DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE - Piazzetta Cariati, 2 · zioni dei due volumi, quali «Via crucis» di...

108

Transcript of DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE - Piazzetta Cariati, 2 · zioni dei due volumi, quali «Via crucis» di...

2 –

DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE - Piazzetta Cariati, 280132 NAPOLI - Telef. (081) 414.946.E-mail: [email protected]

DIREZIONE:Fabio Ciaramelli - Pasquale Colella (coordinatore) - NicolaIasiello - Domenico Jervolino - Ugo Leone - Ugo M. OlivieriMario Rovinello

REDAZIONE:Maria Rosaria Abignente - Giuseppe Avallone - Piero BelliniGiovanni Benzoni - Gerardo Capone - Nicola ColaianniFrancesco Saverio Festa - Paolo Hermann - Carlo AlbertoPagnoni - Luigi Parente - Alessandro Parrella - Lucio PirilloMario Porzio - Andrea Proto Pisani - Adriana ValerioFrancesco Zanchini.

Redazione di Roma - Via S. Anselmo, 2 - 00153» » Avellino - Via Tagliamento, 2/4 - 83100» » Bari - Via Carlo Pagano, 28 - 70123» » Ferrara - Via Cappuccini, 41 - 44100» » Venezia - Santa Croce 2316 - 30135

Direttore Responsabile: R. RICCARDIReg. Tribunale di Napoli n. 1712 del 30-6-1964ISSN 0495-2219Rivista associata al Cric (Coordinamento Riviste Italianedi Cultura)

Condizioni di abbonamento:Ordinario Euro 55 - Estero e Enti Euro 70 -Sostenitore Euro 100 - Un numero Euro 15- Doppio e Arretrato Euro 20 - Versamento sulccp 25801804 intestato a «il tetto».

La collaborazione alla rivista è gratuita. Ognicollaboratore assume la responsabilità deisuoi scritti.

Divieto di riprodurre in tutto o in parte gli articolisenza citarne la fonte.

Il pagamento dellʼIva è incluso ai sensi degliartt. 1, 31, 71, 74 legge 26 ottobre 1972 n. 633e succ. mod.

SOMMARIO N. 310

NOVEMBRE-DICEMBRE 2015

5 Nota della Direzione

EDITORIALE

6 Pasquale Colella, Ancora sulla Riforma della Chiesa

CHIESA

13 Andrea Proto Pisani, Diritti e doveri per la conservazione della«casa comune»

25 Cesare Milaneschi, Luigi Prota Giurleo. Riforma ecclesiale e mi-litanza politica

NAPOLI E IL MEZZOGIORNO

36 Ugo Leone, Se sei mesi

SOCIETÀ CIVILE

Dossier Costituzione40 Ugo Olivieri, Introduzione42 Luciana Castellina, La lunga erosione della democrazia47 Alessandro Pace, Le ragioni del no55 Domenico Gallo, La profezia nera di Cossiga58 Il coordinamento per la democrazia costituzionale61 Un’associazione per il NO

DOCUMENTI

66 Il Patto delle Catacombe di S. Gennaro dei Poveri

– 3

4 –

Se siete interessati a ricevere le comunicazioni di iniziative e di attivitàda noi intraprese, forniteci il vostro indirizzo mail scrivendo a

[email protected]

SEGNALAZIONI

69 Mario Gaetano Fabrocile, Morte di André Glucksmann71 Paola Pariset, Mario Sironi e le illustrazioni per ‘il Popolo d’Ita-

lia’74 Antonio Piscitelli, «L’onda ‘lunga’ della libertà»82 Scuola di Pace, Luci nel buio. Testimoni della nonviolenza del

’900

84 LIBRI

99 QUESTIONARIO

102 INDICE ANNATA (LII)

NOTA DELLA DIREZIONE

Ringraziamo quanti hanno collaborato rispondendo alnostro invito di mettersi in regola con l’abbonamento o, co-munque, di disdirlo, se non si desiderava più ricevere la ri-vista.

A tutti coloro che non hanno dato nessuna risposta, posi-tiva o negativa, ricordiamo che questo è l’ultimo numero chericeveranno, se non verseranno la quota di abbonamentoentro il 15 febbraio. Ci dispiace, ma gli alti costi di gestionenon ci consentono di fare altrimenti.

Come si legge nella seconda di copertina le quote sono ri-maste invariate anche per il 2016.

Troverete nelle ultime pagine del fascicolo un Questiona-rio, compilato dal nostro amico e collaboratore Renato Cervo,che vi invitiamo a restituirci nel più breve tempo possibileutilizzando il nostro indirizzo email ([email protected]).Chi ne fa richiesta riceverà telematicamente il modulo. Al-trimenti si possono usare il fax (081 414946) o la posta or-dinaria (P. tta Cariati, 2. 80132 Napoli).

La vostra collaborazione ci è preziosa per orientare e so-stenere il lavoro del comitato direttivo in questa fase di rior-ganizzazione della rivista e dell’Associazione.

Infine vi invitiamo tutti a versare in tempo la quota diabbonamento per il 2016, meglio ovviamente quello straor-dinario, ed a collaborare inviandoci osservazioni, consigli econtributi sui temi proposti e dibattuti dalla rivista.

– 5

ANCORA SULLA RIFORMA DELLA CHIESA

Continuando le riflessioni già aperte nel numero 308-309de il tetto sembra opportuno soffermaci sugli ultimi tre mo-menti di questo processo: il viaggio di Papa Francesco inAmerica Latina nell’ultima decade di settembre 2015 in-centrato sugli incontri a Cuba e poi in USA, viaggio che èstato ampio di nuove prospettive; lo svolgimento del Sinodostraordinario dei vescovi svoltosi nell’ottobre 2015; il viag-gio a Prato ed a Firenze del novembre scorso in occasionedel decennale convegno nazionale della Chiesa italiana. Talieventi infatti sono nella loro diversità significativi ed apertiad un cammino difficile, ma denso di speranze e di sviluppi.

A Cuba, infatti, Papa Francesco non solo ha confermatola necessità di porre fine definitiva a tutte le forme di cen-sure e di condizionamenti ma ha rivendicato non solo ilfatto di avere operato per il loro superamento, in passatoposti in essere dagli Stati Uniti, ma ha portato avanti concoraggio un colloquio ed un confronto aperto con i dirigenticubani; tale incontro, che va oltre quanto si era già iniziatocon le visite di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, va ol-tre a tali risultati in quanto si è ritenuto possibile prospet-tare in concreto un dialogo fecondo ed innovatore tra laChiesa Cattolica ed il governo cubano. Tale dialogo non èsolo una «actio finium regundorum» ma vuole essere qual-cosa che possa dare vita ad una convivenza tra diversi cheriesca a scoprire le possibilità di convergenze fondate sulfatto che quello che può unire è molto più di quello che di-vide. Non a caso Papa Francesco ha parlato dei problemi

6 –

EDITORIALE

della vivibilità, dell’esigenza di rendere la vita degli uominipiù conforme alla loro dignità e soprattutto si è soffermatosu quei problemi che costituiscono il centro dell’Enciclica«Laudato si…», problemi che esigono che tutti operino perrendere il nostro pianeta più vivibile e capace di superare ipericoli che possono giungere a mettere in discussione l’e-sistenza stessa della terra. I colloqui tra Papa Francesco eRaoul Castro, l’incontro del papa con Fidel Castro, i discorsirivolti ai fedeli della Chiesa che è in Cuba, sono tutti mo-menti significativi che indicano che il dialogo va avanti eche può dare frutti fecondi che vanno oltre l’ambito dei rap-porti bilaterali; in tal senso il viaggio a Cuba è un evento chesegna il perseguimento del «bene comune».

Il viaggio negli Stati Uniti rappresenta una tappa ulte-riore tanto più significativa dal momento che molti ostacoliesistevano, ostacoli che sussistevano nella stessa Chiesa Cat-tolica statunitense circa la possibilità di perseguimento di fi-nalità comuni.

I discorsi tenuti poi innanzi al Congresso unificato degliUsa e all’assemblea generale dell’Onu del 24-25 settembre2015 ci sembrano rilevare che il papa ha voluto indicare atutti un cammino che si deve portare avanti insieme. Chie-dere anzitutto l’abolizione della pena capitale che ancorasussiste in tanti paesi e parzialmente anche in molti statidegli Stati Uniti, significa affermare che le punizioni giustee necessarie non devono mai escludere le dimensioni dellasperanza e delle riabilitazioni; in secondo luogo invitando anon avere paura degli stranieri ed a non lasciarsi impres-sionare dal loro numero e dalla quantità del fenomeno mi-gratorio, il papa ha osservato che tali richieste devono es-sere affrontate insieme e da tutti perché «noi stessi per lamaggior parte siamo stati tutti stranieri ed io stesso sonostato migrante». In terzo luogo Papa Francesco ha affer-mato l’esigenza di proteggere comunque la libertà religiosa,quella di opinione e le libertà personali superando ogni tipo

– 7

di fondamentalismi ed «in primis» quello religioso che innome della religione ha giustificato e dato vita a tante e sva-riate forme di oppressione e di violenza.

Nel discorso tenuto, dietro invito ufficiale, all’assembleagenerale delle Nazioni Unite, Papa Francesco non solo ha ri-badito che il pluralismo ed il dialogo sono essenziali allaconvivenza ed allo sviluppo ma propone un dialogo di spe-ranza per tutti rivendicando non solo primati bensì met-tendo in luce la necessità che nessuna divisione possa sus-sistere a causa ed in nome di Dio, ritenendo che la Chiesa èparte di tutto; infatti ciò comporta che la Chiesa deve con-vivere nella differenza con tutte le altre religioni e le altrecomunità senza pretendere di essere l’unica Arca della sal-vezza soggiungendo poi che l’essere in ogni modo cristianinel mondo non ci esonera dal chiedersi «che cosa posso edevo fare io?»(cfr. al riguardo Raniero La Valle, I poveri par-lano all’Onu, in «Rocca», 15 ottobre 2015, n. 20, 16-18).

Concludendo queste riflessioni sul viaggio si può direche esso trascende il successo immediato e soprattutto cimostra un papa che vuole procedere nelle riforme, che nonsi arresta di fronte alle difficoltà anche se ritiene di andareavanti sia pure gradualmente.

Il secondo evento riguarda il Sinodo straordinario che faseguito a quello ordinario dello scorso aprile. A questo pro-posito ci sembra opportuno attendere la pubblicazione deltesto definitivo e conclusivo che il Papa dovrà emettere ondefar sì che ci sia una valutazione serena ed anche critica-mente fondata sull’esame di tutti i lavori. Tuttavia sembraopportuno formulare alcune brevi riflessioni; anzitutto inprimo luogo va rilevata la presenza costante di Papa Fran-cesco a tutti i lavori del sinodo, considerando la novità dellapartecipazione quotidiana di un pontefice ed il rispetto dellediversità di opinioni: Ci sembra a tal proposito importanteche la partecipazione del papa non ha condizionato nean-che i tentativi interni ed esterni, anche se spesso assai di-

8 –

scutibili, espressi pure in forme grevi ed in qualche caso in-timidatorie; il papa infatti ha affermato che le chiusure nonhanno vinto e che i termini «discernimento e misericordia»non solo esprimono che il rinnovamento non è bloccato eche la collegialità si realizza faticosamente ma soprattuttoci dicono che in definitiva «solo il Vangelo sine glossa èquello che è definitivo» anche se silenzi e stemperamentinon intaccano il primato della coerenza e della libertà comeespressamente indicato dal circolo di lingua tedesca.

Ci sembra perciò, senza indulgere a facili ottimismi, dipotere dire che la via della gradualità sollecita tutti ad an-dare avanti ed a superare cristallizzazioni ed arroccamentispiacevoli; Tali avvenimenti precedenti ed a volte tentati an-che durante il corso dei lavori sinodali non sono riuscitinemmeno ad isolare ed a rinviare i punti più controversi dialcune questioni relativi al matrimonio ed la diritto di fa-miglia né hanno bloccato la necessità delle riforme proprioperché «Ecclesia est semper reformanda».

Infine una riflessione ulteriore scaturisce anche daglieventi scandalistici post-sinodali, eventi che peraltro datempo covavano e che sono esplosi come ulteriore tentativodi usare ogni mezzo ed ogni misura per contestare e tentaredi bloccare le novità di questo pontificato.

In merito si rileva che la fuga di notizie e la pubblica-zioni dei due volumi, quali «Via crucis» di Gian Luigi Nuzzie «Avarizia» di Emiliano Fittipaldi, indicano chiaramente«l’esistenza di una rete internazionale che trama controPapa Francesco» (cfr. al riguardo Marco Ansaldo in «la Re-pubblica», 9 novembre 2015, p. 12); come bene ha scrittopadre Spadaro, direttore di «La Civiltà Cattolica», si regi-strano in questi giorni di novembre tentativi di contesta-zione che hanno superato ogni limite anche se è pur veroche la rozzezza degli interventi e dei mezzi usati con l’uso ditante scorrettezze ed ambiguità sono stati addirittura con-troproducenti e tali ad non arrestare il processo di rinnova-

– 9

mento ed anche le faticose riforme in atto della Curia ro-mana. Giustamente, come hanno scritto fra i tanti AgostinoGiovagnoli (in «la Repubblica», 8 novembre 2015, pp. 24ss.) e soprattutto Andrea Riccardi (nell’intervista resa a «IlMattino», 9 novembre 2015), i vari tentativi dimostrano chel’autoconservazione non arresta il cambiamento ma ci per-mette di dire che «Papa Francesco ha spiazzato tutti, nontace ed anzi accetta la sfida e non si arresta». Il papa, in-fatti, con la sua consueta fermezza, senza fare vittimismipur considerando severamente le resistenze e le connivenzeprovenienti dalla Curia romana ed anche da persone sceltedal papa stesso rivelatesi infide, ci conferma che la via dellariforma va avanti.

Papa Francesco nella omelia tenuta a Santa Marta il 6novembre 2015 ha affermato con sincerità e rammarico che«nella Chiesa ci sono questi che invece di servire e di pen-sare agli altri si servono della Chiesa: gli arrampicatori, gliattaccati ai soldi e quanti, sacerdoti, vescovi, religiosi, laici,abbiamo visto così?»(in «L’Osservatore Romano», 6 no-vembre 2015); successivamente di fronte all’allargarsi difatti spiacevoli e di speculazioni scandalistiche il papa, nel-l’Angelus Domini dell’8 novembre 2015 ha affrontato il fattodella sottrazione dei documenti vaticani e della loro diffu-sione fatta anche attraverso la pubblicazione di atti com-piuti da parte di coloro che hanno ricevuto i documenti sot-tratti e rubati. Papa Francesco al riguardo si è così espresso:«il triste fatto doloroso non distoglie certamente la Chiesadal lavoro di riforma che si sta portando avanti con i mieicollaboratori e con il sostegno di tutti voi, con il sostegno ditutta la Chiesa perché la Chiesa si rinnova con al preghierae la santità quotidiana di tutti i battezzati andando avanticon fiducia e speranza»; il papa inoltre non ha mancato dirilevare che la sottrazione dei documenti rubati «non è soloun peccato grave ma il peccato grave costituisce anche un

10 –

reato penale» che riguarda non solo la chiesa ed il dirittocanonico.

Il papa non si arresta e così a Firenze soggiunge comeindicazione rivolta a tutta la comunità ecclesiale: «non dob-biamo essere ossessionati dal potere, anche quando prendeil volto di un potere utile e funzionale all’immagine socialedella Chiesa. Preferisco una Chiesa accidentata, ferita esporca per essere uscita per le strade piuttosto che unaChiesa malata per la chiusura e le comodità di aggrapparsialle proprie sicurezze; non voglio una Chiesa preoccupata diessere il centro e rinchiusa in un groviglio di ossessioni»(cfr.«L’Osservatore Romano», 9 novembre 2015, ed al riguardoanche tra i tanti: Agostino Giovagnoli, Il cambiamento den-tro la Chiesa, in «la Repubblica», 8 novembre 2015, p. 24 esoprattutto Enzo Bianchi, La chiesa e il nuovo umanesimo,in «La Stampa», 8 novembre 2015, p. 29).

Senza andare oltre sui problemi che certi eventi provo-cano e senza prestare il fianco a speculazioni opportunisti-che riteniamo che questi nostri sintetici rilievi sono espostinella consapevolezza di avere scelto solo alcuni eventi diquesti ultimi mesi e nel desiderio di contribuire al pacatosviluppo dello svolgimento degli eventi scaturenti da questescelte; riteniamo infatti che questi momenti cruciali, ivicompresi quelli spiacevoli, non ci possano scoraggiare inquanto il processo profetico di conversione si fonda anchesul fatto che il papa si fa garante guardando avanti con fi-ducia.

In conclusione, riteniamo che questi eventi sono positivie che in specie anche il Sinodo non è un fallimento ma at-traverso il discernimento è il primo passo di una gradualeevoluzione anche se forse ha potuto deludere sia pure im-mediate ed urgenti attese. L’opposizione minoritaria in de-finitiva non ha bloccato le riforme e tanto meno non ha in-timorito il Papa nel portare avanti il processo di rinnova-mento. Come ci ricorda San Paolo nella lettera a Tito (2,11-

– 11

12) il Papa «crede fermamente che nulla può contraddire ilcammino veramente cristiano di umanizzazione dell’uomoessendo la fede a servizio di questo processo dal momentoche «è apparsa la umanità di Dio che ci insegna a vivere inquesto mondo» e che si compie nella comunità degli uominie delle donne che nelle diversità vivono quotidianamentesviluppando quella sinodalità che ascolta, dialoga e risco-pre le sensibilità culturali di tutti e di ciascuno rispettan-dole ed armonizzandole «cum Petro et sub Petro» (cfr. al ri-guardo ancora Enzo Bianchi, op. cit.)».

Pasquale Colella

12 –

DIRITTI E DOVERI PER LA CONSERVAZIONEDELLA «CASA COMUNE»*

1. La pubblicazione sulla rivista di questa (mini) letturalaica dell’enciclica «Laudato sì» di papa Francesco dedicataal richiamo indifferibile dei valori riassunti dalle espressioni«ecologia» e « solidarietà», rende necessari alcuni chiari-menti.

Nelle «note minime» (su cristianesimo e giustizia, sullaequità, su Europa e sviluppo etc.) che negli ultimi cinqueanni ho chiesto alla direzione del Foro di pubblicare nellaparte V della rivista vi è una motivazione e una unità difondo. La profonda convinzione che nel difficile periodo chestiamo attraversando sia indispensabile per i giurista (equindi anche per le riviste giuridiche) di richiamare conenergia l’attenzione sui valori ultimi della nostra costitu-zione del 1948 (e delle varie carte internazionali dei dirittiai quali la parte verde della rivista dedica particolare im-portanza da oltre quarant’anni).

Limitandomi alla nostra Costituzione, mi sembra che ilsuo significato (almeno dei suoi principi fondamentali(artt.1a11) e di molti articoli della sua parte I(artt. 13a54))possa essere così sintetizzato: rispetto e promozione dellapersona nella prospettiva del valore la solidarietà politica,economica e sociale.

Questa consapevolezza deve essere alla base di qualsiasi

– 13

CHIESA

* Il testo sarà pubblicato anche su Foro Italiano.

ricostruzione giuridica (anche di quella a prima vista piùarida e tecnica). Come tale essa di tanto in tanto deve es-sere ricordata ai c.d. operatori giuridici. Per questo è op-portuno di tanto in tanto dare sfogo a questi concetti-val-vola, a questi veri e propri polmoni racchiusi nella nostraCarta fondamentale.

Non è certo il caso di richiamare qui e ora tutti questiconcetti o principi giuridici. È sufficiente pensare all’arti-colo 2 e al suo riferirsi ai «doveri inderogabili di solidarietàpolitica, economica e sociale»; all’articolo 3 secondo commae al suo richiamo al «pieno sviluppo della persona umana»;all’articolo 4, secondo comma e al suo affermare il dovere diogni cittadino di svolgere un’attività che concorra al pro-gresso materiale e spirituale della società; all’articolo 9, se-condo comma che tutela beni comuni quali il paesaggio e ilpatrimonio storico e artistico; ancora al comb.disp.artt.9,secondo comma e 32,primo comma che tutela l’ambiente;agli artt.10, primo comma e 11 che evidenziano la prospet-tiva sovranazionale di tali valori o principi giuridici; agliartt. 41,secondo comma, e 42, secondo comma che indivi-duano nel rispetto della dignità umana i limiti indispensa-bili dell’iniziativa economica privata e della proprietà;etc.etc..

Sono quelli ora richiamati, valori universali; e non è uncaso che nella sua enciclica Papa Francesco al punto 157così si esprima: « Il bene comune presuppone il rispettodella persona umana in quanto tale con diritti fondamen-tali e inalienabili ordinati al suo sviluppo integrale.Esigejùanche i dispositivi di benessere e sicurezza sociale e lo svi-luppo dei diversi gruppi intermedi applicando il principio disussidiarietà «.

Con frasi come questa papa Francesco fa opera di giuri-sta? Io direi che egli, come in tutte le parti dell’enciclica cheabbiamo ritenuto opportuno riportare, si limita a dare linfa,a dare contenuto a quei principi (questi sì giuridici) della

14 –

nostra costituzione e di tanta altre carte di diritti a cui ac-cennavo all ‘inizio di questa breve premessa.

