DIRITTO ANTIDISCRIMINATORIO E DIGNITA’ DEL … · Legge 67/2006 "Misure per la tutela giudiziaria...

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DIRITTO ANTIDISCRIMINATORIO E DIGNITA’ DEL LAVORATORE: TRA ORDINAMENTO NAZIONALE E ORDINAMENTO COMUNITARIO Milano, 11 aprile 2017 Chiara Colosimo Sezione Lavoro, Tribunale di Milano CENTRO DI RICERCA COORDINATO “STUDI SULLA GIUSTIZIA”

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DIRITTO ANTIDISCRIMINATORIO EDIGNITA’ DEL LAVORATORE: TRA

ORDINAMENTO NAZIONALE E ORDINAMENTO COMUNITARIO

Milano, 11 aprile 2017

Chiara ColosimoSezione Lavoro, Tribunale di Milano

CENTRO DI RICERCA COORDINATO “STUDI SULLA GIUSTIZIA”

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DISCRIMINATORIOcomportamento fondato su un motivo odioso, che colpisce un soggetto per il sol fatto di una sua caratteristica personale che lo contraddistingue, per un puro pregiudizio di non identità e omologazione che guarda alla condizione psico-fisica ovvero

alla sua personalità complessivamente intesa

condotta diversa e più grave di quella ingiustificata o meramente arbitraria, poiché quest’ultima non assume il grado di lesività che

caratterizza la discriminazione

l’accertamento della condotta discriminatoria esige un quid pluris, ossia la prova di un’ingiustificata differenza di trattamento che

trova la propria ragion d’essere in una delle fattispecie discriminatorie contemplate dalla legge

TIPICITA’ DEI FATTORI DI PROTEZIONE2

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Art. 15 Statuto dei Lavoratori

“nullo qualsiasi patto od atto diretto a: a) subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o

non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte; b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella

assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a

causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero. Le disposizioni di cui al comma

precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso,

di handicap, di età o basata sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali”

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Art. 4 Legge 604/1966

“il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dell'appartenenza ad un

sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacabili è nullo, indipendentemente dalla motivazione

adottata”

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Art. 2, co. 1, Decreto Legislativo 216/2003

“per principio di parità di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della

religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell'età o dell'orientamento sessuale. Tale principio comporta che non sia

praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite…”

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Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea

art. 20UGUAGLIANZA DAVANTI ALLA LEGGE

“Tutte le persone sono uguali davanti alla legge”

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Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europeaart. 21

NON DISCRIMINAZIONE

“1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine

etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di

qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le

tendenze sessuali.

2. Nell'ambito d'applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull'Unione europea è vietata

qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei trattati stessi” 7

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Corte di Giustizia, Glatzel vs. Freistaat Bayern, 22 maggio 2014, causa C-356/12

“Il principio della parità di trattamento, sancito dall’articolo 20 della Carta, è un principio generale del diritto dell’Unione e il

principio di non discriminazione enunciato all’articolo 21, paragrafo 1, della Carta ne è una particolare espressione. Per giurisprudenza costante della Corte, tale principio impone al

legislatore dell’Unione, conformemente al disposto dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, che situazioni analoghe non siano trattate

in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente

giustificato”

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DIRETTIVE2000/43/CE: "principio della parità di trattamento fra le

persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica"

2000/78/CE: "quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro"

2002/73/CE: "attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda

l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro"

2006/54/CE: "attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di

occupazione e impiego"9

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NORMATIVA ITALIANADiscriminazioni di genere:

Legge 903/1977 "Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro"

Legge 125/1991 "Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro"

Decreto Legislativo 198/2006 "Codice delle pari opportunità"

Discriminazioni di razza o etnia: Decreto Legislativo 286/1998 "Testo Unico delle disposizioni

concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero"

Decreto Legislativo 215/2003, attuazione della Direttiva 2000/43/CE, "per la parità di trattamento tra le persone

indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica"10

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Parità di trattamento nell’occupazione: Decreto Legislativo 216/2003, attuazione della Direttiva 2000/78/CE, "per la parità di trattamento in materia di

occupazione e di condizioni di lavoro"

Discriminazioni per handicap: Legge 67/2006 "Misure per la tutela giudiziaria delle persone

con disabilità vittime di discriminazioni"

Sulla discriminazione: Decreto Legislativo 150/2011, procedura speciale per le

controversie in materia di discriminazione

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PROSPETTIVA OGGETTIVA

Discriminazione diretta: a causa della presenza di uno dei fattori di protezione, il lavoratore è trattato meno favorevolmente di quanto lo

sarebbe stata un’altra persona in situazione analoga

vi sono, dunque, due trattamenti diversi nei confronti di due soggetti uno dei quali, portatore del fattore di protezione, subisce il trattamento

deteriore

Discriminazione indiretta: quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento, apparentemente neutri,

pongono le persone appartenenti alle categorie individuate in una situazione di particolare svantaggio

vi è, dunque, un trattamento uguale riservato a soggetti che si trovano in situazioni diversa: un trattamento «neutro» può determinare un effetto

pregiudizievole in ragione della presenza del fattore di protezione12

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PROSPETTIVA SOGGETTIVAil diritto antidiscriminatorio guarda esclusivamente all’effetto

del trattamento, al suo verificarsi prettamente oggettivo

IRRILEVANZA DEL PROFILO SOGGETTIVO,DELL’INTENTO DELL’AGENTE

"la discriminazione – diversamente dal motivo illecito – opera obiettivamente, ovvero in ragione del mero rilievo del trattamento

deteriore riservato al lavoratore quale effetto della sua appartenenza alla categoria protetta, ed a prescindere dalla volontà

illecita del datore di lavoro"(Cass. Civ., Sez. Lav., Sez. Lav., 5 aprile 2016, n. 6575)

ne consegue che la prova dell’intenzionalità, o della sua mancanza, è del tutto estranea al procedimento

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PROSPETTIVA PROCESSUALE

Discriminazione diretta: 1. Prova della presenza del fattore di rischio, tra quelli

«tassativamente» previsti2. Prova del trattamento che si assume sfavorevole3. Prova del trattamento, che si assume più favorevole, riservato ai

soggetti che non sono portatori del fattore di rischio4. Collegamento tra trattamento meno favorevole e fattore di rischio

