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IL SETTORE TARTUFICOLO PIEMONTESE:ANALISI ECONOMICA DELLE TARTUFAIE
COLTIVATE E APPROFONDIMENTI SUL MERCATODEI TARTUFI E DEI PRODOTTI DERIVATI
DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E INGEGNERIA AGRARIA, FORESTALE E AMBIENTALE
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO
DIREZIONE ECONOMIA MONTANA E FORESTE
SETTORE GESTIONE DELLE ATTIVITÀ STRUMENTALI PER L’ECONOMIA MONTANA E LE FORESTE
ALCOTRA INTERREG IIIA 2000-2006Alpi Latine COoperazione TRAnsfrontaliera Italia – Francia (Alpi)
PROGETTO COFINANZIATODALL’UNIONE EUROPEA
DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E INGEGNERIA AGRARIA, FORESTALE E AMBIENTALE
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO
DIREZIONE ECONOMIA MONTANA E FORESTE
SETTORE GESTIONE DELLE ATTIVITÀ STRUMENTALI PER L’ECONOMIA MONTANA E LE FORESTE
ALCOTRA INTERREG IIIA 2000-2006Alpi Latine COoperazione TRAnsfrontaliera Italia – Francia (Alpi)
PROGETTO COFINANZIATODALL’UNIONE EUROPEA
OTTOBRE 2006
Livia Maistrelli, Angela Mosso
DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E INGEGNERIA AGRARIA, FORESTALE E AMBIENTALE
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO
DIREZIONE ECONOMIA MONTANA E FORESTE
SETTORE GESTIONE DELLE ATTIVITÀ STRUMENTALI PER L’ECONOMIA MONTANA E LE FORESTE
ALCOTRA INTERREG IIIA 2000-2006Alpi Latine COoperazione TRAnsfrontaliera Italia – Francia (Alpi)
PROGETTO COFINANZIATODALL’UNIONE EUROPEA
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ALCOTRA INTERREG IIIA 2000-2006Alpi Latine COoperazione TRAnsfrontaliera Italia – Francia (Alpi)
PROGETTO COFINANZIATODALL’UNIONE EUROPEA
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO
DIREZIONE ECONOMIA MONTANA E FORESTE
SETTORE GESTIONE DELLE ATTIVITA’ STRUMENTALI PER
L’ECONOMIA MONTANA E FORESTALE
IL SETTORE TARTUFICOLO PIEMONTESE: ANALISI ECONOMICA DELLE TARTUFAIE COLTIVATE E
APPROFONDIMENTI SUL MERCATO DEI TARTUFI E DEI PRODOTTI DERIVATI
Livia Maistrelli, Angela Mosso
ALCOTRA INTERREG IIIA 2000-2006 Alpi Latine COoperazione TRAnsfrontaliera Italia – Francia (Alpi)
Ottobre 2006
DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E INGEGNERIA AGRARIA, FORESTALE E AMBIENTALE, DELL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO, SEZIONE DI ECONOMIA E POLITICA AGRARIA Via Leonardo da Vinci, 44 – 10095 – GRUGLIASCO (TO) Tel. 011.670.8634/8623 – Fax. ++39.011.670.8639 Rapporto finale della ricerca “Il settore tartuficolo piemontese: analisi economica delle tartufaie coltivate e approfondimenti sul mercato dei tartufi e dei prodotti derivati”, finanziata dalla Regione Piemonte – Direzione Economia Montana e Foreste, nell’ambito del progetto “VERCHAMP” – P.I.C. INTERREG III A – ALCOTRA – Italia – Francia (ALPI), responsabile scientifico Prof. Angela Mosso. A. Mosso ha curato l’impostazione generale del lavoro. Sono da attribuire ad A. Mosso i § 1,4,5,6,7,9,10. Sono da attribuire a L. Maistrelli i § 2,3,8. Si ringraziano vivamente tutti gli operatori del comparto che hanno gentilmente collaborato. Si autorizza la riproduzione, la diffusione e l’utilizzazione del contenuto del volume con la citazione della fonte.
PREMESSA
Negli ultimi tre anni la Regione Piemonte ha realizzato molte attività nel settore del tartufo.
Con la conclusione del progetto Verchamp, frutto di un importante cooperazione tra
partners transfrontalieri, si sono acquisite maggiori conoscenze tecniche ed economiche.
L’importanza di queste ultime è dimostrata dal presente studio, condotto dal Dipartimento
di Economia ed Ingegneria e Agraria e Forestale dell’Università di Torino. Si tratta di una
valutazione della redditività degli investimenti nell’ambito della tartuficoltura i cui risultati
hanno confermato che il tartufo può essere, in molte zone considerate svantaggiate del
nostro territorio, la piattaforma sulla quale costruire un sistema economico-produttivo
compatibile con l’ambiente.
L’impegno dell’Amministrazione Regionale deriva dalle crescenti potenzialità dei prodotti di
nicchia e dalla crescente domanda di prodotti di qualità per il turismo enogastronomico,
che rendono il tartufo un prodotto strategico nell’economia piemontese.
Gli studi di filiera sono la base per la valorizzazione ed il sostegno delle produzioni tipiche
di qualità e vanno di pari passo con interventi tecnici mirati sul territorio, come il recupero
delle tartufaie naturali di bianco pregiato in calo di produzione.
Sulla base dei risultati ottenuti dalle prime esperienze condotte, si è avviato il recupero di
numerose tartufaie nelle quattro province vocate (Alessandria, Asti, Cuneo e Torino). Per
approfondire le conoscenze sui delicati equilibri che presiedono alla produzione del
prezioso tartufo bianco d’Alba, si è avviata un’approfondita ricerca, affidata al CNR –
Istituto per la Protezione delle Piante di Torino, incentrata sull’analisi delle componenti
presenti nella rizosfera, con tecniche biomolecolari.
Lo stretto legame tra gli studi economici e la conoscenza del delicato ecosistema del
tartufo bianco pregiato si è rivelato indispensabile per indirizzare alla conservazione e alla
difesa del patrimonio esistente nella nostra Regione.
Un patrimonio naturale ed economico su cui il Piemonte punta per creare opportunità di
sviluppo secondo criteri di equità e sostenibilità.
BRUNA SIBILLE
ASSESSORE ALLO SVILUPPO
DELLA MONTAGNA E FORESTE,
OPERE PUBBLICHE, DIFESA DEL
SUOLO
INDICE
1. INTRODUZIONE............................................................................................................................4 2. IL TARTUFO: STORIA ED EVOLUZIONE.................................................................................6
2.1 Cenni storici ...............................................................................................................................6 2.2 L’evoluzione della coltivazione .................................................................................................9 2.3 Bibliografia ..............................................................................................................................14
3. GLI ASPETTI NORMATIVI ........................................................................................................15 3.1 La normativa nazionale............................................................................................................15 3.2 Confronto delle normative regionali ........................................................................................17 3.3 La normativa internazionale.....................................................................................................31
La normativa francese ...............................................................................................................31 La normativa spagnola ..............................................................................................................34 Le raccomandazioni ONU .........................................................................................................37
3.4 Bibliografia ..............................................................................................................................39 4. ANALISI TECNICA ED ECONOMICA DELL’ATTIVITA’ VIVAISTICA .............................40
4.1 Aspetti tecnici ..........................................................................................................................40 4.2 Valutazioni economiche...........................................................................................................42 4.3. Risultati ottenuti......................................................................................................................43 4.4 Bibliografia ..............................................................................................................................48
5. INDAGINE DIRETTA A CERCATORI/TARTUFICOLTORI ...................................................49 5.1 Cenni metodologici ..................................................................................................................49 5.2 Risultati emersi dall’indagine ..................................................................................................51
6. VALUTAZIONI ECONOMICHE DI PIANTAGIONI TARTUFICOLE ....................................58 6.1 Aspetti tecnico colturali ...........................................................................................................58 6.2 Tartufaia di nero pregiato.........................................................................................................59 6.3 Tartufaia di nero estivo ............................................................................................................62 6.4 Altri costi..................................................................................................................................64
Costi per il mantenimento del cane............................................................................................64 Costo della raccolta ...................................................................................................................65
6.5 Analisi finanziaria della redditività..........................................................................................66 I ricavi ........................................................................................................................................66 Il saggio di interesse ..................................................................................................................66 Valutazione conclusiva ..............................................................................................................67
6.6 Bibliografia ..............................................................................................................................68 7. IL SETTORE DEI PRODOTTI TRASFORMATI........................................................................69
Primo caso di studio ..................................................................................................................70 Secondo caso di studio ...............................................................................................................71
8. STUDIO DELLA DOMANDA DI TARTUFO ............................................................................73 8.1 Caratterizzazione e classificazione delle fiere .........................................................................73 8.2 Indagine sui frequentatori delle Fiere del Tartufo ...................................................................83
9. IL MERCATO DEL TARTUFO ...................................................................................................88 9.1 Il mercato internazionale..........................................................................................................88
Tartufi freschi.............................................................................................................................89 Tartufi conservati .......................................................................................................................90
9.2 Il mercato nazionale .................................................................................................................91 9.3 Il mercato piemontese ..............................................................................................................97 9.4 Bibliografia ............................................................................................................................101
10. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE........................................................................................102 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................105
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1. INTRODUZIONE La ricerca si occupa dell’analisi economica del settore tartuficolo piemontese e si colloca
nell’ambito del Progetto “Verchamp”- P.I.C. Interreg IIIA-Alcotra Italia Francia cofinanziato dalla
Regione Piemonte, Assessorato Sviluppo della Montagna e Foreste, e dall’Unione Europea ed è
stato svolto dal Dipartimento di Economia e Ingegneria Agraria, Forestale e Ambientale
dell’Università di Torino, Responsabile Prof. Angela Mosso.
Lo studio si sviluppa su due binari: quello relativo ai tartufi neri, nelle varietà pregiato ed estivo, e
quello relativo al tartufo bianco pregiato; i due comparti vanno tenuti ben separati in relazione alla
netta differenziazione dei prodotti ed anche al fatto che i neri possono essere coltivati, mentre per
il bianco questa opportunità al momento non sussiste. Va comunque sottolineato che in Piemonte,
da sempre, quando si parla di tartufo ci si riferisce al bianco pregiato.
Dopo un excursus storico che ricostruisce le origini e le tradizioni del tartufo e delle relative
manifestazioni, segue una approfondita disamina delle normative nazionale e regionali, che
vengono tra di loro confrontate. Sono anche considerate la normativa francese e spagnola, essendo
questi due Paesi particolarmente significativi nel comparto tartuficolo, la Francia come storico
produttore e trasformatore di tartufi neri, la Spagna come produttore emergente con tartufaie
coltivate di grandi dimensioni.
Vengono in seguito descritte le due filiere del tartufo nero e del bianco. Relativamente alla filiera
del nero l’analisi inizia con lo studio della produzione delle piantine micorizzate in vivaio e le
relative valutazioni economiche. Prosegue con l’esame del reddito ritraibile dalle tartufaie in coltura
specializzata di nero pregiato ed estivo, e si conclude con lo studio del settore dei prodotti
trasformati, che rappresenta un significativo mercato di sbocco per il nero soprattutto estivo.
Per quanto riguarda il bianco pregiato la filiera è costituita dalla raccolta del prodotto spontaneo e
dalla relativa commercializzazione, quindi l’attenzione si concentra sui cercatori, sui commercianti
e sul mercato.
Per approfondire l’analisi del comparto vengono svolte due indagini dirette volte ad esaminare l’una
la domanda e l’altra l’offerta: la prima prevede l’intervista di acquirenti di tartufo nell’ambito di
alcune Fiere che si tengono nella nostra regione, la seconda vede come soggetti del questionario i
cercatori/ tartuficoltori. In quanto in un mondo quale quello del tartufo, connotato da una
scarsissima trasparenza ed anche da poche informazioni sotto molti punti di vista, l’acquisizione
di conoscenze richiede necessariamente delle rilevazioni dirette.
Il comparto dei tartufi, non così rilevante come peso economico sul fatturato agricolo regionale di
cui rappresenta appena il 2-3 per mille, risulta essere una significativa fonte di reddito in ambito
5
locale oltre ad avere una ricaduta notevole in termini di immagine e una rilevante capacità di
attrazione per il territorio.
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2. IL TARTUFO: STORIA ED EVOLUZIONE
2.1 Cenni storici
Il tartufo è noto all’uomo come prelibatezza fin da 1600 anni prima di Cristo, anche se su questa
notizia non si hanno prove certe (http://xoomer.virgilio.it/gmuccine/Storia.htm).
Nel IV secolo a.C. si ha invece conoscenza di una ricetta – “Pasticcio tartufato alla Kiromene”,
vincitore di un concorso gastronomico ad Atene – che fruttò ai figli di Cherippo il conferimento
della cittadinanza (http://xoomer.virgilio.it/gmuccine/Storia.htm).
Per quanto riguarda l’origine del tartufo esistevano molte teorie (Plutarco, Plinio, Marziale,
Giovenale e Galeno) che ne attribuivano la nascita e la crescita all’azione combinata di acqua,
calore e fulmini (questi ultimi scagliati da Giove, il che spiegherebbe anche perché si ritenesse il
tartufo un cibo degli dei); quanto invece al consumo, pare che allora il tartufo venisse abitualmente
mischiato con lenticchie e senape.
In realtà, con tutta probabilità, quello che i Romani chiamavano “tuber terrae” non era tartufo ma
Terfezia arenaria (Terfezia leonis Tul o Terfezia magnusii Matt), fungo dal sapore neutro,
abbondante nell’Italia meridionale e nelle isole, oltre che nell’Africa settentrionale e nell’Asia
Occidentale.
Le terfezie venivano servite – secondo il De re coquinaria di Marco Gavio Apicio, 25-37 a.C. –
condite con pepe, ligustico, coriandolo, ruta, garum1, miele ed olio; le ricette indicate sono inserite
nel settimo libro, ovvero tra le pietanze più costose...
Fino a tutto il Medioevo erano note soprattutto le terfezie, presenti esclusivamente sulla tavola dei
nobili, ma non mancano testimonianze sui tartufi bianchi e neri e sul loro pregio: un documento del
1380 proveniente dagli archivi dei Savoia, parla di tartufi bianchi del cuneese mandati in dono dei
principi d’Acaja a Bona di Borbone, in segno di ossequio diplomatico
(http://www.italyexport.com/funghi/storia.html).
E’ intorno al XIII secolo che viene fatta risalire l’origine del nome “tartufo” per i preziosi funghi
che stavano prendendo il posto delle terfezie di Romana memoria: il nome abituale era “terrae
tufolae”, ossia “gobbe della terra”, per il fatto che sviluppandosi e crescendo in dimensioni, i tartufi
sollevano un po’ il terreno; per contrazione si è giunti a “tartuffole” e quindi ai moderni “tartufo”
italiano e “truffe” francese (http://www.italyexport.com/funghi/storia.html).
1 Apicio suggerisce il garum su gran parte delle sue ricette, con la specifica funzione di salare le vivande. Certamente il prodotto era composto da interiora a base di pesce fatte macerare in olio assieme a varie erbe. (Fonte: www.taccuinistorici.it)
7
Con il Rinascimento, il tartufo vede il suo momento di gloria: ha un posto d’onore sulle tavole dei
nobili Francesi del XIV e XV secolo, e nello stesso periodo il “tartufo bianco pregiato” comincia a
trovare il suo spazio di affermazione in Italia.
Nel ‘700 le diverse specie di tartufo erano oggetto non solo più di alta cucina, ma anche di eventi
mondani, per cui nobili stranieri erano invitati nel “Paese del tartufo” – nella fattispecie a Torino – a
prendere parte o ad assistere alla cerca; viene fatta risalire a questo momento la sostituzione del
maiale con il cane come animale da ricerca, probabilmente per la sua maggiore eleganza, ed in
seguito anche per la maggiore facilità di addestramento (http://www.tartuflanghe.it/ita/pagine/
tartufo/storia.lasso).
Tra il 1700 ed il 1800 si hanno le prime pubblicazioni in merito ai tartufi: in “Nova plantarum
genera” del 1729 Pier Antonio Micheli classifica scientificamente i funghi allora noti, riservando
una sezione ai tartufi, e descrivendo in particolare il Tuber melanosporum ed il Tuber aestivum. Nel
1766 Pennier de Longchamps si dedica alla stesura della “Dissertation physico-medicale, sur les
truffes et sur les champignons”, vale a dire il primo trattato scientifico sui tartufi; nel 1780 escono le
“Lettres sur les truffes du Piémont écrites par Mr. le Comte de Borch en 1780”, che danno
finalmente il giusto rilievo al Tartufo bianco del Piemonte.
Giusto otto anni più tardi il T. bianco pregiato acquisisce il proprio nome attuale, Tuber magnatum,
grazie al piemontese Vittorio Pico, il quale, si dice, intendesse però dire “magnatium”, ossia “dei
magnati, di quelli che se lo possono permettere”.
Infine nel 1831 viene pubblicata la prima opera dedicata interamente ai tartufi: “Monographia
Tuberacearum” di Carlo Vittadini; in essa sono descritte 51 diverse specie di tartufi, di cui molte,
all’epoca, ancora sconosciute ai più.
Fino alla fine del 1800 si hanno poi costanti scoperte scientifiche: nel 1862 Louis-René e Charles
Tulasne pubblicano “Fungi hypogaei” in cui parlano della struttura dei tartufi e di come si
riproducono; circa vent'anni dopo, Giuseppe Gibelli scoprì che il micelio del tartufo che avvolge gli
apici radicali delle piante con cui vive in simbiosi, svolge le funzioni dei peli radicali; nel 1892
Adolphe Chatin pubblica nel suo “La truffe” di aver scoperto che i tartufi neri prediligono i terreni
del mesozoico, in particolare del giurassico, mentre i tartufi bianchi prediligono i terreni del
cenozoico, e che il sapore dei tartufi dipende sia dalla qualità del terreno, sia dalla pianta con cui
vivono in simbiosi.
Infine, mano a mano che la strumentazione di indagine scientifica si evolve e le scoperte vanno al
seguito, si arriva alla moderna concezione del modello di simbiosi tra tartufo e piante arboree, si
indagano meglio le condizioni di sviluppo dei Tuber, e si giunge anche ad un modello di
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riproduzione artificiale dei tartufi: la coltivazione; gli aspetti legati all’evoluzione di tale pratica
saranno esposti in seguito.
Da sempre le fiere hanno rappresentato un aspetto particolarmente significativo del mercato del
tartufo. Attualmente se ne contano una cinquantina in tutta Italia, facendo riferimento solo a quelle
di maggior rilievo, concentrate in Piemonte, Marche, Umbria, Abruzzo e Toscana.
Per quanto riguarda la realtà regionale Piemontese, tra le fiere più importanti, si ricordano la Fiera
di Alba e la Fiera di Moncalvo, le cui tradizioni trovano radici al principio del '900.
La fiera di Moncalvo
Vuole la tradizione che all'inizio del '900 Pietro Lanfrancone, proprietario di una locanda in cui tutti
i giovedì i trifulau si ritrovavano in occasione del mercato, organizzasse sponte sua una sorta di
concorso di tartufi: avrebbe vinto un pranzo colui che avesse raccolto il gruppo più abbondante di
tartufi ed i singoli tartufi più belli. La giuria era composta dal Sig. Lanfrancone e da altri esperti
trifulau, che ogni terza domenica d'ottobre si riunivano per il rito
(http://www.monferrini.com/storia.html).
L'abitudine prese piede e si protrasse fino al 1955, anno in cui il Comune trasformò il concorso da
“festa in compagnia” che era, in “Concorso del Tartufo di Moncalvo e del Monferrato”.
Negli anni '60 e '70 il Concorso diventò “Fiera” e, in relazione alle condizioni ambientali, vide
cambiare il proprio regolamento: sul finire degli anni '60, per esempio, il limite di peso minimo per
gli esemplari era di mezzo chilogrammo, dato che non stupisce se si pensa che in quegli anni non
era cosa rara trovare tartufi il cui peso arrivava a toccare il chilogrammo.
A partire dal 1973 la Fiera, fino ad allora organizzata dalla pro-loco, venne affidata ad una
commissione di esperti guidata dal Presidente di nomina Consigliare, che fece crescere a due le
giornate di Fiera (la penultima e l'ultima domenica di ottobre) ed allargò la manifestazione all'eno-
gastronomia.
La Fiera di Alba
La Fiera di Alba ha il proprio antenato più diretto nelle feste vendemmiali che si svolgevano ad
Alba nel periodo autunnale sul finire degli anni 20: la prima “Fiera mostra campionaria a premi dei
rinomati tartufi delle Langhe” risale infatti al 1929.
Alba era già nota grazie alle Esposizioni Agrarie Industriali – inaugurate nel 1899 e proseguite ogni
anno fino al 1903, quindi riprese nel 1909 e nel 1922: era dunque lecito immaginare che,
organizzando una buona manifestazione, questa avrebbe avuto successo e risonanza in misura
almeno pari alle Esposizioni degli anni precedenti (http://www.albain.com/viaggio/la_fiera.asp).
9
A tal fine nel 1930 il Comune istituì un comitato che impostasse la struttura generale della Fiera e
vennero inoltre organizzati treni speciali da Torino, Genova e Milano con uno sconto sul biglietto
ferroviario del 50%; i giornali nazionali e “The observer” di Londra dedicarono ampio spazio alla
Fiera e alla gastronomia albese.
Nel 1933 la Fiera assunse la denominazione ufficiale di “Fiera del tartufo”, fu celebrata fino al 1937
e poi riprese dopo la guerra, nell'ottobre del 1945.
L'iniziativa che permise però un vero e proprio lancio del Tartufo bianco del Piemonte e della Fiera
di Alba, fu di Giacomo Morra, albergatore e ristoratore, il quale pensò di inviare il tartufo migliore
dell'anno ad un personaggio illustre dello sport, dello spettacolo o della politica. Fu così che dal
1949 i tartufi migliori sono andati a personaggi come: Rita Hayworth (1949), Harry Truman (1951),
Winston Churchill (1953), Marilyn Monroe e Joe Di Maggio (1954), Alfred Hitchcock (1968) e
altri fino ai giorni nostri.
Nel 1962 la Fiera passò ad una gestione Comunale diretta – con lo scopo di pubblicizzare Alba e le
sue specialità – e nel 1973 acquisì la qualifica di “nazionale”, arricchita di molte altre iniziative
anche a carattere culturale e di promozione del territorio.
2.2 L’evoluzione della coltivazione
Nel 1810 Joseph Talon di Saint Saturnin les Apt (Vaucluse) seminò alcune ghiande di querce che
sapeva essere tartufigene ed attese i risultati di tale piantamento: le sue aspettative non andarono
deluse, e Talon si conquistò la fama di primo coltivatore di tartufi della storia.
Nel 1847 Auguste Rousseau di Carpentras ne seguì l’esempio e si dedicò alla coltivazione dei
tartufi con notevole successo (Medaglia d’oro di Prima Classe all’Esposizione Internazionale del
1855): egli è riconosciuto come colui che nei fatti ha incoraggiato e reso possibile la diffusione
della coltivazione dei tartufi in Francia (Mattirolo, 1910; http://www.angellozzi.it/ita/home.html).
Quando poi alla fine del XIX secolo Chatin fece la sua importante scoperta sulla simbiosi e sulle
micorrize, nacquero le prime vere sperimentazioni riguardanti la coltivazione del tartufo.
In realtà, come ben diceva Rebière nel 1981 (Olivier, 1996): “...i termini tartuficoltura e
coltivazione dei tartufi sono impropriamente utilizzati, perché in realtà non si coltivano i funghi, ma
la sua pianta ospite – la cosiddetta pianta tartufigena – con la speranza che davvero diventi tale” .
Partendo dal presupposto che le operazioni colturali previste in una tartufaia sono a grandi linee
riconosciute in: scelta e lavorazione del terreno, scelta delle piante simbionti, semina e piantamento
delle piante tartufigene, potature, eventuali coltivazioni consociate, concimazione, irrigazione e
raccolta, si proverà ora a ricostruire – ove possibile – chi siano stati gli iniziatori di tali pratiche e
quali fossero le modalità operative da loro individuate.
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Per quanto riguarda il terreno, si è già detto che fu la scoperta di Chatin sulle micorrize a dare
l’avvio agli studi sulla coltivazione; si ricorda inoltre lo studio di Gibelli sulle esigenze edafiche dei
tartufi come un fondamentale passo nella comprensione delle necessità di nutrizione dei Tuber.
A partire da queste scoperte Bosredon formalizzò nel suo “Almanach du trufficulteur” del 1902,
con la frase: “Pas de calcaire, pas de truffes: calcaire humide, truffes musquées [Tuber brumale var.
moschatum Vitt]. Telle est la loi de la nature”2 la regola di scelta – derivata dall’osservazione
empirica – di un terreno calcareo per poter iniziare una coltivazione (Olivier, 1996).
Quanto alla lavorazione del terreno non è stato possibile reperire informazioni precise, ma è noto
che all’inizio del ‘900 fosse pratica abituale in Francia una lavorazione di profondità pari a 25-30
cm, fatta con l’aratro (Mattirolo, 1910).
Per quanto concerne la scelta delle piante simbionti, in realtà non si sono inizialmente fatti studi
approfonditi, ma si è cominciato semplicemente imitando la natura e gli accoppiamenti simbiotici
che essa offriva.
In Francia la seconda metà del XIX secolo – periodo di grande produzione di tartufi – è
caratterizzata da alcuni eventi politici ed economici di notevole interesse in relazione alle piante
tartufigene.
Una legge del 1827 riportava la gestione del patrimonio forestale nazionale sotto la tutela dello
Stato, dopo trent’anni di gestione privata, caratterizzata da estesissime utilizzazioni al fine di
procurare il legname necessario all’industria della carta, del tannino, delle ferrovie ecc. Quando lo
Stato riprende la gestione delle foreste procede immediatamente a massicci rimboschimenti,
soprattutto per far fronte in tempi brevi alla devastazione conseguente le piene fluviali (Olivier,
1996).
Purtroppo non è stato possibile stabilire con certezza la composizione in specie di tali
rimboschimenti, ma vista l’attuale composizione delle foreste delle zone francesi produttrici di
tartufi, è lecito parlare fondamentalmente del genere Quercus; tale gruppo di specie – osservato che
si tratta di ottime simbionti per il tartufo – sarà poi utilizzato per la creazione di impianti artificiali
(regola che venne formalizzata già nel 1887 da Bosredon nel “Manuel du trufficulteur”, secondo la
testimonianza di Mattirolo, 1910). Ad ogni modo Chatin cita ne “La truffe” del 1892 circa 40 specie
di piante tartufigene francesi.
Per quanto riguarda l’Italia la politica dei rimboschimenti non aveva allora preso piede, al punto che
Oreste Mattirolo propose, attraverso vari articoli e lettere (1908, 1910, 1913), di redigere una legge
appositamente per il rimboschimento delle zone a vocazione tartufigena, unendo così alla funzione
di difesa idrogeologica, l’utile derivante dalla coltivazione e commercializzazione dei tartufi. In
2 “Niente calcare, niente tartufi: calcare umido, tartufo moscato. Questa è la legge della natura”
11
relazione al tartufo nero pregiato (T. melanosporum Vitt) egli non diede molte indicazioni oltre
all’utilizzo delle querce, ma a proposito del T. magnatum Pico (di cui si auspicava la riuscita nella
coltivazione), Mattirolo propose come generi ottimali (1910): Quercus, Salix e Populus; e come
generi adatti ma di secondaria importanza: Cedrus, Abies, Pinus, Juniperus, Carpinus, Alnus,
Castanea e Ostrya, specificando per ognuno di essi la situazione più adatta a livello di quota ed
ambiente.
Quanto alla semina o al piantamento delle piante tartufigene, va detto che la pratica della
piantagione di semenzali cresciuti in vivaio non aveva la stessa diffusione di oggi. Sul finire del
XIX secolo si ricorreva per lo più alla semina di ghiande ritenute micorrizate, dopo un trattamento
di conservazione e rottura della radichetta principale alla germinazione per favorire lo sviluppo di
radici secondarie.
Ad ogni modo c’era anche chi faceva crescere le piante per tre anni in vivaio, prima di metterle a
dimora ancora avvolte nel pane della terra originale di sviluppo. Il numero di piante per ettaro era
indicativamente di 800 se sistemate in filari e di 400 se a quinconcia.
In relazione alla coltivazione del tartufo bianco Mattirolo (1910) consigliava di procedere al
piantamento delle talee di piante già note come tartufigene, ma senza dare indicazioni al riguardo
“perocché finora nessuno ha ancora effettuato nei nostri paesi regolari piantamenti a scopo di
ottenere la produzione del tartufo [bianco]”.
La potatura era considerata da Bosredon (Mattirolo, 1910) una pratica tanto necessaria quanto
pericolosa, in quanto – se effettuata troppo energicamente – foriera di temporanea sterilità della
pianta. Le indicazioni di allora corrispondono tendenzialmente a quelle attuali: soppressione della
gemma apicale per favorire l’apertura laterale della chioma e taglio dei rami fino all’ottenimento di
una chioma a forma di cono rovesciato.
Quanto alle coltivazioni consociate Mattirolo (1910) e, secondo quanto da lui scritto, molti dei suoi
predecessori, erano concordi nel dire che non possono che favorire lo sviluppo dei tartufi perché,
nel momento in cui i tartufi cominciano a svilupparsi, queste piante, morendo, sono fonti di
nutrienti. Tali colture consociate offrivano anche il vantaggio economico per i tartuficoltori di poter
avere già nei primi anni dell’impianto delle produzioni vendibili, constatato, fra l’altro, che un
impianto si prevedeva avrebbe fruttificato al 6°/7° anno e avrebbe portato alla morte le colture
consociate entro il 16°/20° anno.
