariamente ubriacato la sua

responsabilità sarebbe stata piena. L‟incapacità di intendere o di volere esclude la imputabilità del

fatto, chiamando a rispondere dei danni chi era tenuto alla sorveglianza.

b. L‟imputabilità e quindi la responsabilità è esclusa quando sussistono le cd. Cause di giustificazione:

a. Quando il comportamento è tenuto nell‟esercizio di un diritto o nell‟adempimento di un

dovere (es. poliziotto)

b. Quando il comportamento è tenuto per legittima difesa per se e di altri

c. È soltanto attenuata imputabilità nel cd. Stato di necessità cioè quando si è agito per

salvaguardare se stessi o altri provocando un danno grave. Es. in auto se schiviamo una

macchina che arriva contro mano, e andiamo a tamponare una terza macchina, la

responsabilità non sarà esclusa dal tutto ma solo parzialmente.

La responsabilità oggettiva è una sottospecie di responsabilità extra-contrattuale caratterizzata dal fatto che non è

richiesto, nel comportamento del danneggiante, il requisito del dolo o della colpa. Il risarcimento pertanto potrà

ottenersi sulla base del solo rapporto di casualità fra un fatto illecito e il danno, senza necessità di provare la colpa

dell‟agente.

Le ipotesi più importanti di responsabilità oggettiva sono:

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115

a) esercizio di attività pericolosa

b) circolazione di veicoli senza guida di rotaie

c) cose o animali in custodia

d) rovina di edificio o di una sua parte

e) prodotti difettosi

Il risarcimento (prestazione atta a riparare la perdita subita dal danneggiato) può avvenire:

per equivalenti: cioè una somma di denaro pari al valore del pregiudizio.

in forma specifica: cioè tramite il ripristino o reintegrazioni della situazione presistente all‟illecito. Es.

riparazione del bene distrutto a spese del danneggiatore.

Atto illecito e atto dannoso

La moderna dottrina evidenzia che, ciò che è fonte di responsabilità non è tanto il fatto illecito, cioè il fatto vietato

dalla legge, quanto piuttosto il fatto dannoso, cioè il fatto produttivo di danno. Atto illecito: che viola una norma.

Trova nella legge gli strumenti di tutela preventiva e reintegrativa.

a. le misure preventive sono dirette a impedire il compimento, o l‟ulteriore proseguimento, dell‟illecito. Cd.

Azione inibitoria (inibisce cioè vieta) es. art. 7,9,10 come figure specifiche a tutela dei diritti della personalità.

b. Le misure di reintegrazione hanno la funzione di reintegrare il soggetto leso nella situazione giuridica alterata.

(es. figure specifiche sono quelle a tutela della proprietà o del possesso)

Gli atti leciti dannosi sono atti che pur sono fonte di danno ma che la legge li consente.

Es. accesso al fondo altrui, immissioni intollerabili, inseguimento di animali sul fondo, revoca della proposte

contrattuale. In tali ipotesi la legge consente l‟attività dannosa ma imponendo al contempo l‟obbligo di corrispondere

una indennità al danneggiato. Essa si differenzia dal risarcimento perché non deve comprendere tutto il danno, ma

costituisce solo un equo ristoro.

CAPITOLO 42: LE OBBLIGAZIONI NASCENTI DALLA LEGGE

Le figure considerate, per la loro importanza, sono: la gestione di affare altrui, il pagamento dell’indebito,

l’arricchimento senza causa.

La gestione degli affari altrui: è l‟ipotesi in cui un soggetto, senza esservi obbligato e senza averne il potere, gestisce

un affare altrui. (es. tizio irriga il fondo del vicino, oppure vende il raccolto del parente, aggiusta il tetto del vicino).

L‟art. 2028 prevede allora che se qualcuno, senza esservi obbligato assume spontaneamente la gestione di un affare

altrui è anzitutto obbligato a continuarla fino a quando l‟interessato non è in grado di provvedervi da se. Il gestore

inoltre è tenuto a operare con la diligenza media del buon padre di famiglia, ed è soggetto alle obbligazioni che

deriverebbero da un mandato.(art. 2030)

L‟interessato rimane vincolato alle obbligazioni assunte dal gestore in suo nome e deve rimborsarlo delle spese

necessarie che abbia assunto in suo nome.

Il pagamento dell’indebito: si ha pagamento dell‟indebito quando una persona esegue una prestazione non dovuta,

appunto in-debita. La legge considera il pagamento dell‟indebito come fonte di una obbligazione del ricevente.

Occorre distinguere due ipotesi: indebito oggettivo e indebito soggettivo

a. Indebito oggettivo: quando la prestazione non è dovuta da nessuno e perciò si riceve un pagamento non dovuto e

non giustificato (debito nullo, inesistente, gia pagato..). in tal caso chi ha pagato ha diritto alla restituzione e agli

interessi: dal giorno del pagamento se chi lo aveva ricevuto era in mala fede; dal giorno della domanda se chi lo ha

ricevuto era in buona fede. (art. 2033)

b. Indebito soggettivo: quando la prestazione non è dovuta da chi ha effettivamente pagato, ma tuttavia è dovuta da

una terza persona (es. per errore pago la bolletta del mio vicino, pago la quota condominiale di un altri

condomino..).

- se il debito è stato pagato per errore scusabile è ammessa la ripetizione

- se il debito è stato pagato per errore inescusabile non è ammessa ripetizione e il pagamento sarà inteso come

adempimento di un terzo. Successivamente chi ha pagato subentra nei diritti del creditore soddisfatto verso il vero

debitore.

Fanno eccezioni le obbligazioni naturali e le prestazioni eseguite per uno scopo contrario al buon costume alla regola

sulla ripetizione dell‟indebito (art.2034/5)

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116

L’arricchimento senza causa: quando un soggetto consegue un incremento patrimoniale a danno di un altro senza che

tale incremento abbia adeguata giustificazione. (es. mi consegnano per errore una cassa di vino e io, anche in buona

fede, la consumo: mi sono perciò arricchito di un certo valore, in danno di un altro, senza avervi il diritto.)

Azione generale di arricchimento senza causa

L‟art. 2041 sancisce che “chi, senza una giusta causa, si è arricchito in danno di un‟altra persona è tenuto, nei limiti

dell‟arricchimento, a indennizzare quest‟ultima della correlativa diminuzione patrimoniale”.

Quest‟azione ha due caratteristiche:

generale perché è concessa in genere a chiunque si trovi nelle condizioni sopra dette

residuale perché è concessa nei casi in cui il danneggiato non può esercitare un‟altra azione per farsi

indennizzare dal pregiudizio.