Discriminazione indiretta: 1. Prova del fattore di rischio2. Prassi, criterio, disposizione ritenuta discriminatoria3. Prova degli effetti sui portatori del fattore di rischio4. Prova degli effetti su soggetti non portatori del fattore di rischio5. Prova dello svantaggio attraverso il confronto degli effetti sui due

gruppi14

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Discriminazione direttatanto l’ordinamento comunitario quanto l’ordinamentonazionale prevedono che possano essere fatte valeresolo cause di esclusione che guardano ai requisitiessenziali e determinanti ai fini dello svolgimento diuna specifica attività lavorativa

Discriminazione indirettasono ammesse giustificazioni che concernono unafinalità legittima a condizione che i mezzi impiegati peril conseguimento siano appropriati e necessari

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Corte di Giustizia, Pensionsversicherungsanstalt vs. Christine Kleist,

18 novembre 2010 , causa C-356/09

“…la direttiva 76/207 opera una distinzione tra, da un lato, le discriminazioni direttamente fondate sul sesso e, dall’altro, quelle

definite «indirette», nel senso che unicamente le disposizioni, i criteri o le prassi che possono costituire discriminazioni indirette possono, in forza del suo art. 2, n. 2, secondo trattino, evitare la qualifica di discriminazione a condizione che siano «giustificati da una finalità

legittima e i mezzi impiegati per il [loro] conseguimento siano appropriati e necessari». Una siffatta possibilità non è invece

prevista per le disparità di trattamento atte a costituire discriminazioni dirette, ai sensi dell’art. 2, n. 2, primo trattino, di

tale direttiva”16

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LA DISCRIMINAZIONE NEL RAPPORTO DI LAVORO

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1. nella fase di accesso a una nuova occupazione

2. nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro

3. al momento e quale causa di risoluzione del rapporto di lavoro

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LA FASE DI ACCESSO

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LA VICENDA DEL VELO ISLAMICO

Tizia, nata in Italia e cittadina italiana, è figlia di genitori egiziani(naturalizzati italiani) e, come i genitori, professa la religionemusulmana.

Per tal motivo veste il velo o hijab, il velo che copre i capelli e lasciascoperto il volto.

Nel febbraio 2013 ha ricevuto una proposta di lavoro per mansioni divolantinaggio, da svolgersi in occasione della fiera della calzatura.

L'avviso inviato conteneva il seguente testo: "Cerchiamo hostess pervolantinaggio con piede 37 per fiera… che parli lingua inglese per solidue giorni (…). Mansioni: hostess volantinaggio con lingua inglese epiede 37. Requisiti: bella presenza, H. min. 165; Tg 40/42. Nonaccettiamo candidature parziali, non rispondete se avete altri numeri discarpe, non diamo rimborsi spese".

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Tizia è in possesso di 4 requisiti richiesti – lingua inglese, altezzaalmeno 1,65, taglia 40, 37 di piede – e presenta, quindi, la candidaturacon mail del 13 febbraio 2013, allegando la propria fotografia.

Con mail dello stesso giorno la società risponde: "Ciao Sara mipiacerebbe farti lavorare perchè sei molto carina, ma sei disponibile atogliere lo chador ? Grazie".

Con mail immediatamente successiva, l’interessata replica: "CiaoJessica porto il velo per motivi religiosi e non sono disposta a toglierlo.Eventualmente potrei abbinarlo alla divisa".

Qualche minuto dopo, la società così conclude: "Ciao Saraimmaginavo, purtroppo i clienti non saranno mai così flessibili. Graziecomunque".

Replica, tuttavia, la candidata: "Dovendo fare semplicementevolantinaggio, non riesco a capire in cosa devono essere flessibili iclienti". 21

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Corte Appello Milano, 4 maggio 2016

nega rilevanza all’elemento soggettivo

"In tale materia, infatti, l’indagine giudiziaria è diretta ad accertare la tipologia di atto posto in essere e l’effetto che esso produce, restando del tutto estraneo al sindacato del giudice

lo stato psicologico - dolo , colpa, buona fede - dell’autore dell’atto discriminatorio. Una condotta, infatti, è

discriminatoria se determina in concreto una disparità di trattamento fondata sul fattore tutelato a prescindere

dall’elemento soggettivo dell’agente"

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accerta la sussistenza di una discriminazione diretta

"Lo hijab… "ha una connotazione religiosa ed appartiene alla praticaconsigliata dal Corano"… "parte ricorrente ha assolto ... all'onere diallegazione e prova… illustrando il senso religioso del hijab, che ledonne credenti sono invitate ad indossare per farsi riconoscere comeappartenenti alla comunità islamica". Muovendo dai due rilievi cheprecedono (e cioè che l’appellante ha subìto uno svantaggio inconnessione con l’abbigliamento religiosamente connotato) si deveconcludere che la condotta tenuta dalla società appellata abbia iconnotati della discriminatorietà. E’ noto infatti che l’utilizzo di uncriterio che sia intimamente collegato con quello vietato costituisca, pergiurisprudenza comunitaria, discriminazione diretta. Si deve quindiritenere che, essendo il hijab un abbigliamento che connotal’appartenenza alla religione musulmana, l’esclusione da un posto dilavoro a ragione del hijab costituisca una discriminazione diretta inragione dell’appartenenza religiosa"

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art. 4 Direttiva 2000/78/CE, in tema di requisiti per lo svolgimento dell’attivitàlavorativa, attribuisce agli Stati membri la possibilità di “stabilire che unadifferenza di trattamento basata su una caratteristica correlata a unoqualunque dei motivi di cui all’art. 1 non costituisca discriminazione laddove,per la natura di un’attività lavorativa o per il contesto in cui essa vieneespletata, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinanteper lo svolgimento dell’attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e ilrequisito proporzionato”

art. 3 D. Lgs. 216/2003, comma terzo, “nel rispetto dei principi diproporzionalità e ragionevolezza e purché la finalità sia legittima, nell'ambitodel rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività di impresa, noncostituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze ditrattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzionipersonali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale di una persona,qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa vieneespletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale edeterminante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima”