Bosredon proponeva di consociare alle piante tartufigene la vite – quel che restava dopo l’epidemia
di fillossera – e la lavanda nel sud-ovest della Francia (Mattirolo, 1910). Mattirolo proponeva per
l’Italia: orzo, segale, frumento, veccie e lupinella.
12
La concimazione vedeva d’accordo tutti gli studiosi già citati: era necessaria. Lo scopo individuato
era duplice: da un lato incrementare la produzione e dall’altro avere un prodotto generalmente più
regolare e sano – esperienza di Caseneuve, in Mattirolo (1910).
Ancora Mattirolo (1910) riporta però la credenza e usanza di alcuni contadini, precedente alla
stesura della sua opera, di concimare il terreno circostante le piante tartufigene isolate, al fine di
bloccare la produzione di tartufi ed evitare così l’inconveniente di trovarsi il fondo rovinato dai
cercatori “abusivi”.
Le pratiche di irrigazione sono state fra le prime ad essere inserite nella normale prassi di
coltivazione; il fatto non stupisce se si considera che già i Romani vedevano nell’acqua un elemento
fondamentale per la formazione dei tartufi. I primi tentativi sono attribuiti ad Auguste Rousseau nel
1858; non è possibile però stabilire quando prese piede l’usanza di costruire canali correnti fra i
filari di piante della piantagione al fine di ottenere un’irrigazione per filtrazione senza ristagni
d’acqua. In ogni caso già Mattirolo (1910) è in grado di fornire istruzioni abbastanza precise non
solo sul tipo di irrigazione – per filtrazione, appunto – ma anche sui periodi migliori (a partire dal
mese di giugno) e sulla cadenza (ogni 15 giorni in caso di prolungata siccità).
La raccolta dei tartufi avveniva normalmente con l’ausilio del cane o del maiale. Come già detto,
almeno per questioni di “immagine”, il maiale fu sostituito ufficialmente dal cane nel XVIII secolo,
ma ancora oggi, soprattutto nelle zone di tradizionale raccolta del tartufo in Francia, il maiale è
ancora l’animale da cerca preferito.
Quanto alle modalità di estrazione va detto che la legislazione vigente oggi in Italia detta alcune
regole, col fine di evitare la raccolta indiscriminata; nel secolo scorso, però, la raccolta non
autorizzata era una pratica abituale: Mattirolo (1910) elenca diverse modalità di estrazione, tutte
attribuibili – a suo parere – ai cercatori abusivi, considerato che tutte provocavano danni nei fondi
in cui erano praticate.
Un’analisi a parte meritano le operazioni di micorrizazione, così come conosciute e praticate tempo
addietro. Va tenuto presente che i primi esperimenti in tale campo sono stati fatti a partire dal 1960,
quindi, prima di questa data, se anche si avevano delle conoscenze sui processi di infezione da parte
dei tartufi, non era comunque possibile procedere a verificare empiricamente le scoperte.
Mattirolo (1910) cita tre possibili metodi per “operare in terreni, per così dire, vergini di tartufi”:
un primo metodo, detto “diretto” consisteva nello spargimento sul terreno prescelto di pezzi di
tartufi maturi freschi o raschiatura di tartufi anche marcescenti, ma non in putrefazione; per contro
si aveva anche un metodo “indiretto”, che comportava il trasporto di terreno proveniente da
tartufaie in produzione nel terreno da infettare. Nel 1887 Kiefer consiglia (Mattirolo, 1910) di
scavare fosse di 30 cm di profondità e di depositare lì il terreno infetto. Si può infine annoverare il
13
metodo “di Lasparre”, ovvero spargere le spore della gleba del tartufo, previamente essiccata, sulle
foglie dell’albero.
A parte il terzo metodo, su cui lo stesso Mattirolo esprime delle perplessità, i primi due sono validi
da un punto di vista scientifico, anche se lo spargimento di terra da un fondo all’altro comporta il
rischio di trasmissione di altre infezioni, meno desiderabili, di funghi antagonisti.
La coltivazione in Italia
Analizzando il motivo per cui nel nostro paese la coltivazione del tartufo sia iniziata con tanto
ritardo rispetto ai vicini Francesi, si trova spiegazione, almeno in parte, ancora in uno scritto del
Prof. Mattirolo (1913) che mette in relazione tale ritardo con due fattori, inerenti la situazione
sociale e politica dell’Italia all’inizio del secolo: innanzitutto l’assenza di protezione delle tartufaie
di proprietà privata dai furti, e, secondariamente, l’assenza di una politica di rimboschimento.
Quanto alla mancata protezione dei fondi privati dai furti, Mattirolo ne esamina alcuni aspetti: “(...)
il concetto assoluto della proprietà non è nell’animo del nostro popolo. Per la massima parte
lavoratore di terreno non di sua proprietà, soggetto da secoli ai soprusi, alle angherie, alla tirannide
della forza, il popolo nostro, che in fondo è buono e leale, vede ancora nel furto campestre, non un
delitto, ma un mezzo di protesta e rappresaglia. (...) Triste, ma innegabile condizione di cose, la
quale per se stessa costituisce la più importante difficoltà alla coltivazione razionale dei tartufi, i
quali, in Italia, come i funghi, sono considerati proprietà di chi prima li scopre. (...) Da ciò consegue
che oggi il proprietario del prezioso fungo abbatte le piante tartufifere, perché gli importa
sommamente che nel suo fondo non si producano tartufi, e ciò per non vederlo devastato dai
ricercatori”.
Tenuto conto che il tartufo era molto ben quotato e avrebbe potuto rappresentare una notevole fonte
di reddito per i coltivatori, nonché un genere d’eccellenza esclusivamente Italiano (come è oggi il
tartufo bianco), la soluzione proposta allora era né più né meno che l’antenata delle nostre moderne
disposizioni di legge in materia di “tabelle delimitanti le tartufaie controllate e coltivate”: “(...) io
vorrei che il Parlamento (...) stabilisse la massima che: dappertutto i proprietari possano impedire
la raccolta dei tartufi nei fondi dove intendono farne razionale coltura, mediante semplici tavolette
sugli accessi e pubblicazione di divieto nel «Bollettino Ufficiale delle Provincie»”.
In relazione invece alla mancanza di una politica di rimboschimenti in Italia, Mattirolo fa presente
che la tartuficoltura rappresenta la soluzione ideale al problema del disboscamento conseguente
all’impianto della vite e all’abbattimento di piante da parte dei proprietari dei fondi: laddove infatti
il suolo sia rimasto nudo ma abbia le caratteristiche adatte alla coltura del tartufo, questa si presenta
come il sistema più conveniente per avere “il duplice vantaggio economico derivante dalla vendita,
dal commercio, dalla preparazione industriale del prezioso fungo ipogeo, e in parte dalla ricomparsa
14
nei terreni oggi denudati della vegetazione arborea indispensabile alla nuova cultura. Il vantaggio
solo riportato dal rimboschimento, sia pure limitato, delle nostre colline, sarebbe già per se stesso
un risultato degno della più alta considerazione” (Mattirolo, 1913).
2.3 Bibliografia
• Mattirolo O., (1910): I tartufi: come si coltivano in Francia, perché non si coltivano e come si potrebbero coltivare in Italia: note di una visita alle tartufaie dal Dipartimento di Vaucluse (Provenza), Vincenzo Bona, Torino.
• Mattirolo O., (1913): Il rimboschimento e la cultura dei tartufi, Anfossi, Torino. • Olivier, J.-M. (1996) : Truffe et trufficulture, Fanlac, Périgueux.
Siti internet consultati
• http://www.albain.com/viaggio/la_fiera.asp • http://www.angellozzi.it/ita/home.html • http://www.italyexport.com/funghi/storia.html • http://www.monferrini.com/storia.html • http://www.tartuflanghe.it/ita/pagine/tartufo/storia.lasso • http://xoomer.virgilio.it/gmuccine/Storia.htm
15
3. GLI ASPETTI NORMATIVI
Il comparto tartuficolo è stato, ed è tuttora, oggetto di regolamentazione in Italia da parte degli Enti
a questo preposti: lo Stato, le Regioni e le Province autonome.
Le Leggi emanate hanno lo scopo di dare principi chiari e comuni per tutte le attività legate al
tartufo – raccolta, produzione, commercializzazione di prodotti freschi o conservati – e di offrire
tutela ai consumatori per quanto concerne le frodi, all’ambiente per quanto riguarda l’utilizzo del
territorio e ai coltivatori o proprietari di tartufaie controllate per quanto riguarda il furto.
A livello statale, la normativa di riferimento è la Legge Quadro n. 752 del 16 dicembre 1985 “in
materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo”,
in seguito integrata dalla Legge n. 162 del 17 maggio 1991.
In base a questi due testi le Regioni hanno prodotto delle Leggi Regionali in cui, in parte riprendono
le prescrizioni dettate dallo Stato, ed in parte promuovono attività, dettano divieti o norme nuove, la
cui motivazione va ricercata nella specificità della situazione territoriale.
3.1 La normativa nazionale
Come anticipato, il principale riferimento normativo è costituito dalla legge quadro su raccolta,
coltivazione e commercio che verrà brevemente esaminata nei punti salienti al fine di elencarne le
tematiche.
I punti più rilevanti della legge quadro 752/85 sono i seguenti:
• identificazione dei tartufi destinati al consumo da freschi (art. 2): sono indicate le nove
specie di tartufi legalmente riconosciute per il consumo fresco, e vi è un rimando all’allegato
1 della Legge, in cui sono specificate le relative caratteristiche botaniche ed organolettiche;
• diritto alla ricerca ed alla raccolta (art. 3, primo comma): sono identificati gli ambiti in
cui queste attività non sono soggette a vincoli di alcun tipo: nei boschi e nei terreni non
coltivati;
• esame e tesserino (art. 5, dal comma 1 al comma 6 compreso): sono indicati i requisiti
minimi per la validità del tesserino di autorizzazione alla raccolta – generalità e fotografia –
ed è prescritto l’obbligo di superamento di un esame di accertamento delle conoscenze del
candidato raccoglitore; sono inoltre date indicazioni affinché le Amministrazioni Regionali
decidano in merito alle competenze relative al rilascio del tesserino e all’espletamento della
prova d’esame;
• modalità di ricerca e di raccolta (art. 5, comma 7): sono date istruzioni su quali strumenti
siano ammessi – il vanghetto o vanghella – e sulla presenza del cane addestrato alla cerca;
16
• calendario ed orari (art. 6): si trovano le indicazioni dei periodi e degli eventuali orari in
cui sono ammesse la ricerca e la raccolta libere dei tartufi, con la puntualizzazione che le
Regioni sono incaricate di stabilirne ulteriormente i termini, in relazione alla propria realtà
territoriale;
• divieti generici (art. 5, ultimo comma e art. 6, ultimo comma): la Legge quadro impone un
insieme di divieti relativi a:
o la lavorazione andante del terreno nel periodo di raccolta dei tartufi;
o la raccolta dei tartufi immaturi;
o il non riempimento delle buche aperte per la raccolta;
o la ricerca e la raccolta del tartufo durante le ore notturne da un'ora dopo il tramonto
ad un'ora prima dell'alba, salve diverse disposizioni regionali in relazione ad usanze
locali;
o la commercializzazione di qualunque specie di tartufo fresco nei periodi in cui non
ne è consentita la raccolta;
• consorzi (art. 4): la Legge permette la costituzione di consorzi volontari di aziende agricole
e forestali per la difesa del tartufo, e dà loro possibilità di raccolta, commercializzazione,
creazione di nuove tartufaie ed accesso ai contributi;
• vendita dei tartufi freschi (art. 7): la Legge impone delle prescrizioni sulle condizioni dei
prodotti freschi perché possano essere posti in vendita: definizioni di tartufi “interi”, di
“pezzi” e di “tritume”; è inoltre prescritta la trascrizione delle informazioni relative alla
specie ed alla provenienza del tartufo sul cartoncino a stampa che deve obbligatoriamente
accompagnare i tartufi freschi esposti in vendita;
• tutela e valorizzazione (art. 6, primo comma): la Legge promuove le attività Regionali di
tutela e valorizzazione del patrimonio tartufigeno pubblico;
• lavorazione dei tartufi (art. 8): regole per la preparazione dei prodotti lavorati ed
indicazioni su quali siano i soggetti autorizzati a tale attività;
• confezionamento e commercio dei tartufi lavorati: norme riguardanti:
o le indicazioni minime che deve riportare l’etichetta dei prodotti lavorati messi in
vendita (art. 9);
o la classificazione dei tartufi lavorati: classe, qualità, etc. (art. 10 e allegato 2);
o le sostanze che sono ammesse per la conservazione (art. 11);
o la tolleranza di scarto del peso fra tartufi nella confezione e tartufi sgocciolati (art.
12);
17
o le prescrizioni riguardo a quali caratteristiche deve avere il prodotto messo in
commercio: profumo, colore, assenza di terra, etc. (art 13);
• tassa di concessione Regionale (art. 17): autorizzazione affinché le Regioni possano
istituire tale tassa, e relative indicazioni di massima;
• zone geografiche di provenienza (art. 7, ultimo periodo): disposizione perché le Regioni
delimitino le zone geografiche di provenienza dei tartufi all’interno del loro territorio;
• sanzioni e vigilanza (art. 18): elenco delle infrazioni ed istruzioni perché le Regioni
provvedano a stabilire tanto gli organi di vigilanza, quanto l’entità delle sanzioni.
Un discorso a parte meritano le tartufaie coltivate e controllate (art. 3, comma 2 e seguenti), trattate
dalla Legge Quadro in merito a:
• definizione;
• diritto di proprietà sui tartufi in esse prodotti;
• tabelle delimitanti e loro specifiche;
• disposizione per le Regioni di stabilire l’iter per il riconoscimento.
3.2 Confronto delle normative regionali
In questa sede si procede alla disamina ed al confronto delle leggi Regionali; per rendere più
immediata la comprensione dei principi normativi esaminati, le “tematiche” analizzate nella Legge
Quadro sono state poste a confronto una ad una nei singoli testi Regionali (tabelle 1 e 2).
Le eventuali disposizioni che hanno carattere di novità, emanate da una singola Regione, sono state
prese in esame in una tabella a parte, provvedendo ad una sommaria esposizione della loro
specificità (tabella 3). Di seguito si procede ad una breve descrizione di tali disposizioni innovative:
• marchio di identità: istituzione di un marchio di identità relativo alla provenienza dei
tartufi;
• norme riguardanti i prodotti contenenti tartufo: indicazioni di massima per la
commercializzazione di prodotti contenenti tartufi in percentuale sul prodotto intero o
contenenti aromi;
• permessi per la ricerca scientifica: particolari regole per la ricerca e la raccolta effettuata
da enti di ricerca scientifica;
• raccolta massima: specificazione in peso della quantità massima di tartufi – a volte distinti
per specie – raccoglibili al giorno;
• consulenza: enti preposti alla consulenza di tipo scientifico, relativa ai tartufi;
18
• recupero e/o tutela ambientale: disposizioni in materia di tutela dell’ambiente nell’ambito
delle attività legate al comparto tartuficolo (raccolta, creazione di tartufaie, tutela delle
piante arboree simbionti, etc.).
Tabella 1. Normative Regionali: comparazione, con relative competenze, e riferimenti alla Legge Quadro
Identificaz. DIRITTO ricerca e raccolta
Esame e tesserino
MODALITA’ ricerca e raccolta
Calendario ed orari
Divieti generici Consorzi
Tart. FRESCHI:
vendita
ABRUZZO SI SI
Valido 6anni Commiss
Prov: esame; Regione: rilascio
SI SI Regione SI SI SI
BASILICATA — SI
Valido 5 anni Esame e
rilascio: Com. Mont.
SI
SI Regione su
richiesta della Com.
mont.
SI — SI
EM. ROM. — —
Valido 6 anni Esame e rilascio: Province
SI SI SI SI —
FRIULI — —
Esame e rilascio: Direz
Regionale Agricolt
SI
SI Regione su
proposta della Direz Regionale
Agricoltura
SI SI —
LAZIO SI SI Promuove formazione SI
SI Presidente Giunta Reg
SI SI SI
Cfr Legge quadro
LIGURIA — —
Valido10anni Esame e rilascio: Servizi
Provinciali Agro-
alimentari
—
(Cerca anche
notturna) Presidente Giunta Reg
— SI —
LOMBARDIA SI —
Promuove formaz Prov e
Consorzi comprensoriali Lecco e Lodi
SI
(Cerca anche
notturna) Giunta reg su proposta di più enti
SI — —
MARCHE SI
SI Com.
Mont. e Province
Esame e rilascio: Com.
Mont. e Province
SI Com. Mont. e
Province
SI Com.
Mont. e Province
SI SI —
MOLISE SI SI
Valido 6 anni Età min: 16
Esame e rilascio: Province
SI SI
Amm. provinciali
SI SI SI
PIEMONTE — —
Valido 10anni Esame e rilascio: Province
—
(Cerca anche
notturna); Calend
unico su tutta la
Regione
— SI SI
19
Identificaz. DIRITTO ricerca e raccolta
Esame e tesserino
MODALITA’ ricerca e raccolta
Calendario ed orari
Divieti generici Consorzi
Tart. FRESCHI:
vendita
TRENTO
SI (solo spp presenti
sul territorio)
Giunta Prov.
—
Esame e rilascio: Servizio
foreste, caccia e pesca
— SI — — —
PUGLIA SI SI Esame e rilascio: Province
SI DELEGA ai Comuni
DELEGA ai
Comuni SI DELEGA
ai Comuni
TOSCANA SI SI
Valido 5 anni Esame: Prov
Rilascio: Comune
SI
(Calendario molto
dettagliato) ConsReg: modifiche;
Giunta Reg:
sospensione
SI SI Regione
SI Cfr Legge
quadro
UMBRIA —
SI Auorizzaz
tabelle: Com. Mont.
Valido 5anni Esame e
rilascio: Com. Mont.
SI SI Giunta Reg SI
SI GiuntaR:
criteri delimitazione; Com. Mont.: delimitazione
effettiva
—
VENETO — SI
Valido 5anni Esame e
rilascio: Pres Giunta Reg
SI SI Giunta Reg SI SI —
NOTE ALLA TABELLA 1
Preliminari
Per quanto concerne la Regione Lombardia, la dizione “più enti” che compare nella tabella
indica: Comunità montane, Consorzi comprensoriali di Lecco e Lodi, Province ed Enti gestori dei
Parchi.
La Regione Marche a tutt’oggi non ha emesso il regolamento d’attuazione di cui all’articolo 6
della legge Regionale n. 16 del 22/07/2003; nella tabella sono inseriti i principi enunciati dalla LR,
ma mancano tutte le prescrizioni dettagliate.
Sul Diritto alla ricerca ed alla raccolta
La Regione Toscana (LR n. 50 del 11/04/1995, art. 3 comma 7) specifica che possono essere
dati “in concessione, ai fini della istituzione delle tartufaie controllate, beni del patrimonio agricolo
- forestale (…) con lo scopo di consentire in essi l' attività di raccolta organizzata dei tartufi, a
imprenditori agricoli singoli o associati, con priorità a coltivatori diretti e cooperative agricole, o ad
associazioni di tartufai locali (…)”.
Sul Rilascio del tesserino di idoneità alla ricerca e raccolta
20
La Regione Piemonte (DGR 74-6818 del 29/07/2002) prevede che le Amministrazioni
Provinciali, responsabili per quanto riguarda il rilascio del tesserino, provvedano “ad inviare alla
Direzione Regionale Economia Montana e Foreste l’elenco nominativo dei tesserati dell’anno
precedente contenente gli estremi dei tesserini rilasciati o rinnovati”.
La Regione Toscana prescrive (LR n. 50 del 11/04/1995, art. 11 comma 5): “Presso la
Provincia è tenuto l' elenco nominativo dei titolari dei tesserini rilasciati dai Comuni ricadenti nel
proprio territorio. A tale scopo i Comuni trasmettono semestralmente i relativi dati”.
Sul Calendario e gli orari di ricerca e raccolta
La Regione Emilia Romagna (LR n. 20 del 25/06/1996, art. 5, comma 1) specifica un orario
di raccolta stagionale, da applicare ai periodi di raccolta consentiti.
La Regione Piemonte (LR n. 10 del 12/03/2002, art. 9) stabilisce che il calendario di raccolta
deve essere unico su TUTTO il territorio regionale, sentite le singole Province.
Viene inoltre prescritto “un periodo di divieto assoluto di raccolta non inferiore a quindici giorni,
anche differenziato per provincia, ai fini di tutela del territorio e del prodotto”.
La Regione Toscana (LR n. 64 del 07/08/1996, art. 3, commi 2 e 3) prevede un calendario
molto dettagliato sia a proposito dei periodi, sia a proposito degli orari; per il T. magnatum il
calendario è ulteriormente distinto in base alle zone geografiche regionali di provenienza.
Sui Divieti generici
Con “divieti generici” si intende l’insieme di divieti imposti dalla normativa quadro nazionale
(L n. 752 del 16/12/1985, art. 5, ultimo comma e art. 6, ultimo comma) relativi a:
• la lavorazione andante del terreno nel periodo di raccolta dei tartufi;
• la raccolta dei tartufi immaturi;
• il non riempimento delle buche aperte per la raccolta;
• la ricerca e la raccolta del tartufo durante le ore notturne da un'ora dopo il tramonto ad
un'ora prima dell'alba, salve diverse disposizioni regionali in relazione ad usanze locali.
“(…)E' comunque vietata ogni forma di commercio delle varie specie di tartufo fresco nei periodi in
cui non è consentita la raccolta”.
Nel caso in cui le Regioni abbiano posto degli ulteriori o diversi vincoli relativi a voci presenti nella
tabella, in essa è presente un appunto particolare.
La Regione Molise (LR n. 24 del 27/05/2005, art. 16, lettera “p”) aggiunge fra i divieti : “la
trasformazione in altre qualità di coltura delle tartufaie controllate o coltivate per la cui costituzione
sono stati fruiti contributi”.
21
Tabella 2. Normative Regionali: comparazione, con relative competenze, e riferimenti alla Legge Quadro
Tutela e valorizzazione
Lavorazione tartufi
Tart. CONSERVATI
commercio
Tart. CONSERVATI: confezionamento
Tassa concessione
regionale
Zone geografiche
(provenienza)
Sanzioni e vigilanza
ABRUZZO SI
Delega a Com. mont.
SI SI SI SI — SI
Cfr Legge quadro
BASILICATA SI
Regione (promozione)
SI Cfr Legge
quadro
SI Cfr Legge
quadro
SI Cfr Legge
quadro
SI Regione
SI (cartografia e
analisi) Giunta Reg
SI Cfr Legge quadro +
Province e Com. Mont.
EM. ROM. SI — — — SI SI
(cartografia) Regione
SI Cfr Legge
quadro
FRIULI SI Regione — — — —
SI (cartografia)
Regione
SI Corpo
Forestale Reg
LAZIO
SI Regione (può delegare Com. mont. e Prov)
SI Cfr Legge
quadro
SI Cfr Legge
quadro
SI Cfr Legge
quadro SI SI
SI Cfr Legge
quadro
LIGURIA
SI Com. mont. o Consorzii di
Comuni
— — — SI
Cfr Legge quadro
Giunta Reg su proposta delle Com. Mont.
SI Com. Mont. e Consorzii di Comuni
LOMBARDIA SI SI
Cfr Legge quadro
SI Cfr Legge
quadro
SI Cfr Legge
quadro —
SI (cartografia e
analisi) Giunta Reg su proposta di più
enti
SI Più enti
MARCHE
SI Centro
sperimentale Regione
— — — SI — SI
Cfr Legge quadro
Normativa quadro
Tutela e valorizzazione
Lavorazione tartufi
Tart. CONSERVATI
commercio
SI Cfr Legge
quadro SI
Identificazione: Province
Ripartizione: Regione
SI Cfr Legge
quadro
MOLISE SI Regione
SI Cfr Legge
quadro
SI Cfr Legge
quadro — SI SI
Giunta Reg
SI Cfr Legge
quadro
PIEMONTE
Indennità piante
tartufigene; Province
— — — SI —
SI (corsi di
formazione) Enti vari: vigilanza;
Giunta prov: corsi
TRENTO — — — SI
DELEGA ai Comuni
— — SI
DELEGA ai Comuni
PUGLIA — DELEGA ai Comuni —
SI Cfr Legge
quadro —
Già individuate. Giunta Reg
può proporne di nuove al Cons Reg
SI Cfr Legge quadro + ulteriori: vigilanza; Province: sanzioni
22
Tutela e valorizzazione
Lavorazione tartufi
Tart. CONSERVATI
commercio
Tart. CONSERVATI: confezionamento
Tassa concessione
regionale
Zone geografiche
(provenienza)
Sanzioni e vigilanza
TOSCANA SI Regione
SI Cfr Legge
quadro
S Cfr Legge
quadro
La Regione può fare dei controlli
SI Alle Com. Mont. e da queste alla Regione
Giunta Reg
SI Com.
Mont.: sanzioni
UMBRIA
SI Com. Mont.; Giunta Reg: sperimentaz
— — — — Giunta Reg SI
Cfr Legge quadro
VENETO SI
Giunta Regionale
— —
NOTE ALLA TABELLA 2.
Sulla Tutela e la Valorizzazione
Quasi tutte le Regioni, su indicazione della normativa quadro, dichiarano di promuovere
attività in favore della valorizzazione del tartufo; solo alcune entrano nel merito della questione e
indicano le operazioni per cui sono previsti i finanziamenti e le competenze in merito.
La Regione Piemonte (LR n. 10 del 12/03/2002 art. 11, DGR n. 74-6818 del 29/07/2002 art.
3) stabilisce l’erogazione di indennità per la conservazione del patrimonio tartufigeno. Responsabili
del procedimento sono: il Comune di pertinenza del territorio su cui ricadono le piante tartufigene
per quanto riguarda la consegna della domanda dell’indennità, e le Amministrazioni Provinciali per
quanto riguarda l’erogazione ed i controlli a campione.
Sulla lavorazione dei tartufi per la conservazione e la successiva vendita
La Regione Abruzzo (LR n. 22 del 16/02/1988, art. 10, comma 2) è l’unica regione che
preveda delle misure contributive per gli impianti di lavorazione (strutture di lavorazione e
commercializzazione).
La Regione Umbria (LR n. 6 del 28/02/1994, art. 25, comma 1) dispone che la Giunta
Regionale possa “disporre periodici controlli presso le ditte che esercitano lo stoccaggio, la
lavorazione ed il commercio di tartufi”.
Sulle Zone geografiche di provenienza
Quasi tutte le Regioni si sono date le regole e suddivise le competenze per individuare le zone
geografiche di provenienza dei tartufi; è interessante notare che solo la Regione Toscana presenta
già nel testo della legge (LR n. 50 del 11/04/95, art. 15) una precisa suddivisione per quanto
concerne la provenienza del tartufo bianco.
Tutte le altre Regioni danno disposizioni per l’individuazione di tali zone e per il loro
riconoscimento.
23
Sulle Sanzioni e sulla Vigilanza
Per quanto riguarda le sanzioni, ogni Regione ha provveduto in autonomia a quantificare gli
importi dovuti per ogni singola infrazione; per quanto riguarda invece la vigilanza, quasi tutte le
Regioni hanno ripreso le direttive impartite dalla normativa quadro nazionale, eventualmente
integrando l’elenco degli addetti ai controlli con corpi volontari o personale delle autonomie locali.
La Provincia di Trento si fa anche promotrice della formazione del personale addetto ai
controlli (LP n. 23 del 03/09/1987, art. 5, comma 2): “La Giunta provinciale è autorizzata ad
organizzare, a carico del bilancio provinciale, appositi corsi di abilitazione, formazione ed
aggiornamento per gli incaricati della vigilanza sull' osservanza della presente legge (…)”.
Tabella 3. Normative regionali: introduzione di nuove norme
Marchio di identità
Prodotti CONTENENTI
tartufo
Permessi per ricerca
scientifica
Raccolta massima
[kg/d] Consulenza
Recupero e/o tutela
ambientale ABRUZZO — — SI 1 — —
BASILICATA — — SI Regione — — —
EM. ROM. — — SI Regione 1 — —
FRIULI — — SI
Dirett Reg Agricoltura
— — —
LAZIO — — — 2 — —
LIGURIA — — — — — —
LOMBARDIA — —
SI Ispettorati
dipartimentali delle foreste
— SI SI Più enti
MARCHE SI
(anche tracciabilità)
SI SI
Com. Mont. e Province
—
SI (Centro
sperimentale per la tartuficoltura)
—
MOLISE SI — SI 0.5 (bianco);
2 (altre specie)
— —
PIEMONTE SI SI — — — —
TRENTO — — SI Giunta prov 1 — —
PUGLIA — — SI — — —
TOSCANA — — SI Giunta Reg — — —
UMBRIA — — — — —
I miglioram valgono come applicaz delle
PMPF
VENETO — — SI — — —
24
NOTE ALLA TABELLA 3.
Sulla Consulenza da parte di personale esperto
La Regione Lombardia (LR n. 24 del 08/07/1989, art. 7) si avvale di un collegio di esperti
per avere consulenza riguardo alla compilazione del calendario di ricerca e raccolta, per
l’individuazione delle zone geografiche di provenienza, per la tutela del territorio e per il
riconoscimento delle tartufaie non naturali.
