DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA - unina.it · 2 lezione del 5 aprile 2017 organi giurisdizionali...
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Scuola di specializzazione per le professioni legali
Università degli studi di Napoli Federico II
I anno-I corso
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA
I procedimenti davanti alla Corte di Giustizia
e al Tribunale di prima istanza
Avv. Anna Iermano
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Lezione del 5 aprile 2017
ORGANI GIURISDIZIONALI DELL’UNIONE EUROPEA
TRATTATO SULL’UNIONE EUROPEA
TITOLO III
DISPOSIZIONI RELATIVE ALLE ISTITUZIONI
Articolo 13
1. L’Unione dispone di un quadro istituzionale che mira a promuoverne i valori, perseguirne gli
obiettivi, servire i suoi interessi, quelli dei suoi cittadini e quelli degli Stati membri, garantire la coerenza,
l'efficacia e la continuità delle sue politiche e delle sue azioni.
Le istituzioni dell'Unione sono:
– il Parlamento europeo,
– il Consiglio europeo,
– il Consiglio,
– la Commissione europea (in appresso “Commissione”),
– la Corte di giustizia dell'Unione europea,
– la Banca centrale europea,
– la Corte dei conti.
2. Ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai trattati, secondo le
procedure, condizioni e finalità da essi previste. Le istituzioni attuano tra loro una leale cooperazione.
3. Le disposizioni relative alla Banca centrale europea e alla Corte dei conti figurano, insieme a
disposizioni dettagliate sulle altre istituzioni, nel trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
4. Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione sono assistiti da un Comitato economico e
sociale e da un Comitato delle regioni, che esercitano funzioni consultive.
Articolo 19
1. La Corte di giustizia dell'Unione europea comprende la Corte di giustizia, il Tribunale e i
tribunali specializzati. Assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati.
Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale
effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione.
2. La Corte di giustizia è composta da un giudice per Stato membro. È assistita da avvocati
generali.
Il Tribunale è composto da almeno un giudice per Stato membro.
I giudici e gli avvocati generali della Corte di giustizia e i giudici del Tribunale sono scelti tra personalità che
offrano tutte le garanzie di indipendenza e che soddisfino le condizioni richieste agli articoli 253 e 254 del
trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Sono nominati di comune accordo dai governi degli Stati
membri per sei anni. I giudici e gli avvocati generali uscenti possono essere nuovamente nominati.
3. La Corte di giustizia dell'Unione europea si pronuncia conformemente ai trattati:
a) sui ricorsi presentati da uno Stato membro, da un'istituzione o da una persona fisica o giuridica;
b) in via pregiudiziale, su richiesta delle giurisdizioni nazionali, sull'interpretazione del diritto
dell'Unione o sulla validità degli atti adottati dalle istituzioni;
c) negli altri casi previsti dai trattati.
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TRATTATO SUL FUNZIONAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA
TITOLO I
DISPOSIZIONI ISTITUZIONALI
Sezione 5
La Corte di giustizia dell'Unione europea
Articolo 251
La Corte di giustizia si riunisce in sezioni o in grande sezione, conformemente alle regole previste a tal fine
dallo statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea.
Ove ciò sia previsto dallo statuto, la Corte di giustizia può riunirsi anche in seduta plenaria.
Articolo 252
La Corte di giustizia è assistita da otto avvocati generali. Ove ciò sia richiesto dalla Corte di giustizia, il
Consiglio, deliberando all'unanimità, può aumentare il numero degli avvocati generali.
L'avvocato generale ha l'ufficio di presentare pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena
indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che, conformemente allo statuto della Corte di giustizia
dell'Unione europea, richiedono il suo intervento.
Articolo 253
I giudici e gli avvocati generali della Corte di giustizia, scelti tra personalità che offrano tutte le garanzie di
indipendenza e che riuniscano le condizioni richieste per l'esercizio, nei rispettivi paesi, delle più alte
funzioni giurisdizionali, ovvero che siano giureconsulti di notoria competenza, sono nominati di comune
accordo per sei anni dai governi degli Stati membri, previa consultazione del comitato di cui all'articolo 255.
Ogni tre anni si procede a un rinnovo parziale dei giudici e degli avvocati generali, alle condizioni previste
dallo statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea.
I giudici designano tra loro, per tre anni, il presidente della Corte di giustizia. Il suo mandato è rinnovabile.
I giudici e gli avvocati generali uscenti possono essere nuovamente nominati.
La Corte di giustizia nomina il proprio cancelliere, di cui fissa lo statuto.
La Corte di giustizia stabilisce il proprio regolamento di procedura. Tale regolamento è sottoposto
all'approvazione del Consiglio.
Articolo 254
Il numero dei giudici del Tribunale è stabilito dallo statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea. Lo
statuto può prevedere che il Tribunale sia assistito da avvocati generali.
I membri del Tribunale sono scelti tra persone che offrano tutte le garanzie di indipendenza e possiedano la
capacità per l'esercizio di alte funzioni giurisdizionali. Essi sono nominati di comune accordo per sei anni dai
governi degli Stati membri, previa consultazione del comitato di cui all'articolo 255. Ogni tre anni si procede
a un rinnovo parziale. I membri uscenti possono essere nuovamente nominati.
I giudici designano tra loro, per tre anni, il presidente del Tribunale. Il suo mandato è rinnovabile.
Il Tribunale nomina il proprio cancelliere, di cui fissa lo statuto.
Il Tribunale stabilisce il proprio regolamento di procedura di concerto con la Corte di giustizia. Tale
regolamento è sottoposto all'approvazione del Consiglio.
Salvo quanto diversamente disposto dallo statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea, le disposizioni
dei trattati relative alla Corte di giustizia sono applicabili al Tribunale.
Articolo 255
È istituito un comitato con l'incarico di fornire un parere sull'adeguatezza dei candidati all'esercizio delle
funzioni di giudice e di avvocato generale della Corte di giustizia e del Tribunale, prima che i governi degli
Stati membri procedano alle nomine in conformità degli articoli 253 e 254.
Il comitato è composto da sette personalità scelte tra ex membri della Corte di giustizia e del Tribunale,
membri dei massimi organi giurisdizionali nazionali e giuristi di notoria competenza, uno dei quali è
proposto dal Parlamento europeo. Il Consiglio adotta una decisione che stabilisce le regole di funzionamento
di detto comitato e una decisione che ne designa i membri. Esso delibera su iniziativa del presidente della
Corte di giustizia.
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Articolo 256
1 Il Tribunale è competente a conoscere in primo grado dei ricorsi di cui agli articoli 263, 265, 268, 270 e
272, ad eccezione di quelli attribuiti a un tribunale specializzato istituito in applicazione dell'articolo 257 e di
quelli che lo statuto riserva alla Corte di giustizia. Lo statuto può prevedere che il Tribunale sia competente
per altre categorie di ricorsi.
Le decisioni emesse dal Tribunale ai sensi del presente paragrafo possono essere oggetto di impugnazione
dinanzi alla Corte di giustizia per i soli motivi di diritto e alle condizioni ed entro i limiti previsti dallo
statuto.
2. Il Tribunale è competente a conoscere dei ricorsi proposti contro le decisioni dei tribunali specializzati.
Le decisioni emesse dal Tribunale ai sensi del presente paragrafo possono eccezionalmente essere oggetto di
riesame da parte della Corte di giustizia, alle condizioni ed entro i limiti previsti dallo statuto, ove sussistano
gravi rischi che l'unità o la coerenza del diritto dell'Unione siano compromesse.
3. Il Tribunale è competente a conoscere delle questioni pregiudiziali, sottoposte ai sensi dell'articolo 267, in
materie specifiche determinate dallo statuto.
Il Tribunale, ove ritenga che la causa richieda una decisione di principio che potrebbe compromettere l'unità
o la coerenza del diritto dell'Unione, può rinviare la causa dinanzi alla Corte di giustizia affinché si pronunci.