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QUINDI

si deve verificare se il non indossare il velo sia da ritenersi quale “requisito essenziale e determinante della prestazione”, poiché solo in questo caso si

potrebbe escludere che la disparità di trattamento, basata su uno dei fattori tutelati, integri un atto di discriminazione

"i documenti in atti portano invero ad escludere la sussistenza di una causa di giustificazione: non emerge, infatti, da nessun documento che il capo scoperto (e il correlativo divieto di indossare il velo) sia stato qualificato

quale “requisito essenziale e determinante della prestazione”"

"si deve quindi concludere che ai fini della prestazione di cui si discute (la partecipazione o meno ad una selezione per hostess ad una fiera di scarpe) il

requisito del capello visibile, lungo e vaporoso non fosse essenziale e determinante perchè non era mai stato indicato come tale né dalla

committente, né dalla selezionatrice: nella scelta non potevano pertanto essere sacrificati soggetti che tale requisito non possedevano e non potevano

possedere per ragioni attinenti alla loro identità religiosa"25

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DECISIONE OPINABILE

nella parte in cui parrebbe attribuire al datore di lavoro la possibilità di definire unilateralmente i caratteri

essenziali di una prestazione

approccio non del tutto coerente con il carattere prettamente oggettivo e funzionale di un diritto

antidiscriminatorio che guarda in via esclusiva agli effetti della condotta vietata e sancisce l’irrilevanza dei

motivi che vi sono sottesi

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Corte di Giustizia, Centrum voor gelijkheid van kansen en voor racismebestrijding vs. Firma Feryn NV, 10 luglio 2008, causa C-

54/07

“…il fatto che un datore di lavoro dichiari pubblicamente che non assumerà lavoratori dipendenti aventi una determinata origine

etnica o razziale configura una discriminazione diretta nell'assunzione ai sensi dell'art. 2, n. 2, lett. a), della direttiva

2000/43, in quanto siffatte dichiarazioni sono idonee a dissuadere fortemente determinati candidati dal presentare le proprie

candidature e, quindi, a ostacolarne l'accesso al mercato del lavoro…”

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DECISIONE FONDAMENTALE

in quanto riconosce alle associazioni che abbiano un legittimo interesse a far garantire il rispetto della direttiva, ovvero all'organismo o agli organismi

designati in conformità dell'art. 13 di quest'ultima, il diritto di avviare procedure giurisdizionali o

amministrative intese a far rispettare gli obblighi derivanti da tale direttiva senza agire in nome di un denunciante determinato ovvero in mancanza di un

denunciante identificabile

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L’ORIENTAMENTO SESSUALE

Tribunale di Bergamo, 6 agosto 2014Corte Appello Brescia 11 dicembre 2014

riconosciuta la legittimazione attiva della Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI Rete Lenford di agire al fine di ottenere

l’accertamento del carattere discriminatorio delle dichiarazioni rese da un avvocato che ha affermato, nel corso di un’intervista

trasmessa in un programma radiofonico, di non voler assumere nel proprio studio avvocati, collaboratori e/o lavoratori omosessuali, e

di fare a tal fine una «adeguata cernita» affinché ciò non accada

SI AFFERMA CHEè atta ad integrare una discriminazione diretta anche una condotta che,

solo sul piano astratto, impedisce o rende maggiormente difficoltoso l’accesso all’occupazione

(cfr. Corte di Giustizia, causa C-81/12; Corte di Giustizia, causa C-54/07) 29

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anche se non è individuabile uno specifico soggetto danneggiato

art. 5, co. 1 e 2, Decreto Legislativo 216/2003attuazione della Direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento

in materia di occupazione e di condizioni di lavoro

“le organizzazioni sindacali, le associazioni e le organizzazionirappresentative del diritto o dell'interesse leso, in forza di

delega, rilasciata per atto pubblico o scrittura privataautenticata, a pena di nullità, sono legittimate ad agire ai sensi

dell'articolo 4 (per la tutela giurisdizionale), in nome e per contoo a sostegno del soggetto passivo della discriminazione, controla persona fisica o giuridica cui è riferibile il comportamento o

l'atto discriminatorio… i soggetti di cui al comma 1sono altresì legittimati ad agire nei casi di discriminazione

collettiva qualora non siano individuabili in modo diretto eimmediato le persone lese dalla discriminazione” 30

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ATTENZIONE

ciò che caratterizza queste associazioni non ènecessariamente l’appartenenza dei singoli associati alla

categoria dei soggetti lesi dalla discriminazione collettiva, bensìlo scopo che le stesse si prefiggono e per il quale sono state

costituite dai singoli associati

per essere legittimate ad agire giudizialmente non devono essere costituite da soggetti portatori dell’interesse che difendono, ma

devono avere quale fine da perseguire quello della tutela di questo interesse

soggetti collettivi che operano sul territorio nazionale a difesa dell’effettività del principio di non discriminazione e che, appunto, si prefiggono di spiegare la loro azione con riferimento a uno dei

fattori possibile fonte di discriminazione e che, da questo punto di vista, aggrega una determinata categoria di soggetti 31

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DIVIETO DI DISCRIMINAZIONE PER ETA’ QUALE PRINCIPIO GENERALE DELL’ORDINAMENTO DELLA

COMUNITA’ EUROPEA

Corte di Giustizia, Werner Mangold vs. Rüdiger Helm, 22 novembre 2005, causa C-144/04

Corte di Giustizia, Seda Kücükdeveci vs. Swedex GmbH & Co. KG., 19 gennaio 2010, causa C-555/07

Corte di Giustizia, Dansk Industri vs. Successione Karsten Eigil Rasmussen, 19 aprile 2016, causa C-441/14

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Corte di Giustizia, Dansk Industri vs. Successione Karsten EigilRasmussen, 19 aprile 2016, causa C-441/14

1. ribadisce “che tale principio, ora sancito nell’art. 21 dellaCarta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essereconsiderato un principio generale del diritto dell’Unione”

2. precisa che “il principio di non discriminazione in ragionedell’età conferisce ai privati un diritto soggettivo evocabile inquanto tale che, persino in controversie tra privati, obbliga igiudici nazionali a disapplicare disposizioni nazionali nonconformi a detto principio”

