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Direzione 6 marzo 2013 Direzione nazionale del Pd Roma 6 marzo 2013 Relazione di Pier Luigi Bersani (bozza non corretta) Apriamo questa nostra discussione nel pieno rispetto dei percorsi istituzionali, delle prerogative del Capo dello Stato. Sentiamo il dovere politico di pronunciarci con semplicità e con chiarezza davanti all'opinione pubblica e di rendere, quindi, esplicito il nostro orientamento. Sappiamo anche che le decisioni che prenderemo in questa fase potranno segnare non solo questo momento, ma anche il futuro, le prospettive di una fase non breve. Il primo punto da dirimere, secondo me, è a quale livello rapportare la nostra discussione e le nostre decisioni. In altri termini, quale sia l'ordine di grandezza di questa fase. Dico subito che per me l'ordine di grandezza della fase che si è aperta da alcuni anni è di dimensioni storiche. I giudizi che dobbiamo dare non escludono per questo temi più immediati, aspetti critici, autocritici che si riferiscono a quello che abbiamo fatto o non fatto, anche negli ultimissimi

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Direzione 6 marzo 2013

Direzione nazionale del Pd Roma 6 marzo 2013

Relazione di Pier Luigi Bersani (bozza non corretta)

Apriamo questa nostra discussione nel pieno rispetto dei percorsi

istituzionali, delle prerogative del Capo dello Stato. Sentiamo il dovere

politico di pronunciarci con semplicità e con chiarezza davanti all'opinione

pubblica e di rendere, quindi, esplicito il nostro orientamento.

Sappiamo anche che le decisioni che prenderemo in questa fase potranno

segnare non solo questo momento, ma anche il futuro, le prospettive di

una fase non breve.

Il primo punto da dirimere, secondo me, è a quale livello rapportare la

nostra discussione e le nostre decisioni. In altri termini, quale sia l'ordine

di grandezza di questa fase.

Dico subito che per me l'ordine di grandezza della fase che si è aperta da

alcuni anni è di dimensioni storiche. I giudizi che dobbiamo dare non

escludono per questo temi più immediati, aspetti critici, autocritici che si

riferiscono a quello che abbiamo fatto o non fatto, anche negli ultimissimi

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tempi e fino alla campagna elettorale. Ne parlerò anch'io. Purché tutto

questo non ci porti a rimuovere il dato di fondo. E' in corso, da anni, una

fase di confusa e convulsa transizione. Un sommovimento profondo di cui

le nostre elezioni sono state un termometro. E' un sommovimento di

evidente dimensione europea, che si segnala in modo acuto nei paesi

mediterranei ed ha riflessi evidenti altrove. Ci sono stati e ci sono altri

termometri in azione in questi stessi giorni. Grandi manifestazioni in

Portogallo. Un indebolimento drammatico della credibilità delle istituzioni

della politica in Spagna. Quello che è avvenuto e sta avvenendo in Grecia,

ancora. Le rilevazioni d'opinione in Francia. Le manifestazioni in Olanda.

Ripiegamenti anti europei in Germania, e così via. L'economia reale

consegna dati negativi un po' ovunque. L'equilibrio finanziario mostra,

ovunque, crepe e, ancora, gravi incertezze. Si può dire che lo sciame

sismico che scuote le democrazie rappresentative in Europa aumenti

d'intensità.

In Italia, se guardiamo l'arco di questi anni, i dati sulla caduta del

Prodotto interno Lordo e quelli relativi, sia per quantità che per durata,

alla recessione, sono paragonabili solo agli anni della Seconda Guerra

Mondiale.

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E' in corso un'esperienza inedita di impoverimento, dopo le grandi

stagioni delle conquiste del Welfare. Si vede palesemente un

allargamento della forbice sociale e, a fronte di questo processo,

compaiono delle ricette senza speranza, delle ricette apparentemente

senza alternativa, che non siano lo scoramento o il rifiuto.