Le decisioni emesse dal Tribunale su questioni pregiudiziali possono eccezionalmente essere oggetto di
riesame da parte della Corte di giustizia, alle condizioni ed entro i limiti previsti dallo statuto, ove sussistano
gravi rischi che l'unità o la coerenza del diritto dell'Unione siano compromesse.
Articolo 257
Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono istituire
tribunali specializzati affiancati al Tribunale, e incaricati di conoscere in primo grado di talune categorie di
ricorsi proposti in materie specifiche. Il Parlamento europeo e il Consiglio deliberano mediante regolamenti
su proposta della Commissione e previa consultazione della Corte di giustizia o su richiesta della Corte di
giustizia e previa consultazione della Commissione.
Il regolamento sull'istituzione di un tribunale specializzato stabilisce le regole relative alla composizione di
tale tribunale e precisa la portata delle competenze ad esso conferite.
Le decisioni dei tribunali specializzati possono essere oggetto di impugnazione per i soli motivi di diritto o,
qualora il regolamento sull'istituzione del tribunale specializzato lo preveda, anche per motivi di fatto,
dinanzi al Tribunale.
I membri dei tribunali specializzati sono scelti tra persone che offrano tutte le garanzie di indipendenza e
possiedano la capacità per l'esercizio di funzioni giurisdizionali. Essi sono nominati dal Consiglio, che
delibera all'unanimità.
I tribunali specializzati stabiliscono il proprio regolamento di procedura di concerto con la Corte di giustizia.
Tale regolamento è sottoposto all'approvazione del Consiglio.
Salvo ove diversamente disposto dal regolamento sull'istituzione del tribunale specializzato, le disposizioni
dei trattati relative alla Corte di giustizia dell'Unione europea e le disposizioni dello statuto della Corte di
giustizia dell'Unione europea si applicano ai tribunali specializzati. Il titolo I dello statuto e l'articolo 64 del
medesimo si applicano in ogni caso ai tribunali specializzati.
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PROCEDURA DI INFRAZIONE/RICORSO PER INADEMPIMENTO DELLO STATO
Articolo 258 TFUE
La Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti
in virtù dei trattati, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di
presentare le sue osservazioni.
Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può
adire la Corte di giustizia dell'Unione europea.
Articolo 259 TFUE
Ciascuno degli Stati membri può adire la Corte di giustizia dell'Unione europea quando reputi che un altro
Stato membro ha mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati.
Uno Stato membro, prima di proporre contro un altro Stato membro un ricorso fondato su una pretesa
violazione degli obblighi che a quest'ultimo incombono in virtù dei trattati, deve rivolgersi alla
Commissione.
La Commissione emette un parere motivato dopo che gli Stati interessati siano posti in condizione di
presentare in contraddittorio le loro osservazioni scritte e orali.
Qualora la Commissione non abbia formulato il parere nel termine di tre mesi dalla domanda, la mancanza
del parere non osta alla facoltà di ricorso alla Corte.
Articolo 260 TFUE
Quando la Corte di giustizia dell’Unione europea riconosca che uno Stato membro ha mancato ad uno degli
obblighi ad esso incombenti in virtù dei trattati, tale Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che
l’esecuzione della sentenza della Corte comporta.
Se ritiene che lo Stato membro in questione non abbia preso le misure che l'esecuzione della sentenza della
Corte comporta‚ la Commissione, dopo aver posto tale Stato in condizione di presentare osservazioni, può
adire la Corte. Essa precisa l'importo della somma forfettaria o della penalità, da versare da parte dello Stato
membro in questione, che essa consideri adeguato alle circostanze.
La Corte, qualora riconosca che lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza da essa
pronunciata, può comminargli il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità.
Questa procedura lascia impregiudicate le disposizioni dell'articolo 259.
La Commissione, quando propone ricorso dinanzi alla Corte in virtù dell'articolo 258 reputando che lo Stato
membro interessato non abbia adempiuto all'obbligo di comunicare le misure di attuazione di una direttiva
adottata secondo una procedura legislativa, può, se lo ritiene opportuno, indicare l'importo della somma
forfettaria o della penalità da versare da parte di tale Stato che essa consideri adeguato alle circostanze.
Se la Corte constata l'inadempimento, può comminare allo Stato membro in questione il pagamento di una
somma forfettaria o di una penalità entro i limiti dell'importo indicato dalla Commissione. Il pagamento è
esigibile alla data fissata dalla Corte nella sentenza.
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Procedura di infrazione ex art. 258 TFUE attivata per violazione della sentenza Traghetti del
Mediterraneo* e conclusasi con la seguente sentenza:
SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA (Terza Sezione)
24 novembre 2011 (*)
«Inadempimento di uno Stato – Principio generale della responsabilità degli Stati membri per violazione del
diritto dell’Unione da parte di un loro organo giurisdizionale di ultimo grado – Esclusione di qualsiasi
responsabilità dello Stato per interpretazione delle norme di diritto o per valutazione di fatti e prove da
parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado – Limitazione, da parte del legislatore nazionale, della
responsabilità dello Stato ai casi di dolo o colpa grave dell’organo giurisdizionale medesimo»
Nella causa C-379/10,
avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 258 TFUE, proposto il 29 luglio 2010,
Commissione europea, rappresentata dalla sig.ra L. Pignataro e dal sig. M. Nolin, in qualità di agenti, con
domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. G. De
Bellis, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dal sig. J. Malenovský, dalla sig.ra R. Silva de
Lapuerta, dai sigg. T. von Danwitz (relatore) e D. Šváby, giudici,
* Corte di Giustizia, sentenza del 13 giugno 2006, causa C‑173/03, Traghetti del Mediterraneo SpA, in liquidazione c.
Repubblica italiana: Il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la
responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto
comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa
risulta da un’interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale
organo giurisdizionale. Infatti, escludere, in simili circostanze, ogni responsabilità dello Stato equivarrebbe a privare
della sua stessa sostanza il principio secondo il quale gli Stati membri sono tenuti a risarcire i danni cagionati ai singoli
da violazioni manifeste del diritto comunitario derivanti dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo
grado, in quanto una siffatta esclusione non garantirebbe ai singoli una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti che il
diritto comunitario conferisce loro (v. punti 33, 36, 40, 44, 46 e dispositivo). La responsabilità dello Stato membro per i
danni arrecati ai singoli a causa di una violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale
nazionale di ultimo grado può sorgere nel caso eccezionale in cui tale organo giurisdizionale abbia violato in modo
manifesto il diritto vigente. Tale violazione manifesta si valuta, in particolare, alla luce di un certo numero di criteri
quali il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il carattere scusabile o inescusabile dell’errore di diritto
commesso, o la mancata osservanza, da parte dell’organo giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio
pregiudiziale ai sensi dell’art. 234, terzo comma, CE, ed è presunta, in ogni caso, quando la decisione interessata
interviene ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte in materia. A tal proposito, se non si può escludere
che il diritto nazionale precisi i criteri, relativi alla natura o al grado di una violazione, da soddisfare affinché possa
sorgere la responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale
nazionale di ultimo grado, tali criteri non possono, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla
condizione di una manifesta violazione del diritto vigente, quale precisata ai punti 53‑56 della sentenza 30 settembre
2003, causa C‑224/01, Köbler. Pertanto, il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che limiti la
sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse
ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata
commessa una violazione manifesta del diritto vigente (v. punti 42‑44, 46 e dispositivo).
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avvocato generale: sig. N. Jääskinen
cancelliere: sig. A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con il proprio ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che:
– escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una
violazione del diritto dell’Unione imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora
tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o di valutazione di fatti e prove effettuata
dall’organo giurisdizionale medesimo, e
– limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave,
ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge 13 aprile 1988, n. 117, sul risarcimento dei danni cagionati
nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati (GURI n. 88, del 15 aprile
1988, pag. 3; in prosieguo: la «legge n. 117/88»), la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa
incombenti in forza del principio generale della responsabilità degli Stati membri per violazioni del diritto
dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado.