3. precisa che “la direttiva 2000/78 non sancisce di per sé ilprincipio generale della non discriminazione in ragione dell’età,ma lo esprime soltanto concretamente”

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la Corte di Giustizia precisa che

1. una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico del privatoe non può, quindi, essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti;

2. i giudici nazionali sono tenuti a interpretare il diritto interno alla lucedella lettera e dello scopo della direttiva, con il limite di unainterpretazione contra legem del diritto nazionale;

3. l’esigenza di un’interpretazione conforme include l’obbligo dimodificare una giurisprudenza consolidata se si basa suun’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con gli scopi diuna direttiva;

4. il giudice nazionale, qualora ritenga di trovarsi nell’impossibilità diassicurare un’interpretazione conforme delle disposizioni nazionali,deve disapplicare la disposizione nazionale contraria al principio di nondiscriminazione in ragione dell’età (che conferisce ai privati un dirittosoggettivo)

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Corte Appello Milano, 15 aprile 2014

art. 34 D. Lgs 276/2003“Il contratto di lavoro intermittente può essere concluso per lo svolgimento di

prestazioni di carattere discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi… Il contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso con riferimento a prestazioni rese da soggetti con meno

di 25 anni di età ovvero da lavoratori con più di 45 anni di età anche pensionati…"

la disciplina predisposta dal legislatore nazionale introduce un trattamento differenziato che trova fondamento esclusivamente sull’età senza alcuna altra specificazione non avendo richiamato

alcuna ulteriore condizione soggettiva del lavoratore (disoccupazione protratta da un certo tempo o assenza di

formazione professionale per esempio) e non avendo esplicitamente finalizzato tale scelta ad alcun obiettivo individuabile

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non possono valere valutazioni o interpretazioni personali circa la «probabile» intenzione del Legislatore di voler agevolare l’ingresso

dei giovani nel mercato del lavoro

il mero requisito dell’età pertanto non può giustificare l’applicazione di un contratto pacificamente più pregiudizievole,

per le condizioni che lo regolano, di un ordinario contratto a tempo indeterminato e la discriminazione che si determina rispetto a

coloro che hanno superato di 25 anni non trova alcuna ragionevole e obiettiva motivazione

ritenuto il contenuto discriminatorio della norma, è stato censurato il comportamento della società che ha proceduto all’assunzione con

un contratto intermittente esclusivamente sulla base dell’età anagrafica dell’interessato

36

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Corte di Cassazione, 29 febbraio 2016, ordinanza

“Dispone, ai sensi e per gli effetti dell'art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea di chiedere, in via pregiudiziale, alla Corte di giustizia

dell'Unione europea se la normativa nazionale di cui al D. Lgs. n. 276 del 2003, art. 34, secondo la quale il contratto di lavoro intermittente può in ogni caso

essere concluso con riferimento a prestazioni rese da soggetti con meno di venticinque anni di età, sia contraria al principio di non discriminazione in base

all'età, di cui alla Direttiva 2000/78 e alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (art. 21, n. 1)"

l’ordinanza richiama l'art. 6, n. 1, co. 1, Direttiva 2000/78 nella parte in cui "enuncia che una disparità di trattamento in base all'età non costituisce

discriminazione laddove essa sia oggettivamente e ragionevolmente giustificata, nell'ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima,

compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale

finalità siano appropriati e necessari"37

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Corte di Giustizia

i limiti di età sono legittimi se si tratta di un bandoper lo svolgimento di attività operative che

richiedono “il ricorso alla forza fisica, nonchéil compimento di missioni in condizioni ardue,

se non estreme”

i limiti di età risultano, invece, “sproporzionati”ove le mansioni richieste ai candidati siano solo di

carattere “amministrativo”38

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Tribunale di Milano, 7 luglio 2010

Tizia, quarantanovenne, agisce rappresentando di aver presentato la propria candidatura per una posizione di autista per il trasporto

pubblico nella città di Milano

rappresenta di essere in possesso di tutti i requisiti tecnici richiesti (patente di guida della categoria richiesta, abilitazione

professionale, carta di qualificazione del conducente, etc.)

SI DUOLEdel fatto che quale condizione per l’accesso alle selezioni vi è anche

quello di una età anagrafica massima di 42 anni: condizione che afferma configurare una discriminazione diretta in ragione dell’età

39

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TUTTAVIA

Ventitreesimo Considerando, Direttiva 2000/78/CE

“in casi strettamente limitati una disparità di trattamento può essere giustificata quando una caratteristica collegata alla religione o alle convinzioni personali, a un handicap,

all'età o alle tendenze sessuale costituisce un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa, a condizione che la finalità sia legittima e il

requisito sia proporzionato. Tali casi devono essere indicati nelle informazioni trasmesse dagli Stati membri

alla Commissione” 40

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Venticinquesimo Considerando, Direttiva 2000/78/CE

“il divieto di discriminazione basata sull'età costituisce un elemento essenziale per il perseguimento degli obiettivi definiti negli orientamenti in materia di occupazione e la promozione

della diversità nell'occupazione. Tuttavia in talune circostanze, delle disparità di trattamento in funzione dell'età possono essere

giustificate e richiedono pertanto disposizioni specifiche che possono variare secondo la situazione degli Stati membri. È

quindi essenziale distinguere tra le disparità di trattamento che sono giustificate, in particolare, da obiettivi legittimi di politica dell'occupazione, mercato del lavoro e formazione professionale,

e le discriminazioni che devono essere vietate”

41

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art. 4, co 1, Dir. 2000/78/CE “fatto salvo l'articolo 2, paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono stabilire che una differenza di trattamento basata su una caratteristica correlata a una qualunque dei motivi

di cui all'articolo 1 non costituisca discriminazione laddove, per la natura di un'attività lavorativa o per il

contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo

svolgimento dell'attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato”

42

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principi ribaditi dal Decreto Legislativo 216/2003

trattamenti differenziati in ragione di peculiari condizioni personali del lavoratore (siano esse connesse alla religione,

alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale) risultano compatibili con il diritto

antidiscriminatorioSE

considerata la natura dell'attività e il contesto in cui essa viene espletata, dette condizioni rappresentano requisiti essenziali o

determinanti ai fini dello svolgimento della stessa

43

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Corte di Giustizia, Colin Wolf vs. Stadt Frankfurt am Main, 12 gennaio 2010, causa C-229/08