Le figure concrete di arricchimento senza causa derivano da:

atto dell’arricchito

atto dell’impoverito

Capitolo 43: Il potere giudiziario

Il dibattito in Assemblea Costituente

L'impostazione accolta dai Costituenti nell'affrontare i problemi connessi alla disciplina del potere giudiziario è più

ispirata al recupero del sistema precedente all'avvento del regime fascista. Quanto alla struttura l'elemento di maggior

continuità è rappresentato dal mantenimento del doppio binario di giurisdizione, che deve convivere insieme giustizia

ordinaria e giustizia amministrativa, l'elemento di maggiore novità è rappresentato dalla introduzione del sistema di

giustizia costituzionale. Con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana il sistema giudiziario italiano ha visto

confermata ed accresciuta la sua caratteristica di sistema fortemente articolato: ai giudici ordinari (civili e penali), si

affiancano i giudici amministrativi (i Tribunali amministrativi regionali, il Consiglio di Stato), i giudici in materia

contabile (la Corte dei Conti) e tributaria (le Commissioni tributarie) e i giudici militari. La Costituzione prevede due

principi di grande rilievo: quello per cui "nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge" e

quello per cui " non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali". Con il primo principio si

garantisce la previa costituzione del giudice competente a decidere la controversia; con il secondo si vieta la

costituzione di organi giudicanti "ex post". Altro principio costituzionale che attiene all'organizzazione del potere

giudiziario è quello sancito dall'art. 106, il quale affida alla legge il compito di disciplinare "i casi delle forme della

partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia". Le novità di significative della disciplina

costituzionale si registrano sul versante dei rapporti tra giudici e altri poteri dello Stato (sul versante della loro

indipendenza esterna), nonché sul versante dei rapporti tra i singoli magistrati e la struttura organizzativa nell'ambito

della quale essi esercitano le loro funzioni (sul versante della loro indipendenza interna). Sotto il profilo

dell'indipendenza esterna la Costituzione repubblicana prevede l'istituzione di un organo "ad hoc", il Consiglio

Superiore della Magistratura al quale sono state conferite una serie di funzioni di natura amministrativa e di natura

giurisdizionale. Sotto il profilo dell'indipendenza interna la Costituzione stabilisce due principi tendenti a rafforzare le

garanzie predisposte a favore del singolo magistrato. Il primo della inamovibilità inteso quale il divieto di procedere

alla dispensa, alla sospensione dal servizio o alla destinazione ad altra sede se non in seguito ad una decisione del

Consiglio Superiore della Magistratura. Il secondo, quello del divieto di operare distinzioni fra i magistrati se non in

ragione della diversità di funzioni ad essi assegnate.

La struttura dell’ordinamento giudiziario

Una delle caratteristiche del nostro ordinamento giudiziario è rappresentata dalla sua accentuata complessità.

Limitando l'osservazione agli aspetti che costituiscono la struttura portante di tale ordinamento, esaminiamo i quattro

diversi profili: quello dell'articolazione strutturale, quello delle regole che disciplinano lo status giuridico dei suoi

membri, quello delle regole che ne assicurano l'indipendenza esterna, quello delle regole che disciplinano l'esercizio

delle loro funzioni.

I giudici ordinari (organi giudicanti e organi requirenti)

Il riparto di competenza tra i vari giudici è operato direttamente dalla legge. In relazione alle funzioni, il giudici

ordinari entrano a far parte degli organi giudicanti o degli organi requirenti. Quali organi giudicanti di primo grado in

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materia civile sono previsti il Giudice di pace e il Tribunale. Le decisioni del Giudice di pace sono impugnabili

davanti al Tribunale e quelle adottate dal Tribunale il primo grado sono appellabili davanti alla Corte d'appello. Il

Giudice di pace è un giudice onorario, opera come giudice di primo grado con una limitata competenza sia civile che

penale. Sempre fra i giudici ordinari va annoverato il Tribunale regionale delle acque pubbliche, il quale giudica in

materia di controversie relative all'uso delle acque soggette a regime pubblicistico, ed opera come sezione

specializzata della Corte d'appello. Contro le sue decisioni è possibile proporre appello al Tribunale superiore delle

acque pubbliche. In materia penale, sono giudici di primo grado il giudice di pace e il Tribunale, il Tribunale dei

minorenni e la Corte d'Assise. Come giudici penali di secondo grado operano la Corte d'Appello e la Corte d'Assise

d'Appello. Fra i giudici in materia penale va annoverato il Tribunale della libertà. Si affiancano agli organi giudicanti

gli organi requirenti, cioè quegli organi cui non spetta la decisione della controversia, bensì l'esercizio di funzioni

proprie del pubblico ministero (PM) che sono preparatorie o di stimolo rispetto a tale decisione. Essi sono

rappresentati dalle Procure della Repubblica, dalle Procure generali, dalla Procura Generale presso la Corte di

Cassazione. Oltre all'obbligo di esercitare l'azione penale il PM ha alcune competenze anche in campo civile ed

amministrativo.

I giudici amministrativi

Anche sul versante della giustizia amministrativa ha trovato applicazione il principio del doppio grado di

giurisdizione. A seguito dell'istituzione il Consiglio di Stato, prima giudice unico, è divenuto giudice di secondo

grado. Sia i TAR che il Consiglio di Stato sono giudici collegiali: i TAR si compongono di un Presidente e da almeno

cinque magistrati; il Consiglio di Stato opera attraverso le tre sezioni giurisdizionali e l'adunanza plenaria. I TAR e il

Consiglio di Stato esercitano giurisdizione generale di legittimità.

I giudici in materia contabile

La Corte dei conti ha una struttura particolarmente complessa. La Costituzione, all'art. 103.2, stabilisce che "la Corte

dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge". La Corte è giudice

esclusivo sia dei diritti che degli interessi legittimi. Del tutto tipici sono i giudizi in materia di responsabilità

amministrativa e contabile: soggetti a questi giudizi sono gli amministratori, gli impiegati e i contabili dello Stato,

delle Regioni, degli enti locali, degli enti pubblici. La responsabilità contabile riguarda i tesorieri e gli agenti contabili

che sono tenuti ad un rendiconto periodico delle erogazioni di denaro pubblico da loro maneggiato. Quanto ai giudizi

di responsabilità vengono promossi dai Procuratori regionali e si svolgono in contraddittorio. I giudizi in materia di

pensioni (ordinarie e militari) vengono promossi dalle parti interessate.