La Regione Marche (LR n. 16 del 22/07/2003, art. 7) attribuisce al Centro Sperimentale di
Tartuficoltura la consulenza tecnico-scientifica necessaria a chiunque intenda dedicarsi alla
tartuficoltura. Va inoltre ricordato che il Centro Sperimentale di Sant’Angelo in Vado è nominato
dalla normativa quadro nazionale quale struttura non solo per la ricerca, ma per la consulenza
scientifica generale riguardo ai tartufi (riconoscimento, determinazione della specie di
appartenenza, ecc.).
Sulla Difesa ed il recupero ambientali
La Regione Umbria (LR n. 6 del 28/02/2004, art. 5, comma 4) afferma che “le operazioni
colturali di cui al comma precedente [miglioramenti delle tartufaie controllate] valgono anche ai fini
delle prescrizioni di massima e di polizia forestale per i boschi ed i terreni di montagna sottoposti a
vincoli (...)”
Due tabelle apposite sono state impostate per:
• tartufaie controllate e coltivate (Legge quadro n. 752 del 16/12/1985, art. 3): per entrambe
le tipologie sono presenti le voci (tabella 4):
o definizione;
o prescrizioni: regole particolari affinché il riconoscimento delle tartufaie sia possibile
e valido;
o riconoscimento: iter dettagliato e relative competenze per ottenere il riconoscimento
legale delle tartufaie;
o validità: in numero di anni;
o albi: eventuale presenza di albi di iscrizione delle tartufaie regolarmente
riconosciute;
o altre competenze: competenze ulteriori relative ad attività connesse con la creazione
delle tartufaie (miglioramenti, etc.);
• ricerca e raccolta in terreni soggetti a diversi tipi di vincoli (tabella 5), tra cui:
o terreni rimboschiti;
o zone di riserva venatoria;
25
o terreni ad uso civico;
o terreni demaniali;
o zone soggette ad altri vincoli (parchi, riserve, oasi, etc.).
Per ognuna di tali voci sono presenti due colonne: una per le possibili prescrizioni, ed una
per l’organo competente al rilascio dell’eventuale autorizzazione alla ricerca ed alla raccolta.
Per quanto riguarda ancora le tartufaie controllate e coltivate, le singole Regioni, in accordo con i
principi espressi dalla Legge Quadro, hanno stabilito alcune prescrizioni particolari in merito
soprattutto alle questioni che seguono:
• tabelle: dimensioni regolamentari, altezza dal suolo ed eventuali riferimenti sul
riconoscimento da riprodurre obbligatoriamente sulla tabella stessa;
• miglioramenti: operazioni colturali, protezione degli impianti, drenaggio delle acque, etc. e
istruzioni sulle modalità di intervento;
• documenti, tecniche e collaudo: iter per l’ottenimento del riconoscimento di tartufaia
controllata o coltivata, prescrizioni tecniche per gli impianti e indicazioni per la fase di
collaudo;
• estensione minima: estensione minima di una tartufaia coltivata perché possa essere
riconosciuta come tale;
• estensione massima: estensione massima che può avere una tartufaia sul territorio regionale,
in relazione all’areale di una specie (Reg. Piemonte) o in ettari (Reg. Umbria);
• incrementi: messa a dimora nelle radure di idonee piante tartufigene.
26
Tabella 4. Normative regionali: sviluppo dei principi della Legge Quadro riguardo a tartufaie controllate e coltivate, e relative competenze
TARTUFAIE CONTROLLATE TARTUFAIE COLTIVATE
Definiz. Prescriz. Riconoscim. Validità [anni] Albi Altre
competenze Definiz. Prescriz. Riconoscim. Validità [anni] Albi Altre competenze
ABRUZZO SI SI Tabelle
SI Regione (settore
Agricoltura)
— — — SI SI Tabelle
SI Regione (settore
Agricoltura)
5 — —
BASILICATA SI SI Miglioramenti
SI Presid Giunta
Reg 5 SI
Regione
Miglioramenti: Regione + Com.
mont. e CFS SI SI
Miglioramenti
SI Presid Giunta
Reg — SI
Regione
Miglioramenti: Regione + Com.
mont. e CFS
EM.ROM.. —
SI Documenti,
tecniche, collaudo
SI Province — — — —
SI Documenti,
tecniche, collaudo
SI Province — — —
FRIULI SI SI
Miglioramenti e tabelle
SI Direttore Reg Agricoltura
— — — SI SI Tabelle
SI Direttore Reg Agricoltura
— — —
LAZIO SI SI Tabelle
SI Regione SI SI
Tabelle SI
Regione
LIGURIA — —
SI DELEGA a
Com. mont. e Consorzii di
Comuni
5 — — — —
SI DELEGA a
Com. mont. e Consorzii di
Comuni
10 — —
LOMBARDIA SI SI
Miglioramenti e tabelle
— 5 — — SI SI
Miglioramenti e tabelle
— ≤ 15 — —
MARCHE SI — SI
Com. mont. e Province
10 — — SI — SI
Com. mont. e Province
10 — —
MOLISE SI SI
Estensione minima
SI Amm Prov.li Campobasso
e Isernia
7 — — SI SI
Estensione minima
SI Amm Prov.li Campobasso
e Isernia
7 — —
PIEMONTE — SI
Tabelle; estensione max
SI Province 5 NO — —
SI Tabelle;
estensione max
SI Province 5 NO —
PUGLIA — — — — — — — — — — — — TRENTO — — — — — — — — — — — —
TOSCANA SI SI SI Comuni 5 — — SI SI SI
Comuni 5 — —
27
TARTUFAIE CONTROLLATE TARTUFAIE COLTIVATE
Definiz. Prescriz. Riconoscim. Validità [anni] Albi Altre
competenze Definiz. Prescriz. Riconoscim. Validità [anni] Albi Altre competenze
UMBRIA SI
SI Miglioramenti ed estensione
max
SI Comunità Montane
5 SI
Comunità montane
Operazioni colturali: Com.
mont. SI
SI Miglioramenti ed estensione
max
SI Comunità Montane
— SI
Comunità montane
Certificaz delle piante
micorrizzate
VENETO SI SI
Incrementi e miglioramenti
SI Presid Giunta
Reg 5
SI Giunta
Reg — SI — — 5
SI Giunta
Reg —
28
NOTE ALLA TABELLA 4 Sulle tartufaie controllate e coltivate
La Regione Piemonte (DGR n. 74-6818 del 29/07/2002) stabilisce norme precise per il
riconoscimento delle tartufaie controllate e coltivate, sia di tipo amministrativo, sia di tipo tecnico.
Con una seconda deliberazione (DGR n. 37-10855 del 03/11/2003) essa provvede più precisamente
“ad una migliore e più puntuale specificazione:
a) della documentazione da allegare alle domande di riconoscimento presentate da
soggetti singoli;
b) dei correlati requisiti soggettivi che devono essere posseduti da chi presenta la
domanda stessa;
c) dei particolari requisiti e della particolare documentazione che deve essere allegata alla
domanda di riconoscimento nell’ipotesi in cui la stessa sia presentata da un
Consorzio”.
Nelle deliberazioni di cui sopra sono indicate le specifiche tecniche per le tabelle di delimitazione
delle tartufaie riconosciute e l’estensione massima che possono avere le tartufaie.
La Regione Emilia-Romagna (LR n. 24 del 02/09/1991 e modifiche apportate dalla LR n. 20
del 25/06/1996) è l’unica Regione che approfondisca ulteriormente il procedimento per il
riconoscimento delle tartufaie controllate e coltivate, inserendo tra gli aspetti normati: la
commercializzazione delle piantine micorrizate da parte dei vivai (art. 7), la messa a dimora delle
piantine (art. 4) ed il collaudo (art. 5).
29
Tabella 5. Normative regionali: sviluppo della Legge quadro e introduzione di nuove norme per la raccolta di tartufi in terreni soggetti a particolari vincoli
Rimboschiti Di riserva venatoria Ad uso civico Demaniali Sotto altri vincoli Prescrizione Autorizzazione Prescrizione Autorizzazione Prescrizione Autorizzazione Prescrizione Autorizzazione Prescrizione Autorizzazione ABRUZZO Dopo 15 anni — — — — — SI Giunta Reg — —
BASILICATA — — SI Comunità montane SI
Titolari su presentazione di un piano
SI Com. mont. (valida 1anno) Oasi DIVIETO
EM.ROM. — — SI Un solo cane Regione SI Cfr Legge
quadro — — Oasi faunistiche Regione
FRIULI — — — — SI Titolari su
presentazione di un piano
— — Parchi Enti gestori
LAZIO Dopo 15 anni — — — — — SI Giunta Reg — — LIGURIA — — — — — — — — — —
LOMBARDIA Dopo 15 anni —
SI Solo di notte o
in giorni di silenzio
venatorio
— SI Cfr Legge quadro — —
Parchi, riserve e monumenti
naturali Enti gestori
MARCHE Dopo 8 anni — — — — — SI (1 anno) Com. mont. e Province
Parchi e Aree protette
Com. mont. e Province
MOLISE Dopo 15 anni —
SI Un solo cane e
in giorni di silenzio
venatorio
Province SI — — — — —
PIEMONTE — — — — — — — — — — TRENTO — — — — — — — — — — PUGLIA — — — — — — — — — —
TOSCANA — — — — — — — — Oasi e zone di ripopolamento
faunistico
DIVIETO dal 1maggio al 30
giugno
Riserve integrali DIVIETO
UMBRIA — —
SI Un solo cane e
in giorni di silenzio
venatorio
Comunità montane SI
Titolari su presentazione di un piano
SI ?
Parchi Raccolta libera
VENETO — — — — SI — SI (1anno) Enti gestori del Demanio — —
30
NOTE ALLA TABELLA 5 Sui Terreni gravati da uso civico
Le Regioni:
• Basilicata (LR n. 35 del 27/03/1995, art. 6, comma 2)
• Friuli Venezia Giulia (LR n. 23 del 16/08/1999, art. 10, comma2)
• Umbria (LR n. 6 del 28/02/1994, art. 10, comma 2)
prevedono che, qualora i titolari dei terreni di uso civico vogliano concedere a terzi non utenti il
diritto di ricerca e di raccolta dei tartufi, i subentranti debbano presentare un piano di conservazione
delle tartufaie da sottoporre rispettivamente al parere di:
• Ufficio Foreste, Ecologia, Caccia e Pesca;
• Ufficio della Direzione Regionale dell’Agricoltura;
• Commissione tecnica costituita presso ogni Comunità Montana composta come da Legge
Regionale.
Sui Terreni demaniali
La Regione Basilicata (LR n. 35 del 27/03/1995, art. 12, comma 8) affida alla Giunta
Regionale il compito di individuare “le tartufaie coltivate che insistono nelle foreste del demanio
regionale, da destinare esclusivamente alla sperimentazione ed alla micorizzazione delle piante,
stabilendo a tale scopo opportune convenzioni con centri sperimentali ed istituti scientifici
specializzati”.
Da un primo confronto delle leggi regionali esaminate è possibile mettere in evidenza quanto segue.
Innanzi tutto il quadro legislativo piemontese è pressoché completo sotto molteplici aspetti, anche
se non sono presenti riferimenti normativi relativi ai tartufi lavorati (lavorazione, confezionamento
e commercializzazione), né prescrizioni per la raccolta in alcune fattispecie (nei terreni rimboschiti,
nelle riserve venatorie, nei terreni ad uso civico, demaniali o soggetti a vincoli particolari). Inoltre
non sono previste norme specifiche per quanto attiene la regolamentazione dei permessi per attività
scientifiche, né indicazioni relative al limite massimo di raccolta giornaliera.
Per quanto concerne la tutela e la valorizzazione del patrimonio tartufigeno, il Piemonte è l’unica
regione a prevedere la concessione di un’indennità per chi conservi piante produttrici; d’altro canto
non viene operata alcuna connessione tra la conservazione del patrimonio e l’incremento o
miglioramento delle tartufaie controllate, non promuovendo, in tal modo, il potenziamento delle
tartufaie controllate già riconosciute.
Infine, relativamente alla commercializzazione di prodotti contenenti una certa percentuale di
tartufo, va detto che, sebbene il Piemonte sia una delle tre Regioni (insieme a Marche e Molise) che
31
ha tentato di disciplinare l’argomento, non è stata ancora raggiunta l’imposizione di una normativa
più precisa. A tal proposito è necessario però citare il disegno di legge n. 223, comunicato alla
Presidenza il 15/06/2001, che inserirebbe nella legge quadro un comma all’art. 14 che recita: “I
medesimi prodotti di cui al secondo comma [prodotti alimentari contenenti tartufo] devono
contenere tartufo certificato per una quantità non inferiore al 3 per cento”; tale provvedimento
favorirebbe una maggiore tutela del consumatore, ma si dimostrerebbe comunque ancora carente
rispetto – per esempio – all’aggiunta di aromi additivi al profumo e sapore di tartufo.
3.3 La normativa internazionale
Per quanto concerne il tartufo i dati statistici analizzati e la bibliografia consultata3 indicano che i
tre paesi europei maggiori produttori sono Italia, Francia e Spagna.
Avendo già preso in esame in modo dettagliato la legislazione italiana, è interessante fare una breve
disamina della normativa francese e di quella spagnola al fine di individuare quali siano i punti di
contatto, quali eventuali spunti possano essere colti per migliorare il nostro sistema e per osservare,
tramite l’aspetto normativo, quali siano le specificità di ogni singolo paese tra quelli considerati.
Sarà inoltre presa in esame la struttura degli accordi internazionali, sottoforma di raccomandazioni
ONU, inerenti il settore tartuficolo.
La normativa francese
In base alle informazioni reperite è verosimile dire che la Francia non ha una vera e propria
legislazione in materia di tartufi.
Il testo cui è possibile fare riferimento è detto “Accord interprofessionnel Truffes Fraîches”: si tratta
di una sorta di convenzione tra operatori del settore (soprattutto tartuficoltori e commercianti) per il
miglioramento della qualità dei tartufi prodotti in Francia, siglato nel 1999.
In questo caso, come in quello della normativa italiana, si procede ad una breve esposizione del
testo sottoforma di analisi delle “tematiche” più rilevanti presenti in esso.
• identificazione dei tartufi destinati al consumo da freschi (art. 2, punto 1): l’accordo
riconosce 5 specie di tartufo dei quali è consentito il commercio allo stato fresco:
o Tuber melanosporum Vitt.;
o Tuber brumale Vitt.;
o Tuber aestivum Vitt.;
o Tuber uncinatum Chatin;
o Tuber mesentericum Vitt.;
3 I dati statistici sono presi da: http://www.coeweb.istat.it/default2.htm. Il principale riferimento bibliografico è: Olivier, J.-M. (1996) : Truffe et trufficulture, Fanlac, Périgueux
32
• disposizioni concernenti la qualità (art. 2, punto 2, voce A): l’accordo indica le qualità,
tutte di tipo fisico, che devono avere i tartufi commercializzati:
o odore, sapore e colore tipici della specie;
o maturità sufficiente;
o fermezza al tocco;
o avvenuta pulizia (lavaggio o spazzolatura);
o assenza di terra e parassiti;
o assenza di alterazioni dovute al gelo;
o umidità esteriore nella norma;
o massa uguale o superiore ai cinque grammi;
• distinzione tra tartufi interi e pezzi di tartufo (art. 2, punto 2, voce B): nella prima classe
sono inclusi i tartufi il cui ascocarpo è del tutto intero e senza scalfitture; nella seconda
rientra tutto il prodotto non classificabile nella prima;
• classificazione (art. 2, punto 2, voce B, lettere a, b, c): tanto i tartufi interi quanto quelli a
pezzi, sono oggetto di una divisione in tre categorie:
o categoria “extra”: vi sono inclusi solo i tartufi interi, dalla forma regolare e che
presentino eventuali difetti morfologici in misura leggerissima;
o categoria “1”: uguale alla precedente, ma i tartufi possono presentare difetti in
misura maggiore;
o categoria “2”: vi sono inclusi tutti i tartufi interi che non possono rientrare nelle
precedenti categorie, ed i pezzi di tartufo;
• dimensioni (art. 2, punto 3): relativamente alle suddette categorie, la massa dei tartufi o dei
pezzi di tartufi deve essere superiore o uguale a:
o 20 grammi;
o 10 grammi;
o 5 grammi;
• tolleranze (art. 2, punto 4): relativamente alle specie commercializzate, è ammessa una
soglia di presenza del 2% di tartufi con caratteristiche non rispondenti a quelle richieste per
la categoria di appartenenza, a proposito di:
o specie: gli eventuali tartufi di specie diversa devono essere comunque stati raccolti
nello stesso momento di quelli appartenenti alla specie dichiarata; non è in ogni caso
ammessa la presenza di tartufi che non siano prodotti in Francia;
o qualità: in caso di presenza di tartufi che non appartengono alla categoria dichiarata,
questi devono rientrare, al massimo, nella categoria direttamente inferiore;
33
o massa: se questa tolleranza dovesse essere cumulata con quella relativa alla qualità,
la loro somma non potrebbe superare il 2% della massa totale;
• presentazione ed imballaggio (art. 2, punto 5): le specie devono essere commercializzate
separatamente. Ogni collo deve rispettare gli standard minimi di qualità richiesti; la parte
visibile del medesimo deve essere rappresentativa dell’intero contenuto. In caso di
spedizione dei pacchi, questi devono essere imballati in modo da assicurare la massima
protezione ai tartufi, nonché essere innocui rispetto al pericolo di alterazione delle qualità
del prodotto;
• etichettatura (art. 2, punto 6): l’etichetta da mettere sul prodotto deve essere ben visibile; è
ammesso che sia interna solo nel caso di spedizione dei colli; ogni etichetta deve riportare le
informazioni che seguono:
o identificazione del mittente;
o denominazione del prodotto e presentazione: nome della specie e se in forma intera o
in pezzi;
o origine: dipartimento o regione di raccolta;
o caratteristiche commerciali: categoria di appartenenza;
o marchio ufficiale di controllo: facoltativo;
• calendario di raccolta e commercializzazione (art. 3): l’accordo prevede che il calendario
di raccolta sia stabilito annualmente, previa approvazione dei firmatari dell’accordo stesso;
per quanto concerne il commercio, questo può essere effettuato durante tutto il periodo di
raccolta e fino a dieci giorni dopo la sua chiusura;
• vigilanza (art. 6): la vigilanza sul rispetto delle norme stabilite nell’accordo in oggetto è
affidata agli agenti:
o dell’INTERFEL (“Interprofession des Fruit et Légumes Frais”) ;
o del Ministero dell’Economia, delle Finanze e dell’Industria ;
o della Direzione Generale per la Concorrenza, il Consumo e la Repressione delle
Frodi;
• caratteristiche organolettiche (art. 5): in allegato sono presentate alcune schede tecniche in
cui sono esposte in modo schematico le caratteristiche delle diverse specie di tartufi:
o ascocarpo: dimensioni e forma;
o peridio: colore, aspetto, gibbosità;
o gleba: consistenza, venature, sapore, colore ed odore a maturità;
o spore: numero per aschi, forma, colore, dimensioni.
34
La normativa francese, pur facendo riferimento ad un testo senza valore strettamente normativo,
rappresenta un punto fermo nelle pratiche inerenti il settore tartuficolo.
Alcuni aspetti sono in particolare degni di nota: innanzi tutto nell'elenco delle specie consentite per
il commercio è escluso il Tuber magnatum – probabilmente perché il testo è nato come
regolamentazione del mercato interno – più alcune altre specie di tartufo nero di minor pregio; in
secondo luogo va osservato che la disposizione è molto precisa: per quanto non vi siano indicazioni
in merito a ricerca e raccolta, il testo si esprime in modo molto dettagliato sia sulle qualità
organolettiche delle specie – relativamente ad ogni categoria – sia sulle condizioni di vendita, con
particolare attenzione alle tolleranze e all'imballaggio.
La normativa spagnola
La Spagna ha prodotto più testi normativi riguardanti i tartufi: alcuni sono di ordine nazionale, ma i
più completi e recenti sono emessi dalle regioni autonome, soprattutto in relazione alla protezione
del territorio montano ed alla tutela dei relativi prodotti.
La prima fonte, procedendo in ordine cronologico, è il Decreto 1688 del 15 Giugno 1972, con
relativo “Orden” – sorta di regolamento di attuazione – dell’8 Novembre 1972. In questi due
documenti vengono formulati i principi base che regolano la raccolta e la ricerca dei tartufi sul
territorio Spagnolo:
• specie ammesse:
o Tuber melanosporum Vitt.
o Tuber brumale Vitt.;
• calendario di raccolta: stabilito nel periodo tra il 1 dicembre ed il 15 marzo dell’anno
successivo;
• strumenti di raccolta: sono ammessi solo strumenti che non comportano una rimozione
troppo consistente del terreno;
• presenza di cani addestrati: non sono ammessi altri animali come aiuto nell’operazione di
ricerca;
• riempimento delle buche: da effettuarsi nel periodo di tempo più breve possibile dopo
l’estrazione;
• tesserino di abilitazione alla raccolta: necessario nel caso in cui si effettuino ricerca e
raccolta su territori montani dichiarati “di pubblica utilità”.
Nel 1977 il Ministero del Commercio e del Turismo approva un “Orden” (18 Ottobre 1977)
riguardante il commercio estero dei tartufi freschi; la struttura del testo è molto simile alla
35
corrispondente norma francese, ma si differenzia per porre l’accento su alcuni particolari differenti.
Tale testo è di seguito brevemente riassunto:
• identificazione dei tartufi destinati al consumo da freschi (art. 1): è esposta la definizione
di tartufo e sono elencate le specie che è possibile destinare al commercio da fresche:
o Tuber brumale Vitt.
o Tuber melanosporum Vitt
o Tuber magnatum Pico
• disposizioni concernenti la qualità (art. 2, voce A): sono indicate le caratteristiche minime
di qualità per tutte le categorie di tartufi, che devono essere:
o sani;
o interi o in pezzi di diametro superiore a cinque millimetri;
o non spazzolati;
o ragionevolmente puliti dalla terra o altri materiali estranei;
o non congelati;
o con umidità normale;
o di odore e sapore normali per la specie;
o in condizioni di maturità tali da garantirne l’arrivo in buone condizioni in caso di
spedizione;
• classificazione (art. 2, voce B, numeri I, II e III): le tre categorie – “extra”, “I” e “II” – sono
sostanzialmente uguali a quelle individuate dall’”Accord interprofessionnel” vigente in
Francia;
• tolleranze (art. 2, voce B, numero III): relativamente alle categorie di cui sopra, sono
individuate le seguenti tolleranze:
o categoria “extra”:
3% in peso di terra;
5% in numero o in peso di tartufi appartenenti alla classe direttamente
inferiore;
o categoria “I”:
6% in peso di terra;
10% in numero o in peso di tartufi appartenenti alla classe direttamente
inferiore;
o categoria “II”:
6% in peso di terra;
10% in numero o in peso di tartufi non aventi le caratteristiche minime;
36
• presentazione ed imballaggio (art. 4): il contenuto di ogni collo deve essere omogeneo per
origine, qualità e stato di maturazione. Il materiale degli imballaggi deve essere innocuo e
non alterare le qualità del prodotto: sono raccomandati sacchi di cotone, e vietati sacchi di
polietilene;
• etichettatura (art. 5): ogni etichetta deve obbligatoriamente presentare, scritti chiaramente,
con inchiostro indelebile e ben visibili dall’esterno, i dati che seguono:
o identificazione dell’esportatore (importatore) e numero di registrazione
dell’esportazione;
o identificazione del prodotto;
o origine del prodotto con le diciture: “prodotto in Spagna” o “importato dalla
Spagna”, o paese di origine in caso di importazione dall’estero.
• norme amministrative (art. 6): sono date istruzioni rispetto a:
o esportazione e relativa licenza: la commissione regolatrice per le esportazioni
stabilisce una sorta di calendario per il periodo ammesso; è inoltre necessario, per
l’attività di esportazione, avere una licenza specifica;
o dogane: sulla licenza di esportazione sono specificate le dogane di uscita dei tartufi,
che possono essere solo due in tutto lo stato;
o commissione regolatrice: è indicata come responsabile della creazione dei registri
speciali di esportazione dei tartufi freschi e conservati;
• vigilanza (art. 7): la vigilanza è affidata agli agenti dei Servizi di Ispezione per il
Commercio Estero; tutti i lotti di tartufi non riconosciuti idonei per l’esportazione sono
sequestrati.
In relazione alla normativa vigente in Spagna, concernente i tartufi, va ricordato che molte delle
regioni di maggiore produzione regolamentano in autonomia il calendario di raccolta; inoltre, se i
tartufi sono legati territorialmente all’ambiente montano, le regioni – dovendo legiferare riguardo
alla protezione di tale territorio – hanno emesso leggi più o meno dettagliate aventi per oggetto la
ricerca e la raccolta di tartufi.
Tra le regioni che hanno prodotto (o stanno producendo) testi normativi completi, si possono
ricordare, a scopo esemplificativo, Aragon (Orden de 10 de novembre de 1998) e Castilla y León
(terza stesura del progetto di legge, aggiornata al 23/06/2001); sopratutto nel secondo caso, si può
osservare lo sviluppo di una legge molto simile a quella italiana, che prende in considerazione i
tartufi sotto molteplici aspetti: definizione, modalità di ricerca e raccolta, tesserino di autorizzazione
37
alla ricerca e raccolta, calendario, raccolta per fini scientifici, raccolta in aree protette, costituzione e
riconoscimento di tartufaie, etc.
In definitiva la normativa spagnola si è sviluppata in due direzioni differenti: da un lato si hanno le
prescrizioni inerenti la ricerca e la raccolta, che vertono su tutti quegli aspetti riguardanti l'utilizzo
della risorsa tartufo senza prescindere dalla conservazione del territorio; dall'altra si hanno tutte le
indicazioni concernenti il commercio.
Nel primo caso la produzione normativa è di livello sia nazionale che – in maggior misura –
regionale; da notare come nell'elenco delle specie per cui è ammessa la raccolta figurino solo T.
melanosporum e T. brumale, con l'aggiunta di T. aestivum solo in alcune zone (fra le Regioni
considerate: Catalunya e Castilla y León).
Per quanto concerne invece la regolamentazione del commercio, l’unica Legge reperita è di ordine
nazionale. In questo come nel caso francese la normativa è molto dettagliata: è ammesso un numero
molto limitato di specie di tartufo nero, ma è consentito lo scambio di tartufo bianco; le prescrizioni
riguardano di nuovo in modo particolareggiato le condizioni di esposizione, vendita ed imballaggio.
Le raccomandazioni ONU
Nell’aprile del 2002 la delegazione Francese presso le Nazioni Unite ha presentato una proposta per
la creazione di una norma CEE-ONU relativa ai tartufi; il testo, esposto secondo gli schemi adottati
all’ONU, si rifà in parte all’”Accord Interprofessionnel” francese, e differisce da questo per alcuni
aspetti, di seguito riferiti in linea di massima:
• la struttura generale della norma è stata cambiata; essa prevede una parte generale, una parte
dedicata al mercato all’ingrosso ed una parte specifica sulla vendita al consumatore finale;
• è stato allargato l’elenco delle specie commerciabili;
• è stato previsto un calendario unificato di massima;
• la ripartizione dei tartufi in categorie è stata modificata – solo per quanto concerne le
vendite all’ingrosso;
• le tolleranze percentuali sono state modificate;
• la presentazione è prescritta in modo più rigoroso.
Nell’agosto del 2004 l’organo competente delle Nazioni Unite4, basandosi su tale proposta, ha
provveduto a compilare la “Raccomandazione CEE-ONU FFV-53, stabilita a partire dal documento
4 L’organo competente è la “Sezione specializzata per la normazione dei frutti e dei legumi freschi”, così inserito nella gerarchia interna all’ONU – a partire dai livelli più alti e generici:
• Consiglio economico e sociale; • Commissione economica per l’Europa; • Comitato per lo sviluppo del commercio, dell’industria e dell’impresa; • Gruppo di lavoro sulle norme di qualità dei prodotti agricoli; • Sezione specializzata per la normazione dei frutti e dei legumi freschi.
38
TRADE/WP.7/GE.1/2004/25/Add.8, concernente la commercializzazione ed il controllo di qualità
commerciale dei tartufi freschi (Tuber)”, valida fino a Novembre 2006. Si ricorda che le
Raccomandazioni ONU costituiscono il riferimento per tutte le regolamentazioni internazionali.
La Raccomandazione è semplificata rispetto alla proposta della delegazione Francese e,
paradossalmente, è strettamente assimilabile all’“Accord Interprofessionnel” nella sua versione
originale. Vi sono, ad ogni modo, alcuni aspetti che sono stati oggetto di maggiore precisazione, che
vale la pena sottolineare:
• nella definizione iniziale del prodotto (art. 1) è specificato chiaramente che sono esclusi
dalla raccomandazione i tartufi destinati alla trasformazione industriale, essendo in oggetto
unicamente quelli destinati al commercio da freschi;
• in allegato è presentata una lista di tartufi commercializzati più numerosa di quella presa in
considerazione dalla normativa francese, italiana e spagnola; ciò nonostante, la lista è
definita (art. 2) “non esaustiva”. Essa comprende:
o Tuber melanosporum Vitt.;
o Tuber brumale Vitt.;
o Tuber brumale var. moschatum De Ferry;
o Tuber indicum Cook;
o Tuber aestivum Vitt.;
o Tuber uncinatum Chatin;
o Tuber mesentericum Vitt.;
o Tuber magnatum Pico;
o Tuber borchii Vitt.;
o Tuber macrosporum Vitt.;
o Tuber gibbosum Gilkey;
• La norma ha per obiettivo (art. 2) “la definizione delle qualità che devono presentare i tartufi
allo stadio di controllo all’esportazione, dopo il confezionamento e l’imballaggio”.