La politica, già da lungo tempo senza credibilità e prestigio, da noi perde

via via presa sulla realtà. E' vero che in ogni luogo della crisi europea la

democrazia rappresentativa mostra affanni, mostra difficoltà nel

padroneggiare le tendenze. Ma da noi il problema è enormemente

aggravato. E' aggravato sia se si considera la lunga durata storica di un

riflesso anti statuale, presente nel profondo della vicenda italiana. Sia se

si considera la dimensione storica più attuale che ha visto inaugurare il

post muro di Berlino in un discredito della politica che non ha avuto, fin

qui, vero rimedio. Sia se si guardano fatti più contemporanei, cioè gli anni

del berlusconismo, che hanno fomentato questo discredito fino a fare

escludere nella larga opinione pubblica che ci fosse qualcuno di innocente.

E, per altro, la politica screditata ha funzionato e funziona da capro

espiatorio di immoralità e privilegi di una più ampia classe dirigente. Una

sorta di tutti contro tutti per cui la prova della propria innocenza è

diventata la maggior colpevolezza degli altri.

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Nell'insieme, dunque, un assetto politico istituzionale, e lo abbiamo visto,

non da oggi, che mostra di non avere né le leve reali, né i titoli visibili per

dominare questo avvitamento della questione sociale tra austerità e

recessione. E quindi una perdita di orizzonti, una sorta di entropia di

risorse democratiche, politiche e civile.

Un tema, ripeto, acuto da noi, che non vediamo da oggi, ma certamente un

tema europeo. Perché resta europea la vera domanda sociale irrisolta. Ma

per accompagnare, per dirigere, questa confusa transizione, questo

drammatico assestamento, quali ricette che siano compatibili con un

governo democratico e rappresentativo? Questa è la domanda di fondo.

Che emerge anche da queste elezioni e che comunque cammina, esplicita,

o è ancora sotto traccia in tutta Europa. A prescindere perfino dagli

equilibri politici o parlamentari. Perché la governabilità non è fatta solo

dei seggi sufficienti in Parlamento. Sta nel rapporto reale, perfino

morale, sentimentale, tra istituzioni e società. Come si sarebbe detto una

volta tra governanti e governati. E, anzi, un'interpretazione meccanica e

formale della governabilità in tempi di crisi potrebbe sembrare un

coperchio mal posto su una pentola a pressione.

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Ora questa crisi che cosa origina? Origina un profondo sommovimento di

opinioni che accumula in modo confuso e anche pericoloso, diciamolo pure,

sia elementi di protesta e di rifiuto, sia esigenze razionali ed impazienti

di riforma, sia la ricerca utopica di modelli alternativi e tante altre

sfumature che qui è inutile elencare. Ora, in Italia, questo movimento si

esprime non solo nel voto a 5 stelle, non solo nell'accresciuta astensione,

e comunque stiamo già parlando di più di 10 milioni nell'insieme degli

elettori, ma saremmo miopi se non vedessimo che, anche al di là del voto,

c'è uno stato d'animo ampiamente trasversale, che non è estraneo a

nessuno dei bacini di consenso. Compreso il nostro. E quindi qui non

banalizziamo, per favore.

Lo dico per buona pace una volta (per tutte) di quei commentatori e

osservatori che oggi come da 20 anni a questa parte spiegano il verbo

senza mai un anno sabbatico e senza mai pagar dazio alla periodica

smentita dei fatti. Qui non si sta corteggiando Grillo. Qui si sta cercando

di capire quel che si muove nel profondo. Si sta cercando di bucare il

muro dell'autoreferenzialità del sistema, perché comincia a essere in

gioco il sistema. Guardiamo le cose più da vicino.

Ora, dicevo, quel movimento di opinione si è espresso, innanzitutto, con un

notevole aumento dell'astensione. Tuttavia quel movimento, quel moto

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d'opinione si rivolge ancora in modo prevalente verso le istituzioni. E

quindi mostrando che il canale democratico non è ostruito. Se si rivolga

alle istituzioni per rinvigorirle, o per trasformarle, o per farne

semplicemente una vuota cassa di risonanza è ancora da capire. Ma questo

dipende anche dalla nostra iniziativa, che deve sollecitare una rapida

verifica ed un chiarimento di questo punto.