I giudici in materia tributaria

Con i DD.Lgs 545 e 546/1992 si è proceduto ad una riforma sia dell'ordinamento degli organi speciali di giurisdizione

tributaria, sia delle regole procedurali cui si informa il processo che davanti ai medesimi si svolge. Le Commissioni

tributarie si distinguono in Commissioni provinciali (aventi sede nel capoluogo di ogni provincia) e Commissioni

regionali (istituite in ogni capoluogo di Regione). Contro le decisioni dalle Commissioni provinciali è ammesso

appello alle Commissioni regionali. Avverso le sentenze delle Commissioni regionali può essere proposto ricorso per

Cassazione. Anche per i giudici che operano in materia tributaria è prevista l'istituzione di un Consiglio di presidenza

della giustizia tributaria che ne tutela l'autonomia e l'indipendenza.

I giudici militari

L'art. 103.3 Cost., ha confermato la competenza dei tribunali militari a giudicare dei reati compiuti da appartenenti

alle Forze armate non solo per il periodo di guerra ma anche in tempo di pace. Alla costituzionalizzazione di questa

giurisdizione speciale si è accompagnata la mancata riforma della disciplina dell'ordinamento giudiziario militare e

comprendente tanto la disciplina dell'ordinamento militare di pace, quanto quella dell'ordinamento militare di guerra.

Solo con l'approvazione della legge 180/1981 si è proceduto ad adeguare ai nuovi principi costituzionali la disciplina

di questo settore del nostro ordinamento giudiziario. Si è così prevista l'istituzione, accanto ai Tribunali militari, di un

giudice di secondo grado (la Corte militare d'appello). Si è prevista la possibilità di ricorrere in Cassazione contro i

provvedimenti dei giudici militari e si è istituito l'ufficio del Pubblico Ministero militare, ricoperto da magistrati

militari.

La Corte di Cassazione

A chiusura del sistema giudiziario, opera la Corte di cassazione. Essa è articolata in Sezioni (civili, penali, del lavoro)

e giudica sui ricorsi contro le sentenze adottate in sede di appello dagli organi giurisdizionali ordinari, nonché in tema

di conflitti di competenza, di giurisdizione e di attribuzione. Il ricorso può riguardare solo le eventuali violazioni di

legge compiute dagli organi giudicanti. In ordine ai ricorsi contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei

Conti, la competenza della Corte di cassazione può investire le sole questioni di giurisdizione. La posizione di organo

di chiusura del sistema giudiziario, occupata dalla Corte di cassazione si lega alla generale funzione "nomofilattica"

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che ad essa spetta esercitare: la funzione cioè di assicurare l'uniformità dell'interpretazione delle norme di legge da

parte dei giudici. L'immediato ricorso in Cassazione è sempre ammesso per motivi di legittimità, "contro le sentenze e

contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati per gli organi giurisdizionali ordinari o speciali". Ad

integrazione dell'istituto del ricorso in Cassazione, contro i provvedimenti attinenti alla libertà personale è stato

istituito il Tribunale della libertà chiamato a riesaminare i provvedimenti limitativi della libertà che si traducono in

misure detentive. Il Tribunale della libertà deve decidere i relativi ricorsi nei tre giorni successivi con ordinanza presa

in Camera di consiglio, confermando o revocando il provvedimento.

Mezzi alternativi per la soluzione delle controversie: l’arbitrato

Oltre che dagli organi giurisdizionali le controversie giuridiche che attengono a diritti disponibili possono essere

decise anche da altri organi, i arbitri (o giudici privati). Sulla base del principio dell'autonomia privata questi possono

decidere di affidare ad un soggetto terzo, non appartenente all'ordine giudiziario, la risoluzione delle eventuali

controversie. Esistono due forme diverse di arbitrato: l'arbitrato rituale e l'arbitrato irrituale. Il primo, disciplinato

dall'art. 806 riconosce alla decisione dell'arbitro gli stessi effetti della sentenza del giudice. Nel secondo la decisione

dell'arbitro ha valore immediatamente vincolante ed è soggetta ai controlli propri dei contratti. Per ciò che attiene

all'arbitrato rituale, spetta alle parti decidere il numero (sempre dispari) degli arbitri (il collegio non può essere

comunque inferiori a tre) e procedere alla loro nomina. Sempre le parti possono indicare agli arbitri le regole che essi

debbono seguire per arrivare alla decisione. Il lodo, ossia la decisione degli arbitri deve intervenire in ogni caso entro

180 giorni; termine quest'ultimo che gli arbitri o le parti possono decidere di prorogare, ma solo per una volta.

Lo “status” giuridico dei magistrati: l’accesso alla magistratura

Principio generale che regola l'accesso alla magistratura è quello del concorso pubblico. L'art. 106 Cost. Prevede due

possibili eccezioni: la prima attiene alla possibilità che il legislatore disponga l'istituzione di magistrati onorari elettivi

"per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli"; la seconda attiene alla possibilità che vengano chiamati a ricoprire

l'ufficio di consigliere di Cassazione, per meriti insigni, professori ordinari di università in materie giuridiche e

avvocati che possono vantare almeno quindici anni di esercizio della professione e siano iscritti negli albi speciali.

Rispetto al reclutamento per concorso, risultano finora marginali le ipotesi di ingresso in magistratura in applicazione

di principi diversi: la nomina per meriti insigni all'ufficio di consigliere di Cassazione e l'elezione di magistrati

onorari. Il Giudice di pace è nominato con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Consiglio

giudiziario competente per territorio, integrato da cinque rappresentanti designati dai Consigli dell'ordine degli

avvocati e procuratori. La nomina a Giudice di pace ha durata di quattro anni ed è rinnovabile allo stesso soggetto per

una sola volta. Una presenza di giudici-laici di nozze di giustizia ordinaria è quella prevista per la composizione del

tribunale dei minorenni di cui fanno parte anche due cittadini, nominati per tre anni dal CSM tra alcune specifiche

categorie di soggetti. Per la composizione delle Corti d'Assise di cui fanno parte alcuni giudici popolari, estratti a sorte

fra i cittadini dotati dei requisiti di buona condotta, di età non inferiore ai 30 anni e non superiore ai 65 e in possesso di

titoli di studio determinati dalla legge.

La mobilità interna dei magistrati Da un sistema articolato su una serie di passaggi selettivi, si è passati ad un sistema in cui l'elemento nettamente

predominante è l'automaticità del passaggio da una qualifica all'altra sulla base dell'anzianità di servizio maturata.