2. Prima di passare all’esposizione (breve) dell ‘enciclicaun ultimo rilievo.

Come è stato osservato (da Lucia Capuzzi) «le riflessioniecologiche di Francesco sono intimamente unite alla que-stione sociale. L’intima relazione tra i poveri e la fragilità delpianeta; la convinzione che tutto nel mondo è infinitamenteconnesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potereche derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi diintendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ognicreatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattitisinceri e onesti; la grave responsabilità della politica interna-zionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di unnuovo stile di vita, sono i punti cardine dell’enciclica».

* * *

1. …La nostra casa comune è anche come una sorella,con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madrebella che ci accoglie tra le sue braccia.

2. Questa sorella protesta per il male che le provochiamo,a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dioha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoiproprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla.

3. …Adesso, di fronte al deterioramento globale dell’am-biente, voglio rivolgermi a ogni persona che abita questopianeta.

8. …«Che gli esseri umani distruggano la diversità bio-logica nella creazione di Dio; che gli esseri umani compro-mettano l’integrità della terra e contribuiscano al cambia-mento climatico, spogliando la terra delle sue foreste natu-rali o distruggendo le sue zone umide; che gli esseri umaniinquinino le acque, il suolo, l’aria: tutti questi sono peccati».

– 15

Perché «un crimine contro la natura è un crimine contronoi stessi e un peccato contro Dio».

11. …Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambientesenza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se nonparliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezzanella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamentisaranno quelli del dominatore, del consumatore o del merosfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limiteai suoi interessi immediati.

13. …Desidero esprimere riconoscenza, incoraggiare eringraziare tutti coloro che, nei più svariati settori dell’atti-vità umana, stanno lavorando per garantire la protezionedella casa che condividiamo. Meritano una gratitudine spe-ciale quanti lottano con vigore per risolvere le drammati-che conseguenze del degrado ambientale nella vita dei piùpoveri del mondo. I giovani esigono da noi un cambia-mento.

15. Spero che questa Lettera enciclica, che si aggiungeal Magistero sociale della Chiesa, ci aiuti a riconoscere lagrandezza, l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si pre-senta.

16. …Questo riguarda specialmente alcuni assi portantiche attraversano tutta l’Enciclica. Per esempio: l’intima re-lazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzioneche tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica alnuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dallatecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’eco-nomia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; ilsenso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri eonesti; la grave responsabilità della politica internazionalee locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovostile di vita.

19. L’obiettivo non è di raccogliere informazioni o sa-ziare la nostra curiosità, ma di prendere dolorosa coscienza,osare trasformare in sofferenza personale quello che accade

16 –

al mondo, e così riconoscere qual è il contributo che cia-scuno può portare.

20. …La tecnologia che, legata alla finanza, pretende diessere l’unica so luzione dei problemi, di fatto non è in gradodi vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistonotra le cose, e per questo a volte risolve un problema crean-done altri.

21. …Molte volte si prendono misure solo quando sisono prodotti effetti irreversibili per la salute delle persone.

27. …Già si sono superati certi limiti massimi di sfrutta-mento del pianeta, senza che sia stato risolto il problemadella povertà.

29. Un problema particolarmente serio è quello dellaqualità dell’acqua disponibile per i poveri, che provocamolte morti ogni giorno. Fra i poveri sono frequenti le ma-lattie legate all’acqua, incluse quelle causate da microorga-nismi e da sostanze chimiche.

30. …L’accesso all’acqua potabile e sicura è un dirittoumano essenziale, fondamentale e universale, perché deter-mina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizioneper l’esercizio degli altri diritti umani. Questo mondo ha ungrave debito sociale verso i poveri che non hanno accesso al-l’acqua potabile, perché ciò significa negare ad essi il dirittoalla vita radicato nella loro inalienabile dignità.

43. Se teniamo conto del fatto che anche l’essere umanoè una creatura di questo mondo, che ha diritto a vivere e adessere felice, e inoltre ha una speciale dignità, non possiamotralasciare di considerare gli effetti del degrado ambientale,dell’attuale modello di sviluppo e della cultura dello scartosulla vita delle persone.

49. …Oggi non possiamo fare a meno di riconoscere cheun vero approccio ecologico diventa sempre un approccio so-ciale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sul-l’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto ilgrido dei poveri.

– 17

50. …Incolpare l’incremento demografico e non il con-sumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per nonaffrontare i problemi. Si pretende così di legittimare l’at-tuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede indiritto di consumare in una proporzione che sarebbe im-possibile generalizzare, perché il pianeta non potrebbe nem-meno contenere i rifiuti di un simile consumo.

52. …Bisogna rafforzare la consapevolezza che siamouna sola famiglia umana. Non ci sono frontiere e barrierepolitiche o sociali che ci permettano di isolarci, e per ciòstesso non c’è nemmeno spazio per la globalizzazione del-l’indifferenza.

53. …Si rende indispensabile creare un sistema norma-tivo che includa limiti inviolabili e assicuri la protezione de-gli ecosistemi, prima che le nuove forme di potere derivatedal paradigma tecno-economico finiscano per distruggerenon solo la politica ma anche la libertà e la giustizia.

56. Nel frattempo i poteri economici continuano a giu-stificare l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono unaspeculazione e una ricerca della rendita finanziaria che ten-dono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignitàumana e sull’ambiente. Così si manifesta che il degrado am-bientale e il degrado umano ed etico sono intimamente con-nessi. Molti diranno che non sono consapevoli di compiereazioni immorali, perché la distrazione costante ci toglie ilcoraggio di accorgerci della realtà di un mondo limitato e fi-nito. Per questo oggi «qualunque cosa che sia fragile, comel’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mer-cato divinizzato, trasformati in regola assoluta»

57. È prevedibile che, di fronte all’esaurimento di alcunerisorse, si vada creando uno scenario favorevole per nuoveguerre, mascherate con nobili rivendicazioni.

95. L’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tuttal’umanità e responsabilità di tutti. Chi ne possiede una parteè solo per amministrarla a beneficio di tutti. Se non lo fac-

18 –

ciamo, ci carichiamo sulla coscienza il peso di negare l’esi-stenza degli altri. Per questo i Vescovi della Nuova Zelandasi sono chiesti che cosa significa il comandamen to «non uc-cidere» quando «un venti per cento della popolazione mon-diale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazionipovere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisognoper sopravvivere»

101. …Vi è un modo di comprendere la vita e l’azioneumana che è deviato e che contraddice la realtà fino alpunto di rovinarla.

106. …L’intervento dell’essere umano sulla natura si è sem-pre verificato, ma per molto tempo ha avuto la caratteristicadi accompagnare, di assecondare le possibilità offerte dallecose stesse. Si trattava di ricevere quello che la realtà naturaleda sé permette, come tendendo la mano. Viceversa, ora ciòche interessa è estrarre tutto quanto è possibile dalle cose at-traverso l’imposizione della mano umana, che tende ad igno-rare o a dimenticare la realtà stessa di ciò che ha dinanzi.

Ciò suppone la menzogna circa la disponibilità infinitadei beni del pianeta, che conduce a «spremerlo» fino al li-mite e oltre il limite. Si tratta del falso presupposto che «esi-ste una quantità illimitata di energia e di mezzi utilizzabili,che la loro immediata rigenerazione è possibile e che gli ef-fetti negativi delle manipolazioni della natura possono es-sere facilmente assorbiti»

107. …Occorre riconoscere che i prodotti della tecnicanon sono neutri, perché creano una trama che finisce percondizionare gli stili di vita e orientano le possibilità socialinella direzione degli interessi di determinati gruppi di po-tere. Certe scelte che sembrano puramente strumentali, inrealtà sono scelte attinenti al tipo di vita sociale che si in-tende sviluppare.

109. …Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare ilproprio dominio anche sull’economia e sulla politica. L’e-conomia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del

– 19

profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenzenegative per l’essere umano. La finanza soffoca l’economiareale.

111. La cultura ecologica non si può ridurre a una seriedi risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentanoriguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle ri-serve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere unosguardo diverso, un pensiero, una politica, un programmaeducativo, uno stile di vita e una spiritualità che dianoforma ad una resistenza di fronte all’avanzare del para-digma tecnocratico. Diversamente, anche le mi gliori inizia-tive ecologiste possono finire rinchiuse nella stessa logicaglobalizzata. Cercare solamente un rimedio tecnico per ogniproblema ambientale che si presenta, significa isolare coseche nella realtà sono connesse, e nascondere i veri e piùprofondi problemi del sistema mondiale.

113. …Non rassegniamoci a questo e non rinunciamo afarci domande sui fini e sul senso di ogni cosa. Diversa-mente, legittimeremo soltanto lo stato di fatto.

114. …Nessuno vuole tornare all’epoca delle caverne,però è indispensabile rallentare la marcia per guardare larealtà in un altro modo, raccogliere gli sviluppi positivi e so-stenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i grandi finidistrutti da una sfrenatezza megalomane.

117. …Quando non si riconosce nella realtà stessa l’im-portanza di un povero, di un embrione umano, di una per-sona con disabilità per fare solo alcuni esempi, difficilmentesi sapranno ascoltare le grida della natura stessa. Tutto èconnesso.

139. …Non ci sono due crisi separate, una ambientale eun’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-am-bientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un ap-proccio integrale per combattere la povertà, per restituirela dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersicura della natura.

20 –

144. La visione consumistica dell’essere umano, favoritadagli ingranaggi dell’attuale economia globalizzata, tende arendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa va-rietà culturale, che è un tesoro dell’umanità.

È necessario assumere la prospettiva dei diritti dei po-poli e delle culture, e in tal modo comprendere che lo svi-luppo di un gruppo sociale suppone un processo storico al-l’interno di un contesto culturale e richiede il costante pro-tagonismo degli attori sociali locali a partire dalla loro pro-pria cultura.

146. In questo senso, è indispensabile prestare specialeattenzione alle comunità aborigene con le loro tradizioniculturali. Non sono una semplice minoranza tra le altre, mapiuttosto devono diventare i principali interlocutori, so-prattutto nel momento in cui si procede con grandi progettiche interessano i loro spazi. Per loro, infatti, la terra non èun bene economico, ma un dono di Dio e degli antenati chein essa riposano, uno spazio sacro con il quale hanno il bi-sogno di interagire per alimentare la loro identità e i lorovalori. Quando rimangono nei loro territori, sono quelli chemeglio se ne prendono cura. Tuttavia, in diverse parti delmondo, sono oggetto di pressioni affinché abbandonino leloro terre e le lascino libere per progetti estrattivi, agricolio di allevamento che non prestano attenzione al degradodella natura e della cultura.

152. La mancanza di alloggi è grave in molte parti delmondo, tanto nelle zone rurali quanto nelle grandi città, an-che perché i bilanci statali di solito coprono solo una piccolaparte della domanda. Non soltanto i poveri, ma una granparte della società incontra serie difficoltà ad avere una casapropria. La proprietà della casa ha molta importanza per ladignità delle persone e per lo sviluppo delle famiglie. Sitratta di una questione centrale dell’ecologia umana.

157. Il bene comune presuppone il rispetto della personaumana in quanto tale, con diritti fondamentali e inalienabili

– 21

ordinati al suo sviluppo integrale. Esige anche i dispositividi benessere e sicurezza sociale e lo sviluppo dei diversigruppi intermedi, applicando il principio di sussidiarietà.

159. …Ormai non si può parlare di sviluppo sostenibilesenza una solidarietà fra le generazioni.

Non stiamo parlando di un atteggiamento opzionale,bensì di una questione essenziale di giustizia, dal momentoche la terra che abbiamo ricevuto appartiene anche a co-loro che verranno.

160. …Quando ci interroghiamo circa il mondo che vo-gliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suo orientamentogenerale, al suo senso, ai suoi valori. Se non pulsa in essequesta domanda di fondo, non credo che le nostre preoc-cupazioni ecologiche possano ottenere effetti importanti.Ma se questa domanda viene posta con coraggio, ci conduceinesorabilmente ad altri interrogativi molto diretti: A chescopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo ve-nuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo?Perché questa terra ha bisogno di noi? Pertanto, non bastapiù dire che dobbiamo preoccuparci per le future genera-zioni. Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è ladignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a tra-smettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopodi noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama incausa il significato del nostro passaggio su questa terra.

162. …L’uomo e la donna del mondo postmoderno cor-rono il rischio permanente di diventare profondamente in-dividualisti, e molti problemi sociali attuali sono da porre inrelazione con la ricerca egoistica della soddisfazione im-mediata, con le crisi dei legami familiari e sociali, con le dif-ficoltà a riconoscere l’altro.

164. Dalla metà del secolo scorso, superando molte dif-ficoltà, si è andata affermando la tendenza a concepire ilpianeta come patria e l’umanità come popolo che abita unacasa comune. Un mondo interdipendente non significa uni-

22 –

camente capire che le conseguenze dannose degli stili divita, di produzione e di consumo colpiscono tutti, bensì,principalmente, fare in modo che le soluzioni siano propo-ste a partire da una prospettiva globale e non solo in difesadegli interessi di alcuni Paesi.

166. …I Vertici mondiali sull’ambiente degli ultimi anninon hanno risposto alle aspettative perché, per mancanza didecisione politica, non hanno raggiunto accordi ambientaliglobali realmente significativi ed efficaci.

167. …Gli accordi hanno avuto un basso livello di attua-zione perché non si sono stabiliti adeguati meccanismi dicontrollo, di verifica periodica e di sanzione delle inadem-pienze.

175. …Abbiamo bisogno di una reazione globale più re-sponsabile, che implica affrontare contemporaneamente lariduzione dell’inquinamento e lo sviluppo dei Paesi e delleregioni povere.

179. In alcuni luoghi, si stanno sviluppando cooperativeper lo sfruttamento delle energie rinnovabili che consen-tono l’autosufficienza locale e persino la vendita della pro-duzione in eccesso. Questo semplice esempio indica che,mentre l’ordine mondiale esistente si mostra impotente adassumere responsabilità, l’istanza locale può fare la diffe-renza.

190. …Bisogna sempre ricordare che «la protezione am-bientale non può essere assicurata solo sulla base del cal-colo fi nanziario di costi e benefici. L’ambiente è uno di queibeni che i meccanismi del mercato non sono in grado di di-fendere o di promuovere adeguatamente». Ancora unavolta, conviene evitare una concezione magica del mercato,che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con lacrescita dei profitti delle imprese o degli individui. È reali-stico aspettarsi che chi è ossessionato dalla massimizza-zione dei profitti si fermi a pensare agli effetti ambientaliche lascerà alle prossime generazioni? All’interno dello

– 23

schema della rendita non c’è posto per pensare ai ritmi dellanatura, ai suoi tempi di degradazione e di rigenerazione, ealla complessità degli ecosistemi che possono essere grave-mente alterati dall’intervento umano.

193. …È arrivata l’ora di accettare una certa decrescita inalcune parti del mondo procurando risorse perché si possacrescere in modo sano in altre parti.

201. …Si rende necessario un dialogo aperto e rispettosotra i diversi movimenti ecologisti, fra i quali non mancanole lotte ideologiche. La gravità della crisi ecologica esige danoi tutti di pensare al bene comune e di andare avanti sullavia del dialogo che richiede pazienza, ascesi e generosità,ricordando sempre che «la realtà è superiore all’idea».

202. Molte cose devono riorientare la propria rotta, maprima di tutto è l’umanità che ha bisogno di cambiare.Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua ap-partenenza e di un futuro condiviso da tutti. Questa consa-pevolezza di base permetterebbe lo sviluppo di nuove con-vinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita. Emerge così unagrande sfida culturale, spirituale e educativa che implicheràlunghi processi di rigenerazione.

Andrea Proto Pisani

24 –

LUIGI PROTA GIURLEORIFORMA ECCLESIALE E MILITANZA POLITICA

Luigi Prota Giurleo, figlio di Silvestro Prota e Rosa Ciur-leo (trascritto come «Giurleo» per errore di registrazioneanagrafica) nacque a Roccella Ionica (RC) il 5 febbraio 1827e compì i primi studi a Stilo, nel convento dei Domenicani,dove a suo tempo aveva studiato anche Tommaso Campa-nella.

Nel 1846, compiuti gli studi umanistici e letterari, Luigientrò nell’Ordine dei Predicatori e proseguì gli studi teolo-gici a Roma, dove iniziò anche un’intensa attività sociale epolitica, fra l’altro con l’adesione alla «Giovine Italia». ARoma il Prota Giurleo partecipò ai moti politici del 1848-49 per cui, con il ristabilimento di Pio IX al potere, nel 1850fu trasferito a Sebenico (Dalmazia) e in quella sede si misein contatto con le «rivendicazioni del popolo» che abbrac-ciavano un ampio programma rivoluzionario di caratteresociale e soprattutto religioso, che includeva un progetto didemocratizzazione della chiesa e di rispetto in essa dei di-ritti umani, con l’abolizione del celibato obbligatorio delclero, l’uso della lingua nazionale nella liturgia, e l’elezionepopolare dei vescovi e dei parroci.

Ritornato in Italia alla fine degli anni ’50, dopo un brevegirovagare per le regioni settentrionali, si mise in contattocon Giuseppe Garibaldi e con alcuni suoi stretti collabora-tori, quali Giuseppe Pisanelli, Raffaele Conforti e PasqualeStanislao Mancini. Il nipote Achille Prota Giurleo riferivache Garibaldi aveva affidato a Luigi sei milioni di ducati già

– 25

sequestrati ai Borbone, perché li destinasse ai poveri delleprovincie meridionali, e l’onestà dimostrata in quella mis-sione gli avrebbe meritato l’onorificenza di cavaliere dei SS.Maurizio e Lazzaro. Ulisse Prota Giurleo, figlio di Luigi, ri-feriva che il padre aveva avuto un ruolo di rilievo anchenella società massonica dell’area napoletana. La notiziatrova un conferma nella presenza di noti massoni fra imembri della «Società Emancipatrice e di mutuo soccorsodel clero italiano» fondata dallo stesso Prota Giurleo, i piùnoti dei quali erano Francesco De Luca, Luigi Zuppetta eLudovico Frapolli. Su proposta di Pasquale Stanislao Man-cini, Luigi Prota Giurleo fu insignito anche di importanti ri-conoscimenti nazionali: nel 1876 fu nominato Ufficiale dellaCorona d’Italia e nel 1879 Commendatore della Corona d’I-talia.

Insieme all’impegno civile e politico il Prota Giurleo curò– spesso in modo più intenso e prevalente – anche un im-pegno di carattere religioso che mirava alla riforma dellachiesa e all’affermazione del suo carattere democratico, pre-stando molta attenzione sia al clima culturale che si vivevanel cattolicesimo liberale che alle istanze di riforma reli-giosa che si erano sviluppate prima in opposizione all’o-rientamento di Pio IX – che si opponeva alle novità culturaliapportate dall’illuminismo e dalla Rivoluzione francese – epoi da parte del Vecchio Cattolicesimo tedesco, che si muo-veva in senso opposto all’azione dei gesuiti, che premevanosull’opinione generale della gerarchia e della popolazionecattolica per la definizione dogmatica dell’infallibilità pon-tificia nel Concilio Vaticano I.

In quel contesto il Prota Giurleo si mise in rapporto conaltri esponenti del cattolicesimo liberale quali AlessandroGavazzi, il vescovo Michele Maria Caputo e molti altri, in-sieme ai quali fin dal 1862 fondò la «Società emancipatricee di mutuo soccorso del sacerdozio italiano» e il periodico«L’Emancipatore cattolico», che venne pubblicato per l’arco

26 –

di circa 20 anni. Inoltre nel 1875, dopo che in Germania ilmovimento vecchio-cattolico si era dato una struttura ec-clesiale con diocesi e parrocchie autonome rispetto al pa-pato, anche a Napoli fu creata la «Chiesa Cattolica Nazio-nale Italiana».

Il Prota Giurleo aveva manifestato l’intenzione di creareuna chiesa nazionale fin dal giugno 1871, cioè ancora primache in Germania si tenesse il Congresso internazionale deiVecchi Cattolici di Monaco, nel quale si aprì un dramma-tico confronto fra Ignaz von Döllinger e i suoi discepoli nelquale, contro la prospettiva avanzata dal maestro, prevalsel’orientamento di dare all’opposizione cattolica una strut-tura ecclesiale con parrocchie e diocesi autonome da Roma.

Il Prota Giurleo il 10 giugno 1871, nel contesto di un ap-pello della Lega internazionale della Pace e della Libertà, dicui il 25 settembre seguente si sarebbe tenuto a Losanna ilV° Congresso, pubblicò un «Appello della Società nazionaleemancipatrice e di mutuo soccorso del sacerdozio italianoalla carità cristiana»1. A nome della Società emancipatricee di mutuo soccorso, il Prota Giurleo dichiarava di aver ri-cevuto «consigli e fervide esortazioni» a costituire «la no-stra chiesa emancipata dal papato scismatico,o infallibile»,passando dalle «astratte teorie» e dalle polemiche alla «pra-tica attuazione» di quel progetto di «emancipazione delclero e del laicato cattolico», che la Società Emancipatriceaveva perseguito «sin dall’inizio del nostro risorgimento»2.Le esortazioni e i consigli ricevuti rispondevano al «deside-rio ardentissimo» della Società emancipatrice, ma quel de-siderio condiviso non rimediava alla mancanza delle risorsemateriali di cui si aveva bisogno. L’Italia infatti era insensi-

– 27

1 L’appello è contenuto in un testo reperito presso la Biblioteca della Fa-coltà Valdese di Teologia, ma non identificato perché mancante delle pagine diintestazione – alle pp. 133-136.

