Direzione nazionale del Pd · 2013. 3. 8. · Direzione 6 marzo 2013 Direzione nazionale del Pd...
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Direzione 6 marzo 2013
Direzione nazionale del Pd Roma 6 marzo 2013
Relazione di Pier Luigi Bersani (bozza non corretta)
Apriamo questa nostra discussione nel pieno rispetto dei percorsi
istituzionali, delle prerogative del Capo dello Stato. Sentiamo il dovere
politico di pronunciarci con semplicità e con chiarezza davanti all'opinione
pubblica e di rendere, quindi, esplicito il nostro orientamento.
Sappiamo anche che le decisioni che prenderemo in questa fase potranno
segnare non solo questo momento, ma anche il futuro, le prospettive di
una fase non breve.
Il primo punto da dirimere, secondo me, è a quale livello rapportare la
nostra discussione e le nostre decisioni. In altri termini, quale sia l'ordine
di grandezza di questa fase.
Dico subito che per me l'ordine di grandezza della fase che si è aperta da
alcuni anni è di dimensioni storiche. I giudizi che dobbiamo dare non
escludono per questo temi più immediati, aspetti critici, autocritici che si
riferiscono a quello che abbiamo fatto o non fatto, anche negli ultimissimi
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tempi e fino alla campagna elettorale. Ne parlerò anch'io. Purché tutto
questo non ci porti a rimuovere il dato di fondo. E' in corso, da anni, una
fase di confusa e convulsa transizione. Un sommovimento profondo di cui
le nostre elezioni sono state un termometro. E' un sommovimento di
evidente dimensione europea, che si segnala in modo acuto nei paesi
mediterranei ed ha riflessi evidenti altrove. Ci sono stati e ci sono altri
termometri in azione in questi stessi giorni. Grandi manifestazioni in
Portogallo. Un indebolimento drammatico della credibilità delle istituzioni
della politica in Spagna. Quello che è avvenuto e sta avvenendo in Grecia,
ancora. Le rilevazioni d'opinione in Francia. Le manifestazioni in Olanda.
Ripiegamenti anti europei in Germania, e così via. L'economia reale
consegna dati negativi un po' ovunque. L'equilibrio finanziario mostra,
ovunque, crepe e, ancora, gravi incertezze. Si può dire che lo sciame
sismico che scuote le democrazie rappresentative in Europa aumenti
d'intensità.
In Italia, se guardiamo l'arco di questi anni, i dati sulla caduta del
Prodotto interno Lordo e quelli relativi, sia per quantità che per durata,
alla recessione, sono paragonabili solo agli anni della Seconda Guerra
Mondiale.
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E' in corso un'esperienza inedita di impoverimento, dopo le grandi
stagioni delle conquiste del Welfare. Si vede palesemente un
allargamento della forbice sociale e, a fronte di questo processo,
compaiono delle ricette senza speranza, delle ricette apparentemente
senza alternativa, che non siano lo scoramento o il rifiuto.
La politica, già da lungo tempo senza credibilità e prestigio, da noi perde
via via presa sulla realtà. E' vero che in ogni luogo della crisi europea la
democrazia rappresentativa mostra affanni, mostra difficoltà nel
padroneggiare le tendenze. Ma da noi il problema è enormemente
aggravato. E' aggravato sia se si considera la lunga durata storica di un
riflesso anti statuale, presente nel profondo della vicenda italiana. Sia se
si considera la dimensione storica più attuale che ha visto inaugurare il
post muro di Berlino in un discredito della politica che non ha avuto, fin
qui, vero rimedio. Sia se si guardano fatti più contemporanei, cioè gli anni
del berlusconismo, che hanno fomentato questo discredito fino a fare
escludere nella larga opinione pubblica che ci fosse qualcuno di innocente.
E, per altro, la politica screditata ha funzionato e funziona da capro
espiatorio di immoralità e privilegi di una più ampia classe dirigente. Una
sorta di tutti contro tutti per cui la prova della propria innocenza è
diventata la maggior colpevolezza degli altri.