Problemi e inconvenienti, che hanno suscitato dibattiti e proposte di riforma legislativa, ha provocato anche

l'applicazione del principio di inamovibilità. Tali problemi sono legati a tre ordini di fattori: all'introduzione della

regola della irreversibilità delle funzioni; alla regola che consente la permanenza, nell'esercizio delle stesse funzioni, e

nella stessa sede, per l'intera durata della carriera; alla mancata coincidenza tra organico nominale era organico reale.

Il Consiglio Supremo della Magistratura, quale organo di garanzia dell'indipendenza esterna dei giudici ordinari:

la composizione La garanzia dell'indipendenza esterna dei giudice ordinali è affidata dalla Costituzione al Consiglio Superiore della

Magistratura. L'art. 104 Cost. prevede una composizione mista del CSM, con membri elettivi e membri di diritto (il

Presidente della Repubblica che presiede l'organo; il Primo Presidente della Corte di Cassazione e il Procuratore

generale presso la stessa Corte di cassazione). La scelta a favore di una composizione mista fu dovuta all'intento del

Costituente di evitare che l'organo garante dell'autonomia ed indipendenza della magistratura corresse il rischio di

trasformarsi in una struttura chiusa a difesa di posizioni corporative. Si tratta di 33 membri: 10 nominati dal

Parlamento in seduta comune, 20 eletti dai magistrati tra le varie categorie e i 3 membri di diritto. Il Vicepresidente è

chiamato a sostituire, in caso di assenza, il Capo dello Stato nell'esercizio delle sue funzioni di presidente del CSM. I

membri elettivi del CSM durano in carica 4 anni e non sono immediatamente rieleggibili. Scaduti i quattro anni

l'elezione del nuovo CSM deve avvenire entro 3 mesi dalla scadenza di quello precedente. Accanto al "plenum" del

Consiglio operano una serie di organi più ristretti (Commissioni) il cui numero e le cui attribuzioni sono determinate

dal Presidente dell'organo. Uno speciale rilievo assumono la Commissione speciale competente in materia di

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conferimento di incarichi direttivi ai magistrati e la sezione disciplinare.

Le funzioni

Al CSM la legge attribuisce una serie articolata di funzioni inerenti la carriera e lo "status" dei magistrati. Tali

funzioni amministrative riguardano in particolare: le assunzioni, le assegnazioni e ogni altro provvedimento sullo stato

dei magistrati; la nomina e revoca dei magistrati onorari e dei componenti estranei alla magistratura delle sezioni

specializzate; le nomina a magistrato di Cassazione per meriti insigni di professori e avvocati; concessione di sussidi

ai magistrati che esercitano funzioni giudiziarie e alle loro famiglie; le proposte dirette al Ministro dell Giustizia in

ordine alla modificazione delle circoscrizioni giudiziarie ed ogni altra questione relativa al funzionamento dei servizi

relativi alla giustizia; i pareri sui disegni di legge concernenti l'ordinamento giudiziario e l'amministrazione della

giustizia. Quanto al potere disciplinare attiene alla comminazione di specifiche sanzioni nel caso in cui i magistrati

tengano una condotta tale da renderli immeritevoli della fiducia di cui devono godere, compromettono il prestigio

dell'ordine giudiziario, trasgrediscano all'obbligo di residenza. Distinta dalla responsabilità disciplinare è la

responsabilità civile dei magistrati, riguarda i casi in cui il giudice è chiamato a rispondere personalmente del

risarcimento del danno ingiustamente recato al cittadino.

La natura dell'organo

Il CSM possiede alcune delle caratteristiche tipiche di organi costituzionali (indipendenza, rappresentatività, titolarità

di funzioni di rilievo costituzionale, inerenti a uno dei "poteri" dello Stato, necessarietà ed indefettibilità) ma risulta

escluso da ogni forma di partecipazione all'esercizio della funzione di indirizzo politico.

Le garanzie di indipendenza esterna dei giudici amministrativi, dei giudici contabili e dei giudici militari Principi analoghi a quelli che hanno ispirato l'istituzione del CSM sono stati adottati per il Consiglio di presidenza

della giustizia amministrativa, per ciò che attiene ai giudici amministrativi; per il Consiglio di presidenza della Corte

dei conti, per ciò che attiene ai giudici contabili; per il Consiglio della magistratura militare per ciò che attiene ai

giudici militari; per il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. L'istituzione di questi organi ha solo

parzialmente risolto il problema di assicurare un'effettiva autonomia esterna ai giudici speciali.

Principi costituzionali in materia di esercizio della funzione giurisdizionale

Tra i principi costituzionali che più direttamente incidono sull'esercizio della funzione giurisdizionale vanno

menzionati quello che impone l'obbligo dell'esercizio dell'azione penale al pubblico ministero; quello che dispone la

dipendenza dall'autorità giudiziaria della polizia giudiziaria; quello che sancisce l'obbligo di motivazione per tutti i

provvedimenti giurisdizionali.

a) Ai sensi dell'art. 12 Cost. "Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale". Tale disposizione

risponde ad una duplice finalità: da un lato quella di eliminare ogni discrezionalità nell'esercizio di una funzione così

delicata, dall'altro quella di assicurare, un'effettiva eguaglianza di trattamento.

b) Il principio della dipendenza della polizia giudiziaria dall'autorità giudiziaria muove dall'intento di assicurare

all'autorità inquirente uno strumento attraverso il quale condurre le indagini.

c) L' obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali risponde ad una duplice finalità: da un lato consente al

cittadino di basare sul contenuto della motivazione la sua eventuale difesa contro l'atto a lui sfavorevole nei diversi

gradi di giudizio; dall'altro consente a tutti i cittadini di conoscere, di discutere e di criticare le ragioni che hanno

ispirato una certa decisione giurisdizionale (si tratta di funzione "extra-processuale" della motivazione).

Attività giurisdizionale e diritti dei cittadini I principi costituzionali che toccano la posizione del cittadino nei confronti del giudice nell'esercizio delle sue funzioni

riguardano: l'affermazione del diritto alla difesa; l'affermazione dell'obbligo di riparazione degli errori giudiziari;

l'affermazione del diritto a non essere distolti dal proprio giudice naturale precostituito per legge; l'affermazione del

diritto a non essere puniti se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto;

l'affermazione del carattere personale della responsabilità penale; l'affermazione del diritto a non essere considerati

colpevoli finché non sia intervenuta una condanna definitiva.

a) L' affermazione del diritto alla difesa si collega all'art. 24.1 Cost., assicura a tutti il diritto di agire in giudizio a

tutela dei propri diritti e interessi legittimi. È compito del legislatore assicurare anche ai non abbienti i mezzi per agire

e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La Corte ha escluso che il diritto alla difesa significhi, nel processo penale,

oltre che diritto a farsi assistere da un difensore anche il diritto all'autodifesa. La presenza del difensore secondo la

Corte, sarebbe elemento indispensabile ad assicurare l'esercizio del diritto in questione e il regolare e corretto esercizio

della funzione giurisdizionale. In seguito all'approvazione del nuovo codice di procedura penale il diritto alla difesa ha

ricevuto una soddisfacente applicazione, con l'approvazione della legge 217/1990 il legislatore ha adempiuto

all'obbligo di assicurare a tutti, anche ai non abbienti, un esercizio effettivo di tale diritto. Al vecchio sistema del

gratuito patrocinio si è sostituito quello dell'assunzione da parte dello Stato delle spese di patrocinio per i soggetti che

abbiano un reddito inferiore alla soglia fissata dalla legge.