2 L. PROTA GIURLEO, Appello della Società nazionale emancipatrice e di mutuosoccorso del sacerdozio italiano alla carità cristiana, cit., p. 133 s.

bile verso le necessità della Società emancipatrice perchéera «fondamentalmente papolatra» o «atea e indifferente».E lo stesso governo aveva come suo scopo la concessionedelle guarentigie al papa e la cessione al cardinale Sisto Ria-rio Sforza, arcivescovo di Napoli, delle chiese che prima, «inun momento di felice ispirazione, aveva concedute alla no-stra Società»3. Di conseguenza la Società emancipatrice sitrovava in condizione di grave precarietà: non disponeva diun locale per il culto, e i sacerdoti suoi membri, se non rin-negavano la loro propria coscienza, venivano abbandonatialla miseria: non ricevevano né ospitalità né assistenza sa-nitaria in caso di malattia, e non disponevano nemmeno di«un palmo di terra che coprisse le loro ossa dopo la morte».

I membri di quella Società, «abbandonati alle sole forzeindividuali», potevano solo «pregare nel santuario della lorocoscienza» chiedendo a coloro che «si sentono e sono vera-mente cristiani» che li aiutassero «nel compimento della ri-generatrice nostra missione: una chiesa per il culto, unascuola per l’insegnamento «religioso e scientifico» per i fi-gli dei membri della Società, «l’assicurazione della pacedella nostra spoglia mortale nel luogo della nostra ultimadimora», che ora è insidiato e maledetto «dal cattolicismogesuitico-papale»4.

Nell’ambito dogmatico e teologico i riferimenti eranoquelli essenziali per la prima generazione dei Vecchi Catto-lici: le più antiche Confessioni di fede della chiesa cristianae l’ordinamento canonico sancito dai primi quattro Conciliecumenici della Chiesa universale, con la struttura ministe-riale di vescovi, presbiteri e diaconi, riconoscendo anche alvescovo di Roma il ruolo di primate d’Italia, che era stato ri-conosciuto già dai concili di Nicea e di Costantinopoli.

L’appello concludeva rivendicando la libertà delle co-

28 –

3 ID., op. cit., p. 134.4 ID., op. cit., p.135.

scienze individuali, che includeva la non obbligatorietàdella confessione auricolare dei peccati e del celibato deipreti. I membri della Società si autodefinivano «Protocat-tolici, cioè confessori del cattolicesimo primitivo»5.

Riforma religiosa e impegno politico-sociale

Il Prota Giurleo unì sempre l’impegno per la riforma re-ligiosa all’attenzione verso i problemi della società, in am-bito sociale e politico. L’Archivio della Storia del Risorgi-mento raccolto a Roma nel Vittoriano contiene fra l’altrocirca dieci lettere da lui inviate a Pasquale Stanislao Man-cini, nelle quali manifestava la sua attenzione ai temi piùcaldi della politica italiana, come quando, il due marzo1863, si congratulò con lo statista che aveva sostenuto consuccesso la necessità di abolire la pena di morte. In quel-l’occasione il Prota Giurleo porse al Mancini «un solennetestimonio dell’alta stima ed ammirazione che tutta la no-stra Società a Lei professa»6.

La corrispondenza col Mancini manifestò anche l’amici-zia e l’alta stima reciproca esistente fra i due. Circa un annodopo il Prota Giurleo proponeva di nominare il ManciniPresidente onorario della Società nazionale emancipatricee di mutuo soccorso del Sacerdozio italiano, e lo invitava a«continuare la sua benevolenza» verso di essa», dopo cheaveva accettato di essere suo «socio protettore»7.

Il sostegno di persone come il Mancini era di grande in-coraggiamento in un tempo in cui, per le sue proposte diriforma ecclesiastica, era divenuto oggetto di rappresaglieda parte della gerarchia romana, e in particolare del cardi-

– 29

5 ID., op. cit., p. 136.6 Lettera del Prota Giurleo a Pasquale Stanislao Mancini, Napoli, S. Dome-

nico Maggiore, 2 marzo 1865. Archiovio del Risorgimento. 7 L. Prota Giurleo a P.S.Mancini, Napoli, San Domenico Maggiore 13-01-

1866, Archivio della Storia del Risorgimento.

nale Riario Sforza. Le difficoltà incontrate furono rivelate inparte dallo stesso Prota Giurleo, e in parte si possono de-durre dai continui cambiamenti di indirizzo della Società ede «L’Emancipatore Cattolico»8. Tuttavia, nonostante le dif-ficoltà incontrate e le lotte sostenute, il Prota Giurleo si im-pegnò a fondo anche in campo politico, dando vita in unprimo tempo ad un Comitato elettorale delle Provincie delSud, e poi assumendo la presidenza del «Comitato dei Dan-neggiati politici delle Provincie meridionali del Conti-nente9».

Nel luglio 1874 «L’Emancipatore Cattolico» pubblicò ilProgramma del «Comitato elettorale» appena costituito,10

che si proponeva di sostenere le candidature di cittadini chesi qualificavano per «indiscutibile probità e coraggio civilenel sostenere razionalmente i diritti e i doveri annessi al loromandato di legislatori»11. Criterio di giudizio sulla candida-tura sarebbe stata «la vita pubblica dell’individuo lunga-mente provata», rispettando allo stesso tempo scrupolosa-mente «l’impenetrabile santuario della famiglia e della vitaprivata dei candidati»12. Il Comitato avrebbe poi invitatotutti i candidati a visitare ogni anno i singoli comuni delCollegio elettorale in cui erano stati eletti, «onde prenderepersonalmente notizia dei bisogni locali»13. Il Comitato siproponeva anche la pubblicazione di un Bullettino ufficiale

30 –

8 L’indirizzo sia della Società che de «L’Emancipatore Cattolico» era primaa S.Domenico Maggiore (2-3-1865 e 13-1-1866), poi a Vico Purgatorio ad Arco(23-1-866 e 2-3-1868), a Strada Atri 23 (28-11-1870), a Vico San Gregorio Ar-meno n. 12 (27-maggio 1874).

9 Programma, «L’Emancipatore Cattolico», XIII,15 18-7-1874) p. 58; LuigiProta Giurleo, Circolare del Comitato dei Danneggiati politici delle Provinciemeridionali del Continente, Napoli, 16-7-1883.

10 Luigi Prota Giurleo, Circolare del Comitato dei danneggiati politici delleProvincie Meridionali del Continente, Napoli, 16 luglio 1883, p. 4.

11 «L’Emancipatore Cattolico» XIII, 15 (18-7-1874) Programma, p. 18.12 Programma, cit., Paragrafo II.13 Programma, cit., Paragrafo IV.

dei suoi atti, in cui avrebbe esposto le attività politiche deisuoi candidati14.

Oltre alla creazione del Comitato elettorale, «L’Emanci-patore Cattolico» seguì puntualmente gli eventi di maggiorerilievo nella politica italiana, anche negli anni che segui-rono. Per esempio, in vista delle elezioni politiche del 1880il periodico – divenuto ormai mensile – pubblicò un articoloche esprimeva la posizione ufficiale della Società emanci-patrice: La Società emancipatrice del Sacerdozio e laicato ita-liano e le imminenti elezioni15. Dopo aver ribadito che l’o-rientamento della Società Emancipatrice era uno «spiritodi riforma e libertà, principi «che si incarnano nel pro-gramma della sinistra parlamentare», precisava di voler ri-spettare «anche il programma del partito conservatore» esoprattutto il «personale convincimento» dei suoi espo-nenti. Tuttavia, date le condizioni politiche ed economichesia della Società Emancipatrice che dell’Italia intera, «la suaattuazione sarebbe rovinosa per gli interessi più gravi dellapatria e della regnante dinastia, che ha identificato con essai suoi destini»16. Ritornando sullo stesso argomento il mesesuccessivo, subito dopo le elezioni, constatava: «Il vaticani-smo prevale», perché la Sinistra liberale aveva perso «unaottantina di collegi guadagnati dai conservatori della De-stra. La Sinistra aveva sbagliato perché aveva fatta propriala politica religiosa della Destra, che aveva portato a unire«l’autoritarismo teocratico coll’organismo delle libertà po-litiche, i nostri plebisciti, che sono la più completa formoladella sovranità popolare, con i canoni dell’ultimo concilio

– 31

14 Programma, cit., Paragrafo VII. Non si ha notizia tuttavia della pubblica-zione di questo «Bullettino», che non è presente nell’elenco dei periodici dellaBiblioteca Nazionale di Napoli.

15 La Società Emancipatrice e di Mutuo Soccorso del Sacerdozio e laicato Ita-liano e le imminenti elezioni, «L’Emancipatore Cattolico», XIX, 4 (13-5-1880),p. 13.

16 Op. cit., «L’Emancipatore Cattolico», XIX, 4 (13-5-1880), p. 13.

vaticano». La Sinistra, avendo riconosciuto al papa e all’e-piscopato «maggiori deferenze e larghezze della Destra», siè «esautorata come partito di governo», per cui l’Italia deiplebisciti sarebbe stata in futuro «l’Italia del vaticanismo»,e di conseguenza anche il suffragio universale sarebbe di-venuto «l’effetto naturale e necessario… dell’influenza cle-ricale sul partito della libertà e del progresso»17.

Uno dei più significativi interventi politici del Prota Giur-leo fu la commemorazione di Raffaele Conforti dopo la suascomparsa, dato che con il defunto aveva condiviso quasitutte le scelte politiche. Il Conforti infatti era stato Ministrodell’Interno durante la dittatura di Garibaldi, aveva orga-nizzato il plebiscito di Napoli e ne aveva presentato il risul-tato a Vittorio Emanuele II. Il Prota Giurleo scrisse che ilConforti aveva proposto a Garibaldi «la sanzione del nostrosolenne plebiscito, che riunendo le nostre meridionali pro-vincie alla grande famiglia italiana, compiva la nostra unitànazionale»18. Il Conforti aveva apprezzato la Società Eman-cipatrice fin dal 1863, per il suo tentativo di riportare la re-ligione «ai suoi principi» e di ristabilirla «in quello stato dipurità» in cui era stata fondata da Cristo. Il riformatore cat-tolico fa- ceva notare allo stesso tempo che alla generazionedel Conforti era seguita la Sinistra liberale, costituita da«mediocrità o nullità» propense a creare «nuove relazioniliberticide stabilite dalla nuova e peregrina sapienza poli-tica col gesuitismo papale»19.

Dopo il clima di apertura politica che si era creato nelgoverno italiano con l’elezione di Leone XIII, non ci si po-teva aspettare nessuna critica da parte della Sinistra libe-rale alla classe dirigente. Invece si levarono, sia da destra

32 –

17 Il Vaticanismo prevale, «L’Emancipatore Cattolico», XIX, 5 (29-6-1880),p. 17.

18 Luigi Prota Giurleo, Raffaele Conforti, «L’Emancipatore Cattolico», XIX,6 (23-8-1880), p. 21.

19 Op. cit., ivi.

che da sinistra, gravi eccitamenti e censure al Ministro deiculti «per la politica soverchiamente benevola e condiscen-dente da lui seguita rispetto al Vaticano», politica che «quasiannientò i diritti della Corona … nella nomina delle sedi ve-scovili di patronato regio»20. «L’Emancipatore cattolico»(dove, presumibilmente gli articoli non firmati erano scrittidallo stesso Prota Giurleo) osservava ancora che le censuredei politici non avrebbero conseguito nessun effetto «senelle alte sfere del potere non fosse entrata la convinzioneche la sola e reale costituzione di una Chiesa Cattolica na-zionale, emancipata dal papato avrebbe potuto offrire «so-lide ed incrollabili basi delle nuove e legittime relazioni trala Chiesa, emanazione della pura fede di Cristo, e lo Stato,emanazione del diritto della sovranità popolare».

Nonostante che il contesto sociale e politico nel qualeoperava rendesse sempre meno probabile l’attuazione delsuo disegno, il Prota Giurleo ci credeva ancora, e si impe-gnava perché potesse divenire realtà: «Noi affrettiamo coinostri voti questo importantissimo avvenimento, alla cui at-tuazione abbiamo consacrato tutte le nostre forze e l’interanostra esistenza». E le «crescenti difficoltà» e i «più crudelidisinganni – concludeva – non hanno mai potuto scuotereanche minimamente la nostra fede»21.

Pur non avendo possibilità concrete di attuare il progettoper cui tanto si era impegnato, il Prota Giurleo non mancòdi spingere il governo a versare due milioni di ducati – cheGaribaldi aveva deposto nelle sue mani – destinate «ai dan-neggiati politici delle provincie meridionali», a risarcimento«dei danni politici nella reazione borbonica del 1848-49»22.

«L’Emancipatore Cattolico» terminava la serie delle sue

– 33

20 La questione religiosa nel nostro parlamento, «L’Emancipatore Cattolico»,XIX, 7 (13-12-1880), p. 25.

21 Op. cit., ivi.22 I danneggiati politici delle provincie meridionali, «L’Emancipatore catto-

lico» XIX, 7 (13-12-1880), pp. 27 s.

edizioni con l’assicurazione «ai nostri confratelli ed amici»che «l’apostolato del nostro pensiero e della nostra missionesi compie da noi con quella stessa intensità di zelo e diazione, come nel primo giorno in cui abbiamo innalzato in-nanzi alla coscienza del mondo credente la gloriosa ed in-contaminata bandiera della nostra cattolica emancipa-zione»23.

Dopo il 1880 Luigi Prota Giurleo inviò alcune lettere cir-colari in qualità di Presidente del Comitato pei Danneggiatipolitici delle provincie meridionali24. Nella seconda delleuniche due circolari di cui abbiamo copia, il Presidente ri-capitolava l’operato del Comitato, che fin da 1872 aveva in-viato a Roma undici Commissioni, aveva sostenuto dueazioni giudiziarie, aveva pubblicato diciotto Lettere circo-lari e due opuscoli, e aveva promosso l’informazione sulleattività del Comitato, sia nella stampa nazionale che inquella di altri paesi. Nel momento, informava che il Comi-tato aveva deciso di «presentare esso medesimo le do-mande e i documenti… di tutti i danneggiati politici» deiquali, fino a quel momento, aveva rappresentato i diritti ele ragioni25.

Luigi Prota Giurleo ripercorse l’iter della propria mili-tanza politica e religiosa nel 1887, all’età di 60 anni, in oc-casione del giubileo sacerdotale di Leone XIII. Dopo averapprezzato la legge delle guarentigie per il ruolo che essa ri-servava al papa, osservava anche che quella legge aveva sa-crificato a lui il «patriottico sodalizio»costituito dalla «So-cietà emancipatrice e di mutuo soccorso del sacerdozio elaicato italiano». A detta società era mancato anche l’ap-

34 –

23 Cronaca interna, «L’Emancipatore Cattolico», XIX, 7, (13-12-1880), p. 28.24 Di due Lettere Circolari, che portano le date del 31-5-1883 e del 16-7-1883,

si può trovare copia si presso la Biblioteca Nazionale di Napoli che presso ilMuseo del Risorgimento in Roma. Entrambe portano l’indirizzo di provenienza:Vico Gerolomini, 19 Napoli.

25 Cfr. Circolare del 16-7-1883, cit., p. 2.

poggio, sia diretto che indiretto, del governo italiano, percui non era riuscita a creare una chiesa autonoma dal pa-pato, con elezione del «triplice ordine gerarchico» da partedel clero e del popolo26. Ricordava anche che nel 1867, conil ministero Ricasoli il governo, mentre si umiliava a chie-dere un modus vivendi al papa, per mezzo dei suoi prefettiaveva imposto al clero emancipatore di conciliarsi con i ri-spettivi vescovi, e gli aveva tolto alcuni «sussidi miserissimi»concessi in precedenza «per servigi prestati alla Patria e alRe»27.

La celebrazione del giubileo sacerdotale di Leone XIII fuper il Prota Giurleo l’occasione opportuna per «rendere unservigio alla cara nostra patria Italia….ed anche alla San-tità vostra». Perciò offrì al papa il dono di «un umile gioielloed un ricordo che traggo dall’immenso tesoro della mia cat-tolica fede». Il dono consisteva nel testo evangelico di Luca4, 5-7, sulla base del quale concludeva che tutti i papi cheavevano accettato «il possesso dei regni della terra» eranodivenuti «adoratori del diavolo», mentre Leone XIII era di-venuto papa «senza regni terreni, senza oro né argento», percui poteva essere il degno successore di quel Pietro pesca-tore di Galilea che «convertì il mondo alla fede di Cristo»28.Se invece – concludeva – «volete oltre all’essere Ponteficeessere anche Re; allora vi sovvenga (e questo è il ricordo)della profetica sentenza» di San Bernardo a papa EugenioIII: Si utrumque similiter habere velis, perdes utrumque!»29

Cesare Milaneschi

– 35

26 L. PROTA GIURLEO, Pensieri di un credente sull’Italia dei plebisciti e cattolicain rapporto al papato religioso e politico, ed. A. Belisario e C., Napoli 1887, pp.23 s.

27 ID., op. cit., p.24.28 ID., op. cit., p. 59.29 ID., op. cit., p. 60.

SE SEI MESI

Se sei mesi vi sembran molti lasciate perdere l’attenzioneper le elezioni di maggio e pensate ad altro. Si potrebbe direcosì parafrasando in senso opposto un bello e antico cantopopolare (Se otto ore vi sembran poche 1906) che affrontavacosì il problema del lavoro per ridurre a otto ore la giornatalavorativa delle mondine:

Se otto ore vi sembran pocheprovate voi a lavoraree sentirete la differenzadi lavorar e di comandar.

O Mario Scelba se non la smettidi arrestare i lavoratorinoi ti faremo come al ducein Piazza Loreto ti ammazzerem.

E noi faremo come la Cina,suoneremo il campanello,innalzeremo falce e martelloe griderem viva Mao Tse Tung.

E noi faremo come la Russia,suoneremo il campanello,innalzeremo falce e martelloe grideremo viva Stalin.

Altri tempi, altri personaggi (tutti morti), altri problemi.Quindi questa mia può sembrare una semplice esercita-zione «culturale». In parte lo è, ma mi consente di rifletteresulla situazione napoletana (e chi sa se non anche regionale)

36 –

NAPOLI E IL MEZZOGIORNO

in vista delle amministrative di maggio e sull’almeno appa-rente ritardo di preparazione della sinistra (la sinistra?) nelproporre programmi e candidati. Al di là del quasi quoti-diano chiacchiericcio di cui danno conto i quotidiani, conproposizione di terne e quaterne di nomi che verosimil-mente non ci sarà ruota del lotto che ne sancirà la parteci-pazione.

Questo fino a quando il PD ha deciso che per la sceltadel candidato sindaco di Napoli si faranno le primarie il 7febbraio 2016 (ma forse a marzo?). È, finalmente, un puntofermo. Ma tale anche da riproporre anche in questa sede lapolitica del «no…». Nel caso specifico è rivolta ad AntonioBassolino che da mesi stava allestendo la sua «discesa» incampo e che ora ha immediatamente dichiarato di presen-tarsi alle primarie. Discesa? Certamente è più una faticosasalita che una agevole discesa. Tanto più perché da Roma ilPD è intervenuto subito con una sorta di «Bassolino chi?non riconoscendolo come sua espressione.

E allora circolano nomi di contendenti i quali, con tuttoil dovuto rispetto, non danno l’impressione di poter impen-sierire l’ex sindaco e governatore.

Ma, tanto, ci vogliono ancora mesi: quattro per le pri-marie e sei per le elezioni, un nome uscirà. È un po’ il modoin cui fu affrontato il tema elezioni per la Regione. Con undenominatore comune a quella e alla prossima competi-zione che non è difficile vedere nel sostanziale disinteresseper Napoli e la Campania: città e terra difficili nei cui pro-blemi politici ancor prima che economici è meglio non met-ter naso.

Un silenzio quello di Renzi ancora più significativo perquanto riguarda la Regione e i problemi giudiziari del Go-vernatore De Luca. Lo ricorda bene Ottavio Ragone (Il si-lenzio del premier, in «la repubblica» Napoli 13 novembre2015) scrivendo che «Impegnato a La Valletta in un verticeeuropeo sull’immigrazione» Renzi ai giornalisti che gli

– 37

chiedevano un commento dei fatti campani ha risposto:«De Luca? Me lo chiedete qui a Malta?». Certo non eraquello il posto. Ma, se non quello, quale? La risposta è sem-pre il silenzio. Un silenzio che sembra di comodo se si ri-flette sul fatto che ricade anche su Napoli il cui destino,scrive ancora Ragone, «appare ancora una volta nebuloso,sconvolto dalle folate di una pessima politica» e dove il casoDe Luca «potrebbe spazzare via ciò che resta di un partitogià in difficoltà».

Né il problema è solamente politico. Altri se ne aggiun-gono e quelli economici e sociali sono certamente di preva-lente importanza.

