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IL SETTORE TARTUFICOLO PIEMONTESE: ANALISI ECONOMICA DELLE TARTUFAIE COLTIVATE E APPROFONDIMENTI SUL MERCATO DEI TARTUFI E DEI PRODOTTI DERIVATI ALCOTRA INTERREG IIIA 2000-2006 Alpi Latine COoperazione TRAnsfrontaliera Italia – Francia (Alpi) PROGETTO COFINANZIATO DALL’UNIONE EUROPEA OTTOBRE 2006 Livia Maistrelli, Angela Mosso DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E INGEGNERIA AGRARIA, FORESTALE E AMBIENTALE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO DIREZIONE ECONOMIA MONTANA E FORESTE SETTORE GESTIONE DELLE ATTIVITÀ STRUMENTALI PER L’ECONOMIA MONTANA E LE FORESTE DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E

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IL SETTORE TARTUFICOLO PIEMONTESE:ANALISI ECONOMICA DELLE TARTUFAIE

COLTIVATE E APPROFONDIMENTI SUL MERCATODEI TARTUFI E DEI PRODOTTI DERIVATI

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E INGEGNERIA AGRARIA, FORESTALE E AMBIENTALE

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

DIREZIONE ECONOMIA MONTANA E FORESTE

SETTORE GESTIONE DELLE ATTIVITÀ STRUMENTALI PER L’ECONOMIA MONTANA E LE FORESTE

ALCOTRA INTERREG IIIA 2000-2006Alpi Latine COoperazione TRAnsfrontaliera Italia – Francia (Alpi)

PROGETTO COFINANZIATODALL’UNIONE EUROPEA

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PROGETTO COFINANZIATODALL’UNIONE EUROPEA

OTTOBRE 2006

Livia Maistrelli, Angela Mosso

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E INGEGNERIA AGRARIA, FORESTALE E AMBIENTALE

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

DIREZIONE ECONOMIA MONTANA E FORESTE

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ALCOTRA INTERREG IIIA 2000-2006Alpi Latine COoperazione TRAnsfrontaliera Italia – Francia (Alpi)

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E INGEGNERIA AGRARIA, FORESTALE ED AMBIENTALE

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO

DIREZIONE ECONOMIA MONTANA E FORESTE

SETTORE GESTIONE DELLE ATTIVITA’ STRUMENTALI PER

L’ECONOMIA MONTANA E FORESTALE

IL SETTORE TARTUFICOLO PIEMONTESE: ANALISI ECONOMICA DELLE TARTUFAIE COLTIVATE E

APPROFONDIMENTI SUL MERCATO DEI TARTUFI E DEI PRODOTTI DERIVATI

Livia Maistrelli, Angela Mosso

ALCOTRA INTERREG IIIA 2000-2006 Alpi Latine COoperazione TRAnsfrontaliera Italia – Francia (Alpi)

Ottobre 2006

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E INGEGNERIA AGRARIA, FORESTALE E AMBIENTALE, DELL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO, SEZIONE DI ECONOMIA E POLITICA AGRARIA Via Leonardo da Vinci, 44 – 10095 – GRUGLIASCO (TO) Tel. 011.670.8634/8623 – Fax. ++39.011.670.8639 Rapporto finale della ricerca “Il settore tartuficolo piemontese: analisi economica delle tartufaie coltivate e approfondimenti sul mercato dei tartufi e dei prodotti derivati”, finanziata dalla Regione Piemonte – Direzione Economia Montana e Foreste, nell’ambito del progetto “VERCHAMP” – P.I.C. INTERREG III A – ALCOTRA – Italia – Francia (ALPI), responsabile scientifico Prof. Angela Mosso. A. Mosso ha curato l’impostazione generale del lavoro. Sono da attribuire ad A. Mosso i § 1,4,5,6,7,9,10. Sono da attribuire a L. Maistrelli i § 2,3,8. Si ringraziano vivamente tutti gli operatori del comparto che hanno gentilmente collaborato. Si autorizza la riproduzione, la diffusione e l’utilizzazione del contenuto del volume con la citazione della fonte.

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PREMESSA

Negli ultimi tre anni la Regione Piemonte ha realizzato molte attività nel settore del tartufo.

Con la conclusione del progetto Verchamp, frutto di un importante cooperazione tra

partners transfrontalieri, si sono acquisite maggiori conoscenze tecniche ed economiche.

L’importanza di queste ultime è dimostrata dal presente studio, condotto dal Dipartimento

di Economia ed Ingegneria e Agraria e Forestale dell’Università di Torino. Si tratta di una

valutazione della redditività degli investimenti nell’ambito della tartuficoltura i cui risultati

hanno confermato che il tartufo può essere, in molte zone considerate svantaggiate del

nostro territorio, la piattaforma sulla quale costruire un sistema economico-produttivo

compatibile con l’ambiente.

L’impegno dell’Amministrazione Regionale deriva dalle crescenti potenzialità dei prodotti di

nicchia e dalla crescente domanda di prodotti di qualità per il turismo enogastronomico,

che rendono il tartufo un prodotto strategico nell’economia piemontese.

Gli studi di filiera sono la base per la valorizzazione ed il sostegno delle produzioni tipiche

di qualità e vanno di pari passo con interventi tecnici mirati sul territorio, come il recupero

delle tartufaie naturali di bianco pregiato in calo di produzione.

Sulla base dei risultati ottenuti dalle prime esperienze condotte, si è avviato il recupero di

numerose tartufaie nelle quattro province vocate (Alessandria, Asti, Cuneo e Torino). Per

approfondire le conoscenze sui delicati equilibri che presiedono alla produzione del

prezioso tartufo bianco d’Alba, si è avviata un’approfondita ricerca, affidata al CNR –

Istituto per la Protezione delle Piante di Torino, incentrata sull’analisi delle componenti

presenti nella rizosfera, con tecniche biomolecolari.

Lo stretto legame tra gli studi economici e la conoscenza del delicato ecosistema del

tartufo bianco pregiato si è rivelato indispensabile per indirizzare alla conservazione e alla

difesa del patrimonio esistente nella nostra Regione.

Un patrimonio naturale ed economico su cui il Piemonte punta per creare opportunità di

sviluppo secondo criteri di equità e sostenibilità.

BRUNA SIBILLE

ASSESSORE ALLO SVILUPPO

DELLA MONTAGNA E FORESTE,

OPERE PUBBLICHE, DIFESA DEL

SUOLO

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INDICE

1. INTRODUZIONE............................................................................................................................4 2. IL TARTUFO: STORIA ED EVOLUZIONE.................................................................................6

2.1 Cenni storici ...............................................................................................................................6 2.2 L’evoluzione della coltivazione .................................................................................................9 2.3 Bibliografia ..............................................................................................................................14

3. GLI ASPETTI NORMATIVI ........................................................................................................15 3.1 La normativa nazionale............................................................................................................15 3.2 Confronto delle normative regionali ........................................................................................17 3.3 La normativa internazionale.....................................................................................................31

La normativa francese ...............................................................................................................31 La normativa spagnola ..............................................................................................................34 Le raccomandazioni ONU .........................................................................................................37

3.4 Bibliografia ..............................................................................................................................39 4. ANALISI TECNICA ED ECONOMICA DELL’ATTIVITA’ VIVAISTICA .............................40

4.1 Aspetti tecnici ..........................................................................................................................40 4.2 Valutazioni economiche...........................................................................................................42 4.3. Risultati ottenuti......................................................................................................................43 4.4 Bibliografia ..............................................................................................................................48

5. INDAGINE DIRETTA A CERCATORI/TARTUFICOLTORI ...................................................49 5.1 Cenni metodologici ..................................................................................................................49 5.2 Risultati emersi dall’indagine ..................................................................................................51

6. VALUTAZIONI ECONOMICHE DI PIANTAGIONI TARTUFICOLE ....................................58 6.1 Aspetti tecnico colturali ...........................................................................................................58 6.2 Tartufaia di nero pregiato.........................................................................................................59 6.3 Tartufaia di nero estivo ............................................................................................................62 6.4 Altri costi..................................................................................................................................64

Costi per il mantenimento del cane............................................................................................64 Costo della raccolta ...................................................................................................................65

6.5 Analisi finanziaria della redditività..........................................................................................66 I ricavi ........................................................................................................................................66 Il saggio di interesse ..................................................................................................................66 Valutazione conclusiva ..............................................................................................................67

6.6 Bibliografia ..............................................................................................................................68 7. IL SETTORE DEI PRODOTTI TRASFORMATI........................................................................69

Primo caso di studio ..................................................................................................................70 Secondo caso di studio ...............................................................................................................71

8. STUDIO DELLA DOMANDA DI TARTUFO ............................................................................73 8.1 Caratterizzazione e classificazione delle fiere .........................................................................73 8.2 Indagine sui frequentatori delle Fiere del Tartufo ...................................................................83

9. IL MERCATO DEL TARTUFO ...................................................................................................88 9.1 Il mercato internazionale..........................................................................................................88

Tartufi freschi.............................................................................................................................89 Tartufi conservati .......................................................................................................................90

9.2 Il mercato nazionale .................................................................................................................91 9.3 Il mercato piemontese ..............................................................................................................97 9.4 Bibliografia ............................................................................................................................101

10. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE........................................................................................102 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................105

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1. INTRODUZIONE La ricerca si occupa dell’analisi economica del settore tartuficolo piemontese e si colloca

nell’ambito del Progetto “Verchamp”- P.I.C. Interreg IIIA-Alcotra Italia Francia cofinanziato dalla

Regione Piemonte, Assessorato Sviluppo della Montagna e Foreste, e dall’Unione Europea ed è

stato svolto dal Dipartimento di Economia e Ingegneria Agraria, Forestale e Ambientale

dell’Università di Torino, Responsabile Prof. Angela Mosso.

Lo studio si sviluppa su due binari: quello relativo ai tartufi neri, nelle varietà pregiato ed estivo, e

quello relativo al tartufo bianco pregiato; i due comparti vanno tenuti ben separati in relazione alla

netta differenziazione dei prodotti ed anche al fatto che i neri possono essere coltivati, mentre per

il bianco questa opportunità al momento non sussiste. Va comunque sottolineato che in Piemonte,

da sempre, quando si parla di tartufo ci si riferisce al bianco pregiato.

Dopo un excursus storico che ricostruisce le origini e le tradizioni del tartufo e delle relative

manifestazioni, segue una approfondita disamina delle normative nazionale e regionali, che

vengono tra di loro confrontate. Sono anche considerate la normativa francese e spagnola, essendo

questi due Paesi particolarmente significativi nel comparto tartuficolo, la Francia come storico

produttore e trasformatore di tartufi neri, la Spagna come produttore emergente con tartufaie

coltivate di grandi dimensioni.

Vengono in seguito descritte le due filiere del tartufo nero e del bianco. Relativamente alla filiera

del nero l’analisi inizia con lo studio della produzione delle piantine micorizzate in vivaio e le

relative valutazioni economiche. Prosegue con l’esame del reddito ritraibile dalle tartufaie in coltura

specializzata di nero pregiato ed estivo, e si conclude con lo studio del settore dei prodotti

trasformati, che rappresenta un significativo mercato di sbocco per il nero soprattutto estivo.

Per quanto riguarda il bianco pregiato la filiera è costituita dalla raccolta del prodotto spontaneo e

dalla relativa commercializzazione, quindi l’attenzione si concentra sui cercatori, sui commercianti

e sul mercato.

Per approfondire l’analisi del comparto vengono svolte due indagini dirette volte ad esaminare l’una

la domanda e l’altra l’offerta: la prima prevede l’intervista di acquirenti di tartufo nell’ambito di

alcune Fiere che si tengono nella nostra regione, la seconda vede come soggetti del questionario i

cercatori/ tartuficoltori. In quanto in un mondo quale quello del tartufo, connotato da una

scarsissima trasparenza ed anche da poche informazioni sotto molti punti di vista, l’acquisizione

di conoscenze richiede necessariamente delle rilevazioni dirette.

Il comparto dei tartufi, non così rilevante come peso economico sul fatturato agricolo regionale di

cui rappresenta appena il 2-3 per mille, risulta essere una significativa fonte di reddito in ambito

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locale oltre ad avere una ricaduta notevole in termini di immagine e una rilevante capacità di

attrazione per il territorio.

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2. IL TARTUFO: STORIA ED EVOLUZIONE

2.1 Cenni storici

Il tartufo è noto all’uomo come prelibatezza fin da 1600 anni prima di Cristo, anche se su questa

notizia non si hanno prove certe (http://xoomer.virgilio.it/gmuccine/Storia.htm).

Nel IV secolo a.C. si ha invece conoscenza di una ricetta – “Pasticcio tartufato alla Kiromene”,

vincitore di un concorso gastronomico ad Atene – che fruttò ai figli di Cherippo il conferimento

della cittadinanza (http://xoomer.virgilio.it/gmuccine/Storia.htm).

Per quanto riguarda l’origine del tartufo esistevano molte teorie (Plutarco, Plinio, Marziale,

Giovenale e Galeno) che ne attribuivano la nascita e la crescita all’azione combinata di acqua,

calore e fulmini (questi ultimi scagliati da Giove, il che spiegherebbe anche perché si ritenesse il

tartufo un cibo degli dei); quanto invece al consumo, pare che allora il tartufo venisse abitualmente

mischiato con lenticchie e senape.

In realtà, con tutta probabilità, quello che i Romani chiamavano “tuber terrae” non era tartufo ma

Terfezia arenaria (Terfezia leonis Tul o Terfezia magnusii Matt), fungo dal sapore neutro,

abbondante nell’Italia meridionale e nelle isole, oltre che nell’Africa settentrionale e nell’Asia

Occidentale.

Le terfezie venivano servite – secondo il De re coquinaria di Marco Gavio Apicio, 25-37 a.C. –

condite con pepe, ligustico, coriandolo, ruta, garum1, miele ed olio; le ricette indicate sono inserite

nel settimo libro, ovvero tra le pietanze più costose...

Fino a tutto il Medioevo erano note soprattutto le terfezie, presenti esclusivamente sulla tavola dei

nobili, ma non mancano testimonianze sui tartufi bianchi e neri e sul loro pregio: un documento del

1380 proveniente dagli archivi dei Savoia, parla di tartufi bianchi del cuneese mandati in dono dei

principi d’Acaja a Bona di Borbone, in segno di ossequio diplomatico

(http://www.italyexport.com/funghi/storia.html).

E’ intorno al XIII secolo che viene fatta risalire l’origine del nome “tartufo” per i preziosi funghi

che stavano prendendo il posto delle terfezie di Romana memoria: il nome abituale era “terrae

tufolae”, ossia “gobbe della terra”, per il fatto che sviluppandosi e crescendo in dimensioni, i tartufi

sollevano un po’ il terreno; per contrazione si è giunti a “tartuffole” e quindi ai moderni “tartufo”

italiano e “truffe” francese (http://www.italyexport.com/funghi/storia.html).

1 Apicio suggerisce il garum su gran parte delle sue ricette, con la specifica funzione di salare le vivande. Certamente il prodotto era composto da interiora a base di pesce fatte macerare in olio assieme a varie erbe. (Fonte: www.taccuinistorici.it)

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Con il Rinascimento, il tartufo vede il suo momento di gloria: ha un posto d’onore sulle tavole dei

nobili Francesi del XIV e XV secolo, e nello stesso periodo il “tartufo bianco pregiato” comincia a

trovare il suo spazio di affermazione in Italia.

Nel ‘700 le diverse specie di tartufo erano oggetto non solo più di alta cucina, ma anche di eventi

mondani, per cui nobili stranieri erano invitati nel “Paese del tartufo” – nella fattispecie a Torino – a

prendere parte o ad assistere alla cerca; viene fatta risalire a questo momento la sostituzione del

maiale con il cane come animale da ricerca, probabilmente per la sua maggiore eleganza, ed in

seguito anche per la maggiore facilità di addestramento (http://www.tartuflanghe.it/ita/pagine/

tartufo/storia.lasso).

Tra il 1700 ed il 1800 si hanno le prime pubblicazioni in merito ai tartufi: in “Nova plantarum

genera” del 1729 Pier Antonio Micheli classifica scientificamente i funghi allora noti, riservando

una sezione ai tartufi, e descrivendo in particolare il Tuber melanosporum ed il Tuber aestivum. Nel

1766 Pennier de Longchamps si dedica alla stesura della “Dissertation physico-medicale, sur les

truffes et sur les champignons”, vale a dire il primo trattato scientifico sui tartufi; nel 1780 escono le

“Lettres sur les truffes du Piémont écrites par Mr. le Comte de Borch en 1780”, che danno

finalmente il giusto rilievo al Tartufo bianco del Piemonte.

Giusto otto anni più tardi il T. bianco pregiato acquisisce il proprio nome attuale, Tuber magnatum,

grazie al piemontese Vittorio Pico, il quale, si dice, intendesse però dire “magnatium”, ossia “dei

magnati, di quelli che se lo possono permettere”.

Infine nel 1831 viene pubblicata la prima opera dedicata interamente ai tartufi: “Monographia

Tuberacearum” di Carlo Vittadini; in essa sono descritte 51 diverse specie di tartufi, di cui molte,

all’epoca, ancora sconosciute ai più.

Fino alla fine del 1800 si hanno poi costanti scoperte scientifiche: nel 1862 Louis-René e Charles

Tulasne pubblicano “Fungi hypogaei” in cui parlano della struttura dei tartufi e di come si

riproducono; circa vent'anni dopo, Giuseppe Gibelli scoprì che il micelio del tartufo che avvolge gli

apici radicali delle piante con cui vive in simbiosi, svolge le funzioni dei peli radicali; nel 1892

Adolphe Chatin pubblica nel suo “La truffe” di aver scoperto che i tartufi neri prediligono i terreni

del mesozoico, in particolare del giurassico, mentre i tartufi bianchi prediligono i terreni del

cenozoico, e che il sapore dei tartufi dipende sia dalla qualità del terreno, sia dalla pianta con cui

vivono in simbiosi.

Infine, mano a mano che la strumentazione di indagine scientifica si evolve e le scoperte vanno al

seguito, si arriva alla moderna concezione del modello di simbiosi tra tartufo e piante arboree, si

indagano meglio le condizioni di sviluppo dei Tuber, e si giunge anche ad un modello di

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riproduzione artificiale dei tartufi: la coltivazione; gli aspetti legati all’evoluzione di tale pratica

saranno esposti in seguito.

Da sempre le fiere hanno rappresentato un aspetto particolarmente significativo del mercato del

tartufo. Attualmente se ne contano una cinquantina in tutta Italia, facendo riferimento solo a quelle

di maggior rilievo, concentrate in Piemonte, Marche, Umbria, Abruzzo e Toscana.

Per quanto riguarda la realtà regionale Piemontese, tra le fiere più importanti, si ricordano la Fiera

di Alba e la Fiera di Moncalvo, le cui tradizioni trovano radici al principio del '900.

La fiera di Moncalvo

Vuole la tradizione che all'inizio del '900 Pietro Lanfrancone, proprietario di una locanda in cui tutti

i giovedì i trifulau si ritrovavano in occasione del mercato, organizzasse sponte sua una sorta di

concorso di tartufi: avrebbe vinto un pranzo colui che avesse raccolto il gruppo più abbondante di

tartufi ed i singoli tartufi più belli. La giuria era composta dal Sig. Lanfrancone e da altri esperti

trifulau, che ogni terza domenica d'ottobre si riunivano per il rito

(http://www.monferrini.com/storia.html).

L'abitudine prese piede e si protrasse fino al 1955, anno in cui il Comune trasformò il concorso da

“festa in compagnia” che era, in “Concorso del Tartufo di Moncalvo e del Monferrato”.

Negli anni '60 e '70 il Concorso diventò “Fiera” e, in relazione alle condizioni ambientali, vide

cambiare il proprio regolamento: sul finire degli anni '60, per esempio, il limite di peso minimo per

gli esemplari era di mezzo chilogrammo, dato che non stupisce se si pensa che in quegli anni non

era cosa rara trovare tartufi il cui peso arrivava a toccare il chilogrammo.

A partire dal 1973 la Fiera, fino ad allora organizzata dalla pro-loco, venne affidata ad una

commissione di esperti guidata dal Presidente di nomina Consigliare, che fece crescere a due le

giornate di Fiera (la penultima e l'ultima domenica di ottobre) ed allargò la manifestazione all'eno-

gastronomia.

La Fiera di Alba

La Fiera di Alba ha il proprio antenato più diretto nelle feste vendemmiali che si svolgevano ad

Alba nel periodo autunnale sul finire degli anni 20: la prima “Fiera mostra campionaria a premi dei

rinomati tartufi delle Langhe” risale infatti al 1929.

Alba era già nota grazie alle Esposizioni Agrarie Industriali – inaugurate nel 1899 e proseguite ogni

anno fino al 1903, quindi riprese nel 1909 e nel 1922: era dunque lecito immaginare che,

organizzando una buona manifestazione, questa avrebbe avuto successo e risonanza in misura

almeno pari alle Esposizioni degli anni precedenti (http://www.albain.com/viaggio/la_fiera.asp).

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A tal fine nel 1930 il Comune istituì un comitato che impostasse la struttura generale della Fiera e

vennero inoltre organizzati treni speciali da Torino, Genova e Milano con uno sconto sul biglietto

ferroviario del 50%; i giornali nazionali e “The observer” di Londra dedicarono ampio spazio alla

Fiera e alla gastronomia albese.

Nel 1933 la Fiera assunse la denominazione ufficiale di “Fiera del tartufo”, fu celebrata fino al 1937

e poi riprese dopo la guerra, nell'ottobre del 1945.

L'iniziativa che permise però un vero e proprio lancio del Tartufo bianco del Piemonte e della Fiera

di Alba, fu di Giacomo Morra, albergatore e ristoratore, il quale pensò di inviare il tartufo migliore

dell'anno ad un personaggio illustre dello sport, dello spettacolo o della politica. Fu così che dal

1949 i tartufi migliori sono andati a personaggi come: Rita Hayworth (1949), Harry Truman (1951),

Winston Churchill (1953), Marilyn Monroe e Joe Di Maggio (1954), Alfred Hitchcock (1968) e

altri fino ai giorni nostri.

Nel 1962 la Fiera passò ad una gestione Comunale diretta – con lo scopo di pubblicizzare Alba e le

sue specialità – e nel 1973 acquisì la qualifica di “nazionale”, arricchita di molte altre iniziative

anche a carattere culturale e di promozione del territorio.

2.2 L’evoluzione della coltivazione

Nel 1810 Joseph Talon di Saint Saturnin les Apt (Vaucluse) seminò alcune ghiande di querce che

sapeva essere tartufigene ed attese i risultati di tale piantamento: le sue aspettative non andarono

deluse, e Talon si conquistò la fama di primo coltivatore di tartufi della storia.

Nel 1847 Auguste Rousseau di Carpentras ne seguì l’esempio e si dedicò alla coltivazione dei

tartufi con notevole successo (Medaglia d’oro di Prima Classe all’Esposizione Internazionale del

1855): egli è riconosciuto come colui che nei fatti ha incoraggiato e reso possibile la diffusione

della coltivazione dei tartufi in Francia (Mattirolo, 1910; http://www.angellozzi.it/ita/home.html).

Quando poi alla fine del XIX secolo Chatin fece la sua importante scoperta sulla simbiosi e sulle

micorrize, nacquero le prime vere sperimentazioni riguardanti la coltivazione del tartufo.

In realtà, come ben diceva Rebière nel 1981 (Olivier, 1996): “...i termini tartuficoltura e

coltivazione dei tartufi sono impropriamente utilizzati, perché in realtà non si coltivano i funghi, ma

la sua pianta ospite – la cosiddetta pianta tartufigena – con la speranza che davvero diventi tale” .

Partendo dal presupposto che le operazioni colturali previste in una tartufaia sono a grandi linee

riconosciute in: scelta e lavorazione del terreno, scelta delle piante simbionti, semina e piantamento

delle piante tartufigene, potature, eventuali coltivazioni consociate, concimazione, irrigazione e

raccolta, si proverà ora a ricostruire – ove possibile – chi siano stati gli iniziatori di tali pratiche e

quali fossero le modalità operative da loro individuate.

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Per quanto riguarda il terreno, si è già detto che fu la scoperta di Chatin sulle micorrize a dare

l’avvio agli studi sulla coltivazione; si ricorda inoltre lo studio di Gibelli sulle esigenze edafiche dei

tartufi come un fondamentale passo nella comprensione delle necessità di nutrizione dei Tuber.

A partire da queste scoperte Bosredon formalizzò nel suo “Almanach du trufficulteur” del 1902,

con la frase: “Pas de calcaire, pas de truffes: calcaire humide, truffes musquées [Tuber brumale var.

moschatum Vitt]. Telle est la loi de la nature”2 la regola di scelta – derivata dall’osservazione

empirica – di un terreno calcareo per poter iniziare una coltivazione (Olivier, 1996).

Quanto alla lavorazione del terreno non è stato possibile reperire informazioni precise, ma è noto

che all’inizio del ‘900 fosse pratica abituale in Francia una lavorazione di profondità pari a 25-30

cm, fatta con l’aratro (Mattirolo, 1910).

Per quanto concerne la scelta delle piante simbionti, in realtà non si sono inizialmente fatti studi

approfonditi, ma si è cominciato semplicemente imitando la natura e gli accoppiamenti simbiotici

che essa offriva.

In Francia la seconda metà del XIX secolo – periodo di grande produzione di tartufi – è

caratterizzata da alcuni eventi politici ed economici di notevole interesse in relazione alle piante

tartufigene.

Una legge del 1827 riportava la gestione del patrimonio forestale nazionale sotto la tutela dello

Stato, dopo trent’anni di gestione privata, caratterizzata da estesissime utilizzazioni al fine di

procurare il legname necessario all’industria della carta, del tannino, delle ferrovie ecc. Quando lo

Stato riprende la gestione delle foreste procede immediatamente a massicci rimboschimenti,

soprattutto per far fronte in tempi brevi alla devastazione conseguente le piene fluviali (Olivier,

1996).

Purtroppo non è stato possibile stabilire con certezza la composizione in specie di tali

rimboschimenti, ma vista l’attuale composizione delle foreste delle zone francesi produttrici di

tartufi, è lecito parlare fondamentalmente del genere Quercus; tale gruppo di specie – osservato che

si tratta di ottime simbionti per il tartufo – sarà poi utilizzato per la creazione di impianti artificiali

(regola che venne formalizzata già nel 1887 da Bosredon nel “Manuel du trufficulteur”, secondo la

testimonianza di Mattirolo, 1910). Ad ogni modo Chatin cita ne “La truffe” del 1892 circa 40 specie

di piante tartufigene francesi.

Per quanto riguarda l’Italia la politica dei rimboschimenti non aveva allora preso piede, al punto che

Oreste Mattirolo propose, attraverso vari articoli e lettere (1908, 1910, 1913), di redigere una legge

appositamente per il rimboschimento delle zone a vocazione tartufigena, unendo così alla funzione

di difesa idrogeologica, l’utile derivante dalla coltivazione e commercializzazione dei tartufi. In

2 “Niente calcare, niente tartufi: calcare umido, tartufo moscato. Questa è la legge della natura”

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relazione al tartufo nero pregiato (T. melanosporum Vitt) egli non diede molte indicazioni oltre

all’utilizzo delle querce, ma a proposito del T. magnatum Pico (di cui si auspicava la riuscita nella

coltivazione), Mattirolo propose come generi ottimali (1910): Quercus, Salix e Populus; e come

generi adatti ma di secondaria importanza: Cedrus, Abies, Pinus, Juniperus, Carpinus, Alnus,

Castanea e Ostrya, specificando per ognuno di essi la situazione più adatta a livello di quota ed

ambiente.

Quanto alla semina o al piantamento delle piante tartufigene, va detto che la pratica della

piantagione di semenzali cresciuti in vivaio non aveva la stessa diffusione di oggi. Sul finire del

XIX secolo si ricorreva per lo più alla semina di ghiande ritenute micorrizate, dopo un trattamento

di conservazione e rottura della radichetta principale alla germinazione per favorire lo sviluppo di

radici secondarie.

Ad ogni modo c’era anche chi faceva crescere le piante per tre anni in vivaio, prima di metterle a

dimora ancora avvolte nel pane della terra originale di sviluppo. Il numero di piante per ettaro era

indicativamente di 800 se sistemate in filari e di 400 se a quinconcia.

In relazione alla coltivazione del tartufo bianco Mattirolo (1910) consigliava di procedere al

piantamento delle talee di piante già note come tartufigene, ma senza dare indicazioni al riguardo

“perocché finora nessuno ha ancora effettuato nei nostri paesi regolari piantamenti a scopo di

ottenere la produzione del tartufo [bianco]”.

La potatura era considerata da Bosredon (Mattirolo, 1910) una pratica tanto necessaria quanto

pericolosa, in quanto – se effettuata troppo energicamente – foriera di temporanea sterilità della

pianta. Le indicazioni di allora corrispondono tendenzialmente a quelle attuali: soppressione della

gemma apicale per favorire l’apertura laterale della chioma e taglio dei rami fino all’ottenimento di

una chioma a forma di cono rovesciato.

Quanto alle coltivazioni consociate Mattirolo (1910) e, secondo quanto da lui scritto, molti dei suoi

predecessori, erano concordi nel dire che non possono che favorire lo sviluppo dei tartufi perché,

nel momento in cui i tartufi cominciano a svilupparsi, queste piante, morendo, sono fonti di

nutrienti. Tali colture consociate offrivano anche il vantaggio economico per i tartuficoltori di poter

avere già nei primi anni dell’impianto delle produzioni vendibili, constatato, fra l’altro, che un

impianto si prevedeva avrebbe fruttificato al 6°/7° anno e avrebbe portato alla morte le colture

consociate entro il 16°/20° anno.

Bosredon proponeva di consociare alle piante tartufigene la vite – quel che restava dopo l’epidemia

di fillossera – e la lavanda nel sud-ovest della Francia (Mattirolo, 1910). Mattirolo proponeva per

l’Italia: orzo, segale, frumento, veccie e lupinella.

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12

La concimazione vedeva d’accordo tutti gli studiosi già citati: era necessaria. Lo scopo individuato

era duplice: da un lato incrementare la produzione e dall’altro avere un prodotto generalmente più

regolare e sano – esperienza di Caseneuve, in Mattirolo (1910).