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Nell'insieme, dunque, un assetto politico istituzionale, e lo abbiamo visto,
non da oggi, che mostra di non avere né le leve reali, né i titoli visibili per
dominare questo avvitamento della questione sociale tra austerità e
recessione. E quindi una perdita di orizzonti, una sorta di entropia di
risorse democratiche, politiche e civile.
Un tema, ripeto, acuto da noi, che non vediamo da oggi, ma certamente un
tema europeo. Perché resta europea la vera domanda sociale irrisolta. Ma
per accompagnare, per dirigere, questa confusa transizione, questo
drammatico assestamento, quali ricette che siano compatibili con un
governo democratico e rappresentativo? Questa è la domanda di fondo.
Che emerge anche da queste elezioni e che comunque cammina, esplicita,
o è ancora sotto traccia in tutta Europa. A prescindere perfino dagli
equilibri politici o parlamentari. Perché la governabilità non è fatta solo
dei seggi sufficienti in Parlamento. Sta nel rapporto reale, perfino
morale, sentimentale, tra istituzioni e società. Come si sarebbe detto una
volta tra governanti e governati. E, anzi, un'interpretazione meccanica e
formale della governabilità in tempi di crisi potrebbe sembrare un
coperchio mal posto su una pentola a pressione.
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Ora questa crisi che cosa origina? Origina un profondo sommovimento di
opinioni che accumula in modo confuso e anche pericoloso, diciamolo pure,
sia elementi di protesta e di rifiuto, sia esigenze razionali ed impazienti
di riforma, sia la ricerca utopica di modelli alternativi e tante altre
sfumature che qui è inutile elencare. Ora, in Italia, questo movimento si
esprime non solo nel voto a 5 stelle, non solo nell'accresciuta astensione,
e comunque stiamo già parlando di più di 10 milioni nell'insieme degli
elettori, ma saremmo miopi se non vedessimo che, anche al di là del voto,
c'è uno stato d'animo ampiamente trasversale, che non è estraneo a
nessuno dei bacini di consenso. Compreso il nostro. E quindi qui non
banalizziamo, per favore.
Lo dico per buona pace una volta (per tutte) di quei commentatori e
osservatori che oggi come da 20 anni a questa parte spiegano il verbo
senza mai un anno sabbatico e senza mai pagar dazio alla periodica
smentita dei fatti. Qui non si sta corteggiando Grillo. Qui si sta cercando
di capire quel che si muove nel profondo. Si sta cercando di bucare il
muro dell'autoreferenzialità del sistema, perché comincia a essere in
gioco il sistema. Guardiamo le cose più da vicino.
Ora, dicevo, quel movimento di opinione si è espresso, innanzitutto, con un
notevole aumento dell'astensione. Tuttavia quel movimento, quel moto
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d'opinione si rivolge ancora in modo prevalente verso le istituzioni. E
quindi mostrando che il canale democratico non è ostruito. Se si rivolga
alle istituzioni per rinvigorirle, o per trasformarle, o per farne
semplicemente una vuota cassa di risonanza è ancora da capire. Ma questo
dipende anche dalla nostra iniziativa, che deve sollecitare una rapida
verifica ed un chiarimento di questo punto.
Quel movimento d'opinione ha convogliato un eccezionale consenso verso
5 stelle. Ha colpito e indebolito noi che, evidentemente, non abbiamo
saputo interpretarlo a sufficienza e nell'insieme ha creato, anche, una
sorta di effetto ottico della rimonta della destra, la quale certo ha
mostrato come adesso una residua vitalità recuperando una parte di
quegli umori, ma, a conti fatti, ha ceduto più di ogni altro.
Guardiamo i dati nella loro essenzialità. Due milioni e trecentomila votanti
in meno, oltre sei milioni in meno al Pdl, tre milioni e mezzo in meno al Pd,
un milione e seicentomila in meno alla Lega, otto milioni e mezzo 5 stelle,
new entry.