Page 120: Diritto privato e pubblico riassunti

120

b) In dottrina e in giurisprudenza si era affermato un indirizzo interpretativo volto a considerare la riparazione

dell'errore giudiziario come diritto soggettivo e diretto ad ottenere un risarcimento tanto del danno materiale, quanto

del danno morale subito dalla vittima dell'errore.

c) Il principio del giudice naturale.

d) L' affermazione in base alla quale nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del

fatto addebitato sancisce il principio della irretroattività della legge penale, ciò significa che l'azione repressiva dello

Stato può essere legittimamente esercitata solo ove si sia previamente proceduto a disciplinare i comportamenti che

sono passibili di sanzione penale.

e) Sancendo il principio della personalità della responsabilità penale, il costituente ha inteso impedire che il cittadino

potesse essere chiamato a rispondere per un fatto altrui. Questo principio ha comportato anche l'eliminazione o la

trasformazione della disciplina di ipotesi di responsabilità penale oggettiva.

f) D' importanza fondamentale è il principio costituzionale relativo alla presunzione di non colpevolezza, fino a che

non intervenga una sentenza di condanna definitiva. Esso si traduce in una precisa direttiva rivolta al legislatore

ordinario e in quella di regolamentare i procedimenti e gli istituti processuali in modo tale da evitare che il soggetto

coinvolto nella vicenda processuale abbia a subirne gli effetti negativi anticipati rispetto al momento dell'accertamento

di specifiche responsabilità.

g) Il principio del giusto processo riassume tutti gli altri principi. In vista della piena realizzazione di questo principio

si è proceduto ad un'integrazione dell'art. 111 Cost., sono stati inseriti cinque nuovi commi al fine di esplicitare in

dettaglio il contenuto di detto principio. Il primo comma del nuovo testo attiene: al rispetto del principio del

contraddittorio tra le parti "in condizioni di parità, davanti al giudice terzo ed imparziale"; alla garanzia di una

"ragionevole durata" dei processi; alla garanzia, nel processo penale, per la persona accusata di un reato del diritto ad

essere informata, nel più breve tempo possibile e in maniera riservata; al diritto ad avere il tempo e le condizioni

necessarie ad apprestare la propria difesa.

Capitolo 44: La corte costituzionale

Le origini della giustizia costituzionale

Solo nei regimi a Costituzione rigida le norme costituzionali sono poste al vertice della scala gerarchica sulla quale si

collocano le diverse fonti di cui si compone il sistema normativo, sì che solo in essi si pone il problema di prevedere

appositi meccanismi di reazione di fronte a possibili violazioni di tale regola gerarchica o a possibili violazioni delle

regole costituzionali che disciplinano i rapporti tra i diversi poteri dello Stato. È con una famosa sentenza del 1803 del

giudice Marshall che al riconoscimento della superiorità delle norme costituzionali rispetto ad ogni altra fonte

normativa sub-costituzionale, e in particolare rispetto alla legge, si accompagna l'affermazione dell'esigenza che tale

superiorità venga garantita non solo sul piano politico, ma anche su quello giuridico. Con riferimento alla decisione

delle questioni relative alla legittimità costituzionale delle leggi, opera il principio dello "stare decisis", ossia del

valore vincolante del precedente giudiziario, un principio che ha in grado di vincolatezza direttamente proporzionale

al livello cui appartiene il giudice che ha avuto una decisione. Questo sistema di giustizia costituzionale, che vede

chiamati in causa tutti i giudici è chiamato sistema diffuso, in contrapposizione al sistema che con un secolo di ritardo,

comincerà ad essere sperimentato in Europa e che è detto sistema accentrato, giacché affida non ai singoli giudici

bensì a un organo appositamente creato a questo fine, il compito di assicurare la conformità delle leggi alla

Costituzione. Questo secondo sistema fu previsto dalla Costituzione austriaca del 1920. Il ritardo con cui i primi

sistemi di giustizia istituzionale hanno fatto il loro ingresso negli ordinamenti europei è dovuto ad un duplice ordine di

ragioni; all'assenza di un vero pluralismo politico, sociale e istituzionale o comunque di un pluralismo tale da porre

l'esigenza di immaginare una sede imparziale di soluzione giuridica dei conflitti che possono nascere dalla dinamica

interna del sistema. In secondo luogo, alla difficoltà, comune a tutti gli ordinamenti europei a staccarsi dal principio

della "sovranità" della legge, intesa quale atto sovrano per eccellenza. Solo dopo il secondo conflitto mondiale, la

giustizia costituzionale (insieme al principio di rigidità della Costituzione) è divenuto, in Europa un principio

generalmente accolto.

Il modello di giustizia costituzionale voluto dai Costituenti

Quando in Assemblea costituente matura la scelta a favore di una Costituzione rigida i due modelli, cui i Costituenti

possono fare riferimento, sono: quello "diffuso", proprio della tradizione americana, e quello "accentrato" proprio

dell'esperienza austriaca. Il risultato finale del dibattito fu l'introduzione di un modello di giustizia costituzionale che

tenta una fusione tra elementi appartenenti ad entrambi quei modelli di riferimento. Del modello accentrato il

Costituente accolse il principio di affidare ad un apposito organo costituzionale, con tutte le garanzie di autonomia e di

indipendenza proprie di organi di questo tipo, il compito di garantire il rispetto della rigidità della Costituzione; del

modello diffuso accolse il principio dell'estensione del sindacato della Corte costituzionale anche ai profili di

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legittimità sostanziale della legge e del coinvolgimento nel processo di costituzionalità dei giudici comuni. I motivi

che determinarono questa scelta furono motivi di natura tecnico- giuridica e di natura politica. Quanto ai primi,

giocarono un ruolo importante non solo le esigenze legate alla struttura regionale dello Stato ma anche l'inesistenza

nel nostro ordinamento di un principio analogo a quello dello "stare decisis". Quanto ai motivi di natura politica,

vanno ricercati in un atteggiamento di diffidenza nei confronti del corpo dei magistrati. Quella che viene disegnata dal

Costituente è un'alta magistratura, che riflette nella sua composizione la natura peculiare dell'attività che essa è

chiamata ad esercitare (giurisdizionale e politica) e alla quale possono rivolgersi tanto organi dello Stato o delle

Regioni quanto i singoli cittadini, attraverso l'intermediazione del giudice.