Contesto normativo nazionale
2 Ai sensi del suo art. 1, la legge n. 117/88 si applica «a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria,
amministrativa, contabile, militare e speciali che esercitano l’attività giudiziaria, indipendentemente dalla
natura delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all’esercizio della funzione giudiziaria».
3 L’art. 2 di tale legge così recita:
«1. Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento
giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per
diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di
quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale.
2. Nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione
di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.
3. Costituiscono colpa grave:
a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;
b) l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente
esclusa dagli atti del procedimento;
c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente
dagli atti del procedimento;
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d) l’emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure
senza motivazione».
Fatti
4 L’art. 2 della legge n. 117/88 ha costituito oggetto, a seguito di un rinvio pregiudiziale, della sentenza 13
giugno 2006, causa C-173/03, Traghetti del Mediterraneo (Racc. pag. I-5177).
5 In tale sentenza la Corte ha affermato, ai punti 33-37, quanto segue:
«33 Considerazioni (…) connesse alla necessità di garantire ai singoli una protezione giurisdizionale effettiva
dei diritti che il diritto comunitario conferisce loro, ostano (…) a che la responsabilità dello Stato non possa
sorgere per il solo motivo che una violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale
nazionale di ultimo grado risulti dall’interpretazione delle norme di diritto effettuata da tale organo
giurisdizionale.
34 Da un lato, infatti, l’interpretazione delle norme di diritto rientra nell’essenza vera e propria dell’attività
giurisdizionale poiché, qualunque sia il settore di attività considerato, il giudice, posto di fronte a tesi
divergenti o antinomiche, dovrà normalmente interpretare le norme giuridiche pertinenti – nazionali e/o
comunitarie – al fine di decidere la controversia che gli è sottoposta.
35 Dall’altro lato, non si può escludere che una violazione manifesta del diritto comunitario vigente venga
commessa, appunto, nell’esercizio di una tale attività interpretativa, se, per esempio, il giudice dà a una
norma di diritto sostanziale o procedurale comunitario una portata manifestamente erronea, in particolare alla
luce della pertinente giurisprudenza della Corte in tale materia (v., a questo riguardo, sentenza 30 settembre
2003, causa C-224/01, Köbler, Racc. pag. I-10239, punto 56), o se interpreta il diritto nazionale in modo da
condurre, in pratica, alla violazione del diritto comunitario vigente.
36 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 52 delle sue conclusioni, escludere, in simili circostanze,
ogni responsabilità dello Stato a causa del fatto che la violazione del diritto comunitario deriva da
un’operazione di interpretazione delle norme giuridiche effettuata da un organo giurisdizionale equivarrebbe
a privare della sua stessa sostanza il principio sancito dalla Corte nella citata sentenza Köbler. Tale
constatazione vale, a maggior ragione, per gli organi giurisdizionali di ultimo grado, incaricati di assicurare a
livello nazionale l’interpretazione uniforme delle norme giuridiche.
37 Si deve giungere ad analoga conclusione nel caso di una legislazione che escluda, in maniera generale, la
sussistenza di una qualunque responsabilità dello Stato allorquando la violazione imputabile ad un organo
giurisdizionale di tale Stato risulti da una valutazione dei fatti e delle prove».
Il procedimento precontenzioso
6 In data 10 febbraio 2009 la Commissione inviava una lettera alla Repubblica italiana in cui dichiarava
che, escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di
una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo
grado, qualora tale violazione risulti dall’interpretazione di norme di diritto o di valutazione di fatti e
prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e limitando tale responsabilità ai soli casi di
dolo o colpa grave, ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 117/88, la Repubblica italiana era venuta
meno agli obblighi ad essa incombenti in considerazione del principio generale di responsabilità degli Stati
membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado.
7 Il 9 ottobre seguente la Commissione trasmetteva alla Repubblica italiana una lettera di diffida che restava
senza risposta.
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8 Con lettera del 22 marzo 2010 la Commissione faceva pervenire alla Repubblica italiana un parere
motivato, invitandola ad adottare le misure necessarie per conformarvisi entro il termine di due mesi a
decorrere dalla sua ricezione. Atteso che tale parere motivato restava parimenti senza risposta, la
Commissione decideva di proporre alla Corte il presente ricorso.
Sul ricorso
Argomenti delle parti
9 La Commissione deduce che le menzionate disposizioni della legge n. 117/88, che hanno già costituito
oggetto di esame da parte della Corte nella citata sentenza Traghetti del Mediterraneo, sono incompatibili
con la giurisprudenza della Corte relativa alla responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto
dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado, in particolare con la menzionata
sentenza Köbler.
10 A sostegno del ricorso la Commissione deduce, sostanzialmente, due addebiti. Da un lato, contesta alla
Repubblica italiana di avere escluso, ai sensi dell’art. 2, secondo comma, della legge n. 117/88, qualsiasi
responsabilità dello Stato italiano per i danni causati a singoli dalla violazione del diritto dell’Unione da
parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado, qualora tale violazione derivi da
un’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo
giurisdizionale medesimo. Dall’altro, la Commissione contesta alla Repubblica italiana di aver limitato, in
casi diversi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e prove, la possibilità di
invocare tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, il che non sarebbe conforme ai principi
elaborati dalla giurisprudenza della Corte.
11 L’istituzione fa valere, a tal riguardo, che, al punto 42 della menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo,
la Corte, richiamandosi alla citata sentenza Köbler, ha rammentato che la responsabilità dello Stato per i
danni arrecati ai singoli a causa di una violazione del diritto dell’Unione imputabile ad un organo
giurisdizionale nazionale di ultimo grado può sorgere solamente per violazione manifesta del diritto vigente
compiuta da tale organo giurisdizionale. La Commissione ricorda che tale violazione manifesta viene
valutata, in particolare, alla luce di determinati criteri, quali il grado di chiarezza e di precisione della norma
violata, il carattere scusabile ovvero inescusabile dell’errore di diritto commesso, ed è presunta, in ogni caso,
quando la decisione interessata interviene ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte in
materia. Inoltre, a parere della Commissione, non può escludersi che il diritto nazionale precisi tali criteri,
criteri che non possono, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione
della manifesta violazione del diritto vigente.
12 La Commissione deduce che, nella menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo, la Corte ha affermato,
da un lato, che il diritto dell’Unione osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la
responsabilità dello Stato membro interessato per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del
diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado, qualora tale violazione derivi da
un’interpretazione di norme di diritto o da una valutazione di fatti e prove operate dall’organo giurisdizionale
medesimo. L’istituzione ricorda, dall’altro, che la Corte ha parimenti dichiarato l’incompatibilità di una
limitazione di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione
conduca ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia
stata accertata una violazione manifesta del diritto vigente.
13 La Commissione aggiunge che dalla motivazione e dal dispositivo della menzionata sentenza Traghetti del
Mediterraneo emerge, conseguentemente, che la Corte ha ritenuto che la normativa italiana in questione
determinasse, al tempo stesso, un’esclusione della responsabilità dello Stato nel settore dell’interpretazione
delle norme di diritto o della valutazione di fatti e prove nonché una limitazione della responsabilità negli
altri settori di attività giurisdizionale, quali la nomina di tutori o le dichiarazioni di incapacità. In tal senso,
nella causa da cui è scaturita la detta sentenza, la Corte avrebbe, da un lato, respinto l’interpretazione
sostenuta dalla Repubblica italiana all’udienza, secondo cui la legge n. 117/88 conterrebbe unicamente una
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clausola limitativa della responsabilità per tutti i settori dell’attività giurisdizionale, e, dall’altro, rilevato
l’incompatibilità con il diritto dell’Unione delle disposizioni di cui trattasi.
14 Il tenore dell’art. 2 della legge n. 117/88 sarebbe d’altronde inequivocabile a tal riguardo, in quanto la
nozione di «colpa grave» figurerebbe ai commi 1 e 3 di tale articolo, ma non al secondo comma del
medesimo.