Il 40% degli elettori pare aver cambiato voto; siamo in presenza di una
mobilità inedita, tumultuosa. Di questo afflusso al Movimento 5 Stelle
viene dato come indicazione, da parte delle prime rilevazioni, la
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provenienza per il 30% da destra, per il 25% dal centro sinistra, per il
35% da astensione o liste minori. Dalle prime rilevazioni, 5 Stelle risulta
molto presente tra il primo e il secondo voto, cioè tra i giovani, e tra gli
strati sociali più toccati, più colpiti, dalla crisi. Giovani, disoccupati,
lavoratori autonomi e dipendenti. E qui c'è un dato di fondo.
Certo che questo movimento è segnato dall'uso sapiente della rete, da
meccanismi di comunicazione, anche obliqui, efficienti. Ma, insomma,
l'elemento profondo si riferisce palesemente a una questione sociale.
Scelta Civica. Meno di un milione di voti in più di quel che ottenne l'UDC
da sola, e quindi, a sua volta, non in grado di dare un contributo decisivo
alla governabilità. A dispetto, anche qui, di una presunta centralità con
cui mattina, sera, per mesi, il sistema ci chiedeva di fare i conti.
La destra, dicevo, perde più di sei milioni di voti. Sottostimata nei
sondaggi, riemersa alle urne, rinvigorita dalla proposta identitaria di
Berlusconi. Capace di disancorarsi con messaggi populisti dall'austerità a
cui poi ci aveva portati lui. Un messaggio, questo, più percepito laddove le
condizioni sociali sono più esposte: il Sud. E, paradossalmente, vorrei
segnalare, a chi critica adesso, perché non avremmo visto questa cosa,
che siamo gli unici che hanno continuato a dire, come una giaculatoria,
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attenzione perché la destra esiste, ha radici nel paese, come in tutti i
paesi europei.
Certo, l'idea che non ci fosse l'avversario ci ha danneggiato. Ha messo in
moto, in libertà, dei voti. C'è poco da fare. Che questo sia colpa nostra
discutiamone. Perché, magari avessimo la forza di sollevare una così
concorde previsione per forza nostra. No. Anche noi forse siamo stati
vittime di questo coro. E, certamente, è una cosa che ci ha indebolito e ci
ha danneggiato.
Nella destra la Lega ha pagato di più, ha avuto il beneficio di poter
allestire l'election day con l'elezione in Lombardia ma, per quel che
riguarda il suo elettorato, c'è un dimezzamento. Una botta molto pesante
in Veneto e in Piemonte. E, quindi, noi possiamo dire che questa rimonta
percepita dalla destra non è un reale recupero di consenso, ma deriva da
un mancato verificarsi delle totale disfatta annunciata ed è frutto
prevalentemente del mancato risultato nostro, questo effetto di rimonta.
Il nostro arretramento è distribuito ovunque ma in modo più marcato nel
centro-sud, più contenuto in Lombardia ed in Veneto e quanto a certe
categorie sociali, per farla breve, il nostro risultato è speculare a quello
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di 5 Stelle. Perdiamo di più nei ceti sociali e nei luoghi più esposti alla
crisi.
Ora, senza farla lunga, a me pare che i dati parlino un linguaggio
drammatico ma chiaro. Primo: c'è una sofferenza sociale e acuta in una
parte larga della base potenziale o tradizionale del consenso del Partito
Democratico. Secondo: questa sofferenza sociale, il blocco dei processi
di riforma della politica, la percezione d’inutilità e di impotenza della
politica ci fanno leggere largamente omologati ad un sistema che non gira.
Nel profondo persino la ancora resistenza di Berlusconi ci viene
attribuita, in qualche misura, come una colpa. Terzo: tutte queste sono
dinamiche che non solo non hanno avuto lenimento ma si sono accentuate
nell'esperienza del Governo Monti. In particolare sul fronte sociale.
Possiamo dire di non aver colto tutto questo? Io credo sinceramente di
no. Non è che non avessimo visto. Noi abbiamo cercato scelte in
controtendenza rispetto a questo. Le primarie per la scelta dei
parlamentari, lo sforzo di caratterizzazione durante la fase Monti su
alcuni acuti temi sociali, ed anche in campagna elettorale parole d'ordine
di cambiamento dal lato dell'etica pubblica, del sociale. Io credo che
senza questo l'onda d'urto ci avrebbe colpito ancora più frontalmente.