Struttura e funzionamento della corte

L'art. 135 Cost. fissa a 15 il numero dei membri della giustizia costituzionale, attribuendo la nomina di 5 giudici

rispettivamente al Parlamento, al Presidente della Repubblica e alle supreme magistrature ordinarie e amministrative

(Corte di Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei Conti). Le nomine parlamentari avvengono a Camere riunite,

all'istituzione della Corte è invalsa una regola convenzionale ovvero quella di riservare la designazione di questi 5

giudici ai partiti che siedono in Parlamento, secondo i rapporti di forza che le rispettive rappresentanze esprimono.

Una regola analoga ha guidato anche l'esercizio del potere di nomina assegnato al Capo dello Stato. L'indubbia

politicità delle nomine di origine parlamentare e presidenziale è bilanciata dalla durata in carica particolarmente lunga

(9 anni), dalla non rieleggibilità e dalla previsione di precisi requisiti di professionalità. Oltre a questi requisiti positivi,

sono previste numerose cause di incompatibilità, alcune dettate direttamente dalla Costituzione, altre previste dalla

legge quali il divieto di ricoprire ogni altro impiego pubblico o privato, il divieto di svolgere qualunque forma di

attività professionale, il divieto di svolgere funzioni di sindaco. La Costituzione non si occupa direttamente di

disciplinare le modalità che devono essere seguite per la nomina dei giudici costituzionali da parte delle supreme

magistrature. Tale disciplina prevede che tre dei cinque giudici vengano nominati dalla Corte di Cassazione, uno dal

Consiglio di Stato e uno dalla Corte dei Conti. Per essere eletti è richiesta, al primo scrutinio, la maggioranza assoluta;

ove questa non venga raggiunta si procede al ballottaggio tra i candidati che abbiano riportato il maggior numero dei

voti. In caso di parità risulta eletto il più anziano. Il ruolo di Presidente della Corte è svolto da uno dei suoi membri

eletto a maggioranza di componenti. Il Presidente dura in carica 3 anni ed è rieleggibile, entro i limiti del suo mandato

novennale. Al Presidente sono conferiti numerosi e rilevanti poteri non sono in ordine allo svolgimento della

discussione del collegio ma anche in ordine alla definizione del calendario delle cause da decidere. Non appena eletti i

giudici della corte costituzionale sono tenuti a prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della

Costituzione davanti al Presidente della Repubblica. Come ogni altro organo costituzionale, la corte e i suoi membri

godono di particolari guarentigie volte a garantirne l'autonomia e l'indipendenza. Per ciò che attiene alle garanzie esse

consistono: nel potere di procedere alla verifica dei poteri dei propri membri, ossia alla verifica del processo dei

requisiti richiesti per rivestire la carica di giudice costituzionale; nel potere di decidere ogni questione relativa ad

eventuali cause di incompatibilità; nel potere di decidere la rimozione della carica dei propri membri; nell'autonomia

finanziaria; nell'autonomia amministrativa, che consente alla Corte non solo di determinare il proprio fabbisogno di

personale di supporto, ma anche di decidere ogni questione con essa a questi rapporti di impiego; nell'autonomia

regolamentare, attraverso la quale la corte può dettare una disciplina integrativa della propria organizzazione; nel

potere di polizia interna assegnata al Presidente della Corte. Per quanto attiene alle garanzie assicurate ai giudici

costituzionali esse consistono: nella inamovibilità di impedimento per incapacità sopravvenuta o gravi mancanze

nell'adempimento delle proprie funzioni; nella insindacabilità e non perseguibilità per le opinioni e i voti espressi

nell'esercizio delle loro funzioni; nella non sottoponibilità a limitazione delle libertà personali, salva l'autorizzazione

della stessa Corte; nell'assegnazione di una retribuzione che la legge determina in misura non inferiore a quella del

più alto magistrato della giurisdizione ordinaria. I principi generali su cui si basa il suo funzionamento sono quello

della pubblicità e quello della collegialità. Le sedute della Corte sono pubbliche; sentenze e ordinanze sono pubblicate

sulla Gazzetta Ufficiale. Il principio di collegialità stabilisce che la corte opera alla presenza di almeno 11 giudici e

che le decisioni siano prese in camera di consiglio, alla presenza di tutti i giudici che hanno partecipato alle varie fasi

di trattazione della causa, a maggioranza assoluta dei votanti.

Il controllo di legittimità costituzionale: l’oggetto

La prima funzione della Corte Costituzionale è quella di esercitare il controllo sulla legittimità costituzionale delle

leggi, a garanzia della rigidità della Costituzione. Oggetto di tale controllo non sono le sole leggi approvate dal

Parlamento ma anche gli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni. Non sono stati ricompresi nella

categoria degli atti sottoponibili a giudizio della corte i regolamenti, nella convinzione che essendo fonti secondarie

subordinati alla legge, non potessero direttamente apportare alcuna violazione alla Costituzione. Non rientrano tra gli

atti sottoponibili del giudizio della corte neppure i regolamenti parlamentari, pur fonti primarie, in contrasto con parte

della dottrina e analoga regola è da ritenersi operante anche per i regolamenti degli altri organi costituzionali. Vi

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rientrano sia le leggi costituzionali e di revisione costituzionale, sia gli atti normativi comunitari, anche se non

direttamente, bensì per il tramite della legge di esecuzione dei Trattati istitutivi delle comunità. Sempre in ordine

all'oggetto del giudizio della Corte, resta da chiarire il problema se esso debba svolgersi solo sulle disposizioni

legislative che le vengono sottoposte ovvero anche sulle norme e se ne possono desumere. La legge 87/1953 quando

disciplina il modo di porre le questioni di legittimità costituzionale alla Corte, nonché il modo in cui quest'ultima deve

deciderle, allude solo alle disposizioni: così il giudice che propone la questione deve indicare il testo delle specifiche

disposizioni impugnate; così la Corte in sede di decisione deve indicare quali siano le disposizioni che essa ritiene

illegittime.