In seguito alla disamina delle normative francese, italiana e spagnola, ed alla considerazione delle
caratteristiche delle raccomandazioni ONU, è possibile fare alcune osservazioni di carattere
generale: in primo luogo, il settore tartuficolo è oggetto di normativa a partire dalle singole nazioni,
fino agli organi internazionali più alti.
I testi fin qui elaborati dalle singole nazioni, benché simili per principi e struttura, non sono ancora
davvero mai stati coordinati col fine di semplificare gli scambi commerciali; tra questi, l'Italia ha
legiferato nel settore tartuficolo più che altro per quanto concerne la ricerca e la raccolta, la Francia
39
si è concentrata sull'interscambio commerciale – è francese anche l'iniziativa presa in merito in sede
ONU – e la Spagna ha provveduto a regolare entrambi i campi, anche se la parte dedicata a ricerca e
raccolta è stata curata soprattutto dalle regioni autonome.
Per quanto riguarda la produzione non naturale – cioè in tartufaie controllate e coltivate – l’Italia è
l'unica nazione ad aver compilato delle prescrizioni normative di livello nazionale: la Spagna ha
delegato in toto la questione alle autonomie locali e la Francia non ha provveduto in alcun modo. Il
fatto che quest’ultima non abbia legiferato in merito alla coltivazione dl tartufo, ma sia di fatto
molto attiva in quest’ambito, porta alla considerazione che il sistema produttivo sia trasparente ed
efficiente, ed il legislatore abbia quindi voluto concentrare l’attenzione sul successivo passaggio di
vendita del prodotto, evidentemente più soggetto a manipolazioni. A questo proposito si può dire
che l'Italia tende forse a sottovalutare il valore della prescrizione normativa a livello di scambi
commerciali, non facendosi in tal modo garante di qualità e trasparenza del mercato per il
consumatore finale.
Va infine notato che il testo considerato di livello internazionale più alto è inerente solo il
commercio di tartufi freschi: la regolamentazione delle pratiche di coltivazione e del commercio di
prodotti trasformati resta pertanto priva di principi internazionali di riferimento. Questa mancanza
appare abbastanza logica per quanto riguarda la coltivazione, più legata alle caratteristiche
specifiche dei singoli territori, ma molto meno per i prodotti trasformati, che, essendo di facile
scambio, dovrebbero almeno essere soggetti ad un protocollo – con validità internazionale – in
grado di garantirne le caratteristiche qualitative.
3.4 Bibliografia
Siti internet consultati • http://camera.ancitel.it/lrec/ • http://civil.udg.es/NORMACIVIL/estatal/CC/INDEXCC.htm • http://docm.jccm.es/pls/dial/dial_detalles.detalles_inicio?carpeta=3380 • http://europa.eu.int/eur-lex/lex/it/index.htm • http://premium.vlex.com/legislacion/boletin_BOA,0_x/Boletin-Oficial-de-
Aragon/dia,fecha_24-07-1991,0_1.html • http://www.agraria.org/funghi/normativatartufi.htm • http://www.boe.es/g/es/ • http://www.fft-tuber.org/index.asp • http://www.legifrance.gouv.fr/ • http://www.un.org/ • http://www.un.org/docs/ecosoc/ • http://www.unece.org/Welcome.html
40
4. ANALISI TECNICA ED ECONOMICA DELL’ATTIVITA’ VIVAISTICA
4.1 Aspetti tecnici
Per ottenere dei buoni risultati produttivi in tartuficoltura riveste un’importanza fondamentale, oltre
al luogo climaticamente ed edaficamente adatto, il materiale di propagazione impiegato. In linea di
massima l’impianto di tartufaie coltivate vede la messa a dimora di piante micorrizate col tartufo
che si desidera coltivare.
La produzione di piante micorrizate può essere fatta in un normale vivaio anche se richiede alcune
operazioni specifiche in aggiunta alla normale pratica riproduttiva, legate all’inoculazione del fungo
ed al controllo della durevolezza di tale simbiosi.
I principali punti di tale procedimento consistono, secondo quanto ormai codificato (Baglioni, 2000;
Chevalier, 1997; Ricard et al., 2003): nella predisposizione di materiale vegetale idoneo,
preparazione dell’inoculo del fungo e sua distribuzione sulle piante ospiti, allevamento delle
piantine per un certo tempo atto a garantire l’avvenuta micorrizazione ed infine nel controllo della
micorrizazione.
Essendo il materiale vegetale una delle componenti fondamentali per la riuscita della
micorrizazione e, di conseguenza, dell’impianto tartuficolo stesso, è innanzitutto necessario
scegliere una specie vegetale adatta alla coltura del tartufo: ossia le piante che, a livello spontaneo e
in precedenti sperimentazioni, si sono dimostrate buone simbionti. Tra queste si segnalano i generi
Quercus, Salix e Populus, ma in Francia sono anche utilizzate: nocciolo, pino nero, pino silvestre,
tiglio, faggio, cedro e carpini nero e bianco.
Nella scelta specifica delle piante simbionti vanno poi tenute in considerazione le caratteristiche
ambientali della zona di impianto, le esigenze ecologiche del tartufo ad esse connesso e le
caratteristiche di sviluppo della pianta stessa, che possono influire sulla durevolezza della
micorrizazione. Un’oculata scelta dei due simbionti, con particolare attenzione a quello più
sensibile – cioè al tartufo – è fondamentale per la buona riuscita dell’impianto.
Tra gli ulteriori aspetti di cui tenere conto si segnalano: la sensibilità alla contaminazione delle
radici, la morfologia del sistema radicale, la longevità (Chevalier, 1997), al fine di garantire una
corretta e durevole micorrizazione.
Il materiale vegetale può essere riprodotto tanto per semina quanto per moltiplicazione vegetativa
(propagazione in vitro, talee). I vantaggi legati alla moltiplicazione consistono principalmente nella
riduzione dell’eterogeneità attuale delle piante ospiti – tale variabilità si traduce, oltre che in
caratteristiche fenotipiche diverse, anche in una differente attitudine alla micorizzazione – e nello
sviluppo più rapido dell’apparato radicale.
41
Non essendo ancora dimostrato quanto la caratteristica “pianta buona produttrice di tartufi” sia
connessa al corredo genetico della pianta stessa e quanto alle condizioni stazionali, la riproduzione
avviene secondo la via più pratica per il vivaio.
Micorrizare una pianta significa infettarla con una parte (inoculo) del fungo col quale si desidera
che essa stringa un rapporto di simbiosi; le finalità di questa operazione sono la formazione delle
micorrize sulla maggiore porzione possibile di apparato radicale della pianta ospite e la protezione
delle micorrize formatesi dalla colonizzazione di micorrize antagoniste.
Vengono di seguito brevemente descritti i principali metodi attualmente utilizzabili (Chevalier,
1997) per predisporre l’inoculo ed utilizzarlo. L’inoculazione con le spore, si attua sbriciolando i
corpi fruttiferi maturi (tartufi) e distribuendoli a contatto con le radici delle piante selezionate, può
essere utilizzata su vasta scala ed offre il vantaggio di garantire una elevata variabilità genetica del
Tuber che assicura a sua volta una certa rusticità, e quindi plasticità ecologica; d’altro canto, questo
metodo, non consente di operare una accurata selezione genetica e di provenienza dei tartufi stessi.
Si può anche utilizzare l’ inoculazione per contatto, prendendo alcune porzioni di radici già infette
dall’apparato radicale di una “pianta madre” di verificata capacità produttiva, e ponendole a
contatto con le radici delle nuove piante da inoculare. La validità di questo metodo, ritenuto molto
efficace, può essere minata dal passaggio dalla pianta madre al nuovo individuo di funghi
micorrizogeni indesiderati o antagonisti di quello programmato.
Si può infine effettuare l’ inoculazione per coltura miceliare: questo procedimento è teoricamente il
più sicuro ed il più valido, ma richiede per la realizzazione strutture e personale specializzato;
inoltre il basso tasso di crescita del micelio dei tartufi ne impedisce ancora una attuazione su vasta
scala. Il principale vantaggio è la possibilità di produrre cloni di tartufi, e quindi di poter creare uno
stock di fonti di inoculo miceliari che integri la variabilità geografica, ecologica e genetica, isolando
il micelio a partire da tartufi provenienti da tartufaie naturali, di origine ben definita.
Le piante appena micorrizate hanno bisogno di far crescere il proprio apparato radicale in un
ambiente protetto, il più possibile vicino alla sterilità, in modo che il processo di formazione ed
accrescimento della simbiosi non venga compromesso dalla presenza di altri funghi micorrizogeni.
Tale caratteristica del substrato di crescita può essere ottenuta (Gradi, 1989) per sterilizzazione
chimica, cospargendo il terreno di prodotti fungicidi geodisinfestanti, oppure tramite il calore,
scaldando i primi strati di terreno fino a 100 °C.
Il controllo dell’avvenuta micorrizazione delle piante, in Italia, non è, al momento, obbligatorio: la
normativa vigente non prevede certificazioni. Ciò significa che il vivaista può immettere sul
mercato le piante micorrizate, senza che vi sia stata una preventiva verifica dell’effettiva presenza
del rapporto simbiotico.
42
Al contrario, in Francia, l’INRA (Insitut National de la Recherche Agronomique) ed il CTIFL
(Centre Technique Interprofessionnel. des Fruits et Légumes) hanno messo a punto un sistema di
controllo – cui i vivaisti aderiscono spontaneamente – basato sul prelievo di alcune piante campione
dai lotti destinati alla vendita; le piante sono esaminate con lo scopo di valutare l’intensità della
micorrizazione (con una scala da 0 a 5) e la presenza di eventuali contaminazioni da parte di altri
funghi micorrizogeni indesiderati.
Lo studio sui controlli di avvenuta micorrizazione è comunque in evoluzione e potrebbe portare,
nel tempo, all’elaborazione di un sistema unificato in grado di offrire maggiori garanzie agli
acquirenti di piante micorrizate anche nel nostro Paese.
4.2 Valutazioni economiche
Lo studio economico relativo alla produzione di piante micorrizate con tartufi è stato svolto presso
il Vivaio Regionale Gambarello di Chiusa Pesio, che nell’ambito del progetto Verchamp si è per
l’appunto occupato di tale attività, per il momento in via sperimentale, ma che in prospettiva
potrebbe svolgere in modo produttivo per la vendita delle piantine micorrizate sul mercato.
Come già detto, la produzione di piante micorrizate richiede alcune pratiche specifiche che sono
determinanti per il buon esito del lavoro. Più precisamente il Vivaio ha proceduto secondo le linee
indicate dai ricercatori dell’IPLA, che vengono di seguito brevemente ricordate.
Il processo inizia con fasi preliminari di preparazione dell’inoculo e sterilizzazione dei semi e del
terriccio. I semi sono lavati in acqua corrente e quindi sterilizzati in una soluzione di acqua e
candeggina commerciale in proporzione 1:1; il terriccio, dopo essere stato triturato per garantire
l’eliminazione delle parti grossolane, viene mescolato con vermiculite (2:1) e quindi collocato in un
cassone di acciaio per essere sottoposto a due cicli di vaporizzazione oltre i 100°C. Dopo questa
operazione il substrato sterilizzato deve riposare per almeno sette – dieci giorni, fatto che va tenuto
presente nell’organizzazione delle fasi successive del processo produttivo.
La preparazione dell’inoculo viene fatta miscelando l’imenio fungino polverizzato con sabbia
sterile; in fase sperimentale l’inoculo è stato predisposto dall’IPLA, mentre in fase produttiva se ne
occuperà direttamente il personale del Vivaio, mentre l’IPLA continuerà ad occuparsi
dell’accertamento della specie del tartufo.
Una volta che i materiali sono stati così predisposti, si può procedere secondo differenti modalità di
inoculazione; una discriminante della scelta del metodo di infezione è la dimensione del seme da
trattare, che può essere grande (querce, nocciolo) o piccolo (carpino, tiglio).
Le tecniche di inoculazione utilizzate presso il vivaio Regionale sono: al letto di semina o “pre-
emergenza”, in cui l’inoculo viene distribuito contemporaneamente al seme, pratica seguita di solito
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per le specie a seme piccolo; al trapianto: in questo caso il seme viene prima fatto germinare, e solo
al momento del trapianto si procede all’inoculo; questo metodo, che crea qualche problema di
shock di trapianto, è applicato solo per i semi grandi.
Le plantule in fase di crescita sono collocate in serra, dove viene mantenuta una temperatura
costante di 20°C, per contenere il consumo di gasolio, in caso di irrigidimento del clima esterno,
soprattutto la notte, la temperatura interna minima può scendere a 18°C.
La semina avviene all’inizio di gennaio; se è previsto il trapianto, questo viene effettuato a metà
marzo. Le piante micorrizate sono pronte per la messa a dimora in due diversi momenti: ad ottobre,
dopo circa nove mesi dalla semina, per le piante provenienti da seme grande; nella primavera
dell’anno successivo a quello della semina, dopo circa quindici mesi, per quelle derivanti da seme
piccolo.
4.3. Risultati ottenuti
Sulla base del processo di produzione precedentemente descritto, si è proceduto al calcolo dei costi
di produzione riportati nelle successive tabelle 1 e 3, mentre nelle tabelle 2 e 4 è possibile verificare
alcuni dati analitici utilizzati nel computo.
I dati economici derivano dalla rendicontazione che il Vivaio Regionale ha predisposto nell’ambito
del progetto “Verchamp” e quindi garantisce una adeguata precisione. Questo vale per quasi tutti i
costi variabili; per alcuni costi fissi e per la manodopera si è proceduto a valutazioni dirette con il
personale del Vivaio.
Le due linee produttive “inoculo alla semina” (Tab. 1) e “inoculo al trapianto” (Tab. 3) sono state
sviluppate con diverse ipotesi di produzione in relazione alla struttura della serra, che essendo stata
compartimentata consente il riscaldamento parziale. La produzione attuale è di 3000 piante, ma la
capienza massima è 10000: le due ipotesi intermedie sono state fatte per fornire un più ampio
ventaglio di scelta. In realtà le piante prodotte sono un numero minore in quanto, nel corso del
processo, si verifica una certa mortalità (stimata nella misura del 20%), della quale si è tenuto conto
nel calcolo del costo unitario (3000 è il numero di partenza, ma il processo si conclude con 2400
piante micorrizate).
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Tabella 1. Costo di produzione delle piante micorrizate con inoculo alla semina COSTI FISSI
Voce Quota annua di reintegrazione [€]
Interessi sul capitale investito [€]
Vasche acciaio inox 65x55x70 (n.2) 86 34 Vasche acciaio inox 65x70x70 (n.1) 46 18 Serra 2667 800 Contenitori 357 71 Telo pacciamante 26 5 Cassette e distanziali 234 47 Totale 3415 976 COSTI VARIABILI
Voce 3000 piante [€] 5000 piante [€] 7000 piante [€] 10000 piante [€] Tartufi per inoculo 3179 5298 7417 10595 Terriccio 990 1650 2310 3300 Gasolio per riscaldamento 1044 1044 1740 1740 Gasolio per sterilizzazione 418 696 974 1392 Manodopera operaio "B" 6951 10468 13987 19264 Manodopera operaio "A" 713 1189 1664 2378 Cassette 183 305 427 610 Varie 1203 2000 2800 4000 Totale 14681 22650 31320 43279 COSTO TOTALE [€] 19072 27040 35710 47669 COSTO UNITARIO PER PIANTA [€] 7,95 6,76 6,38 5,96
Tabella 2. Dati analitici relativi ai costi di produzione COSTI FISSI
Voce Valore nuovo [€] Durata [anni] Vasche acciaio inox 65x55x70 (n.2) 1710 20 Vasche acciaio inox 65x70x70 (n.1) 912 20 Serra 40000 15 Contenitori 3570 10 Telo pacciamante 263 10 Cassette e distanziali 2337 10
COSTI VARIABILI Voce Quantità Costo unitario [€/unità]
Terriccio [litri] 10000 0,33 Gasolio per riscaldamento [litri] 3000 0,58 Gasolio per sterilizzazione [litri] 2400 0,58 Manodopera operaio "B" [ore] 1409 13,67 Manodopera operaio "A" [ore] 160 14,86 Cassette [n. di pezzi] 1000 0,61 CALCOLO DELLA MANODOPERA
Fase di lavoro Unità Preparazione inoculo 2 giorni/kg tartufo Sterilizzazione terriccio 45 min/vasca Preparazione pianta 7 min/pianta Controllo in serra 30 min/giorno
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Per facilitare la comprensione, vengono di seguito fornite alcune precisazioni relative ai fattori
impiegati ed alle modalità di calcolo seguite.
• Serra: in questa voce rientrano: installazione, adattamento, raccorderia e ferramenta.
• Tartufi: il quantitativo è stato calcolato tenendo conto di un grammo di tartufo per ogni
pianta. Il prezzo dei tartufi è riferito all'anno 2005.
• Terriccio: si è calcolato l'utilizzo di un litro di terriccio per ogni pianta.
• Manodopera: si è fatto riferimento alle paghe orarie degli operai forestali (gennaio 2005).
L'operaio di categoria "A" si occupa della preparazione dell'inoculo; l'operaio di categoria
"B" delle altre operazioni.
• Varie: in questa voce sono comprese spese varie di ferramenta e materiale monouso.
• Quota di reintegrazione: calcolata sul valore a nuovo diviso la durata complessiva, senza
tener conto di alcun valore di recupero in relazione alla tipologia di apparecchiature.
• Interessi: calcolati sul totale del capitale investito, fissi, con un saggio pari al 2%.
• Riscaldamento: nei casi in cui siano prodotte 3000 e 5000 piante, la serra viene scaldata per
tre quinti; nel caso di 7000 e 10000 piante la serra viene scaldata completamente.
• Costo unitario per pianta: calcolato tenendo conto di una mortalità delle piante pari al 20%.
• Preparazione inoculo: comprende le operazioni di lavaggio, controllo al microscopio,
disinfezione, disinfezione della sabbia, stoccaggio e successiva macerazione.
• Preparazione pianta: dal lavaggio del seme alla disposizione della plantula in serra.
• Controllo in serra: tempo comprensivo dell’ irrigazione.
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Tabella 3. Costo di produzione delle piante micorrizate con inoculo al trapianto COSTI FISSI
Voce Quota annua di reintegrazione [€]
Interessi sul capitale investito [€]
Vasche acciaio inox 65x55x70 (n.2) 86 34 Vasche acciaio inox 65x70x70 (n.1) 46 18 Serra 2667 800 Contenitori 357 71 Telo pacciamante 26 5 Cassette e distanziali 234 47 Totale 3415 976 COSTI VARIABILI
Voce 3000 piante [€] 5000 piante [€] 7000 piante [€] 10000 piante [€] Tartufi per inoculo 3179 5298 7417 10595 Terriccio 990 1650 2310 3300 Gasolio per riscaldamento 7540 7540 12567 12567 Gasolio per sterilizzazione 418 696 974 1392 Manodopera operaio "B" 8892 13777 18662 25989 Manodopera operaio "A" 713 1189 1664 2378 Cassette 183 305 427 610 Varie 1203 2000 2800 4000 Totale 23118 32454 46821 60830 COSTO TOTALE [€] 27509 36845 51212 65221 COSTO UNITARIO PER PIANTA [€] 11,46 9,21 9,14 8,15
Tabella 4. Dati analitici relativi ai costi di produzione COSTI FISSI
Voce Valore nuovo [€] Durata [anni] Vasche acciaio inox 65x55x70 (n.2) 1710 20 Vasche acciaio inox 65x70x70 (n.1) 912 20 Serra 40000 15 Contenitori 3570 10 Telo pacciamante 263 10 Cassette e distanziali 2337 10
COSTI VARIABILI Voce Quantità Costo unitario [€/unità]
Terriccio [litri] 10000 0,33 Gasolio per riscaldamento [litri] 3000 0,58 Gasolio per sterilizzazione [litri] 2400 0,58 Manodopera operaio "B" [ore] 1409 13,67 Manodopera operaio "A" [ore] 160 14,86 Cassette [n. di pezzi] 1000 0,61 CALCOLO DELLA MANODOPERA
Fase di lavoro Unità Preparazione inoculo 2 giorni/kg tartufo Sterilizzazione terriccio 45 min/vasca Preparazione pianta 7 min/pianta Controllo in serra 30 min/giorno
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Osservando le varie ipotesi formulate, risulta subito evidente come l’inoculo al letto di semina
comporti costi decisamente inferiori, in ragione, principalmente, del ridotto impiego di due fattori
produttivi: la manodopera ed il gasolio per il riscaldamento della serra. Relativamente alla
manodopera, il calo di impiego è di circa tre minuti a pianta, dovuto al fatto che viene eliminata
l’operazione di trapianto delle plantule. La voce che ancor più drasticamente comporta una
diminuzione dei costi è il combustibile per il riscaldamento: come già detto, infatti, le piante
destinate all’inoculo nel letto di semina vengono preparate e messe nella serra a partire da marzo,
mentre quelle destinate al trapianto sono seminate già in gennaio; ne conseguono diversi periodi di
riscaldamento e proporzionali consumi di carburante, poiché scaldare la serra per tutto l’inverno ha
dei costi elevatissimi, mentre provvedere dal mese di marzo significa evitare il periodo di maggiore
rigidità e attivare l’impianto di riscaldamento solo durante le prime settimane o in occasione di
eventuali gelate tardive. Ne risulta che l’incidenza del costo del per riscaldamento varia tra il 4 ed il
6%, nel caso di inoculo alla semina, mentre assume valori tra il 19 e il 27% nel caso di inoculo al
trapianto.
In conclusione il costo di produzione di una singola pianta micorrizata varia, nel caso di inoculo alla
semina, tra 7.95 Euro (3000 piante) e 5.96 Euro (10000); mentre se si procede con l’inoculo al
trapianto, tale costo varia tra 11.46 Euro e 8.15 Euro.
Come già detto, dal punto di vista economico il procedimento con inoculo alla semina risulta
nettamente da preferire, non va dimenticato che il Vivaio è collocato in un luogo pedemontano
caratterizzato da clima invernale piuttosto rigido.
Inoltre anche se l’incidenza dei costi fissi è piuttosto contenuta rispetto a quella dei costi variabili, il
produrre quantitativi maggiori consente comunque una diminuzione significativa del costo unitario.
Sarebbe quindi auspicabile che la produzione di piantine micorrizate fosse sviluppata al massimo
della capienza consentita dalla struttura.
Tenuto anche conto che dall’indagine condotta presso i tartuficoltori/cercatori (cfr. Cap. 5) è emerso
un significativo interesse ad incrementare le piantagioni di tartufi (o ad iniziarle) e quindi la
domanda di tale prodotto esiste, anzi al momento viene segnalato come problema il reperimento del
materiale riproduttivo certificato a prezzi adeguati.
A questo proposito va ricordato che il risultato produttivo di una piantagione non è sempre
garantito, in relazione ai molteplici fattori che influenzano tale coltura. In tale contesto la qualità
del materiale di impianto assume una significativa rilevanza.
In questa ottica, una proposta operativa realizzabile nel caso specifico, potrebbe essere la seguente:
un ente esterno verifica i tartufi utilizzati per la preparazione dell’inoculo, successivamente il
medesimo ente certifica l’ avvenuta micorrizzazione su un numero di piante scelto a campione.
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Questa procedura darebbe origine ad un piccolo aumento di costo per la certificazione, ma
garantirebbe maggiormente l’acquirente.
4.4 Bibliografia
• Baglioni F. (2000): Piante tartufigene: a che punto siamo?, Sherwood, n. 58. • Chevalier G., Frochot H. (1997): La maîtrise de la culture de la truffe, Revue Forestière
Française, n. speciale. • Gradi A. (1989): Vivaistica forestale, Edagricole, Bologna. • Ricard J-M., Bourrieres D., Cronier L. (2003): Les évaluations des jeunes plants à vocation
truffière, Info CTIFL, n. 189.
49
5. INDAGINE DIRETTA A CERCATORI/TARTUFICOLTORI
Al fine di meglio inquadrare il contesto reale del settore tartuficolo piemontese, in relazione anche
alla nota carenza di informazioni consolidate che lo caratterizzano da quasi tutti i punti di vista, si è
svolta un’indagine diretta presso cercatori e tartuficoltori. I primi visti come fornitori di
informazioni prevalentemente sul tartufo bianco, mentre i secondi sui tartufi neri (pregiato e
scorzone) con particolare riguardo alle modalità di coltivazione; anche se non va dimenticato che
spesso le due figure coincidono.
Le ipotesi colturali e le relative specifiche tecniche vengono presentate e discusse nel successivo
capitolo 6, mentre di seguito si espone quanto emerso dalle interviste con particolare riferimento ai
problemi e suggerimenti messi in rilievo dagli interlocutori contattati.
L’indagine ha avuto anche lo scopo di approfondire la conoscenza delle caratteristiche del
“cercatore tipo”, nel tentativo di definire quali siano le peculiarità dei primi attori della filiera del
tartufo.
5.1 Cenni metodologici
Per raccogliere e classificare le informazioni in modo omogeneo, è stata utilizzata una scheda di
rilievo che viene di seguito riportata (scheda 1).
Il questionario è stato diviso in tre parti, riguardanti rispettivamente: le anagrafiche, l’attività di
tartuficoltura e quella di cerca ed estrazione in tartufaie naturali.
La parte anagrafica serve a tracciare un profilo di massima delle figure del cercatore e
tartuficoltore in base all’età, al livello di istruzione, alla professione – attuale o precedente il
pensionamento – e alla professione dei genitori. Con questo ultimo dato si vuole verificare quanto
la tradizione familiare e la provenienza al settore agricolo influenzino la scelta di diventare trifulau
o tartuficoltori.
La parte dedicata alla tartuficoltura è introdotta dalla domanda sulle motivazioni che hanno portato
ad intraprendere l’attività; vengono poi indagate le caratteristiche della tartufaia (estensione, specie
arborea, specie di tartufo, orografia della zona, esposizione ed età della tartufaia). Sono poi prese in
considerazione le operazioni eseguite per l’impianto e quelle di gestione corrente, se la tartufaia è
già in produzione, compresa la cerca e la raccolta, per conoscerne modalità operative e costi.
Sono poi presenti due domande più generali, ed in qualche misura connesse tra loro, riguardanti
l’una eventuali intenzioni di ampliamento dell’attività ed aspettative, e l’altra la conoscenza della
normativa vigente e della esistenza di incentivi per il settore.
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Scheda 1. Questionario per i cercatori e i tartuficoltori ANAGRAFICHE
1. Tipologia: cercatore - tartuficoltore
2. Dati personali:
a. età
b. grado di istruzione
c. professione
d. professione dei genitori
TARTUFICOLTURA
1. Perché ha intrapreso l’attività?
2. Superficie coltivata
a. estensione
b. specie arborea
c. specie del tartufo
d. orografia
e. esposizione
f. età della tartufaia
3. Operazioni colturali effettuate
a. analisi del suolo
b. lavorazioni
c. messa a dimora
d. lavorazioni post-impianto
e. irrigazione
f. potature
g. ricerca e raccolta
h. misure di difesa
4. Spese sostenute
a. analisi del suolo
b. lavorazioni
c. messa a dimora
d. lavorazioni post-impianto
e. irrigazione
f. potature
g. ricerca e raccolta
h. misure di difesa:
5. Aspettative e intenzioni (ampliamento, investimenti, ecc.)
6. Aspetti normativi (conoscenza di norme e incentivi)
7. Materiale di propagazione
a. dove sono state acquistate le
piante e perché
b. quali sono le aspettative
8. Attese di reddito
9. Assistenza tecnica ricevuta
RICERCA E RACCOLTA IN TARTUFAIE NATURALI
10. Prassi
11. Modalità di vendita
12. Cane (ruolo nella cerca, gestione,
addestramento, etc.)
PRINCIPALI PROBLEMI
SUGGERIMENTI E NOTE
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Un aspetto affrontato in modo specifico è quello relativo al materiale di propagazione, sempre
nell’ottica di filiera che segue l’intero lavoro; viene richiesta la provenienza delle piante
micorrizate, la motivazione della scelta del vivaio di approvvigionamento, ed infine le aspettative
riposte nel materiale di propagazione. Infine si cerca di valutare le attese di reddito da parte dei
tartuficoltori.
L’ultima parte del questionario è dedicata alla ricerca e raccolta in tartufaie naturali, con domande
sulle modalità di cerca e sulle modalità di vendita dei prodotti cavati. Una domanda specifica
riguarda il ruolo svolto dal cane durante la cerca al fine di appurare il peso effettivamente datogli
nell’ambito dell’attività, nonché quale sia l’entità delle spese sostenute per il mantenimento.
In conclusione sono state inserite due domande “aperte”, inerenti i principali problemi riscontrati
durante lo svolgimento dell’attività (sia di raccolta, sia di coltivazione) e gli eventuali suggerimenti
che gli intervistati, sulla base della loro esperienza, vogliono esprimere.
Sono state svolte dieci interviste, presso interlocutori che rappresentassero, per zona di attività, tutte
le aree di maggior produzione tartuficola in Piemonte: il Monferrato, l’Albese, l’Alessandrino (Val
Curone), il Cuneese, la collina Torinese ed il Cebano.
Il numero di intervistati è molto ridotto e non può essere ritenuto rappresentativo in termini
statistici. E’ risultato però utile a descrivere le caratteristiche di un settore che presenta forti
connotazioni zonali, aspetti di notevole riservatezza degli operatori, scarsa trasparenza del mercato.