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Ma questo non è stato sufficiente a fare di noi un riferimento vero di una
spinta al cambiamento.
Il cambiamento io non lo intendo come una parola generica e tanto meno
come una suggestione nuovista. Ma (intendo) un cambiamento che abbia
come punto pregiudiziale il tema della riforma della politica e che abbia
come punto sostanziale la drammatica questione sociale.
Noi su queste due cose dovevamo mettere più determinazione. Una
determinazione perfino ultimativa. Io riconosco questo,
fondamentalmente, come il problema. Ce ne sono 100 altri. Per l'amor di
Dio, discutiamo del messaggio, della campagna elettorale e di cento altre
cose. Disposto ad accettarle tutte purché si capisca, almeno questa è la
mia idea, che tutti gli altri elementi sono elementi al margine rispetto a
questo problema. Che non può essere rimosso. E quindi, adesso che siamo
al “che fare?”, dobbiamo sapere che qui si apre un bivio, e di questo sono
convinto, che non riguarda solo le prossime settimane. Noi dobbiamo fare
il film molto avanti e capire che siamo di fronte a una crisi che non
finisce domani mattina. La vicenda della crisi economico/sociale e quindi
della criticità dei meccanismi democratici sarà ancora lunga.
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Noi non siamo davanti ad uno scoglio. Siamo davanti ad una transizione. E
quindi le scelte che dobbiamo fare, dobbiamo anche legarle alla
generosità di riuscire a seminare anche per il futuro, stando
naturalmente al presente. Ora nessuno ne parla più, ma attenzione: in
questi giorni non è che si siano leniti i problemi che abbiamo. Ho visto che
(ultimamente) non se ne parla. Ma i problemi di occupazione, di reddito, di
imprese che saltano, di drastico impoverimento di ceto medio e anche di
impoverimento assoluto di parte della popolazione sono lì. Sono ancora lì.
Ora, è per questo che io dico che il quadro politico, uscito dalle elezioni,
finiti i primi effetti di novità rischia di non essere in grado di innescare
un recupero di fiducia.
E quindi, se guardiamo l'Italia, il primo punto è quello di una fase incisiva
che dia il segno che cambia davvero qualcosa. E comunque noi dobbiamo
dare voce a questa esigenza. Che dopo le elezioni si cambi qualcosa. E
questo dobbiamo dirlo senza balbettare o partecipare al balletto delle
ipotesi. Secondo me dobbiamo dire linearmente, fermamente,
credibilmente, pubblicamente qual è la nostra indicazione. Cominciamo
intanto dal trasmettere un rapporto veritiero, una versione veritiera dei
rapporti di forza e della qualità dei nuovi assetti parlamentari, che è una
novità.
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Certo il nostro risultato, che è inferiore alle aspettative, non consegna
una sicura governabilità. Questo è il senso della nostra delusione e della
nostra sconfitta. Ma, ricordiamolo, almeno per cenno, il risultato è anche
in relazione, in quanto a governabilità, a una legge elettorale che è unico
caso sul globo terracqueo. Avendo gli stessi poteri due camere, ha due
diversi meccanismi elettorali. E si capirà anche meglio adesso chi non ha
voluto cambiarla questa legge elettorale, dopo tante balle che si sono
raccontate negli ultimi mesi.
Certamente quindi non siamo in condizione di dare una certezza di
governabilità ma non è che gli altri possano offrire qualcosa di meglio in
relazione alla governabilità del paese. Forse non ne hanno le intenzioni,
comunque non ne hanno i numeri. Anche in questi giorni oltre a qualche
idea qui e là per sbarrarci la strada, hanno qualcosa da dire? I rapporti di
forza ci consegnano la responsabilità di avere, noi, una proposta leggibile
per il paese.