15 Per quanto attiene al secondo addebito, la Commissione deduce che la giurisprudenza della suprema Corte di
cassazione, fermo restando che essa non riguarda disposizioni connesse con l’interpretazione del diritto
dell’Unione, ha interpretato la nozione di «colpa grave» in termini estremamente restrittivi, il che, in
contrasto con i principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte, determina una limitazione della
responsabilità dello Stato italiano, anche in casi diversi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla
valutazione di fatti e prove.
16 A tal riguardo, la Commissione richiama due sentenze di detto giudice, pronunciate, rispettivamente, in data
5 luglio 2007, n. 15227, e 18 marzo 2008, n. 7272, secondo cui tale nozione sarebbe stata interpretata,
sostanzialmente, in termini tali da coincidere con il «carattere manifestamente aberrante dell’interpretazione»
effettuata dal magistrato. In tal senso, la Commissione menziona, in particolare, la massima della seconda
delle menzionate sentenze in cui la suprema Corte di cassazione avrebbe affermato che i presupposti previsti
dall’art. 2, terzo comma, lett. a), della legge n. 117/88 sussistono «allorquando, nel corso dell’attività
giurisdizionale, (...) si sia concretizzata una violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma
stessa ovvero una lettura di essa in termini contrastanti con ogni criterio logico o l’adozione di scelte
aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore o la manipolazione assolutamente arbitraria del
testo normativo».
17 A parere della Commissione, la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell’Unione da
parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado non può essere quindi fatta valere negli stessi
termini stabiliti dalla giurisprudenza della Corte e risulta, in pratica, difficilmente invocabile.
18 Conseguentemente, sembrerebbe che, malgrado la pronuncia della menzionata sentenza Traghetti del
Mediterraneo, il testo della legge n. 117/88 sia stato mantenuto inalterato e che la suprema Corte di
cassazione non abbia modificato il proprio orientamento giurisprudenziale restrittivo, e ciò nonostante il fatto
che detta sentenza abbia operato una «rielaborazione evidente» della normativa di cui trattasi.
19 La Repubblica italiana contesta l’inadempimento addebitatole.
20 A suo parere, la Commissione interpreta erroneamente la legge n. 117/88. L’art. 2 di detta legge conterrebbe
unicamente una clausola limitativa della responsabilità, a prescindere dall’attività giurisdizionale in
questione. Infatti, i presupposti fissati al primo comma dell’art. 2 della legge medesima, precisati, con
riguardo alla nozione di «colpa grave», al successivo terzo comma, si applicherebbero parimenti nell’ambito
del secondo comma dell’articolo stesso, relativo all’interpretazione di norme di diritto ed alla valutazione di
fatti e prove.
21 Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, nella menzionata sentenza Traghetti del
Mediterraneo la Corte non avrebbe respinto l’interpretazione dell’art. 2 della legge n. 117/88 sostenuta dalla
Repubblica italiana, bensì si sarebbe limitata a rispondere alla questione pregiudiziale formulata dal giudice
del rinvio.
22 Inoltre, in tale sentenza, la Corte non si sarebbe espressamente pronunciata sull’incompatibilità della legge
n. 117/88 con il diritto dell’Unione. Orbene, la legge italiana non sarebbe di per sé in contrasto con la
giurisprudenza della Corte, atteso che ai giudici nazionali sarebbe consentito procedere ad un’interpretazione
di tale legge conforme ai requisiti del diritto dell’Unione e, in particolare, a quelli fissati nelle menzionate
sentenze Köbler e Traghetti del Mediterraneo. Infatti, la nozione di «colpa grave» contenuta nella normativa
italiana in esame coinciderebbe, in effetti, con la condizione della «violazione grave e manifesta del diritto
dell’Unione», quale definita dalla giurisprudenza della Corte.
11
23 La Repubblica italiana deduce che un inadempimento potrebbe essere dichiarato solamente qualora la
giurisprudenza nazionale interpretasse la legge n. 117/88 in termini non conformi a tali requisiti. Orbene, la
Commissione non sarebbe stata in grado di dimostrare l’esistenza, successivamente alla pronuncia della
menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo, di sentenze della suprema Corte di cassazione che
accolgano un’interpretazione dell’art. 2 della legge n. 117/88 che presenti un collegamento con il diritto
dell’Unione né, tanto meno, di sentenze che accolgano un’interpretazione di tale legge differente da quella
sostenuta dal governo italiano.
24 Infatti, le due sentenze della suprema Corte successive alla citata sentenza Traghetti del Mediterraneo,
richiamate dalla Commissione, non riguarderebbero una violazione dei principi del diritto dell’Unione.
Inoltre, dette sentenze dimostrerebbero che la suprema Corte di cassazione ha inteso il terzo comma,
dell’art. 2 della legge n. 177/88 quale strumento interpretativo del precedente secondo comma e che
quest’ultimo comma non può essere pertanto inteso nel senso che costituisca una clausola di esclusione della
responsabilità.
25 A sostegno di tale argomento, la Repubblica italiana sottolinea che la menzionata sentenza della suprema
Corte di cassazione del 18 marzo 2008 non fa alcun riferimento all’art. 2, secondo comma, della legge
n. 117/88, laddove, secondo la tesi sostenuta dalla Commissione, l’applicazione di tale disposizione avrebbe
peraltro consentito alla suprema Corte di respingere il ricorso nella causa oggetto della sentenza stessa. Dalla
mancata menzione di detto secondo comma dell’art. 2 deriverebbe che tale disposizione non può essere, in
realtà, intesa nel senso che costituisca una clausola di esclusione della responsabilità.
26 L’errore di interpretazione della Commissione sarebbe parimenti evidenziato dall’affermazione, contenuta
nella citata sentenza della suprema Corte di cassazione del 5 luglio 2007, secondo cui le «ipotesi specifiche»
previste dall’art. 2 della legge n. 177/88, «hanno quale comune fattore» una negligenza inescusabile. Ne
conseguirebbe che tale articolo dovrebbe essere complessivamente inteso nel senso che subordina il sorgere
della responsabilità dello Stato al compimento di una negligenza di tal genere da parte del giudice nazionale.
Giudizio della Corte
27 Si deve rilevare, in limine, che la Repubblica italiana non contesta l’applicabilità dell’art. 2 della legge
n. 117/88 alle azioni di responsabilità proposte da singoli nei confronti dello Stato italiano per violazione del
diritto dell’Unione da parte di uno dei suoi organi giurisdizionali di ultimo grado.
28 Le parti dissentono, tuttavia, sulla questione della conformità di tale articolo con il diritto dell’Unione e, in
particolare, con la giurisprudenza della Corte.
29 Come rammentato da costante giurisprudenza, nell’ambito del procedimento per inadempimento ex art. 258
TFUE, se è pur vero che incombe alla Commissione dimostrare l’esistenza del preteso inadempimento,
spetta allo Stato membro convenuto, una volta che la Commissione abbia fornito elementi sufficienti a
dimostrare la veridicità dei fatti contestati, confutare in modo sostanziale e dettagliato i dati forniti e le
conseguenze che ne derivano (v. sentenze 22 settembre 1988, causa 272/86, Commissione/Grecia,
Racc. pag. 4875, punto 21; 7 luglio 2009, causa C-369/07, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-5703, punto
75, e 6 ottobre 2009, causa C-335/07, Commissione/Finlandia, Racc. pag. I-9459, punto 47).
30 Si deve rilevare che, al di fuori dei casi di dolo e di diniego di giustizia, l’art. 2, primo comma, della legge
n. 117/88 prevede che la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell’Unione può sorgere
qualora un magistrato abbia commesso «colpa grave» nell’esercizio delle proprie funzioni. Quest’ultima
nozione viene definita nel successivo terzo comma, lett. a), quale «grave violazione di legge determinata da
negligenza inescusabile». Ai sensi del secondo comma del medesimo articolo, nell’esercizio delle funzioni
giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’interpretazione di norme di diritto né la valutazione dei fatti e
delle prove.