5.2 Risultati emersi dall’indagine
Gli interlocutori interpellati possono essere sommariamente distinti in due categorie: alcuni – circa
la metà – cercano e/o coltivano a livello professionale, mentre gli altri si dedicano alle attività del
settore tartuficolo più che altro a livello hobbistico; all’interno di quest’ultima categoria può essere
fatta un’ulteriore distinzione fra chi, pur non dedicandosi alle attività in modo professionale, è
comunque inserito nel commercio (quattro intervistati) e chi invece (un intervistato), esercitandosi a
puro livello hobbistico, consuma i prodotti cavati privatamente .
La distinzione appena esposta può essere messa in relazione con l’età e la posizione lavorativa: tutti
i “professionisti”, infatti, sono pensionati, mentre negli altri casi le attività legate ai tartufi sono
svolte nel tempo lasciato libero dal lavoro.
La maggior parte degli interlocutori provengono da genitori che hanno lavorato o lavorano nel
comparto agricolo, ma sono in pochi ad aver acquisito la passione per i tartufi e la cultura ad essi
legata all’interno della famiglia: sono stati rilevati, infatti, più casi in cui il passaggio delle
conoscenze è avvenuto da parte di amici o comunque da persone più anziane esterne al nucleo
famigliare.
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Un dato rilevato interessante è la conversione di molti raccoglitori da cacciatori a trifulau: secondo
gli intervistati questo dipende dal fatto che, sovente, chi non vuole più cacciare – qualunque sia la
ragione – conserva la passione per le passeggiate col proprio cane, e finisce col diventare un
cercatore di tartufi.
Dei dieci intervistati sei sono solo cercatori e quattro sono anche tartuficoltori; il sesso è
prevalentemente maschile, l’età media è di cinquantatre anni, anche se è interessante notare che gli
intervistati si dividono nettamente in due fasce: una di età superiore ai sessanta, l’altra inferiore ai
trenta, con due sole eccezioni ricadenti nella fascia quaranta-cinquanta.
Le tartufaie coltivate dagli interpellati hanno tutte estensioni inferiori all’ettaro; oltre alle tartufaie
impiantate, alcuni possiedono dei terreni naturalmente vocati su cui effettuano lavori di pulitura e
piantano qualche albero, in questi casi le superfici aumentano notevolmente, ma questi casi non
sono ascrivibili a vera e propria tartuficoltura.
Le specie arboree utilizzate rientrano quasi sempre nel genere Quercus, ma sono stati rilevati anche
pioppo, carpino e nocciolo; tutti questi generi sono stati micorrizati soprattutto con tartufi neri (T.
melanosporum o T. aestivum), anche se, nell’esperienza degli intervistati, sono stati fatti alcuni
impianti con il T. magnatum, che non hanno dato però inizio ad alcuna produzione o, nel migliore
dei casi, hanno prodotto dello scorzone.
Le età delle tartufaie sono piuttosto varie: alcune hanno circa vent’anni, fino alle più recenti di due-
tre anni.
Le pratiche colturali sono svolte a discrezione del tartuficoltore: ognuno degli intervistati ha
espresso pareri e prassi molto differenziati, anche se è possibile riscontrare alcuni punti comuni,
quali, ad esempio, l’aratura iniziale del terreno di impianto e le periodiche puliture dalle infestanti.
Quanto alle potature, sebbene tutti vi abbiano fatto ricorso almeno una volta, le impressioni sono
discordanti, tanto che alcuni tartuficoltori hanno smesso di praticarle dopo aver notato un calo
produttivo.
Tutti gli intervistati sarebbero disposti ad irrigare, ma in alcune zone l’approvvigionamento idrico è
complesso o comunque molto costoso, al che quasi tutti vi hanno rinunciato, pur sapendo che
questo potrebbe influire negativamente sulla produttività della tartufaia.
Vista la normativa vigente inerente il diritto esclusivo di raccolta sulle tartufaie coltivate e
controllate legalmente riconosciute, è stata fatta una domanda anche sulle recinzioni e sulle misure
di protezione in generale. Dei tartuficoltori intervistati uno solamente ha provveduto a proteggere la
propria area; gli altri hanno addotto varie motivazioni per la loro opposta scelta, quali: l’assenza di
pressione da parte di altri cercatori nella zona di impianto, i costi piuttosto elevati di installazione di
53
paleria, reti e tabelle, e l’effetto negativo delle recinzioni, le quali finiscono con l’attirare
l’attenzione – soprattutto dei cercatori “abusivi” – più di quanto non proteggano l’impianto.
Per quanto concerne la fase di ricerca e raccolta, nel periodo consentito dalla legge gli intervistati si
recano sulle tartufaie quotidianamente – sia di giorno, sia di notte - compatibilmente con gli orari di
un eventuale attività lavorativa giornaliera.
L’analisi delle voci di costo è piuttosto difficoltosa perché non tutti gli interlocutori hanno
acconsentito a dare le informazioni richieste (spese sostenute) e perché, in molti casi, non era
possibile risalire ad una quantificazione certa dei materiali e, soprattutto, delle ore di lavoro.
Comunque le informazioni ottenute sono state utilizzate per l’elaborazione delle schede tecniche
relative alla tartuficoltura, presentate nel capitolo successivo.
Le aspettative e le eventuali intenzioni di ampliamento sono piuttosto limitate, in dipendenza del
fatto che gli investimenti per l’acquisto dei terreni e dei materiali necessari sono elevati, e le
aspettative di reddito, al momento, non del tutto certe.
La normativa di riferimento è ben conosciuta da tutti gli interlocutori; va detto che, al rispetto delle
leggi si accompagna, nella maggioranza dei casi, una serie di lamentele relative a vari aspetti, che
verranno riferite e commentate successivamente nella parte dedicata ai problemi ed ai suggerimenti.
Sul materiale di propagazione la situazione si è rivelata alquanto diversificata: a fronte della
necessità di impiantare piante micorrizate, la maggior parte dei tartuficoltori si è rivolta a vivai
specializzati, ma non mancano esempi di sperimentazioni “fatte in casa”, spesso andate anche a
buon fine. Le fonti di approvvigionamento delle piante micorrizate, a cui gli intervistati si sono
principalmente rivolti, sono tre: un vivaio privato piemontese, un istituto di ricerca ed un vivaio
privato francese. Il vivaio piemontese, nel giudizio dei tartuficoltori intervistati, fornisce piante ben
micorrizate ad un prezzo conveniente, mentre il vivaio francese pratica prezzi considerati un po’
troppo alti. Quanto all’istituto di ricerca è stata espressa una certa insoddisfazione per via di alcune
piante acquistate come micorrizate col tartufo bianco, ma mai entrate in produzione nell’arco di
vent’anni, e pagate un prezzo ritenuto piuttosto alto.
Il sentire degli intervistati sulle attese di reddito è piuttosto cupo: benché abbiano tutti investito
nella tartuficoltura, nessuno di loro si aspetta grandi risultati dal punto di vista economico o, un po’
più ottimisticamente, dichiara di non essere in grado di fare previsioni. Le motivazioni indicate sono
principalmente: il generale calo di produzione di tartufi che si riscontra sul territorio a causa delle
modificazioni colturali e climatiche; l’incertezza rispetto al reddito ottenibile dalla tartuficoltura; la
presenza dei cercatori “abusivi” che non solo raccolgono parte della produzione della tartufaia, ma,
con questo agire, non permettono neanche di capire con chiarezza quali siano i livelli produttivi e,
di conseguenza, di quantificare la redditività dell’investimento.
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Infine, riguardo l’assistenza tecnica, gli intervistati hanno dichiarato di non averne ricevuta affatto,
ma di aver sopperito con la letteratura esistente sull’argomento o con l’appartenenza a gruppi di
appassionati in grado di scambiarsi consigli ed esperienze.
La parte di questionario elaborata per la categoria dei cercatori si è poi rivelata utile per ogni tipo di
interlocutore, perché si è riscontrato che tutti i tartuficoltori intervistati sono stati, o sono tuttora,
anche cercatori.
Alla richiesta di raccontare la propria prassi di ricerca ogni intervistato ha connotato la risposta con
dei particolari differenti, ma, in linea di massima, i fattori fondamentali sono uguali per tutti e
possono essere così riassunti: nel periodo di massima produzione la cerca avviene sia di giorno sia
di notte, e, per quanto riguarda i cosiddetti cercatori “professionali”, impegna l’intero arco della
giornata, ovviamente al calare della produzione diminuisce il tempo dedicato alla cerca; in linea di
massima si avvalgono tutti di un solo cane, raramente di due; principalmente la cerca avviene su
terreni propri o nei posti storici che ogni trifulau tiene segreti (pur con parecchie escursioni anche
nei terreni di raccolta libera); inoltre la maggior parte dei cercatori raccoglie tartufo bianco, ma
ultimamente, vista la scarsità di quest’ultimo, e considerato che lo scorzone ha un suo proprio
mercato, si sta diffondendo l’abitudine di raccogliere anche il nero estivo.
Più difficile è stato quantificare la quantità mediamente raccolta di tartufo bianco, in quanto tutti gli
intervistati sono stati su questo argomento piuttosto vaghi; tuttavia, sulla base delle informazioni nel
complesso raccolte, si ritiene di poter stimare un quantitativo medio di 20 chilogrammi a stagione
per i cercatori professionali, e fino a 10 chilogrammi per gli hobbisti. Su tale valutazione
concordano alcuni esperti del settore e, al momento, non si sono avute smentite. Va comunque
sottolineato che si tratta di una stima, e non di valori assoluti, e che si deve poi tenere in
considerazione la variabilità stagionale connessa a molteplici fattori tra cui quello climatico.
La raccolta di tartufo nero – in Piemonte soprattutto scorzone – non è facilmente quantificabile
perché non tutti i trifulau sono disposti ad ammettere di cercare anche il nero, ed il computo delle
quantità non viene tenuto con la medesima precisione usata per il bianco, tenuto anche conto del
valore di mercato nettamente inferiore; si è valutato che la raccolta media stia in rapporto di circa
10 volte rispetto al tartufo bianco, il che porterebbe ad una forcella, considerata come nel caso
precedente, di 100 e 200 chilogrammi a stagione per cercatore.
Ogni cercatore tende a vendere i propri tartufi sempre attraverso gli stessi canali, le interviste hanno
evidenziato che il canale più utilizzato è quello dei commercianti e dei ristoratori, cui segue la
vendita a privati; mentre i mercati sono poco utilizzati. Un cercatore della provincia di Cuneo ha
segnalato di avere dei canali di vendita anche oltre il confine, in Francia, fatto legato alla tipologia
di tartufo (nero pregiato) ed alla collocazione geografica; mentre tutti gli altri restano sul territorio
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nazionale, e quasi tutti su quello Regionale, questo può essere in relazione al fatto che i nostri
intervistati sono soprattutto cercatori e non commercianti.
Una delle domande del questionario era intesa ad approfondire gli aspetti legati ai cani da tartufo:
razze più efficienti, costi di mantenimento, tipo di addestramento, etc.
La maggior parte degli interpellati ha cani derivanti da incroci, in cui uno dei genitori è un breton o
un bracco; il parere unanime è che le femmine sono più docili e facili da addestrare, ma possono
creare problemi nella cerca durante il periodo di estro.
Pressoché tutti i cercatori intervistati dichiarano di non fare commercio delle cucciolate, preferendo
invece regalarle, e tenendo sovente per sé il cucciolo che appare più promettente. Si è comunque
riusciti ad avere un’indicazione di massima sul valore di un cane da tartufi, suddiviso per fasce di
età e di livello di addestramento (senza tenere conto in questa sede del valore aggiunto per
l’appartenenza ad una particolare razza o per la spontanea abilità del cane): ad un anno di età, con
un addestramento di base, il prezzo si aggira sui 1000 Euro, per salire a 2500-3000 quando l’età
raggiunge i due-tre anni e quindi anche le capacità di cerca sono state affinate. A cinque anni, ad
addestramento completato, il prezzo può salire fino ad 8000-10000 Euro.
In definitiva, però, i cercatori, soprattutto quelli professionali, si addestrano direttamente il proprio
cane, portandolo in giro con un altro cane più anziano o facendolo esercitare a cercare briciole di
tartufi o batuffoli imbevuti di olio in cui sono stati fatti macerare tartufi; normalmente
l’addestramento inizia molto presto, quando il cane è ancora cucciolo, utilizzando i sistemi suddetti
messi in forma di gioco.
Tra i cercatori intervistati solo un paio possiedono un unico cane; gli altri ne hanno da due a quattro,
anche se hanno dichiarato che per la cerca è meglio portarne con sé uno solo alla volta.
Alcuni cercatori sostengono sia meglio non far cercare tartufo nero estivo ai cani che sono abituati a
cercare il bianco, perché si “rovinano l’olfatto” e tendono poi a confondersi e distrarsi più
facilmente, ma su questo non tutti i pareri sono concordi.
Come già anticipato, il questionario termina con due domande aperte volte ad evidenziare i
principali problemi riscontrati nell’attività oggetto di studio e gli eventuali suggerimenti al
riguardo.
Gli interlocutori intervistati hanno messo in luce due fondamentali ordini di problemi, di cui uno
legato alla pressione antropica sul territorio e al controllo, e l’altro connesso alle caratteristiche del
territorio.
Per quanto concerne la pressione antropica, i problemi effettivi sono più d'uno, tutti abbastanza
connessi fra di loro: innanzitutto molti cercatori non sono in possesso del tesserino previsto dalla
normativa, ma svolgono indisturbati le attività di ricerca e raccolta. In secondo luogo i cercatori
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"improvvisati", sovente, non estraggono i tartufi in modo corretto o rispettoso dell’ambiente: sono
infatti frequenti buche lasciate aperte o danni apportati all'apparato radicale delle piante simbionti;
inoltre alcuni cercatori, che, per appartenenza a consorzi o per proprietà di terreni tartufigeni, hanno
diritto esclusivo alla cerca, si spostano anche in altre zone, approfittando così di una duplice
occasione di guadagno; infine si presenta il problema del generale aumento dei cercatori per via
delle prospettive di un "facile guadagno” attraverso l'attività estrattiva.
Tutte queste problematiche sono aggravate dallo scarso - o quasi nullo - controllo da parte
dell'autorità competente del rispetto della normativa. Accade così che si possa esercitare la cerca
senza tesserino, o raccogliere tartufi ancora non del tutto sviluppati per incapacità di riconoscimento
dello stato di maturità, o ancora non richiudere le buche o, peggio ancora, raccogliere in terreni
dove non si può, commettendo quindi dei veri e propri furti, senza che sia esercitata alcuna forma di
controllo o forma sanzionatoria.
L'ordine di problemi legati al territorio si esprime principalmente nella diminuzione della capacità
produttiva dei terreni, cui, secondo gli intervistati, si accompagnano la mancanza di incentivi
adeguati per il mantenimento delle piante produttive, la minor manutenzione del territorio, le
lavorazioni agricole troppo profonde ed il taglio di molte piante.
Vista la varietà delle problematiche presentate, è stato richiesto agli intervistati di fare delle
proposte per il miglioramento del settore e per la risoluzione dei problemi, a loro avviso, più
urgenti; la prima, sulla quale concordano tutti, è l’intensificazione dei controlli, cosicché chi non è
in regola col tesserino, o raccoglie fuori stagione, o commette furti, sia fermato ed adeguatamente
multato.
Altre proposte sono venute a proposito della tutela del territorio: maggiorazione degli incentivi,
iniziative in collaborazione con gli enti locali per incrementare la produzione di tartufo nero
pregiato e, non ultima, la cura delle tartufaie di bianco con incremento del numero di piante
produttive – eventualmente con l’ausilio di piante micorrizate.
Due degli intervistati, appartenenti alla fascia di età più giovane, hanno dato maggiore rilievo alla
gestione del cane, entrambi proponendo percorsi guidati e corsi di formazione per migliorare il
rapporto trifulau – cane, al fine di rendere i cani più efficienti ed i padroni più preparati ad una
gestione più rispettosa del benessere del loro fido collaboratore.
La proposta più strutturata, inerente la regolamentazione della raccolta, proviene da un
cercatore/tartuficoltore della collina Torinese – particolarmente frequentata da parte dei liberi
cercatori – che ha proposto una spartizione del tempo di raccolta in periodo di cerca, in modo che
siano garantiti contemporaneamente il rispetto dell’ambiente ed il diritto alla cerca per chi si occupa
della manutenzione del territorio. L’ipotesi da lui suggerita è: nella settimana riservare tre giorni al
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proprietario manutentore del terreno, due giorni aperti alla libera cerca, e due giorni di divieto
assoluto per tutti. Ovviamente tale proposta implica l’esistenza di un organismo di controllo in
grado di svolgere effettivamente la propria funzione, anche perché non è pensabile che il singolo
possa eseguire tali controlli in prima persona su terreni non tabellati o recintati, in quanto liberi.
In definitiva, le interviste svolte, confermano uno spaccato già noto: il rilevante prezzo di mercato
del tartufo muove da sempre un interesse notevole per la cerca, contribuendo a creare una certa
contrapposizione tra chi svolge questa attività in modo organico, al fine di ottenere un’adeguata
integrazione del proprio reddito, e chi invece la svolge in maniera più estemporanea. Ovviamente i
cercatori professionali non vedono troppo di buon occhio i cercatori più improvvisati, sia a causa
della concorrenza sul territorio, sia in quanto attribuiscono loro dei mali comportamenti legati alla
scarsa conoscenza del Tuber e della sua biologia.
Quanto alla cura del territorio ed all’incremento del patrimonio tartufigeno, di nuovo il problema è
antico: come già evidenziato nel capitolo 2, il Prof. Mattirolo agli inizi del ‘900 denunciava il
problema della scomparsa delle piante simbionti e l’immediata necessità di ripopolare i boschi per
incrementare le produzioni.
Rispetto alla definizione delle tipologie dei cercatori e dei tartuficoltori, dalle interviste svolte
emerge un quadro abbastanza vario per età e formazione, ma nel quale vi sono alcune costanti:
innanzitutto il legame con il territorio di origine, che resta la zona favorita per la cerca – fattore su
cui influisce sicuramente l’approfondita conoscenza sviluppata nel tempo dei luoghi del tartufo – ed
in secondo luogo la volontà di continuare una tradizione culturale, molto spesso appresa
nell’infanzia o nella giovinezza. Interessante appare anche il riscontro che in linea di massima le
figure di cercatore e tartuficoltore coincidono: sia che si tratti di coltivazione vera e propria a partire
dalla messa a dimora di piante micorrizate, sia di semplici rimboschimenti in zone produttive.
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6. VALUTAZIONI ECONOMICHE DI PIANTAGIONI TARTUFICOLE
La coltivazione in senso stretto del tartufo bianco (Tuber magnatum Pico) non è al momento
praticabile, ma per questa specie sono oggi solo perseguibili pratiche colturali in grado di favorire la
fruttificazione e la riproduzione del medesimo, includendo quindi anche l’impianto di nuovi alberi
in terreni vocati o già produttivi; di seguito ci si concentrerà sulla tecnica colturale e sulla
valutazione economica concernente gli impianti di tartufi neri.
Saranno prese in esame e valutate due diverse possibilità: tartufaie di tartufo nero pregiato (Tuber
melanosporum Vitt.) e tartufaie di scorzone (Tuber aestivum Vitt.). Le due opportunità possono
costituire una valida alternativa in relazione a differenti situazioni ecologiche ed edafiche.
6.1 Aspetti tecnico colturali
Le operazioni eseguite per l’impianto e la cura di una tartufaia coltivata consistono nella scelta del
sito e della giusta combinazione tartufo-pianta simbionte, nelle lavorazioni pre-impianto del terreno,
nella messa a dimora delle piante simbionti, nelle lavorazioni post-impianto, nelle operazioni di
irrigazione e potatura, ed infine nella raccolta.
La scelta del sito in cui impiantare una tartufaia è un fattore di fondamentale importanza, qualunque
sia il tartufo prescelto per la coltura: è buona norma scegliere una zona naturalmente vocata alla
produzione. Tale condizione è facilmente verificabile consultando le carte tematiche elaborate
dall’IPLA. L’idoneità di massima non esclude una valutazione specifica della qualità del suolo,
ottenibile mediante un’analisi pedologica volta ad indagare: tessitura, struttura, pH, presenza di
carbonato di calcio totale e quello libero nella soluzione circolante.
La scelta della pianta simbionte è un altro elemento importante per la riuscita dell’impianto: la
specie va scelta in base alla sua capacità di simbiosi col tartufo, in base alla specie di tartufo ed in
base alle caratteristiche climatiche della zona destinata all’impianto; in linea di massima vale il
principio di imitazione della natura. Nelle simulazioni qui proposte si prevede l’acquisto delle
piante micorrizate della specie individuata presso un vivaio specializzato.
Le lavorazioni del terreno nel periodo precedente l’impianto, permettono di ottenere un substrato di
crescita ottimale: dopo eventuali decespugliamento e spietramento, si procede con un’aratura
abbastanza profonda, seguita da un’erpicatura leggera.
Prima di mettere a dimora le piante si esegue la squadratura e il picchettamento del sesto di
impianto. Per la miglior conservazione delle micorrizze è particolarmente importante non far subire
carenze idriche all’apparato radicale ed anche non rompere il pane di terra in cui è cresciuto.
59
Le lavorazioni post-impianto hanno lo scopo di favorire la ritenzione idrica, agevolare la
colonizzazione del terreno da parte degli apparati radicali delle piante e contenere la vegetazione
spontanea per limitarne la concorrenza nei confronti delle piante tartufigene.
Nel periodo di impianto l’irrigazione è una pratica necessaria per garantire l’attecchimento delle
giovani piante e favorire lo sviluppo dell’apparato radicale e quindi delle micorrize. Come prassi
colturale, soprattutto nel periodo estivo, ma spesso anche a fine primavera, è ormai ritenuta
opportuna.
Anche sulle potature si discute alquanto, ma i più concordano nel dire che è necessario lasciare
arrivare luce a terra e quindi è buona norma contenere le chiome, tendendo alla forma di cono
rovesciato; in linea generale l’obiettivo può essere il mantenimento di un certo equilibrio fra parte
epigea e parte ipogea della pianta.
Quando l’impianto entrerà in produzione, dopo 7 -10 anni a seconda della specie, la raccolta dei
tartufi viene svolta lungo l’intero arco della giornata, compresa la notte, con l’ausilio di uno o due
cani appositamente addestrati.
Sulla base dei criteri tecnico-colturali brevemente riportati e tenuto conto di quanto emerso dalle
interviste ai tartuficoltori, si è proceduto alla definizione delle due ipotesi da sottoporre a
valutazione: tartufo nero pregiato su roverella e tartufo nero estivo su nocciolo. Le due tipologie si
adattano ad ambienti e situazioni diversi: più precisamente la tartufaia di nero pregiato è adatta
soprattutto ad ambienti vocati e che consentano cure colturali più intensive, mentre quella di
scorzone può offrire una buona opportunità per territori più difficili, anche dal punto di vista idrico.
6.2 Tartufaia di nero pregiato
In tabella 1 è riportata la scheda tecnica dell’impianto di tartufo nero pregiato associato a roverella,
la superficie di riferimento è pari ad un ettaro, la durata complessiva ipotizzata è di trent’anni e
l’entrata in produzione è prevista al decimo anno.
Dalla scheda è possibile verificare le operazioni considerate e la tipologia di fattori impiegati.
Il sesto di impianto scelto è di 6 x 6 per una densità di 278 piante ad ettaro.
L’operazione di messa a dimora comprende: lo scavo della buca, la messa a dimora vera e propria e
la predisposizione dei dispositivi di protezione da roditori e ungulati di tipo “tree shelter”.
Sono stati programmati cinque interventi di irrigazione, soprattutto col fine di garantire
l’attecchimento delle giovani querce, in accordo con quanto dichiarato dai tartuficolori intervistati.
Per l’irrigazione è stato scelto un impianto per caduta consistente in un serbatoio zincato da 3000
litri ed un tubo in PVC di diametro di 50 millimetri lungo tutti i filari.
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Tabella 1. Scheda tecnica di una tartufaia di Tuber melanosporum con Quercus pubescens
(superficie di riferimento: 1 ettaro)
PRIMO ANNO Macchine Manodopera
Periodo Operazione Numero operazioni Tipologia Impiego
[h] Numero salariati
Impiego [h]
Luglio-Agosto Aratura 30 cm 1 Trattore con aratro 4 1 4
Settembre Erpicatura 15 cm 1 Trattore con erpice 1 1 1
Gennaio-Febbraio Squadratura e picchettamento 1 1 8
Marzo-Aprile Messa a dimora 1 2 12
Maggio-Giugno Erpicatura 15 cm 1 Trattore con erpice 1 1 1
Agosto Irrigazioni 5 Impianto 1 5 SECONDO ANNO
Macchine Manodopera Periodo Operazione Numero
operazioni Tipologia Impiego [h]
Numero salariati
Impiego [h]
Aprile-Maggio Risarcimento fallanze 1 2,5
Giugno Erpicatura 15 cm 1 Trattore con erpice 1 1 1
Agosto Irrigazioni 4 1 4 ANNO TIPO (TERZO – TRENTESIMO)
Macchine Manodopera Periodo Operazione Numero
operazioni Tipologia Impiego [h]
Numero salariati
Impiego [h]
Febbraio Potature 1 1 12
Giugno Erpicatura 15 cm 1 Trattore con erpice 1 1 1
Agosto Irrigazioni 2 1 2
Il tasso di mortalità delle plantule dal primo al secondo anno è del 10%, il che comporta un acquisto
ulteriore di 28 piante micorrizate per il risarcimento delle fallanze, con relative protezioni
individuali. Nel corso del secondo anno è prevista una erpicatura all’inizio dell’estate e quattro
irrigazioni di soccorso.
Dal terzo al trentesimo anno le pratiche si riducono ad una potatura, ad una erpicatura e a due
irrigazioni di soccorso per ogni anno.
Nella successiva tabella 2 sono riportati i costi specifici relativi all’impianto e alla gestione colturale
della tartufaia di nero pregiato. Per il calcolo dei costi si è partiti dai coefficienti tecnici presentati
nella scheda tecnica (tabella 1), mentre per i dati economici si è proceduto come di seguito
indicato.
61
Tabella 2. Costi specifici di una tartufaia di Tuber melanosporum con Quercus pubescens
(superficie di riferimento: 1 ettaro)
PRIMO ANNO
Operazione Interventi [n°]
Impiego macchine
[h]
Costo orario [€/h]
Impiego manodopera
[h]
Costo orario [€/h]
Materiali (quantità)
Costo unitario
[€]
COSTO TOTALE
[€] Analisi del suolo 1 100 100,00Aratura 1 4 25,15 4 12,55 150,81Erpicatura 1 1 24,84 1 12,55 37,39Squadratura e picchettamento 8 12,55 278
picchetti 0,28 178,24
Acquisto piante 278
piante 13,5 3753,00Messa a dimora 23 12,55
278 protezioni 1,36 666,73
Erpicatura 1 1 24,84 1 12,55 37,39
1800 m di tubo 1,09 1962,00
1 vasca 450 450,00Impianto di irrigazione
8 12,55 100,40Irrigazioni 5 5 11,27 56,35TOTALE 7492,30SECONDO ANNO
Operazione Interventi [n°]
Impiego macchine
[h]
Costo orario [€/h]
Impiego manodopera
[h]
Costo orario [€/h]
Materiali (quantità)
Costo unitario
[€]
COSTO TOTALE
[€] Acquisto piante 28 piante 13,5 378,00Messa a dimora 3 12,55
28 protezioni 1,36 69,46
Erpicatura 1 1 24,84 1 12,55 37,39Irrigazioni 4 4 11,27 45,08TOTALE 529.92TERZO-TRENTESIMO ANNO
Operazione Interventi [n°]
Impiego macchine
[h]
Costo orario [€/h]
Impiego manodopera
[h]
Costo orario [€/h]
Materiali (quantità)
Costo unitario
[€]
COSTO TOTALE
[€] Potatura 23 12,55 288,65Erpicatura 1 1 24,84 1 12,55 37,39Irrigazioni 2 2 11,27 22,54TOTALE 348,58
I costi d’uso delle macchine sono stati calcolati in modo analitico, a partire dai valori di mercato
delle medesime.
Il costo della manodopera è stato calcolato in base alle tabelle salariali degli operai agricoli; per le
operazioni che richiedono una maggiore professionalità si è fatto riferimento ad una qualifica
super, mentre per le operazioni di irrigazione è stato considerato un operaio specializzato.
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I prezzi di acquisto delle piante sono quelli di un vivaio privato francese, cui attualmente si
rivolgono molti operatori piemontesi; tali prezzi sono comprensivi del trasporto dal vivaio fino a
destinazione.
Per quanto riguarda i prezzi dei dispositivi di protezione delle piantine e dell’impianto di irrigazione
si è fatto riferimento al Prezzario Regionale delle opere pubbliche.
6.3 Tartufaia di nero estivo
Nel caso dell’impianto di tartufo nero estivo associato al nocciolo ipotizzata una durata di
venticinque anni con entrata in produzione al settimo anno, la scheda tecnica, riportata in tabella 3,
si riferisce sempre ad una superficie di un ettaro, mentre differente è il sesto di impianto di 5 x 5 per
un totale di 400 piante ad ettaro.
L’impostazione tecnico colturale è in linea generale uguale, ma, in questo caso pensato per le
situazioni più difficili, non è stata prevista l’irrigazione con la conseguente semplificazione sia
delle operazioni dell’anno di impianto, sia degli anni di produzione, in cui l’unica operazione
colturale è uno sfalcio, così da non smuovere il terreno nei suoi strati superficiali, dove si forma il
tartufo estivo.
In relazione al numero di piante messe a dimora, essendo il tasso di mortalità sempre del 10%, il
risarcimento delle fallanze richiede 40 piante.