“…al fine di esaminare se sia giustificata la disparità di trattamento basata sull’età, contenuta nella normativa nazionale di cui trattasi nella causa principale, si deve verificare se l’idoneità fisica sia una

caratteristica legata all’età e se essa costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa in oggetto o per il suo esercizio, purché la finalità perseguita da tale normativa sia legittima e il requisito proporzionato… è legittimo lo scopo perseguito ove consiste nel garantire il carattere operativo e il buon funzionamento del corpo dei vigili del fuoco professionali…”

44

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nel caso in esame è stata evidenziata l’esigenza di salvaguardare l'incolumità degli utenti e la sicurezza della circolazione: profilo destinato a incidere direttamente sul livello di affidabilità nello svolgimento di una mansione

fisicamente impegnativa, quale è quella della conduzione di veicoli di rilevanti dimensioni, destinati al trasporto pubblico,

nel traffico cittadino

IN UNO CON LA RAGIONEVOLEZZA

della deroga prevista per candidati con una pregressa esperienza che avessero già avuto modo di sviluppare, nel

tempo, quelle attitudini tecnico-pratiche imprescindibili ai fini dell'abilitazione alla conduzione nel servizio urbano

45

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PRINCIPIO CONFERMATO

Corte di Giustizia, Gorka Salaberria Sorondo vs. Academia Vasca de Policìa y Emergencias, 15 novembre 2016, causa C-258/15

“l’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la

parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 1, della

stessa direttiva, deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa, come quella controversa nel procedimento principale, la quale prevede che i candidati ad impieghi quali

agenti di un corpo di polizia che svolgono tutte le funzioni operative o esecutive incombenti a quest’ultimo non debbano aver compiuto

35 anni di età”46

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ATTENZIONE

non basta il perseguimento di un interesse pubblico a legittimare un requisito (potenzialmente) discriminatorio

il requisito prescritto deve risultare l’unico capacedi assicurare la finalità perseguita e non devono esservi, a tal fine, altre modalità meno restrittive

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LO SVOLGIMENTO DEL RAPPORTO DI LAVORO

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Tribunale di Torino, 11 giugno 2013

Tizia, premesso di lavorare alle dipendenze dell’Agenzia delle Entrate e di aver ottenuto il part time al 50% e poi all’83,33%, ha rappresentato di aver partecipato alla procedura selettiva di sviluppo economico del personale e di essersi vista assegnare un punteggio basso a causa del

riproporzionamento dell’anzianità di servizio con il part time,rimanendo quindi esclusa dalla progressione economica

SOSTIENE

che la svantaggiosa valutazione dell’esperienza di servizio integra una fattispecie di discriminazione indiretta di genere poiché, pur

presentandosi come un criterio apparentemente neutro in quanto rivolto ad entrambi i sessi , di fatto produce effetti proporzionalmente più svantaggiosi per le lavoratrici di sesso femminile che costituiscono

la quasi totalità dei lavoratori a tempo parziale49

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accertata la sussistenza di una discriminazione indiretta di genere

"al fine della configurabilità della fattispecie della discriminazione indiretta è sufficiente che il criterio ponga gli appartenenti ad un certo

sesso in una condizione svantaggiata rispetto ai lavoratori dell’altro sesso restando inesorabilmente preclusa al giudice ogni valutazione

circa la ragionevolezza o la finalità che il criterio in ipotesi discriminatorio intende perseguire. Un criterio di per sé ragionevole o

legittimo, quale potrebbe certamente essere quello di valorizzare l’esperienza professionale del lavoratore, se comporta nei fatti una

posizione svantaggiosa per le lavoratrici di sesso femminile diviene per ciò solo illegittimo. La norma in sostanza sposta la valutazione sulla

legittimità del criterio selettivo dal momento della sua elaborazione al momento applicativo del criterio stesso e se l’effetto finale è quello di

mettere i lavoratori di un certo sesso in una condizione svantaggiosa il criterio selettivo non può essere adottato in quanto lesivo del principio

di non discriminazione" 50

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rilievo del dato statistico

"…la percentuale di dipendenti di sesso femminile in part time è stata sempre superiore all’84% il che dimostra in modo

inequivocabile che nella categoria dei dipendenti in part time la netta maggioranza è rappresentata da donne. I dati statistici

relativi ai dipendenti che hanno acquisito la progressione economica dimostrano poi con riferimento specifico alla

progressione da F2 ad F3 ( area di appartenenza della ricorrente) che la percentuale di vincitori in full time è pari al 39,40%

mentre quella dei dipendenti in part time è pari al 20%. Inoltre l’elenco nominativo degli 83 dipendenti che hanno ottenuto la

progressione da F2 a F3 ( doc. 7 di parte ricorrente) dimostra che solo 5 dipendenti in part time hanno ottenuto la progressione e di

questi solo 3 donne"51

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i dati statistici dimostrano che il riproporzionamento del punteggio relativo all’esperienza professionale all’effettivo orario di lavoro

prestato ha di fatto svantaggiato le dipendenti

in virtù dell’accertata vocazione prevalentemente femminile al part time deve quindi presumersi la discriminazione indiretta con la

conseguenza che incombeva sulla parte convenuta l’onere di dimostrare l’insussistenza della discriminazione

l’unica eccezione alla regola tassativa del divieto di discriminazione è infatti costituita dall’ipotesi in cui la condizione di svantaggio sia

giustificata da requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, ipotesi non ricorrente posto che non è certo essenziale al

fine della valutazione della professionalità dei dipendenti meritevoli di progressione in carriera la quantità di ore di lavoro prestato

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Corte di Giustizia, Helga Nimz vs. Freie und Hansestadt Hamburg, 7 febbraio 1991, causa C-184/89

“…L'affermazione secondo cui esiste un nesso particolare tra la durata di un'attività lavorativa e l'acquisizione di un certo livello di conoscenza o di esperienza, in quanto costituisca una semplice

generalizzazione riguardante determinate categorie di lavoratori, non consente di trarne criteri obiettivi ed estranei a qualsiasi

discriminazione. Infatti, anche se anzianità lavorativa ed esperienza professionale vanno di pari passo, ponendo di regola il lavoratore in

grado di meglio espletare le proprie mansioni, l'obiettività di un siffatto criterio dipende dal complesso delle circostanze del caso

concreto e, in particolare, dal rapporto tra la natura delle mansioni svolte e l'esperienza che l'espletamento di tali mansioni fa acquisire

dopo un determinato numero di ore di lavoro effettuate…”