La Campania è una regione estremamente rappresenta-tiva di questi problemi e della mancanza di soluzioni. Macon notevole semplicismo e, secondo me, pari assenza diidee risolutive, gran parte viene riassunta in due problemidei quali si parla quasi a livello di slogan: la «terra dei fuo-chi» e le «ecoballe di Giugliano». Che sono certamente casidi rilevante gravità, ma comunicati ed enfatizzati in modoche ritengo non corretto. Auspicando, cioè, la bonifica delleterre dove si bruciano rifiuti, da una parte; la scomparsadelle balle, dall’altra. La bonifica è certamente un passag-gio obbligato se quelle terre si vogliono recuperare all’agri-coltura e bloccarne la pericolosità, ma non si può e deveignorare che i tempi sono inevitabilmente lunghi. Per le eco-balle di rifiuti, poi, la confusione mi sembra ancora mag-giore perché non v’è chi non ne auspichi la scomparsa, manon mi sembra vi sia chi ne proponga in modo chiaro e con-divisibile il risultato. Per ultimo il Governatore De Luca chemettendo la soluzione del problema ai primi posti delle rea-lizzazioni della Giunta che presiede, dice dove non devonofinire, ma non anche come e dove devono essere smaltite.

E il discorso non si esaurisce qui perché non vannomessi in terzo ordine gli altri problemi che vedo legati so-prattutto alla qualità dell’aria e alla sicurezza del territorio:

38 –

inquinamento atmosferico, dissesto idrogeologico, sismi-cità, vulcanesimo.

Problemi seri che trovano soluzioni concrete e durevolinella prevenzione e non certo solo nella auspicata dichiara-zione dello stato di calamità – naturale, naturalmente – l’in-domani di una sciagura con l’obiettivo di rattoppare glistrappi dopo aver contato i morti, i feriti, gli sfollati e averfatto il calcolo dei danni economici.

Problemi seri che, al di là del chi li dovrà risolvere, im-pongono chiarezza e rapidità di interventi: da Roma allaCampania, a Napoli.

Su tutto questo non si può tacere. A meno che non si vo-glia seguire l’invito di Oscar Wilde ricordato da GianfrancoRavasi nel suo «breviario» sul «sole 24 ore» del 15 novem-bre 2015 «Siano benedetti quelli che non hanno niente dadire e, malgrado ciò stanno zitti». O, se si preferisce, faretesoro del primo dei 14 principi necessari per tacere che l’a-bate Dinouart suggerisce nella sua opera più famosa, L’artedi tacere, e, cioè, che: «È bene parlare solo quando si devedire qualcosa che valga più del silenzio».

Ma questo mio non è un invito al silenzio. È più un in-vito al modo in cui si parla e alle cose che si dicono perchécome ammonisce da 2200 anni Qoèlet, «c’è un tempo per ta-cere e un tempo per parlare». Per cui l’uomo silenzioso nonè chi non dice nulla, ma chi «sa tacere opportunamente inbase al tempo e al luogo in cui ci si trova».

Ugo Leone

– 39

Dossier Costituzione

INTRODUZIONE*

La nostra rivista ha aderito al Comitato per il NO nel refe-rendum per le modifiche costituzionali ritenendo che la sta-gione referendaria che si apre (che ha appuntamenti plurimie varie e complesse scansioni temporali come mostra uno de-gli articoli che pubblichiamo) è tra i passaggi più importantie più delicati della vita italiana degli ultimi vent’anni. La leggeRenzi-Boschi muta profondamente i meccanismi e le forme diespressione della volontà popolare e in connessione con l’Ita-licum sposta la democrazia su base parlamentare in direzionedi una centralità legislativa e potestativa dell’esecutivo conforti venature autoritarie o comunque di democrazia delegata.La trasformazione del Senato in un organo non più elettivoma rappresentativo di secondo grado, composto da membriscelti e nominati tra gli eletti negli enti locali, non solo nemuta le attribuzioni e le funzioni ma modifica complessiva-mente l’espressione della volontà popolare in generale.

La riserva alla sola Camera dei Deputati, peraltro forte-mente condizionata nella sua composizione da un premio di

40 –

* Ringraziamo il Coordinamento Napoletano per la Democrazia Costitu-zionale e in particolare Giovanni De Stefanis per averci fornito i materiali do-cumentari tra cui, per ragioni di spazio, abbiamo scelto quelli più significativiper delineare la nascita del Coordinamento nazionale per la Democrazia Costi-tuzionale e le analisi dei vari aspetti della legge Renzi-Boschi, nonché alcuni in-terventi, già pubblicati in altre sedi, importanti per comprendere il quadro po-litico generale in cui s’inserisce la campagna referendaria (Ndr).

SOCIETÀ CIVILE

maggioranza sproporzionato rispetto al reale peso dei voti,comporta una rappresentanza assai distorta della volontàpopolare e, nei casi in cui il Senato interviene con parereconsultivo nell’elaborazione delle leggi, una discrepanza travolontà politica generale e volontà legate a interessi locali.Non si tratta solo di una modifica formale del bicamerali-smo perfetto quanto complessivamente di una supremaziadel partito del premier che con il premio di maggioranzaprevisto dall’Italicum verrebbe, di fatto, ad acquisire unamaggioranza parlamentare non scalfibile e il potere di no-mina di molte cariche pubbliche che esercitano una fun-zione di garanzia e di controllo.

Sono meccanismi spiegati nel dettaglio in molti articolidel dossier che dovrebbe risultare utile ai nostri lettori peravere chiari i termini della battaglia referendaria e della po-sta di libertà in gioco, a fronte di un’informazione nei me-dia carente quando non faziosa.

È chiaro che la campagna referendaria sarà lunga e dif-ficile anche per il «tecnicismo» di certi aspetti della legge,lontani dalla percezione comune e comunque distanti daireali interessi quotidiani delle persone, specialmente intempi di crisi economica. È chiaro che si potrà vincerla solotrattando in una prospettiva politica generale quelli che sem-brano problemi esclusivamente d’ingegneria costituzionale,per giunta presentati sotto la falsa realizzazione di un ri-sparmio e di una razionalizzazione della spesa pubblica. Èchiaro che per vincere occorrerà, quindi, legare la campa-gna referendaria alla difesa di quei diritti costituzionali e dilibertà che rischiano di essere messi in sordina in nome diuna governabilità e di un decisionismo francamente inquie-tanti. Sono i valori e le posizioni su cui da cinquant’anni vivee si batte la nostra rivista. Non potevamo che essere attiva-mente presenti in questa battaglia referendaria.

Ugo M. Olivieri

– 41

LA LUNGA EROSIONE DELLA DEMOCRAZIA*

25 aprile. L’attacco contro la Costituzione si scatenaperché la nostra società è passiva, privatadi soggettività, estranea alla politica di cui

non si sente, e non è, più protagonista

La cele bra zione delle date impor tanti non è sem preuguale. Per ché la memo ria stessa è sog getta alla sto ria, e lecose si ricor dano in modo diverso a seconda dei tempi. Tal -volta si è invece ripe ti tivi: è quando non ci sono par ti co larie nuove ragioni che spin gono a ripen sare l’evento com me -mo rato. E per ciò resta un rituale. Quante volte nei tanti8 marzo della mia vita mi è acca duto di sbuf fare per il fasti -dio della ripe ti ti vità. Poi scop piò il nuovo fem mi ni smoe quella gior nata si arric chì di una carica inno va tiva che cifece tor nare con gioia a distri buire mimose.

Per il 25 aprile non ho sbuf fato mai, ma è vero che, pas -sato il peg gio della guerra fredda – quando i governi dc ar-re sta vano i par ti giani, o quando arrivò Tam broni – anche laResi stenza rimase spesso immo bile. Oggi, 2015, è evi dentea tutti che la data è cal dis sima, un’urgenza attuale nella no-stra agenda. Per via di un suo spe ci fico aspetto: non tantoper ché chi ne fu com bat tente riu scì a cac ciare i tede schi,che pure non è poco. Piut to sto per ché è in que gli anni ’43-45 che ven nero poste le fon da menta – per la prima volta –di uno stato demo cra tico in Ita lia. Che oggi mi pare in pe-

42 –

* Articolo pubblicato sul «Manifesto», sabato 25 aprile 2015.

ri colo, non per ché assa lito dai fasci sti, ma per ché eroso daldi dentro.

Noi uno stato popo lare, legit ti mato a livello di massa,non l’avevamo avuto mai: il Risor gi mento, come sap piamo,fu assai eli ta rio e pro dusse una par te ci pa zione assai ri-stretta, estra nee le classi subal terne; i governi della nuovaIta lia nata nel 1860 restano nella memo ria dei più per la di-sin vol tura con cui gene rali e pre fetti spa ra vano su ope raie con ta dini. Poi venne addi rit tura il fascismo.

A dif fe renza del maquis fran cese o della resi stenza da-nese o nor ve gese, la nostra non aveva pro prio nulla da recu -pe rare, niente e nes suno da rimet tere sul trono. Si trat tavadi inven tarsi per intero uno stato ita liano decente, e dun q-ue demo cra tico (Come in Gre cia, del resto, dove però unapur straor di na ria Resi stenza non ce l’ha fatta).

Non è una dif fe renza di poco. E se la Resi stenza ita lianaci ha per messo di riu scirci, è anche per ché è stata la primavolta in cui in Ita lia le masse popo lari hanno par te ci patomas sic cia mente e senza essere inqua drate dai bor ghesi alladeter mi na zione della sto ria nazionale.

E anche per un’altra ragione: per ché il dato mili tare,e quello stret ta mente poli tico – l’accordo fra i par titi anti fa -sci sti – pur impor tanti, non esau ri scono la vicenda resi -sten ziale. Un ruolo deci sivo nel carat te riz zarla l’ha avutoquello che un grande sto rico, coman dante della bri gata Ga-ri baldi in Luni giana, Roberto Bat ta glia, chiamò «societàpar ti giana». E cioè qual cosa di molto di più del tratto unpo’ gia co bino, o meglio gari bal dino, dell’organizzazione mi-li tare più i civili che ne aiu ta rono eroi ca mente la sus si -stenza; e cioè l’autorganizzazione nel ter ri to rio, l’assun-zione, gra zie a uno scatto di sog get ti vità popo lare di massa,di una respon sa bi lità col let tiva, per rispon dere alle esi genzedella comu nità, il «noi» che pre valse senza riserve sull’«io».

L’antifascismo come senso comune, più che nella tra di -zione pre bel lica, ha ori gine in Ita lia da que sto vis suto, nel-

– 43

l’espe rienza auto noma e diretta di sen tirsi – «attra versoscelte che nascono dalle pic cole cose quo ti diane», comeebbe a scri vere Cala man drei – pro ta go ni sti di un nuovostato, non quello dei monu menti dedi cati ai mar tiri, maquello su cui hai diritto di deci dere, di una patria che nonchiede sacri fici ma ti garan ti sce pro te zione, legit tima i tuoibiso gni, ti dà voce. È la comu nità, insomma, che si fa Stato,a par tire dal senso di appartenenza.

La Costi tu zione par to rita dalla Resi stenza riflette pro -prio que sta presa di coscienza, e infatti defi ni sce la cit ta di -nanza come piena appar te nenza alla comu nità. Nonavrebbe potuto essere così se, ben più che da una media -zione di ver tice fra i par titi, non fosse nata pro prio da quellaespe rienza diretta che fu la «società par ti giana.» E dalle sueaspi ra zioni. Per que sto ha una ispi ra zione così ugua li ta riae for mu la zioni in cui è palese lo sforzo di evi tare for muleastratte. È di lì che viene fuori quello straor di na rio arti colo‚per esem pio, che dice come, per ren dere effet tive libertàe ugua glianza», sia neces sa rio «rimuo vere gli osta coli chele limi tano di fatto».

Pro prio riflet tendo su quanto da più di un decen nio staacca dendo, a me sem bra che la crisi visi bile della demo cra -zia che stiamo vivendo non sia solo la con se guenza del ve-nir meno di quel patto di ver tice, e dei par titi che l’avevanosot to scritto, ma più in gene rale dell’impoverirsi del tes sutopolitico-sociale che ne aveva costi tuito il con te sto. E se è po-s si bile l’attacco che oggi si sca tena con tro la Costi tu zioneè pro prio per ché la nostra società non è più «par ti giana»,ma pas siva, pri vata di sog get ti vità, estra nea alla poli tica dicui non si sente più, e infatti non è più, pro ta go ni sta, chiusanelle angu stie dell’»io», sem pre meno par te cipe del destinodell’altro, lon tana dal decli nare il «noi».

Non ci sarà esito posi tivo agli sforzi che in molti, e dapunti di par tenza anche dif fe ren ziati, vanno facendo peruscire dalla crisi della sini stra se non riu sci remo a risu sci -

44 –

tare prima sog get ti vità e senso di respon sa bi lità col let tiva.Non riu sci remo nem meno a sal vare la Costi tu zione, e fini -remo anche per can cel lare la spe ci fi cità della Resi stenza ita -liana. Quell’attacco mira pro prio ad impo ve rire l’idea stessadella demo cra zia che essa ci ha rega lato, ridu cen dola a uninsieme di regole e garan zie for mali e indi vi duali, non piùter reno su cui sia pos si bile eser ci tare potere.

Stiamo attenti a come cele briamo il 25 Aprile. Ber lu -sconi, quando per una volta si degnò di par te ci pare a unaini zia tiva per il 25 aprile – fu ad Onna, subito dopo il ter re -moto d’Abruzzo – ebbe a dire che sarebbe stato meglio cam -biare il nome della festa: non più «della Libe ra zione», ma«della Libertà». Pro po sta fur bis sima: la sua dizione ri-chiama infatti un valore astratto calato dal cielo, la nostradà conto della sto ria e rac conta chi la libertà ce l’aveva toltae cosa abbiamo dovuto fare per ricon qui starla. Se smar -riamo la sto ria can cel liamo il ricordo delle squa dracce fasci -ste al soldo degli agrari e dei padroni che bru cia rono le Ca-mere del lavoro, la vio lenza con tro le orga niz za zioni popo -lari; depen niamo la Resi stenza stessa e sopra tutto il ruoloche ha avuto nel costruire un nuovo stato ita liano demo-cratico.

Rischiamo di dimen ti care che per man te nere la libertàc’è biso gno di sal va guar dare la Costi tu zione e per farlo dirico struire una «società par ti giana» per l’oggi: uno scatto disog get ti vità, di assun zione di respon sa bi lità, un impe gnopoli tico col let tivo, rimet tere il «noi» prima dell’»io».Sapendo che oggi il «noi» si è estre ma mente dila tato. Nonè più quello di chi vive attorno al cam pa nile, e nem menoden tro i con fini nazio nali. Il mondo è entrato ormai nel no-stro quo ti diano, lo stra niero – e con lui la poli tica estera – loincon triamo al super mar ket, all’angolo della strada, nellascuola dei nostri figli. La sua libertà vale la nostra, la nostrasenza la sua non ha più senso. Per que sto non è pen sa bile fe-steg giare il 25 Aprile senza pale sti nesi e immi grati, così

– 45

come senza gli ebrei che da qual che parte pati scono tutt’oral’antisemitismo. Non è debor dare dal tema «Libe ra zione»sen tirsi parte, vit time e però anche respon sa bili, di tutti i di-sa stri che afflig gono oggi il mondo.

Luciana Castellina

46 –

LE RAGIONI DEL NO*

Onorevoli deputati,

1. la vasta e complessa riforma costituzionale che vi ac-cingete a votare in quarta lettura, ma pur sempre nel-l’ambito della prima deliberazione, è una riforma che, incoerenza col nostro sistema di democrazia parlamentare,avrebbe dovuto procedere dall’iniziativa parlamentare, enon dal Presidente del Consiglio dei ministri Renzi e dalMinistro per le Riforme Boschi. Il che ha determinatoinammissibili interferenze da parte dei medesimi sulla li-bertà di coscienza dei parlamentari in sede referente e inassemblea; e con modalità di approvazione che se legit-time per leggi ordinarie, non lo sono certo per le leggi direvisione costituzionali. Come, ad esempio, l’asserita nonemendabilità degli articoli approvati sia da Camera cheda Senato, che è bensì un principio valido per le leggi or-dinarie (art. 104 reg. Sen.) ma non per le leggi costituzio-nali.

Contro l’applicabilità di tale norma vi è, infatti, nonsolo il precedente della Giunta del regolamento della Ca-mera del 5 maggio 1993 (presidente Napolitano), secondoil quale nel procedimento di revisione costituzionale pos-

– 47

* Il prof. Alessandro Pace spiega in questa lettera inviata ai Deputati le ragionidi fondo della opposizione alla contro-riforma Renzi-Boschi del «Comitato per ilNO nel referendum costituzionale sulla legge Renzi-Boschi» (associazione con sedelegale presso Studio Adami - Corso d’Italia 97 Roma).

sono essere introdotti emendamenti anche soppressivipur quando sul testo si sia formata la «doppia conforme»,ma sussiste l’argomento ulteriore – assorbente e insupe-rabile – secondo il quale, fino a quando non sia stata de-finitivamente approvata e promulgata, una modifica nonpuò prevalere sulla Costituzione vigente e sostituirsi adessa.

2. Quella che vi accingete ad approvare in seconda let-tura, pur sempre nell’ambito della prima deliberazione,è una revisione costituzionale che, alla luce della sen-tenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014 – dichiara-tiva dell’incostituzionalità di talune norme del c.d. Por-cellum –, non avrebbe dovuto essere nemmeno presen-tata in questa legislatura.

La Corte costituzionale, nella citata sentenza (v. il n. 7del cons. in dir.), ebbe infatti a precisare che, a seguito del-l’incostituzionalità di tali norme, le Camere avrebbero po-tuto continuare ad operare grazie ad un principio implicito– il «principio fondamentale della continuità dello Stato» –però essenzialmente limitato nel tempo, come esemplifi-cato dalla stessa Corte, in quella sentenza, col richiamo allaprorogatio prevista negli articoli 61 e 77, comma 2, Cost.,che prevedono tutt’al più un’efficacia non superiore ai tremesi!

3. Ancora: tale legge di revisione costituzionale è diso-mogenea nel contenuto, e pertanto contraria all’art. 48Cost., in quanto costringe l’elettore ad esprimere con unsolo voto il suo favore contestualmente a proposito sia dellemodifiche alla forma di governo, sia delle modifiche ai rap-porti tra Stato e autonomie locali, ancorché egli sia favore-vole solo ad una delle due. Ripetendo così l’errore dellariforma Berlusconi del 2005, che violava per l’appunto la li-bertà di voto dell’elettore.

48 –

4. Gravi e svariate sono poi le perplessità che sollevanogli articoli fin qui approvati, molti dei quali – come si dirànel prosieguo – ridondano addirittura nella violazione deiprincipi supremi dell’ordinamento costituzionale, cometali non sopprimibili ancorché con legge di revisione co-stituzionale, sulle quali la Corte, come esplicitamente af-fermato nella sent. n. 1146 del 1988 (ripetutamente riba-dita), si è esplicitamente riservata di dichiararne l’incosti-tuzionalità ove tempestivamente investita della relativaquestione.

I principi supremi che vengono esplicitamente violati dald.d.dl. Renzi-Boschi sono, in primo luogo, il principio dellasovranità popolare di cui all’art. 1 Cost. (ritenuto inelimi-nabile dalle sentenze nn. 18 del 1982, 609 del 1988, 309 del1999, 390 del 1999 e, da ultimo, dalla sent. n. 1 del 2014, se-condo la quale «la volontà dei cittadini espressa attraversoil voto (…) costituisce il principale strumento di manifesta-zione della sovranità popolare»). In secondo luogo il prin-cipio di eguaglianza e di razionalità di cui all’art. 3 Cost.(sentenze nn. 18 del 1982, 388 del 1991, 62 del 1992 e 15 del1996).

4.1. Il principio secondo il quale «la volontà dei citta-dini espressa attraverso il voto (…) costituisce il princi-pale strumento di manifestazione della sovranità popo-lare») è violato dal «nuovo» art. 57, commi 2 e 5, il quale,con una formulazione criptica indegna di una Costitu-zione, da un lato, esclude comunque che i senatori-sin-daci non vengano eletti dai cittadini nemmeno in via in-diretta, dall’altro prevede che la scelta dei senatori-consi-glieri regionali avvenga da parte dei consiglieri regionali,che dovrebbero però conformarsi al risultato delle ele-zioni regionali. Per cui, delle due l’una: o l’elezione dei se-natori-consiglieri si conformerà integralmente al risultatodelle elezioni regionali e allora ne costituirà un inutile du-plicato oppure se ne distaccherà e allora viola il principio

– 49

dell’elettività diretta del Senato sancito dall’art. 1 della Co-stituzione.

Si badi bene: l’esigenza dell’elettività diretta del Senatonon è fine a se stessa, essa consegue da ciò, che, anche a se-guito della riforma Renzi-Boschi, il Senato eserciterebbe siala funzione legislativa sia la funzione di revisione costitu-zionale che, per definizione, costituiscono il più alto eserci-zio della sovranità popolare.

Di qui l’ineludibilità del voto dei cittadini che, della so-vranità popolare, «costituisce il principale strumento di ma-nifestazione».

Senza poi dimenticare che solo l’elezione popolare di-retta consentirebbe di svincolare l’elezione del Senato dallebeghe esistenti nei micro-sistemi politici regionali, come èstato sottolineato, tra gli altri, dal Presidente emerito dellaCorte costituzionale Gaetano Silvestri. Il che, detto più ru-vidamente, sta a significare che l’elezione diretta sottrar-rebbe, almeno in via di principio, le elezioni dei senatori daltessuto di scandali che contraddistingue la politica localeitaliana.