I vizi sindacabili e le norme parametro

Il controllo di legittimità costituzionale delle leggi è un controllo formale: la Corte può sindacare il rispetto o meno

delle regole che disciplinano il procedimento che porta all'approvazione e all'entrata in vigore di una legge o di un atto

avente forza di legge. Il controllo della Corte può essere anche sostanziale, può cioè investire, oltre ai profili formali

della legge impugnata, quelli relativi al suo contenuto, al fine di vagliarne la conformità o meno rispetto alla

Costituzione. Sotto il profilo sostanziale, i vizi della legge sindacabili dalla corte sono di tre ordini: violazione della

Costituzione: ogni vizio di legittimità costituzionale di una legge si traduce in una violazione della Costituzione, ma

qui il termine è usato in un significato più puntuale e sta ad indicare il contrasto tra una legge ed una specifica norma

costituzionale; incompetenza: è il vizio che riguarda gli atti legislativi adottati da soggetti diversi da quelli cui, per

Costituzione, sarebbe aspettato adottarli; eccesso di potere legislativo: si tratta di un vizio, la cui definizione si deve

alla giurisprudenza della Corte costituzionale. Il parametro del controllo di costituzionalità della legge rimane sempre

un parametro costituzionale, sia esso rappresentato da norme espressamente previste dalla Costituzione ovvero da

principi desumibili anche implicitamente dal dettato costituzionale.

L'accesso alla corte in via incidentale

La Costituzione non detta a una disciplina circa i modi di accesso alla Corte Costituzionale. È alla legge cost. 1/1984

che è necessario fare riferimento per conoscere le regole procedimentali che consentono di sottoporre una legge, o un

atto avente forza di legge, al sindacato di legittimità dell'organo di giustizia costituzionale. Tali regole danno vita a

due distinti procedimenti: un procedimento in via incidentale e un procedimento in via principale. Il procedimento in

via incidentale nasce da un'iniziativa di un giudice comune la quale si lega strettamente alla soluzione di un caso

concreto che quel giudice si trovi a dover decidere. Uno degli aspetti procedurali sui quali la corte ha dovuto

intervenire con numerose pronunce ha riguardato l'esatta definizione della nozione di giudice "a quo", del soggetto

cioè abilitato a promuovere una questione di legittimità costituzionale. Nel corso del giudizio può avvenire che il

giudice si convinca che una certa disposizione legislativa, che dovrebbe applicare per quel processo, sia di dubbia

legittimità costituzionale. Convinzione alla quale il giudice può intervenire per iniziativa propria o perché indotto da

un'istanza di una delle parti in causa, ovvero dal pubblico ministero. In questo caso, il giudice sospende il processo

creando così un incidente nel corso del medesimo (procedimento in via incidentale) e solleva la questione di

legittimità costituzionale di quella disposizione legislativa davanti alla corte, l'unica abilitata a deciderla. L'atto che

sospende il processo in corso e apre quello che si svolge davanti all'organo di giustizia costituzionale è un'ordinanza

motivata di rinvio, la quale deve contenere: l'indicazione della disposizione legislativa della cui legittimità

costituzionale si dubita; l'indicazione delle disposizioni costituzionali che si ritengono violate; i motivi che hanno

indotto il giudice a ritenere la questione di legittimità costituzionale sottoposta alla corte rilevante ai fini della

decisione del processo che pende davanti a lui (giudizio di rilevanza); i motivi che hanno indotto il giudice a ritenere

che la questione di legittimità costituzionale non sia manifestamente infondata. Le ordinanze di rinvio alla Corte

costituzionale sono soggette ad un regime di pubblicità: sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale al duplice scopo di

consentire a chiunque di conoscere i profili di dubbia costituzionalità e di consentire ad altri giudici che si trovino

nella stessa situazione di espandere la loro decisione.

L’accesso in via principale (o diretta)

L'unica ipotesi in cui è consentito un accesso diretto alla Corte per un giudizio sulla legittimità costituzionale o meno

di una legge, attiene ai rapporti tra legge statale e legge regionale: qualora lo Stato o una Regione ritengano, una legge

regionale o una legge statale in contrasto con la Costituzione o in contrasto con i criteri costituzionali fissati per il

riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni essi possono direttamente sollevare la relativa questione

davanti alla Corte. In seguito all'approvazione delle leggi costituzionali 1/1999 e 2/2001, l'impugnazione da parte

dello Stato può riguardare la legge di approvazione degli statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria o la legge delle

Regioni ad autonomia speciale: tali leggi possono essere impugnate dal Governo davanti alla Corte, entro 30 giorni

dalla loro pubblicazione notiziale. I motivi che possono determinare l'impugnazione delle leggi regionali davanti alla

corte da parte del governo sono legati al mancato rispetto da parte del legislatore regionale dei limiti che la

Costituzione pone alla potestà legislativa delle Regioni. Oltre che da parte dello Stato una legge regionale può essere

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impugnata anche da parte di un altra Regione. Sul versante regionale, legittimato a promuovere l'impugnazione di una

legge dello Stato è il Presidente della Regione, sulla base di un'apposita deliberazione adottata dalla Giunta entro 30

giorni dalla pubblicazione della legge.

L'esame della questione da parte della Corte

Una volta scaduto il termine di venti giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza di rinvio sulla Gazzetta Ufficiale per la

costituzione delle parti ha inizio il processo di costituzionalità davanti alla Corte. Sempre con ordinanza, la Corte

rinvia gli atti al giudice "a quo", nel caso in cui ritenga la questione di legittimità costituzionale manifestamente

infondata (ordinanza di manifesta infondatezza). In genere, tutte le decisioni di carattere processuale della Corte

rivestono la forma dell'ordinanza non, là dove assumono la forma della sentenza le decisioni che investono il merito

della questione di legittimità costituzionale sollevata.