53

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LA RISOLUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO

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disabilità e licenziamento per giustificato motivo oggettivo

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la giurisprudenza ha originariamente individuato il limite al potere di recesso datoriale nella contestuale sussistenza di tre condizioni:

1. possibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse2. che ciò possa avvenire senza che risultino necessari mutamenti

dell’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore3. che vi sia il consenso dell’interessato

“in caso di sopravvenuta infermità permanente del lavoratore, l’impossibilità della prestazione lavorativa… ineseguibilità dell’attività… perché può essere esclusa dalla possibilità di adibire il lavoratore ad una diversa attività, che sia riconducibile - alla stregua di un’interpretazione

del contratto secondo buona fede - alle mansioni attualmente assegnate o a quelle equivalenti (art. 2103 cod. civ.) o, se ciò è impossibile, a mansioni

inferiori, purché tale diversa attività sia utilizzabile nell’impresa, secondo l’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore”

(Cass. Civ., SS.UU., 7 agosto 1998, n. 7755)56

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TUTTAVIA

Corte di Giustizia UE, Commissione Europea vs. Repubblica Italiana, 4 luglio 2013, causa C-312/2011

condannato lo Stato Italiano per il non corretto recepimento delle norme a tutela dei lavoratori gravati da handicap: se l’infermità non è totalmente invalidante, deve prevedersi l’obbligo per il datore di lavoro di garantire

un reimpiego, con l’unico limite della sproporzione fra mezzi e finiVentunesimo Considerando della Direttiva 2000/78

“per determinare se le misure in questione danno luogo a oneri finanziari sproporzionati, è necessario tener conto in particolare dei costi finanziari o

di altro tipo che esse comportano, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell’organizzazione o dell’impresa e della possibilità di

ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni”art. 3, co. 3bis, D. Lgs. 216/2003

“…i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli… per garantire alle persone con disabilità la

piena eguaglianza con gli altri lavoratori…” 57

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si deve ritenere, allora, che il datore di lavoro sia oggi gravato da uno specifico obbligo di repêchage

“rafforzato” che gli impone di garantire il reimpiego del dipendente colpito dalla disabilità, adottando ogni

necessaria modifica organizzativa ragionevole

la ragionevolezza, e quindi l’esigibilità, dovrà esser valutata avendo riguardo all’unico limite dell’eccessiva

onerosità

onere particolarmente gravoso per la parte datoriale

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Tribunale di Milano, 17 febbraio 2016

“…la direttiva… fornisce un criterio non solo per interpretare correttamente la nozione di disabilità, ma anche per individuare gli obblighi che possono essere configurati in capo al datore di lavoro e, in particolar modo, per

quanto concerne le misure da adottare per garantire e preservare lo svolgimento dell'attività lavorativa dei dipendenti disabili e il necessario

contemperamento delle necessità organizzative aziendali; tale profilo… viene individuato, con una espressione senza dubbio di immediata comprensione, nel limite dell'onere sproporzionato… il datore di lavoro ha uno stringente

obbligo di valutare ed eventualmente individuare, nell'ambito della propria organizzazione lavorativa, mansioni che il lavoratore disabile possa

utilmente disimpegnare, fermo restando che tale obbligo non può arrivare a comportare lo stravolgimento del contesto organizzativo….

…Tanto maggiore e articolato sarà il contesto organizzativo tanto più stringente, deve ritenere, saranno gli obblighi che possono pretendersi dal

datore di lavoro stesso”59

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la nozione di “inidoneità” fisica o psichica del lavoratore dello Statuto dei Lavoratori pare nozione ben più ampia della “disabilità” fisica o psichica

contemplata dal Decreto Legislativo 23/2015

anche in ragione dell’espresso richiamo operato alla Legge 68/1999, risultano condivisibili gli indirizzi interpretativi che guardano alla

“disabilità” del Jobs Act in senso atecnico, e quindi come sinonimo di inidoneità allo svolgimento delle attività caratterizzanti la mansione di

assegnazione e, più in generale, del lavoro

prospettiva più coerente con il concetto di disabilità definito a livello comunitario

“…che si riferisce ad una limitazione risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature che, in interazione con

barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di

uguaglianza con gli altri lavoratori”(Corte di Giustizia, 4 luglio 2013, causa C-312/2011, pt. 56)

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malattia vs. disabilità

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la Direttiva Quadro non fornisce una definizione specifica di disabilità e non indica cosa si intenta per soggetti disabili

la scelta di non introdurre una definizione di disabilità è stata determinata dal fatto che, essendo la disabilità un

concetto in evoluzione nel tempo, non si è voluto cristallizzare una nozione chiusa che fosse suscettibile di

diventare non più attuale

Corte di Giustizia ruolo fondamentale nell’identificazione del concetto di

disabilità 62

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Corte di Giustizia UE, Navas vs.Eurest Colectivadades SA, 11 luglio 2006, causa C-13/05

ha chiarito che “la nozione di “handicap” va intesa come un limite che deriva, in particolare, da minorazioni fisiche, mentali psichiche e che ostacola la partecipazione della persona considerata alla vita

professionale”, e che “utilizzando la nozione di “handicap” all'art. 1 della direttiva di cui trattasi, il legislatore ha

deliberatamente scelto un termine diverso da quello di “malattia””

ha escluso “un’assimilazione pura e semplice delle due nozioni”, precisando che “perché una limitazione possa rientrare

nella nozione di “handicap” deve quindi essere probabile che essa sia di lunga durata” e che abbia l'attitudine a incidere od

ostacolare la vita professionale per un lungo periodo63

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“dall’imperativo tanto dell'applicazione uniforme del diritto comunitario quanto del principio di uguaglianza discende che i termini di una disposizione di diritto comunitario che non

contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del suo senso e

della sua portata devono di norma essere oggetto nell'intera comunità di un'interpretazione autonoma e uniforme da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione e della finalità perseguita dalla normativa di cui trattasi”