4.2. Passando alle violazioni del principio supremo dieguaglianza e razionalità (art. 3), la prima e più evidenteconsiste nella macroscopica differenza numerica dei depu-tati rispetto ai senatori, che rende praticamente irrilevante– nelle riunioni del Parlamento in seduta comune per l’ele-zione del Presidente della Repubblica e dei componenti laicidel CSM – la presenza del Senato a fronte della soverchianterappresentanza della Camera.

Sotto un diverso profilo, la competenza dei 100 senatoriad eleggere due giudici costituzionali mentre i 630 deputatine eleggerebbero solo tre, solleva sia un problema di pro-porzionalità a svantaggio della Camera, sia un problema diinadeguatezza tecnica dei senatori nella scelta dei giudicicostituzionali, che finirebbe per essere effettuata dalle se-greterie nazionali dei partiti politici.

50 –

Né si può sottacere che, secondo la riforma Renzi-Bo-schi, i 95 senatori eletti dai consigli regionali continuereb-bero ad esercitare part time la funzione di consigliere re-gionale o di sindaco, per cui è facile prevedere che esercite-rebbero in maniera del tutto insufficiente le funzioni sena-toriali. Con un’ulteriore evidente violazione del principio dieguaglianza-razionalità

4.3. Nel sistema federale tedesco – che alcuni parlamen-tari erroneamente ritengono di aver introdotto in Italia(sic!) – il Bundesrat, l’equivalente tedesco del nostro Senato(operante però sin dalla Costituzione imperiale del 1870,tranne la parentesi hitleriana), è costituito dalle sole rap-presentanze dei singoli Länder che, a seconda dell’impor-tanza del Land, hanno a disposizione da 3 a 6 voti per ognideliberazione.

Ebbene, a parte l’ovvia considerazione, anch’essa igno-rata, che i cittadini dei singoli Länder eleggono bensì il Go-verno del Land, me non, indirettamente, il Bundesrat, ciòche deve essere sottolineato è che nel Bundesrat sono pre-senti i singoli Governi del Länder, con tutto il loro peso po-litico, nei confronti del Governo federale, derivante dall’e-lezione popolare.

Ci si deve allora realisticamente chiedere quale mai forzapossa avere il Senato della Repubblica – privo di effettiva po-liticità (v. ancora G. Silvestri) –, sia nei confronti dello Statocentrale, sia dei Governatori delle singole Regioni, in quantocomposto da soli 100 senatori part time consiglieri o sindaci.

4.4. Di minore importanza pratica è il problema, cheperò testimonia la trascuratezza e superficialità del dise-gno costituzionale del Governo Renzi, della nomina pre-sidenziale dei cinque senatori che durerebbero in caricaper sette anni, quanto quindi il Presidente che li ha no-minati.

A parte le perplessità a proposito del «partitino» del Pre-sidente, che verrebbe così costituito, una cosa sono i sena-

– 51

tori a vita in un Senato avente finalità generali, altra cosa,assai più discutibile, sono i senatori eletti in un Senato delleautonomie (G. Silvestri, S. Mangiameli).

Da questo diverso angolo visuale, volendo a tutti i co-sti mantenere questo pubblico riconoscimento per chi haillustrato la Patria, sarebbe allora più logico (rectius,meno illogico) che il riconoscimento avvenisse nell’am-bito della Camera dei deputati, in quanto essa sola man-terrebbe le funzioni di rappresentanza generale del po-polo italiano nell’ambito delle quali i deputati «del Presi-dente» avrebbero una indubbia funzione culturale dasvolgere.

5. Il vero è che tutti questi apparenti errori e apparentistrafalcioni costituiscono piuttosto dei precisi tasselli chedetermineranno lo spostamento dell’asse istituzionale a fa-vore dell’esecutivo

Grazie all’attribuzione alla sola Camera dei deputati delrapporto fiduciario col Governo, e, grazie all’Italicum – inconseguenza del quale il partito di maggioranza relativa, an-che col 30 per cento dei voti e col 50 per cento degli astenuti,otterrebbe la maggioranza dei seggi – l’asse istituzionaleverrà spostato decisamente in favore dell’esecutivo, che di-verrebbe a pieno titolo il dominus dell’agenda dei lavori par-lamentari, con buona pace della citata sentenza n. 1 del2014 della Corte costituzionale, secondo la quale la «rap-presentatività» non dovrebbe mai essere penalizzata dalla«governabilità».

Il Governo, rectius, il Premier, sarebbe quindi il dominusdell’agenda parlamentare, anche se un qualche problema ladarà la cervellotica varietà di ben otto diversi iter legislativia seconda delle materie (F. Bilancia).

Il Governo, rectius, il Premier, dominerà pertanto la Ca-mera dei deputati cui non potrà contrapporsi, alla faccia delbarone di Montesquieu, alcun potenziale contro-potere: né

52 –

«esterno» – essendo il Senato ormai ridotto ad una larva –né «interno», grazie alla mancata esplicita previsione dei di-ritti delle minoranze (né il diritto di istituire commissioniparlamentari d’inchiesta, né il diritto di ricorrere alla Cortecostituzionale contro le leggi approvate dalla maggioranza[M. Manetti]).

Il riconoscimento dei diritti delle opposizioni, nella Ca-mera dei deputati, viene, dal «nuovo» art. 64, graziosamentedemandato esclusivamente ai regolamenti parlamentari,con la conseguenza che sarà il partito avente formalmentela maggioranza parlamentare e, quindi, il Governo, a preci-sarne i contenuti.

Con riferimento ai rapporti tra Stato e Regioni, la car-tina di tornasole della contrazione delle autonomie terri-toriale è data dalla previsione della così detta «clausola disupremazia» (art. 117), con riferimento alla quale l’ex Pre-sidente della Consulta, Gaetano Silvestri, ha osservatonella già citata audizione dinanzi al Senato, che suscitaperplessità la previsione di una tale clausola, la quale «in-globa in sé non solo la «tutela dell’unità giuridica ed eco-nomica della Repubblica» pienamente condivisibile, maanche la reintroduzione del famigerato «interesse nazio-nale», che nella prassi anteriore della riforma del 2001, siera rivelato uno strumento di azzeramento discrezionaledell’autonomia regionale da parte dello Stato (una «clau-sola vampiro», secondo la felice espressione di Antoniod’Atena)».

Onorevoli deputati e senatori, di fronte a questo critica-bilissimo quadro normativo, e a maggior ragione discutibi-lissimo perché pretenderebbe di avere la forza e l’autoritàmorale della Costituzione della Repubblica italiana, il Co-mitato per il NO vi chiede di tentare con decisione di mo-dificare l’attuale testo del d.d.l. cost. n. 2613-B; in subor-dine, di aderire a questo Comitato, e, infine, qualora taled.d.l. cost. venisse definitivamente approvato, di impegnarvi

– 53

fin da ora a richiederne la sottoposizione a referendum po-polare. Vi chiediamo di mandarci un cenno di conferma diquesto impegno all’indirizzo:[email protected]

Roma 20/11/2015

Alessandro Pace*

54 –

* Presidente del Comitato per il No.

LA PROFEZIA NERA DI COSSIGA

Sono troppi anni che in Italia è stata imposta nel dibat-tito pubblico un’accesa discussione sull’esigenza di profon -de riforme costituzionali ed istituzionali, al punto che or-mai è penetrato nel senso comune lo stereotipo che la Co-stituzione del 1948 sarebbe un ferrovecchio di cui bisognasbarazzarsi in nome della democrazia per far «crescere» ilnostro paese. Pochi ricordano che questa discussione è par-tita dal vertice del potere politico, ha una ben precisa datadi inizio ed un suo profeta: Francesco Cossiga. Fu il Presi-dente della Repubblica dell’epoca che, il 26 giugno del 1991,mandò un formale messaggio alle Camere istigando il Par-lamento ad attuare una profonda riforma della Costitu-zione, che avrebbe dovuto portare ad una modificazionedella forma di Governo, della forma di Stato, del sistemadell’indipendenza della magistratura e ad abbandonare il si-stema elettorale proporzionale a favore di un sistema mag-gioritario. Con questo messaggio Cossiga dichiarava obso-leto il modello di democrazia costituzionale prefigurato daiCostituenti, in quanto frutto della guerra fredda che avrebbeindotto i Costituenti stessi ad organizzare un potere «de-bole» custodito da garanzie «forti», anziché un potere fortee stabile, svincolato da garanzie forti.

Quella che contestava Cossiga, in realtà, era l’imposta-zione antitotalitaria che aveva guidato le scelte dei Costi-tuenti, determinati ad evitare che in Italia si potesse veri-ficare un’eccessiva concentrazione di potere nelle manidei capi politici, a scapito dello Stato di diritto e dei di-

– 55

ritti dei cittadini, come era avvenuto con l’esperienza delfascismo.

L’esigenza delineata da Cossiga nel suo «profetico» mes-saggio alle Camere è quella di dare più potere al potere, diridimensionare il sistema di pesi e contrappesi che fa sì cheil potere di ogni organo trovi un limite nel potere di altri or-gani e che l’esercizio di ogni funzione di governo sia vigi-lata da robuste istituzioni di garanzia, capaci di assicurarnela conformità al diritto e di tutelare i diritti inviolabili deicittadini. L’aspirazione è sempre stata quella di ricreare nuo-vamente un governo forte, se non addirittura un uomo forte,capace di realizzare la sua missione di governo, senza es-sere ostacolato dalle istituzioni rappresentative e da quelledi garanzia.

Dare più potere al potere è stato il leitmotiv che ha gui-dato il ventennio appena trascorso e le riforme che sonostate praticate sia in tema di leggi elettorali che di modifi-che formali alla Costituzione. Lungo i binari posti da Cos-siga hanno viaggiato tutti i tentativi di riforma della demo-crazia costituzionale italiana, praticati nel tempo, con esitivari, sia attraverso le riforme elettorali, sia attraverso leriforme della Costituzione del 48.

Il problema è che adesso questo lungo viaggio sta per ter-minare. Quando andranno a regime la riforma elettorale(italicum), la riforma del Senato, la riforma della pubblicaamministrazione (che demolisce il principio costituzionaledell’imparzialità e del buon andamento), la riforma dellascuola (che assoggetta l’istruzione pubblica ad una logicaaziendale), le varie riforme del mercato del lavoro (che ri-conducono il lavoro a merce), allora si sarà completato unprocesso di vera e propria sostituzione del modello di de-mocrazia, del modello di Stato e del modello economico so-ciale delineati nella Costituzione della Repubblica italiana.

Tutte queste riforme sono convergenti verso la creazionedi un nuovo quadro istituzionale che si realizza con la fi-

56 –

gura dell’uomo solo al comando e con la sterilizzazione, senon l’abiura dei principi e dei valori che la Costituzione aposto a base della vita della Repubblica.

In questo contesto bisogna valutare l’ultima battaglia chesi sta combattendo in questi giorni al Senato, intorno allariforma/cancellazione del Senato ed al ridimensionamentodei poteri della Camera dei Deputati. In questo contesto ri-salta l’assurdità del compromesso sulla semi-elezione po-polare dei senatori che ha fatto alzare bandiera bianca allaminoranza PD. Si tratta di compromesso che non restitui-sce ai cittadini il potere di elezione diretta dei senatori e la-scia irrisolti tutti gli altri nodi. In particolare: la sottrazionealle Regioni di ogni possibilità di governo del territorio; lasostanziale attribuzione al Governo del controllo dell’a-genda dei lavori della Camera dei Deputati, già mortificatae sottoposta alla supremazia dell’esecutivo in virtù dellalegge elettorale voluta dal governo Renzi che garantisce alpartito vincitore un premio di maggioranza sproporzionatocome e peggio che nel «porcellum», l’eliminazione della ga-ranzia della doppia lettura per le leggi che riguardano i di-ritti fondamentali dei cittadini; la sproporzione numericafra senatori (100) ed i Deputati (630) che rende irrilevanteil ruolo del Senato nell’elezione del Presidente della Repub-blica. La riforma costituzionale è un po’ la linea del Piavesulla quale si può arrestare la controrivoluzione in atto. Riu-sciremo ad impedire che si realizzi la profezia nera di Cos-siga?

Domenico Gallo

– 57

IL COORDINAMENTOPER LA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE

Nel nostro paese sono in cantiere profonde modifichedell’assetto politico-istituzionale, perseguite dall’attuale go-verno attraverso una vasta revisione della Costituzione eduna nuova legge elettorale destinate, purtroppo, ad inciderenegativamente sulla qualità della democrazia e sui diritti deicittadini. Ciò avviene ridimensionando la centralità del suf-fragio diretto e del Parlamento, quale istituzione rappresen-tativa della sovranità popolare, alterando le garanzie del bi-lanciamento dei poteri e realizzando una inusitata concen-trazione di poteri nelle mani dell’Esecutivo espresso da ununico partito e in particolare esaltando il ruolo dominantedel Presidente del Consiglio, nel quadro di un generale soffo-camento delle autonomie regionali e locali. È inaccettabileche iniziative come queste, che incidono tanto profonda-mente sulla democrazia costituzionale avvengano impo-nendo al Parlamento una marcia a tappe forzate. Questostrozza il confronto politico impedendo la necessaria parte-cipazione dei cittadini al processo decisionale su scelte chedeterminano un significativo cambiamento del Patto costi-tuzionale sul quale si fonda l’unità del popolo italiano comecomunità politica. Ed è intollerabile che l’Esecutivo pretendache la riforma costituzionale sia trattata come un decretolegge che il Parlamento deve ratificare, e in aggiunta che laCostituzione sia riscritta da un Parlamento eletto con unalegge dichiarata incostituzionale, senza sentire l’esigenza, al-meno, di un largo e democratico confronto preventivo.

58 –

A richiesta di numerose associazioni attive nella societàcivile, personalità della cultura, esponenti sindacali, si è co-stituito, il 24 febbraio, il Coordinamento per la Democraziacostituzionale (www.coordinamentodemocraziacostituzio-nale.net) con l’obiettivo di difendere e valorizzare i principidella democrazia della nostra Costituzione nata dalla Resi-stenza, operando per attivare l’opinione pubblica, larga-mente inconsapevole del significato e dei contenuti del pro-cesso di riforme istituzionali in atto, e per promuovere undibattito politico che consenta la partecipazione di tutti icittadini e faccia avanzare la consapevolezza della posta ingioco per gli anni futuri.

Al Coordinamento hanno dato, finora, la propria ade-sione le associazioni

l’Ars (Associazione per il rinnovamento della sinistra), As-sociazione Articolo 21, i Comitati Dossetti, Libertà e Giustizia,l’Associazione per la Democrazia costituzionale, l’Associa-zione Giuristi Democratici, La Rete per la Costituzione, il Ma-nifesto in rete, «Agire politicamente» (Coordinamento Cri-stiano democratico) il Gruppo di Volpedo, Iniziativa 21 giu-gno, Iniziativa socialista, Sinistra-lavoro, Rete socialista-so-cialismo europeo, Futura Umanità, Libera cittadinanza, Co-mitato difesa della Costituzione Ravenna, Comitato CentralePCdI, Alleanza Lib – Lab;

nonché le strutture sindacalila Fiom, l’Usb (Unione Sindacale di Base) e organizzazioni

politiche come l’Altra Europa con Tsipras, Prc, Lavoro e so-cietà, parlamentari del gruppo misto, di Sel e della sinistraPd; la Cgil e Libera partecipano ai lavori come osservatori;

hanno aderito, inoltre, costituzionalisti e personalitàdella cultura

Gustavo Zagrebelsky, Luigi Ferrajoli, Gianni Ferrara, Mas-simo Villone, Nadia Urbinati, Pietro Adami, Franco Russo,Anna Falcone, Domenico Gallo, Pancho Pardi, FrancescoBaicchi, Sandra Bonsanti, Felice Besostri, Antonio Caputo,

– 59

Raniero La Valle, Vincenzo Vita, Sergio Caserta, AlfieroGrandi, Tommaso Fulfaro, Lanfranco Turci, Gim Cassano,Paolo Ciofi, Cesare Salvi, Antonello Falomi, Giovanni RussoSpena, Emilio Zecca, nonché i parlamentari Vannino Chiti,Erica D’Adda, Francesco Campanella, Maria Grazia Gatti, Al-fredo D’Attorre, Paolo Corsini, Felice Casson, Loredana De Pe-tris, Stefano Fassina, Stefano Quaranta, Corradino Mineo,Giorgio Airaudo, Lucrezia Ricchiuti, Walter Tocci.

Roma, 24 febbraio 2015

60 –

UN’ASSOCIAZIONE PER IL NO

Il Senato ha votato il testo della legge costituzionale dicui al d.d.l. Renzi-Boschi 1429 S. e 2613/b C. e il governoRenzi è intenzionato a farla approvare al più presto.

Contando sulla possibilità che si svolga il referendumprevisto dall’articolo 138 della Costituzione è stato costituitoil «Comitato per il NO nel referendum sulle modifiche dellaCostituzione» il 30 ottobre 2015 a Roma, nella forma di As-sociazione presso il notaio Atlante.

Il Comitato per il NO nel referendum previsto dall’arti-colo138 si è costituito sulla base della seguente piattaformapolitica:

«Il disegno di legge costituzionale Renzi-Boschi diriforma della Parte II della Costituzione dissolve l’identitàdella Repubblica nata dalla Resistenza. È inaccettabile peril metodo e per i contenuti e lo è ancor di più in rapportoalla legge elettorale (52/2015) già approvata.

Nel metodo: è stato costruito per la sopravvivenza di ungoverno e di una maggioranza privi di qualsiasi legittima-zione sostanziale dopo la sentenza con la quale la Corte co-stituzionale ha dichiarato l’illegittimità del «Porcellum».Molteplici forzature di prassi e regolamenti hanno deter-minato in parlamento spaccature insanabili tra le forze po-litiche, portando all’approvazione da parte di possibili mag-gioranze raccogliticce e occasionali, rese unicamente dalpremio di maggioranza dichiarato illegittimo.

Nei contenuti: la cancellazione della elezione direttadei senatori, la drastica riduzione dei componenti — la-

– 61

sciando immutato il numero del deputati — la composi-zione fondata su persone selezionate per la titolarità di undiverso mandato (e tratta da un ceto politico di cui l’e-sperienza dimostra la prevalente bassa qualità) colpisconoirrimediabilmente 11 principio della rappresentanza poli-tica e gli equilibri del sistema istituzionale. Non basta l’ar-gomento del taglio del costi, che più e meglio poteva per-seguirsi con scelte diverse. Né basta l’intento dichiaratodi costruire una più efficiente Repubblica delle autono-mie, smentito dal complesso e farraginoso procedimentolegislativo, e da un rapporto stato-Regioni che solo in pic-cola parte realizza obiettivi di razionalizzazione e sem-plificazione, determinando per contro rischi di neo-cen-tralismo. Il vero obiettivo della riforma è lo spostamentodell’asse istituzionale a favore dell’esecutivo. Una prova sitrae dalla introduzione in Costituzione di un governo do-minus dell’agenda dei lavori parlamentari. Ma ne è so-prattutto prova la sinergia con la legge elettorale «Itali-cum», che aggiunge all’azzeramento della rappresentati-vità del senato l’indebolimento radicale della rappresen-tatività della camera dei deputati. Ballottaggio, premio dimaggioranza alla singola lista, soglie di accesso, voto bloc-cato sui capilista consegnano la camera nelle mani del lea-der del partito vincente — anche con pochi voti nella com-petizione elettorale, secondo il modello dell’uomo solo alcomando. Ne vengono effetti collaterali negativi anche peril sistema di checks and balances. Ne risente infatti l’ele-zione del capo dello Stato, dei componenti della corte co-stituzionale, del Csm. E ne esce indebolita la stessa rigi-dità della Costituzione. La funzione di revisione rimanebicamerale, ma i numeri necessari sono alla Camera arti-ficialmente garantiti alla maggioranza di governo, men-tre in Senato troviamo membri privi di qualsiasi legitti-mazione sostanziale a partecipare alla delicatissima fun-zione di modificare la Carta fondamentale. L’incontro

62 –

delle forze politiche antifasciste in Assemblea costituentetrovò fondamento nella condivisione di essenziali obiet-tivi di eguaglianza e giustizia sociale, di tutela di libertà ediritti. Sul progetto politico fu costruita un’architetturaistituzionale fondata sulla partecipazione democratica,sulla rappresentanza politica, sull’equilibrio tra i poteri.Il disegno di legge Renzi-Boschi stravolge radicalmentel’impianto della Costituzione del 1948, ed è volto ad af-frontare un momento storico difficile e una pesante crisieconomica concentrando il potere sull’esecutivo, ridu-cendo la partecipazione democratica, mettendo il bava-glio al dissenso. Non basta certo in senso contrario l’ar-gomento che la proposta riguarda solo i profili organiz-zativi. L’impatto sulla sovranità popolare, sulla rappre-sentanza, sulla partecipazione democratica, sul diritto divoto è indiscutibile. Più in generale, l’assetto istituzionaleè decisivo per l’attuazione dei diritti e delle libertà di cuialla prima parte, come è stato reso evidente dalla sciagu-rata riforma dell’articolo 81 della Costituzione. Bisognadunque battersi contro questa modifica della Costitu-zione. Ora facendo mancare i,l voto favorevole della mag-gioranza assoluta dei componenti in seconda delibera-zione. E poi con una battaglia referendaria come quellache fece cadere nel 2006, con il voto del popolo italiano, lariforma – parimenti stravolgente – approvata dal centro-destra.