Ancora Mattirolo (1910) riporta però la credenza e usanza di alcuni contadini, precedente alla

stesura della sua opera, di concimare il terreno circostante le piante tartufigene isolate, al fine di

bloccare la produzione di tartufi ed evitare così l’inconveniente di trovarsi il fondo rovinato dai

cercatori “abusivi”.

Le pratiche di irrigazione sono state fra le prime ad essere inserite nella normale prassi di

coltivazione; il fatto non stupisce se si considera che già i Romani vedevano nell’acqua un elemento

fondamentale per la formazione dei tartufi. I primi tentativi sono attribuiti ad Auguste Rousseau nel

1858; non è possibile però stabilire quando prese piede l’usanza di costruire canali correnti fra i

filari di piante della piantagione al fine di ottenere un’irrigazione per filtrazione senza ristagni

d’acqua. In ogni caso già Mattirolo (1910) è in grado di fornire istruzioni abbastanza precise non

solo sul tipo di irrigazione – per filtrazione, appunto – ma anche sui periodi migliori (a partire dal

mese di giugno) e sulla cadenza (ogni 15 giorni in caso di prolungata siccità).

La raccolta dei tartufi avveniva normalmente con l’ausilio del cane o del maiale. Come già detto,

almeno per questioni di “immagine”, il maiale fu sostituito ufficialmente dal cane nel XVIII secolo,

ma ancora oggi, soprattutto nelle zone di tradizionale raccolta del tartufo in Francia, il maiale è

ancora l’animale da cerca preferito.

Quanto alle modalità di estrazione va detto che la legislazione vigente oggi in Italia detta alcune

regole, col fine di evitare la raccolta indiscriminata; nel secolo scorso, però, la raccolta non

autorizzata era una pratica abituale: Mattirolo (1910) elenca diverse modalità di estrazione, tutte

attribuibili – a suo parere – ai cercatori abusivi, considerato che tutte provocavano danni nei fondi

in cui erano praticate.

Un’analisi a parte meritano le operazioni di micorrizazione, così come conosciute e praticate tempo

addietro. Va tenuto presente che i primi esperimenti in tale campo sono stati fatti a partire dal 1960,

quindi, prima di questa data, se anche si avevano delle conoscenze sui processi di infezione da parte

dei tartufi, non era comunque possibile procedere a verificare empiricamente le scoperte.

Mattirolo (1910) cita tre possibili metodi per “operare in terreni, per così dire, vergini di tartufi”:

un primo metodo, detto “diretto” consisteva nello spargimento sul terreno prescelto di pezzi di

tartufi maturi freschi o raschiatura di tartufi anche marcescenti, ma non in putrefazione; per contro

si aveva anche un metodo “indiretto”, che comportava il trasporto di terreno proveniente da

tartufaie in produzione nel terreno da infettare. Nel 1887 Kiefer consiglia (Mattirolo, 1910) di

scavare fosse di 30 cm di profondità e di depositare lì il terreno infetto. Si può infine annoverare il

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metodo “di Lasparre”, ovvero spargere le spore della gleba del tartufo, previamente essiccata, sulle

foglie dell’albero.

A parte il terzo metodo, su cui lo stesso Mattirolo esprime delle perplessità, i primi due sono validi

da un punto di vista scientifico, anche se lo spargimento di terra da un fondo all’altro comporta il

rischio di trasmissione di altre infezioni, meno desiderabili, di funghi antagonisti.

La coltivazione in Italia

Analizzando il motivo per cui nel nostro paese la coltivazione del tartufo sia iniziata con tanto

ritardo rispetto ai vicini Francesi, si trova spiegazione, almeno in parte, ancora in uno scritto del

Prof. Mattirolo (1913) che mette in relazione tale ritardo con due fattori, inerenti la situazione

sociale e politica dell’Italia all’inizio del secolo: innanzitutto l’assenza di protezione delle tartufaie

di proprietà privata dai furti, e, secondariamente, l’assenza di una politica di rimboschimento.

Quanto alla mancata protezione dei fondi privati dai furti, Mattirolo ne esamina alcuni aspetti: “(...)

il concetto assoluto della proprietà non è nell’animo del nostro popolo. Per la massima parte

lavoratore di terreno non di sua proprietà, soggetto da secoli ai soprusi, alle angherie, alla tirannide

della forza, il popolo nostro, che in fondo è buono e leale, vede ancora nel furto campestre, non un

delitto, ma un mezzo di protesta e rappresaglia. (...) Triste, ma innegabile condizione di cose, la

quale per se stessa costituisce la più importante difficoltà alla coltivazione razionale dei tartufi, i

quali, in Italia, come i funghi, sono considerati proprietà di chi prima li scopre. (...) Da ciò consegue

che oggi il proprietario del prezioso fungo abbatte le piante tartufifere, perché gli importa

sommamente che nel suo fondo non si producano tartufi, e ciò per non vederlo devastato dai

ricercatori”.

Tenuto conto che il tartufo era molto ben quotato e avrebbe potuto rappresentare una notevole fonte

di reddito per i coltivatori, nonché un genere d’eccellenza esclusivamente Italiano (come è oggi il

tartufo bianco), la soluzione proposta allora era né più né meno che l’antenata delle nostre moderne

disposizioni di legge in materia di “tabelle delimitanti le tartufaie controllate e coltivate”: “(...) io

vorrei che il Parlamento (...) stabilisse la massima che: dappertutto i proprietari possano impedire

la raccolta dei tartufi nei fondi dove intendono farne razionale coltura, mediante semplici tavolette

sugli accessi e pubblicazione di divieto nel «Bollettino Ufficiale delle Provincie»”.

In relazione invece alla mancanza di una politica di rimboschimenti in Italia, Mattirolo fa presente

che la tartuficoltura rappresenta la soluzione ideale al problema del disboscamento conseguente

all’impianto della vite e all’abbattimento di piante da parte dei proprietari dei fondi: laddove infatti

il suolo sia rimasto nudo ma abbia le caratteristiche adatte alla coltura del tartufo, questa si presenta

come il sistema più conveniente per avere “il duplice vantaggio economico derivante dalla vendita,

dal commercio, dalla preparazione industriale del prezioso fungo ipogeo, e in parte dalla ricomparsa

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nei terreni oggi denudati della vegetazione arborea indispensabile alla nuova cultura. Il vantaggio

solo riportato dal rimboschimento, sia pure limitato, delle nostre colline, sarebbe già per se stesso

un risultato degno della più alta considerazione” (Mattirolo, 1913).

2.3 Bibliografia

• Mattirolo O., (1910): I tartufi: come si coltivano in Francia, perché non si coltivano e come si potrebbero coltivare in Italia: note di una visita alle tartufaie dal Dipartimento di Vaucluse (Provenza), Vincenzo Bona, Torino.

• Mattirolo O., (1913): Il rimboschimento e la cultura dei tartufi, Anfossi, Torino. • Olivier, J.-M. (1996) : Truffe et trufficulture, Fanlac, Périgueux.

Siti internet consultati

• http://www.albain.com/viaggio/la_fiera.asp • http://www.angellozzi.it/ita/home.html • http://www.italyexport.com/funghi/storia.html • http://www.monferrini.com/storia.html • http://www.tartuflanghe.it/ita/pagine/tartufo/storia.lasso • http://xoomer.virgilio.it/gmuccine/Storia.htm

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15

3. GLI ASPETTI NORMATIVI

Il comparto tartuficolo è stato, ed è tuttora, oggetto di regolamentazione in Italia da parte degli Enti

a questo preposti: lo Stato, le Regioni e le Province autonome.

Le Leggi emanate hanno lo scopo di dare principi chiari e comuni per tutte le attività legate al

tartufo – raccolta, produzione, commercializzazione di prodotti freschi o conservati – e di offrire

tutela ai consumatori per quanto concerne le frodi, all’ambiente per quanto riguarda l’utilizzo del

territorio e ai coltivatori o proprietari di tartufaie controllate per quanto riguarda il furto.

A livello statale, la normativa di riferimento è la Legge Quadro n. 752 del 16 dicembre 1985 “in

materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo”,

in seguito integrata dalla Legge n. 162 del 17 maggio 1991.

In base a questi due testi le Regioni hanno prodotto delle Leggi Regionali in cui, in parte riprendono

le prescrizioni dettate dallo Stato, ed in parte promuovono attività, dettano divieti o norme nuove, la

cui motivazione va ricercata nella specificità della situazione territoriale.

3.1 La normativa nazionale

Come anticipato, il principale riferimento normativo è costituito dalla legge quadro su raccolta,

coltivazione e commercio che verrà brevemente esaminata nei punti salienti al fine di elencarne le

tematiche.

I punti più rilevanti della legge quadro 752/85 sono i seguenti:

• identificazione dei tartufi destinati al consumo da freschi (art. 2): sono indicate le nove

specie di tartufi legalmente riconosciute per il consumo fresco, e vi è un rimando all’allegato

1 della Legge, in cui sono specificate le relative caratteristiche botaniche ed organolettiche;

• diritto alla ricerca ed alla raccolta (art. 3, primo comma): sono identificati gli ambiti in

cui queste attività non sono soggette a vincoli di alcun tipo: nei boschi e nei terreni non

coltivati;

• esame e tesserino (art. 5, dal comma 1 al comma 6 compreso): sono indicati i requisiti

minimi per la validità del tesserino di autorizzazione alla raccolta – generalità e fotografia –

ed è prescritto l’obbligo di superamento di un esame di accertamento delle conoscenze del

candidato raccoglitore; sono inoltre date indicazioni affinché le Amministrazioni Regionali

decidano in merito alle competenze relative al rilascio del tesserino e all’espletamento della

prova d’esame;

• modalità di ricerca e di raccolta (art. 5, comma 7): sono date istruzioni su quali strumenti

siano ammessi – il vanghetto o vanghella – e sulla presenza del cane addestrato alla cerca;

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• calendario ed orari (art. 6): si trovano le indicazioni dei periodi e degli eventuali orari in

cui sono ammesse la ricerca e la raccolta libere dei tartufi, con la puntualizzazione che le

Regioni sono incaricate di stabilirne ulteriormente i termini, in relazione alla propria realtà

territoriale;

• divieti generici (art. 5, ultimo comma e art. 6, ultimo comma): la Legge quadro impone un

insieme di divieti relativi a:

o la lavorazione andante del terreno nel periodo di raccolta dei tartufi;

o la raccolta dei tartufi immaturi;

o il non riempimento delle buche aperte per la raccolta;

o la ricerca e la raccolta del tartufo durante le ore notturne da un'ora dopo il tramonto

ad un'ora prima dell'alba, salve diverse disposizioni regionali in relazione ad usanze

locali;

o la commercializzazione di qualunque specie di tartufo fresco nei periodi in cui non

ne è consentita la raccolta;

• consorzi (art. 4): la Legge permette la costituzione di consorzi volontari di aziende agricole

e forestali per la difesa del tartufo, e dà loro possibilità di raccolta, commercializzazione,

creazione di nuove tartufaie ed accesso ai contributi;

• vendita dei tartufi freschi (art. 7): la Legge impone delle prescrizioni sulle condizioni dei

prodotti freschi perché possano essere posti in vendita: definizioni di tartufi “interi”, di

“pezzi” e di “tritume”; è inoltre prescritta la trascrizione delle informazioni relative alla

specie ed alla provenienza del tartufo sul cartoncino a stampa che deve obbligatoriamente

accompagnare i tartufi freschi esposti in vendita;

• tutela e valorizzazione (art. 6, primo comma): la Legge promuove le attività Regionali di

tutela e valorizzazione del patrimonio tartufigeno pubblico;

• lavorazione dei tartufi (art. 8): regole per la preparazione dei prodotti lavorati ed

indicazioni su quali siano i soggetti autorizzati a tale attività;

• confezionamento e commercio dei tartufi lavorati: norme riguardanti:

o le indicazioni minime che deve riportare l’etichetta dei prodotti lavorati messi in

vendita (art. 9);

o la classificazione dei tartufi lavorati: classe, qualità, etc. (art. 10 e allegato 2);

o le sostanze che sono ammesse per la conservazione (art. 11);

o la tolleranza di scarto del peso fra tartufi nella confezione e tartufi sgocciolati (art.

12);

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17

o le prescrizioni riguardo a quali caratteristiche deve avere il prodotto messo in

commercio: profumo, colore, assenza di terra, etc. (art 13);

• tassa di concessione Regionale (art. 17): autorizzazione affinché le Regioni possano

istituire tale tassa, e relative indicazioni di massima;

• zone geografiche di provenienza (art. 7, ultimo periodo): disposizione perché le Regioni

delimitino le zone geografiche di provenienza dei tartufi all’interno del loro territorio;

• sanzioni e vigilanza (art. 18): elenco delle infrazioni ed istruzioni perché le Regioni

provvedano a stabilire tanto gli organi di vigilanza, quanto l’entità delle sanzioni.

Un discorso a parte meritano le tartufaie coltivate e controllate (art. 3, comma 2 e seguenti), trattate

dalla Legge Quadro in merito a:

• definizione;

• diritto di proprietà sui tartufi in esse prodotti;

• tabelle delimitanti e loro specifiche;

• disposizione per le Regioni di stabilire l’iter per il riconoscimento.

3.2 Confronto delle normative regionali

In questa sede si procede alla disamina ed al confronto delle leggi Regionali; per rendere più

immediata la comprensione dei principi normativi esaminati, le “tematiche” analizzate nella Legge

Quadro sono state poste a confronto una ad una nei singoli testi Regionali (tabelle 1 e 2).

Le eventuali disposizioni che hanno carattere di novità, emanate da una singola Regione, sono state

prese in esame in una tabella a parte, provvedendo ad una sommaria esposizione della loro

specificità (tabella 3). Di seguito si procede ad una breve descrizione di tali disposizioni innovative:

• marchio di identità: istituzione di un marchio di identità relativo alla provenienza dei

tartufi;

• norme riguardanti i prodotti contenenti tartufo: indicazioni di massima per la

commercializzazione di prodotti contenenti tartufi in percentuale sul prodotto intero o

contenenti aromi;

• permessi per la ricerca scientifica: particolari regole per la ricerca e la raccolta effettuata

da enti di ricerca scientifica;

• raccolta massima: specificazione in peso della quantità massima di tartufi – a volte distinti

per specie – raccoglibili al giorno;

• consulenza: enti preposti alla consulenza di tipo scientifico, relativa ai tartufi;

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18

• recupero e/o tutela ambientale: disposizioni in materia di tutela dell’ambiente nell’ambito

delle attività legate al comparto tartuficolo (raccolta, creazione di tartufaie, tutela delle

piante arboree simbionti, etc.).

Tabella 1. Normative Regionali: comparazione, con relative competenze, e riferimenti alla Legge Quadro

Identificaz. DIRITTO ricerca e raccolta

Esame e tesserino

MODALITA’ ricerca e raccolta

Calendario ed orari

Divieti generici Consorzi

Tart. FRESCHI:

vendita

ABRUZZO SI SI

Valido 6anni Commiss

Prov: esame; Regione: rilascio

SI SI Regione SI SI SI

BASILICATA — SI

Valido 5 anni Esame e

rilascio: Com. Mont.

SI

SI Regione su

richiesta della Com.

mont.

SI — SI

EM. ROM. — —

Valido 6 anni Esame e rilascio: Province

SI SI SI SI —

FRIULI — —

Esame e rilascio: Direz

Regionale Agricolt

SI

SI Regione su

proposta della Direz Regionale

Agricoltura

SI SI —

LAZIO SI SI Promuove formazione SI

SI Presidente Giunta Reg

SI SI SI

Cfr Legge quadro

LIGURIA — —

Valido10anni Esame e rilascio: Servizi

Provinciali Agro-

alimentari

(Cerca anche

notturna) Presidente Giunta Reg

— SI —

LOMBARDIA SI —

Promuove formaz Prov e

Consorzi comprensoriali Lecco e Lodi

SI

(Cerca anche

notturna) Giunta reg su proposta di più enti

SI — —

MARCHE SI

SI Com.

Mont. e Province

Esame e rilascio: Com.

Mont. e Province

SI Com. Mont. e

Province

SI Com.

Mont. e Province

SI SI —

MOLISE SI SI

Valido 6 anni Età min: 16

Esame e rilascio: Province

SI SI

Amm. provinciali

SI SI SI

PIEMONTE — —

Valido 10anni Esame e rilascio: Province

(Cerca anche

notturna); Calend

unico su tutta la

Regione

— SI SI

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Identificaz. DIRITTO ricerca e raccolta

Esame e tesserino

MODALITA’ ricerca e raccolta

Calendario ed orari

Divieti generici Consorzi

Tart. FRESCHI:

vendita

TRENTO

SI (solo spp presenti

sul territorio)

Giunta Prov.

Esame e rilascio: Servizio

foreste, caccia e pesca

— SI — — —

PUGLIA SI SI Esame e rilascio: Province

SI DELEGA ai Comuni

DELEGA ai

Comuni SI DELEGA

ai Comuni

TOSCANA SI SI

Valido 5 anni Esame: Prov

Rilascio: Comune

SI

(Calendario molto

dettagliato) ConsReg: modifiche;

Giunta Reg:

sospensione

SI SI Regione

SI Cfr Legge

quadro

UMBRIA —

SI Auorizzaz

tabelle: Com. Mont.

Valido 5anni Esame e

rilascio: Com. Mont.

SI SI Giunta Reg SI

SI GiuntaR:

criteri delimitazione; Com. Mont.: delimitazione

effettiva

VENETO — SI

Valido 5anni Esame e

rilascio: Pres Giunta Reg

SI SI Giunta Reg SI SI —

NOTE ALLA TABELLA 1

Preliminari

Per quanto concerne la Regione Lombardia, la dizione “più enti” che compare nella tabella

indica: Comunità montane, Consorzi comprensoriali di Lecco e Lodi, Province ed Enti gestori dei

Parchi.

La Regione Marche a tutt’oggi non ha emesso il regolamento d’attuazione di cui all’articolo 6

della legge Regionale n. 16 del 22/07/2003; nella tabella sono inseriti i principi enunciati dalla LR,

ma mancano tutte le prescrizioni dettagliate.

Sul Diritto alla ricerca ed alla raccolta

La Regione Toscana (LR n. 50 del 11/04/1995, art. 3 comma 7) specifica che possono essere

dati “in concessione, ai fini della istituzione delle tartufaie controllate, beni del patrimonio agricolo

- forestale (…) con lo scopo di consentire in essi l' attività di raccolta organizzata dei tartufi, a

imprenditori agricoli singoli o associati, con priorità a coltivatori diretti e cooperative agricole, o ad

associazioni di tartufai locali (…)”.

Sul Rilascio del tesserino di idoneità alla ricerca e raccolta

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La Regione Piemonte (DGR 74-6818 del 29/07/2002) prevede che le Amministrazioni

Provinciali, responsabili per quanto riguarda il rilascio del tesserino, provvedano “ad inviare alla

Direzione Regionale Economia Montana e Foreste l’elenco nominativo dei tesserati dell’anno

precedente contenente gli estremi dei tesserini rilasciati o rinnovati”.

La Regione Toscana prescrive (LR n. 50 del 11/04/1995, art. 11 comma 5): “Presso la

Provincia è tenuto l' elenco nominativo dei titolari dei tesserini rilasciati dai Comuni ricadenti nel

proprio territorio. A tale scopo i Comuni trasmettono semestralmente i relativi dati”.

Sul Calendario e gli orari di ricerca e raccolta

La Regione Emilia Romagna (LR n. 20 del 25/06/1996, art. 5, comma 1) specifica un orario

di raccolta stagionale, da applicare ai periodi di raccolta consentiti.

La Regione Piemonte (LR n. 10 del 12/03/2002, art. 9) stabilisce che il calendario di raccolta

deve essere unico su TUTTO il territorio regionale, sentite le singole Province.

Viene inoltre prescritto “un periodo di divieto assoluto di raccolta non inferiore a quindici giorni,

anche differenziato per provincia, ai fini di tutela del territorio e del prodotto”.

La Regione Toscana (LR n. 64 del 07/08/1996, art. 3, commi 2 e 3) prevede un calendario

molto dettagliato sia a proposito dei periodi, sia a proposito degli orari; per il T. magnatum il

calendario è ulteriormente distinto in base alle zone geografiche regionali di provenienza.

Sui Divieti generici

Con “divieti generici” si intende l’insieme di divieti imposti dalla normativa quadro nazionale

(L n. 752 del 16/12/1985, art. 5, ultimo comma e art. 6, ultimo comma) relativi a:

• la lavorazione andante del terreno nel periodo di raccolta dei tartufi;

• la raccolta dei tartufi immaturi;

• il non riempimento delle buche aperte per la raccolta;

• la ricerca e la raccolta del tartufo durante le ore notturne da un'ora dopo il tramonto ad

un'ora prima dell'alba, salve diverse disposizioni regionali in relazione ad usanze locali.

“(…)E' comunque vietata ogni forma di commercio delle varie specie di tartufo fresco nei periodi in

cui non è consentita la raccolta”.

Nel caso in cui le Regioni abbiano posto degli ulteriori o diversi vincoli relativi a voci presenti nella

tabella, in essa è presente un appunto particolare.

La Regione Molise (LR n. 24 del 27/05/2005, art. 16, lettera “p”) aggiunge fra i divieti : “la

trasformazione in altre qualità di coltura delle tartufaie controllate o coltivate per la cui costituzione

sono stati fruiti contributi”.

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Tabella 2. Normative Regionali: comparazione, con relative competenze, e riferimenti alla Legge Quadro

Tutela e valorizzazione

Lavorazione tartufi

Tart. CONSERVATI

commercio

Tart. CONSERVATI: confezionamento

Tassa concessione

regionale

Zone geografiche

(provenienza)

Sanzioni e vigilanza

ABRUZZO SI

Delega a Com. mont.

SI SI SI SI — SI

Cfr Legge quadro

BASILICATA SI

Regione (promozione)

SI Cfr Legge

quadro

SI Cfr Legge

quadro

SI Cfr Legge

quadro

SI Regione

SI (cartografia e

analisi) Giunta Reg

SI Cfr Legge quadro +

Province e Com. Mont.

EM. ROM. SI — — — SI SI

(cartografia) Regione

SI Cfr Legge

quadro

FRIULI SI Regione — — — —

SI (cartografia)

Regione

SI Corpo

Forestale Reg

LAZIO

SI Regione (può delegare Com. mont. e Prov)

SI Cfr Legge

quadro

SI Cfr Legge

quadro

SI Cfr Legge

quadro SI SI

SI Cfr Legge

quadro

LIGURIA

SI Com. mont. o Consorzii di

Comuni

— — — SI

Cfr Legge quadro

Giunta Reg su proposta delle Com. Mont.

SI Com. Mont. e Consorzii di Comuni

LOMBARDIA SI SI

Cfr Legge quadro

SI Cfr Legge

quadro

SI Cfr Legge

quadro —

SI (cartografia e

analisi) Giunta Reg su proposta di più

enti

SI Più enti

MARCHE

SI Centro

sperimentale Regione

— — — SI — SI

Cfr Legge quadro

Normativa quadro

Tutela e valorizzazione

Lavorazione tartufi

Tart. CONSERVATI

commercio

SI Cfr Legge

quadro SI

Identificazione: Province

Ripartizione: Regione

SI Cfr Legge

quadro

MOLISE SI Regione

SI Cfr Legge

quadro

SI Cfr Legge

quadro — SI SI

Giunta Reg

SI Cfr Legge

quadro

PIEMONTE

Indennità piante

tartufigene; Province

— — — SI —

SI (corsi di

formazione) Enti vari: vigilanza;

Giunta prov: corsi

TRENTO — — — SI

DELEGA ai Comuni

— — SI

DELEGA ai Comuni

PUGLIA — DELEGA ai Comuni —

SI Cfr Legge

quadro —

Già individuate. Giunta Reg

può proporne di nuove al Cons Reg

SI Cfr Legge quadro + ulteriori: vigilanza; Province: sanzioni

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Tutela e valorizzazione

Lavorazione tartufi

Tart. CONSERVATI

commercio

Tart. CONSERVATI: confezionamento

Tassa concessione

regionale

Zone geografiche

(provenienza)

Sanzioni e vigilanza

TOSCANA SI Regione

SI Cfr Legge

quadro

S Cfr Legge

quadro

La Regione può fare dei controlli

SI Alle Com. Mont. e da queste alla Regione

Giunta Reg

SI Com.

Mont.: sanzioni

UMBRIA

SI Com. Mont.; Giunta Reg: sperimentaz

— — — — Giunta Reg SI

Cfr Legge quadro

VENETO SI

Giunta Regionale

— —

NOTE ALLA TABELLA 2.

Sulla Tutela e la Valorizzazione

Quasi tutte le Regioni, su indicazione della normativa quadro, dichiarano di promuovere

attività in favore della valorizzazione del tartufo; solo alcune entrano nel merito della questione e

indicano le operazioni per cui sono previsti i finanziamenti e le competenze in merito.

La Regione Piemonte (LR n. 10 del 12/03/2002 art. 11, DGR n. 74-6818 del 29/07/2002 art.

3) stabilisce l’erogazione di indennità per la conservazione del patrimonio tartufigeno. Responsabili

del procedimento sono: il Comune di pertinenza del territorio su cui ricadono le piante tartufigene

per quanto riguarda la consegna della domanda dell’indennità, e le Amministrazioni Provinciali per

quanto riguarda l’erogazione ed i controlli a campione.

Sulla lavorazione dei tartufi per la conservazione e la successiva vendita

La Regione Abruzzo (LR n. 22 del 16/02/1988, art. 10, comma 2) è l’unica regione che

preveda delle misure contributive per gli impianti di lavorazione (strutture di lavorazione e

commercializzazione).

La Regione Umbria (LR n. 6 del 28/02/1994, art. 25, comma 1) dispone che la Giunta

Regionale possa “disporre periodici controlli presso le ditte che esercitano lo stoccaggio, la

lavorazione ed il commercio di tartufi”.

Sulle Zone geografiche di provenienza

Quasi tutte le Regioni si sono date le regole e suddivise le competenze per individuare le zone

geografiche di provenienza dei tartufi; è interessante notare che solo la Regione Toscana presenta

già nel testo della legge (LR n. 50 del 11/04/95, art. 15) una precisa suddivisione per quanto

concerne la provenienza del tartufo bianco.

Tutte le altre Regioni danno disposizioni per l’individuazione di tali zone e per il loro

riconoscimento.

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23

Sulle Sanzioni e sulla Vigilanza

Per quanto riguarda le sanzioni, ogni Regione ha provveduto in autonomia a quantificare gli

importi dovuti per ogni singola infrazione; per quanto riguarda invece la vigilanza, quasi tutte le

Regioni hanno ripreso le direttive impartite dalla normativa quadro nazionale, eventualmente

integrando l’elenco degli addetti ai controlli con corpi volontari o personale delle autonomie locali.

La Provincia di Trento si fa anche promotrice della formazione del personale addetto ai

controlli (LP n. 23 del 03/09/1987, art. 5, comma 2): “La Giunta provinciale è autorizzata ad

organizzare, a carico del bilancio provinciale, appositi corsi di abilitazione, formazione ed

aggiornamento per gli incaricati della vigilanza sull' osservanza della presente legge (…)”.

Tabella 3. Normative regionali: introduzione di nuove norme

Marchio di identità

Prodotti CONTENENTI

tartufo

Permessi per ricerca

scientifica

Raccolta massima

[kg/d] Consulenza

Recupero e/o tutela

ambientale ABRUZZO — — SI 1 — —

BASILICATA — — SI Regione — — —

EM. ROM. — — SI Regione 1 — —

FRIULI — — SI

Dirett Reg Agricoltura

— — —

LAZIO — — — 2 — —

LIGURIA — — — — — —

LOMBARDIA — —

SI Ispettorati

dipartimentali delle foreste

— SI SI Più enti

MARCHE SI

(anche tracciabilità)

SI SI

Com. Mont. e Province

SI (Centro

sperimentale per la tartuficoltura)

MOLISE SI — SI 0.5 (bianco);

2 (altre specie)

— —

PIEMONTE SI SI — — — —

TRENTO — — SI Giunta prov 1 — —

PUGLIA — — SI — — —

TOSCANA — — SI Giunta Reg — — —

UMBRIA — — — — —

I miglioram valgono come applicaz delle

PMPF

VENETO — — SI — — —

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24

NOTE ALLA TABELLA 3.

Sulla Consulenza da parte di personale esperto

La Regione Lombardia (LR n. 24 del 08/07/1989, art. 7) si avvale di un collegio di esperti

per avere consulenza riguardo alla compilazione del calendario di ricerca e raccolta, per

l’individuazione delle zone geografiche di provenienza, per la tutela del territorio e per il

riconoscimento delle tartufaie non naturali.

La Regione Marche (LR n. 16 del 22/07/2003, art. 7) attribuisce al Centro Sperimentale di

Tartuficoltura la consulenza tecnico-scientifica necessaria a chiunque intenda dedicarsi alla

tartuficoltura. Va inoltre ricordato che il Centro Sperimentale di Sant’Angelo in Vado è nominato

dalla normativa quadro nazionale quale struttura non solo per la ricerca, ma per la consulenza

scientifica generale riguardo ai tartufi (riconoscimento, determinazione della specie di

appartenenza, ecc.).

Sulla Difesa ed il recupero ambientali

La Regione Umbria (LR n. 6 del 28/02/2004, art. 5, comma 4) afferma che “le operazioni

colturali di cui al comma precedente [miglioramenti delle tartufaie controllate] valgono anche ai fini

delle prescrizioni di massima e di polizia forestale per i boschi ed i terreni di montagna sottoposti a

vincoli (...)”