31 In primo luogo, la Commissione contesta alla Repubblica italiana di escludere, per effetto dell’art. 2,
secondo comma, della legge n. 117/88, qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni causati a
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singoli derivanti da una violazione del diritto dell’Unione compiuta da uno dei suoi organi giurisdizionali di
ultimo grado, qualora tale violazione derivi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione dei
fatti e delle prove effettuate dal giudice medesimo.
32 A sostegno di tale primo addebito la Commissione deduce che tale disposizione costituisce una clausola di
esclusione di responsabilità autonoma rispetto al disposto di cui ai commi 1 e 3 del medesimo art. 2.
33 Si deve ricordare, a tal riguardo, che, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 117/88, la normativa italiana in
materia di responsabilità dello Stato per i danni causati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie prevede, da
un lato, ai commi 1 e 3 di tale articolo, che tale responsabilità è limitata ai casi di dolo, di colpa grave e di
diniego di giustizia, e, dall’altro, al secondo comma dell’articolo stesso, che «non può dar luogo a
responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove».
Dall’esplicito tenore di quest’ultima disposizione emerge che tale responsabilità resta esclusa, in via
generale, nell’ambito dell’interpretazione del diritto e della valutazione dei fatti e delle prove.
34 Negli stessi termini il giudice del rinvio ha d’altronde esposto l’art. 2 della legge n. 117/88 nelle questioni
pregiudiziali sottoposte alla Corte nella causa da cui è scaturita la menzionata sentenza Traghetti del
Mediterraneo, come emerge dal punto 20 della medesima.
35 Orbene, ai punti 33-40 di tale sentenza, la Corte ha affermato che il diritto dell’Unione osta ad una
legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni
arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale
di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulti da un’interpretazione delle norme
giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale.
36 La Repubblica italiana deduce, richiamandosi alle due sentenze della suprema Corte di cassazione
menzionate supra al punto 16, che l’interpretazione dell’art. 2 della legge n. 117/88 operata dalla
Commissione è erronea.
37 Tuttavia, a prescindere dal significato da attribuire al fatto che la motivazione della sentenza della suprema
Corte di cassazione del 18 marzo 2008 non fa riferimento all’art. 2, secondo comma, della legge n. 117/88
nonché al passo della sentenza della Corte medesima del 5 luglio 2007, secondo cui le «ipotesi specifiche»
previste all’art. 2 di tale legge hanno quale «comune fattore» una negligenza inescusabile, si deve rilevare
che, a fronte dell’esplicito tenore dell’art. 2, secondo comma, di tale legge, lo Stato membro convenuto non
ha fornito alcun elemento in grado di dimostrare validamente che, nell’ipotesi di violazione del diritto
dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado, tale disposizione venga
interpretata dalla giurisprudenza quale semplice limite posto alla sua responsabilità qualora la violazione
risulti dall’interpretazione delle norme di diritto o dalla valutazione dei fatti e delle prove effettuate
dall’organo giurisdizionale medesimo, e non quale esclusione di responsabilità.
38 Il primo addebito della Commissione deve essere conseguentemente accolto.
39 In secondo luogo, la Commissione contesta alla Repubblica italiana di limitare, in casi diversi
dall’interpretazione delle norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove, la possibilità di invocare la
responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi
giurisdizionali di ultimo grado ai soli casi di dolo o di colpa grave, il che non sarebbe conforme ai principi
elaborati dalla giurisprudenza della Corte. A tal riguardo, la Commissione sostiene, segnatamente, che la
nozione di «colpa grave», di cui all’art. 2, commi 1 e 3, della legge n. 117/88, viene interpretata dalla
suprema Corte di cassazione in termini coincidenti con il «carattere manifestamente aberrante
dell’interpretazione» effettuata dal magistrato e non con la nozione di «violazione manifesta del diritto
vigente» postulata dalla Corte ai fini del sorgere della responsabilità dello Stato per violazione del diritto
dell’Unione.
40 Si deve ricordare, a tal riguardo, che, secondo costante giurisprudenza della Corte, tre sono le condizioni in
presenza delle quali uno Stato membro è tenuto al risarcimento dei danni causati ai singoli per violazione del
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diritto dell’Unione al medesimo imputabile, vale a dire che la norma giuridica violata sia preordinata a
conferire diritti ai singoli, che si tratti di violazione sufficientemente caratterizzata e, infine, che esista un
nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi
(v. sentenze 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame,
Racc. pag. I-1029, punto 51; 4 luglio 2000, causa C-424/97, Haim, Racc. pag. I-5123, punto 36, nonché 24
marzo 2009, causa C-445/06, Danske Slagterier, Racc. pag. I-2119, punto 20).
41 La responsabilità dello Stato per i danni causati dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale di
ultimo grado che violi una norma di diritto dell’Unione è disciplinata dalle stesse condizioni, ove la Corte ha
tuttavia precisato che, in tale contesto, la seconda di dette condizioni dev’essere intesa nel senso che
consenta di invocare la responsabilità dello Stato solamente nel caso eccezionale in cui il giudice abbia
violato in maniera manifesta il diritto vigente (v. sentenza Köbler, cit., punti 52 e 53).
42 Dalla giurisprudenza della Corte emerge, inoltre, che, se è pur vero che non si può escludere che il diritto
nazionale precisi i criteri relativi alla natura o al grado di una violazione, criteri da soddisfare affinché possa
sorgere la responsabilità dello Stato in un’ipotesi di tal genere, tali criteri non possono, in nessun caso,
imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di una manifesta violazione del diritto
vigente (v. sentenza Traghetti del Mediterraneo, cit., punto 44 nonché la giurisprudenza ivi citata).
43 Nella specie, si deve rilevare che la Commissione ha fornito, alla luce, segnatamente, degli argomenti
riassunti supra al punto 16, elementi sufficienti da cui emerge che la condizione della «colpa grave», di cui
all’art. 2, commi 1 e 3, della legge n. 117/88, che deve sussistere affinché possa sorgere la responsabilità
dello Stato italiano, viene interpretata dalla suprema Corte di cassazione in termini tali che finisce per
imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di «violazione manifesta del diritto
vigente».
44 In risposta a tale argomento della Commissione la Repubblica italiana si limita, sostanzialmente, ad
affermare, da un lato, che le sentenze della suprema Corte di cassazione menzionate supra al punto 16 non
riguardano una violazione del diritto dell’Unione e, dall’altro, che l’art. 2 della legge n. 117/88 può essere
oggetto di interpretazione conforme al diritto dell’Unione medesimo e che la nozione di «colpa grave» di cui
al detto articolo è, in realtà, equivalente a quella di «violazione manifesta del diritto vigente».
45 Orbene, indipendentemente dalla questione se la nozione di «colpa grave», ai sensi della legge n. 117/88,
malgrado il rigoroso contesto in cui essa si colloca all’art. 2, terzo comma, della legge medesima, possa
essere effettivamente interpretata, nell’ipotesi di violazione del diritto dell’Unione da parte di un organo
giurisdizionale di ultimo grado dello Stato membro convenuto, in termini tali da corrispondere al requisito di
«violazione manifesta del diritto vigente» fissato dalla giurisprudenza della Corte, si deve rilevare che la
Repubblica italiana non ha richiamato, in ogni caso, nessuna giurisprudenza che, in detta ipotesi, vada in tal
senso e non ha quindi fornito la prova richiesta quanto al fatto che l’interpretazione dell’art. 2, commi 1 e 3,
di tale legge accolta dai giudici italiani sia conforme alla giurisprudenza della Corte.