Per queste ragioni il Comitato per il No nel referendumsulle modifiche della Costituzione ritiene che occorra im-pedire che questa «riforma» cambi il volto costituzionaledelle nostra Repubblica. Su queste basi si è proceduto a co-stituire Il Comitato per il NO nel referendum costituzionaleche si propone dí difendere i principi della vigente Costitu-zione Repubblicana; e si propone inoltre di promuoverenelle forme previste il referendum previsto dall’art. 138Cost. contro la legge costituzionale di cui al d.d.l. Renzi-Bo-

– 63

schi 1429 5. e 2613 – b C. qualora questa venisse definitiva-mente approvata, sempre che nel frattempo le Camere nonabbiano eliminato o modificato gli articoli palesemente con-trari ai principi supremi della Costituzione che al momentola caratterizzano».

A questo scopo si è costituita una Associazione senzascopo di lucro denominata:

«Comitato per il No nel referendum sulle modifiche allaCostituzione».

L’associazione è stata promossa dal Coordinamento perla democrazia costituzionale. La associazione ha sede inRoma, Corso d’Italia 97, presso lo studio dell’avvocato Pie-tro Adami.

L’associazione è regolata dallo statuto ed ha comescopo immediato quello di promuovere la vittoria dei NOnel futuro referendum costituzionale. È ammessa l’ade-sione successiva all’associazione da parte di soggetti chene facciano richiesta scritta (anche via mail) al ConsiglioDirettivo (di cui verrà presto fornita la mail dedicata).Questa richiesta può essere rigettata dal quorum dellamaggioranza assoluta dei componenti del Consiglio di-rettivo.

Il consiglio direttivo dell’Associazione «Comitato per ilNo nel referendum costituzionale» è composto da:

Gustavo Zagrebelsky (presidente onorario), AlessandroPace (presidente), Pietro Adami, Alberto Asor Rosa, GaetanoAzzariti, Francesco Baicchi, Vittorio Bardi, Mauro Beschi, Fe-lice Besostri, Francesco Bilancia, Sandra Bonsanti, LorenzaCarlassare, Sergio Caserta, Claudio De Fiores, Riccardo DeVito, Carlo Di Marco, Giulio Ercolessi, Anna Falcone (vicepresidente), Antonello Falomi (tesoriere), Gianni Ferrara,Tommaso Fulfaro (cassiere), Domenico Gallo (comitato ese-cutivo), Alfonso Gianni, Alfiero Grandi (vice presidente vica-rio), Raniero La Valle, Paolo Maddalena, Giovanni Palomba-

64 –

rini, Vincenzo Palumbo, Francesco Pardi, Livio Pepino, An-tonio Pileggi, Marta Pirozzi, Ugo Giuseppe Rescigno, StefanoRodotà, Franco Russo, Giovanni Russo Spena, Cesare Salvi,Mauro Sentimenti, Enrico Solito, Armando Spataro, Mas-simo Villone, Vincenzo Vita, Mauro Volpi.

– 65

IL PATTO DELLE CATACOMBEDI S. GENNARO DEI POVERI

Il 16 novembre del 1965, pochi giorni prima della chiusuradel Concilio Vaticano II, una cinquantina di padri conciliarihanno celebrato un’Eucaristia nelle Catacombe di Domitilla.Era il gruppo dei vescovi della «Chiesa dei poveri» che allafine del Concilio decisero di scendere nelle catacombe, sim-bolicamente «ai margini», per firmare il «Patto delle Cata-combe». I firmatari si impegnavano personalmente a vivereda chiesa «povera e dei poveri», ed hanno poi vissuto questoimpegno fino in fondo con scelte concrete.

Il 16 novembre 2015 nel 50° anniversario del Patto delleCatacombe, laici e laiche, religiosi e religiose, numerosi e pro-venienti da tutte le parti d’Italia, guidati nella preghiera dalvescovo Luigi Bettazzi e dai padri Alex Zanotelli ed AntonioLoffredo, nelle catacombe di S. Gennaro dei Poveri, hanno rin-novato quel «Patto». Chi vuole può firmare collegandosi alsito: www.catacombedinapoli.it.

Oggi 16 novembre 2015 nel 50° anniversario del Pattodelle Catacombe, entriamo nelle catacombe di S. Gennarodei Poveri, nel Rione Sanità (Napoli), ai «margini», per darvita ad un rinnovato «Patto» e per impegnarci a dare cen-tralità ad una «Chiesa povera e dei poveri».

Come quei padri conciliari, anche noi, oggi, «nell’umiltàe nella coscienza della nostra debolezza, ma anche con tuttala determinazione e la forza di cui Dio vuole farci grazia», civogliamo impegnare.

66 –

DOCUMENTI

Prima di tutto, Signore, ti vogliamo chiedere perdono.Siamo consapevoli che, attraverso il nostro stile di vita,siamo causa di tanta sofferenza dei nostri fratelli e sorelle,nonché dell’«oppressa e devastata terra».

Ci impegniamo a fare l’opzione dei poveri, degli esclusi,degli «scarti» della società, a riconoscere in loro la «carne diCristo», Sacramento vivo della sua Presenza, «a prestare adessi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loroamici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la mi-steriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso diloro.»

Ci impegniamo, affinché la nostra azione pastorale portii poveri a sentirsi a «casa loro» nelle nostre comunità, non-ché ad essere al centro della nostra attenzione.

Ci impegniamo quindi, ad acquisire uno stile di vita so-brio in tutti gli ambiti della nostra vita, nell’abitazione, nelcibo, nell’abbigliamento, nei mezzi di trasporto e nelle no-stre chiese: evitando l’usa e getta, privilegiando l’usato e ilcircuito corto e naturale, consumando libero da scorie, ri-ciclando e recuperando i rifiuti.

Ci impegniamo, davanti a Te, Unico Signore, in questasocietà che adora l’idolo del denaro, a non arricchirci e acondividere quello che abbiamo.

Ci impegniamo, ad utilizzare nella nostra quotidianitàfornitori di servizi bancari che scelgono la finanza etica ealternativa, che combattono la speculazione, che non favo-riscono il riciclaggio dei capitali nei paradisi fiscali, fruttodi criminalità o di evasione e che non investono in attività,come l’industria delle armi, che causa sofferenza e morte.

Ci impegniamo, in questo momento storico, all’acco-glienza dei fratelli e delle sorelle, che fuggono da situazioni diingiustizia e di morte, perché fare spazio a loro è farlo a Cri-sto: mettendo a disposizione le nostre case, chiese e conventi.

Ci impegniamo, in solidarietà con i poveri, a rimettere in

– 67

discussione il nostro Sistema economico-finanziario,«nuova e spietata versione del feticismo del denaro», i cuieffetti devastanti tocchiamo con mano in questo Sud cosìmartoriato e devastato: sostenendo in maniera nonviolenta,nella nostra azione pastorale, i movimenti popolari che siimpegnano a favore dei diritti fondamentali dell’essereumano, «lavoro, casa, terra», ma anche contro le enormispese militari che producono sempre più guerre.

Ci impegniamo a lottare contro ogni forma di violenza, disopraffazione e di cultura mafiosa che genera criminalitàorganizzata, corruzione, inquinamento ambientale e morte.

Ci impegniamo a «curare la nostra casa comune» accet-tando la sfida di Papa Francesco che, di fronte alla «gravecrisi ecologica», causata dall’uomo e che sarà pagata dai po-veri, ci chiama ad una ‘conversione ecologica’, basata su re-lazioni sane «con il mondo che ci circonda»

Ci impegniamo a costruire comunità cristiane «inuscita», aperte alla mondialità, all’inclusione, al dialogo ecu-menico ed interreligioso, profondamente missionarie e pro-fetiche.

Ci impegniamo, ritornando nelle nostre realtà locali, afar conoscere questo Patto chiedendo ai nostri fratelli e so-relle di vigilare su questa nostra scelta aiutandoci con la pre-ghiera e la comprensione.

Signore affidiamo questo nostro Patto nelle tue mani,certi che ci aiuterai a vivere queste scelte, consapevoli che,insieme, possiamo smuovere le montagne.

«Aiutaci Dio, nostro Papà, ad essere fedeli».

Napoli, 16 novembre 2015

68 –

MORTE DI ANDRÉ GLUCKSMANN

Nella notte fra il 9 e il 10 novembre scorso, moriva An-dré Glucksmann, una delle figure più significative del mag-gio francese del 1968. Egli infatti aveva fondato, insiemecon Bernard Henri Lévy, la corrente dei ‘nouveaux philo-sophes’, di quei pensatori che – da sinistra – criticavano co-munismo e totalitarismo. Suo figlio, il regista Raphael, an-nunciandone la morte, ha presentato il padre come «il suoprimo e migliore amico… un uomo buono ed eccellente…»,animato da una fortissima passione civile. Di famigliaebraica, André Glucksmann, rimasto presto orfano del pa-dre, crebbe in un ambiente ricco di stimoli intellettuali, so-prattutto per l’influenza esemplare della madre, entratanelle file della Resistenza. Di qui il suo impegno costantenella lotta contro ogni forma di sopruso e ingiustizia, senzache mai egli perdesse la speranza di cambiare il mondo.Dopo gli studi di filosofia, benché schierato con la rivolu-zione maoista in Cina, divenne assistente alla Sorbona delpensatore libeale Raimond Aron. Si preparava così in luiuna clamorosa rottura col marxismo, culminante – neglianni ’70 – con la pubblicazione della «Cuoca e il magiauo-mini: sui rapporti fra Stato, marxismo e campi di concen-tramento»: un pamphlet di denuncia del marxismo, che agiudizio dell’autore, «non produce solo dei paradossi scien-tifici, ma anche dei campi di concentramento». Si ripetevain tal modo la denunzia già fatta nel 1947 dai maestri dellaScuola di Francoforte, Adorno e Horkheimer, in «Dialetticadell’Illuminismo», nei confronti del Socialismo reale del-

– 69

SEGNALAZIONI

l’URSS allora guidata da Stalin. Glucksmann assestava cosìun colpo letale all’ideologia comunista in Francia, passando,dopo il crollo del Muro di Berlino e la dissoluzione del-l’URSS, all’antitotalitarismo, battendosi per sostenere i di-ritti umani e anche l’intervento armato in difesa dei più de-boli, come in Kossowo (1999). Sostenne infine, nel suo im-portante libro «Il discorso della guerra», la giustezza del ri-corso alla violenza per fermare il dittatore Saddam: né esitòin seguito a condannnare il nuovo imperialismo russo rap-presentato da Putin, e gli abusi di Mosca nel conflitto in Ce-cenia. Un intellettuale, Glucksmann, che «veramente haspeso tutta la sua vita» – per citare il presidente franceseHollande – al servizio della libertà, «sintetizzando in sé tuttii drammi del XX secolo».

Mario Gaetano Fabrocile

70 –

MARIO SIRONI E LE ILLUSTRAZIONIPER «IL POPOLO D’ITALIA»

È aperta fino al 10 gennaio 2016, nei due Musei di VillaTorlonia a Roma, la mostra «Mario Sironi e le illustrazioniper ‘Il Popolo d’Italia’ 1921-1940», con denso catalogo diPalombi editore. È difficile parlare di arte fascista, sebbenedurante il ventennio il regime si impegnasse a costruireuna sua immagine, anche sul piano culturale, favorendoin ambito artistico quelle tendenze più sensibili al recu-pero della tradizione romana e classico-rinascimentale. Inquest’ottica, la critica d’arte Margherita Sarfatti sostennela formazione del gruppo ‘Novecento’, un insieme di pit-tori – da De Chirico a Martini, Casorati, Morandi e altri –che, pur nella loro diversità, si sentirono accomunati dalrifiuto del Modernismo e dal riferimento alla tradizionenazionale. Un impegno,quest’ultimo, nel quale si distinseil talento del pittore e scultore sardo Mario Sironi, chedopo la retrospettiva sulla sua vasta produzione pittoricaospitata mesi fa nel Compesso del Vittoriano in Roma, ètornato all’attenzione del pubblico con la presente mostra.In Villa Torlonia. Luogo, questo, caro all’artista, perché giàresidenza di Mussolini, e perciò naturalmente idoneo a te-stimoniare il Sironi vignettista. Egli infatti, dal 1921 al1940, offrì valida testimonianza delle sue doti di disegna-tore nelle illustrazioni delle pagine de «Il popolo d’Italia»,giornale fondato dal Duce stesso nel 1921. Sironi voleva intal modo mostrare il proprio convincimento sulla funzioneeducativa dell’arte, e contribuire – come giustmente os-

– 71

servato in catalogo da Claudio Parise Presicce, soprinten-dente capitolino ai Beni Culturali – alla creazione delnuovo volto dello Stato-Italia. La sua arma qui è un segnograffiante e appassionato, proprio del militante che vuoletrasmettere un messggio politico, fortemente sentito.Spesso i suoi disegni, come è stato scritto da Monica Ciolisempre nel predetto catalogo, non rinviano «ad un imme-diato e fruibile fatto di cronaca politica… e la potenzadella satira sironiana risiede tutta nella carica comunica-tiva, al punto che, come direbbe Theodor W. Adorno, chiesperisce l’opera d’arte come qualcosa di vivo in sé, ne escecambiato, senza forse neanche aver compreso il senso el’oggetto vero del disegno». Le illustrazoni pubblicate su‘Il Popolo d’Italia’ rinviano alla vicenda stessa del quoti-diano, nato come giornale personale di Mussolini, più checome organo di partito, in un’ottica di personalizzazonedel regime. Era insomma il futuro Duce a dettare dal suogiornale le direttive politiche da seguire, con l’aiuto dellepungenti vignette sironiane, specie negli anni dello squa-drismo. Tale fenomeno poi, esploso nel 1920, avrebbe toc-cato l’apice nel 1922, ponendo a Mussolini l’esigenza dicontrollarlo in qualche modo. Egli infatti, astutmente con-tinuò ad identificarsi più nel suo giornale che nel movi-mento: e quando i toni della battaglia politica si facevanomolto aspri, l’artista interveniva per attenuarli, come nellavignetta «Una pretesa assurda», che volendo irridere al-l’alleanza di Socialisti e Popolari, rappresenta don Sturzonelle vesti di un sacrestano incappucciato in un berrettofrigio socialista, con uno spegnimoccoli di grandi dimen-sioni, incapace tuttavia di spenere la luce del Fascismo,rappresentata da una lampada più piccola, ma più mo-derna e potente perché elettrica. E quando lo squadrismoraggiunse il suo culmine nell’estate del 1922, con violenzein tutta la penisola, fino alla distruzione a Milano dellasede dell’Avanti, il quotidiano di Mussolini inneggiava al-

72 –

l’implacabile, travolgente reazione fascista alle inconsi-stenti provocazioni della cosiddetta Alleanza sovversiva,con una epigrafica vignetta sironiana, in cui un valorosoeroe fascista viene ringraziato da una donna, l’Italia, chegli stringe la mano.

Paola Pariset

– 73

«L’ONDA ‘LUNGA’ DELLA LIBERTÀ»

Finché l’energia dell’Onda della libertà1 non scemerà, lamemoria non correrà il rischio di estinguersi nell’abusatasequela di tic del nostro presente agire senza riflettere,senza sapere. Se ci sono gli autori di quest’ottimo libro e,soprattutto, se esso troverà un buon numero di lettori, si-gnifica che il frangente è ben poca cosa nei confronti delflutto. Per altro verso il gioco vale la candela: se i nostri per-sonali ricordi svaniscono, la memoria collettiva valica l’e-sperienza del tempo ed è spesso impressa a caratteri di san-gue nelle pagine della Storia. Allora va dato merito all’Isti-tuto Campano per la Storia della Resistenza, dell’Antifasci-smo e dell’Età Contemporanea «Vera Lombardi»2 per averfortemente voluto il libro in occasione del ventesimo anni-versario della morte di Nanni Loy, benché non l’uomo sol-tanto si ricordi, ma anche e soprattutto la materia del suolungometraggio3 e il tempo in cui fu realizzato e il contestopolitico e culturale che ne rese possibile l’attuazione e la to-pografia filmica che gli scenografi affidarono alle riprese.Si tratta di una sinergia di competenze che illustra al let-tore, segnatamente se giovane e scarsamente informato, glieventi che videro protagonista la città di Napoli dal 28 set-

74 –

1 L’onda della libertà. Le Quattro Giornate di Napoli tra storia, letteratura e ci-nema, a cura di Ugo Maria Olivieri, Mario Rovinello e Paolo Speranza, EdizioniScientifiche Italiane, Napoli 2015.

2 http://www.istitutocampanoresistenza.it. 3 Le Quattro Giornate di Napoli, regia di Nanni Loy, Titanus, 1962, Pellicola

(oggi in DVD).

tembre al 1° ottobre del 1943, allorquando il popolo parte-nopeo insorse contro l’insostenibile occupazione nazifasci-sta, poche ore avanti che le truppe anglo-americane pones-sero piede in città e ne assumessero il governo provvisorio.Le prospettive intratestuale, intertestuale ed extratestualedalle quali si legge e interpreta il film di Loy danno una vi-sione a tutto tondo dell’opera e rendono giustizia ad un’o-perazione di arte e cultura che ebbe un tempo non pochidetrattori, per contingenze politiche e diplomatiche insiemecome il lettore vedrà.

Certamente il film è fiction e altrettanto certamente com-muove, com’è giusto che sia. Risponde pienamente ai re-quisiti del genere. Cionondimeno, se è forse facile strapparela lacrimuccia con una struggente storia d’amore, non è al-trettanto facile suscitare emozioni con la Storia, soprattuttose a farla, la storia, non è l’eroe hollywoodiano senza mac-chia e senza paura, ma un’intera comunità, usualmente pa-ciona e casinista, magari un po’ conservatrice, e tuttavia ani-mata, disperatamente animata dall’orgoglio dell’identità ne-gata, della dignità ferita.

Le Quattro Giornate furono una gloriosa pagina dellaResistenza e un monito per le generazioni future: la libertàè bene prezioso, nessuno ha il diritto di calpestarne l’istanzae l’urgenza. Di tal fatta è il messaggio che giunge a noi, inquesti termini occorre recepirlo e divulgarlo. Oggi ce n’è ungran bisogno, allo stesso modo in cui, nel 1962, produttore,regista, attori, sceneggiatori, tecnici e la cittadinanza me-desima che ne fu protagonista, percepirono prima le ri-prese, poi l’uscita del film: un inno alla libertà. Questo acirca venti anni di distanza dai fatti a cui esso si ispira.Come mai così tardi? Come mai in questi venti anni ilmondo del cinema e delle lettere non si assunse l’onere dicantare le gesta di Napoli del lontano Quarantatré cosìcom’era accaduto per tante pagine della Resistenza nell’im-mediato dopoguerra? Occorre conoscere le vicende italiane

– 75

e le tensioni politiche internazionali di questo ventennio(1943-1963) per capire le ragioni di un silenzio quasi impo-sto o della censura su una materia che scottava agli occhidei padroni del mondo di allora. La rivolta di Napoli puz-zava di bolscevismo e la si guardò con sospetto da parte deidecisori politici nostrani per via dell’aggettivo che accom-pagnava la rivolta partenopea dei giorni dopo l’Armistizio:collettiva. Di tutti! Questo nel clima di tensione della so-pravveniente «Guerra fredda». Contingenza politica, in-somma, che rese cauto persino il mondo della cultura, per-sino la sinistra storica che per un quindicennio fu comeibernata, aggrovigliata in un dibattito interno che la resesorda e cieca alle istanze che venivano dalla società e dalmondo giovanile più accorto, sensibile e preparato.

Emblematico lo scontro generazionale all’interno delPartito Comunista del tempo. Ce ne riferiscono Mario Ro-vinello e Ugo Maria Olivieri nel libro che la Esi sottoponealla nostra attenzione. Si tratta di una riflessione chiara,veloce ed efficace su alcuni testi fondamentali a «propositodella» o «intorno alla» crisi del Comunismo napoletano,con implicazioni nazionali di non poco rilievo, se è veroche vengono tirati in ballo i vertici romani del partito. Ègioco forza che si parta da Ermanno Rea e dal suo Misteronapoletano4. Qui sono rappresentate due concezioni politi-che antitetiche, quella del «centralismo democratico» equella «democratica» tout court, la prima preludente al pa-ternalismo, al leaderismo e, se si vuole, al culto della per-sonalità, la seconda implicante il dibattito e il dissenso. Algruppo dei dissenzienti appartengono Francesca Spada eGuido Piegari5, due giovani «diversi» per essere intelligentie colti, ma anche per manifestare apertamente e forse pro-

76 –

4 E. REA, Mistero napoletano. Vita e passione di una comunista negli annidella guerra fredda, Einaudi, Torino 1995; poi Feltrinelli, Milano 2014.