Quel movimento d'opinione ha convogliato un eccezionale consenso verso

5 stelle. Ha colpito e indebolito noi che, evidentemente, non abbiamo

saputo interpretarlo a sufficienza e nell'insieme ha creato, anche, una

sorta di effetto ottico della rimonta della destra, la quale certo ha

mostrato come adesso una residua vitalità recuperando una parte di

quegli umori, ma, a conti fatti, ha ceduto più di ogni altro.

Guardiamo i dati nella loro essenzialità. Due milioni e trecentomila votanti

in meno, oltre sei milioni in meno al Pdl, tre milioni e mezzo in meno al Pd,

un milione e seicentomila in meno alla Lega, otto milioni e mezzo 5 stelle,

new entry.

Il 40% degli elettori pare aver cambiato voto; siamo in presenza di una

mobilità inedita, tumultuosa. Di questo afflusso al Movimento 5 Stelle

viene dato come indicazione, da parte delle prime rilevazioni, la

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provenienza per il 30% da destra, per il 25% dal centro sinistra, per il

35% da astensione o liste minori. Dalle prime rilevazioni, 5 Stelle risulta

molto presente tra il primo e il secondo voto, cioè tra i giovani, e tra gli

strati sociali più toccati, più colpiti, dalla crisi. Giovani, disoccupati,

lavoratori autonomi e dipendenti. E qui c'è un dato di fondo.

Certo che questo movimento è segnato dall'uso sapiente della rete, da

meccanismi di comunicazione, anche obliqui, efficienti. Ma, insomma,

l'elemento profondo si riferisce palesemente a una questione sociale.

Scelta Civica. Meno di un milione di voti in più di quel che ottenne l'UDC

da sola, e quindi, a sua volta, non in grado di dare un contributo decisivo

alla governabilità. A dispetto, anche qui, di una presunta centralità con

cui mattina, sera, per mesi, il sistema ci chiedeva di fare i conti.

La destra, dicevo, perde più di sei milioni di voti. Sottostimata nei

sondaggi, riemersa alle urne, rinvigorita dalla proposta identitaria di

Berlusconi. Capace di disancorarsi con messaggi populisti dall'austerità a

cui poi ci aveva portati lui. Un messaggio, questo, più percepito laddove le

condizioni sociali sono più esposte: il Sud. E, paradossalmente, vorrei

segnalare, a chi critica adesso, perché non avremmo visto questa cosa,

che siamo gli unici che hanno continuato a dire, come una giaculatoria,

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attenzione perché la destra esiste, ha radici nel paese, come in tutti i

paesi europei.

Certo, l'idea che non ci fosse l'avversario ci ha danneggiato. Ha messo in

moto, in libertà, dei voti. C'è poco da fare. Che questo sia colpa nostra

discutiamone. Perché, magari avessimo la forza di sollevare una così

concorde previsione per forza nostra. No. Anche noi forse siamo stati

vittime di questo coro. E, certamente, è una cosa che ci ha indebolito e ci

ha danneggiato.

Nella destra la Lega ha pagato di più, ha avuto il beneficio di poter

allestire l'election day con l'elezione in Lombardia ma, per quel che

riguarda il suo elettorato, c'è un dimezzamento. Una botta molto pesante

in Veneto e in Piemonte. E, quindi, noi possiamo dire che questa rimonta

percepita dalla destra non è un reale recupero di consenso, ma deriva da

un mancato verificarsi delle totale disfatta annunciata ed è frutto

prevalentemente del mancato risultato nostro, questo effetto di rimonta.

Il nostro arretramento è distribuito ovunque ma in modo più marcato nel

centro-sud, più contenuto in Lombardia ed in Veneto e quanto a certe

categorie sociali, per farla breve, il nostro risultato è speculare a quello

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di 5 Stelle. Perdiamo di più nei ceti sociali e nei luoghi più esposti alla

crisi.

Ora, senza farla lunga, a me pare che i dati parlino un linguaggio

drammatico ma chiaro. Primo: c'è una sofferenza sociale e acuta in una

parte larga della base potenziale o tradizionale del consenso del Partito

Democratico. Secondo: questa sofferenza sociale, il blocco dei processi

di riforma della politica, la percezione d’inutilità e di impotenza della

politica ci fanno leggere largamente omologati ad un sistema che non gira.