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DUNQUEla malattia in quanto tale non può essere considerata

come motivo ulteriore che si aggiunge a quelli previsti specificamente dalla Direttiva Quadro nel divieto delle

discriminazioni

DUBBIO

la malattia deve essere sempre esclusa dalla tutela contro le discriminazioni?

può farsi rientrare nella tutela antidiscriminatoria nel momento in cui partecipi di alcuni caratteri tipici

dell’handicap?65

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modello «medico»

la disabilità consiste in una limitazione biologica/fisica che impedisce od ostacola la vita professionale del soggetto che ne è

affetto

il rimedio è la cura o l’assistenza

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Corte di Giustizia UE, HK Danmark vs.Dansk almennyttigt Boligselskab, 11 aprile 2013, causa C-335/11

“La nozione di «handicap» di cui alla direttiva 2000/78/CE … deve essere interpretata nel senso che essa include una

condizione patologica causata da una malattia diagnosticata come curabile o incurabile, qualora tale malattia comporti una limitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche,

mentali o psichiche, che, in interazione con barriere di diversa natura, possa ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di

uguaglianza con gli altri lavoratori, e tale limitazione sia di lunga durata. La natura delle misure che il datore di lavoro deve adottare non è determinante al fine di ritenere che lo

stato di salute di una persona sia riconducibile a tale nozione”67

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modello «sociale»

la disabilità è il risultato dell’interazione fra la menomazione e le barriere sociali

il rimedio non è la cura o l’assistenza, ma la rimozione di quelle barriere che

impediscono l’uguaglianza e la parità di trattamento dei disabili

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la disabilità viene considerata quale risultato dell’interazione tra la menomazione e le barriere

sociali, indipendentemente da quale ne sia la causa (congenita, accidentale o da malattia)

definitivamente chiarito che la malattiapuò comportare una disabilità

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Tribunale di Milano, 11 febbraio 2013

“…se deve escludersi che possa essere richiamato il divieto di discriminazione fondata

sull’handicap non appena si manifesti una qualunque malattia, di handicap può invece

parlarsi ogniqualvolta la malattia sia di lunga durata e abbia l'attitudine a incidere

negativamente sulla vita professionale del lavoratore…”

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“…Per come prospettata al datore di lavoro, la malattia sofferta da Nome COGNOME ha inequivocabilmente assunto il

contenuto di un handicap: da un lato, la lavoratrice ha rappresentato di avere una “una patologia molto grave” che la costringerà a “rimanere in cura per tutto il resto della mia vita”;

dall'altro, ha dato conto degli effetti delle cure obbligate: “…inconveniente di ciò è che mi sento molto stanca e perciò cerco di guidare il meno possibile per non rischiare di addormentarmi

mentre guido… I medici mi hanno consigliato di evitare lo stress, nei limiti del possibile. Sto facendo un grande sforzo per

tenermi al passo svolgere i miei ordinari compiti…”… con la propria missiva del 5/3/2012, ha comunque delineato in maniera oltremodo chiara la gravità della situazione e gli effetti della stessa, e il quadro emergente dalla sua descrizione è senz’altro

quello di una patologia grave e invalidante ”71

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Corte di Giustizia UE, Fag og Arbejde (FOA) vs.Kommunernes Landsforening (KL), 18 dicembre 2014, causa C-

354/13

“lo stato di obesità di un lavoratore costituisce un «handicap», ai sensi di tale direttiva, qualora determini una limitazione, risultante segnatamente da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, la quale, in interazione con barriere di

diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su un piano di uguaglianza con gli altri lavoratori. È compito del giudice nazionale valutare se tali condizioni ricorrano nel

procedimento principale”

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licenziamento per ragioni di età

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LICENZIAMENTI COLLETTIVIquello del possesso dei requisiti di legge per avere

accesso alla pensione di vecchiaia o anzianità è criterio oltremodo ricorrente nella scelta dei lavoratori da

licenziare

CRITERIO NON OGGETTIVAMENTE DISCRIMINATORIO1. il criterio non si fonda esclusivamente sul dato anagrafico, bensì sul

possesso dei requisiti pensionistici

2. appare ragionevole la scelta di privilegiare i lavoratori che, se licenziati, passerebbero alla disoccupazione rimanendo così privi di reddito, e di

licenziare, invece, quelli che hanno i requisiti per accedere alla pensione, in modo da ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti

(cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., 26 aprile 2011, n. 9348; cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., 12 novembre 2015, n. 23140) 74

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tuttavia, in particolari situazioni, il criterio può determinare effetti oggettivamente discriminatori

Tribunale di Milano, 11 marzo 2015

“…l’accordo… contempla due criteri, destinati a operare congiuntamente, dei quali il primo è quello rappresentato dalla limitazione della procedura di

licenziamento ai lavoratori con una “data di nascita fino al 31 dicembre 1949”. L’effetto di tale specifico criterio è, di fatto, quello di circoscrivere la platea dei

soggetti licenziabili ai soli lavoratori che abbiano compiuto il 65º anno di età e, quindi, a quei lavoratori per i quali INPGI consente il pensionamento di

vecchiaia (65 anni per gli uomini e 60 anni per le donne). Sicché, a dispetto dell’ambito di applicazione del secondo criterio, utile a far ricomprendere nella

procedura di licenziamento collettivo tutti i lavoratori in possesso dei requisiti per l’accesso al trattamento di pensione a carico dell’INPGI (sia esso di anzianità

ovvero di vecchiaia), il filtro del primo criterio è destinato a individuare in via diretta e primaria i lavoratori in possesso dei requisiti per l’accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia, e solo in via incidentale quelli in possesso dei requisiti

per l’accesso al trattamento di pensione di anzianità”75

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“…il criterio dell’età anagrafica è destinato a operare in via prevalentemente autonoma… Per contro… il criterio… fa salvi tutti i

lavoratori che, nati dopo il 31 dicembre 1949, abbiano già maturato il diritto al conseguimento della pensione di anzianità. L’effetto del

criterio di cui alla lettera a) si prospetta, dunque, quale irragionevole e ingiustificata limitazione della platea dei potenziali destinatari del

licenziamento collettivo atteso che… non si ravvisa alcuna motivazione obiettiva atta a giustificare la salvaguardia di quanti, pur nati in

epoca successiva al 31 dicembre 1949, abbiano comunque raggiunto i requisiti per il trattamento pensionistico di anzianità.