Due tabelle apposite sono state impostate per:

• tartufaie controllate e coltivate (Legge quadro n. 752 del 16/12/1985, art. 3): per entrambe

le tipologie sono presenti le voci (tabella 4):

o definizione;

o prescrizioni: regole particolari affinché il riconoscimento delle tartufaie sia possibile

e valido;

o riconoscimento: iter dettagliato e relative competenze per ottenere il riconoscimento

legale delle tartufaie;

o validità: in numero di anni;

o albi: eventuale presenza di albi di iscrizione delle tartufaie regolarmente

riconosciute;

o altre competenze: competenze ulteriori relative ad attività connesse con la creazione

delle tartufaie (miglioramenti, etc.);

• ricerca e raccolta in terreni soggetti a diversi tipi di vincoli (tabella 5), tra cui:

o terreni rimboschiti;

o zone di riserva venatoria;

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o terreni ad uso civico;

o terreni demaniali;

o zone soggette ad altri vincoli (parchi, riserve, oasi, etc.).

Per ognuna di tali voci sono presenti due colonne: una per le possibili prescrizioni, ed una

per l’organo competente al rilascio dell’eventuale autorizzazione alla ricerca ed alla raccolta.

Per quanto riguarda ancora le tartufaie controllate e coltivate, le singole Regioni, in accordo con i

principi espressi dalla Legge Quadro, hanno stabilito alcune prescrizioni particolari in merito

soprattutto alle questioni che seguono:

• tabelle: dimensioni regolamentari, altezza dal suolo ed eventuali riferimenti sul

riconoscimento da riprodurre obbligatoriamente sulla tabella stessa;

• miglioramenti: operazioni colturali, protezione degli impianti, drenaggio delle acque, etc. e

istruzioni sulle modalità di intervento;

• documenti, tecniche e collaudo: iter per l’ottenimento del riconoscimento di tartufaia

controllata o coltivata, prescrizioni tecniche per gli impianti e indicazioni per la fase di

collaudo;

• estensione minima: estensione minima di una tartufaia coltivata perché possa essere

riconosciuta come tale;

• estensione massima: estensione massima che può avere una tartufaia sul territorio regionale,

in relazione all’areale di una specie (Reg. Piemonte) o in ettari (Reg. Umbria);

• incrementi: messa a dimora nelle radure di idonee piante tartufigene.

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Tabella 4. Normative regionali: sviluppo dei principi della Legge Quadro riguardo a tartufaie controllate e coltivate, e relative competenze

TARTUFAIE CONTROLLATE TARTUFAIE COLTIVATE

Definiz. Prescriz. Riconoscim. Validità [anni] Albi Altre

competenze Definiz. Prescriz. Riconoscim. Validità [anni] Albi Altre competenze

ABRUZZO SI SI Tabelle

SI Regione (settore

Agricoltura)

— — — SI SI Tabelle

SI Regione (settore

Agricoltura)

5 — —

BASILICATA SI SI Miglioramenti

SI Presid Giunta

Reg 5 SI

Regione

Miglioramenti: Regione + Com.

mont. e CFS SI SI

Miglioramenti

SI Presid Giunta

Reg — SI

Regione

Miglioramenti: Regione + Com.

mont. e CFS

EM.ROM.. —

SI Documenti,

tecniche, collaudo

SI Province — — — —

SI Documenti,

tecniche, collaudo

SI Province — — —

FRIULI SI SI

Miglioramenti e tabelle

SI Direttore Reg Agricoltura

— — — SI SI Tabelle

SI Direttore Reg Agricoltura

— — —

LAZIO SI SI Tabelle

SI Regione SI SI

Tabelle SI

Regione

LIGURIA — —

SI DELEGA a

Com. mont. e Consorzii di

Comuni

5 — — — —

SI DELEGA a

Com. mont. e Consorzii di

Comuni

10 — —

LOMBARDIA SI SI

Miglioramenti e tabelle

— 5 — — SI SI

Miglioramenti e tabelle

— ≤ 15 — —

MARCHE SI — SI

Com. mont. e Province

10 — — SI — SI

Com. mont. e Province

10 — —

MOLISE SI SI

Estensione minima

SI Amm Prov.li Campobasso

e Isernia

7 — — SI SI

Estensione minima

SI Amm Prov.li Campobasso

e Isernia

7 — —

PIEMONTE — SI

Tabelle; estensione max

SI Province 5 NO — —

SI Tabelle;

estensione max

SI Province 5 NO —

PUGLIA — — — — — — — — — — — — TRENTO — — — — — — — — — — — —

TOSCANA SI SI SI Comuni 5 — — SI SI SI

Comuni 5 — —

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TARTUFAIE CONTROLLATE TARTUFAIE COLTIVATE

Definiz. Prescriz. Riconoscim. Validità [anni] Albi Altre

competenze Definiz. Prescriz. Riconoscim. Validità [anni] Albi Altre competenze

UMBRIA SI

SI Miglioramenti ed estensione

max

SI Comunità Montane

5 SI

Comunità montane

Operazioni colturali: Com.

mont. SI

SI Miglioramenti ed estensione

max

SI Comunità Montane

— SI

Comunità montane

Certificaz delle piante

micorrizzate

VENETO SI SI

Incrementi e miglioramenti

SI Presid Giunta

Reg 5

SI Giunta

Reg — SI — — 5

SI Giunta

Reg —

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NOTE ALLA TABELLA 4 Sulle tartufaie controllate e coltivate

La Regione Piemonte (DGR n. 74-6818 del 29/07/2002) stabilisce norme precise per il

riconoscimento delle tartufaie controllate e coltivate, sia di tipo amministrativo, sia di tipo tecnico.

Con una seconda deliberazione (DGR n. 37-10855 del 03/11/2003) essa provvede più precisamente

“ad una migliore e più puntuale specificazione:

a) della documentazione da allegare alle domande di riconoscimento presentate da

soggetti singoli;

b) dei correlati requisiti soggettivi che devono essere posseduti da chi presenta la

domanda stessa;

c) dei particolari requisiti e della particolare documentazione che deve essere allegata alla

domanda di riconoscimento nell’ipotesi in cui la stessa sia presentata da un

Consorzio”.

Nelle deliberazioni di cui sopra sono indicate le specifiche tecniche per le tabelle di delimitazione

delle tartufaie riconosciute e l’estensione massima che possono avere le tartufaie.

La Regione Emilia-Romagna (LR n. 24 del 02/09/1991 e modifiche apportate dalla LR n. 20

del 25/06/1996) è l’unica Regione che approfondisca ulteriormente il procedimento per il

riconoscimento delle tartufaie controllate e coltivate, inserendo tra gli aspetti normati: la

commercializzazione delle piantine micorrizate da parte dei vivai (art. 7), la messa a dimora delle

piantine (art. 4) ed il collaudo (art. 5).

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Tabella 5. Normative regionali: sviluppo della Legge quadro e introduzione di nuove norme per la raccolta di tartufi in terreni soggetti a particolari vincoli

Rimboschiti Di riserva venatoria Ad uso civico Demaniali Sotto altri vincoli Prescrizione Autorizzazione Prescrizione Autorizzazione Prescrizione Autorizzazione Prescrizione Autorizzazione Prescrizione Autorizzazione ABRUZZO Dopo 15 anni — — — — — SI Giunta Reg — —

BASILICATA — — SI Comunità montane SI

Titolari su presentazione di un piano

SI Com. mont. (valida 1anno) Oasi DIVIETO

EM.ROM. — — SI Un solo cane Regione SI Cfr Legge

quadro — — Oasi faunistiche Regione

FRIULI — — — — SI Titolari su

presentazione di un piano

— — Parchi Enti gestori

LAZIO Dopo 15 anni — — — — — SI Giunta Reg — — LIGURIA — — — — — — — — — —

LOMBARDIA Dopo 15 anni —

SI Solo di notte o

in giorni di silenzio

venatorio

— SI Cfr Legge quadro — —

Parchi, riserve e monumenti

naturali Enti gestori

MARCHE Dopo 8 anni — — — — — SI (1 anno) Com. mont. e Province

Parchi e Aree protette

Com. mont. e Province

MOLISE Dopo 15 anni —

SI Un solo cane e

in giorni di silenzio

venatorio

Province SI — — — — —

PIEMONTE — — — — — — — — — — TRENTO — — — — — — — — — — PUGLIA — — — — — — — — — —

TOSCANA — — — — — — — — Oasi e zone di ripopolamento

faunistico

DIVIETO dal 1maggio al 30

giugno

Riserve integrali DIVIETO

UMBRIA — —

SI Un solo cane e

in giorni di silenzio

venatorio

Comunità montane SI

Titolari su presentazione di un piano

SI ?

Parchi Raccolta libera

VENETO — — — — SI — SI (1anno) Enti gestori del Demanio — —

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NOTE ALLA TABELLA 5 Sui Terreni gravati da uso civico

Le Regioni:

• Basilicata (LR n. 35 del 27/03/1995, art. 6, comma 2)

• Friuli Venezia Giulia (LR n. 23 del 16/08/1999, art. 10, comma2)

• Umbria (LR n. 6 del 28/02/1994, art. 10, comma 2)

prevedono che, qualora i titolari dei terreni di uso civico vogliano concedere a terzi non utenti il

diritto di ricerca e di raccolta dei tartufi, i subentranti debbano presentare un piano di conservazione

delle tartufaie da sottoporre rispettivamente al parere di:

• Ufficio Foreste, Ecologia, Caccia e Pesca;

• Ufficio della Direzione Regionale dell’Agricoltura;

• Commissione tecnica costituita presso ogni Comunità Montana composta come da Legge

Regionale.

Sui Terreni demaniali

La Regione Basilicata (LR n. 35 del 27/03/1995, art. 12, comma 8) affida alla Giunta

Regionale il compito di individuare “le tartufaie coltivate che insistono nelle foreste del demanio

regionale, da destinare esclusivamente alla sperimentazione ed alla micorizzazione delle piante,

stabilendo a tale scopo opportune convenzioni con centri sperimentali ed istituti scientifici

specializzati”.

Da un primo confronto delle leggi regionali esaminate è possibile mettere in evidenza quanto segue.

Innanzi tutto il quadro legislativo piemontese è pressoché completo sotto molteplici aspetti, anche

se non sono presenti riferimenti normativi relativi ai tartufi lavorati (lavorazione, confezionamento

e commercializzazione), né prescrizioni per la raccolta in alcune fattispecie (nei terreni rimboschiti,

nelle riserve venatorie, nei terreni ad uso civico, demaniali o soggetti a vincoli particolari). Inoltre

non sono previste norme specifiche per quanto attiene la regolamentazione dei permessi per attività

scientifiche, né indicazioni relative al limite massimo di raccolta giornaliera.

Per quanto concerne la tutela e la valorizzazione del patrimonio tartufigeno, il Piemonte è l’unica

regione a prevedere la concessione di un’indennità per chi conservi piante produttrici; d’altro canto

non viene operata alcuna connessione tra la conservazione del patrimonio e l’incremento o

miglioramento delle tartufaie controllate, non promuovendo, in tal modo, il potenziamento delle

tartufaie controllate già riconosciute.

Infine, relativamente alla commercializzazione di prodotti contenenti una certa percentuale di

tartufo, va detto che, sebbene il Piemonte sia una delle tre Regioni (insieme a Marche e Molise) che

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31

ha tentato di disciplinare l’argomento, non è stata ancora raggiunta l’imposizione di una normativa

più precisa. A tal proposito è necessario però citare il disegno di legge n. 223, comunicato alla

Presidenza il 15/06/2001, che inserirebbe nella legge quadro un comma all’art. 14 che recita: “I

medesimi prodotti di cui al secondo comma [prodotti alimentari contenenti tartufo] devono

contenere tartufo certificato per una quantità non inferiore al 3 per cento”; tale provvedimento

favorirebbe una maggiore tutela del consumatore, ma si dimostrerebbe comunque ancora carente

rispetto – per esempio – all’aggiunta di aromi additivi al profumo e sapore di tartufo.

3.3 La normativa internazionale

Per quanto concerne il tartufo i dati statistici analizzati e la bibliografia consultata3 indicano che i

tre paesi europei maggiori produttori sono Italia, Francia e Spagna.

Avendo già preso in esame in modo dettagliato la legislazione italiana, è interessante fare una breve

disamina della normativa francese e di quella spagnola al fine di individuare quali siano i punti di

contatto, quali eventuali spunti possano essere colti per migliorare il nostro sistema e per osservare,

tramite l’aspetto normativo, quali siano le specificità di ogni singolo paese tra quelli considerati.

Sarà inoltre presa in esame la struttura degli accordi internazionali, sottoforma di raccomandazioni

ONU, inerenti il settore tartuficolo.

La normativa francese

In base alle informazioni reperite è verosimile dire che la Francia non ha una vera e propria

legislazione in materia di tartufi.

Il testo cui è possibile fare riferimento è detto “Accord interprofessionnel Truffes Fraîches”: si tratta

di una sorta di convenzione tra operatori del settore (soprattutto tartuficoltori e commercianti) per il

miglioramento della qualità dei tartufi prodotti in Francia, siglato nel 1999.

In questo caso, come in quello della normativa italiana, si procede ad una breve esposizione del

testo sottoforma di analisi delle “tematiche” più rilevanti presenti in esso.

• identificazione dei tartufi destinati al consumo da freschi (art. 2, punto 1): l’accordo

riconosce 5 specie di tartufo dei quali è consentito il commercio allo stato fresco:

o Tuber melanosporum Vitt.;

o Tuber brumale Vitt.;

o Tuber aestivum Vitt.;

o Tuber uncinatum Chatin;

o Tuber mesentericum Vitt.;

3 I dati statistici sono presi da: http://www.coeweb.istat.it/default2.htm. Il principale riferimento bibliografico è: Olivier, J.-M. (1996) : Truffe et trufficulture, Fanlac, Périgueux

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32

• disposizioni concernenti la qualità (art. 2, punto 2, voce A): l’accordo indica le qualità,

tutte di tipo fisico, che devono avere i tartufi commercializzati:

o odore, sapore e colore tipici della specie;

o maturità sufficiente;

o fermezza al tocco;

o avvenuta pulizia (lavaggio o spazzolatura);

o assenza di terra e parassiti;

o assenza di alterazioni dovute al gelo;

o umidità esteriore nella norma;

o massa uguale o superiore ai cinque grammi;

• distinzione tra tartufi interi e pezzi di tartufo (art. 2, punto 2, voce B): nella prima classe

sono inclusi i tartufi il cui ascocarpo è del tutto intero e senza scalfitture; nella seconda

rientra tutto il prodotto non classificabile nella prima;

• classificazione (art. 2, punto 2, voce B, lettere a, b, c): tanto i tartufi interi quanto quelli a

pezzi, sono oggetto di una divisione in tre categorie:

o categoria “extra”: vi sono inclusi solo i tartufi interi, dalla forma regolare e che

presentino eventuali difetti morfologici in misura leggerissima;

o categoria “1”: uguale alla precedente, ma i tartufi possono presentare difetti in

misura maggiore;

o categoria “2”: vi sono inclusi tutti i tartufi interi che non possono rientrare nelle

precedenti categorie, ed i pezzi di tartufo;

• dimensioni (art. 2, punto 3): relativamente alle suddette categorie, la massa dei tartufi o dei

pezzi di tartufi deve essere superiore o uguale a:

o 20 grammi;

o 10 grammi;

o 5 grammi;

• tolleranze (art. 2, punto 4): relativamente alle specie commercializzate, è ammessa una

soglia di presenza del 2% di tartufi con caratteristiche non rispondenti a quelle richieste per

la categoria di appartenenza, a proposito di:

o specie: gli eventuali tartufi di specie diversa devono essere comunque stati raccolti

nello stesso momento di quelli appartenenti alla specie dichiarata; non è in ogni caso

ammessa la presenza di tartufi che non siano prodotti in Francia;

o qualità: in caso di presenza di tartufi che non appartengono alla categoria dichiarata,

questi devono rientrare, al massimo, nella categoria direttamente inferiore;

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33

o massa: se questa tolleranza dovesse essere cumulata con quella relativa alla qualità,

la loro somma non potrebbe superare il 2% della massa totale;

• presentazione ed imballaggio (art. 2, punto 5): le specie devono essere commercializzate

separatamente. Ogni collo deve rispettare gli standard minimi di qualità richiesti; la parte

visibile del medesimo deve essere rappresentativa dell’intero contenuto. In caso di

spedizione dei pacchi, questi devono essere imballati in modo da assicurare la massima

protezione ai tartufi, nonché essere innocui rispetto al pericolo di alterazione delle qualità

del prodotto;

• etichettatura (art. 2, punto 6): l’etichetta da mettere sul prodotto deve essere ben visibile; è

ammesso che sia interna solo nel caso di spedizione dei colli; ogni etichetta deve riportare le

informazioni che seguono:

o identificazione del mittente;

o denominazione del prodotto e presentazione: nome della specie e se in forma intera o

in pezzi;

o origine: dipartimento o regione di raccolta;

o caratteristiche commerciali: categoria di appartenenza;

o marchio ufficiale di controllo: facoltativo;

• calendario di raccolta e commercializzazione (art. 3): l’accordo prevede che il calendario

di raccolta sia stabilito annualmente, previa approvazione dei firmatari dell’accordo stesso;

per quanto concerne il commercio, questo può essere effettuato durante tutto il periodo di

raccolta e fino a dieci giorni dopo la sua chiusura;

• vigilanza (art. 6): la vigilanza sul rispetto delle norme stabilite nell’accordo in oggetto è

affidata agli agenti:

o dell’INTERFEL (“Interprofession des Fruit et Légumes Frais”) ;

o del Ministero dell’Economia, delle Finanze e dell’Industria ;

o della Direzione Generale per la Concorrenza, il Consumo e la Repressione delle

Frodi;

• caratteristiche organolettiche (art. 5): in allegato sono presentate alcune schede tecniche in

cui sono esposte in modo schematico le caratteristiche delle diverse specie di tartufi:

o ascocarpo: dimensioni e forma;

o peridio: colore, aspetto, gibbosità;

o gleba: consistenza, venature, sapore, colore ed odore a maturità;

o spore: numero per aschi, forma, colore, dimensioni.

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34

La normativa francese, pur facendo riferimento ad un testo senza valore strettamente normativo,

rappresenta un punto fermo nelle pratiche inerenti il settore tartuficolo.

Alcuni aspetti sono in particolare degni di nota: innanzi tutto nell'elenco delle specie consentite per

il commercio è escluso il Tuber magnatum – probabilmente perché il testo è nato come

regolamentazione del mercato interno – più alcune altre specie di tartufo nero di minor pregio; in

secondo luogo va osservato che la disposizione è molto precisa: per quanto non vi siano indicazioni

in merito a ricerca e raccolta, il testo si esprime in modo molto dettagliato sia sulle qualità

organolettiche delle specie – relativamente ad ogni categoria – sia sulle condizioni di vendita, con

particolare attenzione alle tolleranze e all'imballaggio.

La normativa spagnola

La Spagna ha prodotto più testi normativi riguardanti i tartufi: alcuni sono di ordine nazionale, ma i

più completi e recenti sono emessi dalle regioni autonome, soprattutto in relazione alla protezione

del territorio montano ed alla tutela dei relativi prodotti.

La prima fonte, procedendo in ordine cronologico, è il Decreto 1688 del 15 Giugno 1972, con

relativo “Orden” – sorta di regolamento di attuazione – dell’8 Novembre 1972. In questi due

documenti vengono formulati i principi base che regolano la raccolta e la ricerca dei tartufi sul

territorio Spagnolo:

• specie ammesse:

o Tuber melanosporum Vitt.

o Tuber brumale Vitt.;

• calendario di raccolta: stabilito nel periodo tra il 1 dicembre ed il 15 marzo dell’anno

successivo;

• strumenti di raccolta: sono ammessi solo strumenti che non comportano una rimozione

troppo consistente del terreno;

• presenza di cani addestrati: non sono ammessi altri animali come aiuto nell’operazione di

ricerca;

• riempimento delle buche: da effettuarsi nel periodo di tempo più breve possibile dopo

l’estrazione;

• tesserino di abilitazione alla raccolta: necessario nel caso in cui si effettuino ricerca e

raccolta su territori montani dichiarati “di pubblica utilità”.

Nel 1977 il Ministero del Commercio e del Turismo approva un “Orden” (18 Ottobre 1977)

riguardante il commercio estero dei tartufi freschi; la struttura del testo è molto simile alla

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35

corrispondente norma francese, ma si differenzia per porre l’accento su alcuni particolari differenti.

Tale testo è di seguito brevemente riassunto:

• identificazione dei tartufi destinati al consumo da freschi (art. 1): è esposta la definizione

di tartufo e sono elencate le specie che è possibile destinare al commercio da fresche:

o Tuber brumale Vitt.

o Tuber melanosporum Vitt

o Tuber magnatum Pico

• disposizioni concernenti la qualità (art. 2, voce A): sono indicate le caratteristiche minime

di qualità per tutte le categorie di tartufi, che devono essere:

o sani;

o interi o in pezzi di diametro superiore a cinque millimetri;

o non spazzolati;

o ragionevolmente puliti dalla terra o altri materiali estranei;

o non congelati;

o con umidità normale;

o di odore e sapore normali per la specie;

o in condizioni di maturità tali da garantirne l’arrivo in buone condizioni in caso di

spedizione;

• classificazione (art. 2, voce B, numeri I, II e III): le tre categorie – “extra”, “I” e “II” – sono

sostanzialmente uguali a quelle individuate dall’”Accord interprofessionnel” vigente in

Francia;

• tolleranze (art. 2, voce B, numero III): relativamente alle categorie di cui sopra, sono

individuate le seguenti tolleranze:

o categoria “extra”:

3% in peso di terra;

5% in numero o in peso di tartufi appartenenti alla classe direttamente

inferiore;

o categoria “I”:

6% in peso di terra;

10% in numero o in peso di tartufi appartenenti alla classe direttamente

inferiore;

o categoria “II”:

6% in peso di terra;

10% in numero o in peso di tartufi non aventi le caratteristiche minime;

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• presentazione ed imballaggio (art. 4): il contenuto di ogni collo deve essere omogeneo per

origine, qualità e stato di maturazione. Il materiale degli imballaggi deve essere innocuo e

non alterare le qualità del prodotto: sono raccomandati sacchi di cotone, e vietati sacchi di

polietilene;

• etichettatura (art. 5): ogni etichetta deve obbligatoriamente presentare, scritti chiaramente,

con inchiostro indelebile e ben visibili dall’esterno, i dati che seguono:

o identificazione dell’esportatore (importatore) e numero di registrazione

dell’esportazione;

o identificazione del prodotto;

o origine del prodotto con le diciture: “prodotto in Spagna” o “importato dalla

Spagna”, o paese di origine in caso di importazione dall’estero.

• norme amministrative (art. 6): sono date istruzioni rispetto a:

o esportazione e relativa licenza: la commissione regolatrice per le esportazioni

stabilisce una sorta di calendario per il periodo ammesso; è inoltre necessario, per

l’attività di esportazione, avere una licenza specifica;

o dogane: sulla licenza di esportazione sono specificate le dogane di uscita dei tartufi,

che possono essere solo due in tutto lo stato;

o commissione regolatrice: è indicata come responsabile della creazione dei registri

speciali di esportazione dei tartufi freschi e conservati;

• vigilanza (art. 7): la vigilanza è affidata agli agenti dei Servizi di Ispezione per il

Commercio Estero; tutti i lotti di tartufi non riconosciuti idonei per l’esportazione sono

sequestrati.

In relazione alla normativa vigente in Spagna, concernente i tartufi, va ricordato che molte delle

regioni di maggiore produzione regolamentano in autonomia il calendario di raccolta; inoltre, se i

tartufi sono legati territorialmente all’ambiente montano, le regioni – dovendo legiferare riguardo

alla protezione di tale territorio – hanno emesso leggi più o meno dettagliate aventi per oggetto la

ricerca e la raccolta di tartufi.

Tra le regioni che hanno prodotto (o stanno producendo) testi normativi completi, si possono

ricordare, a scopo esemplificativo, Aragon (Orden de 10 de novembre de 1998) e Castilla y León

(terza stesura del progetto di legge, aggiornata al 23/06/2001); sopratutto nel secondo caso, si può

osservare lo sviluppo di una legge molto simile a quella italiana, che prende in considerazione i

tartufi sotto molteplici aspetti: definizione, modalità di ricerca e raccolta, tesserino di autorizzazione

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alla ricerca e raccolta, calendario, raccolta per fini scientifici, raccolta in aree protette, costituzione e

riconoscimento di tartufaie, etc.

In definitiva la normativa spagnola si è sviluppata in due direzioni differenti: da un lato si hanno le

prescrizioni inerenti la ricerca e la raccolta, che vertono su tutti quegli aspetti riguardanti l'utilizzo

della risorsa tartufo senza prescindere dalla conservazione del territorio; dall'altra si hanno tutte le

indicazioni concernenti il commercio.

Nel primo caso la produzione normativa è di livello sia nazionale che – in maggior misura –

regionale; da notare come nell'elenco delle specie per cui è ammessa la raccolta figurino solo T.

melanosporum e T. brumale, con l'aggiunta di T. aestivum solo in alcune zone (fra le Regioni

considerate: Catalunya e Castilla y León).

Per quanto concerne invece la regolamentazione del commercio, l’unica Legge reperita è di ordine

nazionale. In questo come nel caso francese la normativa è molto dettagliata: è ammesso un numero

molto limitato di specie di tartufo nero, ma è consentito lo scambio di tartufo bianco; le prescrizioni

riguardano di nuovo in modo particolareggiato le condizioni di esposizione, vendita ed imballaggio.

Le raccomandazioni ONU

Nell’aprile del 2002 la delegazione Francese presso le Nazioni Unite ha presentato una proposta per

la creazione di una norma CEE-ONU relativa ai tartufi; il testo, esposto secondo gli schemi adottati

all’ONU, si rifà in parte all’”Accord Interprofessionnel” francese, e differisce da questo per alcuni

aspetti, di seguito riferiti in linea di massima:

• la struttura generale della norma è stata cambiata; essa prevede una parte generale, una parte

dedicata al mercato all’ingrosso ed una parte specifica sulla vendita al consumatore finale;

• è stato allargato l’elenco delle specie commerciabili;

• è stato previsto un calendario unificato di massima;

• la ripartizione dei tartufi in categorie è stata modificata – solo per quanto concerne le

vendite all’ingrosso;

• le tolleranze percentuali sono state modificate;

• la presentazione è prescritta in modo più rigoroso.

Nell’agosto del 2004 l’organo competente delle Nazioni Unite4, basandosi su tale proposta, ha

provveduto a compilare la “Raccomandazione CEE-ONU FFV-53, stabilita a partire dal documento

4 L’organo competente è la “Sezione specializzata per la normazione dei frutti e dei legumi freschi”, così inserito nella gerarchia interna all’ONU – a partire dai livelli più alti e generici:

• Consiglio economico e sociale; • Commissione economica per l’Europa; • Comitato per lo sviluppo del commercio, dell’industria e dell’impresa; • Gruppo di lavoro sulle norme di qualità dei prodotti agricoli; • Sezione specializzata per la normazione dei frutti e dei legumi freschi.

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TRADE/WP.7/GE.1/2004/25/Add.8, concernente la commercializzazione ed il controllo di qualità

commerciale dei tartufi freschi (Tuber)”, valida fino a Novembre 2006. Si ricorda che le

Raccomandazioni ONU costituiscono il riferimento per tutte le regolamentazioni internazionali.

La Raccomandazione è semplificata rispetto alla proposta della delegazione Francese e,

paradossalmente, è strettamente assimilabile all’“Accord Interprofessionnel” nella sua versione

originale. Vi sono, ad ogni modo, alcuni aspetti che sono stati oggetto di maggiore precisazione, che

vale la pena sottolineare:

• nella definizione iniziale del prodotto (art. 1) è specificato chiaramente che sono esclusi

dalla raccomandazione i tartufi destinati alla trasformazione industriale, essendo in oggetto

unicamente quelli destinati al commercio da freschi;

• in allegato è presentata una lista di tartufi commercializzati più numerosa di quella presa in

considerazione dalla normativa francese, italiana e spagnola; ciò nonostante, la lista è

definita (art. 2) “non esaustiva”. Essa comprende:

o Tuber melanosporum Vitt.;

o Tuber brumale Vitt.;

o Tuber brumale var. moschatum De Ferry;

o Tuber indicum Cook;

o Tuber aestivum Vitt.;

o Tuber uncinatum Chatin;

o Tuber mesentericum Vitt.;

o Tuber magnatum Pico;

o Tuber borchii Vitt.;

o Tuber macrosporum Vitt.;

o Tuber gibbosum Gilkey;

• La norma ha per obiettivo (art. 2) “la definizione delle qualità che devono presentare i tartufi

allo stadio di controllo all’esportazione, dopo il confezionamento e l’imballaggio”.

In seguito alla disamina delle normative francese, italiana e spagnola, ed alla considerazione delle

caratteristiche delle raccomandazioni ONU, è possibile fare alcune osservazioni di carattere

generale: in primo luogo, il settore tartuficolo è oggetto di normativa a partire dalle singole nazioni,

fino agli organi internazionali più alti.

I testi fin qui elaborati dalle singole nazioni, benché simili per principi e struttura, non sono ancora

davvero mai stati coordinati col fine di semplificare gli scambi commerciali; tra questi, l'Italia ha

legiferato nel settore tartuficolo più che altro per quanto concerne la ricerca e la raccolta, la Francia

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si è concentrata sull'interscambio commerciale – è francese anche l'iniziativa presa in merito in sede

ONU – e la Spagna ha provveduto a regolare entrambi i campi, anche se la parte dedicata a ricerca e

raccolta è stata curata soprattutto dalle regioni autonome.

Per quanto riguarda la produzione non naturale – cioè in tartufaie controllate e coltivate – l’Italia è

l'unica nazione ad aver compilato delle prescrizioni normative di livello nazionale: la Spagna ha

delegato in toto la questione alle autonomie locali e la Francia non ha provveduto in alcun modo. Il

fatto che quest’ultima non abbia legiferato in merito alla coltivazione dl tartufo, ma sia di fatto

molto attiva in quest’ambito, porta alla considerazione che il sistema produttivo sia trasparente ed

efficiente, ed il legislatore abbia quindi voluto concentrare l’attenzione sul successivo passaggio di

vendita del prodotto, evidentemente più soggetto a manipolazioni. A questo proposito si può dire

che l'Italia tende forse a sottovalutare il valore della prescrizione normativa a livello di scambi

commerciali, non facendosi in tal modo garante di qualità e trasparenza del mercato per il

consumatore finale.