46 Alla luce della giurisprudenza citata supra al punto 29, si deve concludere che la Repubblica italiana non ha
confutato in termini sufficientemente sostanziali e dettagliati l’addebito contestatole dalla Commissione,
secondo cui la normativa italiana limita, in casi diversi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla
valutazione dei fatti e delle prove, la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell’Unione
da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado in modo non conforme ai principi elaborati
dalla giurisprudenza della Corte.
47 Alla luce delle suesposte considerazioni, il secondo addebito della Commissione deve essere accolto ed il
ricorso dalla medesima proposto deve ritenersi fondato.
48 Conseguentemente si deve dichiarare che:
– escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una
violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora
14
tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o di valutazione di fatti e prove effettuate
dall’organo giurisdizionale medesimo, e
– limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave,
ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 117/88, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad
essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto
dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado.
Sulle spese
49 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne
è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha concluso in tal senso, la Repubblica italiana, rimasta
soccombente, deve essere condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:
1) La Repubblica italiana,
– escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una
violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado,
qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o da valutazione di fatti e prove
effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e
– limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave,
ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge 13 aprile 1988, n. 117, sul risarcimento dei danni cagionati
nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, è venuta meno agli
obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per
violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
15
Procedura di infrazione ex art. 260 TFUE
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione), 2 dicembre 2014, causa C-196/13, Commissione europea c.
Repubblica italiana
1) La Repubblica italiana, non avendo adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza
Commissione/Italia (C-135/05, EU:C:2007:250), è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in
forza dell’articolo 260, paragrafo l, TFUE.
2) La Repubblica italiana è condannata a versare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie
dell’Unione europea», a partire dal giorno di pronuncia della presente sentenza e fino all’esecuzione
della sentenza Commissione/Italia (EU:C:2007:250), una penalità semestrale calcolata, per il primo
semestre successivo alla presente sentenza, alla fine di quest’ultimo, a partire da un importo iniziale
fissato in EUR 42 800 000, dal quale saranno detratti EUR 400 000 per ciascuna discarica contenente
rifiuti pericolosi messa a norma conformemente a detta sentenza ed EUR 200 000 per ogni altra
discarica messa a norma conformemente a detta sentenza. Per tutti i semestri successivi, la penalità
dovuta per ciascun semestre sarà calcolata, alla fine dello stesso, a partire dall’importo della penalità
stabilita per il semestre precedente, applicando le predette detrazioni per le discariche oggetto
dell’inadempimento constatato messe a norma nel corso del semestre.
3) La Repubblica italiana è condannata a versare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie
dell’Unione europea», la somma forfettaria di EUR 40 milioni.
4) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
21
PROCEDURE DI INFRAZIONE-ITALIA
http://www.politichecomunitarie.it/struttura/15815/struttura-di-missione
Con DPCM del 28 luglio 2006 è stata istituita, presso il Dipartimento Politiche Europee, una Struttura di
missione con i compiti di prevenire l’insorgere del contenzioso comunitario e di rafforzare il coordinamento
delle attività volte alla risoluzione delle procedure d’infrazione.
Per quanto riguarda il primo dei due aspetti, la Struttura si propone un intervento il più possibile
anticipato, perfino anteriore all’apertura formale delle procedure, operando per garantire il tempestivo
recepimento del diritto comunitario e attivandosi presso la Commissione già in fase di reclamo.
In relazione al secondo profilo, la Struttura svolge una funzione di assistenza e di coordinamento delle
Amministrazioni nazionali e di cura dei rapporti con la Commissione. In questo modo, contribuisce
attivamente alla risoluzione delle procedure d’infrazione e alla complessiva riduzione dell’incidenza del
contenzioso comunitario, obiettivi che costituiscono una delle priorità della politica europea del Governo.
La Struttura di missione ha impresso un nuovo impulso alla gestione delle procedure d’infrazione, rendendo
più ordinato ed agevole il dialogo con la Commissione che ora può contare su un interlocutore sicuro nella
trattazione delle procedure di infrazione. In tal senso, particolarmente significative sono le sempre più
numerose decisioni della Commissione di autorizzazioni di contatti tra i suoi Servizi e le autorità italiane, per
la ricerca congiunta di soluzioni idonee a porre rimedio alle procedure di infrazione.
Sul versante interno, la creazione della Struttura di missione mira ad un miglior coordinamento della
posizione da presentare alla Commissione in risposta alle richieste di informazioni, alle lettere di messa in
mora e ai pareri motivati, tramite la convocazione sistematica di riunioni con le amministrazioni interessate.
Un altro importante strumento è quello delle riunioni pacchetto con le quali si procede, sotto la presidenza
del Dipartimento Politiche Europee, ad un esame congiunto tra la Commissione e le Amministrazioni
interessate di un certo numero di procedure di infrazione o di casi ancora allo stadio di reclamo afferenti ad
uno stesso settore. Grazie al dialogo informale che le caratterizza ed alla conseguente possibilità di fornire in
via diretta i necessari chiarimenti e informazioni, le riunioni pacchetto consentono un dialogo costruttivo e la
ricerca di soluzioni condivise, così agevolando una positiva conclusione di molte procedure già aperte o
ancora allo stadio di reclamo.
La Struttura di missione si fa anche carico di organizzare e coordinare numerosi incontri a Bruxelles tra
amministrazioni centrali o locali e i Servizi della Commissione per la discussione di singole procedure
d’infrazione, incontri che rappresentano un'utile occasione per fornire chiarimenti e assumere impegni con
l’istituzione comunitaria. Nei rapporti con le amministrazioni interessate da procedure d’infrazione una
particolare insistenza viene posta sulla necessità della canalizzazione attraverso il Dipartimento della
22
corrispondenza in materia con la Commissione, anche in vista della creazione di un Archivio informatico
nazionale delle procedure di infrazione, la cui predisposizione è in fase di avanzata progettazione.
EUR-Infra
EUR-Infra è l'archivio informatico nazionale delle procedure di infrazione realizzato dal Dipartimento
Politiche Europee per rendere più efficiente la trattazione dei casi di non conformità dell'ordinamento interno
rispetto al diritto comunitario.
É la prima volta che viene realizzato uno strumento che raccoglie tutte le procedure di infrazioni aperte e
consente di effettuare ricerche secondo diversi parametri di interesse, quali il tipo di violazione, la materia, lo
stadio della procedura e l'Amministrazione capofila, offrendo informazioni utili sia a fini statistici che operativi.
Ma EUR-Infra rappresenta anche un nuovo strumento di lavoro per tutte le amministrazioni coinvolte nelle
procedure di infrazione che avranno la possibilità di accedere (sezione del sito non visibile al pubblico) a
informazioni relative allo stato della procedura e a tutta la documentazione in forma digitalizzata della
pratica.
In tal modo, sarà possibile gestire con maggiore efficacia le procedure e poter contare su dati e informazioni
completi, attendibili ed ufficiali sulla situazione delle procedure d'infrazione a carico dell'Italia, grazie ad
un'attività di costante aggiornamento curata direttamente dai responsabili dei dossiers.
EUR-Infra è stato presentato nel corso di una conferenza stampa l'8 gennaio 2008.
I numeri delle infrazioni
Il numero delle procedure a carico del nostro Paese scende da 75 a 72, di cui 52 per violazione del diritto
dell'Unione e 20 per mancato recepimento di direttive.