In questo risultato negativo, mai comunque un partito di centro sinistra
aveva avuto rappresentanze parlamentari così ampie e così ampiamente
rinnovate. Se stiamo ai parlamentari, ai numeri, noi abbiamo più new entry
di 5 stelle. Che non c'era. Abbiamo il 42% di donne nei gruppi
parlamentari, più di loro e di qualsiasi altro. Italia bene comune ha 460
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parlamentari, Pdl + Lega 242, 5 Stelle 163, 71 Scelta Civica; quindi quasi il
doppio o quasi il triplo rispetto agli altri due poli principali.
Non sfuggiamo alla nostra responsabilità, dobbiamo rivendicarla e
qualificarla e dire che cos'è e cosa significa questa responsabilità. La mia
tesi è questa. Se il sommovimento in corso ha il profilo che dicevo, allora
non può esistere responsabilità senza cambiamento. Non si parli di
responsabilità a prescindere dal cambiamento perché ci prepariamo dei
guai peggiori. Questa è la sostanza di quello che deve essere, secondo me,
il messaggio. Perché in una crisi che si avvita cercare la semplicità del
meno peggio può significare trovare, a volte, il peggio.
Quindi l'unica possibilità di dare governabilità alla crisi è che una forza
come la nostra venga percepita credibilmente come interprete di cose
nuove. E lo dico per l'Italia. Perché non vedo nessun altro in grado di dare
un messaggio del genere. Quindi tocca a noi, innanzitutto, ribaltare lo
schema.
Inutile in questa fase cercare accordi politici o diplomazie fuori dal
Parlamento. Noi parliamo chiaramente al Paese. Gli altri parlino
altrettanto chiaramente. Noi siamo pronti se chiamati a proporre al
Parlamento un Governo di cambiamento sulla base di un programma
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essenziale. Il programma essenziale che compito ha? Ha il compito di
rimuovere le barriere più pesanti che si frappongono fra istituzioni,
politiche e opinione pubblica e di mettere mano ad alcune urgenti misure
sociali. Il compito cioè di aprire la strada alla legislatura. Ciò può avvenire
con degli impegni dirimenti e cadenzabili per ogni singolo punto.
Le proposte che avanziamo sono frutto della nostra elaborazione. E non si
dica: perché non le avete fatte prima? Sono proposte che si sono
dimostrate impraticabili perché noi non abbiamo avuto mai le condizioni
parlamentari per portarle avanti. Adesso si può. Adesso quelle condizioni
parlamentari ci sono. Se si vuole adesso si può. Questa è la semplice
differenza.
8 punti per un Governo di cambiamento. Li indico sommariamente. Primo
punto si può titolare così: fuori dalla gabbia dell'austerità. Il Governo
italiano si fa' protagonista attivo di una correzione delle politiche
europee di austerità. Una correzione irrinunciabile, dato che, dopo 5 anni,
di austerità e di svalutazione del lavoro, i debiti pubblici aumentano
ovunque nell'eurozona. Si tratta di consigliare disciplina di bilancio con
investimenti pubblici produttivi e ottenere maggiore elasticità negli
obiettivi di medio termine della finanza pubblica. Questo avvitamento
austerità/recessione mette a rischio la democrazia rappresentativa e le
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leve della governabilità. L'aggiustamento di debito e deficit sono obiettivi
di medio termine. L'immediata emergenza sta nell'economia reale e
nell'occupazione. Sulla base di questi concetti e di questi principi
un'iniziativa immediata del Governo italiano per mettersi anche alla testa
di una riflessione che, ormai, sta dilagando in tre quarti d'Europa.