Nel profondo persino la ancora resistenza di Berlusconi ci viene

attribuita, in qualche misura, come una colpa. Terzo: tutte queste sono

dinamiche che non solo non hanno avuto lenimento ma si sono accentuate

nell'esperienza del Governo Monti. In particolare sul fronte sociale.

Possiamo dire di non aver colto tutto questo? Io credo sinceramente di

no. Non è che non avessimo visto. Noi abbiamo cercato scelte in

controtendenza rispetto a questo. Le primarie per la scelta dei

parlamentari, lo sforzo di caratterizzazione durante la fase Monti su

alcuni acuti temi sociali, ed anche in campagna elettorale parole d'ordine

di cambiamento dal lato dell'etica pubblica, del sociale. Io credo che

senza questo l'onda d'urto ci avrebbe colpito ancora più frontalmente.

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Ma questo non è stato sufficiente a fare di noi un riferimento vero di una

spinta al cambiamento.

Il cambiamento io non lo intendo come una parola generica e tanto meno

come una suggestione nuovista. Ma (intendo) un cambiamento che abbia

come punto pregiudiziale il tema della riforma della politica e che abbia

come punto sostanziale la drammatica questione sociale.

Noi su queste due cose dovevamo mettere più determinazione. Una

determinazione perfino ultimativa. Io riconosco questo,

fondamentalmente, come il problema. Ce ne sono 100 altri. Per l'amor di

Dio, discutiamo del messaggio, della campagna elettorale e di cento altre

cose. Disposto ad accettarle tutte purché si capisca, almeno questa è la

mia idea, che tutti gli altri elementi sono elementi al margine rispetto a

questo problema. Che non può essere rimosso. E quindi, adesso che siamo

al “che fare?”, dobbiamo sapere che qui si apre un bivio, e di questo sono

convinto, che non riguarda solo le prossime settimane. Noi dobbiamo fare

il film molto avanti e capire che siamo di fronte a una crisi che non

finisce domani mattina. La vicenda della crisi economico/sociale e quindi

della criticità dei meccanismi democratici sarà ancora lunga.

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Noi non siamo davanti ad uno scoglio. Siamo davanti ad una transizione. E

quindi le scelte che dobbiamo fare, dobbiamo anche legarle alla

generosità di riuscire a seminare anche per il futuro, stando

naturalmente al presente. Ora nessuno ne parla più, ma attenzione: in

questi giorni non è che si siano leniti i problemi che abbiamo. Ho visto che

(ultimamente) non se ne parla. Ma i problemi di occupazione, di reddito, di

imprese che saltano, di drastico impoverimento di ceto medio e anche di

impoverimento assoluto di parte della popolazione sono lì. Sono ancora lì.

Ora, è per questo che io dico che il quadro politico, uscito dalle elezioni,

finiti i primi effetti di novità rischia di non essere in grado di innescare

un recupero di fiducia.

E quindi, se guardiamo l'Italia, il primo punto è quello di una fase incisiva

che dia il segno che cambia davvero qualcosa. E comunque noi dobbiamo

dare voce a questa esigenza. Che dopo le elezioni si cambi qualcosa. E

questo dobbiamo dirlo senza balbettare o partecipare al balletto delle

ipotesi. Secondo me dobbiamo dire linearmente, fermamente,

credibilmente, pubblicamente qual è la nostra indicazione. Cominciamo

intanto dal trasmettere un rapporto veritiero, una versione veritiera dei

rapporti di forza e della qualità dei nuovi assetti parlamentari, che è una

novità.

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Certo il nostro risultato, che è inferiore alle aspettative, non consegna

una sicura governabilità. Questo è il senso della nostra delusione e della

nostra sconfitta. Ma, ricordiamolo, almeno per cenno, il risultato è anche

in relazione, in quanto a governabilità, a una legge elettorale che è unico

caso sul globo terracqueo. Avendo gli stessi poteri due camere, ha due

diversi meccanismi elettorali. E si capirà anche meglio adesso chi non ha

voluto cambiarla questa legge elettorale, dopo tante balle che si sono

raccontate negli ultimi mesi.