Aggiornamento al 15 febbraio 2017
Ambiente 16
Affari economici e finanziari 7
Affari interni 6
Concorrenza e aiuti di Stato 6
Fiscalità e dogane 6
Salute 5
Trasporti 5
Agricoltura 3
Appalti 3
Giustizia 3
Libera prestazione dei servizi e stabilimento 3
Affari esteri 2
Tutela dei consumatori 2
Comunicazioni 1
Energia 1
Libera circolazione delle merci 1
Libera circolazione delle persone 1
Pesca 1
Totale 72
23
LEGGE 24 dicembre 2012, n. 234
Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione
e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea
GU n.3 del 4-1-2013. Entrata in vigore del provvedimento: 19/01/2013
Art. 14
Informazione al Parlamento su procedure giurisdizionali e di pre-contenzioso riguardanti l’Italia
1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, sulla base delle
informazioni ricevute dalle amministrazioni competenti, trasmette ogni tre mesi alle Camere, alla Corte
dei Conti, alle regioni e alle province autonome un elenco, articolato per settore e materia:
a) delle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea relative a giudizi di cui l’Italia sia stata parte o
che abbiano rilevanti conseguenze per l'ordinamento italiano;
b) dei rinvii pregiudiziali disposti ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea da organi giurisdizionali italiani;
c) delle procedure d'infrazione avviate nei confronti dell'Italia ai sensi degli articoli 258 e 260 del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, con informazioni sintetiche sull’oggetto e sullo stato del
procedimento nonchè sulla natura delle eventuali violazioni contestate all’Italia;
(….).
Art. 15
Controllo parlamentare sulle procedure d'infrazione riguardanti l'Italia
1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei comunica alle Camere,
contestualmente alla ricezione della relativa notifica da parte della Commissione europea, le decisioni
assunte dalla stessa Commissione concernenti l'avvio di una procedura d'infrazione di cui agli articoli 258
e 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Della comunicazione viene informato il Ministro
con competenza prevalente, nonchè ogni altro soggetto pubblico il cui comportamento sia messo in causa
dal ricorso o dalla procedura d'infrazione di cui al primo periodo.
2. Entro venti giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, il Ministro con competenza prevalente è
tenuto a trasmettere alle Camere una relazione che illustra le ragioni che hanno determinato
l'inadempimento o la violazione contestati con la procedura d'infrazione, indicando altresì le attività
svolte e le azioni che si intende assumere ai fini della positiva soluzione della procedura stessa. La relazione
è trasmessa contestualmente al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro per gli affari europei. Le
Camere possono assumere al riguardo tutte le opportune deliberazioni in conformità ai rispettivi
Regolamenti.
3. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei informa senza ritardo le Camere
e la Corte dei conti di ogni sviluppo significativo relativo a procedure d'infrazione basate sull'articolo 260 del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
……………………………..
Art. 30 Contenuti della legge di delegazione europea e della legge europea
1. La legge di delegazione europea e la legge europea, di cui all'articolo 29, assicurano il periodico
adeguamento dell'ordinamento nazionale all'ordinamento dell'Unione europea.
2. La legge di delegazione europea, al fine dell'adempimento degli obblighi di cui all’articolo 1, reca:
a) disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa volta esclusivamente all'attuazione
delle direttive europee e delle decisioni quadro da recepire nell'ordinamento nazionale, esclusa ogni altra
24
disposizione di delegazione legislativa non direttamente riconducibile al recepimento degli atti legislativi
europei;
b) disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa, diretta a modificare o abrogare
disposizioni statali vigenti, limitatamente a quanto indispensabile per garantire la conformità
dell’ordinamento nazionale ai pareri motivati indirizzati all’Italia dalla Commissione europea ai sensi
dell’articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea o al dispositivo di sentenze di
condanna per inadempimento emesse della Corte di giustizia dell'Unione europea;
(…)
3. La legge europea reca: a) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in
contrasto con gli obblighi indicati all'articolo 1; b) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni
statali vigenti oggetto di procedure d’infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti della
Repubblica italiana o di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea; c) disposizioni necessarie
per dare attuazione o per assicurare l'applicazione di atti dell’Unione europea; d) disposizioni occorrenti per
dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell’Unione europea; e)
disposizioni emanate nell'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 117, quinto comma, della
Costituzione, in conformità ai principi e nel rispetto dei limiti di cui all'articolo 41, comma 1, della presente
legge.
(…)
Art. 41 Poteri sostitutivi dello Stato
1. In relazione a quanto disposto dagli articoli 117, quinto comma, e 120, secondo comma, della
Costituzione, fermo restando quanto previsto dal decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, i
provvedimenti di attuazione degli atti dell’Unione europea possono essere adottati dallo Stato nelle
materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome al fine di porre rimedio
all'eventuale inerzia dei suddetti enti nel dare attuazione ad atti dell’Unione europea. In tale caso, i
provvedimenti statali adottati si applicano, per le regioni e per le province autonome nelle quali non sia
ancora in vigore la relativa normativa di attuazione, a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per
l'attuazione della rispettiva normativa dell’Unione europea e perdono comunque efficacia dalla data di
entrata in vigore dei provvedimenti di attuazione di ciascuna regione e provincia autonoma. I
provvedimenti statali recano l’esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del
carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute. I predetti atti normativi sono sottoposti al preventivo
esame della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e
di Bolzano.
2. Nei casi di cui all'articolo 37, qualora gli obblighi di adeguamento ai vincoli derivanti dall'ordinamento
dell'Unione europea riguardino materie di competenza legislativa o amministrativa delle regioni e delle
province autonome, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei informa gli
enti interessati assegnando un termine per provvedere e, ove necessario, chiede che la questione sia
sottoposta all’esame della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano per concordare le iniziative da assumere. In caso di mancato tempestivo
adeguamento da parte dei suddetti enti, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro
per gli affari europei propone al Consiglio dei Ministri le opportune iniziative ai fini dell'esercizio dei poteri
sostitutivi di cui agli articoli 117, quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, ai sensi del
comma 1 del presente articolo e delle altre disposizioni vigenti in materia.
Art. 43 Diritto di rivalsa dello Stato nei confronti di regioni o di altri enti pubblici responsabili di
violazioni del diritto dell’Unione europea
1. Al fine di prevenire l'instaurazione delle procedure d'infrazione di cui agli articoli 258 e seguenti del
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea o per porre termine alle stesse, le regioni, le province
autonome, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati adottano ogni misura necessaria a
porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi degli Stati nazionali derivanti
dalla normativa dell'Unione europea. Essi sono in ogni caso tenuti a dare pronta esecuzione agli obblighi
derivanti dalle sentenze rese dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, ai sensi dell'articolo 260, paragrafo
1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
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2. Lo Stato esercita nei confronti dei soggetti di cui al comma 1, che si rendano responsabili della
violazione degli obblighi derivanti dalla normativa dell'Unione europea o che non diano tempestiva
esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea, i poteri sostitutivi necessari,
secondo i principi e le procedure stabiliti dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e dall'articolo 41
della presente legge.
3. Lo Stato ha diritto di rivalersi nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 indicati dalla
Commissione europea nelle regolazioni finanziarie operate a carico dell'Italia a valere sulle risorse del
Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e
degli altri fondi aventi finalità strutturali.
4. Lo Stato ha diritto di rivalersi sui soggetti responsabili delle violazioni degli obblighi di cui al comma 1
degli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia dell'Unione europea ai
sensi dell’articolo 260, paragrafi 2 e 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
5. Lo Stato esercita il diritto di rivalsa di cui ai commi 3, 4 e 10:
a) nei modi indicati al comma 7, qualora l’obbligato sia un ente territoriale;
b) mediante prelevamento diretto sulle contabilità speciali obbligatorie istituite presso le sezioni di tesoreria
provinciale dello Stato, ai sensi della legge 29 ottobre 1984, n. 720, per tutti gli enti e gli organismi pubblici,
diversi da quelli indicati nella lettera a), assoggettati al sistema di tesoreria unica;
c) nelle vie ordinarie, qualora l’obbligato sia un soggetto equiparato e in ogni altro caso non rientrante nelle
previsioni di cui alle lettere a) e b).