Secondo punto: misure urgenti sul fronte sociale e del lavoro. E quindi
vado in elenco rapido: i pagamenti della pubblica amministrazione con
emissione di titoli del Tesoro dedicati; un potenziamento degli strumenti
della Cassa Depositi e Prestiti per la finanza d'impresa; l'allentamento
del patto di stabilità degli enti locali per rafforza sportelli sociali e per il
piano di piccole opere che abbiamo già enunciato; l'allestimento del
programma operativo per la banda larga e lo sviluppo dell'ICT; la
riduzione del costo del lavoro stabile per eliminare i vantaggi del costo
del lavoro precario con il superamento degli automatismi della legge
Fornero; avvio del processo di universalizzazione dell'indennità di
disoccupazione e dell'introduzione di un reddito minimo di inserimento;
avvio della "spending review" con il sistema delle autonomie e definizione
di una metodologia di piani di riorganizzazione di ogni pubblica
amministrazione; riduzione e ridistribuzione dell'IMU secondo le
proposte avanzate dal Pd; esodati; misure per tracciabilità e fedeltà
fiscale; blocco dei condoni; rivisitazione delle procedure di Equitalia;
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interventi che laddove riguardano temi di investimenti e del lavoro
devono essere rafforzati al sud, anche in coordinamento con i fondi
comunitari.
Terzo punto: riforma della politica e della vita pubblica. Norme
costituzionali per il dimezzamento dei parlamentari e per la cancellazione
in costituzione delle Province; revisione degli emolumenti dei parlamentari
e dei consiglieri regionali con riferimento al trattamento economico dei
sindaci; norme per il disboscamento di società pubbliche e miste
pubbliche/private; riduzione costi burocrazia con revisione dei compensi
per doppie funzioni ed incarichi professionali; legge sui partiti con
riferimento alla democrazia interna, ai codici etici, all'accesso alle
candidature e al finanziamento; legge elettorale con riproposizione della
proposta Pd sul doppio turno di collegio.
Quarto punto: voltare pagina sulla giustizia e sull'equità. Legge sulla
corruzione, sulla revisione della prescrizione, sul reato di auto riciclaggio;
norme efficaci sul falso in bilancio, sul voto di scambio e sul voto di
scambio mafioso; nuove norme sulle frodi fiscali.
Quinto punto: legge sui conflitti d'interesse, sull'incandidabilità,
sull'ineleggibilità e sui doppi incarichi. E le norme sui conflitti d'interesse
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si propongono sulla falsariga del progetto approvato dalla Commissione
Affari Costituzionali della Camera in XV legislatura che è stata recepita
dalla proposta Elia - Onida - Cheli - Bassanini.
Sesto punto: economia verde e sviluppo sostenibile. Estensione dello
sgravio fiscale del 55% per le ristrutturazioni edilizia al fine di
efficienza energetica; programma pubblico/privato per la riqualificazione
del costruito e norme a favore del recupero delle aree dismesse,
degradate e contro il consumo del suolo; piano bonifiche; piano per lo
sviluppo delle "smart grids"; rivisitazione e ottimizzazione del ciclo
rifiuti: da costo a risorsa economica, con una conferenza nazionale in
autunno.
Settimo punto: prime norme sui diritti. Norme sull'acquisto della
cittadinanza per chi nasce in Italia da genitori stranieri e per minori che
crescono e studiano in Italia; norme sulle unioni civili di coppie
omosessuali secondo i principi della legge tedesca, che fa' discendere
effetti analoghi a quelli discendenti dal matrimonio e regola in modo
specifico le responsabilità genitoriali. Legge sul femminicidio.
Ottavo punto: istruzione e ricerca. Contrasto all'abbandono scolastico e
potenziamento del diritto allo studio con risorse nazionali e comunitarie;
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adeguamento e messa in sicurezza delle strutture scolastiche nel
programma per le piccole opere; organico funzionale e stabile; piano per
esaurimento graduatorie dei precari della scuola e reclutamento dei
ricercatori.
Ora, queste proposte non sono ovviamente punti esaustivi di un
programma di Governo o di legislatura ma sono punti che, se praticati
concretamente, possono stabilire una convivenza fra opinione pubblica,
politica e istituzioni e dare energia al paese per reagire alla crisi. Sono,
comunque, per noi, punti irrinunciabili per qualsiasi prospettiva di
Governo.