Certamente quindi non siamo in condizione di dare una certezza di

governabilità ma non è che gli altri possano offrire qualcosa di meglio in

relazione alla governabilità del paese. Forse non ne hanno le intenzioni,

comunque non ne hanno i numeri. Anche in questi giorni oltre a qualche

idea qui e là per sbarrarci la strada, hanno qualcosa da dire? I rapporti di

forza ci consegnano la responsabilità di avere, noi, una proposta leggibile

per il paese.

In questo risultato negativo, mai comunque un partito di centro sinistra

aveva avuto rappresentanze parlamentari così ampie e così ampiamente

rinnovate. Se stiamo ai parlamentari, ai numeri, noi abbiamo più new entry

di 5 stelle. Che non c'era. Abbiamo il 42% di donne nei gruppi

parlamentari, più di loro e di qualsiasi altro. Italia bene comune ha 460

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parlamentari, Pdl + Lega 242, 5 Stelle 163, 71 Scelta Civica; quindi quasi il

doppio o quasi il triplo rispetto agli altri due poli principali.

Non sfuggiamo alla nostra responsabilità, dobbiamo rivendicarla e

qualificarla e dire che cos'è e cosa significa questa responsabilità. La mia

tesi è questa. Se il sommovimento in corso ha il profilo che dicevo, allora

non può esistere responsabilità senza cambiamento. Non si parli di

responsabilità a prescindere dal cambiamento perché ci prepariamo dei

guai peggiori. Questa è la sostanza di quello che deve essere, secondo me,

il messaggio. Perché in una crisi che si avvita cercare la semplicità del

meno peggio può significare trovare, a volte, il peggio.

Quindi l'unica possibilità di dare governabilità alla crisi è che una forza

come la nostra venga percepita credibilmente come interprete di cose

nuove. E lo dico per l'Italia. Perché non vedo nessun altro in grado di dare

un messaggio del genere. Quindi tocca a noi, innanzitutto, ribaltare lo

schema.

Inutile in questa fase cercare accordi politici o diplomazie fuori dal

Parlamento. Noi parliamo chiaramente al Paese. Gli altri parlino

altrettanto chiaramente. Noi siamo pronti se chiamati a proporre al

Parlamento un Governo di cambiamento sulla base di un programma

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essenziale. Il programma essenziale che compito ha? Ha il compito di

rimuovere le barriere più pesanti che si frappongono fra istituzioni,

politiche e opinione pubblica e di mettere mano ad alcune urgenti misure

sociali. Il compito cioè di aprire la strada alla legislatura. Ciò può avvenire

con degli impegni dirimenti e cadenzabili per ogni singolo punto.

Le proposte che avanziamo sono frutto della nostra elaborazione. E non si

dica: perché non le avete fatte prima? Sono proposte che si sono

dimostrate impraticabili perché noi non abbiamo avuto mai le condizioni

parlamentari per portarle avanti. Adesso si può. Adesso quelle condizioni

parlamentari ci sono. Se si vuole adesso si può. Questa è la semplice

differenza.

8 punti per un Governo di cambiamento. Li indico sommariamente. Primo

punto si può titolare così: fuori dalla gabbia dell'austerità. Il Governo

italiano si fa' protagonista attivo di una correzione delle politiche

europee di austerità. Una correzione irrinunciabile, dato che, dopo 5 anni,

di austerità e di svalutazione del lavoro, i debiti pubblici aumentano

ovunque nell'eurozona. Si tratta di consigliare disciplina di bilancio con

investimenti pubblici produttivi e ottenere maggiore elasticità negli

obiettivi di medio termine della finanza pubblica. Questo avvitamento

austerità/recessione mette a rischio la democrazia rappresentativa e le

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leve della governabilità. L'aggiustamento di debito e deficit sono obiettivi

di medio termine. L'immediata emergenza sta nell'economia reale e

nell'occupazione. Sulla base di questi concetti e di questi principi

un'iniziativa immediata del Governo italiano per mettersi anche alla testa

di una riflessione che, ormai, sta dilagando in tre quarti d'Europa.