63
Tabella 3. Scheda di una tartufaia di Tuber aestivum con Corylus avellana
(superficie di riferimento: 1 ettaro)
PRIMO ANNO Macchine Manodopera
Periodo Operazioni Numero operazioni Tipologia Impiego
[h] N.
salariati Impiego
[h]
Luglio-Agosto Aratura 30 cm 1 Trattore con aratro 4 1 4
Settembre Erpicatura 15 cm 1 Trattore
con erpice 1 1 1
Gennaio-Febbraio
Squadratura e picchettamento 1 1 8
Marzo-Aprile Messa a dimora 1 2 33
Maggio-Giugno Erpicatura 15 cm 1 Trattore
con erpice 1 1 1
SECONDO ANNO Macchine Manodopera
Periodo Operazioni Numero operazioni Tipologia Impiego
[h] Numero salariati
Impiego [h]
Aprile-Maggio Risarcimento fallanze 1 3,5
Giugno Sfalcio 1 Trattore
con trincia
1 1 1
ANNO TIPO (TERZO – VENTICINQUESIMO) Macchine Manodopera
Periodo Operazioni Numero operazioni Tipologia Impiego
[h] Numero salariati
Impiego [h]
Febbraio Potature 1 1 20
Giugno Sfalcio 1 Trattore
con trincia
1 1 1
In tabella 4 sono raccolti i costi specifici della tartufaia di nero estivo per il calcolo dei quali si
sono, ovviamente, seguiti i medesimi criteri del nero pregiato. I costi dell’estivo sono
complessivamente più contenuti: la differenza è legata fondamentalmente alla mancanza di
irrigazione ed ai costi fissi e variabili ad essa connessa.
Tenuto conto delle scelte fatte, i costi ottenuti sono in linea con quanto riscontrato in altre
esperienze. Tali costi aumenterebbero, anche significativamente, qualora si decidesse di recintare
l’appezzamento o se si partisse da situazioni di notevole abbandono, che richiedono operazioni di
ripulitura pesanti.
64
Tabella 4. Costi specifici di una tartufaia di Tuber aestivum e Corylus avellana
(superficie di riferimento: 1 ettaro)
PRIMO ANNO
Operazione Interventi [n°]
Impiego macchine
[h]
Costo orario [€/h]
Impiego manodopera
[h]
Costo orario [€/h]
Materiali (quantità)
Costo unitario
[€]
COSTO TOTALE
[€] Analisi del suolo 1 100 100,00Aratura 1 4 25,15 4 12,55 150,81Erpicatura 1 1 24,84 1 12,55 37,39Squadratura e picchettamento 8 12,55 400
picchetti 0,28 212,40
Acquisto piante
400 piante 10,5 4200,00
Messa a dimora 33 12,55
400 protezioni 1,36 958,15
Erpicatura 1 1 24,84 1 12,55 37,39TOTALE 5696,13SECONDO ANNO
Operazione Interventi [n°]
Impiego macchine
[h]
Costo orario [€/h]
Impiego manodopera
[h]
Costo orario [€/h]
Materiali (quantità)
Costo unitario
[€]
COSTO TOTALE
[€] Acquisto piante 40 piante 10,5 420,00Messa a dimora 3,5 12,55
40 protezioni 1,36 98,33
Sfalcio 1 1 23,96 1 12,55 36,51TOTALE 554,84TERZO-VENTICINQUESIMO ANNO
Operazione Interventi [n°]
Impiego macchine
[h]
Costo orario [€/h]
Impiego manodopera
[h]
Costo orario [€/h]
Materiali (quantità)
Costo unitario
[€]
COSTO TOTALE
[€] Potatura 20 12,55 251,00Sfalcio 1 1 23,96 1 12,55 36,51TOTALE 287,51
6.4 Altri costi
Ai costi specifici fin qui considerati vanno ancora aggiunti: il costo d’uso del terreno (Bf) e i costi
per la raccolta, costituiti dal cane e dal lavoro del raccoglitore. Il beneficio fondiario è stato
calcolato in base al valore agricolo medio di seminativi non irrigui nelle zone tartuficole delle
province di Asti, Alessandria e Cuneo, con un saggio dell’1%.
Costi per il mantenimento del cane
Secondo quanto rilevato tramite le interviste, i tartuficoltori ed i cercatori che acquistano il cane
sono relativamente pochi: nella maggioranza dei casi, infatti, il cane fa parte di una cucciolata la cui
madre è già proprietà del cercatore. Basandosi su questa situazione, si è ritenuto opportuno non
inserire la voce di spesa relativa all'acquisto del cane ed il conseguente ammortamento.
65
I costi relativi al cane sono quindi solo quelli connessi al mantenimento quantificati in 600 euro
all’anno, che comprendono le spese veterinarie e di alimentazione; tale dato concorda con alcune
informazioni riscontrate in bibliografia (Olivier, 1996 ).
Nell'ipotesi formulata i costi relativi al cane ricadono su un singolo ettaro di terreno, ma,
ovviamente, nella realtà tali costi sono ripartiti su tutto il territorio di cerca.
Per contro va anche ricordato che normalmente i cercatori/tartuficoltori hanno più di un cane,
mediamente due.
Costo della raccolta
L'attività di raccolta comporta un notevole impiego di tempo, in quanto, seppure coltivato, il tartufo
va comunque cercato con l’ausilio di un cane a ciò addestrato.
Nella tartufaia di nero pregiato – il cui periodo di raccolta va dal 15 novembre al 15 marzo – è stato
previsto che il cercatore passi tre volte al giorno sull'impianto (qui di estensione pari ad un ettaro)
nei due mesi centrali, per un totale di quattro ore giornaliere; nei restanti due mesi, iniziale e
conclusivo, del periodo di raccolta, il cercatore si reca sulla tartufaia a giorni alterni, sempre
permanendovi quattro ore ogni volta. Il totale così raggiunto è di 360 ore dedicate alla cerca e alla
raccolta per stagione per un ettaro di tartufaia.
Nell'impianto di tartufo nero estivo, la cerca si svolge, sempre nel rispetto del calendario di raccolta,
dal 1 giugno al 30 novembre, per un totale di 6 mesi; si è ipotizzato che il tartuficoltore si rechi
sull’impianto in media un'ora al giorno. Tale dato tiene conto del fatto che lo scorzone è più
superficiale del nero pregiato e richiede quindi meno tempo per essere individuato ed estratto;
inoltre è ovviamente possibile che in alcuni periodi di scarsa o nulla produzione non si effettuino
visite alla tartufaia, riservando maggiore tempo ai periodi di fruttificazione più abbondante. Così
calcolato, il totale delle ore dedicate alla cerca è pari a 180 ore a stagione per ettaro di impianto.
In entrambe le situazioni il tempo di cerca comprende anche una sorta di presidio del territorio e di
controllo in accordo con quanto ci hanno detto alcuni intervistati.
Al lavoro di cerca è stato attribuito un valore di 20 euro all'ora nel caso del nero pregiato e di 15
euro/ora in quello delle scorzone; posto che si tratta di valutazioni caratterizzate da un notevole
margine di soggettività, la differenza nei due casi è motivata alla maggiore facilità di cerca ed
estrazione del Tuber aestivum rispetto al Tuber melanosporum. I valori assoluti sono stati scelti
tenendo conto sia della professionalità richiesta per questa attività, sia in relazione alle condizioni
difficili in cui tale lavoro viene svolto (periodi freddi, notte…). Visto che in linea di massima sono
gli stessi proprietari della tartufaia a svolgere questa operazione, quindi si tratta di un fattore sempre
interno, non si è ritenuto opportuno utilizzare i costi della manodopera di addetti subordinati.
66
6.5 Analisi finanziaria della redditività
I ricavi
Il calcolo dei ricavi ottenibili da una tartufaia è stato fatto in relazione alle ipotesi formulate sulla
base delle informazioni reperite in bibliografia e delle interviste svolte nel corso della ricerca (cfr.
Cap 5).
Come già detto, l’anno di inizio della piena produzione per il tartufo nero pregiato è previsto per il
decimo anno; per la produzione si sono considerate due ipotesi 20 e 30 chilogrammi annui per
ettaro, per una durata complessiva dell’impianto pari a trent’anni. Il prezzo, sulla base dei dati
disponibili, è stato stimato in 550 euro al chilogrammo. La produzione lorda vendibile annua così
ottenuta va da 11.000, per la produzione di 20 Kg, a 16.500 euro per quella di 30Kg.
Per lo scorzone la produzione è nettamente superiore: si sono considerate produzioni di 60 e 80
chilogrammi annui per ettaro, con entrata in piena produzione al settimo anno e durata complessiva
della tartufaia di 25 anni. Il prezzo è stato stimato in 55 euro al chilogrammo, per una produzione
lorda vendibile annua compresa fra 3.300 e 4.400 euro.
I dati sulle produzioni e sulla durata delle tartufaie derivano da dati sperimentali e dalla letteratura,
ma non da rilevazioni dirette, perché al momento non esistono in Piemonte tartufaie impiantate e
coltivate secondo i criteri precedentemente esposti, in relazione a questo ed all’elevata variabilità di
comportamento che caratterizza il tartufo anche quando viene coltivato, le ipotesi produttive sono
state fatte in modo prudenziale. Questa lacuna potrà essere colmata quando entreranno in
produzione gli impianti fatti nell’ambito del progetto Verchamp.
Sul fronte dei prezzi la situazione non è molto più certa, in quanto risente sia della quantità di tartufi
presenti sul territorio nel corso della stagione sia della qualità e della pezzatura. Inoltre bisogna
tenere presente che la maggior parte del prodotto – tra il 60 ed il 70% (Borsino del tartufo di Asti,
2004 e 2005) – transita fuori mercato, rendendo impossibile una stima puntuale dei prezzi
differenziati per tipologia di tartufo e per pezzatura. I prezzi utilizzati in questa sede fanno quindi
riferimento ad un dato medio stagionale (2005 per il nero pregiato, 2006 per il nero estivo).
Il saggio di interesse
L’impianto di una tartufaia e gli interventi di gestione connessi possono essere considerati come un
investimento a medio-lungo termine, caratterizzato da un livello di rischio piuttosto contenuto per
quanto riguarda l’impianto in sé e per sé, e un po’ più rischioso per quanto attiene i risultati
ottenibili in termini di produzione e di mercato. Il livello di disinvestibilità dell’impianto è
praticamente nullo, al più si può pensare ad una sua conversione per produrre legname. Su questa
67
base, tenuto conto della situazione attuale dei tassi, si è scelto un saggio di interesse reale, depurato
cioè dell'effetto inflativo, del 2,5%.
Valutazione conclusiva
Nelle successive tabelle 5 e 6 sono riportate le valutazioni economiche relative ai due casi
considerati. Più precisamente gli importi dei ricavi e dei costi indicati sono accumulati
finanziariamente al momento finale, per renderli confrontabili, e la loro differenza anticipata
all’attualità (V.A.N.)
L ’impianto di Tuber melanosporum si dimostra molto conveniente: il valore attuale netto (VAN) è
compreso fra (tab. 5) 24.089 e 95.336 euro a seconda che la produzione sia di 20 o 30 chilogrammi
annui ad ettaro; parimenti il reddito medio annuo è quantificabile in valori compresi fra 1.151 e
4.556 euro. Questi risultati si conseguono pagando, come già detto, tutti i fattori produttivi
impiegati a prezzo di mercato, e il lavoro necessario per la raccolta ad un prezzo pari a 20 euro/ora,
quindi il reddito annuo è un vero e proprio utile.
Tabella 5. Valutazioni economiche dell’impianto di Tuber melanosporum con Quercus pubescens
(superficie di riferimento: 1 ettaro)
COSTI [€] RICAVI [€] Impianto 15.332 Con produzione 20 kg (550 €/kg) 299.016Operaz colturali 2° anno 1.058 Con produzione 30 kg (550 €/kg) 448.524Operaz colturali anno tipo (3°-30°) 13.894 Beneficio fondiario (1°-30°) 3.073 Cane (7°-30°) 19.409Lavoro di cerca (10°-30°) 195.720 V.A.N. (20 kg) 24.089TOTALE 248.487 Utile medio annuo (20 kg) 1.151
V.A.N. (30 kg) 95.366 Utile medio annuo (30 kg) 4.556
Nel caso di impianto di Tuber aestivum la redditività è meno apprezzabile (tab. 6): nel caso di una
produzione di 60 chilogrammi annui ad ettaro, perché l’investimento risulti conveniente la soglia
massima di remunerazione per il lavoro di raccolta è di 9 euro all’ora, ed in tal modo il VAN è pari
a 240 euro. Nell’ipotesi di produzione più elevata - 80 chilogrammi/ha/anno – il compenso della
manodopera interna, che consente di avere un VAN positivo, è di 15 euro orari.
In conclusione l’ipotesi colturale più intensiva prevista per il nero pregiato risulta più conveniente
ed in grado di remunerare maggiormente i fattori produttivi impiegati. Anche i risultati ottenibili
con lo scorzone sono comunque tuttaltro che disprezzabili, soprattutto visti i contenuti investimenti
richiesti sia all’impianto sia per la gestione.
68
Tabella 6. Valutazioni economiche dell’impianto di Tuber aestivum con Corylus avellana
(superficie di riferimento: 1 ettaro)
COSTI [€] RICAVI [€] Impianto 10.303 Con produzione 60 kg (55 €/kg) 79.022Operazioni colturali 2° anno 979 Con produzione 80 kg (55 €/kg) 105.362Operazioni colturali anno tipo (3°-25°) 8.793 Beneficio fondiario (1°-25°) 2.391 Cane (4°-25°) 17.318 Lavoro di cerca (7°-25°) 64.654 TOTALE 104.438
Con manodopera a 9 €/h Con manodopera a 15 €/h Lavoro di cerca (7°-25°) 38.793 Lavoro di cerca (7°-25°) 64.654TOTALE 78.576 TOTALE 104.438 V.A.N. (60 kg) 240 V.A.N. (80 kg) 499Utile medio annuo (60 kg) 13 Utile medio annuo (80 kg) 27
6.6 Bibliografia
• AAVV (1997) Manuale di agricoltura, Hoepli • Urbani G., (1994): Tartuficoltura razionale: realtà agricola ed economica, L'informatore
agrario, n.28 • Urbani G., (1995): La tartuficoltura razionale: analisi di un investimento, L'informatore
agrario, n.31
Siti internet consultati
• http://www.agri.marche.it/Aree%20tematiche/Tartufi/TARTUFICOLTURA.htm#tartuficoltura
• http://www.rivistadiagraria.org/riviste/vedi.php?news_id=20&cat_id=13&rubrica=2005 • http://www.rivistadiagraria.org/riviste/vedi.php?news_id=22&cat_id=14&rubrica=2005 • http://www.rivistadiagraria.org/riviste/vedi.php?news_id=26&cat_id=15&rubrica=2005
69
7. IL SETTORE DEI PRODOTTI TRASFORMATI
Il settore dei prodotti trasformati riveste un certo rilievo nella filiera del settore tartuficolo, sia come
sbocco per il prodotto fresco, sia come prolungamento delle possibilità di consumo per un prodotto
non molto serbevole e connotato da un periodo di produzione piuttosto corto.
Le ricerche bibliografiche svolte non hanno fornito molte informazioni su questo comparto
connotato, in particolare nella nostra Regione, da unità produttive di dimensioni alquanto ridotte e
non specializzate, nel senso che non trattano solo tartufi, ma anche funghi, e salse in generale.
Un’altra tipologia di aziende produce salumi o formaggi e arricchisce la gamma offerta anche con
prodotti tartufati.
Si è pertanto deciso di procedere attraverso un’indagine diretta da svolgere presso alcuni operatori
del settore.
A tal fine è stato predisposto un questionario, riportato nella successiva scheda 1, volto ad indagare
le principali caratteristiche strutturali dell’impresa, quali dimensioni, stagionalità di produzione,
numero di addetti; la materia prima oggetto dello studio, cioè i tartufi, sia come materia prima
(provenienza, specie) sia come prodotto finito; ed infine gli aspetti legati alla parte commerciale.
Scheda 1. Questionario per le aziende di prodotti trasformati
1. Tipo di azienda: a. famigliare con esterni b. addetti fissi addetti avventizi c. stagionale permanente
2. Prodotti:
a. tartufi conservati b. olio c. formaggi e/o salumi
d. sughi e. creme f. altro
3. Tartufi di partenza:
a. bianchi neri (precisare) b. interi in pezzi c. pezzatura media
4. Acquisto dei tartufi
a. da privati b. da commercianti (grossisti)
c. in fiera d. altro
5. Quantità media di tartufi utilizzata
6. Provenienza di tali tartufi:
a. locale b. regionale
c. altre regioni (precisare) d. estero (precisare)
70
7. Canali di vendita: a. direttamente in azienda b. tramite grossisti/rappresentanti c. tramite negozi
d. in fiere e. via web
8. Quale percentuale di prodotti è destinata alla vendita nel territorio nazionale e quale invece
all’esportazione?
9. In quale percentuale, per ogni tipologia di prodotto? a. tartufi conservati b. olio c. formaggi e/o salumi
d. sughi e. creme f. altro
10. La richiesta di prodotti trasformati aumenta nel periodo autunnale?
Le aziende che lavorano tartufi o producono prodotti tartufati sono state reperite consultando
elenchi telefonici e siti: un primo screening ha portato a restringere molto fortemente il nostro
campo di osservazione per i motivi già anticipati. Nella maggior parte dei casi si trattava di piccole
imprese che accanto alla attività principale - produzione di salumi, formaggi, lavorazione di funghi
– producono qualche toma o salame tartufato o salsa a base di funghi e tartufi. Quindi sia per la
dimensione economica dell’impresa sia per il ridotto peso del tartufo sull’attività nel complesso non
erano particolarmente utili.
In conclusione le aziende sentite in questa fase sono state soltanto due ed entrambe nell’Albese,
perché una, collocata nel Monferrato, non svolge più l’attività di trasformazione.
Primo caso di studio
L’azienda è stata contattata telefonicamente, è a conduzione familiare e svolge la propria attività
lungo l’intero anno; in sintesi si tratta di un esercizio di commercio al dettaglio con un proprio
laboratorio. Oltre ad occuparsi di produzione e commercio di prodotti trasformati, nel periodo di
raccolta, commercia anche tartufi freschi.
Le linee di produzione principali sono l’olio, le creme e la conservazione in salamoia di tartufi
interi.
I tartufi utilizzati come materie prime sono il bianco ed i neri pregiato ed estivo, tanto in pezzi,
quanto interi; l’approvvigionamento avviene direttamente da cercatori, anche se va detto che
l’azienda può contare anche su alcuni cercatori appartenenti al nucleo famigliare. Hanno dichiarato
di utilizzare solo materia prima di origine piemontese.
I prodotti trasformati sono distribuiti attraverso tre principali canali: la vendita diretta presso il
proprio negozio, in Fiera ad Alba e tramite grossisti; questi ultimi gestiscono anche la distribuzione
all’ estero, che rappresenta più del 50% del totale di prodotto trasformato.
71
Non è stato possibile avere informazioni sui quantitativi di materia prima impiegata, né sui prezzi
pagati.
Secondo la loro esperienza, il periodo di raccolta e commercializzazione del tartufo in Piemonte
non provoca grandi variazioni nella vendita di prodotti trasformati.
Secondo caso di studio
Una seconda realtà aziendale che si occupa di trasformazione di tartufi è stata visitata e interpellata
direttamente; da parte di questa seconda impresa c’è stata un’ ampia disponibilità sia a rispondere
al questionario sia a far visitare i propri locali di produzione.
Si tratta di un’azienda che produce tutto l’anno, a conduzione familiare con collaboratori
subordinati fissi. L’ attività principale è il commercio – esercitato in qualità di grossista – di
tartufi freschi; secondariamente, l’azienda conserva e trasforma tartufi tal quali, in salamoia, che
vengono venduti come semilavorati ad aziende che producono prodotti tartufati e a ristoranti.
Passando ai prodotti finiti vengono realizzati: olio, sughi, creme e pasta, ma anche tartufi in
salamoia in vasetti. L’azienda realizza anche altri generi alimentari non a base di tartufo, sia salati,
sia dolci, aventi come denominatore comune l’elevata qualità e la tipicità.
Gli acquisti di materia prima – tartufo bianco, nero pregiato e scorzone, sia in pezzi, sia interi –
avvengono in maniera diretta da cercatori e commercianti in misura tale da garantire una scorta
sufficiente per tutto l’anno: nel mese di luglio l’acquisto di scorzone avviene per quantità di circa 4-
5 quintali a settimana. E’ stato riferito che, in particolare per il prodotto piemontese, tutto quello che
viene offerto viene acquistato. I tartufi provengono dal territorio nazionale: Toscana, Emilia-
Romagna, Marche, Umbria e Piemonte; in particolare l’80% dello scorzone proviene dalla zona del
Tortonese.
I prodotti sono commercializzati tramite negozi, via web e per mezzo di rappresentanti; questi
ultimi sono responsabili anche delle vendite all’estero, che rappresentano il 60% circa della
distribuzione totale. I paesi partners di tali scambi appartengono per la maggior parte all’Unione
Europea, cui si aggiungono Russia, Estremo Oriente, Emirati Arabi, l’America settentrionale (Stati
Uniti e Canada) ed il Brasile.
A proposito delle vendite nei paesi esteri va detto che gli Stati Uniti d’America hanno dei dazi
doganali di importazione molto pesanti, che per i tartufi raggiungono il 100%5; l’azienda
interpellata ha dichiarato di avere infatti notevolmente diminuito i rapporti di scambio in tale
direzione.
5 Il dato proviene dal “Harmonized Tariff Schedule of the United States (2006) – Supplement 1”, reperibile sul sito internet: http://hotdocs.usitc.gov/docs/tata/hts/bychapter/0610HTSA.pdf
72
Quanto ai prezzi di acquisto dei tartufi come materia prima, non è stato possibile reperire molte
informazioni, in relazione alle molteplici variabili in gioco. L’unico dato fornito è stato quello per il
tritume di bianco, acquistato ad un prezzo di 800 Euro al chilogrammo; tale tritume viene utilizzato
per la preparazione delle creme al 99% di tartufo, che vengono vendute al dettaglio ad un prezzo
pari a circa 1200 Euro al chilogrammo.
Un discorso a parte merita l’olio al tartufo, che secondo il nostro interlocutore riveste un particolare
interesse nell’ambito dei prodotti trasformati per la facilità di vendita, dovuta sia alle caratteristiche
sia ai molteplici impieghi culinari. L’olio tartufato, prodotto a regola d’arte, risulterebbe
attualmente un prodotto molto gradito al consumatore neofita che vuole avvicinarsi al gusto del
tartufo.
In conclusione non è possibile parlare del comparto della trasformazione in termini generali, ma
dai due casi osservati si possono trarre alcune considerazioni: entrambe le imprese vendono sia il
prodotto trasformato sia la materia prima di base, comportamento questo poco diffuso nell’industria
di trasformazione alimentare. Per quanto riguarda i tartufi utilizzati come materia prima, le aziende
di trasformazione acquistano prevalentemente i tartufi neri meno pregiati, e nell’ambito delle specie
di maggior pregio le qualità minori, come il tritume di bianco, facendo così da collettori per specie e
qualità altrimenti un po’ disdegnate dal mercato.
Infine, per quanto riguarda i mercati di sbocco, in entrambi i casi è stato segnalato che il consumo di
prodotti trasformati è più abbondante all’estero che in Italia.
73
8. STUDIO DELLA DOMANDA DI TARTUFO
L’analisi della domanda di tartufo è stata effettuata nel corso delle fiere, poiché in tali luoghi è stato
possibile contattare, in un lasso di tempo piuttosto contenuto, un congruo numero di acquirenti o
comunque di soggetti interessati al prodotto.
Il numero di fiere organizzate in Piemonte è ormai piuttosto elevato: si è quindi innanzitutto cercato
di tracciarne un quadro complessivo sia a fini descrittivi - informativi, sia per avere dei criteri sulla
base dei quali scegliere le fiere durante le quali svolgere le interviste.
8.1 Caratterizzazione e classificazione delle fiere
Gli eventi fieristici legati al tartufo hanno molte valenze: sono luogo di contrattazione e scambio,
sono occasioni di promozione del territorio, e rappresentano, per chi studia il settore tartuficolo,
un’occasione per analizzare il mercato del Tuber, altrimenti poco sondabile.
L’indagine condotta sulle Fiere ha permesso, inquadrandone la natura, di ipotizzare il tipo di
pubblico affluente, e quindi di meglio programmare la parte delle interviste conoscitive ai
consumatori.
Si è partiti da un censimento delle Fiere organizzate sul territorio piemontese nel 2006, svolto
consultando svariate fonti telematiche e non, che ha portato a redigere un elenco di circa 30 eventi;
tale numero è sicuramente sottostimato perché non comprende le manifestazioni più piccole e
locali, ma esaustivo per quanto riguarda quelle più significative.
Tutte le Fiere individuate sono state contattate telefonicamente per avere alcune informazioni di
massima che ne consentissero una descrizione. Nella successiva scheda 1 sono contenuti gli
elementi richiesti ai responsabili degli Enti organizzatori, se presenti, o comunque al referente
comunale per l’evento fieristico.
Scheda 1. Schema descrittivo della fiera
• Località;
• Data e orari;
• Enti organizzatori;
• Durata:
o giornata;
o due giorni;
week-end;
feriali;
o più giorni;
• Genere:
o solo tartuficola;
o mista alimentare;
o mista fra più generi;
• Numero di banchi;
• Numero di banchi riservati al tartufo;
• Struttura:
o libera;
o dettata dall’organizzazione.
74
Le informazioni raccolte sono esposte analiticamente in tabella 1 e di seguito commentate.
Come già accennato, le manifestazioni fieristiche dedicate al tartufo sono presenti in numero
piuttosto elevato sul territorio della Regione Piemonte, concentrate soprattutto nelle province
naturalmente più vocate per la crescita del fungo: Asti, Alessandria e Cuneo.
Le Fiere censite possono genericamente essere classificate in base alla loro connotazione:
• nazionale: vi rientrano le Fiere di Alba (CN), Moncalvo (AT) e Murisengo (AL);
• regionale: Mondovì e Vezza d’Alba nella provincia di Cuneo, Canelli e Montechiaro nella
provincia di Asti, Acqui Terme, Alessandria e San Sebastiano Curone nella provincia di
Alessandria;
• locale: Paroldo (CN); Castagnole Monferrato, Castelnuovo Don Bosco, Cortazzone d’Asti,
Incisa Scapaccino, Mombercelli e Montiglio nella provincia di Asti; Avolasca, Bergamasco,
Brignano Frascata, Cella Monte, Odalengo Piccolo, Serralunga di Crea, Tagliolo
Monferrato, Tortona e Trisobbio nella provincia di Alessandria.
In linea di massima le fiere con una connotazione superiore sono di dimensioni più elevate, ma tale
criterio non è sempre valido: l’evento di Montiglio, per esempio, seppure locale, è piuttosto
rilevante.
Per le tre Fiere presenti presso Nizza Monferrato (AT), Casale Monferrato (AL) e Rivalba (TO) non
è stato possibile individuare la connotazione. Delle 31 individuate non si è riusciti a contattarne due
– Cerrina e Sardigliano, entrambe in provincia di Asti – che quindi non compaiono in tabella 1.
Nella successiva figura 1 è indicata la distribuzione delle Fiere sul territorio regionale. Risulta bene
evidente come la distribuzione sia molto concentrata territorialmente, in quanto strettamente
connessa alle zone di produzione.
Le Fiere possono quindi essere distinte in base sia dalla dislocazione sul territorio – in relazione alla
potenzialità produttiva – sia in base all’influenza che gli eventi fieristici più antichi e di maggiore
risonanza esercitano sulle località limitrofe, le quali hanno spesso dato origine a manifestazioni
simili, seppure di sviluppo più contenuto sia nella dimensione sia nella durata. Le tre Fiere nazionali
sono anche quelle che vantano la più lunga tradizione: Alba (76 edizioni), Moncalvo (52) e
Murisengo (39).
In Piemonte gli eventi fanno fondamentalmente riferimento al Tuber magnatum, in quanto proprio
del territorio regionale e presente in maggior misura rispetto alle altre specie di tartufi. Solo
nell’area a sud est del Tortonese le Fiere sono incentrate sul Tuber melanosporum, caratteristico di
quella zona, con gli eventi di Tortona, Brignano Frascata, Avolasca, e San Sebastiano Curone.
Occorre ad ogni modo ricordare che nell’ambito delle Fiere non vengono commercializzate solo le
specie di tartufi più pregiate, ma tutte quelle il cui periodo di raccolta coincide con le Fiere stesse.
75
Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, le tre Fiere di portata nazionale hanno degli organismi
appositi che si occupano della gestione: la Fiera di Alba è curata dall’Ente Fiera in collaborazione
con altri enti (ad esempio: l’Associazione Commercianti) e le Fiere di Moncalvo e Murisengo
possono contare su due appositi Comitati, istituiti dai rispettivi Comuni. In quasi tutti gli altri casi –
Fiere Regionali e Locali – l’organizzazione è curata dal Comune coadiuvato dall’Associazione Pro
Loco, cui possono aggiungersi, a seconda dei casi, altri soggetti: associazioni sportive, Protezione
Civile, Cooperative di commercianti, ditte private, Comunità Montane, etc.
Va segnalato che in molti casi la Provincia di appartenenza pubblicizza gli eventi e, talvolta, li
sponsorizza: nell’anno in corso (2006) la provincia di Asti, per esempio, ha stampato un pieghevole
comprendente l’intero calendario delle manifestazioni del settore.