Le modalità di conclusione del processo costituzionale

a) La conclusione del processo in via incidentale

Le sentenze si compongono di tre parti: nella prima ("in fatto") vengono riassunti i termini della questione così come

proposti nell'ordinanza di rinvio, ed esposte le posizioni espresse dalle parti che si sono costituite; nella seconda ("in

diritto") la Corte prende posizione sia in ordine alla rilevanza della questione proposta, sia in ordine della sua

fondatezza o meno; nella terza ("dispositivo") la Corte sintetizza il contenuto della sua decisione. Sia le sentenze, che

le ordinanze sono depositate presso la cancelleria della stessa Corte. Le sentenze di accoglimento producono

l'annullamento della norme di legge dichiarate incostituzionali. Un altro limite alla retroattività delle sentenze di

accoglimento è divenuto affermandosi in quella giurisprudenza della Corte nella quale essa ha deciso di disporre in

ordine agli effetti temporali delle sue pronunce, stabilendo il momento da cui essi dovessero prodursi (sentenze di

incostituzionalità sopravvenuta). Con le sentenze di rigetto precario ovvero di costituzionalità provvisoria, la Corte

accerta l'incostituzionalità della legge ma rinvia ad un momento successivo la declatoria di incostituzionalità della

medesima. A differenza di effetti delle sentenze di accoglimento, quelli delle sentenze di rigetto si riverberano nei

confronti del processo "a quo": il giudice di quel processo dovrà adottare la sua decisione applicando le norme di

legge in relazione alle quali la Corte ha dichiarato infondati i dubbi di legittimità costituzionale avanzati nell'ordinanza

di rinvio. Sentenze di accoglimento e sentenze di rigetto non esauriscono la tipologia delle decisioni della Corte

costituzionale. Un primo arricchimento degli strumenti decisori della Corte si è avuto con l'introduzione delle sentenze

interpretative. Se la corte giudica incostituzionale la norma desunta in via di interpretazione dalla disposizione

impugnata (sentenza interpretativa di accoglimento), la disposizione rimarrà nell'ordinamento senza che si determini

alcuna lacuna, ma essa non potrà trovare applicazione nell'interpretazione sulla base della quale la Corte ne ha

dichiarata l'incostituzionalità. Un secondo tipo di sentenze è rappresentato dalle sentenze additive, da quelle ablative e

da quelle sostitutive. Si tratta in tutti e tre i casi di sentenze di accoglimento. Il ricorso a questo secondo tipo di

sentenze è stato soggetto a critiche soprattutto per i problemi che esso pone in relazione alla definizione dei rapporti

tra Corte costituzionale e legislatore. Per superare le critiche la corte ha messo a punto una nuova tecnica decisoria

rappresentata dalle sentenze additive- di principio: il giudice costituzionale si astiene dal formulare la norma

"mancante" ma si limita ad enunciare i principi, applicando i quali tale lacuna va colmata o ad opera del giudice

comune o ad opera del legislatore.

b) La conclusione del processo in via principale

Nel caso in cui la Corte adotti una sentenza di accoglimento, l'effetto sarà quello di determinare l'annullamento della

legge statale impugnata ovvero quello di impedire la promulgazione della delibera legislativa regionale o provinciale.

Nei casi in cui la Corte adotti una sentenza di rigetto, l'effetto sarà quello di consentire l'ulteriore applicazione della

legge statale impugnata ovvero la promulgazione, e la successiva entrata in vigore della legge regionale o provinciale.

Il giudizio sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato

La seconda funzione che l'art. 134 Cost. attribuisce alla Corte costituzionale, attiene alla risoluzione dei conflitti di

attribuzione che possono verificarsi tra i poteri dello Stato, tra Stato e Regioni, e tra Regione e Regione. L'art. 37 della

legge 87/1953 pone due principi fondamentali: essi possono sorgere solo tra gli "organi competenti a dichiarare

definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono" ed hanno ad oggetto "la delimitazione della sfera di

attribuzione determinata per i vari poteri da norme costituzionali". Innanzitutto, quello dell'esatta individuazione dei

soggetti legittimati a sollevare il conflitto davanti alla Corte. L'art. 134 Cost. e l'art 37 della legge 87/1953 escludono

che il conflitto sollevabile davanti alla Corte possa essere quello che nasce tra organi appartenenti allo stesso potere.

Un ulteriore ordine di problemi ha riguardato la definizione dei comportamenti suscettibili di dare origine al conflitto.

Anche a questo problema si è data una soluzione non restrittiva. La corte, prima di esaminare il ricorso con il quale il

conflitto è sollevato decidere con ordinanza circa l'ammissibilità del medesimo. Solo successivamente alla

dichiarazione di ammissibilità del ricorso, la Corte procede a notificarlo ai soggetti controinteressati. La sentenza che

risolve il conflitto ha un duplice effetto: determina a quale dei poteri confliggenti spettino le attribuzioni in

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contestazione; in secondo luogo, può determinare l'annullamento dell'atto adottato in violazione dei criteri

costituzionali di riparto delle competenze, così come interpretati, in relazione alla specifica fattispecie, della stessa

Corte. Nel caso di conflitti aventi ad oggetto comportamenti omissivi, la pronuncia della Corte comporterà

l'accertamento della illegittimità del comportamento contestato, con la conseguenza di imporre una diversa linea di

azione all'organo interessato.

Il giudizio sui conflitti tra Stato e Regione e tra Regioni

L'interpretazione estensiva accolta dalla Corte in ordine alla definizione della nozione di conflitto ha interessato anche

la sfera dei conflitti tra enti. Analogamente a quanto avviene per i conflitti tra poteri dello Stato, la pronuncia della

Corte vale a sciogliere i dubbi circa l'appartenenza allo Stato o alla Regione della competenza contestata e a

determinare l'annullamento dell'atto illegittimamente adottato o il mutamento del comportamento omissivo illegittimo.

Una particolarità di questo procedimento è rappresentata dalla possibilità per la parte interessata di chiedere alla corte

la sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato, in attesa che questa si pronunci sul merito del conflitto.

Il giudizio sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica

Terza funzione attribuita alla Corte è quella di giudicare sulle accuse promosse dal Parlamento nei confronti del

Presidente della Repubblica per i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione. Quanto al procedimento che si

svolge davanti alla corte nella composizione integrata dai 16 giudici aggregati, una volta esaurita la fase preliminare

delle indagini e la fase dibattimentale diretta alla contestazione delle accuse, si conclude con una decisione presa in

camera di consiglio, alla presenza dei giudici che hanno partecipato a tutte le udienze. La sentenza che conclude il

giudizio d'accusa, anch'essa soggetta alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, è irrevocabile; tuttavia può essere

sottoposta a revisione da parte della stessa Corte nell'ipotesi in cui emergano fatti o elementi nuovi. La revisione può

essere chiesta dal comitato parlamentare per le accuse.

Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo

L' attribuzione alla Corte costituzionale della funzione relativa al giudizio sull'ammissibilità delle richieste di

referendum abrogativo non deriva da un'espressa previsione costituzionale. Si tratta dell'unica ipotesi in cui la corte

decide in assenza di parti. La Corte decide in camera di consiglio e la sua sentenza ha effetti limitati al caso deciso e

non pregiudica, nell'ipotesi di giudizio negativo, la riproposizione di una richiesta referendaria avente lo stesso

oggetto.