Secondo punto: misure urgenti sul fronte sociale e del lavoro. E quindi

vado in elenco rapido: i pagamenti della pubblica amministrazione con

emissione di titoli del Tesoro dedicati; un potenziamento degli strumenti

della Cassa Depositi e Prestiti per la finanza d'impresa; l'allentamento

del patto di stabilità degli enti locali per rafforza sportelli sociali e per il

piano di piccole opere che abbiamo già enunciato; l'allestimento del

programma operativo per la banda larga e lo sviluppo dell'ICT; la

riduzione del costo del lavoro stabile per eliminare i vantaggi del costo

del lavoro precario con il superamento degli automatismi della legge

Fornero; avvio del processo di universalizzazione dell'indennità di

disoccupazione e dell'introduzione di un reddito minimo di inserimento;

avvio della "spending review" con il sistema delle autonomie e definizione

di una metodologia di piani di riorganizzazione di ogni pubblica

amministrazione; riduzione e ridistribuzione dell'IMU secondo le

proposte avanzate dal Pd; esodati; misure per tracciabilità e fedeltà

fiscale; blocco dei condoni; rivisitazione delle procedure di Equitalia;

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interventi che laddove riguardano temi di investimenti e del lavoro

devono essere rafforzati al sud, anche in coordinamento con i fondi

comunitari.

Terzo punto: riforma della politica e della vita pubblica. Norme

costituzionali per il dimezzamento dei parlamentari e per la cancellazione

in costituzione delle Province; revisione degli emolumenti dei parlamentari

e dei consiglieri regionali con riferimento al trattamento economico dei

sindaci; norme per il disboscamento di società pubbliche e miste

pubbliche/private; riduzione costi burocrazia con revisione dei compensi

per doppie funzioni ed incarichi professionali; legge sui partiti con

riferimento alla democrazia interna, ai codici etici, all'accesso alle

candidature e al finanziamento; legge elettorale con riproposizione della

proposta Pd sul doppio turno di collegio.

Quarto punto: voltare pagina sulla giustizia e sull'equità. Legge sulla

corruzione, sulla revisione della prescrizione, sul reato di auto riciclaggio;

norme efficaci sul falso in bilancio, sul voto di scambio e sul voto di

scambio mafioso; nuove norme sulle frodi fiscali.

Quinto punto: legge sui conflitti d'interesse, sull'incandidabilità,

sull'ineleggibilità e sui doppi incarichi. E le norme sui conflitti d'interesse

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si propongono sulla falsariga del progetto approvato dalla Commissione

Affari Costituzionali della Camera in XV legislatura che è stata recepita

dalla proposta Elia - Onida - Cheli - Bassanini.

Sesto punto: economia verde e sviluppo sostenibile. Estensione dello

sgravio fiscale del 55% per le ristrutturazioni edilizia al fine di

efficienza energetica; programma pubblico/privato per la riqualificazione

del costruito e norme a favore del recupero delle aree dismesse,

degradate e contro il consumo del suolo; piano bonifiche; piano per lo

sviluppo delle "smart grids"; rivisitazione e ottimizzazione del ciclo

rifiuti: da costo a risorsa economica, con una conferenza nazionale in

autunno.

Settimo punto: prime norme sui diritti. Norme sull'acquisto della

cittadinanza per chi nasce in Italia da genitori stranieri e per minori che

crescono e studiano in Italia; norme sulle unioni civili di coppie

omosessuali secondo i principi della legge tedesca, che fa' discendere

effetti analoghi a quelli discendenti dal matrimonio e regola in modo

specifico le responsabilità genitoriali. Legge sul femminicidio.

Ottavo punto: istruzione e ricerca. Contrasto all'abbandono scolastico e

potenziamento del diritto allo studio con risorse nazionali e comunitarie;

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adeguamento e messa in sicurezza delle strutture scolastiche nel

programma per le piccole opere; organico funzionale e stabile; piano per

esaurimento graduatorie dei precari della scuola e reclutamento dei

ricercatori.

Ora, queste proposte non sono ovviamente punti esaustivi di un

programma di Governo o di legislatura ma sono punti che, se praticati

concretamente, possono stabilire una convivenza fra opinione pubblica,

politica e istituzioni e dare energia al paese per reagire alla crisi. Sono,

comunque, per noi, punti irrinunciabili per qualsiasi prospettiva di

Governo.