Ora, questa proposta deve tradursi in un'iniziativa politica. Noi siamo
pronti da domani ad aprire un confronto. Pubblichiamo in rete l'elenco dei
punti qui indicati, che la direzione discuterà e via via pubblicheremo a
cominciare dalle norme sulla corruzione testi normativi o documenti di
dettaglio da mettere in consultazione. E' evidente, infatti, che noi
vogliamo avanzare una proposta aperta, capace di accogliere contributi
liberi ed in piena trasparenza.
Resta solo da dire che se parliamo di Governo di cambiamento ovviamente
pensiamo anche a una compagine che corrisponda alle esigenze di novità e
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di competenza che la situazione richiede. Ecco dunque alla luce del sole,
senza diplomazie riservate, ciò che noi proponiamo prendendoci le nostra
responsabilità. Davanti al paese ognuno prenderà le sue di responsabilità.
In particolare, chi ha avuto il consenso di oltre otto milioni di elettori ed
ha scelto una via parlamentare, non extra parlamentare, deve dire che
cosa vuole fare di questi voti per l'Italia.
Il destino dell'Italia e dei nostri figli in un tornante drammatico della
nostra storia non può ridursi a una proposta sulla raccolta differenziata,
su cui possiamo facilmente intenderci. 5 Stelle pensa di scegliere fior da
fiore? Di tenersene fuori? Aspetta il facile bersaglio di un accordo spurio
o di palazzo su cui sparare a palle incatenate? Aspetta una sorta di auto
distruzione del sistema politico senza che il 5 Stelle debba lasciarci le
impronte? E aspetta, spera, che su tutto questo noi staremo fermi e
muti? Se è così, fanno dei conti sbagliati.
Abbiamo detto la nostra proposta. Se ci sarà consentito ci rivolgeremo al
nuovo Parlamento con questo atteggiamento, di assunzione di
responsabilità. Siamo pronti ad avviare un dialogo con le altre forze
politiche, in particolare con Scelta Civica rispetto alla quale noi ribadiamo
quello che abbiamo detto in campagna elettorale. Un'intenzione di
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colloquio amichevole e di dialogo. Siamo rispettosi dei percorsi
istituzionali e della logica istituzionale.
Ribadiamo ciò che abbiamo sempre detto perché riguarda i temi
istituzionali. E quindi presidenza e presidenti delle camere istituzionali e
commissioni. Noi siamo aperti a soluzioni di corresponsabilità istituzionali.
Ma per quanto riguarda il Governo abbiamo la responsabilità di
prospettare posizioni politiche chiare.
Per noi non ci può essere una soluzione che stia al di sotto dell'esigenza
di cambiamento che il paese invoca e il cambiamento non possiamo
cercarlo con chi lo ha impedito fin qui. Con chi ha seminato gran parte di
quel vento che oggi ci ha portato la tempesta. Quindi, non per un
ragionamento nostro, ma riflettendo sull'Italia noi non pensiamo
praticabili né credibili, in nessuna forma, accordi di Governo fra noi e la
destra berlusconiana.
Ecco, allora, in poche parole conclusive il riassunto ed il senso di quello
che ho voluto dire. C'è un movimento profondo in corso che può anche
portare a una regressione culturale dei valori e che può portare la nostra
democrazia anche all'avventura. Allora, in nome dell'Italia e di quel che
succede in Europa, il Pd deve mettersi, oggi e domani, dal lato di un
cambiamento. Perché il Pd è l'unica forza che può portare quell'esigenza
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di novità a una dimensione razionale di Governo. E' l'unica forza che può
sottrarre il cambiamento all'avventura. Questa è la mia convinzione.
Questo è il coraggio che dobbiamo avere di fronte alle scelte dirimenti
che ci aspettano. Questa è la generosità che deve avere ciascuno, a
cominciare da me, a fare quello che si deve, e non quello che si vuole.
Continueremo a discutere, a decidere, nei nostri organismi lungo questa
fase. Su questa base io chiedo che il Partito, pur nel vivo della dialettica,
garantisca al paese il presidio e il valore della sua unità. Perché
nell'assenza di riferimenti che l'Italia vive drammaticamente, un Pd che
discute, come sempre, ma che è unito è una risorsa di cui l'Italia, credo,
non possa fare a meno. Grazie