5 E. REA, Il caso Piegari, Feltrinelli, Milano 2014. Per l’autore questo librorappresenta il capitolo mancante a Mistero napoletano.

vocatoriamente comportamenti giudicati «moralmente»inaccettabili. L’immoralità, in questo caso, è da ascriverealla personalità, all’identità, al sacrosanto diritto di esserese stessi. Non c’è forse in quegli anni un’analoga frizionenel mondo cattolico, come a dire nell’avversario tradizio-nale del comunismo ateo? Mi ci fa riflettere un libro6 re-centemente pubblicato in Italia, anche in questo caso conun ventennio di ritardo rispetto alla prima edizione in lin-gua francese. Nel libro si parla del conflitto che oppone uncattolicissimo, piissimo e disciplinatissimo padre a un fi-glio, benché quest’ultimo ne acquisisca coscienza assaitardi negli anni, quando il suo modus operandilo contrap-pone nei fatti agli insegnamenti paterni. C’è una straordi-naria coincidenza di tempi tra quello storico preso inesame da Olivieri e Rovinello e questo biografico (moltoprobabilmente autobiografico) dell’accademico francese.Posso dire che la dialettica generazionale va ben oltre i con-fini del Partito Comunista Italiano, se è vero, com’è vero,che negli stessi anni del dopoguerra il fermento democra-tico agita persino le coscienze del tetragono mondo catto-lico, se non altro di quel cattolicesimo di base al quale Gio-vanni XXIII avrà fortemente pensato quando ha indetto ilConcilio Ecumenico Vaticano II? In altre parole, qualcunoin Italia, in Europa, nel mondo avrà supposto che «essere»è assai più vero di «dover essere» secondo canoni ideolo-gici, ma anche religiosi, che altri hanno fissato assai primache ciascuno di noi venisse al mondo. Vero è il fatto, qui edora, non la sua prefigurazione! Si tratta del patente con-flitto tra ideologia e conoscenza, tra fede e scienza, sia pureposto in un linguaggio assai più prossimo alla nostra co-mune esperienza di vita vissuta. Chi sono i protagonistidella Storia, gli attori o gli spettatori? «In ogni caso» –scrive Guido D’Agostino – «continuo a ritenere profonda-

– 77

6 F. WEYERGANS, Franz e François, L’Orma, Roma 2015.

mente ‘politico’ il sociale che si auto-organizza e che decidedi decidere, collettivamente e persino in maniera quasiistintiva, collocandosi ‘dalla parte giusta’»7.

Riformulo la domanda: chi ha delle buone idee, l’intel-lettuale che osserva il mondo in maniera pretesa distaccatao il pensatore che nel mondo vive con passione militante?

Risponde per me Agnes Heller, la quale, in una recenteintervista rilasciata alla giornalista di «la Repubblica» Va-lentina Tobagi, afferma: «Per porre domande filosofiche ori-ginali, devi avere esperienze storiche e sociali intense»8.Esperienze. Forse per avere idee e opinioni sensate occorreavere esperienze storiche e sociali intense, come dire che lavera sapienza si coniuga di necessità con la vita.

Sennonché nel secondo dopoguerra gli spazi dell’espe-rienza sembrano essersi dilatati, così come nuove opportu-nità di cultura sono offerte a soggetti sociali tradizional-mente esclusi. Sarà stata la guerra «totale», saranno stati imezzi di comunicazione di massa, sarà stata la scolarizza-zione a vasto raggio alla vigilia di un progetto inclusivo discuola; fatto sta che la pressione dal basso aumenta ed èpressione democratica e informata, intrisa di «esperienzesociali intense». Gli intellettuali sono messi alle strette: ocontinuare a guardare il mondo dalla finestra e dalle prefi-gurazioni dei libri o scendere in strada e unirsi alla granmassa degli esclusi, politicamente esclusi, per nutrire il con-fuso dibattito in corso.

I migliori di loro accetteranno la sfida, dismetteranno letoghe e gli allori per impegolarsi nei borborigmi delle lorocittà.

… Qui tra la gente che viene che vadall’osteria alla casa o al lupanare,

78 –

7 G. D’AGOSTINO, Introduzione, in L’onda della libertà, cit., p. VIII. 8 A. HELLER, È un nuovo totalitarismo, la sua ideologia è il terrore, in «la Re-

pubblica», 17 novembre 2015.

dove son merci ed uomini il detrito di un gran porto di mare…9.

Vengono da una poetica di strada gli scrittori napoletaniper nascita o adozione opportunamente ricordati da Olivierie Rovinello; si chiamano Anna Maria Ortese, Aldo De Jaco,Raffaele la Capria, Ermanno Rea, tanto per ricordare i piùcitati nel saggio10 dei due studiosi che, con Paolo Speranza,hanno curato il libro della Esi. I peripatetici oso chiamarli,perché battono le strade di Napoli e ce la raccontano dal didentro, a partire dai suoi «detriti». Uno sguardo che scrutanelle osterie, nelle case, nei lupanari, ma non disdegna leredazioni dei giornali, gli istituti di cultura, le biblioteche,gli archivi storici, i musei, le aule scolastiche. Dentro la so-cietà e le sue contraddizioni, come deve fare chi ha qual-cosa di serio da dire. Un illustre tradizione che non cessa didare buoni frutti, se si deve tener conto degli epigoni viventie ben prolifici d’arte e cultura. Non si muove sulla scia diquesta sana consuetudine una scrittrice come Antonella Ci-lento che, quasi contemporaneamente al libro del qualestiamo dando notizia, dà alle stampe un eccellente Bestiarionapoletano11 intriso di chiaviche e pantegane, di spiriti e fat-tucchiere, di miracoli e bestemmie, ma anche di sontuosearchitetture e dipinti mozzafiato, di versi preziosi e icasti-che drammaturgie? Il tutto condito da una lingua che ri-vela, prima di ogni altra cosa, la grande passione civile del-l’autrice. La prospettiva, come si vede, non è diversa daquella filmica di Nanni Loy, dai suoi campi lunghi alternaticoi primi piani di volti «autentici» della Napoli del 1962, an-cora non distanti da quelli segnati dall’inedia e dalla soffe-renza di venti anni avanti.

– 79

9 U. SABA, Città vecchia (Trieste e una donna 1910-1912), in Tutte le poesie, acura di A. Stara, Mondadori, Milano 1978.

10 Come un pesce in un acquario stagnante, in L’onda della libertà, cit., pp. 23.11 A. CILENTO, Bestiario napoletano, Laterza, Roma-Bari 2015.

Il cast internazionale di gran calibro non compare nei ti-toli di testa o di coda del film, benché si tratti di attori e at-trici ben noti al grande pubblico. I loro volti hanno la stessadignità della pletora di comparse utilizzate da Loy. Non sitratta di anonimato, ma di identità collettiva, quella del po-polo napoletano come protagonista del suo proprio destino,benché questo comporti il sacrificio di vite umane, quelledei giovani e dei giovanissimi che combatterono con gene-roso slancio contro la barbarie dell’occupante nazista. Traloro molti bambini e adolescenti che un malcelato disprezzobolla come scugnizzi, ma che il piùdelle volte erano giova-nissimi lavoratori o apprendisti, come ben mostra una pre-ziosa testimonianza raccolta da Mario Avagliano, giornali-sta e storico della Resistenza. Eccola:

«Era l’alba del 29 settembre del 1943. Avevo compiuto appena 14anni essendo nato a Marianella (NA) il 14 aprile 1929. Erano leore 6 del mattino e transitavo per via S. Teresa degli Scalzi a Na-poli per raggiungere il posto di lavoro (ero apprendista in un cal-zaturificio, proprietario era il sig. Umberto Verde) sito in via Co-stantinopoli. D’improvviso sentii dei colpi d’arma da fuoco, mi gi-rai e notai tre corpi senza vita all’ingresso di un panificio: unagiovane donna, un uomo e un bambino, diressi lo sguardo dal-l’altra parte della strada e notai una camionetta tedesca che si al-lontanava. Fu questo l’evento e il motivo scatenante della miapartecipazione alla lotta partigiana che era iniziata da poche ore.[…] La sera di quel giorno, contro il parere di mia madre e miopadre, mi unii agli insorti che operavano al Frullone, zona a norddi Napoli, con a capo il celebre ragazzino Gennaro Capuozzo,poi morto combattendo e decorato di Medaglia d’Oro. Dormi-vamo nelle campagne circostanti scavando delle buche. Il mat-tino seguente sapemmo che un plotone di tedeschi aveva appenafucilato a Mugnano (paese dell’entroterra) dieci persone tra cuitre donne e tre bambini»12.

80 –

12 Uno dei ragazzi delle Quattro Giornate di Napoli: «Ero con GennarinoCapuozzo e prendemmo prigionieri i nazisti», in «Patria Indipendente», aprile2011, n. 4, p. 25.

Così erano i ragazzi guidati da quel Gennaro Capuozzoal quale il film di Loy è dedicato. Crebbero in fretta, più infretta della loro età cronologica: che avremmo fatto noi neiloro panni allora? Forse la stessa cosa. Non si può resisterea lungo allo sdegno provocato dallo spettacolo del sangueinnocente versato.

Questo uno dei motivi per cui il libro va sottoposto al-l’attenzione dei più giovani, nelle scuole o all’Università.Dallo slancio ideale di allora occorre trarre il coraggio percombattere i mali presenti, che siano la corruzione e l’ille-galità dilaganti o la catena di delitti operati dal crimine or-ganizzato. L’onda lunga della libertà non deve arrestarsi,neppure in questo nostro sventurato presente.

Antonio Piscitelli

– 81

LUCI NEL BUIOTESTIMONI DELLA NONVIOLENZA DEL ’900

La nonviolenza è, ogni giorno di più, l’unica possibilitàper non trasformare i conflitti in guerre, per non lasciarcisottomettere dal meccanismo della reciprocità infinita del-l’odio. Qualcuno, osservando la violenza sistemica nellaquale viviamo, potrà pensare che si tratta di una iniziativavelleitaria. Comprendo bene. Ma la nonviolenza non è unatecnica o una generica rinuncia, è una concezione delmondo, ed è questa concezione che si articola e si applicaalla vita ed è essa che permette di tentare di costruire lapace. Senza la nonviolenza la pace resta la parola svuotatadella propaganda, la parola usata da tutti gli eserciti primadi partire per ogni guerra che ufficialmente è combattutasoltanto per «ottenere la pace». I milioni di morti delle ul-time guerre, le distruzioni, i saccheggi, i mutilati ci testi-moniano con chiarezza i risultati di queste paci ottenutecon la guerra.

Gli amici della nonviolenza seppero guardare più lon-tano degli industriali di armamenti, dei commercianti diarmi, dei governanti e di molti ministri dei culti ed è ogginecessario ritornare alle fonti dei loro scritti per aiutare noistessi e i giovani che ci sono affidati a discernere e a capire.L’anniversario dei cento anni dell’ingresso dell’Italia nella Iguerra mondiale è, per esempio, una occasione per comin-ciare a smascherare le mistificazioni e le menzogne con cuici è stata raccontata. Essa fu soltanto una catastrofe im-mensa le cui conseguenze arrivano, pur a distanza di un se-

82 –

colo, fino al nostro presente. Nel giudicare una guerra lanonviolenza non improvvisa, si impegna in una ricercascientifica rigorosa senza paura di opporsi alle tradizioniufficiali, alla storiografia e alla manualistica asservita al po-tere, all’uso pubblico della storia.

Sergio Tanzarella*

Il ciclo seminariale, affiancato da incontri laboratoriali con glistudenti, sarà così articolato:

17 ottobre 2015: Presentazione del volume L. Kocci – V. Gigante– S. Tanzarella, La grande menzogna. Tutto quello che non vi hannoraccontato sulla I guerra mondiale (Dissensi, Viareggio 2015)

7 novembre Lev Tolstoj5 dicembre Mohandas K. Gandhi16 gennaio Lanza del Vasto6 febbraio Danilo Dolci5 marzo Donne per la nonviolenza 2 aprile Martin Luther King7 maggio Aldo Capitini28 maggio Lorenzo Milani

ALTRE ATTIVITÀ

La scuola di italiano per immigratiLaboratorio musicaleLaboratorio teatrale

Associazione Scuola di pace, via Foria 93, 80137 Napoli. Tel/Fax0817373462, 3333963476

email: [email protected]

– 83

* Il ciclo sarà tenuto da Sergio Tanzarella che insegna Storia della Chiesaalla Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (Napoli) e all’Università Grego-riana (Roma).

PIERO DI VONA, Ritorno alla trascendenza ontologica, Giannini, Na-poli 2015, pp. 32.

Non è qui il caso di analizzare tutte le complesse questioniche muovono l’autore a un approfondimento sulle più generaliquestioni di teoria filosofica, anche se un approfondimento in talsenso va certamente richiesto al lettore e allo specialista di argo-menti filosofici. Tuttavia, possiamo far emergere alcune questioniche ci sembrano utili per una riflessione sull’attualità che coin-volge molte domande di carattere anche filosofico.

Secondo l’autore, il nostro pensiero è spesso disperso nellecose ed è condizionato da molti pregiudizi e da presupposti nonsempre chiari o certi. Spesso i filosofi stessi non hanno tenutopresente gli aspetti più generali e profondi delle cose e hannodato eccessivo risalto ad aspetti più insicuri e meno condivisibilidella realtà. Ciò non fecero, ad esempio, i Greci che seppero in-terrogarsi sul significato dell’uomo, sul valore del pensiero e sul-l’importanza della domanda sull’essere delle cose e di noi stessi.In molti casi, le scienze sociali e naturali attuali si reggono supresupposti che andrebbero approfonditi e chiariti. Da questosenso di insoddisfazione (che potrà essere accettato o messo indiscussione) per gli esiti del pensiero settoriale, ideologizzato otroppo legato alle mode del momento o a una semplice accetta-zione degli studi correnti, nasce questo testo. Con franchezza,esso pone l’esigenza di come superare orientamenti culturalichiusi in un pensiero scoraggiato e spesso rinunciatario.

Un altro aspetto del discorso può essere proficuamente evi-denziato. L’autore si chiede perché e come sia possibile che unateoria riduzionista dell’intelligenza possa spiegare la capacità diastrazione della mente umana e la sua libertà nel procedere con-sapevolmente nei diversi livelli e gradi dell’astrazione, i cui limitinon ci sono neppure noti. La nozione di ente è il fondamentodella nostra conoscenza delle cose e del mondo. Noi sperimen-

84 –

LIBRI

tiamo di esistere e tale esperienza costituisce un presupposto diogni nostra conoscenza ulteriore. Perciò, si deve intendere la ca-pacità di astrazione come una fondamentale espressione di li-bertà della mente che permette di superare la semplice condi-zione animale. Libertà della mente è la capacità di giungere ai li-velli dell’interrogazione metafisica, ossia alla domanda dell’es-sere in quanto essere.

La domanda sull’essere, lungi dal costituire una mera espres-sione accessoria della mente, ne rappresenta come il fulcro. Intal senso, l’autore rivaluta la centralità del principio della non-contraddizione e sottopone alla prova della confutazione l’as-sunto che il nulla sia essenziale per la comprensione del concettodi ente: se il nulla fosse tale, dovrebbe estendersi anche oltre sestesso, ed essere nulla di sé stesso. In realtà la conoscenza dellanozione di ente e delle sue «passioni» trascendentali costituisceil fulcro dell’ontologia, una disciplina complessa che ha trovato lasua piena sistemazione in età moderna e che è stata spesso igno-rata in base all’accettazione della superiorità della visione criticarispetto a quella ontologica.

Francesco De Carolis

GUIDO DORSO, Appello ai meridionali e altri scritti, a cura di Raf-faele Molisse, Aras Edizioni, Fano 2015, p. 158, € 11,00.

Nel giugno del 1923, Piero Gobetti scriveva a Guido Dorso, al-lora direttore del «Corriere dell’Irpinia», proponendogli di colla-borare con la sua rivista, «La Rivoluzione Liberale» (cf. G. Dorso,Carteggio (1908-1947), a cura di B. Ucci, Ediz. Del Centro Dorso,Avellino 1992, pp. 15 ss.). Le vicende del «Corriere», giornale diprovincia che ospitava nondimeno in prima pagina pezzi di inte-resse nazionale, si intrecciarono, così, con quelle del foglio go-bettiano, da sempre attento a problematiche di interesse regio-nale e meridionale. L’Appello ai meridionali, che comparve il 2 di-cembre 1924 su «La Rivoluzione Liberale» e che fu sottoscritto datredici meridionalisti, è il primo, per molti versi già maturo fruttodi questo intreccio.

A distanza di novant’anni, l’Appello viene per la prima voltapubblicato in un volume autonomo, nella «collana gobettiana»

– 85

fondata e diretta da Pietro Polito, direttore dell’Archivio Bobbiodi Torino. All’acribia del curatore, Raffaele Molisse, si deve unavisione sinottica che tiene conto sia della versione dell’Appello ri-proposta così come comparve su «La Rivoluzione Liberale», siadel testo del manoscritto originale di Dorso, conservato al Centrostudi «Guido Dorso» di Avellino, riportato in nota ogni volta incui siano presenti variazioni rispetto al testo pubblicato.

Tra i meriti del curatore c’è però sicuramente anche la sceltadi presentare, insieme all’Appello, altri cinque articoli di Dorso,apparsi sul «Corriere dell’Irpinia»: La rivoluzione liberale del 31gennaio 1924, La lotta dei trasformismi del 21 febbraio 1924, L’in-contro di Teano del 18 settembre 1924, Il circolo vizioso del 20 di-cembre 1924, Noi ci siamo del 14 marzo 1925. Si tratta di articoliopportunamente selezionati: essi permettono al lettore di avereuna visione quanto più possibile completa e sistematica di quelsegmento di pensiero di Dorso che viene illustrato in maniera ri-gorosa da Raffaele Molisse nella sua introduzione, e i cui aspettiproblematici, ma al contempo affascinanti, sono messi in lucenella Prefazione di Pietro Polito e nella Postfazione di FrancescoSaverio Festa, che arricchiscono l’antologia.

Se la figura di Guido Dorso viene delineata, nell’introduzionedi Molisse, nella sua singolarità, essa assume contorni sempre piùdefiniti grazie alla sapiente raccolta di scritti che lasciano par-lare Dorso stesso, facendo emergere i temi che più stanno a cuoreall’intellettuale avellinese e alcuni aspetti fondamentali, neanchetroppo velati, della sua formazione. Innanzitutto una primaforma implicita e non pienamente matura di quella che NorbertoBobbio definirà più tardi, in maniera felice, l’«acclimatazione»della teoria dell’élite politica, di Vilfredo Pareto ma soprattutto diGaetano Mosca, in campo democratico [cfr. N. Bobbio, Demo-crazia ed élites, in «Moneta e credito» 59 (1962), p. 328]. RaffaeleMolisse sembra voler sottolineare come il pensatore meridionale,benché sia oggi difficilmente affiancato ai grandi nomi della teo-ria della classe politica (p. 17), possa essere considerato unoscienziato politico. Guido Dorso, insieme agli altri tredici meri-dionalisti firmatari dell’Appello, auspicava la formazione di unaélite che potesse scuotere le coscienze del Sud contadino e farsiinterprete delle esigenze delle classi popolari. Per Guido Dorso larivoluzione meridionale – che, come precisa Pietro Polito, è l’i-

86 –

dea, strettamente connessa alla dottrina del meridionalismo ri-voluzionario, introdotta dall’intellettuale avellinese nella politicaitaliana degli anni Venti (p. 7) – si sarebbe dovuta operare «primaancora che nei fatti, nel campo delle idee, e prima ancora chenelle masse nel ristretto campo dei cenacoli intellettuali, ove ger-minano e si educano i nuovi condottieri» (p. 108). Essa avrebbedovuto rovesciare logiche inveterate e porre fine a quella immo-bilità peculiare del Mezzogiorno che trovava la sua massimaespressione nel fenomeno del trasformismo.

Nell’accurata disamina storica dell’Appello, Dorso presenta iltrasformismo come l’unica risposta di cui la classe dirigente me-ridionale fu capace all’indomani del consolidarsi dello Stato ita-liano: «Il trasformismo fu una specie di lotta di classe della bor-ghesia meridionale, lo sforzo tenace di non rompere la saldaturad’interessi col centro, per impedire che fermenti spontanei di ma-turazione od anche soltanto i riflessi dell’azione statale potesserofar comparire alla ribalta della vita pubblica la sterminata classedei produttori terrieri, così lungamente ignorati e compressi» (p.75). Quella di Dorso è un’analisi lucida della realtà, che nondi-meno si apre alla possibilità che i guasti provocati dal processostorico originatosi dalla _ conquista regia _, dal centralismo edalla mancanza di autonomia possano essere sanati. Ecco per-ché l’Appello, rivolto non solo ai meridionali, ma anche alle élitese ai ceti popolari del Nord industrializzato, risulta tanto più ac-corato perché redatto in un momento in cui il Mezzogiorno sitrovava in uno «stato di sospensione» (p. 94) – il periodo succes-sivo alla guerra – nel quale, forse, poteva aprirsi ancora lo spaziodell’azione.

L’Appello – come acutamente nota Francesco Saverio Festanella Postfazione – è allora «l’autentica discesa in campo di unaélite nuova di meridionalisti», pronti a lottare «gomito a gomito»con le nuove élites del Nord industriale in una «inconsueta, ori-ginale chiave unitaria». Un modo per ricordare a tutti, ancoraoggi, che «la questione meridionale è tutta la questione italiana»(p. 98).

Maria Lucia Roviello

– 87

ANTONIO MOCCIOLA, Le belle addormentate. Nei silenzi apparenti dellecittà fantasma. Alla riscoperta di un’Italia dimenticata, Betel-geuse Editore, Verona 2014, pp. 188, € 12,00.

«Il viaggio nei paesi abbandonati è qualcosa di più intimo, cicostringe ad avere a che fare col silenzio, quello vero. E con labellezza intatta».

Così, al ritmo di una musica primordiale, trasformando l’u-mile e quotidiana realtà in un mondo senza tempo, Antonio Moc-ciola nel suo libro Le Belle Addormentate ci restituisce spaccati diun Italia dormiente, non contaminata.