Va infine notato che il testo considerato di livello internazionale più alto è inerente solo il

commercio di tartufi freschi: la regolamentazione delle pratiche di coltivazione e del commercio di

prodotti trasformati resta pertanto priva di principi internazionali di riferimento. Questa mancanza

appare abbastanza logica per quanto riguarda la coltivazione, più legata alle caratteristiche

specifiche dei singoli territori, ma molto meno per i prodotti trasformati, che, essendo di facile

scambio, dovrebbero almeno essere soggetti ad un protocollo – con validità internazionale – in

grado di garantirne le caratteristiche qualitative.

3.4 Bibliografia

Siti internet consultati • http://camera.ancitel.it/lrec/ • http://civil.udg.es/NORMACIVIL/estatal/CC/INDEXCC.htm • http://docm.jccm.es/pls/dial/dial_detalles.detalles_inicio?carpeta=3380 • http://europa.eu.int/eur-lex/lex/it/index.htm • http://premium.vlex.com/legislacion/boletin_BOA,0_x/Boletin-Oficial-de-

Aragon/dia,fecha_24-07-1991,0_1.html • http://www.agraria.org/funghi/normativatartufi.htm • http://www.boe.es/g/es/ • http://www.fft-tuber.org/index.asp • http://www.legifrance.gouv.fr/ • http://www.un.org/ • http://www.un.org/docs/ecosoc/ • http://www.unece.org/Welcome.html

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4. ANALISI TECNICA ED ECONOMICA DELL’ATTIVITA’ VIVAISTICA

4.1 Aspetti tecnici

Per ottenere dei buoni risultati produttivi in tartuficoltura riveste un’importanza fondamentale, oltre

al luogo climaticamente ed edaficamente adatto, il materiale di propagazione impiegato. In linea di

massima l’impianto di tartufaie coltivate vede la messa a dimora di piante micorrizate col tartufo

che si desidera coltivare.

La produzione di piante micorrizate può essere fatta in un normale vivaio anche se richiede alcune

operazioni specifiche in aggiunta alla normale pratica riproduttiva, legate all’inoculazione del fungo

ed al controllo della durevolezza di tale simbiosi.

I principali punti di tale procedimento consistono, secondo quanto ormai codificato (Baglioni, 2000;

Chevalier, 1997; Ricard et al., 2003): nella predisposizione di materiale vegetale idoneo,

preparazione dell’inoculo del fungo e sua distribuzione sulle piante ospiti, allevamento delle

piantine per un certo tempo atto a garantire l’avvenuta micorrizazione ed infine nel controllo della

micorrizazione.

Essendo il materiale vegetale una delle componenti fondamentali per la riuscita della

micorrizazione e, di conseguenza, dell’impianto tartuficolo stesso, è innanzitutto necessario

scegliere una specie vegetale adatta alla coltura del tartufo: ossia le piante che, a livello spontaneo e

in precedenti sperimentazioni, si sono dimostrate buone simbionti. Tra queste si segnalano i generi

Quercus, Salix e Populus, ma in Francia sono anche utilizzate: nocciolo, pino nero, pino silvestre,

tiglio, faggio, cedro e carpini nero e bianco.

Nella scelta specifica delle piante simbionti vanno poi tenute in considerazione le caratteristiche

ambientali della zona di impianto, le esigenze ecologiche del tartufo ad esse connesso e le

caratteristiche di sviluppo della pianta stessa, che possono influire sulla durevolezza della

micorrizazione. Un’oculata scelta dei due simbionti, con particolare attenzione a quello più

sensibile – cioè al tartufo – è fondamentale per la buona riuscita dell’impianto.

Tra gli ulteriori aspetti di cui tenere conto si segnalano: la sensibilità alla contaminazione delle

radici, la morfologia del sistema radicale, la longevità (Chevalier, 1997), al fine di garantire una

corretta e durevole micorrizazione.

Il materiale vegetale può essere riprodotto tanto per semina quanto per moltiplicazione vegetativa

(propagazione in vitro, talee). I vantaggi legati alla moltiplicazione consistono principalmente nella

riduzione dell’eterogeneità attuale delle piante ospiti – tale variabilità si traduce, oltre che in

caratteristiche fenotipiche diverse, anche in una differente attitudine alla micorizzazione – e nello

sviluppo più rapido dell’apparato radicale.

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Non essendo ancora dimostrato quanto la caratteristica “pianta buona produttrice di tartufi” sia

connessa al corredo genetico della pianta stessa e quanto alle condizioni stazionali, la riproduzione

avviene secondo la via più pratica per il vivaio.

Micorrizare una pianta significa infettarla con una parte (inoculo) del fungo col quale si desidera

che essa stringa un rapporto di simbiosi; le finalità di questa operazione sono la formazione delle

micorrize sulla maggiore porzione possibile di apparato radicale della pianta ospite e la protezione

delle micorrize formatesi dalla colonizzazione di micorrize antagoniste.

Vengono di seguito brevemente descritti i principali metodi attualmente utilizzabili (Chevalier,

1997) per predisporre l’inoculo ed utilizzarlo. L’inoculazione con le spore, si attua sbriciolando i

corpi fruttiferi maturi (tartufi) e distribuendoli a contatto con le radici delle piante selezionate, può

essere utilizzata su vasta scala ed offre il vantaggio di garantire una elevata variabilità genetica del

Tuber che assicura a sua volta una certa rusticità, e quindi plasticità ecologica; d’altro canto, questo

metodo, non consente di operare una accurata selezione genetica e di provenienza dei tartufi stessi.

Si può anche utilizzare l’ inoculazione per contatto, prendendo alcune porzioni di radici già infette

dall’apparato radicale di una “pianta madre” di verificata capacità produttiva, e ponendole a

contatto con le radici delle nuove piante da inoculare. La validità di questo metodo, ritenuto molto

efficace, può essere minata dal passaggio dalla pianta madre al nuovo individuo di funghi

micorrizogeni indesiderati o antagonisti di quello programmato.

Si può infine effettuare l’ inoculazione per coltura miceliare: questo procedimento è teoricamente il

più sicuro ed il più valido, ma richiede per la realizzazione strutture e personale specializzato;

inoltre il basso tasso di crescita del micelio dei tartufi ne impedisce ancora una attuazione su vasta

scala. Il principale vantaggio è la possibilità di produrre cloni di tartufi, e quindi di poter creare uno

stock di fonti di inoculo miceliari che integri la variabilità geografica, ecologica e genetica, isolando

il micelio a partire da tartufi provenienti da tartufaie naturali, di origine ben definita.

Le piante appena micorrizate hanno bisogno di far crescere il proprio apparato radicale in un

ambiente protetto, il più possibile vicino alla sterilità, in modo che il processo di formazione ed

accrescimento della simbiosi non venga compromesso dalla presenza di altri funghi micorrizogeni.

Tale caratteristica del substrato di crescita può essere ottenuta (Gradi, 1989) per sterilizzazione

chimica, cospargendo il terreno di prodotti fungicidi geodisinfestanti, oppure tramite il calore,

scaldando i primi strati di terreno fino a 100 °C.

Il controllo dell’avvenuta micorrizazione delle piante, in Italia, non è, al momento, obbligatorio: la

normativa vigente non prevede certificazioni. Ciò significa che il vivaista può immettere sul

mercato le piante micorrizate, senza che vi sia stata una preventiva verifica dell’effettiva presenza

del rapporto simbiotico.

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Al contrario, in Francia, l’INRA (Insitut National de la Recherche Agronomique) ed il CTIFL

(Centre Technique Interprofessionnel. des Fruits et Légumes) hanno messo a punto un sistema di

controllo – cui i vivaisti aderiscono spontaneamente – basato sul prelievo di alcune piante campione

dai lotti destinati alla vendita; le piante sono esaminate con lo scopo di valutare l’intensità della

micorrizazione (con una scala da 0 a 5) e la presenza di eventuali contaminazioni da parte di altri

funghi micorrizogeni indesiderati.

Lo studio sui controlli di avvenuta micorrizazione è comunque in evoluzione e potrebbe portare,

nel tempo, all’elaborazione di un sistema unificato in grado di offrire maggiori garanzie agli

acquirenti di piante micorrizate anche nel nostro Paese.

4.2 Valutazioni economiche

Lo studio economico relativo alla produzione di piante micorrizate con tartufi è stato svolto presso

il Vivaio Regionale Gambarello di Chiusa Pesio, che nell’ambito del progetto Verchamp si è per

l’appunto occupato di tale attività, per il momento in via sperimentale, ma che in prospettiva

potrebbe svolgere in modo produttivo per la vendita delle piantine micorrizate sul mercato.

Come già detto, la produzione di piante micorrizate richiede alcune pratiche specifiche che sono

determinanti per il buon esito del lavoro. Più precisamente il Vivaio ha proceduto secondo le linee

indicate dai ricercatori dell’IPLA, che vengono di seguito brevemente ricordate.

Il processo inizia con fasi preliminari di preparazione dell’inoculo e sterilizzazione dei semi e del

terriccio. I semi sono lavati in acqua corrente e quindi sterilizzati in una soluzione di acqua e

candeggina commerciale in proporzione 1:1; il terriccio, dopo essere stato triturato per garantire

l’eliminazione delle parti grossolane, viene mescolato con vermiculite (2:1) e quindi collocato in un

cassone di acciaio per essere sottoposto a due cicli di vaporizzazione oltre i 100°C. Dopo questa

operazione il substrato sterilizzato deve riposare per almeno sette – dieci giorni, fatto che va tenuto

presente nell’organizzazione delle fasi successive del processo produttivo.

La preparazione dell’inoculo viene fatta miscelando l’imenio fungino polverizzato con sabbia

sterile; in fase sperimentale l’inoculo è stato predisposto dall’IPLA, mentre in fase produttiva se ne

occuperà direttamente il personale del Vivaio, mentre l’IPLA continuerà ad occuparsi

dell’accertamento della specie del tartufo.

Una volta che i materiali sono stati così predisposti, si può procedere secondo differenti modalità di

inoculazione; una discriminante della scelta del metodo di infezione è la dimensione del seme da

trattare, che può essere grande (querce, nocciolo) o piccolo (carpino, tiglio).

Le tecniche di inoculazione utilizzate presso il vivaio Regionale sono: al letto di semina o “pre-

emergenza”, in cui l’inoculo viene distribuito contemporaneamente al seme, pratica seguita di solito

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per le specie a seme piccolo; al trapianto: in questo caso il seme viene prima fatto germinare, e solo

al momento del trapianto si procede all’inoculo; questo metodo, che crea qualche problema di

shock di trapianto, è applicato solo per i semi grandi.

Le plantule in fase di crescita sono collocate in serra, dove viene mantenuta una temperatura

costante di 20°C, per contenere il consumo di gasolio, in caso di irrigidimento del clima esterno,

soprattutto la notte, la temperatura interna minima può scendere a 18°C.

La semina avviene all’inizio di gennaio; se è previsto il trapianto, questo viene effettuato a metà

marzo. Le piante micorrizate sono pronte per la messa a dimora in due diversi momenti: ad ottobre,

dopo circa nove mesi dalla semina, per le piante provenienti da seme grande; nella primavera

dell’anno successivo a quello della semina, dopo circa quindici mesi, per quelle derivanti da seme

piccolo.

4.3. Risultati ottenuti

Sulla base del processo di produzione precedentemente descritto, si è proceduto al calcolo dei costi

di produzione riportati nelle successive tabelle 1 e 3, mentre nelle tabelle 2 e 4 è possibile verificare

alcuni dati analitici utilizzati nel computo.

I dati economici derivano dalla rendicontazione che il Vivaio Regionale ha predisposto nell’ambito

del progetto “Verchamp” e quindi garantisce una adeguata precisione. Questo vale per quasi tutti i

costi variabili; per alcuni costi fissi e per la manodopera si è proceduto a valutazioni dirette con il

personale del Vivaio.

Le due linee produttive “inoculo alla semina” (Tab. 1) e “inoculo al trapianto” (Tab. 3) sono state

sviluppate con diverse ipotesi di produzione in relazione alla struttura della serra, che essendo stata

compartimentata consente il riscaldamento parziale. La produzione attuale è di 3000 piante, ma la

capienza massima è 10000: le due ipotesi intermedie sono state fatte per fornire un più ampio

ventaglio di scelta. In realtà le piante prodotte sono un numero minore in quanto, nel corso del

processo, si verifica una certa mortalità (stimata nella misura del 20%), della quale si è tenuto conto

nel calcolo del costo unitario (3000 è il numero di partenza, ma il processo si conclude con 2400

piante micorrizate).

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Tabella 1. Costo di produzione delle piante micorrizate con inoculo alla semina COSTI FISSI

Voce Quota annua di reintegrazione [€]

Interessi sul capitale investito [€]

Vasche acciaio inox 65x55x70 (n.2) 86 34 Vasche acciaio inox 65x70x70 (n.1) 46 18 Serra 2667 800 Contenitori 357 71 Telo pacciamante 26 5 Cassette e distanziali 234 47 Totale 3415 976 COSTI VARIABILI

Voce 3000 piante [€] 5000 piante [€] 7000 piante [€] 10000 piante [€] Tartufi per inoculo 3179 5298 7417 10595 Terriccio 990 1650 2310 3300 Gasolio per riscaldamento 1044 1044 1740 1740 Gasolio per sterilizzazione 418 696 974 1392 Manodopera operaio "B" 6951 10468 13987 19264 Manodopera operaio "A" 713 1189 1664 2378 Cassette 183 305 427 610 Varie 1203 2000 2800 4000 Totale 14681 22650 31320 43279 COSTO TOTALE [€] 19072 27040 35710 47669 COSTO UNITARIO PER PIANTA [€] 7,95 6,76 6,38 5,96

Tabella 2. Dati analitici relativi ai costi di produzione COSTI FISSI

Voce Valore nuovo [€] Durata [anni] Vasche acciaio inox 65x55x70 (n.2) 1710 20 Vasche acciaio inox 65x70x70 (n.1) 912 20 Serra 40000 15 Contenitori 3570 10 Telo pacciamante 263 10 Cassette e distanziali 2337 10

COSTI VARIABILI Voce Quantità Costo unitario [€/unità]

Terriccio [litri] 10000 0,33 Gasolio per riscaldamento [litri] 3000 0,58 Gasolio per sterilizzazione [litri] 2400 0,58 Manodopera operaio "B" [ore] 1409 13,67 Manodopera operaio "A" [ore] 160 14,86 Cassette [n. di pezzi] 1000 0,61 CALCOLO DELLA MANODOPERA

Fase di lavoro Unità Preparazione inoculo 2 giorni/kg tartufo Sterilizzazione terriccio 45 min/vasca Preparazione pianta 7 min/pianta Controllo in serra 30 min/giorno

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Per facilitare la comprensione, vengono di seguito fornite alcune precisazioni relative ai fattori

impiegati ed alle modalità di calcolo seguite.

• Serra: in questa voce rientrano: installazione, adattamento, raccorderia e ferramenta.

• Tartufi: il quantitativo è stato calcolato tenendo conto di un grammo di tartufo per ogni

pianta. Il prezzo dei tartufi è riferito all'anno 2005.

• Terriccio: si è calcolato l'utilizzo di un litro di terriccio per ogni pianta.

• Manodopera: si è fatto riferimento alle paghe orarie degli operai forestali (gennaio 2005).

L'operaio di categoria "A" si occupa della preparazione dell'inoculo; l'operaio di categoria

"B" delle altre operazioni.

• Varie: in questa voce sono comprese spese varie di ferramenta e materiale monouso.

• Quota di reintegrazione: calcolata sul valore a nuovo diviso la durata complessiva, senza

tener conto di alcun valore di recupero in relazione alla tipologia di apparecchiature.

• Interessi: calcolati sul totale del capitale investito, fissi, con un saggio pari al 2%.

• Riscaldamento: nei casi in cui siano prodotte 3000 e 5000 piante, la serra viene scaldata per

tre quinti; nel caso di 7000 e 10000 piante la serra viene scaldata completamente.

• Costo unitario per pianta: calcolato tenendo conto di una mortalità delle piante pari al 20%.

• Preparazione inoculo: comprende le operazioni di lavaggio, controllo al microscopio,

disinfezione, disinfezione della sabbia, stoccaggio e successiva macerazione.

• Preparazione pianta: dal lavaggio del seme alla disposizione della plantula in serra.

• Controllo in serra: tempo comprensivo dell’ irrigazione.

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Tabella 3. Costo di produzione delle piante micorrizate con inoculo al trapianto COSTI FISSI

Voce Quota annua di reintegrazione [€]

Interessi sul capitale investito [€]

Vasche acciaio inox 65x55x70 (n.2) 86 34 Vasche acciaio inox 65x70x70 (n.1) 46 18 Serra 2667 800 Contenitori 357 71 Telo pacciamante 26 5 Cassette e distanziali 234 47 Totale 3415 976 COSTI VARIABILI

Voce 3000 piante [€] 5000 piante [€] 7000 piante [€] 10000 piante [€] Tartufi per inoculo 3179 5298 7417 10595 Terriccio 990 1650 2310 3300 Gasolio per riscaldamento 7540 7540 12567 12567 Gasolio per sterilizzazione 418 696 974 1392 Manodopera operaio "B" 8892 13777 18662 25989 Manodopera operaio "A" 713 1189 1664 2378 Cassette 183 305 427 610 Varie 1203 2000 2800 4000 Totale 23118 32454 46821 60830 COSTO TOTALE [€] 27509 36845 51212 65221 COSTO UNITARIO PER PIANTA [€] 11,46 9,21 9,14 8,15

Tabella 4. Dati analitici relativi ai costi di produzione COSTI FISSI

Voce Valore nuovo [€] Durata [anni] Vasche acciaio inox 65x55x70 (n.2) 1710 20 Vasche acciaio inox 65x70x70 (n.1) 912 20 Serra 40000 15 Contenitori 3570 10 Telo pacciamante 263 10 Cassette e distanziali 2337 10

COSTI VARIABILI Voce Quantità Costo unitario [€/unità]

Terriccio [litri] 10000 0,33 Gasolio per riscaldamento [litri] 3000 0,58 Gasolio per sterilizzazione [litri] 2400 0,58 Manodopera operaio "B" [ore] 1409 13,67 Manodopera operaio "A" [ore] 160 14,86 Cassette [n. di pezzi] 1000 0,61 CALCOLO DELLA MANODOPERA

Fase di lavoro Unità Preparazione inoculo 2 giorni/kg tartufo Sterilizzazione terriccio 45 min/vasca Preparazione pianta 7 min/pianta Controllo in serra 30 min/giorno

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Osservando le varie ipotesi formulate, risulta subito evidente come l’inoculo al letto di semina

comporti costi decisamente inferiori, in ragione, principalmente, del ridotto impiego di due fattori

produttivi: la manodopera ed il gasolio per il riscaldamento della serra. Relativamente alla

manodopera, il calo di impiego è di circa tre minuti a pianta, dovuto al fatto che viene eliminata

l’operazione di trapianto delle plantule. La voce che ancor più drasticamente comporta una

diminuzione dei costi è il combustibile per il riscaldamento: come già detto, infatti, le piante

destinate all’inoculo nel letto di semina vengono preparate e messe nella serra a partire da marzo,

mentre quelle destinate al trapianto sono seminate già in gennaio; ne conseguono diversi periodi di

riscaldamento e proporzionali consumi di carburante, poiché scaldare la serra per tutto l’inverno ha

dei costi elevatissimi, mentre provvedere dal mese di marzo significa evitare il periodo di maggiore

rigidità e attivare l’impianto di riscaldamento solo durante le prime settimane o in occasione di

eventuali gelate tardive. Ne risulta che l’incidenza del costo del per riscaldamento varia tra il 4 ed il

6%, nel caso di inoculo alla semina, mentre assume valori tra il 19 e il 27% nel caso di inoculo al

trapianto.

In conclusione il costo di produzione di una singola pianta micorrizata varia, nel caso di inoculo alla

semina, tra 7.95 Euro (3000 piante) e 5.96 Euro (10000); mentre se si procede con l’inoculo al

trapianto, tale costo varia tra 11.46 Euro e 8.15 Euro.

Come già detto, dal punto di vista economico il procedimento con inoculo alla semina risulta

nettamente da preferire, non va dimenticato che il Vivaio è collocato in un luogo pedemontano

caratterizzato da clima invernale piuttosto rigido.

Inoltre anche se l’incidenza dei costi fissi è piuttosto contenuta rispetto a quella dei costi variabili, il

produrre quantitativi maggiori consente comunque una diminuzione significativa del costo unitario.

Sarebbe quindi auspicabile che la produzione di piantine micorrizate fosse sviluppata al massimo

della capienza consentita dalla struttura.

Tenuto anche conto che dall’indagine condotta presso i tartuficoltori/cercatori (cfr. Cap. 5) è emerso

un significativo interesse ad incrementare le piantagioni di tartufi (o ad iniziarle) e quindi la

domanda di tale prodotto esiste, anzi al momento viene segnalato come problema il reperimento del

materiale riproduttivo certificato a prezzi adeguati.

A questo proposito va ricordato che il risultato produttivo di una piantagione non è sempre

garantito, in relazione ai molteplici fattori che influenzano tale coltura. In tale contesto la qualità

del materiale di impianto assume una significativa rilevanza.

In questa ottica, una proposta operativa realizzabile nel caso specifico, potrebbe essere la seguente:

un ente esterno verifica i tartufi utilizzati per la preparazione dell’inoculo, successivamente il

medesimo ente certifica l’ avvenuta micorrizzazione su un numero di piante scelto a campione.

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Questa procedura darebbe origine ad un piccolo aumento di costo per la certificazione, ma

garantirebbe maggiormente l’acquirente.

4.4 Bibliografia

• Baglioni F. (2000): Piante tartufigene: a che punto siamo?, Sherwood, n. 58. • Chevalier G., Frochot H. (1997): La maîtrise de la culture de la truffe, Revue Forestière

Française, n. speciale. • Gradi A. (1989): Vivaistica forestale, Edagricole, Bologna. • Ricard J-M., Bourrieres D., Cronier L. (2003): Les évaluations des jeunes plants à vocation

truffière, Info CTIFL, n. 189.

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5. INDAGINE DIRETTA A CERCATORI/TARTUFICOLTORI

Al fine di meglio inquadrare il contesto reale del settore tartuficolo piemontese, in relazione anche

alla nota carenza di informazioni consolidate che lo caratterizzano da quasi tutti i punti di vista, si è

svolta un’indagine diretta presso cercatori e tartuficoltori. I primi visti come fornitori di

informazioni prevalentemente sul tartufo bianco, mentre i secondi sui tartufi neri (pregiato e

scorzone) con particolare riguardo alle modalità di coltivazione; anche se non va dimenticato che

spesso le due figure coincidono.

Le ipotesi colturali e le relative specifiche tecniche vengono presentate e discusse nel successivo

capitolo 6, mentre di seguito si espone quanto emerso dalle interviste con particolare riferimento ai

problemi e suggerimenti messi in rilievo dagli interlocutori contattati.

L’indagine ha avuto anche lo scopo di approfondire la conoscenza delle caratteristiche del

“cercatore tipo”, nel tentativo di definire quali siano le peculiarità dei primi attori della filiera del

tartufo.

5.1 Cenni metodologici

Per raccogliere e classificare le informazioni in modo omogeneo, è stata utilizzata una scheda di

rilievo che viene di seguito riportata (scheda 1).

Il questionario è stato diviso in tre parti, riguardanti rispettivamente: le anagrafiche, l’attività di

tartuficoltura e quella di cerca ed estrazione in tartufaie naturali.

La parte anagrafica serve a tracciare un profilo di massima delle figure del cercatore e

tartuficoltore in base all’età, al livello di istruzione, alla professione – attuale o precedente il

pensionamento – e alla professione dei genitori. Con questo ultimo dato si vuole verificare quanto

la tradizione familiare e la provenienza al settore agricolo influenzino la scelta di diventare trifulau

o tartuficoltori.

La parte dedicata alla tartuficoltura è introdotta dalla domanda sulle motivazioni che hanno portato

ad intraprendere l’attività; vengono poi indagate le caratteristiche della tartufaia (estensione, specie

arborea, specie di tartufo, orografia della zona, esposizione ed età della tartufaia). Sono poi prese in

considerazione le operazioni eseguite per l’impianto e quelle di gestione corrente, se la tartufaia è

già in produzione, compresa la cerca e la raccolta, per conoscerne modalità operative e costi.

Sono poi presenti due domande più generali, ed in qualche misura connesse tra loro, riguardanti

l’una eventuali intenzioni di ampliamento dell’attività ed aspettative, e l’altra la conoscenza della

normativa vigente e della esistenza di incentivi per il settore.

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Scheda 1. Questionario per i cercatori e i tartuficoltori ANAGRAFICHE

1. Tipologia: cercatore - tartuficoltore

2. Dati personali:

a. età

b. grado di istruzione

c. professione

d. professione dei genitori

TARTUFICOLTURA

1. Perché ha intrapreso l’attività?

2. Superficie coltivata

a. estensione

b. specie arborea

c. specie del tartufo

d. orografia

e. esposizione

f. età della tartufaia

3. Operazioni colturali effettuate

a. analisi del suolo

b. lavorazioni

c. messa a dimora

d. lavorazioni post-impianto

e. irrigazione

f. potature

g. ricerca e raccolta

h. misure di difesa

4. Spese sostenute

a. analisi del suolo

b. lavorazioni

c. messa a dimora

d. lavorazioni post-impianto

e. irrigazione

f. potature

g. ricerca e raccolta

h. misure di difesa:

5. Aspettative e intenzioni (ampliamento, investimenti, ecc.)

6. Aspetti normativi (conoscenza di norme e incentivi)

7. Materiale di propagazione

a. dove sono state acquistate le

piante e perché

b. quali sono le aspettative

8. Attese di reddito

9. Assistenza tecnica ricevuta

RICERCA E RACCOLTA IN TARTUFAIE NATURALI

10. Prassi

11. Modalità di vendita

12. Cane (ruolo nella cerca, gestione,

addestramento, etc.)

PRINCIPALI PROBLEMI

SUGGERIMENTI E NOTE

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Un aspetto affrontato in modo specifico è quello relativo al materiale di propagazione, sempre

nell’ottica di filiera che segue l’intero lavoro; viene richiesta la provenienza delle piante

micorrizate, la motivazione della scelta del vivaio di approvvigionamento, ed infine le aspettative

riposte nel materiale di propagazione. Infine si cerca di valutare le attese di reddito da parte dei

tartuficoltori.

L’ultima parte del questionario è dedicata alla ricerca e raccolta in tartufaie naturali, con domande

sulle modalità di cerca e sulle modalità di vendita dei prodotti cavati. Una domanda specifica

riguarda il ruolo svolto dal cane durante la cerca al fine di appurare il peso effettivamente datogli

nell’ambito dell’attività, nonché quale sia l’entità delle spese sostenute per il mantenimento.

In conclusione sono state inserite due domande “aperte”, inerenti i principali problemi riscontrati

durante lo svolgimento dell’attività (sia di raccolta, sia di coltivazione) e gli eventuali suggerimenti

che gli intervistati, sulla base della loro esperienza, vogliono esprimere.

Sono state svolte dieci interviste, presso interlocutori che rappresentassero, per zona di attività, tutte

le aree di maggior produzione tartuficola in Piemonte: il Monferrato, l’Albese, l’Alessandrino (Val

Curone), il Cuneese, la collina Torinese ed il Cebano.

Il numero di intervistati è molto ridotto e non può essere ritenuto rappresentativo in termini

statistici. E’ risultato però utile a descrivere le caratteristiche di un settore che presenta forti

connotazioni zonali, aspetti di notevole riservatezza degli operatori, scarsa trasparenza del mercato.

5.2 Risultati emersi dall’indagine

Gli interlocutori interpellati possono essere sommariamente distinti in due categorie: alcuni – circa

la metà – cercano e/o coltivano a livello professionale, mentre gli altri si dedicano alle attività del

settore tartuficolo più che altro a livello hobbistico; all’interno di quest’ultima categoria può essere

fatta un’ulteriore distinzione fra chi, pur non dedicandosi alle attività in modo professionale, è

comunque inserito nel commercio (quattro intervistati) e chi invece (un intervistato), esercitandosi a

puro livello hobbistico, consuma i prodotti cavati privatamente .

La distinzione appena esposta può essere messa in relazione con l’età e la posizione lavorativa: tutti

i “professionisti”, infatti, sono pensionati, mentre negli altri casi le attività legate ai tartufi sono

svolte nel tempo lasciato libero dal lavoro.

La maggior parte degli interlocutori provengono da genitori che hanno lavorato o lavorano nel

comparto agricolo, ma sono in pochi ad aver acquisito la passione per i tartufi e la cultura ad essi

legata all’interno della famiglia: sono stati rilevati, infatti, più casi in cui il passaggio delle

conoscenze è avvenuto da parte di amici o comunque da persone più anziane esterne al nucleo

famigliare.

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Un dato rilevato interessante è la conversione di molti raccoglitori da cacciatori a trifulau: secondo

gli intervistati questo dipende dal fatto che, sovente, chi non vuole più cacciare – qualunque sia la

ragione – conserva la passione per le passeggiate col proprio cane, e finisce col diventare un

cercatore di tartufi.

Dei dieci intervistati sei sono solo cercatori e quattro sono anche tartuficoltori; il sesso è

prevalentemente maschile, l’età media è di cinquantatre anni, anche se è interessante notare che gli

intervistati si dividono nettamente in due fasce: una di età superiore ai sessanta, l’altra inferiore ai

trenta, con due sole eccezioni ricadenti nella fascia quaranta-cinquanta.

Le tartufaie coltivate dagli interpellati hanno tutte estensioni inferiori all’ettaro; oltre alle tartufaie

impiantate, alcuni possiedono dei terreni naturalmente vocati su cui effettuano lavori di pulitura e

piantano qualche albero, in questi casi le superfici aumentano notevolmente, ma questi casi non

sono ascrivibili a vera e propria tartuficoltura.