La maggior parte delle Fiere si svolge nella prima parte del periodo di raccolta dei tartufi, nei mesi
di ottobre e novembre; più della metà degli eventi si svolge nell’arco di un’unica giornata,
usualmente di domenica, ma non mancano casi di raddoppio – due sabati o due domeniche
consecutivi. Solo in pochi casi la manifestazione dura un numero maggiore di giorni; la durata
massima si raggiunge ad Alba con uno arco di tempo superiore ad un mese (dal primo fine
settimana di ottobre al primo fine settimana di novembre). Praticamente in tutti i casi le Fiere hanno
come protagonista di richiamo il tartufo, ma raccolgono anche prodotti di altro genere sia
alimentari, sia dell’artigianato: questo tipo di organizzazione consente di ampliare notevolmente sia
l’offerta, sia il numero dei frequentatori.
Relativamente ad ogni manifestazione è stata indagata anche la dimensione, utilizzando come
parametro il numero di banchi espositivi totali ed il numero di banchi relativi esclusivamente al
tartufo: nella prima classe considerata si contano dai 20 banchi delle Fiere minori fino ai 300 delle
Fiere maggiori o che raccolgono più eventi; di questi, è ascrivibile alla categoria di vendita
esclusiva di tartufo un numero di banchi compreso tra 2 e 20 con la precisazione che in molte
occasioni sono presenti raccoglitori che commerciano privatamente senza avere un banco proprio,
ma comunque nella zona della fiera.
Infine una nota sull’ impianto delle manifestazioni: gli enti organizzatori provvedono a fornire agli
espositori un banco o una struttura standard uguale per tutti più o meno nella metà dei casi
esaminati: a volte si tratta dell’intero banco, altre solo di un piccolo gazebo. Nella maggioranza
delle occasioni, però, gli espositori di tartufi hanno diritto ad un posto in una struttura al coperto,
connessa con il resto della fiera, dove si svolgono anche alcune competizioni legate al Tuber –
premiazione dell’esemplare più bello, della migliore composizione, etc.
76
Tabella 1. Descrizione delle caratteristiche delle fiere del tartufo
Durata Genere Struttura Due giorni Località,
classificazione ed edizione
Data Enti organizzatori Giornata Fine
sett. Feriali Più
giorni Solo
tartuficola Mista
alimentare
Mista più
generi
Numero di
banchi
Numero banchi SOLO
tartufic.Libera Dettata dalla
organizzaz.
CUNEO
Alba Nazionale; 76^
Da 1^ dom ott a 1^ fine
settim nov
Ente Fiera X X -- -- X
Mondovì Regionale; 11^
fine ottobre
Comune – Uff. Manifestazioni
X (3
giorni)
X (con “Sala
contrattazione tartufi” a
parte)
100 ca 20 X
(noleggio del banco)
Paroldo Locale
2^ domenica novembre
Comune (amministraz) + Pro-loco (parte
esecutiva)
X X 40 -- X
Vezza d’Alba Regionale
copre le ultime due domeniche novembre
Comune +
Pro-loco
X (10
giorni)X -- 15 - 20 X
ALESSANDRIA
Acqui Terme Regionale; 2^
dal 4^ giovedì
novembre alla
domenica success.
Ufficio Turismo +
Enoteca Regionale X
X (nella
giornata di domenica)
X (da giovedì a
sabato) 104 20 X
Alessandria Regionale; 20^
2^ domenica novembre
Cam Commercio + Regione + Prov +
Ass.ne di categoria Agricola
X X 40 10 - 15 X
Avolasca Locale
1^ domenica novembre
Pro loco X X 20 - 25 7 - 8 X
77
Durata Genere Struttura Due giorni Località,
classificazione ed edizione
Data Enti organizzatori Giornata Fine sett. Feriali
Più giorni
Solo tartuficola
Mista alimentarre
Mista più
generi
Numero di
banchi
Numero banchi SOLO
tartufic.Libera Dettata
dall’organizzaz
Bergamasco Locale; 8^
2^ domenica
ottobre
Comune + Pro-loco + Protezione civile X X 70 3 - 4 X
Brignano Frascata
Locale, 7^
3^ o 4^ domenica di ottobre
Comune + Com.Montana + Provincia + Pro-
loco
X X 30 ca 10 X
Casale Monferrato
Variabile ottobre -
novembre
ditte private, su commissione del
Comune X X 20 -- X
Cella Monte Locale; 15^
1^ week-end
novembre Pro-loco + Comune X X 40 2 - 3 X
Murisengo Nazionale; 39^
1^ e 2^ domenica di ottobre
Comitato Fiera del Tartufo – istituito
dal Comune
X (2 gg
separati) X 90 - 100 ca 20
X (ma con gazebo
ufficiale)
Odalengo Piccolo
Locale; 13^
2^ domenica
ottobre Pro-loco X X -- -- X
(su richiesta)
San Sebastiano Curone
Regionale 23^
3^ domenica novembre
Comune + Pro-loco + Associaz Tartufai X X 130 -
160 Ca 30 X
(solo per parte tartuficola)
Serralunga di Crea
Locale
1^ domenica novembre
Pro-loco + Comune X X -- -- X
Tagliolo Monferrato
Locale
3^ domenica
ottobre
Comune + Ass.ne sportiva X X 20 2 - 3 X
Tortona Locale
2^ e 4^ sabato
novembre
Associazione Tartufai + Comune
X (2 gg
separati) X 30 8
X (solo per parte
tartuf)
Trisobbio Locale; 2^
3^ domenica
ottobre
Comune + Provincia Al X X 50 - 60 9 X
78
Durata Genere Struttura Due giorni Località,
classificazione ed edizione
Data Enti organizzatori Giornata Fine sett. Feriali
Più giorni
Solo tartuficola
Mista alimentare
Mista più
generi
Numero di
banchi
Numero banchi SOLO
tartufic.Libera Dettata
dall’organizzaz
ASTI
Canelli Regionale
2^ domenica novembre
Comune (direttive) + Coop.di
Commercianti(parte esecutiva)
X X 20 -- X
Castagnole Monferrato Locale; 30^
2^ domenica
ottobre
Comune + produutori vinicoli
+ Pro-loco X X 20 - 30 4 - 5
X (solo per produttori vinicoli)
Castelnuovo Don Bosco
Locale
Ultima domenica novembre
Provincia X X -- -- X
Cortazzone d’Asti Locale
1^ domenica dicembre
Pro-loco X X 40 3 X
Incisa Scapaccino Locale; 14^
4^ domenica
ottobre Pro-loco + Comune X X 20 2
X (solo per parte
tartuficola)
Mombercelli Locale
3^ domenica
ottobre Comune + Pro-loco X X 30 - 50 ca 10 X
Moncalvo Nazionale 52^
ultime due domeniche
ottobre
Comitato Fiera di Moncalvo
X (2 gg
separati) X 120 variabile X
Montechiaro Regionale
1^ domenica novembre
Comune +
Pro-loco X X 100 ca 10 X
Montiglio Monferrato Locale; 27^
1^ e 2^ domenica
ottobre
Comune +
Pro-loco
X (2 gg
separati) X 50 – 60 ca 10 X
Nizza Monferrato
15^
1^ domenica novembre
Comune + Pro-loco X X 300 4-5 X
(solo per i gazebo)
TORINO
Rivalba 19^
2^ domenica novembre
Comune + “Ass.ne Trifulau e Trifulé” X X -- 10 X
Espositori tartufi in struttura
79
Figura 1. Fiere del tartufo sul territorio piemontese
Nota: la zona colorata in corrispondenza dei toponimi rappresenta il territorio amministrativo di ogni singolo Comune; non vi è legame tra l’estensione di tale zona e la dimensione della fiera.
80
Nel corso del mese di ottobre 2006 si sono visitate alcune fiere del tartufo per effettuare le
rilevazioni sugli acquirenti di tartufo; nel corso di tali momenti è stato anche possibile osservare
direttamente l’organizzazione delle manifestazioni.
Il calendario delle visite è stato predisposto con il doppio obiettivo di esaminare le fiere di maggiore
rilievo e di recarsi in tutte le zone individuate come produttrici di tartufi. Sebbene lo studio riguardi
prevalentemente il territorio piemontese, la prima fiera frequentata si trova in Liguria, scelta in
quanto “in anticipo” rispetto alle fiere piemontesi e situata molto in prossimità del confine regionale
(Millesimo – Savona), quindi destinataria di prodotti anche piemontesi.
Il calendario delle visite è stato così programmato:
• Fiera di Millesimo (SV): 24 settembre 2006;
• Fiera di Bergamasco (AL): 8 ottobre 2006;
• Fiera di Alba (CN): 14 ottobre 2006;
• Fiera di Tagliolo Monferrato (AL): 15 ottobre 2006;
• Fiera di Moncalvo (AT): 22 ottobre 2006.
Oltre alle fiere di cui sopra è stata visitata, nel dicembre 2005, la Fiera di Cortazzone d’Asti;
all’epoca si trattava dell’ultima disponibile prima della fine dell’anno, e la visita allora svolta ha
permesso di testare il questionario per i visitatori e lo schema descrittivo delle fiere, in vista del
lavoro più esteso previsto per l’autunno 2006.
Le visite effettuate hanno messo in luce che le fiere, se non Nazionali, hanno nel tartufo una sorta di
pretesto, ma i banchi ad esso dedicati sono, molto spesso, in numero piuttosto limitato,
sviluppandosi l’evento più sulle tipicità locali e sull’oggettistica.
La Fiera di Cortazzone d’Asti
La Fiera di Cortazzone si presenta nominalmente legata al tartufo ma, nei fatti e per frequentazione,
come evento più assimilabile ad una fiera di paese.
La struttura è di tipo misto: alcuni banchi sono dotati di una “tettoia” con l’insegna della Camera di
Commercio di Asti – circa la metà – e gli altri sono semplici tavoli. La maggioranza dei banchi (40)
è in una struttura chiusa e solo alcuni (6) sono posizionati all’esterno.
L’osservazione degli espositori e dei visitatori, e le interviste rivolte ad entrambe le tipologie di
frequentatori, permettono di affermare che l’acquisto di tartufo in questa sede è relativamente
casuale: in linea di massima le persone presenti hanno scelto di recarsi a Cortazzone per il pranzo
organizzato dalla Pro Loco e poi di osservare i banchi di merce, più alla ricerca di un’idea per i
regali Natalizi che per acquistare i tartufi.
81
I prodotti presenti alla fiera, oltre ai tartufi, sono: formaggi, salumi, miele, torte di nocciole e
piccolo artigianato.
La Fiera di Millesimo
La Fiera del tartufo di Millesimo è, nel 2006, alla sua XIV edizione. La durata è di un fine
settiamana (quest’anno 23 e 24 settembre); i banchi presenti sono circa 40, di cui 14 dedicati
esclusivamente al tartufo, concentrati nella piazza antistante il Municipio. L’organizzazione
fornisce i gazebo per i banchi.
La fiera, pur essendo incentrata sul tartufo – si è svolta anche una tavola rotonda sull’economia di
tale prodotto – si presenta di tipo misto alimentare, proponendo peperoni, articoli a base di castagne
e prodotti tipici locali in generale.
Il pubblico acquirente si è mostrato particolarmente poco disponibile a rispondere al questionario; la
scarsa collaborazione può essere forse in qualche misura ricollegata alla presenza di diversi stands
di associazioni in cerca di offerte e sovvenzioni. Il timore di essere fermati al solo scopo di chiedere
denaro ha fatto sì che venisse negata qualsiasi collaborazione, senza quasi ascoltare di cosa si
trattasse.
I tartufi esposti per la vendita, sia bianchi, sia neri, sono molto piccoli e in scarsa quantità, spesso
venduti senza badare al peso, ma a corpo.
La Fiera di Bergamasco
La “Giornata del tartufo” di Bergamasco è, nel 2006, alla sua VIII edizione. I banchi presenti sono
circa 70: di questi 3 sono dedicati al tartufo e gli altri a tipicità alimentari e artigianato.
La presenza di pubblico è molto abbondante, ma gli acquirenti di tartufo scarsi e, di solito, con
soglie di spesa massima piuttosto basse (15 € in media). E’ stato possibile svolgere poche interviste
sia per il ridotto numero di acquirenti, sia per la loro limitata disponibilità a rispondere. Anche se
non ci sono state manifestazioni di diffidenza palesi come nel caso della fiera di Millesimo. I tartufi
esposti per la vendita sono soprattutto bianchi, ma in scarsa quantità e di piccole dimensioni.
La Fiera di Alba
Nell’anno in corso la fiera si svolge tra il 30 settembre ed il 5 novembre.
La parte più strettamente dedicata al tartufo si concentra in una struttura chiusa, cui si accede previo
pagamento di 1 Euro.
All’interno del padiglione, detto “Palatartufo”, sono presenti tra i venti ed i trenta stand di varie case
di prodotti gastronomici (formaggi, salumi, vini, cioccolato, nocciole, etc), ed al centro sono situati,
su una sorta di bancone ad anello, vari venditori di tartufi, ognuno col proprio nome e la propria
82
merce esposta. Fra le iniziative dell’Ente Fiera del Tartufo, vi è la predisposizione, fra i banchi di
tartufo, di un punto per la verifica della qualità del proprio acquisto; tre persone dell’Ente Fiera, su
richiesta degli acquirenti, pesano e controllano qualità e prezzo dei tartufi acquistati.
La partecipazione del pubblico è piuttosto rilevante; è stata riscontrata la presenza di stranieri,
soprattutto da Tedeschi e Svizzeri, ma anche da Inglesi e Svedesi. Per quanto concerne le presenze
italiane, soprattutto persone dalla provincia di Milano.
I tartufi esposti, sia bianchi sia neri, sembrano essere abbastanza pregevoli per qualità e dimensioni:
l’impressione generale è che a questa fiera più che ad altre siano arrivati gli individui migliori di
tartufo disponibili al momento.
Al di fuori del “Palatartufo” è stato possibile prendere visione di una tartufaia turistica, sempre nel
centro di Alba, consistente in una grossa “vasca” di terra riportata dai territori vocati nella zona
dell’Albese, in cui sono stati piantati vari individui di diverse specie arboree; al centro della
tartufaia sono anche presenti dei cartelli esplicativi sulla natura del tartufo. Tra le iniziative previste
all’interno di tale spazio vi sono sia visite guidate, sia ricerche simulate con l’ausilio dei cani.
L’iniziativa è lodevole, ma il risultato piuttosto discutibile, visto soprattutto lo stato di salute delle
piante e la scarsissima estensione dello spazio (condizione che rende improbabile qualsiasi
simulazione dell’ambiente e della cerca).
La Fiera di Tagliolo Monferrato
La fiera di Tagliolo è una piccola manifestazione che si svolge nel castello del paese e negli
immediati dintorni, della durata di un giorno (quest’anno il 15 ottobre).
Sono presenti circa 20 banchi, di cui uno solo dedicato al tartufo e gestito da un cercatore di
Alessandria. Gli altri banchi sono in egual misura di prodotti gastronomici e di artigianato. Il
gestore di uno stand di prodotti enogastronomici dichiara di aver ricevuto il divieto di portare tartufi
in questa fiera, ed il titolare dell’unico banco di tartufi conferma di essere stato il solo a ricevere il
permesso, con la spiegazione che “un solo banco è sufficiente per la misura dei visitatori”. Il gestore
dello stand di prodotti enogastronomici ha anche raccontato di essere stato presente alla Fiera di
Alba svariati anni. Secondo lui la produzione è calata moltissimo nell’ultimo decennio, così come è
calata la disponibilità all’acquisto da parte degli acquirenti: gli italiani sono passati da limiti
massimi di spesa di 500.000 Lire (250 Euro) a 20 Euro, e gli stranieri da limiti di circa due milioni
di Lire (1000 Euro) a 200 Euro. Inoltre, sempre secondo la sua esperienza, anche la Fiera di Alba,
ovvero l’evento più noto legato al tartufo, ha visto, nell’ultimo decennio, diminuire molto la
partecipazione di pubblico. Infine ha tenuto a sottolineare che, malgrado il divieto di vendere tartufi
alla fiera di Tagliolo, quest’anno è lui stesso a non volerli vendere, perché le quantità e la qualità
sono troppo scarse.
83
L’affluenza di pubblico è abbastanza rilevante, viste le ridotte dimensioni della fiera, ma va detto
che il momento di maggiore affluenza è stato in corrispondenza della castagnata organizzata ai piedi
del castello.
E’ stato poi possibile sapere da due vigili urbani che, all’interno di un padiglione dedicato al vino –
“Rosso e dintorni” – era possibile trovare altri tartufi in vendita. La visita a tale stand ha permesso
di constatare che la quantità e la qualità dei tartufi disponibili, sono, al momento, piuttosto limitate,
ma bisogna tenere conto che questa fiera, non essendo particolarmente grande o rinomata, non può
essere considerata un evento collettore della migliore produzione tartuficola.
La Fiera di Moncalvo
La Fiera Nazionale del Tartufo di Moncalvo ha luogo le ultime due domeniche di ottobre.
Si presenta come un grande mercato in cui sono presenti generi misti nella fascia più periferica,
banchi di specialità alimentari tipiche nella piazza principale, e banchi dedicati al tartufo – circa 25
– sotto il portico del castello.
Nel corso della visita è stato possibile assistere alla premiazione della “Trifola d’or”.
La presenza di pubblico è rilevante, come nel caso della Fiera di Alba, ma la frequentazione da
parte di stranieri, per quanto è stato possibile osservare, è più scarsa, probabilmente perché la Fiera
di Moncalvo, seppur di rilevanza nazionale, è un evento meno pubblicizzato e rinomato di quello di
Alba.
I tartufi esposti sono di qualità e dimensioni piuttosto rilevanti: il fatto può essere messo in
relazione sia con la connotazione nazionale della fiera, sia con un parziale miglioramento
dell’attuale stagione di raccolta.
8.2 Indagine sui frequentatori delle Fiere del Tartufo
Come già detto, per tratteggiare le caratteristiche della domanda di tartufo, nel mese di ottobre 2006
si è proceduto a rilevare un certo numero di interviste presso alcune Fiere piemontesi; la scheda
utilizzata è di seguito riportata (scheda 2).
Non è stato possibile definire a priori il numero di intervistati, in quanto fortemente legato al
contesto: numero di banchi di tartufai, quantità e qualità del prodotto, etc. La situazione di inizio
stagione 2006 non è, da questo punto di vista, particolarmente favorevole: produzione scarsa e di
qualità non molto elevata.
Nel complesso sono state svolte 55 interviste, selezionando fra le persone i soli acquirenti di tartufo,
ma senza ulteriori criteri discriminanti. In partenza si intendeva interpellare i visitatori, ma in
relazione alle difficoltà incontrate nel test svolto a Cortazzone , si è scelto di incentrare l’attenzione
esclusivamente su coloro che comprano i tartufi.
84
Non tutte le domande hanno sempre avuto risposta, a causa delle reticenze degli intervistati; dove
ciò si è verificato, la risposta è stata classificata come “non disponibile” e segnalata come tale.
Il campione di acquirenti è equamente distribuito fra uomini e donne; l’età varia fra i 23 ed i 72
anni, con frequenze elevate, circa il 60%, nella fascia di età tra i 40 ed i 60 anni.
Tra le professioni più comuni vi sono il lavoro impiegatizio (27%) e l’imprenditoria o la libera
professione (18%), ma per circa un terzo degli intervistati non è stato possibile rilevare l’attività
lavorativa.
Il richiamo costituito dalle fiere può essere letto in base alla provenienza degli acquirenti: la
maggioranza proviene da località della regione in cui si svolge la fiera (una lieve maggioranza di
questi arriva da fuori provincia), una piccola parte da regioni limitrofe, e una minoranza pari al 10%
da paesi stranieri. Questi ultimi sono stati intervistati tutti nel corso della Fiera di Alba,
probabilmente per la sua maggiore fama a livello internazionale.
I motivi addotti per la propria presenza alla fiera sono principalmente stati individuati nella volontà
di acquisto dei tartufi (65%), e, subito a seguire, alla semplice curiosità di vedere una fiera o alla
possibilità di degustare prodotti tipici (33%); questo dato porta all’attenzione come, nella
maggioranza dei casi, l’acquisto di tartufo sia programmato, ma in parte si verifichi in modo
relativamente casuale. Va ricordato che sono stati intervistati solo soggetti che avevano acquistato
tartufi.
Il 60% consuma direttamente il prodotto; degli altri una metà ha dichiarato l’intenzione di regalare i
tartufi comprati, e l’altra metà di voler sia consumare, sia regalare.
L’acquisto di tartufi è un fatto abituale solo per il 16% degli intervistati; la grande maggioranza, più
dell’80%, ha dichiarato di acquistare tartufo solo saltuariamente. Tale dato va a spiegare anche la
distribuzione delle risposte alla domanda successiva, ovvero quale sia il luogo preferenziale per
l’acquisto di tartufi: il 70% degli intervistati ha infatti dichiarato di acquistare solo in occasione
delle fiere, in quanto occasioni particolari per riscoprire il prodotto. Altri luoghi abituali di acquisto
sono i negozi specializzati (5%), anche se questa risposta è stata data soprattutto da persone
straniere, che – evidentemente – non hanno altri canali nel proprio paese. Infine l’11% degli
intervistati si rivolge direttamente a cercatori di propria conoscenza
85
Scheda 2. Questionario ai visitatori di Fiere del Tartufo
Questionario ai visitatori di Fiere del Tartufo
1. Sesso ed età: M F _______
2. Professione / titolo di studio:
__________________________ 3. Provenienza:
_____________________
4. Motivo della visita: a. Comprare b. Vendere c. Altro _____________________
5. Cercatore / acquirente / distributore
6. E’ un acquirente abituale o saltuario?
7. Perché compra?
a. Per rivendere b. Per consumo diretto c. Per regalare
8. Canali usuali per l’acquisto:
a. Fiera b. Negozio in città c. Diretto
9. Interesse all’acquisto:
a. < 35g b. 35-65g c. 65-100g d. 100-150g e. 150-200g f. ______________
10. Prezzi pagati:
_____________________
11. Eventuale vincolo di prezzo: S N _____________________
12. Frequenta abitualmente le Fiere? S N
13. Tempo di permanenza:
a. Giornata b. Più giorni
14. Strutture ricettive utilizzate:
a. Ristorante b. Albergo c. Agriturismo d. Altro _____________________
15. Fa uso abituale di prodotti tartufati? S
N Se sì, quali? _____________________
16. Comprerebbe tartufi coltivati?
a. Sì b. No c. Solo dietro certificazione di
provenienza
17. Se no, perché? a. Meno buoni b. Maggiore possibilità di frodi c. Manca l’idea della ricerca d. Altro _____________________
18. Ha fatto acquisti di altro genere?
_____________________
86
Dall’analisi dei dati raccolti emerge come, nel 56% dei casi, la pezzatura dei tartufi non sia un
criterio discriminante al momento dell’acquisto: in parte ciò può essere dovuto proprio al fatto che,
utilizzando il tartufo soprattutto per il consumo diretto, non risulta così importante cercare una
pezzatura significativamente grande, quanto più un esemplare di proprio gusto (alcuni intervistati
hanno detto di basarsi esclusivamente sull’odore o sul proprio limite di spesa). Gli intervistati che
hanno espresso preferenze in merito alle pezzature sono rimasti in maggioranza legati alla soglia
massima di 35 grammi, solo in pochi casi si sono detti interessati a soglie fino a 65 grammi, e
un’unica persona si è detta interessata ad esemplari di un etto e mezzo.
Sul totale degli intervistati la cifra minima spesa è di 6 Euro e la massima di 250; il 70% degli
intervistati non ha speso oltre i 70 Euro, e di questi quasi due terzi sono rimasti entro i 40 Euro.
Nella stragrande maggioranza dei casi non è stato possibile, attraverso le interviste, risalire al
prezzo pagato per ettogrammo, in quanto, essendo l’acquisto stato effettuato a corpo, non era noto il
peso.
Alla domanda sul vincolo di prezzo massimo un quarto degli intervistati, tra cui quasi tutti gli
stranieri, ha dichiarato di non avere limiti di spesa, e quasi altrettante persone non hanno voluto
rispondere alla domanda. Del restante 50% degli intervistati, tre quarti si sono detti disposti a
spendere cifre entro i 60 Euro, mentre su cifre superiori si attestano frequenze piuttosto basse, e
comunque mai oltre i 160 Euro totali.
Più della metà degli intervistati frequenta abitualmente le fiere, anche se alcuni si sono detti assidui
solo per la fiera di Alba, perché più rinomata di tutte le altre e perché estesa su un lungo arco di
tempo (circa un mese). Proprio in relazione alla durata delle fiere, è poi stata posta una domanda
sulle strutture recettive eventualmente utilizzate: di coloro i quali restano in visita un solo giorno,
ovvero l’80% degli intervistati, la metà non utilizza strutture di alcun tipo, un quarto si reca al
ristorante e i restanti si organizzano con strutture diverse, spesso messe a disposizione
dall’organizzazione stessa della fiera (punti di ristoro, pranzo della pro loco, etc.). Tra i visitatori
intenzionati a restare nella zona della fiera più di un giorno (20%), la metà utilizza il ristorante
abbinato all’albergo o all’agriturismo, e gli altri una sola di queste stesse possibilità. E’ stato
rilevato un unico caso in cui i visitatori sono organizzati in modo del tutto autonomo, con un
camper di proprietà.
Sul totale degli intervistati il 60% non fa uso abituale di prodotti tartufati; il restante 40% utilizza
prodotti di vario tipo tra cui spiccano l’olio (52%) e le creme (47%), cui seguono formaggi e pasta
(rispettivamente 33 e 27%) e, in misura nettamente inferiore, insaccati, burro e miele.
L’interesse per i tartufi coltivati è molto legato alla conoscenza delle pratiche necessarie alla
coltivazione: il 54% degli intervistati dichiara di essere disposto all’acquisto di tartufi coltivati
87
“perché comunque non in grado di individuare la differenza da quelli spontanei”; il 10% degli
intervistati accetterebbe di acquistare coltivati solo dietro certificazione di qualità, il 3% non si
esprime. Quanto al restante 32% degli intervistati – coloro che si rifiuterebbero di acquistare tartufi
coltivati – le motivazioni sono legate alla mancanza dell’”idea del naturale”, alla minore bontà e
alla maggiore possibilità di frodi.
Infine, alla domanda su eventuali acquisti di altro genere effettuati all’interno della fiera, il 38%
degli intervistati ha dichiarato di non averne effettuati ed il 62% ha dato risposta affermativa; di
questi il 44% ha rifiutato di specificare il genere degli acquisti, mentre tutti gli altri si sono
indirizzati su: salumi (15%), vino, funghi e formaggi (ogni voce al 12%), torta di nocciole e grissini
(8% per entrambi) e, a seguire, olio, sughi, pasta, dolciumi, biscotti, spiriti e prodotti non alimentari.
L’indagine svolta ha consentito da un lato di meglio focalizzare il fenomeno Fiere, dall’altro di
delineare le caratteristiche dell’acquirente di tartufo presso le medesime.
Appare chiaro, come anche nelle fiere più rilevanti, il tartufo costituisca un forte richiamo, ma non
il prodotto centrale per quanto riguarda le vendite. Questo dato non emerge direttamente dai rilievi
svolti, che hanno riguardato solo acquirenti di tartufo, ma considerando l’estensione mediamente
dedicata al tartufo e agli altri prodotti.
Rispetto al contesto complessivo le ricadute sembrano piuttosto contenute visto che solo pochi si
trattengono più di un giorno e non sono molti neppure quelli che frequentano i ristoranti.
Per quanto riguarda i consumatori pare di poter dire che l’acquirente presso la Fiera è di profilo
medio-basso, ossia che acquista prevalentemente per sé e non è quindi disposto a spendere cifre
molto alte. Ancora una volta compare una caratteristica del mercato del tartufo, cioè il fuori
mercato: gli acquisti significativi non avvengono sui banchi delle Fiere, ma precedentemente o al di
fuori, esattamente come accade per il mercato all’ingrosso.
88
9. IL MERCATO DEL TARTUFO
Il settore del tartufo è di difficile indagine a causa della estrema riservatezza degli operatori per
quanto riguarda sia l’aspetto produttivo, sia quello commerciale.
Per descrivere il mercato nel suo complesso si è fatto riferimento alle fonti ufficiali. Due sono i
limiti. Le fonti ufficiali fanno riferimento esclusivamente alle quantità di tartufo scambiate sui
mercati, senza tener conto dei volumi che vengono scambiati direttamente al di fuori di essi. In
secondo luogo, viene talora fatto riferimento alla voce generica “tartufi”, con dati cumulativi per
specie di tartufo o per regioni di provenienza. In un mercato caratterizzato da tipicizzazione
geografica e di specie la regione di provenienza o la specie di tartufo trattata sono caratteristiche che
influenzano il livello del prezzo, ma tale dettaglio viene perso dal dato ufficiale che risulta pertanto
inadatto a chiarire l’influenza che i fattori specifici di cui sopra hanno nel connotare il mercato
nazionale e, in maggior misura, quello locale.
9.1 Il mercato internazionale
Per quanto concerne gli scambi internazionali, le informazioni provengono dalle statistiche del
commercio estero curate dall’ISTAT.
Per la presentazione dei dati sono state usate alcune categorie, individuate in parte in base alle classi
già organizzate dell’ISTAT, e in parte in base alle esigenze del presente lavoro.
Queste le specifiche dei dati così come presentati alla fonte:
1. i tartufi sono suddivisi in “classi”, individuate e riconosciute dall’Unione Europea, e
codificati numericamente – “nomenclatura combinata (NC8)” – nelle seguenti categorie:
a. tartufi, freschi o refrigerati (07095200);
b. tartufi, preparati o conservati (ma non nell'aceto o acido acetico) (20032000);
2. i dati statistici sono suddivisi nelle unità di misura:
a. valore – in Euro6;
b. quantità – in quintali;
3. i dati più recenti sono riferiti al 2005, con l’avvertenza che si tratta di informazioni ancora
provvisorie.