(…)
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Illecito dello Stato italiano-legislatore per violazione del diritto dell’UE
Sulla natura della responsabilità: Corte di cassazione, Sezioni unite civili, Sentenza 17 aprile
2009, n. 9147
4.8. Sulla base del descritto complesso di principi e regole, va data continuità all'indirizzo della
giurisprudenza da ultimo richiamata, secondo cui i profili sostanziali della tutela apprestata dal
diritto comunitario inducono a reperire gli strumenti utilizzabili nel diritto interno fuori dallo
schema della responsabilità civile extracontrattuale e in quello dell’obbligazione ex lege dello Stato
inadempiente, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, che il giudice deve determinare in
base ai presupposti oggettivi sopra indicati, in modo che sia idonea a porre riparo effettivo ed
adeguato al pregiudizio subito dal singolo. La qualificazione in termini di obbligazione indennitaria,
del resto, consente di assoggettare allo stesso regime giuridico sia il caso, come quello in esame, di
attuazione tardiva di una direttiva senza alcuna previsione di riparazione del pregiudizio per
l'inadempimento, sia quello dell'intervento legislativo specifico, preordinato alla disciplina
dell'obbligazione risarcitoria (come avvenuto, ad esempio, con il d.lgs. n. 80 del 1992, art. 7,
comma 2, in tema tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, su cui
la citata Cass. n. 8110/2002). E ciò in linea con il principio secondo cui la qualificazione della
situazione soggettiva dei privati deve farsi con esclusivo riferimento ai criteri dell'ordinamento
giuridico interno (cfr. Cass., sez. un., 27 luglio 1993, n. 8385), imponendo l'ordinamento
comunitario soltanto il raggiungimento di un determinato risultato.
4.9. In conclusione, per realizzare il risultato imposto dall'ordinamento comunitario con i mezzi
offerti dall'ordinamento interno, si deve riconoscere al danneggiato un credito alla riparazione del
pregiudizio subito per effetto del c.d. fatto illecito del legislatore di natura indennitaria, rivolto, in
presenza del requisito di gravità della violazione ma senza che operino i criteri di imputabilità per
dolo o colpa, a compensare l’avente diritto della perdita subita in conseguenza del ritardo
oggettivamente apprezzabile e avente perciò natura di credito di valore, rappresentando il danaro
soltanto l'espressione monetaria dell'utilità sottratta al patrimonio.
4.10. Ne consegue che la pretesa risarcitoria azionata dal C., insorta nel momento in cui il
pregiudizio si è verificato, è assoggettata al termine di prescrizione ordinaria (decennale) perché
diretta all'adempimento di un'obbligazione ex lege (di natura indennitaria), riconducibile come tale
all’area della responsabilità contrattuale.
Ciò comporta il giudizio di infondatezza dell'eccezione di prescrizione, considerato che la sentenza
impugnata afferma che, in ogni caso, la prescrizione decorreva solo dal conseguimento dell'attestato
di specializzazione (5 novembre 1992), ritenendo maturato il credito risarcitorio a questa data; che
questa affermazione non ha formato oggetto di contestazione da parte del ricorrente; che la
domanda giudiziale - tra l'altro preceduta da atto interruttivo del 22 giugno 2000 (fatto riferito dal
ricorrente) - è stata proposta il 25 gennaio 2001.
Sulla prescrizione: Corte di cassazione, sez. III civile - sentenza 17 maggio 2011, n.10813
1. Nel caso di direttiva comunitaria sufficientemente specifica nell’attribuire diritti ai singoli, ma
non self-executing, l'inadempimento statuale alla direttiva determina una condotta idonea a
cagionare in modo permanente un obbligo di risarcimento danni a favore dei soggetti che
successivamente si vengano a trovare in condizioni di fatto tali che, se la direttiva fosse stata
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adempiuta, avrebbero acquisito il o i diritti da essa riconosciuti, con la conseguenza che la
prescrizione decennale del relativo diritto risarcitorio non corre, perché la condotta di
inadempimento statuale cagiona l'obbligo risarcitorio di die in die.
2. Qualora, nel caso di direttiva comunitaria sufficientemente specifica nell’attribuire diritti ai
singoli, ma non self-executing, intervenga un atto legislativo di adempimento parziale della direttiva
sotto il profilo oggettivo verso tutti i soggetti da essa contemplati, dall'entrata in vigore di detto atto
inizia il decorso della prescrizione decennale dell'azione di risarcimento danni di tali soggetti per la
parte di direttiva non adempiuta.
3. Qualora, nel caso di direttiva comunitaria sufficientemente specifica nell’attribuire diritti ai
singoli, ma non self-executing, intervenga invece un atto legislativo di adempimento della direttiva
che sia parziale sotto il profilo soggettivo, nei senso che, o provveda solo per il futuro, o provveda
riguardo a determinate categorie di soggetti fra quelle cui la direttiva era applicabile, accomunate
esclusivamente dal mero dato temporale della verificazione delle situazioni di fatto giustificative
dell'acquisto del diritto o dei diritti per il caso che la direttiva fosse stata attuata tempestivamente, il
corso della prescrizione per i soggetti esclusi non inizia, perché la residua condotte di
inadempimento sul piano soggettivo continua a cagionare in modo permanente il danno e, quindi, a
giustificare l'obbligo risarcitorio.
4. Qualora, nel caso di direttiva comunitaria sufficientemente specifica nell’attribuire diritti ai
singoli, ma non self-executing, l'atto di adempimento parziale sul piano soggettivo concerna alcuni
dei soggetti riguardo ai quali si erano verificate situazioni di fatto giustificative dell'acquisto del
diritto o dei diritti per il caso che la direttiva fosse stata attuata tempestivamente, scelti, però, sulla
base di circostanze fattuali diverse dal mero dato temporale che li accomuna, la condotta di
inadempimento per i soggetti esclusi non può più dirsi cagionare in modo permanente la situazione
dannosa nei loro confronti, con la conseguenza che riguardo ad essi inizia il corso della prescrizione
decennale del diritto al risarcimento.
5. Il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva
delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, insorto a favore dei soggetti che avevano seguito
corsi di specializzazione medica negli anni dal 1 gennaio 1983 all'anno accademico 1990-1991 in
condizioni tali che se detta direttiva fosse stata adempiuta avrebbero acquisito i diritti da essa
previsti, si prescrive nei termine di dieci anni decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in
vigore dell'art. 11 della l. n. 370 del 1999.
LEGGE 12 novembre 2011, n. 183 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2012), in GU n. 265 del 14-11-2011 - Suppl.
Ordinario n. 234.
Art. 4 , co. 43
Riduzioni delle spese non rimodulabili dei Ministeri
Comma 43. La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento
nell’ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in
ogni caso, alla disciplina di cui all'articolo 2947 del codice civile* e decorre dalla data in cui il
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fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si
è effettivamente verificato.
*prescrizione quinquennale
Vedi Cassazione 1850/2012: Tale norma non essendo di natura interpretativa, vale solo per i fatti
verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore. Pertanto, per i fatti verificatisi prima si
applica il termine di prescrizione decennale.
Cassazione civile , sez. lavoro, sentenza 08.02.2012 n° 1850
In tema di responsabilità dello Stato per mancato recepimento di direttive comunitarie, la norma
introdotta dall'art. 4, comma 43, della legge n. 183 del 2011, secondo la quale la prescrizione del
diritto al risarcimento del danno soggiace al termine quinquennale ex art. 2947 cod. civ., vale
soltanto per i fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore, poiché essa non evidenzia i
caratteri della norma interpretativa, idonei a sottrarla al principio di irretroattività; ne consegue che,
per i fatti anteriori alla novella, opera la prescrizione decennale, secondo la qualificazione
giurisprudenziale nei termini dell'inadempimento contrattuale. (Principio affermato in fattispecie
relativa al danno da omesso recepimento delle direttive CEE sui compensi dei medici
specializzandi).
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza interlocutoria del 23 ottobre 2015, n. 21654 - La
Cassazione rimette gli atti al Primo Presidente perché valuti l’opportunità di assegnare alle Sezioni
unite la seguente questione: se il diritto al risarcimento in favore dei medici specializzandi per
inadempimento della direttiva 26 gennaio 1982, n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive 16 giugno
1975, n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, spetta o no a coloro che abbiano iniziato i corsi
anteriormente al 1° gennaio 1983.