Le specie arboree utilizzate rientrano quasi sempre nel genere Quercus, ma sono stati rilevati anche

pioppo, carpino e nocciolo; tutti questi generi sono stati micorrizati soprattutto con tartufi neri (T.

melanosporum o T. aestivum), anche se, nell’esperienza degli intervistati, sono stati fatti alcuni

impianti con il T. magnatum, che non hanno dato però inizio ad alcuna produzione o, nel migliore

dei casi, hanno prodotto dello scorzone.

Le età delle tartufaie sono piuttosto varie: alcune hanno circa vent’anni, fino alle più recenti di due-

tre anni.

Le pratiche colturali sono svolte a discrezione del tartuficoltore: ognuno degli intervistati ha

espresso pareri e prassi molto differenziati, anche se è possibile riscontrare alcuni punti comuni,

quali, ad esempio, l’aratura iniziale del terreno di impianto e le periodiche puliture dalle infestanti.

Quanto alle potature, sebbene tutti vi abbiano fatto ricorso almeno una volta, le impressioni sono

discordanti, tanto che alcuni tartuficoltori hanno smesso di praticarle dopo aver notato un calo

produttivo.

Tutti gli intervistati sarebbero disposti ad irrigare, ma in alcune zone l’approvvigionamento idrico è

complesso o comunque molto costoso, al che quasi tutti vi hanno rinunciato, pur sapendo che

questo potrebbe influire negativamente sulla produttività della tartufaia.

Vista la normativa vigente inerente il diritto esclusivo di raccolta sulle tartufaie coltivate e

controllate legalmente riconosciute, è stata fatta una domanda anche sulle recinzioni e sulle misure

di protezione in generale. Dei tartuficoltori intervistati uno solamente ha provveduto a proteggere la

propria area; gli altri hanno addotto varie motivazioni per la loro opposta scelta, quali: l’assenza di

pressione da parte di altri cercatori nella zona di impianto, i costi piuttosto elevati di installazione di

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paleria, reti e tabelle, e l’effetto negativo delle recinzioni, le quali finiscono con l’attirare

l’attenzione – soprattutto dei cercatori “abusivi” – più di quanto non proteggano l’impianto.

Per quanto concerne la fase di ricerca e raccolta, nel periodo consentito dalla legge gli intervistati si

recano sulle tartufaie quotidianamente – sia di giorno, sia di notte - compatibilmente con gli orari di

un eventuale attività lavorativa giornaliera.

L’analisi delle voci di costo è piuttosto difficoltosa perché non tutti gli interlocutori hanno

acconsentito a dare le informazioni richieste (spese sostenute) e perché, in molti casi, non era

possibile risalire ad una quantificazione certa dei materiali e, soprattutto, delle ore di lavoro.

Comunque le informazioni ottenute sono state utilizzate per l’elaborazione delle schede tecniche

relative alla tartuficoltura, presentate nel capitolo successivo.

Le aspettative e le eventuali intenzioni di ampliamento sono piuttosto limitate, in dipendenza del

fatto che gli investimenti per l’acquisto dei terreni e dei materiali necessari sono elevati, e le

aspettative di reddito, al momento, non del tutto certe.

La normativa di riferimento è ben conosciuta da tutti gli interlocutori; va detto che, al rispetto delle

leggi si accompagna, nella maggioranza dei casi, una serie di lamentele relative a vari aspetti, che

verranno riferite e commentate successivamente nella parte dedicata ai problemi ed ai suggerimenti.

Sul materiale di propagazione la situazione si è rivelata alquanto diversificata: a fronte della

necessità di impiantare piante micorrizate, la maggior parte dei tartuficoltori si è rivolta a vivai

specializzati, ma non mancano esempi di sperimentazioni “fatte in casa”, spesso andate anche a

buon fine. Le fonti di approvvigionamento delle piante micorrizate, a cui gli intervistati si sono

principalmente rivolti, sono tre: un vivaio privato piemontese, un istituto di ricerca ed un vivaio

privato francese. Il vivaio piemontese, nel giudizio dei tartuficoltori intervistati, fornisce piante ben

micorrizate ad un prezzo conveniente, mentre il vivaio francese pratica prezzi considerati un po’

troppo alti. Quanto all’istituto di ricerca è stata espressa una certa insoddisfazione per via di alcune

piante acquistate come micorrizate col tartufo bianco, ma mai entrate in produzione nell’arco di

vent’anni, e pagate un prezzo ritenuto piuttosto alto.

Il sentire degli intervistati sulle attese di reddito è piuttosto cupo: benché abbiano tutti investito

nella tartuficoltura, nessuno di loro si aspetta grandi risultati dal punto di vista economico o, un po’

più ottimisticamente, dichiara di non essere in grado di fare previsioni. Le motivazioni indicate sono

principalmente: il generale calo di produzione di tartufi che si riscontra sul territorio a causa delle

modificazioni colturali e climatiche; l’incertezza rispetto al reddito ottenibile dalla tartuficoltura; la

presenza dei cercatori “abusivi” che non solo raccolgono parte della produzione della tartufaia, ma,

con questo agire, non permettono neanche di capire con chiarezza quali siano i livelli produttivi e,

di conseguenza, di quantificare la redditività dell’investimento.

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Infine, riguardo l’assistenza tecnica, gli intervistati hanno dichiarato di non averne ricevuta affatto,

ma di aver sopperito con la letteratura esistente sull’argomento o con l’appartenenza a gruppi di

appassionati in grado di scambiarsi consigli ed esperienze.

La parte di questionario elaborata per la categoria dei cercatori si è poi rivelata utile per ogni tipo di

interlocutore, perché si è riscontrato che tutti i tartuficoltori intervistati sono stati, o sono tuttora,

anche cercatori.

Alla richiesta di raccontare la propria prassi di ricerca ogni intervistato ha connotato la risposta con

dei particolari differenti, ma, in linea di massima, i fattori fondamentali sono uguali per tutti e

possono essere così riassunti: nel periodo di massima produzione la cerca avviene sia di giorno sia

di notte, e, per quanto riguarda i cosiddetti cercatori “professionali”, impegna l’intero arco della

giornata, ovviamente al calare della produzione diminuisce il tempo dedicato alla cerca; in linea di

massima si avvalgono tutti di un solo cane, raramente di due; principalmente la cerca avviene su

terreni propri o nei posti storici che ogni trifulau tiene segreti (pur con parecchie escursioni anche

nei terreni di raccolta libera); inoltre la maggior parte dei cercatori raccoglie tartufo bianco, ma

ultimamente, vista la scarsità di quest’ultimo, e considerato che lo scorzone ha un suo proprio

mercato, si sta diffondendo l’abitudine di raccogliere anche il nero estivo.

Più difficile è stato quantificare la quantità mediamente raccolta di tartufo bianco, in quanto tutti gli

intervistati sono stati su questo argomento piuttosto vaghi; tuttavia, sulla base delle informazioni nel

complesso raccolte, si ritiene di poter stimare un quantitativo medio di 20 chilogrammi a stagione

per i cercatori professionali, e fino a 10 chilogrammi per gli hobbisti. Su tale valutazione

concordano alcuni esperti del settore e, al momento, non si sono avute smentite. Va comunque

sottolineato che si tratta di una stima, e non di valori assoluti, e che si deve poi tenere in

considerazione la variabilità stagionale connessa a molteplici fattori tra cui quello climatico.

La raccolta di tartufo nero – in Piemonte soprattutto scorzone – non è facilmente quantificabile

perché non tutti i trifulau sono disposti ad ammettere di cercare anche il nero, ed il computo delle

quantità non viene tenuto con la medesima precisione usata per il bianco, tenuto anche conto del

valore di mercato nettamente inferiore; si è valutato che la raccolta media stia in rapporto di circa

10 volte rispetto al tartufo bianco, il che porterebbe ad una forcella, considerata come nel caso

precedente, di 100 e 200 chilogrammi a stagione per cercatore.

Ogni cercatore tende a vendere i propri tartufi sempre attraverso gli stessi canali, le interviste hanno

evidenziato che il canale più utilizzato è quello dei commercianti e dei ristoratori, cui segue la

vendita a privati; mentre i mercati sono poco utilizzati. Un cercatore della provincia di Cuneo ha

segnalato di avere dei canali di vendita anche oltre il confine, in Francia, fatto legato alla tipologia

di tartufo (nero pregiato) ed alla collocazione geografica; mentre tutti gli altri restano sul territorio

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nazionale, e quasi tutti su quello Regionale, questo può essere in relazione al fatto che i nostri

intervistati sono soprattutto cercatori e non commercianti.

Una delle domande del questionario era intesa ad approfondire gli aspetti legati ai cani da tartufo:

razze più efficienti, costi di mantenimento, tipo di addestramento, etc.

La maggior parte degli interpellati ha cani derivanti da incroci, in cui uno dei genitori è un breton o

un bracco; il parere unanime è che le femmine sono più docili e facili da addestrare, ma possono

creare problemi nella cerca durante il periodo di estro.

Pressoché tutti i cercatori intervistati dichiarano di non fare commercio delle cucciolate, preferendo

invece regalarle, e tenendo sovente per sé il cucciolo che appare più promettente. Si è comunque

riusciti ad avere un’indicazione di massima sul valore di un cane da tartufi, suddiviso per fasce di

età e di livello di addestramento (senza tenere conto in questa sede del valore aggiunto per

l’appartenenza ad una particolare razza o per la spontanea abilità del cane): ad un anno di età, con

un addestramento di base, il prezzo si aggira sui 1000 Euro, per salire a 2500-3000 quando l’età

raggiunge i due-tre anni e quindi anche le capacità di cerca sono state affinate. A cinque anni, ad

addestramento completato, il prezzo può salire fino ad 8000-10000 Euro.

In definitiva, però, i cercatori, soprattutto quelli professionali, si addestrano direttamente il proprio

cane, portandolo in giro con un altro cane più anziano o facendolo esercitare a cercare briciole di

tartufi o batuffoli imbevuti di olio in cui sono stati fatti macerare tartufi; normalmente

l’addestramento inizia molto presto, quando il cane è ancora cucciolo, utilizzando i sistemi suddetti

messi in forma di gioco.

Tra i cercatori intervistati solo un paio possiedono un unico cane; gli altri ne hanno da due a quattro,

anche se hanno dichiarato che per la cerca è meglio portarne con sé uno solo alla volta.

Alcuni cercatori sostengono sia meglio non far cercare tartufo nero estivo ai cani che sono abituati a

cercare il bianco, perché si “rovinano l’olfatto” e tendono poi a confondersi e distrarsi più

facilmente, ma su questo non tutti i pareri sono concordi.

Come già anticipato, il questionario termina con due domande aperte volte ad evidenziare i

principali problemi riscontrati nell’attività oggetto di studio e gli eventuali suggerimenti al

riguardo.

Gli interlocutori intervistati hanno messo in luce due fondamentali ordini di problemi, di cui uno

legato alla pressione antropica sul territorio e al controllo, e l’altro connesso alle caratteristiche del

territorio.

Per quanto concerne la pressione antropica, i problemi effettivi sono più d'uno, tutti abbastanza

connessi fra di loro: innanzitutto molti cercatori non sono in possesso del tesserino previsto dalla

normativa, ma svolgono indisturbati le attività di ricerca e raccolta. In secondo luogo i cercatori

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"improvvisati", sovente, non estraggono i tartufi in modo corretto o rispettoso dell’ambiente: sono

infatti frequenti buche lasciate aperte o danni apportati all'apparato radicale delle piante simbionti;

inoltre alcuni cercatori, che, per appartenenza a consorzi o per proprietà di terreni tartufigeni, hanno

diritto esclusivo alla cerca, si spostano anche in altre zone, approfittando così di una duplice

occasione di guadagno; infine si presenta il problema del generale aumento dei cercatori per via

delle prospettive di un "facile guadagno” attraverso l'attività estrattiva.

Tutte queste problematiche sono aggravate dallo scarso - o quasi nullo - controllo da parte

dell'autorità competente del rispetto della normativa. Accade così che si possa esercitare la cerca

senza tesserino, o raccogliere tartufi ancora non del tutto sviluppati per incapacità di riconoscimento

dello stato di maturità, o ancora non richiudere le buche o, peggio ancora, raccogliere in terreni

dove non si può, commettendo quindi dei veri e propri furti, senza che sia esercitata alcuna forma di

controllo o forma sanzionatoria.

L'ordine di problemi legati al territorio si esprime principalmente nella diminuzione della capacità

produttiva dei terreni, cui, secondo gli intervistati, si accompagnano la mancanza di incentivi

adeguati per il mantenimento delle piante produttive, la minor manutenzione del territorio, le

lavorazioni agricole troppo profonde ed il taglio di molte piante.

Vista la varietà delle problematiche presentate, è stato richiesto agli intervistati di fare delle

proposte per il miglioramento del settore e per la risoluzione dei problemi, a loro avviso, più

urgenti; la prima, sulla quale concordano tutti, è l’intensificazione dei controlli, cosicché chi non è

in regola col tesserino, o raccoglie fuori stagione, o commette furti, sia fermato ed adeguatamente

multato.

Altre proposte sono venute a proposito della tutela del territorio: maggiorazione degli incentivi,

iniziative in collaborazione con gli enti locali per incrementare la produzione di tartufo nero

pregiato e, non ultima, la cura delle tartufaie di bianco con incremento del numero di piante

produttive – eventualmente con l’ausilio di piante micorrizate.

Due degli intervistati, appartenenti alla fascia di età più giovane, hanno dato maggiore rilievo alla

gestione del cane, entrambi proponendo percorsi guidati e corsi di formazione per migliorare il

rapporto trifulau – cane, al fine di rendere i cani più efficienti ed i padroni più preparati ad una

gestione più rispettosa del benessere del loro fido collaboratore.

La proposta più strutturata, inerente la regolamentazione della raccolta, proviene da un

cercatore/tartuficoltore della collina Torinese – particolarmente frequentata da parte dei liberi

cercatori – che ha proposto una spartizione del tempo di raccolta in periodo di cerca, in modo che

siano garantiti contemporaneamente il rispetto dell’ambiente ed il diritto alla cerca per chi si occupa

della manutenzione del territorio. L’ipotesi da lui suggerita è: nella settimana riservare tre giorni al

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proprietario manutentore del terreno, due giorni aperti alla libera cerca, e due giorni di divieto

assoluto per tutti. Ovviamente tale proposta implica l’esistenza di un organismo di controllo in

grado di svolgere effettivamente la propria funzione, anche perché non è pensabile che il singolo

possa eseguire tali controlli in prima persona su terreni non tabellati o recintati, in quanto liberi.

In definitiva, le interviste svolte, confermano uno spaccato già noto: il rilevante prezzo di mercato

del tartufo muove da sempre un interesse notevole per la cerca, contribuendo a creare una certa

contrapposizione tra chi svolge questa attività in modo organico, al fine di ottenere un’adeguata

integrazione del proprio reddito, e chi invece la svolge in maniera più estemporanea. Ovviamente i

cercatori professionali non vedono troppo di buon occhio i cercatori più improvvisati, sia a causa

della concorrenza sul territorio, sia in quanto attribuiscono loro dei mali comportamenti legati alla

scarsa conoscenza del Tuber e della sua biologia.

Quanto alla cura del territorio ed all’incremento del patrimonio tartufigeno, di nuovo il problema è

antico: come già evidenziato nel capitolo 2, il Prof. Mattirolo agli inizi del ‘900 denunciava il

problema della scomparsa delle piante simbionti e l’immediata necessità di ripopolare i boschi per

incrementare le produzioni.

Rispetto alla definizione delle tipologie dei cercatori e dei tartuficoltori, dalle interviste svolte

emerge un quadro abbastanza vario per età e formazione, ma nel quale vi sono alcune costanti:

innanzitutto il legame con il territorio di origine, che resta la zona favorita per la cerca – fattore su

cui influisce sicuramente l’approfondita conoscenza sviluppata nel tempo dei luoghi del tartufo – ed

in secondo luogo la volontà di continuare una tradizione culturale, molto spesso appresa

nell’infanzia o nella giovinezza. Interessante appare anche il riscontro che in linea di massima le

figure di cercatore e tartuficoltore coincidono: sia che si tratti di coltivazione vera e propria a partire

dalla messa a dimora di piante micorrizate, sia di semplici rimboschimenti in zone produttive.

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6. VALUTAZIONI ECONOMICHE DI PIANTAGIONI TARTUFICOLE

La coltivazione in senso stretto del tartufo bianco (Tuber magnatum Pico) non è al momento

praticabile, ma per questa specie sono oggi solo perseguibili pratiche colturali in grado di favorire la

fruttificazione e la riproduzione del medesimo, includendo quindi anche l’impianto di nuovi alberi

in terreni vocati o già produttivi; di seguito ci si concentrerà sulla tecnica colturale e sulla

valutazione economica concernente gli impianti di tartufi neri.

Saranno prese in esame e valutate due diverse possibilità: tartufaie di tartufo nero pregiato (Tuber

melanosporum Vitt.) e tartufaie di scorzone (Tuber aestivum Vitt.). Le due opportunità possono

costituire una valida alternativa in relazione a differenti situazioni ecologiche ed edafiche.

6.1 Aspetti tecnico colturali

Le operazioni eseguite per l’impianto e la cura di una tartufaia coltivata consistono nella scelta del

sito e della giusta combinazione tartufo-pianta simbionte, nelle lavorazioni pre-impianto del terreno,

nella messa a dimora delle piante simbionti, nelle lavorazioni post-impianto, nelle operazioni di

irrigazione e potatura, ed infine nella raccolta.

La scelta del sito in cui impiantare una tartufaia è un fattore di fondamentale importanza, qualunque

sia il tartufo prescelto per la coltura: è buona norma scegliere una zona naturalmente vocata alla

produzione. Tale condizione è facilmente verificabile consultando le carte tematiche elaborate

dall’IPLA. L’idoneità di massima non esclude una valutazione specifica della qualità del suolo,

ottenibile mediante un’analisi pedologica volta ad indagare: tessitura, struttura, pH, presenza di

carbonato di calcio totale e quello libero nella soluzione circolante.

La scelta della pianta simbionte è un altro elemento importante per la riuscita dell’impianto: la

specie va scelta in base alla sua capacità di simbiosi col tartufo, in base alla specie di tartufo ed in

base alle caratteristiche climatiche della zona destinata all’impianto; in linea di massima vale il

principio di imitazione della natura. Nelle simulazioni qui proposte si prevede l’acquisto delle

piante micorrizate della specie individuata presso un vivaio specializzato.

Le lavorazioni del terreno nel periodo precedente l’impianto, permettono di ottenere un substrato di

crescita ottimale: dopo eventuali decespugliamento e spietramento, si procede con un’aratura

abbastanza profonda, seguita da un’erpicatura leggera.

Prima di mettere a dimora le piante si esegue la squadratura e il picchettamento del sesto di

impianto. Per la miglior conservazione delle micorrizze è particolarmente importante non far subire

carenze idriche all’apparato radicale ed anche non rompere il pane di terra in cui è cresciuto.

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Le lavorazioni post-impianto hanno lo scopo di favorire la ritenzione idrica, agevolare la

colonizzazione del terreno da parte degli apparati radicali delle piante e contenere la vegetazione

spontanea per limitarne la concorrenza nei confronti delle piante tartufigene.

Nel periodo di impianto l’irrigazione è una pratica necessaria per garantire l’attecchimento delle

giovani piante e favorire lo sviluppo dell’apparato radicale e quindi delle micorrize. Come prassi

colturale, soprattutto nel periodo estivo, ma spesso anche a fine primavera, è ormai ritenuta

opportuna.

Anche sulle potature si discute alquanto, ma i più concordano nel dire che è necessario lasciare

arrivare luce a terra e quindi è buona norma contenere le chiome, tendendo alla forma di cono

rovesciato; in linea generale l’obiettivo può essere il mantenimento di un certo equilibrio fra parte

epigea e parte ipogea della pianta.

Quando l’impianto entrerà in produzione, dopo 7 -10 anni a seconda della specie, la raccolta dei

tartufi viene svolta lungo l’intero arco della giornata, compresa la notte, con l’ausilio di uno o due

cani appositamente addestrati.

Sulla base dei criteri tecnico-colturali brevemente riportati e tenuto conto di quanto emerso dalle

interviste ai tartuficoltori, si è proceduto alla definizione delle due ipotesi da sottoporre a

valutazione: tartufo nero pregiato su roverella e tartufo nero estivo su nocciolo. Le due tipologie si

adattano ad ambienti e situazioni diversi: più precisamente la tartufaia di nero pregiato è adatta

soprattutto ad ambienti vocati e che consentano cure colturali più intensive, mentre quella di

scorzone può offrire una buona opportunità per territori più difficili, anche dal punto di vista idrico.

6.2 Tartufaia di nero pregiato

In tabella 1 è riportata la scheda tecnica dell’impianto di tartufo nero pregiato associato a roverella,

la superficie di riferimento è pari ad un ettaro, la durata complessiva ipotizzata è di trent’anni e

l’entrata in produzione è prevista al decimo anno.

Dalla scheda è possibile verificare le operazioni considerate e la tipologia di fattori impiegati.

Il sesto di impianto scelto è di 6 x 6 per una densità di 278 piante ad ettaro.

L’operazione di messa a dimora comprende: lo scavo della buca, la messa a dimora vera e propria e

la predisposizione dei dispositivi di protezione da roditori e ungulati di tipo “tree shelter”.

Sono stati programmati cinque interventi di irrigazione, soprattutto col fine di garantire

l’attecchimento delle giovani querce, in accordo con quanto dichiarato dai tartuficolori intervistati.

Per l’irrigazione è stato scelto un impianto per caduta consistente in un serbatoio zincato da 3000

litri ed un tubo in PVC di diametro di 50 millimetri lungo tutti i filari.

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Tabella 1. Scheda tecnica di una tartufaia di Tuber melanosporum con Quercus pubescens

(superficie di riferimento: 1 ettaro)

PRIMO ANNO Macchine Manodopera

Periodo Operazione Numero operazioni Tipologia Impiego

[h] Numero salariati

Impiego [h]

Luglio-Agosto Aratura 30 cm 1 Trattore con aratro 4 1 4

Settembre Erpicatura 15 cm 1 Trattore con erpice 1 1 1

Gennaio-Febbraio Squadratura e picchettamento 1 1 8

Marzo-Aprile Messa a dimora 1 2 12

Maggio-Giugno Erpicatura 15 cm 1 Trattore con erpice 1 1 1

Agosto Irrigazioni 5 Impianto 1 5 SECONDO ANNO

Macchine Manodopera Periodo Operazione Numero

operazioni Tipologia Impiego [h]

Numero salariati

Impiego [h]

Aprile-Maggio Risarcimento fallanze 1 2,5

Giugno Erpicatura 15 cm 1 Trattore con erpice 1 1 1

Agosto Irrigazioni 4 1 4 ANNO TIPO (TERZO – TRENTESIMO)

Macchine Manodopera Periodo Operazione Numero

operazioni Tipologia Impiego [h]

Numero salariati

Impiego [h]

Febbraio Potature 1 1 12

Giugno Erpicatura 15 cm 1 Trattore con erpice 1 1 1

Agosto Irrigazioni 2 1 2

Il tasso di mortalità delle plantule dal primo al secondo anno è del 10%, il che comporta un acquisto

ulteriore di 28 piante micorrizate per il risarcimento delle fallanze, con relative protezioni

individuali. Nel corso del secondo anno è prevista una erpicatura all’inizio dell’estate e quattro

irrigazioni di soccorso.

Dal terzo al trentesimo anno le pratiche si riducono ad una potatura, ad una erpicatura e a due

irrigazioni di soccorso per ogni anno.

Nella successiva tabella 2 sono riportati i costi specifici relativi all’impianto e alla gestione colturale

della tartufaia di nero pregiato. Per il calcolo dei costi si è partiti dai coefficienti tecnici presentati

nella scheda tecnica (tabella 1), mentre per i dati economici si è proceduto come di seguito

indicato.

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61

Tabella 2. Costi specifici di una tartufaia di Tuber melanosporum con Quercus pubescens

(superficie di riferimento: 1 ettaro)

PRIMO ANNO

Operazione Interventi [n°]

Impiego macchine

[h]

Costo orario [€/h]

Impiego manodopera

[h]

Costo orario [€/h]

Materiali (quantità)

Costo unitario

[€]

COSTO TOTALE

[€] Analisi del suolo 1 100 100,00Aratura 1 4 25,15 4 12,55 150,81Erpicatura 1 1 24,84 1 12,55 37,39Squadratura e picchettamento 8 12,55 278

picchetti 0,28 178,24

Acquisto piante 278

piante 13,5 3753,00Messa a dimora 23 12,55

278 protezioni 1,36 666,73

Erpicatura 1 1 24,84 1 12,55 37,39

1800 m di tubo 1,09 1962,00

1 vasca 450 450,00Impianto di irrigazione

8 12,55 100,40Irrigazioni 5 5 11,27 56,35TOTALE 7492,30SECONDO ANNO

Operazione Interventi [n°]

Impiego macchine

[h]

Costo orario [€/h]

Impiego manodopera

[h]

Costo orario [€/h]

Materiali (quantità)

Costo unitario

[€]

COSTO TOTALE

[€] Acquisto piante 28 piante 13,5 378,00Messa a dimora 3 12,55

28 protezioni 1,36 69,46

Erpicatura 1 1 24,84 1 12,55 37,39Irrigazioni 4 4 11,27 45,08TOTALE 529.92TERZO-TRENTESIMO ANNO

Operazione Interventi [n°]

Impiego macchine

[h]

Costo orario [€/h]

Impiego manodopera

[h]

Costo orario [€/h]

Materiali (quantità)

Costo unitario

[€]

COSTO TOTALE

[€] Potatura 23 12,55 288,65Erpicatura 1 1 24,84 1 12,55 37,39Irrigazioni 2 2 11,27 22,54TOTALE 348,58

I costi d’uso delle macchine sono stati calcolati in modo analitico, a partire dai valori di mercato

delle medesime.

Il costo della manodopera è stato calcolato in base alle tabelle salariali degli operai agricoli; per le

operazioni che richiedono una maggiore professionalità si è fatto riferimento ad una qualifica

super, mentre per le operazioni di irrigazione è stato considerato un operaio specializzato.

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62

I prezzi di acquisto delle piante sono quelli di un vivaio privato francese, cui attualmente si

rivolgono molti operatori piemontesi; tali prezzi sono comprensivi del trasporto dal vivaio fino a

destinazione.

Per quanto riguarda i prezzi dei dispositivi di protezione delle piantine e dell’impianto di irrigazione

si è fatto riferimento al Prezzario Regionale delle opere pubbliche.

6.3 Tartufaia di nero estivo

Nel caso dell’impianto di tartufo nero estivo associato al nocciolo ipotizzata una durata di

venticinque anni con entrata in produzione al settimo anno, la scheda tecnica, riportata in tabella 3,

si riferisce sempre ad una superficie di un ettaro, mentre differente è il sesto di impianto di 5 x 5 per

un totale di 400 piante ad ettaro.

L’impostazione tecnico colturale è in linea generale uguale, ma, in questo caso pensato per le

situazioni più difficili, non è stata prevista l’irrigazione con la conseguente semplificazione sia

delle operazioni dell’anno di impianto, sia degli anni di produzione, in cui l’unica operazione

colturale è uno sfalcio, così da non smuovere il terreno nei suoi strati superficiali, dove si forma il

tartufo estivo.

In relazione al numero di piante messe a dimora, essendo il tasso di mortalità sempre del 10%, il

risarcimento delle fallanze richiede 40 piante.

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Tabella 3. Scheda di una tartufaia di Tuber aestivum con Corylus avellana

(superficie di riferimento: 1 ettaro)

PRIMO ANNO Macchine Manodopera

Periodo Operazioni Numero operazioni Tipologia Impiego

[h] N.

salariati Impiego

[h]

Luglio-Agosto Aratura 30 cm 1 Trattore con aratro 4 1 4

Settembre Erpicatura 15 cm 1 Trattore

con erpice 1 1 1

Gennaio-Febbraio

Squadratura e picchettamento 1 1 8

Marzo-Aprile Messa a dimora 1 2 33

Maggio-Giugno Erpicatura 15 cm 1 Trattore

con erpice 1 1 1

SECONDO ANNO Macchine Manodopera

Periodo Operazioni Numero operazioni Tipologia Impiego

[h] Numero salariati

Impiego [h]

Aprile-Maggio Risarcimento fallanze 1 3,5

Giugno Sfalcio 1 Trattore

con trincia

1 1 1

ANNO TIPO (TERZO – VENTICINQUESIMO) Macchine Manodopera

Periodo Operazioni Numero operazioni Tipologia Impiego

[h] Numero salariati

Impiego [h]

Febbraio Potature 1 1 20

Giugno Sfalcio 1 Trattore

con trincia

1 1 1

In tabella 4 sono raccolti i costi specifici della tartufaia di nero estivo per il calcolo dei quali si

sono, ovviamente, seguiti i medesimi criteri del nero pregiato. I costi dell’estivo sono

complessivamente più contenuti: la differenza è legata fondamentalmente alla mancanza di

irrigazione ed ai costi fissi e variabili ad essa connessa.

Tenuto conto delle scelte fatte, i costi ottenuti sono in linea con quanto riscontrato in altre

esperienze. Tali costi aumenterebbero, anche significativamente, qualora si decidesse di recintare

l’appezzamento o se si partisse da situazioni di notevole abbandono, che richiedono operazioni di

ripulitura pesanti.