Va innanzitutto notato che, si parli di tartufi freschi o conservati, in ogni caso il saldo dell’Italia è
nettamente positivo: nel primo caso l’esportazione, espressa in quantità, è di circa 20 volte
maggiore dell’importazione; nel caso dei conservati questo rapporto sale fino ad essere 1:1540.
6 Tutti i valori monetari sono stati trattati al fine di tenere conto dell’effetto dell’inflazione, e sono stati convertiti, ove necessario, da Lire a Euro.
89
Tartufi freschi
L’esportazione di tartufi freschi nel 2005 è stata pari a complessivi 63 quintali, ed è avvenuta
soprattutto verso la Francia, la Germania e gli Stati Uniti in quantità pari a, rispettivamente, 16, 13 e
circa 8 quintali (fig. 1); per gli altri paesi la quantità scambiata è uguale o al di sotto dei 4 quintali.
Confrontando quantità e valori, si nota che la Papuasia Nuova Guinea ed il Regno Unito sono gli
unici paesi ad aver pagato i tartufi oltre 100 euro per ettogrammo; le forti differenze di valore
possono essere imputate al pregio della specie di tartufo trattata, e alle modalità di trasporto.
Figura 1. Esportazione in quantità di tartufi freschi, 2005
25%
21%12%
Francia 16 q Germania 13 q
Stati Uniti 7,46 q Paesi e territori non determinati 4,45 q
Austria 4,03 q Svizzera 3,51 q
Giappone 3,34 q Altri 2,97 q
Belgio 2,69 q Paesi Bassi 2,24 q
Spagna 1,58 q Regno Unito 1,47 q
Fonte: COEWEB, 2006, nostra elaborazione
Per quanto concerne l’importazione il quantitativo complessivo è stato di poco inferiore a 3 quintali
e il principale partner è stata l’Ungheria, che incide per più dell’80% (fig. 2).
Dal confronto tra valore commerciale e dati quantitativi, si trova conferma che è solo la Croazia ad
aver venduto all’Italia tartufi bianchi, al prezzo di 56 €/ettogrammo, mentre gli altri paesi, sempre
osservando il rapporto fra valore e quantità, hanno scambiato tartufi neri a prezzi oscillanti fra 6 e
12 euro all’ettogrammo, quindi si tratta molto probabilmente di estivo.
90
Figura 2. Importazione in quantità di tartufi freschi, 2005
81%
Ungheria 2,34 q Croazia 0,24 q
Bulgaria 0,16 q Papuasia Nuova Guinea 0,15 q
Germania 0,01 q
Fonte: COEWEB, 2006, nostra elaborazione
Tartufi conservati
La prima osservazione sul commercio estero di tartufi conservati, è che le quantità sono molto più
elevate che nel caso dei freschi: nel 2005 si sono raggiunti i 231 quintali. Il prezzo è nettamente
inferiore ed il numero di paesi partner si riduce da 22 a 16.
I paesi in cui l’Italia ha esportato di più nel 2005 sono Hong Kong – quasi 115 quintali – e la
Francia – poco meno di 60 quintali; gli altri paesi partner restano sotto la soglia dei 20 quintali (fig.
3).
Il Regno Unito, la Spagna e la Svizzera hanno pagato i prezzi più alti ad ettogrammo, circa 20 euro,
contro gli 0.15 euro pagati ad Hong Kong. In questo caso, come nel precedente, i fattori che
influiscono sui prezzi sono la specie di tartufo, ma anche la tipologia di confezionamento,
indirizzato all’ingrosso o al dettaglio.
L’importazione di tartufi conservati, nel 2005, è stata ridottissima: l’unico paese da cui l’Italia ha
acquistato è la Germania; la quantità scambiata è irrisoria (15 chilogrammi) ma il prezzo è
assimilabile alla fascia più elevata, se confrontato con l’esportazione: 20 euro ad ettogrammo.
91
Figura 3. Esportazione in quantità di tartufi conservati, 2005
49%
Hong Kong 114,58 q Francia 59,41 q Germania 15,91 q
Stati Uniti 14,50 q Altri 13,50 q Regno Unito 3,73 q
Svizzera 3,69 q Paesi Bassi 2,67 q Canada 2,56 q
Fonte: COEWEB, 2006, nostra elaborazione
9.2 Il mercato nazionale
Mentre i dati ufficiali dell’import-export si basano sui documenti doganali e danno quindi una
buona approssimazione dei fenomeni, i dati relativi alla produzione sono viziati dalla già citata
riservatezza degli operatori.
Può essere quindi interessante utilizzare dati provenienti da studi precedenti, anche se non così
omogenei.
Nel 1996 fu effettuato uno studio da alcuni ricercatori australiani sul comparto tartuficolo di paesi
tradizionalmente produttori come l’Italia, per comparare ed analizzare le proprie potenzialità
produttive, permette di ottenere informazioni relative alla produzione di tartufo nero pregiato (T.
melanosporum) in Italia tra il 1970 ed il 1993 (fig. 4). Come si può osservare nel grafico, la
produzione presenta dei picchi considerevoli fino alla fine degli anni ’70 per poi diminuire; quindi,
almeno per quanto concerne il tartufo nero pregiato, la produzione sul principio degli anni ’90 è
andata assestandosi su valori tendenzialmente al di sotto dei 400 quintali.
92
Figura 4. Produzione totale annua di Tuber melanosporum in Italia, 1970 – 1993
0
200
400
600
800
1000
1200
70 72 74 76 78 80 82 84 86 88 90 92
Anno
Qu
inta
li
Fonte: Stahle, Ward, 1996
I dati ufficiali dell’ISTAT sulla produzione di tartufo sono pubblicati sugli Annuari dell’Agricoltura
e per il periodo 1996 - 2000 considerano tutte le specie di tartufi insieme; osservando i dati riportati
in tabella 1 si può notare come, alla fine degli anni ’90, la produzione tartuficola, a parte la forte
flessione verso il basso nel 1998, si sia sostanzialmente mantenuta costante. Il fatto che i
quantitativi siano nettamente più alti rispetto a quanto osservato tra il 1970 ed il 1993 dagli autori
australiani, può essere imputato al conteggio congiunto di tartufi bianchi e neri.
Tabella 1. Produzione di tartufi in Italia (1996 – 2000)
Anno Produzione [q]
1996 946.58
1997 856.81
1998 632.90
1999 864.79
2000 979.13
Nostra elaborazione, dati ISTAT, 1999-2005
93
Volendo approfondire l’esame della produzione nazionale, si possono fare delle osservazioni
relative alla distribuzione regionale (fig. 5): è subito evidente che la Regione Umbria detiene il
primato produttivo nazionale per gli anni considerati; infatti, ad esclusione dell’anno 1997, la
produzione umbra è sempre la più ingente. Seguono la Regione Abruzzo, dalla produzione un po’
più scarsa ma più costante nel tempo, e la Regione Marche, con quantitativi decisamente inferiori.
Tutte le altre Regioni prese in esame hanno soglie di produzione media annua inferiori ai 100
quintali.
Figura 5. Produzione di tartufi per Regioni maggiori produttrici, 1996 - 2000
0
50
100
150
200
250
300
350
400
450
Piemon
te
Emilia
Rom
agna
Tosca
na
Umbr
ia
Mar
che
Lazio
Abruz
zo
Moli
se
Campa
nia
Regione
Pro
du
zio
ne
[q] 1996
1997
1998
1999
2000
Fonte: ISTAT, 1999 – 2005, nostra elaborazione
A proposito dei dati sopra riportati, pare opportuno effettuare alcune considerazioni: è lecito
supporre che la produzione registrata dall’ISTAT faccia tendenzialmente riferimento alla quantità
che viene scambiata sui mercati, attraverso canali ufficiali e rilevabili. Poiché, come già detto, gli
scambi di tartufo avvengono prevalentemente fuori mercato, è lecito ipotizzare che i dati presentati
siano alquanto sottostimati rispetto al quantitativo totale circolante. Situazione che è ancor più
accentuata in Piemonte, dove si tratta prevalentemente il tartufo bianco. Si può quindi supporre che
i dati produttivi della nostra Regione manchino di una grossa parte rappresentata dal commercio di
94
Tuber magnatum, fatto che potrebbe anche spiegare perché il Piemonte si trovi così indietro nella
classifica delle Regioni produttrici.
Un ulteriore approfondimento è stato condotto considerando i dati relativi al valore delle
produzioni appena considerate (fig. 6).
Figura 6. Valore medio delle produzioni delle Regioni maggiori produttrici
0
10
20
30
40
50
60
70
80
Piemon
te
Emilia
Rom
agna
Tosca
na
Umbr
ia
Mar
che
Lazio
Abruz
zo
Moli
se
Campa
nia
Regione
Val
ore
[€/
hg
]
Fonte: ISTAT, 1999 – 2006, nostra elaborazione
Il raffronto dei dati sulle quantità prodotte e quelli relativi ai valori permette di osservare come il
più alto rapporto valore-quantità sia proprio in Piemonte (fig. 6), dove il prezzo medio dei tartufi è
stato, tra il 1996 ed il 2000, pari a 72 euro per ettogrammo, contro i 21 euro ad ettogrammo della
Regione Marche. Le altre Regioni esprimono ciascuna un rapporto inferiore ai 20 euro ad
ettogrammo.
Tutto ciò porta a confermare l’ipotesi precedente che il mercato piemontese faccia riferimento quasi
esclusivamente al tartufo bianco, dal prezzo notoriamente molto elevato, al contrario delle altre
Regioni – molte del centro Italia – che trattano anche molti tartufi neri. Il prezzo di questi ultimi,
infatti, è pari a circa un terzo per il nero pregiato, e scende fino a un decimo, ed anche meno per le
altre specie(Brun et al., 2005)..
95
In ogni caso, anche per la Regione Piemonte, il valore ad ettogrammo è significativamente
influenzato da specie meno pregiate, poiché il Tuber magnatum aveva ed ha tuttora un prezzo
decisamente più elevato di 72 euro per ettogrammo.
Come già detto, a partire dal 2002 l’ISTAT rileva tartufi bianchi e neri in modo disgiunto “in
quanto trattasi di produzioni simili sotto il profilo biologico, ma commercialmente molto diverse e
soprattutto in grado di esprimere valorizzazioni molto diverse” (ISTAT, 2006).
I dati indicano un sensibile aumento di produzione totale, con una netta prevalenza di tartufi
bianchi. Non è possibile avere dati differenziati fra i diversi tipi di Tuber appartenenti alla
medesima categoria – ad esempio fra Tuber melanosporum e Tuber aestivum , entrambi neri – ma
lo studio risulta comunque essere più agevole.
Per continuità logica con quanto fatto prima, i dati presentati sono nuovamente stati ripartiti per
regioni maggiori produttrici (fig.7).
Figura 7. Produzione di tartufi bianchi e neri per Regioni maggiori produttrici
Piemon
te
Emilia
Rom
agna
Tosca
na
Umbr
ia
Mar
che
Lazio
Abruz
zo
Moli
se
Campa
nia
0
50
100
150
200
250
300
350
400
Pro
du
zio
ne
[q]
Regione
Tartufi bianchi
Tartufi neri
Fonte: ISTAT, 2006, nostra elaborazione
L’osservazione del grafico permette di affermare che, anche in presenza di una rilevazione più
precisa, la “classifica” dei produttori non cambia di molto: sono infatti sempre Umbria, Abruzzo e
96
Molise le regioni che hanno documentato la maggiore produzione. Il Piemonte resta in coda, con
produzioni di tartufi bianchi pari a 25 quintali e produzioni di neri sotto i 10 quintali.
Il raffronto dei dati sulla produzione con quelli sui valori (fig. 8) permette di confermare che in
Piemonte, tra i tartufi bianchi, si tratta soprattutto il Tuber magnatum – il rapporto valore-quantità
che presenta il Piemonte, è infatti di 69 €/ettogrammo – mentre le Regioni Emilia Romagna,
Marche e Toscana, evidentemente, vedono passare sui loro mercati tartufi bianchi di specie meno
pregiate (come il Tuber borchii) o comunque di qualità inferiore visto il prezzo medio unitario
molto più contenuto pari a 23-24 €/ettogrammo.
Figura 8. Valore delle produzioni di tartufi bianchi per Regioni maggiori produttrici, 2002
0
10
20
30
40
50
60
70
80
Piemon
te
Emilia
Rom
agna
Tosca
na
Umbr
ia
Mar
che
Lazio
Abruz
zo
Moli
se
Campa
nia
Regione
Val
ore
[€/
hg
]
Fonte: ISTAT, 2006, nostra elaborazione
L’analisi della situazione dei tartufi neri, riportata in fig.9, si presenta più articolata: innanzi tutto in
quanto in Italia è permesso commercializzare sei diverse specie i cui prezzi differiscono alquanto; in
secondo luogo i tartufi neri possono essere coltivati, ed in particolare di Tuber melanosporum e di
Tuber aestivum in alcune Regioni esistono un certo numero di tartufaie, fatto questo che comporta
una modifica dell’offerta. Tenendo conto di questi aspetti, si può comunque rilevare che le Regioni
Marche, Lazio, Umbria e Toscana, registrano i più alti valori di mercato dei tartufi neri, con prezzi
medi variabili fra 11 e 18 €/ettogrammo; la regione Piemonte si attesta su 6 €/ettogrammo. Questa
97
disparità può dipendere sia dal fatto che prevalgano le specie di minor pregio, sia da più ridotte
quotazioni sul mercato locale dovute al fatto che la domanda è soprattutto di tartufo bianco.
Figura 9. Valore delle produzioni di tartufi neri per Regioni maggiori produttrici, 2002
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
20
Piemon
te
Emilia
Rom
agna
Tosca
na
Umbr
ia
Mar
che
Lazio
Abruz
zo
Moli
se
Campa
nia
Regione
Val
ore
[€/
hg
]
Fonte: ISTAT, 2002, nostra elaborazione
9.3 Il mercato piemontese
I dati a disposizione non permettono di analizzare il mercato in maniera strutturata e continuativa.
Il mercato principale per i tartufi all’ingrosso è quello di Asti: benché non sia il più grande e vi si
tratti in larga misura tartufo non piemontese7, è questo il luogo in cui, tradizionalmente, si fa il
prezzo del Tuber magnatum Pico nel nord Italia.
Gli altri mercati Piemontesi di particolare rilievo si svolgono presso Moncalvo, Murisengo ed Alba.
Le fonti disponibili permettono di descrivere l’andamento del mercato Piemontese nel decennio tra
il 1988 ed il 1997 con riferimento alle quantità scambiate (fig. 10), mentre con riferimento ai prezzi
possiamo studiare il periodo tra il 2002 ed il 2005 (fig. 11).
Per quanto riguarda i quantitativi trattati il mercato di Asti occupa sempre la prima posizione per i
maggiori quantitativi di tartufo bianco; seguito dalla voce “altri mercati” che include una somma di
luoghi. Un’altra parte piuttosto significativa fa riferimento ai volumi scambiati fuori mercato, 7 Sul finire degli anni ’90, «il rapporto tra tartufo bianco nostrano e tartufo “del Centro” scambiato in media stagionale al mercato di Asti è di 1 a 4». (Prosio, 1998)
98
ovvero alle vendite che avvengono “porta a porta” tra privati: tali valori sono evidentemente frutto
di una stima, ma il loro peso sul totale resta piuttosto elevato.
Figura 10. Quantitativi di tartufi scambiati su alcuni mercati in periodo autunnale, 1988 – 1997
0
200
400
600
800
1.000
1.200
1.400
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
Ch
ilog
ram
mi
Asti Moncalvo Murisengo Alba Altri mercati Fuori mercato
Fonte: Prosio, Dulla, 1998, nostra elaborazione
Tra le annate considerate il 1988 è stata sicuramente la più produttiva: anche se, all’epoca,
sembrava fosse la peggiore degli ultimi anni (Prosio, 1998), diventa eccezionale se paragonata alle
annate successive, le cui produzioni sono in rapporto con la precedente in misura di 1:1,7.
Quanto ai prezzi, considerando il prezzo medio stagionale rilevato durante tutto il decennio, si
osserva una leggera tendenza al calo, anche se, sostanzialmente, non si notano grossi scarti o ingenti
differenze (fig. 11).
99
Figura 11. Prezzi dei tartufi, 1988 – 1997
0
50
100
150
200
250
300
350
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
Anno
Eu
ro
Prezzo medio stagionale Prezzo medio ott-nov
Prezzo massimo stagionale
Fonte: Prosio, Dulla, 1998. nostra elaborazione
Per quanto concerne il periodo tra il 2002 ed il 2005, i dati reperiti sono strutturati in modo
differente dal caso precedente: non si hanno a disposizione i quantitativi scambiati sui mercati, ma
si ha la possibilità di studiare con maggiore dettaglio l’andamento delle quotazioni sul mercato di
Asti (fig. 12).
100
Figura 12. Andamento del prezzo medio dei tartufi sul mercato di Asti nella stagione di raccolta (2003, 2004, 2005)
0
50
100
150
200
250
300
350
400
450
500
2003 2004 2005
Eu
ro
Al cercatore Al consumatore
Fonte: Camera di Commercio di Asti, 2006, nostra elaborazione
Innanzitutto il prezzo viene distinto a seconda dell’acquirente, commerciante o consumatore, (ad
eccezione dell’anno 2003) ed inoltre viene segnalata la pezzatura del tartufo suddiviso in medio –
piccolo (fino a 20/30 grammi) e medio –grande ( oltre 40 grammi).
I prezzi al commerciante sono mediamente più bassi di quelli al consumatore del 23%.
I prezzi al cercatore aumentano mediamente del 44% se si trattano pezzature più grandi rispetto a
pezzature più piccole; quelli al consumatore aumentano mediamente del 38%, ma si tratta di
aumenti meno regolari, cioè: i prezzi al consumatore risentono in maniera più forte della
disponibilità di pezzature più grandi (disponibilità che varia stagionalmente).
Tra il 2003 ed il 2005 i prezzi al cercatore sono stati fra i 100 ed i 350 euro ad ettogrammo, mentre
per il consumatore hanno oscillato fra i 150 ed i 430; da notare che i prezzi più elevati fanno
riferimento all’anno 2003, in cui si ebbe un’estate particolarmente siccitosa con conseguente scarsa
produzione di tartufi.
Volendo provare a trarre qualche conclusione è opportuno ribadire che il mercato mostra una parte
molto limitata del fenomeno tartufo, perché una parte molto grossa non vi transita. Per la quantità
che non viene scambiata sul mercato è, a nostro avviso, molto difficile stimare l’ammontare. Questa
precisazione va estesa ovviamente anche ai prezzi. Sicuramente il clima, ed in particolare la
101
piovosità estiva, influenza le produzioni, sia come quantità sia come qualità (pezzature) e quindi il
prezzo, che subisce forti oscillazioni anche nel corso di una stessa stagione di raccolta in relazione
alla disponibilità di prodotto. Sul mercato piemontese circola anche prodotto proveniente da altre
Regioni e dall’estero, ma in un contesto di totale non trasparenza del mercato, l’aumento di quantità
non ha alcun effetto positivo sul prezzo. Sembra che i flussi siano regolati dagli operatori presenti in
modo da soddisfare la domanda al minimo, mantenendo un prezzo elevato. Tutti gli operatori del
comparto – cercatori, commercianti, trasformatori - sono concordi nel dire che la domanda sui
mercati è costante o in leggero aumento, ma che l'offerta è in calo. Il che non può far altro che
mantenere la fama di prodotto di lusso con prezzi molto elevati.
9.4 Bibliografia
• Brun F., Mosso A., Xausa E. (2005): I funghi commestibili d’eccellenza: analisi delle produzioni tartuficole in Piemonte, con particolare riferimento agli aspetti economici – 2005, Regione Piemonte
• ISTAT (1999): Statistiche dell’agricoltura 1996, ISTAT • ISTAT (2000): Statistiche dell’agricoltura 1997, ISTAT • ISTAT (2001): Statistiche dell’agricoltura 1998, ISTAT • ISTAT (2002): Statistiche dell’agricoltura 1999, ISTAT • ISTAT (2005): Il valore della moneta in Italia dal 1861 al 2004, ISTAT • ISTAT (2005): Statistiche dell’agricoltura 2000, ISTAT • ISTAT (2006): Statistiche dell’agricoltura 2001-2002, ISTAT • Prosio G., Dulla G. (1998): Il tartufo – 10 anni di borsa, Editrice Monferrato • Stahle P.P., Ward D. (1996): Evaluation of the potential of growing Tuber melanosporum as
a crop on mainland Australia for export and domestic consumption
Siti internet consultati
• http://www.albatartufi.com • http://www.atasti.it/atl/borsino.htm • http://www.coeweb.istat.it/default2.htm
102
10. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Lo studio sul settore tartuficolo piemontese è stato sviluppato mantenendo separate le due specie
Bianco e Nero, in relazione al fatto che il Bianco è solo frutto di raccolta del prodotto spontaneo,
mentre il Nero, sia pregiato che estivo, può essere oggetto di coltivazione. Peraltro in Piemonte,
salvo in qualche zona, quando si parla di tartufo ci si riferisce al Tuber magnatum Pico, cioè al
Bianco pregiato.
Le valutazioni economiche relative alle tartufaie coltivate sono state analizzate in riferimento a due
tipologie di impianto: una più intensiva per la produzione di Nero pregiato e una più estensiva per la
produzione di Nero estivo. Dalle valutazioni effettuate entrambe le ipotesi risultano convenienti. Va
segnalato a riguardo che, mentre i dati relativi agli impianti, e quindi i conseguenti costi, sono frutto
di esperienze dirette, quelli utilizzati per le produzioni provengono dalla letteratura e da impianti
fuori Regione e non da rilevazioni dirette, al momento non ancora disponibili, sulle piantagioni
realizzate nell’ambito del progetto. Questo aspetto, pur non inficiando i risultati ottenuti, deve
essere ricordato per completezza di informazione.
Sempre per quanto riguarda la filiera del Nero sono stati calcolati i costi di produzione delle
piantine micorrizate, in riferimento all’esperienza svolta nell’ambito del Progetto Verchamp presso
il Vivaio Forestale Regionale Gambarello. Tali costi sono risultati del tutto congruenti con i prezzi
attualmente praticati dai vivai privati che operano su questo mercato.
Al completamento della filiera del Nero ha contribuito l’indagine sull’industria di trasformazione
che ha confermato la capacità di tale settore di utilizzare commercialmente anche le specie di tartufi
meno pregiati, Scorzone, e le qualità inferiori di quelli di maggior pregio, Melanosporum e
Magnatum.
Complessivamente la coltivazione dei tartufi neri risulta quindi sostenibile anche dal punto di vista
economico, oltre che da quello tecnico.
Per quanto riguarda il Tartufo bianco, che, come detto, costituisce il maggior interesse per la nostra
Regione, le problematiche emerse sono di tuttaltro genere, in relazione al fatto che si tratta di un
prodotto spontaneo, al momento non coltivabile, la cui raccolta dipende da molteplici fattori, alcuni
difficilmente governabili, come ad esempio il clima.
Il settore del tartufo è connotato da una scarsa trasparenza, e la maggior parte degli operatori è
piuttosto reticente, quindi la conoscenza delle informazioni di mercato è alquanto difficoltosa. Le
stesse informazioni ufficiali disponibili sono poco attendibili infatti, in linea di massima, si
riferiscono alla transazioni avvenute sui mercati, ma, come è noto, le compravendite di tartufo
avvengono prevalentemente al di fuori degli stessi. Non va dimenticato che i cercatori possono
legalmente cedere il prodotto trovato senza alcuna documentazione fiscale. In questo contesto
103
diventa alquanto difficile persino stimare il quantitativo di tartufo bianco “cavato” in Piemonte. Si
aggiunga che nella nostra Regione viene anche commercializzato prodotto proveniente da altre
Regioni italiane e dall’estero. L’ultimo dato ufficiale disponibile riferito al 2002 (ISTAT, 2006)
parla di 25 q di Bianco e di 10 q di Nero: è presumibile che tale dato si riferisca al solo prodotto che
transita sui mercati, e quindi come tale sia alquanto sottostimato.
Si ritiene che una possibile strada per quantificare la produzione piemontese potrebbe partire dal
numero di cercatori: quelli ufficiali, cioè abilitati alla cerca, avendo sostenuto l’esame e pagato il
tesserino annuale, sono attualmente circa 4.000, ma si stima che ce ne siano almeno altrettanti
“abusivi”. L’indagine svolta presso alcuni cercatori ha permesso di definire delle tipologie: il
cercatore professionale, cioè colui che essendo pensionato può dedicarsi alla cerca, nei periodi
produttivi, anche continuativamente; quello semi-professionale, che avendo un lavoro può
raccogliere tartufi per un tempo più limitato; ed infine l’hobbista che si dedica alla cerca in modo
più estemporaneo e con obiettivi non di mercato. E’ ovvio che i quantitativi trovati sono in una certa
misura collegati al tempo dedicato alla cerca.
Sul fronte della domanda l’indagine svolta presso alcune Fiere ha evidenziato una certa riservatezza
anche dei consumatori di questo prodotto; nonostante alcune difficoltà, è stato possibile verificare
che gli scambi realizzati riguardano, per i casi esaminati, quantità e pezzature non particolarmente
significative. La sensazione che si è tratta dalle Fiere frequentate è che anche questo mercato al
dettaglio funzioni come quello all’ingrosso, ossia il prodotto sia scambiato prevalentemente al di
fuori delle contrattazioni ufficiali. La Fiera, con le sue manifestazioni collegate, svolge funzioni di
immagine, di richiamo e di vetrina, ma le vendite significative avvengono altrove. D’altronde le
Fiere nel loro complesso, pur essendo intitolate al tartufo, lo vedono collocato quasi sempre in una
posizione secondaria come quantità di spazio ad esso dedicato. Inoltre riescono ad attrarre grandi
numeri di persone, ma per periodi di permanenza molto brevi – visita in giornata – e caratterizzati
da ridotti consumi al di fuori della Fiera.
Queste prime risposte, che richiederebbero ulteriori approfondimenti ed estensioni, consentono
alcune riflessioni, in particolare sulla organizzazione e gestione degli eventi fieristici. Si ritiene, ad
esempio, che una riduzione del numero di fiere attraverso una loro razionalizzazione potrebbe avere
ricadute positive. Infatti attualmente accade che si verifichino da un lato sovrapposizioni, dall’altro
che, presso Fiere che durano un’unica giornata, l’affollamento sia tale da rendere non facilmente
fruibile l’evento. Una proposta potrebbe essere una Fiera di zona, che riunisca un certo numero di
Comuni (4-6), con una durata indicativa di due fine settimana, con eventi - quali cerca, gare,
seminari informativi - sparsi sull’intero territorio interessato.
104
Dall’indagine svolta presso i cercatori è emerso inoltre che, a differenza del passato, attualmente
tutti raccolgono anche i tartufi meno pregiati, in quanto l’interesse complessivo per il prodotto ne
consente una buona collocazione mercantile.
Un’altra caratteristica peculiare del mercato dei tartufi è la forte fluttuazione dei prezzi nel corso
della stagione, in dipendenza della quantità presente. Il legame tra prezzo e quantità su un mercato
non avrebbe nulla di particolare, se non per le dimensioni che assume nel caso specifico: nel corso
del periodo di raccolta 2006 dello scorzone si è passati da valori di 5 €/hg a luglio, in
corrispondenza di buona disponibilità di prodotto, a prezzi di 20 €/hg a fine settembre, quando le
quantità offerte erano minori e la domanda rilevante. Le variazioni di prezzo sono ancora più
sensibili per il Bianco pregiato, dove gioca anche la pezzatura del singolo tartufo.
Nel complesso però la situazione informativa rispetto ai prezzi è piuttosto buona, anche grazie ai
servizi on-line offerti da diversi operatori sia pubblici che privati.
Per contro si ritiene che potrebbero essere sviluppate azioni volte a garantire la provenienza del
tartufo visto che, come noto, nella nostra Regione oltre al prodotto autoctono ne circola molto di
svariate provenienze.
Sempre per quanto riguarda il Bianco pregiato, da più parti è stato segnalato come la produzione sia
in costante diminuzione, in dipendenza dai cambiamenti climatici, dall’elevato numero di cercatori
– soprattutto in alcune zone -, dalle mutate pratiche agricole, tra queste ultime va segnalato
l’abbattimento di molte piante anche in zone tartuficole. Su questo ultimo punto si potrebbero
concentrare alcuni interventi volti a conservare e, ove possibile a ripristinare, un patrimonio
arboreo, che, se di per se stesso non è in grado di garantire la produzione di Tuber magnatum, ne
costituisce però una base indispensabile.
Senza voler affatto diminuire l’importanza di questo prodotto e le ricadute economiche locali che
sono rilevanti, tuttavia esso appare, nel complesso, più legato agli aspetti di immagine e di capacità
di attrazione per il territorio. Come confermato dal fatturato che rappresenta il 2-3 per mille del
fatturato agricolo regionale. Di qui la notevole rilevanza delle Fiere, delle manifestazioni collegate
e di tutto ciò che unisce il tartufo al proprio territorio.
105
BIBLIOGRAFIA
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1780
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• Micheli P.A., (1729): Nova plantarum genera
• Pennier de Longchamp, (1766): Dissertation physico-medicale, sur les truffes et sur les
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• http://www.at.camcom.it/Tool/PriceList/Single/view_html?id_price=5
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