Ora, questa proposta deve tradursi in un'iniziativa politica. Noi siamo

pronti da domani ad aprire un confronto. Pubblichiamo in rete l'elenco dei

punti qui indicati, che la direzione discuterà e via via pubblicheremo a

cominciare dalle norme sulla corruzione testi normativi o documenti di

dettaglio da mettere in consultazione. E' evidente, infatti, che noi

vogliamo avanzare una proposta aperta, capace di accogliere contributi

liberi ed in piena trasparenza.

Resta solo da dire che se parliamo di Governo di cambiamento ovviamente

pensiamo anche a una compagine che corrisponda alle esigenze di novità e

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di competenza che la situazione richiede. Ecco dunque alla luce del sole,

senza diplomazie riservate, ciò che noi proponiamo prendendoci le nostra

responsabilità. Davanti al paese ognuno prenderà le sue di responsabilità.

In particolare, chi ha avuto il consenso di oltre otto milioni di elettori ed

ha scelto una via parlamentare, non extra parlamentare, deve dire che

cosa vuole fare di questi voti per l'Italia.

Il destino dell'Italia e dei nostri figli in un tornante drammatico della

nostra storia non può ridursi a una proposta sulla raccolta differenziata,

su cui possiamo facilmente intenderci. 5 Stelle pensa di scegliere fior da

fiore? Di tenersene fuori? Aspetta il facile bersaglio di un accordo spurio

o di palazzo su cui sparare a palle incatenate? Aspetta una sorta di auto

distruzione del sistema politico senza che il 5 Stelle debba lasciarci le

impronte? E aspetta, spera, che su tutto questo noi staremo fermi e

muti? Se è così, fanno dei conti sbagliati.

Abbiamo detto la nostra proposta. Se ci sarà consentito ci rivolgeremo al

nuovo Parlamento con questo atteggiamento, di assunzione di

responsabilità. Siamo pronti ad avviare un dialogo con le altre forze

politiche, in particolare con Scelta Civica rispetto alla quale noi ribadiamo

quello che abbiamo detto in campagna elettorale. Un'intenzione di

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Direzione 6 marzo 2013

colloquio amichevole e di dialogo. Siamo rispettosi dei percorsi

istituzionali e della logica istituzionale.

Ribadiamo ciò che abbiamo sempre detto perché riguarda i temi

istituzionali. E quindi presidenza e presidenti delle camere istituzionali e

commissioni. Noi siamo aperti a soluzioni di corresponsabilità istituzionali.

Ma per quanto riguarda il Governo abbiamo la responsabilità di

prospettare posizioni politiche chiare.

Per noi non ci può essere una soluzione che stia al di sotto dell'esigenza

di cambiamento che il paese invoca e il cambiamento non possiamo

cercarlo con chi lo ha impedito fin qui. Con chi ha seminato gran parte di

quel vento che oggi ci ha portato la tempesta. Quindi, non per un

ragionamento nostro, ma riflettendo sull'Italia noi non pensiamo

praticabili né credibili, in nessuna forma, accordi di Governo fra noi e la

destra berlusconiana.

Ecco, allora, in poche parole conclusive il riassunto ed il senso di quello

che ho voluto dire. C'è un movimento profondo in corso che può anche

portare a una regressione culturale dei valori e che può portare la nostra

democrazia anche all'avventura. Allora, in nome dell'Italia e di quel che

succede in Europa, il Pd deve mettersi, oggi e domani, dal lato di un

cambiamento. Perché il Pd è l'unica forza che può portare quell'esigenza

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di novità a una dimensione razionale di Governo. E' l'unica forza che può

sottrarre il cambiamento all'avventura. Questa è la mia convinzione.

Questo è il coraggio che dobbiamo avere di fronte alle scelte dirimenti

che ci aspettano. Questa è la generosità che deve avere ciascuno, a

cominciare da me, a fare quello che si deve, e non quello che si vuole.

Continueremo a discutere, a decidere, nei nostri organismi lungo questa

fase. Su questa base io chiedo che il Partito, pur nel vivo della dialettica,

garantisca al paese il presidio e il valore della sua unità. Perché

nell'assenza di riferimenti che l'Italia vive drammaticamente, un Pd che

discute, come sempre, ma che è unito è una risorsa di cui l'Italia, credo,

non possa fare a meno. Grazie