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Tabella 4. Costi specifici di una tartufaia di Tuber aestivum e Corylus avellana

(superficie di riferimento: 1 ettaro)

PRIMO ANNO

Operazione Interventi [n°]

Impiego macchine

[h]

Costo orario [€/h]

Impiego manodopera

[h]

Costo orario [€/h]

Materiali (quantità)

Costo unitario

[€]

COSTO TOTALE

[€] Analisi del suolo 1 100 100,00Aratura 1 4 25,15 4 12,55 150,81Erpicatura 1 1 24,84 1 12,55 37,39Squadratura e picchettamento 8 12,55 400

picchetti 0,28 212,40

Acquisto piante

400 piante 10,5 4200,00

Messa a dimora 33 12,55

400 protezioni 1,36 958,15

Erpicatura 1 1 24,84 1 12,55 37,39TOTALE 5696,13SECONDO ANNO

Operazione Interventi [n°]

Impiego macchine

[h]

Costo orario [€/h]

Impiego manodopera

[h]

Costo orario [€/h]

Materiali (quantità)

Costo unitario

[€]

COSTO TOTALE

[€] Acquisto piante 40 piante 10,5 420,00Messa a dimora 3,5 12,55

40 protezioni 1,36 98,33

Sfalcio 1 1 23,96 1 12,55 36,51TOTALE 554,84TERZO-VENTICINQUESIMO ANNO

Operazione Interventi [n°]

Impiego macchine

[h]

Costo orario [€/h]

Impiego manodopera

[h]

Costo orario [€/h]

Materiali (quantità)

Costo unitario

[€]

COSTO TOTALE

[€] Potatura 20 12,55 251,00Sfalcio 1 1 23,96 1 12,55 36,51TOTALE 287,51

6.4 Altri costi

Ai costi specifici fin qui considerati vanno ancora aggiunti: il costo d’uso del terreno (Bf) e i costi

per la raccolta, costituiti dal cane e dal lavoro del raccoglitore. Il beneficio fondiario è stato

calcolato in base al valore agricolo medio di seminativi non irrigui nelle zone tartuficole delle

province di Asti, Alessandria e Cuneo, con un saggio dell’1%.

Costi per il mantenimento del cane

Secondo quanto rilevato tramite le interviste, i tartuficoltori ed i cercatori che acquistano il cane

sono relativamente pochi: nella maggioranza dei casi, infatti, il cane fa parte di una cucciolata la cui

madre è già proprietà del cercatore. Basandosi su questa situazione, si è ritenuto opportuno non

inserire la voce di spesa relativa all'acquisto del cane ed il conseguente ammortamento.

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65

I costi relativi al cane sono quindi solo quelli connessi al mantenimento quantificati in 600 euro

all’anno, che comprendono le spese veterinarie e di alimentazione; tale dato concorda con alcune

informazioni riscontrate in bibliografia (Olivier, 1996 ).

Nell'ipotesi formulata i costi relativi al cane ricadono su un singolo ettaro di terreno, ma,

ovviamente, nella realtà tali costi sono ripartiti su tutto il territorio di cerca.

Per contro va anche ricordato che normalmente i cercatori/tartuficoltori hanno più di un cane,

mediamente due.

Costo della raccolta

L'attività di raccolta comporta un notevole impiego di tempo, in quanto, seppure coltivato, il tartufo

va comunque cercato con l’ausilio di un cane a ciò addestrato.

Nella tartufaia di nero pregiato – il cui periodo di raccolta va dal 15 novembre al 15 marzo – è stato

previsto che il cercatore passi tre volte al giorno sull'impianto (qui di estensione pari ad un ettaro)

nei due mesi centrali, per un totale di quattro ore giornaliere; nei restanti due mesi, iniziale e

conclusivo, del periodo di raccolta, il cercatore si reca sulla tartufaia a giorni alterni, sempre

permanendovi quattro ore ogni volta. Il totale così raggiunto è di 360 ore dedicate alla cerca e alla

raccolta per stagione per un ettaro di tartufaia.

Nell'impianto di tartufo nero estivo, la cerca si svolge, sempre nel rispetto del calendario di raccolta,

dal 1 giugno al 30 novembre, per un totale di 6 mesi; si è ipotizzato che il tartuficoltore si rechi

sull’impianto in media un'ora al giorno. Tale dato tiene conto del fatto che lo scorzone è più

superficiale del nero pregiato e richiede quindi meno tempo per essere individuato ed estratto;

inoltre è ovviamente possibile che in alcuni periodi di scarsa o nulla produzione non si effettuino

visite alla tartufaia, riservando maggiore tempo ai periodi di fruttificazione più abbondante. Così

calcolato, il totale delle ore dedicate alla cerca è pari a 180 ore a stagione per ettaro di impianto.

In entrambe le situazioni il tempo di cerca comprende anche una sorta di presidio del territorio e di

controllo in accordo con quanto ci hanno detto alcuni intervistati.

Al lavoro di cerca è stato attribuito un valore di 20 euro all'ora nel caso del nero pregiato e di 15

euro/ora in quello delle scorzone; posto che si tratta di valutazioni caratterizzate da un notevole

margine di soggettività, la differenza nei due casi è motivata alla maggiore facilità di cerca ed

estrazione del Tuber aestivum rispetto al Tuber melanosporum. I valori assoluti sono stati scelti

tenendo conto sia della professionalità richiesta per questa attività, sia in relazione alle condizioni

difficili in cui tale lavoro viene svolto (periodi freddi, notte…). Visto che in linea di massima sono

gli stessi proprietari della tartufaia a svolgere questa operazione, quindi si tratta di un fattore sempre

interno, non si è ritenuto opportuno utilizzare i costi della manodopera di addetti subordinati.

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66

6.5 Analisi finanziaria della redditività

I ricavi

Il calcolo dei ricavi ottenibili da una tartufaia è stato fatto in relazione alle ipotesi formulate sulla

base delle informazioni reperite in bibliografia e delle interviste svolte nel corso della ricerca (cfr.

Cap 5).

Come già detto, l’anno di inizio della piena produzione per il tartufo nero pregiato è previsto per il

decimo anno; per la produzione si sono considerate due ipotesi 20 e 30 chilogrammi annui per

ettaro, per una durata complessiva dell’impianto pari a trent’anni. Il prezzo, sulla base dei dati

disponibili, è stato stimato in 550 euro al chilogrammo. La produzione lorda vendibile annua così

ottenuta va da 11.000, per la produzione di 20 Kg, a 16.500 euro per quella di 30Kg.

Per lo scorzone la produzione è nettamente superiore: si sono considerate produzioni di 60 e 80

chilogrammi annui per ettaro, con entrata in piena produzione al settimo anno e durata complessiva

della tartufaia di 25 anni. Il prezzo è stato stimato in 55 euro al chilogrammo, per una produzione

lorda vendibile annua compresa fra 3.300 e 4.400 euro.

I dati sulle produzioni e sulla durata delle tartufaie derivano da dati sperimentali e dalla letteratura,

ma non da rilevazioni dirette, perché al momento non esistono in Piemonte tartufaie impiantate e

coltivate secondo i criteri precedentemente esposti, in relazione a questo ed all’elevata variabilità di

comportamento che caratterizza il tartufo anche quando viene coltivato, le ipotesi produttive sono

state fatte in modo prudenziale. Questa lacuna potrà essere colmata quando entreranno in

produzione gli impianti fatti nell’ambito del progetto Verchamp.

Sul fronte dei prezzi la situazione non è molto più certa, in quanto risente sia della quantità di tartufi

presenti sul territorio nel corso della stagione sia della qualità e della pezzatura. Inoltre bisogna

tenere presente che la maggior parte del prodotto – tra il 60 ed il 70% (Borsino del tartufo di Asti,

2004 e 2005) – transita fuori mercato, rendendo impossibile una stima puntuale dei prezzi

differenziati per tipologia di tartufo e per pezzatura. I prezzi utilizzati in questa sede fanno quindi

riferimento ad un dato medio stagionale (2005 per il nero pregiato, 2006 per il nero estivo).

Il saggio di interesse

L’impianto di una tartufaia e gli interventi di gestione connessi possono essere considerati come un

investimento a medio-lungo termine, caratterizzato da un livello di rischio piuttosto contenuto per

quanto riguarda l’impianto in sé e per sé, e un po’ più rischioso per quanto attiene i risultati

ottenibili in termini di produzione e di mercato. Il livello di disinvestibilità dell’impianto è

praticamente nullo, al più si può pensare ad una sua conversione per produrre legname. Su questa

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base, tenuto conto della situazione attuale dei tassi, si è scelto un saggio di interesse reale, depurato

cioè dell'effetto inflativo, del 2,5%.

Valutazione conclusiva

Nelle successive tabelle 5 e 6 sono riportate le valutazioni economiche relative ai due casi

considerati. Più precisamente gli importi dei ricavi e dei costi indicati sono accumulati

finanziariamente al momento finale, per renderli confrontabili, e la loro differenza anticipata

all’attualità (V.A.N.)

L ’impianto di Tuber melanosporum si dimostra molto conveniente: il valore attuale netto (VAN) è

compreso fra (tab. 5) 24.089 e 95.336 euro a seconda che la produzione sia di 20 o 30 chilogrammi

annui ad ettaro; parimenti il reddito medio annuo è quantificabile in valori compresi fra 1.151 e

4.556 euro. Questi risultati si conseguono pagando, come già detto, tutti i fattori produttivi

impiegati a prezzo di mercato, e il lavoro necessario per la raccolta ad un prezzo pari a 20 euro/ora,

quindi il reddito annuo è un vero e proprio utile.

Tabella 5. Valutazioni economiche dell’impianto di Tuber melanosporum con Quercus pubescens

(superficie di riferimento: 1 ettaro)

COSTI [€] RICAVI [€] Impianto 15.332 Con produzione 20 kg (550 €/kg) 299.016Operaz colturali 2° anno 1.058 Con produzione 30 kg (550 €/kg) 448.524Operaz colturali anno tipo (3°-30°) 13.894 Beneficio fondiario (1°-30°) 3.073 Cane (7°-30°) 19.409Lavoro di cerca (10°-30°) 195.720 V.A.N. (20 kg) 24.089TOTALE 248.487 Utile medio annuo (20 kg) 1.151

V.A.N. (30 kg) 95.366 Utile medio annuo (30 kg) 4.556

Nel caso di impianto di Tuber aestivum la redditività è meno apprezzabile (tab. 6): nel caso di una

produzione di 60 chilogrammi annui ad ettaro, perché l’investimento risulti conveniente la soglia

massima di remunerazione per il lavoro di raccolta è di 9 euro all’ora, ed in tal modo il VAN è pari

a 240 euro. Nell’ipotesi di produzione più elevata - 80 chilogrammi/ha/anno – il compenso della

manodopera interna, che consente di avere un VAN positivo, è di 15 euro orari.

In conclusione l’ipotesi colturale più intensiva prevista per il nero pregiato risulta più conveniente

ed in grado di remunerare maggiormente i fattori produttivi impiegati. Anche i risultati ottenibili

con lo scorzone sono comunque tuttaltro che disprezzabili, soprattutto visti i contenuti investimenti

richiesti sia all’impianto sia per la gestione.

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Tabella 6. Valutazioni economiche dell’impianto di Tuber aestivum con Corylus avellana

(superficie di riferimento: 1 ettaro)

COSTI [€] RICAVI [€] Impianto 10.303 Con produzione 60 kg (55 €/kg) 79.022Operazioni colturali 2° anno 979 Con produzione 80 kg (55 €/kg) 105.362Operazioni colturali anno tipo (3°-25°) 8.793 Beneficio fondiario (1°-25°) 2.391 Cane (4°-25°) 17.318 Lavoro di cerca (7°-25°) 64.654 TOTALE 104.438

Con manodopera a 9 €/h Con manodopera a 15 €/h Lavoro di cerca (7°-25°) 38.793 Lavoro di cerca (7°-25°) 64.654TOTALE 78.576 TOTALE 104.438 V.A.N. (60 kg) 240 V.A.N. (80 kg) 499Utile medio annuo (60 kg) 13 Utile medio annuo (80 kg) 27

6.6 Bibliografia

• AAVV (1997) Manuale di agricoltura, Hoepli • Urbani G., (1994): Tartuficoltura razionale: realtà agricola ed economica, L'informatore

agrario, n.28 • Urbani G., (1995): La tartuficoltura razionale: analisi di un investimento, L'informatore

agrario, n.31

Siti internet consultati

• http://www.agri.marche.it/Aree%20tematiche/Tartufi/TARTUFICOLTURA.htm#tartuficoltura

• http://www.rivistadiagraria.org/riviste/vedi.php?news_id=20&cat_id=13&rubrica=2005 • http://www.rivistadiagraria.org/riviste/vedi.php?news_id=22&cat_id=14&rubrica=2005 • http://www.rivistadiagraria.org/riviste/vedi.php?news_id=26&cat_id=15&rubrica=2005

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7. IL SETTORE DEI PRODOTTI TRASFORMATI

Il settore dei prodotti trasformati riveste un certo rilievo nella filiera del settore tartuficolo, sia come

sbocco per il prodotto fresco, sia come prolungamento delle possibilità di consumo per un prodotto

non molto serbevole e connotato da un periodo di produzione piuttosto corto.

Le ricerche bibliografiche svolte non hanno fornito molte informazioni su questo comparto

connotato, in particolare nella nostra Regione, da unità produttive di dimensioni alquanto ridotte e

non specializzate, nel senso che non trattano solo tartufi, ma anche funghi, e salse in generale.

Un’altra tipologia di aziende produce salumi o formaggi e arricchisce la gamma offerta anche con

prodotti tartufati.

Si è pertanto deciso di procedere attraverso un’indagine diretta da svolgere presso alcuni operatori

del settore.

A tal fine è stato predisposto un questionario, riportato nella successiva scheda 1, volto ad indagare

le principali caratteristiche strutturali dell’impresa, quali dimensioni, stagionalità di produzione,

numero di addetti; la materia prima oggetto dello studio, cioè i tartufi, sia come materia prima

(provenienza, specie) sia come prodotto finito; ed infine gli aspetti legati alla parte commerciale.

Scheda 1. Questionario per le aziende di prodotti trasformati

1. Tipo di azienda: a. famigliare con esterni b. addetti fissi addetti avventizi c. stagionale permanente

2. Prodotti:

a. tartufi conservati b. olio c. formaggi e/o salumi

d. sughi e. creme f. altro

3. Tartufi di partenza:

a. bianchi neri (precisare) b. interi in pezzi c. pezzatura media

4. Acquisto dei tartufi

a. da privati b. da commercianti (grossisti)

c. in fiera d. altro

5. Quantità media di tartufi utilizzata

6. Provenienza di tali tartufi:

a. locale b. regionale

c. altre regioni (precisare) d. estero (precisare)

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70

7. Canali di vendita: a. direttamente in azienda b. tramite grossisti/rappresentanti c. tramite negozi

d. in fiere e. via web

8. Quale percentuale di prodotti è destinata alla vendita nel territorio nazionale e quale invece

all’esportazione?

9. In quale percentuale, per ogni tipologia di prodotto? a. tartufi conservati b. olio c. formaggi e/o salumi

d. sughi e. creme f. altro

10. La richiesta di prodotti trasformati aumenta nel periodo autunnale?

Le aziende che lavorano tartufi o producono prodotti tartufati sono state reperite consultando

elenchi telefonici e siti: un primo screening ha portato a restringere molto fortemente il nostro

campo di osservazione per i motivi già anticipati. Nella maggior parte dei casi si trattava di piccole

imprese che accanto alla attività principale - produzione di salumi, formaggi, lavorazione di funghi

– producono qualche toma o salame tartufato o salsa a base di funghi e tartufi. Quindi sia per la

dimensione economica dell’impresa sia per il ridotto peso del tartufo sull’attività nel complesso non

erano particolarmente utili.

In conclusione le aziende sentite in questa fase sono state soltanto due ed entrambe nell’Albese,

perché una, collocata nel Monferrato, non svolge più l’attività di trasformazione.

Primo caso di studio

L’azienda è stata contattata telefonicamente, è a conduzione familiare e svolge la propria attività

lungo l’intero anno; in sintesi si tratta di un esercizio di commercio al dettaglio con un proprio

laboratorio. Oltre ad occuparsi di produzione e commercio di prodotti trasformati, nel periodo di

raccolta, commercia anche tartufi freschi.

Le linee di produzione principali sono l’olio, le creme e la conservazione in salamoia di tartufi

interi.

I tartufi utilizzati come materie prime sono il bianco ed i neri pregiato ed estivo, tanto in pezzi,

quanto interi; l’approvvigionamento avviene direttamente da cercatori, anche se va detto che

l’azienda può contare anche su alcuni cercatori appartenenti al nucleo famigliare. Hanno dichiarato

di utilizzare solo materia prima di origine piemontese.

I prodotti trasformati sono distribuiti attraverso tre principali canali: la vendita diretta presso il

proprio negozio, in Fiera ad Alba e tramite grossisti; questi ultimi gestiscono anche la distribuzione

all’ estero, che rappresenta più del 50% del totale di prodotto trasformato.

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71

Non è stato possibile avere informazioni sui quantitativi di materia prima impiegata, né sui prezzi

pagati.

Secondo la loro esperienza, il periodo di raccolta e commercializzazione del tartufo in Piemonte

non provoca grandi variazioni nella vendita di prodotti trasformati.

Secondo caso di studio

Una seconda realtà aziendale che si occupa di trasformazione di tartufi è stata visitata e interpellata

direttamente; da parte di questa seconda impresa c’è stata un’ ampia disponibilità sia a rispondere

al questionario sia a far visitare i propri locali di produzione.

Si tratta di un’azienda che produce tutto l’anno, a conduzione familiare con collaboratori

subordinati fissi. L’ attività principale è il commercio – esercitato in qualità di grossista – di

tartufi freschi; secondariamente, l’azienda conserva e trasforma tartufi tal quali, in salamoia, che

vengono venduti come semilavorati ad aziende che producono prodotti tartufati e a ristoranti.

Passando ai prodotti finiti vengono realizzati: olio, sughi, creme e pasta, ma anche tartufi in

salamoia in vasetti. L’azienda realizza anche altri generi alimentari non a base di tartufo, sia salati,

sia dolci, aventi come denominatore comune l’elevata qualità e la tipicità.

Gli acquisti di materia prima – tartufo bianco, nero pregiato e scorzone, sia in pezzi, sia interi –

avvengono in maniera diretta da cercatori e commercianti in misura tale da garantire una scorta

sufficiente per tutto l’anno: nel mese di luglio l’acquisto di scorzone avviene per quantità di circa 4-

5 quintali a settimana. E’ stato riferito che, in particolare per il prodotto piemontese, tutto quello che

viene offerto viene acquistato. I tartufi provengono dal territorio nazionale: Toscana, Emilia-

Romagna, Marche, Umbria e Piemonte; in particolare l’80% dello scorzone proviene dalla zona del

Tortonese.

I prodotti sono commercializzati tramite negozi, via web e per mezzo di rappresentanti; questi

ultimi sono responsabili anche delle vendite all’estero, che rappresentano il 60% circa della

distribuzione totale. I paesi partners di tali scambi appartengono per la maggior parte all’Unione

Europea, cui si aggiungono Russia, Estremo Oriente, Emirati Arabi, l’America settentrionale (Stati

Uniti e Canada) ed il Brasile.

A proposito delle vendite nei paesi esteri va detto che gli Stati Uniti d’America hanno dei dazi

doganali di importazione molto pesanti, che per i tartufi raggiungono il 100%5; l’azienda

interpellata ha dichiarato di avere infatti notevolmente diminuito i rapporti di scambio in tale

direzione.

5 Il dato proviene dal “Harmonized Tariff Schedule of the United States (2006) – Supplement 1”, reperibile sul sito internet: http://hotdocs.usitc.gov/docs/tata/hts/bychapter/0610HTSA.pdf

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Quanto ai prezzi di acquisto dei tartufi come materia prima, non è stato possibile reperire molte

informazioni, in relazione alle molteplici variabili in gioco. L’unico dato fornito è stato quello per il

tritume di bianco, acquistato ad un prezzo di 800 Euro al chilogrammo; tale tritume viene utilizzato

per la preparazione delle creme al 99% di tartufo, che vengono vendute al dettaglio ad un prezzo

pari a circa 1200 Euro al chilogrammo.

Un discorso a parte merita l’olio al tartufo, che secondo il nostro interlocutore riveste un particolare

interesse nell’ambito dei prodotti trasformati per la facilità di vendita, dovuta sia alle caratteristiche

sia ai molteplici impieghi culinari. L’olio tartufato, prodotto a regola d’arte, risulterebbe

attualmente un prodotto molto gradito al consumatore neofita che vuole avvicinarsi al gusto del

tartufo.

In conclusione non è possibile parlare del comparto della trasformazione in termini generali, ma

dai due casi osservati si possono trarre alcune considerazioni: entrambe le imprese vendono sia il

prodotto trasformato sia la materia prima di base, comportamento questo poco diffuso nell’industria

di trasformazione alimentare. Per quanto riguarda i tartufi utilizzati come materia prima, le aziende

di trasformazione acquistano prevalentemente i tartufi neri meno pregiati, e nell’ambito delle specie

di maggior pregio le qualità minori, come il tritume di bianco, facendo così da collettori per specie e

qualità altrimenti un po’ disdegnate dal mercato.

Infine, per quanto riguarda i mercati di sbocco, in entrambi i casi è stato segnalato che il consumo di

prodotti trasformati è più abbondante all’estero che in Italia.

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8. STUDIO DELLA DOMANDA DI TARTUFO

L’analisi della domanda di tartufo è stata effettuata nel corso delle fiere, poiché in tali luoghi è stato

possibile contattare, in un lasso di tempo piuttosto contenuto, un congruo numero di acquirenti o

comunque di soggetti interessati al prodotto.

Il numero di fiere organizzate in Piemonte è ormai piuttosto elevato: si è quindi innanzitutto cercato

di tracciarne un quadro complessivo sia a fini descrittivi - informativi, sia per avere dei criteri sulla

base dei quali scegliere le fiere durante le quali svolgere le interviste.

8.1 Caratterizzazione e classificazione delle fiere

Gli eventi fieristici legati al tartufo hanno molte valenze: sono luogo di contrattazione e scambio,

sono occasioni di promozione del territorio, e rappresentano, per chi studia il settore tartuficolo,

un’occasione per analizzare il mercato del Tuber, altrimenti poco sondabile.

L’indagine condotta sulle Fiere ha permesso, inquadrandone la natura, di ipotizzare il tipo di

pubblico affluente, e quindi di meglio programmare la parte delle interviste conoscitive ai

consumatori.

Si è partiti da un censimento delle Fiere organizzate sul territorio piemontese nel 2006, svolto

consultando svariate fonti telematiche e non, che ha portato a redigere un elenco di circa 30 eventi;

tale numero è sicuramente sottostimato perché non comprende le manifestazioni più piccole e

locali, ma esaustivo per quanto riguarda quelle più significative.

Tutte le Fiere individuate sono state contattate telefonicamente per avere alcune informazioni di

massima che ne consentissero una descrizione. Nella successiva scheda 1 sono contenuti gli

elementi richiesti ai responsabili degli Enti organizzatori, se presenti, o comunque al referente

comunale per l’evento fieristico.

Scheda 1. Schema descrittivo della fiera

• Località;

• Data e orari;

• Enti organizzatori;

• Durata:

o giornata;

o due giorni;

week-end;

feriali;

o più giorni;

• Genere:

o solo tartuficola;

o mista alimentare;

o mista fra più generi;

• Numero di banchi;

• Numero di banchi riservati al tartufo;

• Struttura:

o libera;

o dettata dall’organizzazione.

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Le informazioni raccolte sono esposte analiticamente in tabella 1 e di seguito commentate.

Come già accennato, le manifestazioni fieristiche dedicate al tartufo sono presenti in numero

piuttosto elevato sul territorio della Regione Piemonte, concentrate soprattutto nelle province

naturalmente più vocate per la crescita del fungo: Asti, Alessandria e Cuneo.

Le Fiere censite possono genericamente essere classificate in base alla loro connotazione:

• nazionale: vi rientrano le Fiere di Alba (CN), Moncalvo (AT) e Murisengo (AL);

• regionale: Mondovì e Vezza d’Alba nella provincia di Cuneo, Canelli e Montechiaro nella

provincia di Asti, Acqui Terme, Alessandria e San Sebastiano Curone nella provincia di

Alessandria;

• locale: Paroldo (CN); Castagnole Monferrato, Castelnuovo Don Bosco, Cortazzone d’Asti,

Incisa Scapaccino, Mombercelli e Montiglio nella provincia di Asti; Avolasca, Bergamasco,

Brignano Frascata, Cella Monte, Odalengo Piccolo, Serralunga di Crea, Tagliolo

Monferrato, Tortona e Trisobbio nella provincia di Alessandria.

In linea di massima le fiere con una connotazione superiore sono di dimensioni più elevate, ma tale

criterio non è sempre valido: l’evento di Montiglio, per esempio, seppure locale, è piuttosto

rilevante.

Per le tre Fiere presenti presso Nizza Monferrato (AT), Casale Monferrato (AL) e Rivalba (TO) non

è stato possibile individuare la connotazione. Delle 31 individuate non si è riusciti a contattarne due

– Cerrina e Sardigliano, entrambe in provincia di Asti – che quindi non compaiono in tabella 1.

Nella successiva figura 1 è indicata la distribuzione delle Fiere sul territorio regionale. Risulta bene

evidente come la distribuzione sia molto concentrata territorialmente, in quanto strettamente

connessa alle zone di produzione.

Le Fiere possono quindi essere distinte in base sia dalla dislocazione sul territorio – in relazione alla

potenzialità produttiva – sia in base all’influenza che gli eventi fieristici più antichi e di maggiore

risonanza esercitano sulle località limitrofe, le quali hanno spesso dato origine a manifestazioni

simili, seppure di sviluppo più contenuto sia nella dimensione sia nella durata. Le tre Fiere nazionali

sono anche quelle che vantano la più lunga tradizione: Alba (76 edizioni), Moncalvo (52) e

Murisengo (39).

In Piemonte gli eventi fanno fondamentalmente riferimento al Tuber magnatum, in quanto proprio

del territorio regionale e presente in maggior misura rispetto alle altre specie di tartufi. Solo

nell’area a sud est del Tortonese le Fiere sono incentrate sul Tuber melanosporum, caratteristico di

quella zona, con gli eventi di Tortona, Brignano Frascata, Avolasca, e San Sebastiano Curone.

Occorre ad ogni modo ricordare che nell’ambito delle Fiere non vengono commercializzate solo le

specie di tartufi più pregiate, ma tutte quelle il cui periodo di raccolta coincide con le Fiere stesse.

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Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, le tre Fiere di portata nazionale hanno degli organismi

appositi che si occupano della gestione: la Fiera di Alba è curata dall’Ente Fiera in collaborazione

con altri enti (ad esempio: l’Associazione Commercianti) e le Fiere di Moncalvo e Murisengo

possono contare su due appositi Comitati, istituiti dai rispettivi Comuni. In quasi tutti gli altri casi –

Fiere Regionali e Locali – l’organizzazione è curata dal Comune coadiuvato dall’Associazione Pro

Loco, cui possono aggiungersi, a seconda dei casi, altri soggetti: associazioni sportive, Protezione

Civile, Cooperative di commercianti, ditte private, Comunità Montane, etc.

Va segnalato che in molti casi la Provincia di appartenenza pubblicizza gli eventi e, talvolta, li

sponsorizza: nell’anno in corso (2006) la provincia di Asti, per esempio, ha stampato un pieghevole

comprendente l’intero calendario delle manifestazioni del settore.

La maggior parte delle Fiere si svolge nella prima parte del periodo di raccolta dei tartufi, nei mesi

di ottobre e novembre; più della metà degli eventi si svolge nell’arco di un’unica giornata,

usualmente di domenica, ma non mancano casi di raddoppio – due sabati o due domeniche

consecutivi. Solo in pochi casi la manifestazione dura un numero maggiore di giorni; la durata

massima si raggiunge ad Alba con uno arco di tempo superiore ad un mese (dal primo fine

settimana di ottobre al primo fine settimana di novembre). Praticamente in tutti i casi le Fiere hanno

come protagonista di richiamo il tartufo, ma raccolgono anche prodotti di altro genere sia

alimentari, sia dell’artigianato: questo tipo di organizzazione consente di ampliare notevolmente sia

l’offerta, sia il numero dei frequentatori.

Relativamente ad ogni manifestazione è stata indagata anche la dimensione, utilizzando come

parametro il numero di banchi espositivi totali ed il numero di banchi relativi esclusivamente al

tartufo: nella prima classe considerata si contano dai 20 banchi delle Fiere minori fino ai 300 delle

Fiere maggiori o che raccolgono più eventi; di questi, è ascrivibile alla categoria di vendita

esclusiva di tartufo un numero di banchi compreso tra 2 e 20 con la precisazione che in molte

occasioni sono presenti raccoglitori che commerciano privatamente senza avere un banco proprio,

ma comunque nella zona della fiera.

Infine una nota sull’ impianto delle manifestazioni: gli enti organizzatori provvedono a fornire agli

espositori un banco o una struttura standard uguale per tutti più o meno nella metà dei casi

esaminati: a volte si tratta dell’intero banco, altre solo di un piccolo gazebo. Nella maggioranza

delle occasioni, però, gli espositori di tartufi hanno diritto ad un posto in una struttura al coperto,

connessa con il resto della fiera, dove si svolgono anche alcune competizioni legate al Tuber –

premiazione dell’esemplare più bello, della migliore composizione, etc.

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Tabella 1. Descrizione delle caratteristiche delle fiere del tartufo

Durata Genere Struttura Due giorni Località,

classificazione ed edizione

Data Enti organizzatori Giornata Fine

sett. Feriali Più

giorni Solo

tartuficola Mista

alimentare

Mista più

generi

Numero di

banchi

Numero banchi SOLO

tartufic.Libera Dettata dalla

organizzaz.

CUNEO

Alba Nazionale; 76^

Da 1^ dom ott a 1^ fine

settim nov

Ente Fiera X X -- -- X

Mondovì Regionale; 11^

fine ottobre

Comune – Uff. Manifestazioni

X (3

giorni)

X (con “Sala

contrattazione tartufi” a

parte)

100 ca 20 X

(noleggio del banco)

Paroldo Locale

2^ domenica novembre

Comune (amministraz) + Pro-loco (parte

esecutiva)

X X 40 -- X

Vezza d’Alba Regionale

copre le ultime due domeniche novembre

Comune +

Pro-loco

X (10

giorni)X -- 15 - 20 X

ALESSANDRIA

Acqui Terme Regionale; 2^

dal 4^ giovedì

novembre alla

domenica success.