Invero, se l’intento delle parti era effettivamente quello di “mitigare le conseguenze sul piano sociale”, sarebbe stato più coerente (e,

comunque, oltremodo più ragionevole) ricomprendere coloro che, per aver raggiunto i requisiti utili alla pensione di anzianità, avrebbero

potuto senz’altro beneficiare di un trattamento pensionistico più satisfattivo del trattamento pensionistico di vecchiaia”

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Corte Appello Firenze, 6 settembre 2016

la società ha avviato una procedura di mobilità in ragione della necessità di ridurre il personale in specifiche unità organizzative nominativamente

individuate

la procedura si è conclusa, tuttavia, con un accordo sindacale nel quale i lavoratori in esubero sono stati individuati tra il personale non dirigente già in possesso dei requisiti di legge per la pensione anticipata o di vecchiaia

TUTTAVIA

l’accordo sindacale individuava il personale da licenziare, assumendo come criterio il possesso di determinati requisiti pensionistici, indipendentemente

dall’area di appartenenza e dalla posizione occupata, senza alcun collegamento con l’oggetto della comunicazione di avvio della procedura

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“…Gli esuberi sono quindi in concreto identificati sulla base di un criterio trasversale del tutto indifferente sia all’area di manifestazione (rectius di

permanenza) dell’eccedenza di personale, sia ai profili professionali ritenuti superflui all’atto di avvio della procedura, mentre la reclamata neppure

afferma (ed è certo da escludersi attesa la natura dell’attività aziendale) la completa fungibilità tra tutte le figure professionali impiegate nella sua

organizzazione di impresa… La lettera della legge impone allora di ritenere… che la situazione di esubero rappresentata nella comunicazione di avvio del procedimento delimiti l’oggetto dell’interlocuzione con le parti sindacali: in

ordine a tale situazione deve svolgersi infatti “l’esame congiunto”, del personale eccedente, da essa individuato, deve valutarsi il reimpiego… la

norma obbliga le parti a garantire una necessaria coerenza tra la situazione di eccedenza e la sua soluzione come rappresentata nell’accordo, giacché solo

una tale coerenza, in un sistema in cui il controllo giudiziale di legittimità del licenziamento è limitato al rispetto della procedimentalizzazione di legge,

assicura dell’effettività della relazione causale tra i singoli licenziamenti e la situazione di eccedenza rappresentata ”

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“…a fronte di una situazione di eccedenza riferita a una specificata area dell’azienda e ad alcune definite figure professionali, la selezione dei

licenziandi sia avvenuta sulla base di un criterio convenzionale trasversale (l’accesso a pensione) esteso all’intera platea dei dipendenti non

dirigenti e del quale non risulta formalizzata alcuna relazione con l’eccedenza rappresentata... l’adozione di un simile criterio, già utilizzato ai fini della dell’accesso alle procedure di esodo volontario con esito solo parzialmente satisfattivo delle aspettative della società, offre un qualche fondamento alla deduzione del reclamante secondo cui ad esso si sarebbe

fatto ricorso al fine di ottenere, a mezzo della procedura ex lege 223/1991, non la soppressione di astratte posizioni lavorative eccedentarie, ma

l’espulsione di tutti o almeno di alcuni dei lavoratori aventi astrattamente titolo alla mobilità volontaria, ma che non avevano inteso accettarla”

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licenziamento nelle organizzazioni di tendenza

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Tribunale di Rovereto, 21 giugno 2016

Tizia – già insegnante dipendente di una scuola paritaria di ispirazione religiosa cattolica, in forza di distinti rapporti di lavoro a tempo

determinato – è stata convocata per essere valutata ai fini del rinnovo del contratto di lavoro da parte della Superiora

in quella sede la religiosa le ha chiesto di negare di avere una relazione di convivenza affettiva con un’altra donna, asseritamente oggetto di voci

all’interno dell’organizzazione o, comunque, di impegnarsi a risolvere il problema rappresentato dalla sua, del tutto presunta, omosessualità

a fronte del rifiuto da parte dell’insegnante di rivelare elementi della sua vita privata, il contratto di docenza non è stato rinnovato come era

accaduto negli anni precedenti e non è stato dato corso alla promessa assunzione a tempo indeterminato

nel corso del giudizio, il Tribunale ha accertato che punto centrale del colloquio con la Superiora è stato quello dell’orientamento sessuale della

lavoratrice 81

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“…Ciò ha determinato una patente violazione del principio di parità di trattamento di cui all’art. 2, comma 1 D.L.vo 216/03… La tesi di parte convenuta secondo la quale la fattispecie rientrerebbe nella clausola di

salvaguardia prevista dai commi da 3 a 6 dell’art. 3 per le cd. organizzazioni di tendenza non può essere accolta, dal momento che nel caso qui in esame è stata

perpetrata una discriminazione per orientamento sessuale e non per motivi religiosi. Da ciò discende che non possono ritenersi operanti le limitazioni ed

eccezioni al principio generale previste dal comma 3 (“nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza e purché la finalità sia legittima”) e dal comma 5 (“non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 le differenze di

trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell’ambito di enti religiosi

o altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti

o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività”, atteso che l’orientamento sessuale di un’insegnante… è

certamente estraneo alla tendenza ideologica dell’Istituto”82

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Corte Europea dei Diritti dell’Uomo , Affaire Schüth c. Allemagne, 23 settembre 2010, causa C-1620/03

la Corte europea ha ritenuto che il giudice del lavoro non avesse adeguatamente tutelato il diritto del ricorrente al

rispetto della sfera privata e familiare, rilevando che il dovere di lealtà verso la Chiesa cattolica, accettato dal lavoratore, non

doveva essere interpretato, altresì, come impegno a vivere nell’astinenza in caso di separazione o di divorzio

la Corte di Strasburgo ha concluso pertanto affermando che, in tale circostanza, la Corte del lavoro tedesca non ha

adeguatamente tutelato il diritto del ricorrente al rispetto della propria vita privata in violazione dell’art. 8 CEDU

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…grazie per l’attenzione.84