Ufficio Turismo +

Enoteca Regionale X

X (nella

giornata di domenica)

X (da giovedì a

sabato) 104 20 X

Alessandria Regionale; 20^

2^ domenica novembre

Cam Commercio + Regione + Prov +

Ass.ne di categoria Agricola

X X 40 10 - 15 X

Avolasca Locale

1^ domenica novembre

Pro loco X X 20 - 25 7 - 8 X

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Durata Genere Struttura Due giorni Località,

classificazione ed edizione

Data Enti organizzatori Giornata Fine sett. Feriali

Più giorni

Solo tartuficola

Mista alimentarre

Mista più

generi

Numero di

banchi

Numero banchi SOLO

tartufic.Libera Dettata

dall’organizzaz

Bergamasco Locale; 8^

2^ domenica

ottobre

Comune + Pro-loco + Protezione civile X X 70 3 - 4 X

Brignano Frascata

Locale, 7^

3^ o 4^ domenica di ottobre

Comune + Com.Montana + Provincia + Pro-

loco

X X 30 ca 10 X

Casale Monferrato

Variabile ottobre -

novembre

ditte private, su commissione del

Comune X X 20 -- X

Cella Monte Locale; 15^

1^ week-end

novembre Pro-loco + Comune X X 40 2 - 3 X

Murisengo Nazionale; 39^

1^ e 2^ domenica di ottobre

Comitato Fiera del Tartufo – istituito

dal Comune

X (2 gg

separati) X 90 - 100 ca 20

X (ma con gazebo

ufficiale)

Odalengo Piccolo

Locale; 13^

2^ domenica

ottobre Pro-loco X X -- -- X

(su richiesta)

San Sebastiano Curone

Regionale 23^

3^ domenica novembre

Comune + Pro-loco + Associaz Tartufai X X 130 -

160 Ca 30 X

(solo per parte tartuficola)

Serralunga di Crea

Locale

1^ domenica novembre

Pro-loco + Comune X X -- -- X

Tagliolo Monferrato

Locale

3^ domenica

ottobre

Comune + Ass.ne sportiva X X 20 2 - 3 X

Tortona Locale

2^ e 4^ sabato

novembre

Associazione Tartufai + Comune

X (2 gg

separati) X 30 8

X (solo per parte

tartuf)

Trisobbio Locale; 2^

3^ domenica

ottobre

Comune + Provincia Al X X 50 - 60 9 X

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Durata Genere Struttura Due giorni Località,

classificazione ed edizione

Data Enti organizzatori Giornata Fine sett. Feriali

Più giorni

Solo tartuficola

Mista alimentare

Mista più

generi

Numero di

banchi

Numero banchi SOLO

tartufic.Libera Dettata

dall’organizzaz

ASTI

Canelli Regionale

2^ domenica novembre

Comune (direttive) + Coop.di

Commercianti(parte esecutiva)

X X 20 -- X

Castagnole Monferrato Locale; 30^

2^ domenica

ottobre

Comune + produutori vinicoli

+ Pro-loco X X 20 - 30 4 - 5

X (solo per produttori vinicoli)

Castelnuovo Don Bosco

Locale

Ultima domenica novembre

Provincia X X -- -- X

Cortazzone d’Asti Locale

1^ domenica dicembre

Pro-loco X X 40 3 X

Incisa Scapaccino Locale; 14^

4^ domenica

ottobre Pro-loco + Comune X X 20 2

X (solo per parte

tartuficola)

Mombercelli Locale

3^ domenica

ottobre Comune + Pro-loco X X 30 - 50 ca 10 X

Moncalvo Nazionale 52^

ultime due domeniche

ottobre

Comitato Fiera di Moncalvo

X (2 gg

separati) X 120 variabile X

Montechiaro Regionale

1^ domenica novembre

Comune +

Pro-loco X X 100 ca 10 X

Montiglio Monferrato Locale; 27^

1^ e 2^ domenica

ottobre

Comune +

Pro-loco

X (2 gg

separati) X 50 – 60 ca 10 X

Nizza Monferrato

15^

1^ domenica novembre

Comune + Pro-loco X X 300 4-5 X

(solo per i gazebo)

TORINO

Rivalba 19^

2^ domenica novembre

Comune + “Ass.ne Trifulau e Trifulé” X X -- 10 X

Espositori tartufi in struttura

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Figura 1. Fiere del tartufo sul territorio piemontese

Nota: la zona colorata in corrispondenza dei toponimi rappresenta il territorio amministrativo di ogni singolo Comune; non vi è legame tra l’estensione di tale zona e la dimensione della fiera.

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Nel corso del mese di ottobre 2006 si sono visitate alcune fiere del tartufo per effettuare le

rilevazioni sugli acquirenti di tartufo; nel corso di tali momenti è stato anche possibile osservare

direttamente l’organizzazione delle manifestazioni.

Il calendario delle visite è stato predisposto con il doppio obiettivo di esaminare le fiere di maggiore

rilievo e di recarsi in tutte le zone individuate come produttrici di tartufi. Sebbene lo studio riguardi

prevalentemente il territorio piemontese, la prima fiera frequentata si trova in Liguria, scelta in

quanto “in anticipo” rispetto alle fiere piemontesi e situata molto in prossimità del confine regionale

(Millesimo – Savona), quindi destinataria di prodotti anche piemontesi.

Il calendario delle visite è stato così programmato:

• Fiera di Millesimo (SV): 24 settembre 2006;

• Fiera di Bergamasco (AL): 8 ottobre 2006;

• Fiera di Alba (CN): 14 ottobre 2006;

• Fiera di Tagliolo Monferrato (AL): 15 ottobre 2006;

• Fiera di Moncalvo (AT): 22 ottobre 2006.

Oltre alle fiere di cui sopra è stata visitata, nel dicembre 2005, la Fiera di Cortazzone d’Asti;

all’epoca si trattava dell’ultima disponibile prima della fine dell’anno, e la visita allora svolta ha

permesso di testare il questionario per i visitatori e lo schema descrittivo delle fiere, in vista del

lavoro più esteso previsto per l’autunno 2006.

Le visite effettuate hanno messo in luce che le fiere, se non Nazionali, hanno nel tartufo una sorta di

pretesto, ma i banchi ad esso dedicati sono, molto spesso, in numero piuttosto limitato,

sviluppandosi l’evento più sulle tipicità locali e sull’oggettistica.

La Fiera di Cortazzone d’Asti

La Fiera di Cortazzone si presenta nominalmente legata al tartufo ma, nei fatti e per frequentazione,

come evento più assimilabile ad una fiera di paese.

La struttura è di tipo misto: alcuni banchi sono dotati di una “tettoia” con l’insegna della Camera di

Commercio di Asti – circa la metà – e gli altri sono semplici tavoli. La maggioranza dei banchi (40)

è in una struttura chiusa e solo alcuni (6) sono posizionati all’esterno.

L’osservazione degli espositori e dei visitatori, e le interviste rivolte ad entrambe le tipologie di

frequentatori, permettono di affermare che l’acquisto di tartufo in questa sede è relativamente

casuale: in linea di massima le persone presenti hanno scelto di recarsi a Cortazzone per il pranzo

organizzato dalla Pro Loco e poi di osservare i banchi di merce, più alla ricerca di un’idea per i

regali Natalizi che per acquistare i tartufi.

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I prodotti presenti alla fiera, oltre ai tartufi, sono: formaggi, salumi, miele, torte di nocciole e

piccolo artigianato.

La Fiera di Millesimo

La Fiera del tartufo di Millesimo è, nel 2006, alla sua XIV edizione. La durata è di un fine

settiamana (quest’anno 23 e 24 settembre); i banchi presenti sono circa 40, di cui 14 dedicati

esclusivamente al tartufo, concentrati nella piazza antistante il Municipio. L’organizzazione

fornisce i gazebo per i banchi.

La fiera, pur essendo incentrata sul tartufo – si è svolta anche una tavola rotonda sull’economia di

tale prodotto – si presenta di tipo misto alimentare, proponendo peperoni, articoli a base di castagne

e prodotti tipici locali in generale.

Il pubblico acquirente si è mostrato particolarmente poco disponibile a rispondere al questionario; la

scarsa collaborazione può essere forse in qualche misura ricollegata alla presenza di diversi stands

di associazioni in cerca di offerte e sovvenzioni. Il timore di essere fermati al solo scopo di chiedere

denaro ha fatto sì che venisse negata qualsiasi collaborazione, senza quasi ascoltare di cosa si

trattasse.

I tartufi esposti per la vendita, sia bianchi, sia neri, sono molto piccoli e in scarsa quantità, spesso

venduti senza badare al peso, ma a corpo.

La Fiera di Bergamasco

La “Giornata del tartufo” di Bergamasco è, nel 2006, alla sua VIII edizione. I banchi presenti sono

circa 70: di questi 3 sono dedicati al tartufo e gli altri a tipicità alimentari e artigianato.

La presenza di pubblico è molto abbondante, ma gli acquirenti di tartufo scarsi e, di solito, con

soglie di spesa massima piuttosto basse (15 € in media). E’ stato possibile svolgere poche interviste

sia per il ridotto numero di acquirenti, sia per la loro limitata disponibilità a rispondere. Anche se

non ci sono state manifestazioni di diffidenza palesi come nel caso della fiera di Millesimo. I tartufi

esposti per la vendita sono soprattutto bianchi, ma in scarsa quantità e di piccole dimensioni.

La Fiera di Alba

Nell’anno in corso la fiera si svolge tra il 30 settembre ed il 5 novembre.

La parte più strettamente dedicata al tartufo si concentra in una struttura chiusa, cui si accede previo

pagamento di 1 Euro.

All’interno del padiglione, detto “Palatartufo”, sono presenti tra i venti ed i trenta stand di varie case

di prodotti gastronomici (formaggi, salumi, vini, cioccolato, nocciole, etc), ed al centro sono situati,

su una sorta di bancone ad anello, vari venditori di tartufi, ognuno col proprio nome e la propria

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merce esposta. Fra le iniziative dell’Ente Fiera del Tartufo, vi è la predisposizione, fra i banchi di

tartufo, di un punto per la verifica della qualità del proprio acquisto; tre persone dell’Ente Fiera, su

richiesta degli acquirenti, pesano e controllano qualità e prezzo dei tartufi acquistati.

La partecipazione del pubblico è piuttosto rilevante; è stata riscontrata la presenza di stranieri,

soprattutto da Tedeschi e Svizzeri, ma anche da Inglesi e Svedesi. Per quanto concerne le presenze

italiane, soprattutto persone dalla provincia di Milano.

I tartufi esposti, sia bianchi sia neri, sembrano essere abbastanza pregevoli per qualità e dimensioni:

l’impressione generale è che a questa fiera più che ad altre siano arrivati gli individui migliori di

tartufo disponibili al momento.

Al di fuori del “Palatartufo” è stato possibile prendere visione di una tartufaia turistica, sempre nel

centro di Alba, consistente in una grossa “vasca” di terra riportata dai territori vocati nella zona

dell’Albese, in cui sono stati piantati vari individui di diverse specie arboree; al centro della

tartufaia sono anche presenti dei cartelli esplicativi sulla natura del tartufo. Tra le iniziative previste

all’interno di tale spazio vi sono sia visite guidate, sia ricerche simulate con l’ausilio dei cani.

L’iniziativa è lodevole, ma il risultato piuttosto discutibile, visto soprattutto lo stato di salute delle

piante e la scarsissima estensione dello spazio (condizione che rende improbabile qualsiasi

simulazione dell’ambiente e della cerca).

La Fiera di Tagliolo Monferrato

La fiera di Tagliolo è una piccola manifestazione che si svolge nel castello del paese e negli

immediati dintorni, della durata di un giorno (quest’anno il 15 ottobre).

Sono presenti circa 20 banchi, di cui uno solo dedicato al tartufo e gestito da un cercatore di

Alessandria. Gli altri banchi sono in egual misura di prodotti gastronomici e di artigianato. Il

gestore di uno stand di prodotti enogastronomici dichiara di aver ricevuto il divieto di portare tartufi

in questa fiera, ed il titolare dell’unico banco di tartufi conferma di essere stato il solo a ricevere il

permesso, con la spiegazione che “un solo banco è sufficiente per la misura dei visitatori”. Il gestore

dello stand di prodotti enogastronomici ha anche raccontato di essere stato presente alla Fiera di

Alba svariati anni. Secondo lui la produzione è calata moltissimo nell’ultimo decennio, così come è

calata la disponibilità all’acquisto da parte degli acquirenti: gli italiani sono passati da limiti

massimi di spesa di 500.000 Lire (250 Euro) a 20 Euro, e gli stranieri da limiti di circa due milioni

di Lire (1000 Euro) a 200 Euro. Inoltre, sempre secondo la sua esperienza, anche la Fiera di Alba,

ovvero l’evento più noto legato al tartufo, ha visto, nell’ultimo decennio, diminuire molto la

partecipazione di pubblico. Infine ha tenuto a sottolineare che, malgrado il divieto di vendere tartufi

alla fiera di Tagliolo, quest’anno è lui stesso a non volerli vendere, perché le quantità e la qualità

sono troppo scarse.

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83

L’affluenza di pubblico è abbastanza rilevante, viste le ridotte dimensioni della fiera, ma va detto

che il momento di maggiore affluenza è stato in corrispondenza della castagnata organizzata ai piedi

del castello.

E’ stato poi possibile sapere da due vigili urbani che, all’interno di un padiglione dedicato al vino –

“Rosso e dintorni” – era possibile trovare altri tartufi in vendita. La visita a tale stand ha permesso

di constatare che la quantità e la qualità dei tartufi disponibili, sono, al momento, piuttosto limitate,

ma bisogna tenere conto che questa fiera, non essendo particolarmente grande o rinomata, non può

essere considerata un evento collettore della migliore produzione tartuficola.

La Fiera di Moncalvo

La Fiera Nazionale del Tartufo di Moncalvo ha luogo le ultime due domeniche di ottobre.

Si presenta come un grande mercato in cui sono presenti generi misti nella fascia più periferica,

banchi di specialità alimentari tipiche nella piazza principale, e banchi dedicati al tartufo – circa 25

– sotto il portico del castello.

Nel corso della visita è stato possibile assistere alla premiazione della “Trifola d’or”.

La presenza di pubblico è rilevante, come nel caso della Fiera di Alba, ma la frequentazione da

parte di stranieri, per quanto è stato possibile osservare, è più scarsa, probabilmente perché la Fiera

di Moncalvo, seppur di rilevanza nazionale, è un evento meno pubblicizzato e rinomato di quello di

Alba.

I tartufi esposti sono di qualità e dimensioni piuttosto rilevanti: il fatto può essere messo in

relazione sia con la connotazione nazionale della fiera, sia con un parziale miglioramento

dell’attuale stagione di raccolta.

8.2 Indagine sui frequentatori delle Fiere del Tartufo

Come già detto, per tratteggiare le caratteristiche della domanda di tartufo, nel mese di ottobre 2006

si è proceduto a rilevare un certo numero di interviste presso alcune Fiere piemontesi; la scheda

utilizzata è di seguito riportata (scheda 2).

Non è stato possibile definire a priori il numero di intervistati, in quanto fortemente legato al

contesto: numero di banchi di tartufai, quantità e qualità del prodotto, etc. La situazione di inizio

stagione 2006 non è, da questo punto di vista, particolarmente favorevole: produzione scarsa e di

qualità non molto elevata.

Nel complesso sono state svolte 55 interviste, selezionando fra le persone i soli acquirenti di tartufo,

ma senza ulteriori criteri discriminanti. In partenza si intendeva interpellare i visitatori, ma in

relazione alle difficoltà incontrate nel test svolto a Cortazzone , si è scelto di incentrare l’attenzione

esclusivamente su coloro che comprano i tartufi.

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84

Non tutte le domande hanno sempre avuto risposta, a causa delle reticenze degli intervistati; dove

ciò si è verificato, la risposta è stata classificata come “non disponibile” e segnalata come tale.

Il campione di acquirenti è equamente distribuito fra uomini e donne; l’età varia fra i 23 ed i 72

anni, con frequenze elevate, circa il 60%, nella fascia di età tra i 40 ed i 60 anni.

Tra le professioni più comuni vi sono il lavoro impiegatizio (27%) e l’imprenditoria o la libera

professione (18%), ma per circa un terzo degli intervistati non è stato possibile rilevare l’attività

lavorativa.

Il richiamo costituito dalle fiere può essere letto in base alla provenienza degli acquirenti: la

maggioranza proviene da località della regione in cui si svolge la fiera (una lieve maggioranza di

questi arriva da fuori provincia), una piccola parte da regioni limitrofe, e una minoranza pari al 10%

da paesi stranieri. Questi ultimi sono stati intervistati tutti nel corso della Fiera di Alba,

probabilmente per la sua maggiore fama a livello internazionale.

I motivi addotti per la propria presenza alla fiera sono principalmente stati individuati nella volontà

di acquisto dei tartufi (65%), e, subito a seguire, alla semplice curiosità di vedere una fiera o alla

possibilità di degustare prodotti tipici (33%); questo dato porta all’attenzione come, nella

maggioranza dei casi, l’acquisto di tartufo sia programmato, ma in parte si verifichi in modo

relativamente casuale. Va ricordato che sono stati intervistati solo soggetti che avevano acquistato

tartufi.

Il 60% consuma direttamente il prodotto; degli altri una metà ha dichiarato l’intenzione di regalare i

tartufi comprati, e l’altra metà di voler sia consumare, sia regalare.

L’acquisto di tartufi è un fatto abituale solo per il 16% degli intervistati; la grande maggioranza, più

dell’80%, ha dichiarato di acquistare tartufo solo saltuariamente. Tale dato va a spiegare anche la

distribuzione delle risposte alla domanda successiva, ovvero quale sia il luogo preferenziale per

l’acquisto di tartufi: il 70% degli intervistati ha infatti dichiarato di acquistare solo in occasione

delle fiere, in quanto occasioni particolari per riscoprire il prodotto. Altri luoghi abituali di acquisto

sono i negozi specializzati (5%), anche se questa risposta è stata data soprattutto da persone

straniere, che – evidentemente – non hanno altri canali nel proprio paese. Infine l’11% degli

intervistati si rivolge direttamente a cercatori di propria conoscenza

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85

Scheda 2. Questionario ai visitatori di Fiere del Tartufo

Questionario ai visitatori di Fiere del Tartufo

1. Sesso ed età: M F _______

2. Professione / titolo di studio:

__________________________ 3. Provenienza:

_____________________

4. Motivo della visita: a. Comprare b. Vendere c. Altro _____________________

5. Cercatore / acquirente / distributore

6. E’ un acquirente abituale o saltuario?

7. Perché compra?

a. Per rivendere b. Per consumo diretto c. Per regalare

8. Canali usuali per l’acquisto:

a. Fiera b. Negozio in città c. Diretto

9. Interesse all’acquisto:

a. < 35g b. 35-65g c. 65-100g d. 100-150g e. 150-200g f. ______________

10. Prezzi pagati:

_____________________

11. Eventuale vincolo di prezzo: S N _____________________

12. Frequenta abitualmente le Fiere? S N

13. Tempo di permanenza:

a. Giornata b. Più giorni

14. Strutture ricettive utilizzate:

a. Ristorante b. Albergo c. Agriturismo d. Altro _____________________

15. Fa uso abituale di prodotti tartufati? S

N Se sì, quali? _____________________

16. Comprerebbe tartufi coltivati?

a. Sì b. No c. Solo dietro certificazione di

provenienza

17. Se no, perché? a. Meno buoni b. Maggiore possibilità di frodi c. Manca l’idea della ricerca d. Altro _____________________

18. Ha fatto acquisti di altro genere?

_____________________

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86

Dall’analisi dei dati raccolti emerge come, nel 56% dei casi, la pezzatura dei tartufi non sia un

criterio discriminante al momento dell’acquisto: in parte ciò può essere dovuto proprio al fatto che,

utilizzando il tartufo soprattutto per il consumo diretto, non risulta così importante cercare una

pezzatura significativamente grande, quanto più un esemplare di proprio gusto (alcuni intervistati

hanno detto di basarsi esclusivamente sull’odore o sul proprio limite di spesa). Gli intervistati che

hanno espresso preferenze in merito alle pezzature sono rimasti in maggioranza legati alla soglia

massima di 35 grammi, solo in pochi casi si sono detti interessati a soglie fino a 65 grammi, e

un’unica persona si è detta interessata ad esemplari di un etto e mezzo.

Sul totale degli intervistati la cifra minima spesa è di 6 Euro e la massima di 250; il 70% degli

intervistati non ha speso oltre i 70 Euro, e di questi quasi due terzi sono rimasti entro i 40 Euro.

Nella stragrande maggioranza dei casi non è stato possibile, attraverso le interviste, risalire al

prezzo pagato per ettogrammo, in quanto, essendo l’acquisto stato effettuato a corpo, non era noto il

peso.

Alla domanda sul vincolo di prezzo massimo un quarto degli intervistati, tra cui quasi tutti gli

stranieri, ha dichiarato di non avere limiti di spesa, e quasi altrettante persone non hanno voluto

rispondere alla domanda. Del restante 50% degli intervistati, tre quarti si sono detti disposti a

spendere cifre entro i 60 Euro, mentre su cifre superiori si attestano frequenze piuttosto basse, e

comunque mai oltre i 160 Euro totali.

Più della metà degli intervistati frequenta abitualmente le fiere, anche se alcuni si sono detti assidui

solo per la fiera di Alba, perché più rinomata di tutte le altre e perché estesa su un lungo arco di

tempo (circa un mese). Proprio in relazione alla durata delle fiere, è poi stata posta una domanda

sulle strutture recettive eventualmente utilizzate: di coloro i quali restano in visita un solo giorno,

ovvero l’80% degli intervistati, la metà non utilizza strutture di alcun tipo, un quarto si reca al

ristorante e i restanti si organizzano con strutture diverse, spesso messe a disposizione

dall’organizzazione stessa della fiera (punti di ristoro, pranzo della pro loco, etc.). Tra i visitatori

intenzionati a restare nella zona della fiera più di un giorno (20%), la metà utilizza il ristorante

abbinato all’albergo o all’agriturismo, e gli altri una sola di queste stesse possibilità. E’ stato

rilevato un unico caso in cui i visitatori sono organizzati in modo del tutto autonomo, con un

camper di proprietà.

Sul totale degli intervistati il 60% non fa uso abituale di prodotti tartufati; il restante 40% utilizza

prodotti di vario tipo tra cui spiccano l’olio (52%) e le creme (47%), cui seguono formaggi e pasta

(rispettivamente 33 e 27%) e, in misura nettamente inferiore, insaccati, burro e miele.

L’interesse per i tartufi coltivati è molto legato alla conoscenza delle pratiche necessarie alla

coltivazione: il 54% degli intervistati dichiara di essere disposto all’acquisto di tartufi coltivati

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“perché comunque non in grado di individuare la differenza da quelli spontanei”; il 10% degli

intervistati accetterebbe di acquistare coltivati solo dietro certificazione di qualità, il 3% non si

esprime. Quanto al restante 32% degli intervistati – coloro che si rifiuterebbero di acquistare tartufi

coltivati – le motivazioni sono legate alla mancanza dell’”idea del naturale”, alla minore bontà e

alla maggiore possibilità di frodi.

Infine, alla domanda su eventuali acquisti di altro genere effettuati all’interno della fiera, il 38%

degli intervistati ha dichiarato di non averne effettuati ed il 62% ha dato risposta affermativa; di

questi il 44% ha rifiutato di specificare il genere degli acquisti, mentre tutti gli altri si sono

indirizzati su: salumi (15%), vino, funghi e formaggi (ogni voce al 12%), torta di nocciole e grissini

(8% per entrambi) e, a seguire, olio, sughi, pasta, dolciumi, biscotti, spiriti e prodotti non alimentari.

L’indagine svolta ha consentito da un lato di meglio focalizzare il fenomeno Fiere, dall’altro di

delineare le caratteristiche dell’acquirente di tartufo presso le medesime.

Appare chiaro, come anche nelle fiere più rilevanti, il tartufo costituisca un forte richiamo, ma non

il prodotto centrale per quanto riguarda le vendite. Questo dato non emerge direttamente dai rilievi

svolti, che hanno riguardato solo acquirenti di tartufo, ma considerando l’estensione mediamente

dedicata al tartufo e agli altri prodotti.

Rispetto al contesto complessivo le ricadute sembrano piuttosto contenute visto che solo pochi si

trattengono più di un giorno e non sono molti neppure quelli che frequentano i ristoranti.

Per quanto riguarda i consumatori pare di poter dire che l’acquirente presso la Fiera è di profilo

medio-basso, ossia che acquista prevalentemente per sé e non è quindi disposto a spendere cifre

molto alte. Ancora una volta compare una caratteristica del mercato del tartufo, cioè il fuori

mercato: gli acquisti significativi non avvengono sui banchi delle Fiere, ma precedentemente o al di

fuori, esattamente come accade per il mercato all’ingrosso.

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88

9. IL MERCATO DEL TARTUFO

Il settore del tartufo è di difficile indagine a causa della estrema riservatezza degli operatori per

quanto riguarda sia l’aspetto produttivo, sia quello commerciale.

Per descrivere il mercato nel suo complesso si è fatto riferimento alle fonti ufficiali. Due sono i

limiti. Le fonti ufficiali fanno riferimento esclusivamente alle quantità di tartufo scambiate sui

mercati, senza tener conto dei volumi che vengono scambiati direttamente al di fuori di essi. In

secondo luogo, viene talora fatto riferimento alla voce generica “tartufi”, con dati cumulativi per

specie di tartufo o per regioni di provenienza. In un mercato caratterizzato da tipicizzazione

geografica e di specie la regione di provenienza o la specie di tartufo trattata sono caratteristiche che

influenzano il livello del prezzo, ma tale dettaglio viene perso dal dato ufficiale che risulta pertanto

inadatto a chiarire l’influenza che i fattori specifici di cui sopra hanno nel connotare il mercato

nazionale e, in maggior misura, quello locale.

9.1 Il mercato internazionale

Per quanto concerne gli scambi internazionali, le informazioni provengono dalle statistiche del

commercio estero curate dall’ISTAT.

Per la presentazione dei dati sono state usate alcune categorie, individuate in parte in base alle classi

già organizzate dell’ISTAT, e in parte in base alle esigenze del presente lavoro.

Queste le specifiche dei dati così come presentati alla fonte:

1. i tartufi sono suddivisi in “classi”, individuate e riconosciute dall’Unione Europea, e

codificati numericamente – “nomenclatura combinata (NC8)” – nelle seguenti categorie:

a. tartufi, freschi o refrigerati (07095200);

b. tartufi, preparati o conservati (ma non nell'aceto o acido acetico) (20032000);

2. i dati statistici sono suddivisi nelle unità di misura:

a. valore – in Euro6;

b. quantità – in quintali;

3. i dati più recenti sono riferiti al 2005, con l’avvertenza che si tratta di informazioni ancora

provvisorie.

Va innanzitutto notato che, si parli di tartufi freschi o conservati, in ogni caso il saldo dell’Italia è

nettamente positivo: nel primo caso l’esportazione, espressa in quantità, è di circa 20 volte

maggiore dell’importazione; nel caso dei conservati questo rapporto sale fino ad essere 1:1540.

6 Tutti i valori monetari sono stati trattati al fine di tenere conto dell’effetto dell’inflazione, e sono stati convertiti, ove necessario, da Lire a Euro.

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89

Tartufi freschi

L’esportazione di tartufi freschi nel 2005 è stata pari a complessivi 63 quintali, ed è avvenuta

soprattutto verso la Francia, la Germania e gli Stati Uniti in quantità pari a, rispettivamente, 16, 13 e

circa 8 quintali (fig. 1); per gli altri paesi la quantità scambiata è uguale o al di sotto dei 4 quintali.

Confrontando quantità e valori, si nota che la Papuasia Nuova Guinea ed il Regno Unito sono gli

unici paesi ad aver pagato i tartufi oltre 100 euro per ettogrammo; le forti differenze di valore

possono essere imputate al pregio della specie di tartufo trattata, e alle modalità di trasporto.

Figura 1. Esportazione in quantità di tartufi freschi, 2005

25%

21%12%

Francia 16 q Germania 13 q

Stati Uniti 7,46 q Paesi e territori non determinati 4,45 q

Austria 4,03 q Svizzera 3,51 q

Giappone 3,34 q Altri 2,97 q

Belgio 2,69 q Paesi Bassi 2,24 q

Spagna 1,58 q Regno Unito 1,47 q

Fonte: COEWEB, 2006, nostra elaborazione

Per quanto concerne l’importazione il quantitativo complessivo è stato di poco inferiore a 3 quintali

e il principale partner è stata l’Ungheria, che incide per più dell’80% (fig. 2).

Dal confronto tra valore commerciale e dati quantitativi, si trova conferma che è solo la Croazia ad

aver venduto all’Italia tartufi bianchi, al prezzo di 56 €/ettogrammo, mentre gli altri paesi, sempre

osservando il rapporto fra valore e quantità, hanno scambiato tartufi neri a prezzi oscillanti fra 6 e

12 euro all’ettogrammo, quindi si tratta molto probabilmente di estivo.

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90

Figura 2. Importazione in quantità di tartufi freschi, 2005

81%

Ungheria 2,34 q Croazia 0,24 q

Bulgaria 0,16 q Papuasia Nuova Guinea 0,15 q

Germania 0,01 q

Fonte: COEWEB, 2006, nostra elaborazione

Tartufi conservati

La prima osservazione sul commercio estero di tartufi conservati, è che le quantità sono molto più

elevate che nel caso dei freschi: nel 2005 si sono raggiunti i 231 quintali. Il prezzo è nettamente

inferiore ed il numero di paesi partner si riduce da 22 a 16.

I paesi in cui l’Italia ha esportato di più nel 2005 sono Hong Kong – quasi 115 quintali – e la

Francia – poco meno di 60 quintali; gli altri paesi partner restano sotto la soglia dei 20 quintali (fig.

3).

Il Regno Unito, la Spagna e la Svizzera hanno pagato i prezzi più alti ad ettogrammo, circa 20 euro,

contro gli 0.15 euro pagati ad Hong Kong. In questo caso, come nel precedente, i fattori che

influiscono sui prezzi sono la specie di tartufo, ma anche la tipologia di confezionamento,

indirizzato all’ingrosso o al dettaglio.

L’importazione di tartufi conservati, nel 2005, è stata ridottissima: l’unico paese da cui l’Italia ha

acquistato è la Germania; la quantità scambiata è irrisoria (15 chilogrammi) ma il prezzo è

assimilabile alla fascia più elevata, se confrontato con l’esportazione: 20 euro ad ettogrammo.

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91

Figura 3. Esportazione in quantità di tartufi conservati, 2005

49%

Hong Kong 114,58 q Francia 59,41 q Germania 15,91 q

Stati Uniti 14,50 q Altri 13,50 q Regno Unito 3,73 q

Svizzera 3,69 q Paesi Bassi 2,67 q Canada 2,56 q

Fonte: COEWEB, 2006, nostra elaborazione

9.2 Il mercato nazionale

Mentre i dati ufficiali dell’import-export si basano sui documenti doganali e danno quindi una

buona approssimazione dei fenomeni, i dati relativi alla produzione sono viziati dalla già citata

riservatezza degli operatori.

Può essere quindi interessante utilizzare dati provenienti da studi precedenti, anche se non così

omogenei.

Nel 1996 fu effettuato uno studio da alcuni ricercatori australiani sul comparto tartuficolo di paesi

tradizionalmente produttori come l’Italia, per comparare ed analizzare le proprie potenzialità

produttive, permette di ottenere informazioni relative alla produzione di tartufo nero pregiato (T.

melanosporum) in Italia tra il 1970 ed il 1993 (fig. 4). Come si può osservare nel grafico, la

produzione presenta dei picchi considerevoli fino alla fine degli anni ’70 per poi diminuire; quindi,

almeno per quanto concerne il tartufo nero pregiato, la produzione sul principio degli anni ’90 è

andata assestandosi su valori tendenzialmente al di sotto dei 400 quintali.

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92

Figura 4. Produzione totale annua di Tuber melanosporum in Italia, 1970 – 1993

0

200

400

600

800

1000

1200

70 72 74 76 78 80 82 84 86 88 90 92

Anno

Qu

inta

li

Fonte: Stahle, Ward, 1996

I dati ufficiali dell’ISTAT sulla produzione di tartufo sono pubblicati sugli Annuari dell’Agricoltura

e per il periodo 1996 - 2000 considerano tutte le specie di tartufi insieme; osservando i dati riportati

in tabella 1 si può notare come, alla fine degli anni ’90, la produzione tartuficola, a parte la forte

flessione verso il basso nel 1998, si sia sostanzialmente mantenuta costante. Il fatto che i

quantitativi siano nettamente più alti rispetto a quanto osservato tra il 1970 ed il 1993 dagli autori

australiani, può essere imputato al conteggio congiunto di tartufi bianchi e neri.

Tabella 1. Produzione di tartufi in Italia (1996 – 2000)

Anno Produzione [q]

1996 946.58

1997 856.81

1998 632.90

1999 864.79

2000 979.13

Nostra elaborazione, dati ISTAT, 1999-2005

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93

Volendo approfondire l’esame della produzione nazionale, si possono fare delle osservazioni

relative alla distribuzione regionale (fig. 5): è subito evidente che la Regione Umbria detiene il

primato produttivo nazionale per gli anni considerati; infatti, ad esclusione dell’anno 1997, la

produzione umbra è sempre la più ingente. Seguono la Regione Abruzzo, dalla produzione un po’

più scarsa ma più costante nel tempo, e la Regione Marche, con quantitativi decisamente inferiori.

Tutte le altre Regioni prese in esame hanno soglie di produzione media annua inferiori ai 100

quintali.

Figura 5. Produzione di tartufi per Regioni maggiori produttrici, 1996 - 2000

0

50

100

150

200

250

300

350

400

450

Piemon

te

Emilia

Rom

agna

Tosca

na

Umbr

ia

Mar

che

Lazio

Abruz

zo

Moli

se

Campa

nia

Regione

Pro

du

zio

ne

[q] 1996

1997

1998

1999

2000

Fonte: ISTAT, 1999 – 2005, nostra elaborazione

A proposito dei dati sopra riportati, pare opportuno effettuare alcune considerazioni: è lecito

supporre che la produzione registrata dall’ISTAT faccia tendenzialmente riferimento alla quantità

che viene scambiata sui mercati, attraverso canali ufficiali e rilevabili. Poiché, come già detto, gli

scambi di tartufo avvengono prevalentemente fuori mercato, è lecito ipotizzare che i dati presentati

siano alquanto sottostimati rispetto al quantitativo totale circolante. Situazione che è ancor più

accentuata in Piemonte, dove si tratta prevalentemente il tartufo bianco. Si può quindi supporre che

i dati produttivi della nostra Regione manchino di una grossa parte rappresentata dal commercio di

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94

Tuber magnatum, fatto che potrebbe anche spiegare perché il Piemonte si trovi così indietro nella

classifica delle Regioni produttrici.

Un ulteriore approfondimento è stato condotto considerando i dati relativi al valore delle

produzioni appena considerate (fig. 6).

Figura 6. Valore medio delle produzioni delle Regioni maggiori produttrici

0

10

20

30

40

50

60

70

80

Piemon

te

Emilia

Rom

agna

Tosca

na

Umbr

ia

Mar

che

Lazio

Abruz

zo

Moli

se

Campa

nia

Regione

Val

ore

[€/

hg

]

Fonte: ISTAT, 1999 – 2006, nostra elaborazione

Il raffronto dei dati sulle quantità prodotte e quelli relativi ai valori permette di osservare come il

più alto rapporto valore-quantità sia proprio in Piemonte (fig. 6), dove il prezzo medio dei tartufi è

stato, tra il 1996 ed il 2000, pari a 72 euro per ettogrammo, contro i 21 euro ad ettogrammo della

Regione Marche. Le altre Regioni esprimono ciascuna un rapporto inferiore ai 20 euro ad

ettogrammo.

Tutto ciò porta a confermare l’ipotesi precedente che il mercato piemontese faccia riferimento quasi

esclusivamente al tartufo bianco, dal prezzo notoriamente molto elevato, al contrario delle altre

Regioni – molte del centro Italia – che trattano anche molti tartufi neri. Il prezzo di questi ultimi,

infatti, è pari a circa un terzo per il nero pregiato, e scende fino a un decimo, ed anche meno per le

altre specie(Brun et al., 2005)..

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In ogni caso, anche per la Regione Piemonte, il valore ad ettogrammo è significativamente

influenzato da specie meno pregiate, poiché il Tuber magnatum aveva ed ha tuttora un prezzo

decisamente più elevato di 72 euro per ettogrammo.

Come già detto, a partire dal 2002 l’ISTAT rileva tartufi bianchi e neri in modo disgiunto “in

quanto trattasi di produzioni simili sotto il profilo biologico, ma commercialmente molto diverse e

soprattutto in grado di esprimere valorizzazioni molto diverse” (ISTAT, 2006).

I dati indicano un sensibile aumento di produzione totale, con una netta prevalenza di tartufi

bianchi. Non è possibile avere dati differenziati fra i diversi tipi di Tuber appartenenti alla

medesima categoria – ad esempio fra Tuber melanosporum e Tuber aestivum , entrambi neri – ma

lo studio risulta comunque essere più agevole.

Per continuità logica con quanto fatto prima, i dati presentati sono nuovamente stati ripartiti per

regioni maggiori produttrici (fig.7).

Figura 7. Produzione di tartufi bianchi e neri per Regioni maggiori produttrici

Piemon

te

Emilia

Rom

agna

Tosca

na

Umbr

ia

Mar

che

Lazio

Abruz

zo

Moli

se

Campa

nia

0

50

100

150

200

250

300

350

400

Pro

du

zio

ne

[q]

Regione

Tartufi bianchi

Tartufi neri

Fonte: ISTAT, 2006, nostra elaborazione

L’osservazione del grafico permette di affermare che, anche in presenza di una rilevazione più

precisa, la “classifica” dei produttori non cambia di molto: sono infatti sempre Umbria, Abruzzo e

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96

Molise le regioni che hanno documentato la maggiore produzione. Il Piemonte resta in coda, con

produzioni di tartufi bianchi pari a 25 quintali e produzioni di neri sotto i 10 quintali.

Il raffronto dei dati sulla produzione con quelli sui valori (fig. 8) permette di confermare che in

Piemonte, tra i tartufi bianchi, si tratta soprattutto il Tuber magnatum – il rapporto valore-quantità

che presenta il Piemonte, è infatti di 69 €/ettogrammo – mentre le Regioni Emilia Romagna,

Marche e Toscana, evidentemente, vedono passare sui loro mercati tartufi bianchi di specie meno

pregiate (come il Tuber borchii) o comunque di qualità inferiore visto il prezzo medio unitario

molto più contenuto pari a 23-24 €/ettogrammo.

Figura 8. Valore delle produzioni di tartufi bianchi per Regioni maggiori produttrici, 2002

0

10

20

30

40

50

60

70

80

Piemon

te

Emilia

Rom

agna

Tosca

na

Umbr

ia

Mar

che

Lazio

Abruz

zo

Moli

se

Campa

nia

Regione

Val

ore

[€/

hg

]

Fonte: ISTAT, 2006, nostra elaborazione

L’analisi della situazione dei tartufi neri, riportata in fig.9, si presenta più articolata: innanzi tutto in

quanto in Italia è permesso commercializzare sei diverse specie i cui prezzi differiscono alquanto; in

secondo luogo i tartufi neri possono essere coltivati, ed in particolare di Tuber melanosporum e di

Tuber aestivum in alcune Regioni esistono un certo numero di tartufaie, fatto questo che comporta

una modifica dell’offerta. Tenendo conto di questi aspetti, si può comunque rilevare che le Regioni

Marche, Lazio, Umbria e Toscana, registrano i più alti valori di mercato dei tartufi neri, con prezzi

medi variabili fra 11 e 18 €/ettogrammo; la regione Piemonte si attesta su 6 €/ettogrammo. Questa

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97

disparità può dipendere sia dal fatto che prevalgano le specie di minor pregio, sia da più ridotte

quotazioni sul mercato locale dovute al fatto che la domanda è soprattutto di tartufo bianco.

Figura 9. Valore delle produzioni di tartufi neri per Regioni maggiori produttrici, 2002

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

Piemon

te

Emilia

Rom

agna

Tosca

na

Umbr

ia

Mar

che

Lazio

Abruz

zo

Moli

se

Campa

nia

Regione

Val

ore

[€/

hg

]

Fonte: ISTAT, 2002, nostra elaborazione

9.3 Il mercato piemontese

I dati a disposizione non permettono di analizzare il mercato in maniera strutturata e continuativa.

Il mercato principale per i tartufi all’ingrosso è quello di Asti: benché non sia il più grande e vi si

tratti in larga misura tartufo non piemontese7, è questo il luogo in cui, tradizionalmente, si fa il

prezzo del Tuber magnatum Pico nel nord Italia.

Gli altri mercati Piemontesi di particolare rilievo si svolgono presso Moncalvo, Murisengo ed Alba.

Le fonti disponibili permettono di descrivere l’andamento del mercato Piemontese nel decennio tra

il 1988 ed il 1997 con riferimento alle quantità scambiate (fig. 10), mentre con riferimento ai prezzi

possiamo studiare il periodo tra il 2002 ed il 2005 (fig. 11).

Per quanto riguarda i quantitativi trattati il mercato di Asti occupa sempre la prima posizione per i

maggiori quantitativi di tartufo bianco; seguito dalla voce “altri mercati” che include una somma di

luoghi. Un’altra parte piuttosto significativa fa riferimento ai volumi scambiati fuori mercato, 7 Sul finire degli anni ’90, «il rapporto tra tartufo bianco nostrano e tartufo “del Centro” scambiato in media stagionale al mercato di Asti è di 1 a 4». (Prosio, 1998)

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98

ovvero alle vendite che avvengono “porta a porta” tra privati: tali valori sono evidentemente frutto

di una stima, ma il loro peso sul totale resta piuttosto elevato.

Figura 10. Quantitativi di tartufi scambiati su alcuni mercati in periodo autunnale, 1988 – 1997

0

200

400

600

800

1.000

1.200

1.400

1988

1989

1990

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

Ch

ilog

ram

mi

Asti Moncalvo Murisengo Alba Altri mercati Fuori mercato

Fonte: Prosio, Dulla, 1998, nostra elaborazione

Tra le annate considerate il 1988 è stata sicuramente la più produttiva: anche se, all’epoca,

sembrava fosse la peggiore degli ultimi anni (Prosio, 1998), diventa eccezionale se paragonata alle

annate successive, le cui produzioni sono in rapporto con la precedente in misura di 1:1,7.

Quanto ai prezzi, considerando il prezzo medio stagionale rilevato durante tutto il decennio, si

osserva una leggera tendenza al calo, anche se, sostanzialmente, non si notano grossi scarti o ingenti

differenze (fig. 11).

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99

Figura 11. Prezzi dei tartufi, 1988 – 1997

0

50

100

150

200

250

300

350

1988

1989

1990

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

Anno

Eu

ro

Prezzo medio stagionale Prezzo medio ott-nov

Prezzo massimo stagionale

Fonte: Prosio, Dulla, 1998. nostra elaborazione

Per quanto concerne il periodo tra il 2002 ed il 2005, i dati reperiti sono strutturati in modo

differente dal caso precedente: non si hanno a disposizione i quantitativi scambiati sui mercati, ma

si ha la possibilità di studiare con maggiore dettaglio l’andamento delle quotazioni sul mercato di

Asti (fig. 12).

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100

Figura 12. Andamento del prezzo medio dei tartufi sul mercato di Asti nella stagione di raccolta (2003, 2004, 2005)

0

50

100

150

200

250

300

350

400

450

500

2003 2004 2005

Eu

ro

Al cercatore Al consumatore

Fonte: Camera di Commercio di Asti, 2006, nostra elaborazione

Innanzitutto il prezzo viene distinto a seconda dell’acquirente, commerciante o consumatore, (ad

eccezione dell’anno 2003) ed inoltre viene segnalata la pezzatura del tartufo suddiviso in medio –

piccolo (fino a 20/30 grammi) e medio –grande ( oltre 40 grammi).

I prezzi al commerciante sono mediamente più bassi di quelli al consumatore del 23%.

I prezzi al cercatore aumentano mediamente del 44% se si trattano pezzature più grandi rispetto a

pezzature più piccole; quelli al consumatore aumentano mediamente del 38%, ma si tratta di

aumenti meno regolari, cioè: i prezzi al consumatore risentono in maniera più forte della

disponibilità di pezzature più grandi (disponibilità che varia stagionalmente).

Tra il 2003 ed il 2005 i prezzi al cercatore sono stati fra i 100 ed i 350 euro ad ettogrammo, mentre

per il consumatore hanno oscillato fra i 150 ed i 430; da notare che i prezzi più elevati fanno

riferimento all’anno 2003, in cui si ebbe un’estate particolarmente siccitosa con conseguente scarsa

produzione di tartufi.

Volendo provare a trarre qualche conclusione è opportuno ribadire che il mercato mostra una parte

molto limitata del fenomeno tartufo, perché una parte molto grossa non vi transita. Per la quantità

che non viene scambiata sul mercato è, a nostro avviso, molto difficile stimare l’ammontare. Questa

precisazione va estesa ovviamente anche ai prezzi. Sicuramente il clima, ed in particolare la

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piovosità estiva, influenza le produzioni, sia come quantità sia come qualità (pezzature) e quindi il

prezzo, che subisce forti oscillazioni anche nel corso di una stessa stagione di raccolta in relazione

alla disponibilità di prodotto. Sul mercato piemontese circola anche prodotto proveniente da altre

Regioni e dall’estero, ma in un contesto di totale non trasparenza del mercato, l’aumento di quantità

non ha alcun effetto positivo sul prezzo. Sembra che i flussi siano regolati dagli operatori presenti in

modo da soddisfare la domanda al minimo, mantenendo un prezzo elevato. Tutti gli operatori del

comparto – cercatori, commercianti, trasformatori - sono concordi nel dire che la domanda sui

mercati è costante o in leggero aumento, ma che l'offerta è in calo. Il che non può far altro che

mantenere la fama di prodotto di lusso con prezzi molto elevati.

9.4 Bibliografia

• Brun F., Mosso A., Xausa E. (2005): I funghi commestibili d’eccellenza: analisi delle produzioni tartuficole in Piemonte, con particolare riferimento agli aspetti economici – 2005, Regione Piemonte

• ISTAT (1999): Statistiche dell’agricoltura 1996, ISTAT • ISTAT (2000): Statistiche dell’agricoltura 1997, ISTAT • ISTAT (2001): Statistiche dell’agricoltura 1998, ISTAT • ISTAT (2002): Statistiche dell’agricoltura 1999, ISTAT • ISTAT (2005): Il valore della moneta in Italia dal 1861 al 2004, ISTAT • ISTAT (2005): Statistiche dell’agricoltura 2000, ISTAT • ISTAT (2006): Statistiche dell’agricoltura 2001-2002, ISTAT • Prosio G., Dulla G. (1998): Il tartufo – 10 anni di borsa, Editrice Monferrato • Stahle P.P., Ward D. (1996): Evaluation of the potential of growing Tuber melanosporum as

a crop on mainland Australia for export and domestic consumption

Siti internet consultati

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102

10. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Lo studio sul settore tartuficolo piemontese è stato sviluppato mantenendo separate le due specie

Bianco e Nero, in relazione al fatto che il Bianco è solo frutto di raccolta del prodotto spontaneo,

mentre il Nero, sia pregiato che estivo, può essere oggetto di coltivazione. Peraltro in Piemonte,

salvo in qualche zona, quando si parla di tartufo ci si riferisce al Tuber magnatum Pico, cioè al

Bianco pregiato.

Le valutazioni economiche relative alle tartufaie coltivate sono state analizzate in riferimento a due

tipologie di impianto: una più intensiva per la produzione di Nero pregiato e una più estensiva per la

produzione di Nero estivo. Dalle valutazioni effettuate entrambe le ipotesi risultano convenienti. Va

segnalato a riguardo che, mentre i dati relativi agli impianti, e quindi i conseguenti costi, sono frutto

di esperienze dirette, quelli utilizzati per le produzioni provengono dalla letteratura e da impianti

fuori Regione e non da rilevazioni dirette, al momento non ancora disponibili, sulle piantagioni

realizzate nell’ambito del progetto. Questo aspetto, pur non inficiando i risultati ottenuti, deve

essere ricordato per completezza di informazione.

Sempre per quanto riguarda la filiera del Nero sono stati calcolati i costi di produzione delle

piantine micorrizate, in riferimento all’esperienza svolta nell’ambito del Progetto Verchamp presso

il Vivaio Forestale Regionale Gambarello. Tali costi sono risultati del tutto congruenti con i prezzi

attualmente praticati dai vivai privati che operano su questo mercato.

Al completamento della filiera del Nero ha contribuito l’indagine sull’industria di trasformazione

che ha confermato la capacità di tale settore di utilizzare commercialmente anche le specie di tartufi

meno pregiati, Scorzone, e le qualità inferiori di quelli di maggior pregio, Melanosporum e

Magnatum.

Complessivamente la coltivazione dei tartufi neri risulta quindi sostenibile anche dal punto di vista

economico, oltre che da quello tecnico.

Per quanto riguarda il Tartufo bianco, che, come detto, costituisce il maggior interesse per la nostra

Regione, le problematiche emerse sono di tuttaltro genere, in relazione al fatto che si tratta di un

prodotto spontaneo, al momento non coltivabile, la cui raccolta dipende da molteplici fattori, alcuni

difficilmente governabili, come ad esempio il clima.

Il settore del tartufo è connotato da una scarsa trasparenza, e la maggior parte degli operatori è

piuttosto reticente, quindi la conoscenza delle informazioni di mercato è alquanto difficoltosa. Le

stesse informazioni ufficiali disponibili sono poco attendibili infatti, in linea di massima, si

riferiscono alla transazioni avvenute sui mercati, ma, come è noto, le compravendite di tartufo

avvengono prevalentemente al di fuori degli stessi. Non va dimenticato che i cercatori possono

legalmente cedere il prodotto trovato senza alcuna documentazione fiscale. In questo contesto

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103

diventa alquanto difficile persino stimare il quantitativo di tartufo bianco “cavato” in Piemonte. Si

aggiunga che nella nostra Regione viene anche commercializzato prodotto proveniente da altre

Regioni italiane e dall’estero. L’ultimo dato ufficiale disponibile riferito al 2002 (ISTAT, 2006)

parla di 25 q di Bianco e di 10 q di Nero: è presumibile che tale dato si riferisca al solo prodotto che

transita sui mercati, e quindi come tale sia alquanto sottostimato.

Si ritiene che una possibile strada per quantificare la produzione piemontese potrebbe partire dal

numero di cercatori: quelli ufficiali, cioè abilitati alla cerca, avendo sostenuto l’esame e pagato il

tesserino annuale, sono attualmente circa 4.000, ma si stima che ce ne siano almeno altrettanti

“abusivi”. L’indagine svolta presso alcuni cercatori ha permesso di definire delle tipologie: il

cercatore professionale, cioè colui che essendo pensionato può dedicarsi alla cerca, nei periodi

produttivi, anche continuativamente; quello semi-professionale, che avendo un lavoro può

raccogliere tartufi per un tempo più limitato; ed infine l’hobbista che si dedica alla cerca in modo

più estemporaneo e con obiettivi non di mercato. E’ ovvio che i quantitativi trovati sono in una certa

misura collegati al tempo dedicato alla cerca.

Sul fronte della domanda l’indagine svolta presso alcune Fiere ha evidenziato una certa riservatezza

anche dei consumatori di questo prodotto; nonostante alcune difficoltà, è stato possibile verificare

che gli scambi realizzati riguardano, per i casi esaminati, quantità e pezzature non particolarmente

significative. La sensazione che si è tratta dalle Fiere frequentate è che anche questo mercato al

dettaglio funzioni come quello all’ingrosso, ossia il prodotto sia scambiato prevalentemente al di

fuori delle contrattazioni ufficiali. La Fiera, con le sue manifestazioni collegate, svolge funzioni di

immagine, di richiamo e di vetrina, ma le vendite significative avvengono altrove. D’altronde le

Fiere nel loro complesso, pur essendo intitolate al tartufo, lo vedono collocato quasi sempre in una

posizione secondaria come quantità di spazio ad esso dedicato. Inoltre riescono ad attrarre grandi

numeri di persone, ma per periodi di permanenza molto brevi – visita in giornata – e caratterizzati

da ridotti consumi al di fuori della Fiera.

Queste prime risposte, che richiederebbero ulteriori approfondimenti ed estensioni, consentono

alcune riflessioni, in particolare sulla organizzazione e gestione degli eventi fieristici. Si ritiene, ad

esempio, che una riduzione del numero di fiere attraverso una loro razionalizzazione potrebbe avere

ricadute positive. Infatti attualmente accade che si verifichino da un lato sovrapposizioni, dall’altro

che, presso Fiere che durano un’unica giornata, l’affollamento sia tale da rendere non facilmente

fruibile l’evento. Una proposta potrebbe essere una Fiera di zona, che riunisca un certo numero di

Comuni (4-6), con una durata indicativa di due fine settimana, con eventi - quali cerca, gare,

seminari informativi - sparsi sull’intero territorio interessato.

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104

Dall’indagine svolta presso i cercatori è emerso inoltre che, a differenza del passato, attualmente

tutti raccolgono anche i tartufi meno pregiati, in quanto l’interesse complessivo per il prodotto ne

consente una buona collocazione mercantile.

Un’altra caratteristica peculiare del mercato dei tartufi è la forte fluttuazione dei prezzi nel corso

della stagione, in dipendenza della quantità presente. Il legame tra prezzo e quantità su un mercato

non avrebbe nulla di particolare, se non per le dimensioni che assume nel caso specifico: nel corso

del periodo di raccolta 2006 dello scorzone si è passati da valori di 5 €/hg a luglio, in

corrispondenza di buona disponibilità di prodotto, a prezzi di 20 €/hg a fine settembre, quando le

quantità offerte erano minori e la domanda rilevante. Le variazioni di prezzo sono ancora più

sensibili per il Bianco pregiato, dove gioca anche la pezzatura del singolo tartufo.

Nel complesso però la situazione informativa rispetto ai prezzi è piuttosto buona, anche grazie ai

servizi on-line offerti da diversi operatori sia pubblici che privati.

Per contro si ritiene che potrebbero essere sviluppate azioni volte a garantire la provenienza del

tartufo visto che, come noto, nella nostra Regione oltre al prodotto autoctono ne circola molto di

svariate provenienze.

Sempre per quanto riguarda il Bianco pregiato, da più parti è stato segnalato come la produzione sia

in costante diminuzione, in dipendenza dai cambiamenti climatici, dall’elevato numero di cercatori

– soprattutto in alcune zone -, dalle mutate pratiche agricole, tra queste ultime va segnalato

l’abbattimento di molte piante anche in zone tartuficole. Su questo ultimo punto si potrebbero

concentrare alcuni interventi volti a conservare e, ove possibile a ripristinare, un patrimonio

arboreo, che, se di per se stesso non è in grado di garantire la produzione di Tuber magnatum, ne

costituisce però una base indispensabile.

Senza voler affatto diminuire l’importanza di questo prodotto e le ricadute economiche locali che

sono rilevanti, tuttavia esso appare, nel complesso, più legato agli aspetti di immagine e di capacità

di attrazione per il territorio. Come confermato dal fatturato che rappresenta il 2-3 per mille del

fatturato agricolo regionale. Di qui la notevole rilevanza delle Fiere, delle manifestazioni collegate

e di tutto ciò che unisce il tartufo al proprio territorio.

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105

BIBLIOGRAFIA

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• De Borch (1780): Lettres sur les truffes du Piémont écrites par Mr. le Comte de Borch en

1780

• De Bosredon A., (1887): Manuel du trufficulteur

• De Bosredon A., (1902): Almanach du trufficulteur

• I.P.L.A. S.p.A. (2001): Manuale di tartuficoltura – Le possibilità di coltivazione del tartufo

in Piemonte, I.P.L.A. S.p.A.

• IPLA (2001): Manuale di tartuficoltura - Le possibilità di coltivazione del tartufo in

Peimonte,IPLA S.p.a.

• Kiefer (1887): Culture de la truffe

• Mamoun M., Olivier J.M. (1993): Competition between Tuber melanosporum and other

ectomycorrhizal fungi under two irrigation regimes, Plant and Soil, vol. 149, n. 2.

• Mattirolo O., (1908): Proposte intese a promuovere la coltivazione dei tartufi in Italia,

Annuali della Regia Accademia di Agricoltura di Torino, vol. LI

• Mercurio R., Minotta G. (2000) Arboricoltura da legno, Clueb

• Micheli P.A., (1729): Nova plantarum genera

• Pennier de Longchamp, (1766): Dissertation physico-medicale, sur les truffes et sur les

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106

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5&Itemid=29

• http://www.alta.it/news.jsp?ID=100

• http://www.borsamerci.mn.it/listino/listino.jsp?cat=12&l=100&nocache=1154162149106&l

ist=284&sid=null

• http://www.kuhn.it/internet/webit.nsf/wFramed/PEBE-5CYDH9-Guide-d-

achat?OpenDocument

• http://www.unima.it/module-quotazioni.phtml

• http://www.at.camcom.it/Tool/PriceList/Single/view_html?id_price=5

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E INGEGNERIA AGRARIA, FORESTALE E AMBIENTALE,

SEZIONE DI ECONOMIA E POLITICA AGRARIA Via Leonardo da Vinci, 44 – 10095 – GRUGLIASCO (TO)

Tel. 011.670.8634/ 8623– Fax 011.670.8639

ASSESSORATO SVILUPPO DELLA MONTAGNA E FORESTE, OPERE PUBBLICHE, DIFESA DEL SUOLO [email protected]

Corso Stati Uniti, 21 - TORINO Tel 011/432.1631 Fax 011/432.3451

Direzione Regionale Economia Montana e Foreste [email protected]

C.so Stati Uniti, 21 - TORINO Tel. 011.432.1485 Fax 011.432.2941

Settore Gestione delle Attività Strumentali per l’Economia Montana e le Foreste [email protected]

C.so Stati Uniti, 21 - 10128 TORINO

Referenti: Flavia Righi, Maria Amato Giordana

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IL SETTORE TARTUFICOLO PIEMONTESE:ANALISI ECONOMICA DELLE TARTUFAIE

COLTIVATE E APPROFONDIMENTI SUL MERCATODEI TARTUFI E DEI PRODOTTI DERIVATI

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E INGEGNERIA AGRARIA, FORESTALE E AMBIENTALE

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

DIREZIONE ECONOMIA MONTANA E FORESTE

SETTORE GESTIONE DELLE ATTIVITÀ STRUMENTALI PER L’ECONOMIA MONTANA E LE FORESTE

ALCOTRA INTERREG IIIA 2000-2006Alpi Latine COoperazione TRAnsfrontaliera Italia – Francia (Alpi)

PROGETTO COFINANZIATODALL’UNIONE EUROPEA

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

DIREZIONE ECONOMIA MONTANA E FORESTE

SETTORE GESTIONE DELLE ATTIVITÀ STRUMENTALI PER L’ECONOMIA MONTANA E LE FORESTE

ALCOTRA INTERREG IIIA 2000-2006Alpi Latine COoperazione TRAnsfrontaliera Italia – Francia (Alpi)

PROGETTO COFINANZIATODALL’UNIONE EUROPEA

OTTOBRE 2006

Livia Maistrelli, Angela Mosso

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E INGEGNERIA AGRARIA, FORESTALE E AMBIENTALE

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

DIREZIONE ECONOMIA MONTANA E FORESTE

SETTORE GESTIONE DELLE ATTIVITÀ STRUMENTALI PER L’ECONOMIA MONTANA E LE FORESTE

ALCOTRA INTERREG IIIA 2000-2006Alpi Latine COoperazione TRAnsfrontaliera Italia – Francia (Alpi)

PROGETTO COFINANZIATODALL’UNIONE EUROPEA

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SETTORE GESTIONE DELLE ATTIVITÀ STRUMENTALI PER L’ECONOMIA MONTANA E LE FORESTE

ALCOTRA INTERREG IIIA 2000-2006Alpi Latine COoperazione TRAnsfrontaliera Italia – Francia (Alpi)

PROGETTO COFINANZIATODALL’UNIONE EUROPEA