Il racconto, nato da orme di viaggi passati che il tempo ha la-sciato intatte sulle strade sterrate di tutt’Italia, ha un respiro euna compiutezza tale che non necessita né di un inizio né di unafine. È un perenne protendersi verso un oltre che è qui e pocodopo non c’è più: la realtà della città abbandonate.

Le cittadine, le loro luci, le case sono al contempo carcere eparadiso; palcoscenico ove si consumano tradimenti, amori, ol-traggi, collere, dannazioni e destini: immenso e romanzesco re-pertorio di emozioni forti…

Sono scintille vacue: come luci lontane appaiono e scom-paiono lasciando a bocca aperta chi le osserva, facendo percepireun senso di lontananza e facendoci raggiungere la consapevo-lezza che le vite che hanno ospitato sono solo proiezione di unricordo.

Una parata di uomini e donne sfilano per strette vie, teatrantiche mettono in scena le repliche del tragicomico spettacolo cheè la vita, si mostrano agli occhi del narratore, raccontando le lorostorie e quelle dei luoghi che hanno abbandonato per seguire ilmiraggio della città o per sfuggire alla precarietà edile.

L’intera narrazione, infatti, non è propriamente definibilecome parabola dell’egoismo umano, quanto piuttosto come elo-gio alla resistenza passata, presente e futura delle abitazioni.

Le storie delle città, nella loro non passiva e struggente tragi-cità, sono metafora di quel destino cui tutte le cose sono desi-gnate, inanimate e non; possono deteriorarsi, cadere su lorostesse, restando però fedeli al loro passato.

L’Italia descritta non è mai stata così incontaminata, casta dipeccati, pura; è rovescio della medaglia del Belpaese che crea eco-

88 –

nomia, vendibile ai turisti perché appetibile in apparenza. L’Ita-lia di cui ci parla Mocciola è «una cartina turistica letta al con-trario. Non è solo montagna, dissanguata dalla natalità zero edall’emigrazione. È anche pianura, o persino isole».

Cancellate dalle mappe e anche dalla Storia, le città non par-lano perché a rubare loro la facoltà di proferir parola ci sono itramonti e gli odori; perché l’indicibile non può essere detto eperché non ci sono avverbi che possano contenere l’oblio in cuisono cadute. Perché si raccontano più nel loro silenzio.

Antonio Mocciola ha la capacità di fermare il tempo, rendereun istante eterno e popolarlo di gente; la narrazione è poesia nonscritta in versi e i brevi capitoli si susseguono fugaci come foto-grammi che ti scivolano accanto, pregni di vita vissuta.

Lo scrittore ci mostra lo spazio che gli sta intorno, ce lo de-scrive con i colori di una stagione eterna: le pianure, le stradinedi montagna e gli oggetti quotidiani, che ancora attendono i pro-prietari.

Il loro è un inno silenzioso, stonato e sincero che ci invita aguardare dentro, intorno, attraverso le cose e gli ambienti che cicircondano, seguendo il movimento ribelle dell’immaginazione.

Dopo aver compreso che le abitudini autodistruttive anche diquell’Italia sono solo state eclissate da una storia dalla potenzainaudita, facciamo silenzio. Un silenzio che ci porta alla «grandebellezza» delle cose, per la quale non c’è posto sul foglio.

Maria Francesca Capuano

ANIELLO MONTANO, Ontologia e storia. Vico versus Spinoza, intro-duzione di Maurizio Cambi e Francesco Piro, Bibliopolis, Na-poli 2015, pp. 232, € 17,00.

Un attento confronto con la storia delle riflessioni filosoficheche hanno segnato la cultura filosofica italiana implica la consa-pevolezza che la cultura italiana ha delle sue specificità e dei graviritardi, significative connessioni con la filosofia d’Oltralpe e sognie pretese di primato. Superando vecchi presupposti e concezioniideologiche, appare come la filosofia italiana non è stata sorda aimaggiori sviluppi della filosofia europea. La ricezione di temati-che e argomenti di dibattito non è stata passiva, ma venne in-

– 89

fluenzata dai problemi e dalle caratteristiche storiche e culturalidel nostro Paese e contribuì anche all’approfondimento di que-stioni di grande rilievo. È il caso di ricordare l’importanza del-l’influsso di filosofi come Cartesio e Spinoza sulla cultura e la fi-losofia nel nostro Paese, ma anche l’importanza di filosofie, an-zitutto quella di Giambattista Vico, che hanno contribuito a unamaturazione di ampi settori delle scienze dell’uomo, delle disci-pline giuridiche e degli studi di etica e di filosofia politica. Comericordano gli introduttori del volume, la disillusione dell’uomo ela sua responsabilizzazione e maturazione non si oppongono, macostituiscono due aspetti dell’antropologia dei nostri tempi.

Aniello Montano riprende qui vari suoi contributi, editi o ine-diti, che si strutturano intorno a diversi nuclei tematici significa-tivi. Va detto che le analisi di Montano ci portano a riflettere su-gli sviluppi della filosofia nell’età moderna. In quest’orizzonte te-matico, le filosofie di Spinoza e di Vico risultano essenziali percomprendere l’evoluzione della cultura italiana nelle sue diversesfaccettature. D’altra parte, l’influsso dei due filosofi nell’età mo-derna e contemporanea riguarda (in diverso modo) l’Europa, inquanto, proprio nelle loro complesse e originali riflessioni, si de-linea la questione di un sapere che rompe con gli ancoraggi delpassato e con le antiche concezioni antropomorfiche e antropo-centriche, ma che fa anche emergere l’importanza di non ridurrela dimensione umana a uno dei vari aspetti della natura oggettivanon ancora giunta alla consapevolezza di sé e alla capacità nonsolo di formulare valori, ma quanto meno di avvertirne l’urgenzae gli interrogativi di fondo. La ricezione delle dottrine di Vico e diSpinoza diviene emblematica per comprendere i problemi del no-stro tempo. Va poi detto che una netta contrapposizione dei duefilosofi, quasi come rappresentassero due vie parallele o persinoantitetiche, non può essere del tutto accettata. La riflessione suSpinoza e Vico riguarda parte cospicua della cultura italiana e ri-sulta utile per comprendere aspetti significativi dell’evoluzione in-tellettuale e culturale del nostro paese. Insomma, occorre semprericonsiderare l’eredità dei due pensatori e comprenderne sia leconvergenze e sia anche le peculiarità. A tal fine, risulta necessa-rio ricostruire il contesto in cui tali filosofie vennero recepite (an-che in ambienti almeno apparentemente ostili o critici).

Riferendosi alla cultura napoletana e meridionale dei tempi di

90 –

Giambattista Vico, si può ricordare l’opera di aggiornamentosvolta da molti intellettuali napoletani spesso legati ad ambientigiuridici d’avanguardia e sensibili a diverse sollecitazioni cultu-rali utili per rinnovare. L’autore ricorda come l’ambiente napole-tano fosse caratterizzato dal persistere di spinte conservatrici an-che molto ostinate, ma animato dall’apporto di intellettuali comeil D’Andrea, Leonardo di Capua, Giuseppe Valletta che contri-buirono a prospettare nuovi orizzonti. La riflessione su Cartesio,Spinoza e Gassendi costituì un aspetto importante della culturanapoletana di quegli anni che furono anche quelli dell’elabora-zione e della maturazione della filosofia di Vico.

L’autore ricorda anche la complessa ricezione di Spinoza in al-tri centri culturali e universitari italiani che si dimostrarono ancheattenti all’opera di Vico. La ricezione di Spinoza a Padova, purnella polemica contro la filosofia e le dottrine teologiche di Spi-noza, portò alla prima prolusione universitaria sul filosofo olan-dese (ad opera di Bonaventura Luchi, che fu anche un critico diVico). L’opera continuava lo studio di Spinoza svolto da FrancescoMaria Leoni, anch’egli studioso di Metafisica e di Sacra Scritturaa padova. Né a caso, la polemica contro i «novatori» e Spinozavide impegnati questi universitari e scrittori ecclesiastici assiemead altri studiosi e uomini di lettere (Bonifacio Finetti, DamianoRomano e altri). Si volle porre il problema dell’inconciliabilitàdelle dottrine di Vico con l’interpretazione storica e letterale di al-cune vicende bibliche. Ma attraverso lo studio di queste questioni,legate alla polemica e agli orizzonti culturali del tempo, andavadefinendosi un orientamento di critica che voleva comprenderel’eredità (più o meno congiunta) dei due filosofi. L’autore si sof-ferma a ricordare l’accostamento di Vico e di Spinoza svolto daCarlo Sarchi in quattro suoi «discorsi» nei quali egli si confrontavacon il De uno e con il De antiquissima italorum sapientia di Giam-battista Vico e con il Trattato teologico-politico di Spinoza.

Vico ha costituito un punto di riferimento per le generazionirisorgimentali e post-risorgimentali. Sappiamo che la filosofia delVico è stata vista come un’anticipazione dell’idealismo o dello sto-ricismo assoluto che ebbe in Gentile e in Croce i maggiori rappre-sentanti. Non a caso tali autori e significativi rappresentanti delleloro Scuole dedicarono particolare interesse all’opera del Vico.

Ferma restando quest’eredità, che ci riporta agli scritti vi-

– 91

chiani di Benedetto Croce, di Fausto Nicolini, di Giovanni Gen-tile, ci si pone la domanda se tali letture non vadano contestua-lizzate o anche superate all’interno di una delineazione nuovadella ricerca che voglia valorizzare tutte le diverse componentidella cultura italiana otto-novecentesca. Possiamo ricordare chemolti sono stati i dibattiti sulla religiosità di Vico, Molte sono leriflessioni su un’interpretazione idealistica o storicistica di Vico(si pensi qui alla polemica Croce-Gentile sul significato dell’idea-lismo e dello storicismo). L’autore analizza così la posizione diBenedetto Croce che intendeva valorizzare la filosofia di Vico at-traverso un orientamento che non si perdesse nuovamente nelladivinizzazione del pensiero assoluto, ma, superando l’attualismogentiliano, si aprisse a una considerazione sulla centralità dellastoria umana. Montano si dimostra interessato alla complessitàdelle interpretazioni di Vico date da pensatori come GiuseppeRensi e Capograssi. Nel primo, troviamo farsi strada una criticaalla razionalità assoluta ed unica. Nella drammaticità della ri-flessione di Rensi sulla condizione umana, emerge il problemadelle diverse ragioni che ogni uomo porta con sé (anche nella suastessa dimensione ancipite e conflittuale della sua stessa indivi-dualità). Nel Capograssi si nota un chiaro richiamo ad aspetti digrande interesse che sono presenti anche nella riflessione di Vico.Capograssi ha il merito di aver evidenziato la necessità di un ri-chiamo a principi comuni che non sfuggano alla storia e non siseparino da essa. La costante riflessione sull’agire umano fa dellafilosofia di Capograssi una riflessione sulla comunità umana esulla concretezza della storia (nella quale l’uomo faticosamenteguadagna la propria dignità e umanità).

Valide sono anche le riflessioni sull’axiologia e la pedagogia diGuido Della Valle, che ci porta a riflettere anche sui vari indirizzie contributi dati dai filosofi e pensatori appartenenti all’Ateneonapoletano. Peraltro, Della Valle fu in stretto rapporto con im-portanti studiosi quali Filippo Masci, Francesco De Sarlo, Wundt,Ostwald. Nelle riflessioni di Della Valle si delinea una tensionesincera al valore e alla costruzione della personalità. La sua ri-flessione va oltre le proposte dell’attualismo e del volontarismogentiliano. Egli sente l’esigenza di superare una prospettiva eticaed educativa che si oppone agli sviluppi del sapere e della scienza.Anzi, Della Valle cerca un allargamento di orizzonti che è indi-

92 –

spensabile per delineare il significato della filosofia pratica. Lasua riflessione sull’uomo valorizza un sapere pratico e operativoe intende puntare alla concretezza. Rispetto a una visione moraleastratta ed esemplaristica, Della Valle tende a valorizzare unaprospettiva più attenta alla complessità e alle diverse aspirazionie fisionomie dell’umano.

Francesco De Carolis

ROBERTO SARDELLI, Il neo di Francesco, Edizioni Kurumuny, Lecce2015, pp 204, € 14.

«Nello spostamento di Bergoglio da Vescovo di Buenos Airesa Vescovo della chiesa che è in Roma, molti hanno salutato consoddisfazione l’evento destinato a cambiare l’asse portante dellachiesa dall’eurocentrismo e dal curialismo romano verso nuoverealtà sociali, storiche e religiose. È un po’ come avvenne ai pri-mordi della chiesa quando si decise di spostare il suo asse por-tante da Gerusalemme a Roma. La decisione non fu indolore eprovocò lacerazioni costose e incomprensioni: si trattava di com-piere un’operazione di «incarnazione», in una nuova realtà e cul-tura, del messaggio inquietante dell’«ebreo marginale».

Fin dal primo momento di quella sera del 2013 don Sardelli nerestò impressionato, soprattutto quando il nuovo vescovo Fran-cesco rivendicò l’essere stato eletto non tanto «papa» quanto, eprima di tutto, «vescovo» di un particolare «territorio» (diocesi)della chiesa. La precisazione non era di poco conto soprattutto seteniamo presente che all’annuncio pomposo del cardinale dallaloggia basilicale habemus papam, l’interessato, schernendosi, sifaceva avanti precisando che il conclave aveva «nominato unnuovo vescovo per la chiesa che è in Roma». L’annotazione ci fecesubito capire che le cose da quel momento in poi potevano cam-biare e che nuove realtà, raggelate nel silenzio, sarebbero stateconvocate per iniziare a scrivere una «pagina nuova» non soloper la storia della chiesa romana, ma anche per tessere relazioninuove tra i popoli e le realtà socio-culturali considerate nemichesemplicemente perché non conformi. Era la fine del monocolorecuriale. Ora tutto doveva essere rimodellato: non si cominciavadal summus pontifex, ma dal dialogo il più corale possibile per ri-

– 93

portare alla luce una ricchezza e per aprire prospettive nuove finoallora tenute in salamoia. Tutto doveva essere rimodellato e libe-rato da incrostazioni e superfetazione. Il vescovo Francesco, inseguito, ne avrebbe enumerate ben quindici!

Il Neo di Francesco, nasce da questa particolare percezionedegli eventi che si andavano delineando di giorno in giorno, forsecon un carico di novità eccessivo. Il cantiere veniva aperto, e dilavoro arretrato ce n’era tanto e per tutti. Con la nomina di Fran-cesco veniva aperta una pagina la cui scrittura poteva e doveva es-sere collettiva. Lo scrittore della nuova pagina non sarebbe statopiù unico. Al «ragazzino» nessuno più poteva impedire di gridareche «il re è nudo». Aprendo il sinodo dei vescovi, Francesco, contono grave e imperioso avrebbe detto: «Parlate chiaro. Nessunopuò dire: questo non si può dire!».

Come è nello stile dell’autore, don Sardelli non separa mai l’e-sperienza diretta e personale che ha vissuto in prima persona coni baraccati e ammalati terminali, dagli eventi ecclesiali, sociali estorici in cui si è trovato coinvolto e dalla riflessione teorica. Perlui, la prassi è una continua révision de vie in cui teoria e prassisi interrogano, ci provocano e ci interpellano non solo indivi-dualmente, ma anche come comunità e come istituzioni.

L’uso della metafora del neo, aperto a ogni possibilità, rac-chiude questa speranza e questa ambiguità. Il neo è come unsasso lanciato nel lago. Se le onde che ne conseguono verrannoaccolte si salperà verso un mare aperto, altrimenti si arenerannosulla riva. Il libro è un interrogativo argomentato che non pre-vede facili soluzioni miracolistiche o radicali condanne, ma par-tecipazione attiva dove ciascuno si rende responsabile delle sueparole e del suo agire.

Anna Chiriatti

FRANCESCO STOPPIGLIA, Vedo un ramo di mandorle…, prefazione diLeonard Boff e postfazione di Mario Tronti, Macondo – servi-tium Ed., Milano 2015, pp. 286, € 12,00.

Questo ultimo lavoro di Francesco Stoppiglia, fondatore diMacondo, associazione che si impegna nel dialogo e nella lottaper la difesa e l’affermazione dei diritti umani, già parroco di Co-

94 –

macchio ed attualmente direttore della rivista Madaurada in oc-casione del suo settantottesimo anno ci presenta il suo ultimo li-bro che come si legge ha lo scopo primario di «piantare alberi ecostruire altalene…».

L’autore infatti ci propone una serie di riflessioni edite ed ine-dite «sul mondo e sull’uomo del nuovo millennio». Si tratta in so-stanza di un viaggio di lotta contro la società individualistica edindifferente» (pp.17-22) che ci propongono «una ricerca dell’a-more in Dio dentro l’umanità». Come ha scritto nella prefazioneLeonardo Boff, teologo della teologia della liberazione, questo li-bro che vale la pena di leggerlo è un contributo significativo e sti-molante che ben si colloca «nello spirito e nell’atteggiamento ge-nerati dal Vescovo di Roma, il Papa Francesco»(p. 12).

Ci si trova infatti davanti a un libro che parte dalla severa cri-tica al capitalismo, alla indifferenza ed all’oppressione vecchia enuova che ci porta a scoprire nella vita quotidiana e nell’impe-gno «il disegno meraviglioso di Dio Padre che in seguito ci tra-sforma nell’impegno e nella testimonianza aiutandoci a capire eda vivere l’idea che la natura è madre e non matrigna e che costi-tuisce la base per scoprire sempre e dovunque l’amore di Dio». Sitratta di una idea che si realizza costruendo «un nuovo inizio chesuperi l’ottundimento della mente e del cuore»(cfr. soprattuttopp. 151-164).

Si tratta perciò di un lavoro importante che Mario Tronti nellapostfazione definisce questo contributo del sacerdote FrancescoStoppiglia «un libro di incontri» che ci aiuta a capire «il tipo diumanità che il Vangelo ci ha insegnato a guardare con gli occhidel cuore ed a frequentare con l’assillo del fare»(p. 281. ss), rico-noscimento tanto più significativo che proviene da uno scrittoreche ha idee fortemente laicali.

Pasquale Colella

RITA TORTI, … cerco solo di capire. Intervista a Giancarla Codri-gnani, presentazione di Marinella Perroni, introduzione di Ro-mano Prodi), Aracne Ed., Roma 2015, pp. 114, € 12,00.

L’intervista curata da Rita Torti ci presenta la persona di Gian-carla Codrignani, docente, giornalista di area «laica» cattolica per

– 95

tre legislature parlamentare del gruppo storico della sinistra in-dipendente, dando vita ad un libro che ci fa ragionare «a vocealta»; infatti come è detto nel titolo della intervista si tratta in so-stanza di un libro che ci aiuta a percepire idealmente ed instan-cabilmente il perché di tante scelte e la libertà di queste opera-zioni che offrono una testimonianza che non è solo personale maci trascende.

Giancarla Codrignani, attualmente presidente del coordina-mento delle teologhe italiane ed esponente di Pax Christi, in que-sta lunga intervista ci mostra «l’insegnante, la politica, la pubbli-cista, la cattolica, la femminista che appartiene non solo al suomondo privato ma anche al suo mondo pubblico» (p. 7), comescrive nella presentazione Marinella Perroni. Infatti la Perroni ri-leva che Giancarla Codrignani «ha scelto di presentare la sua in-tervista con il lemma cerco solo di capire» (pp. 7-9).

Giustamente Romano Prodi nella sua introduzione incentrataprevalentemente sulla attività politica e parlamentare di Gian-carla Codrignani rileva che le sue risposte all’intervista hanno trai pilastri «l’idea della pace» e la conseguente speranza di costruire«una europa politica unita»; tali idee dimostrano altresì la fedenella Carta di Ventotene elaborata da Altiero Spinelli nel lontano1943 la cui forza è stata rinverdita dal fatto che Codrignani e Spi-nelli divennero colleghi della Sinistra indipendente. Si tratta in-fatti di idealità tuttora valide che Giancarla Codrignani proponein tempi duri e difficili come quelli presenti, ideali che hannocome fondamento l’idea della pace come «aspirazione univer-sale»(pp. 14-15).

Conseguentemente queste risposte non solo ci indicano lepriorità delle scelte della autrice ma ci dicono pure che le crisisono opportunità per agire, dialogare, confrontarsi ed andareavanti anche oggi; non a caso Giancarla Codrignani conclude ri-tenendo «che la speranza è sempre la più difficile delle virtù teo-logali» (pp. 111), ma resta sempre una finalità fondamentale pertutti.

Pasquale Colella

96 –

LIBRI RICEVUTI

AA.VV., Francesco e l’altra Chiesa (numero speciale di Mi-cromega n. 6/2015 dedicato a Fratel Arturo Paoli), Roma2015, pp. 248, € 15,00

PIERO BELLINI, Tempo di Papi e di antipapi. Crisi scismaticatardomedioevale e intellettualità organica ed ecclesiastica, ed.Aracne, Roma 2015, pp. 188, € 12,00

COSIMO CERARDI, Marxismo e crisi ciclica dell’economia ca-pitalistica (con prefazione di Pasquale Folasca), ed La Mon-golfiera, Castrovillari 2014, pp. 230, € 18,00

COSIMO CERARDI, Note sulla dialettica: Karl Marx: dall’idea-lismo al materialismo (con prefazione di Lorenzo Serafini),ed La Mongolfiera, Castrovillari 2013, pp. 176, € 15,00

IVANA D’AMORE, Cesarino Cecere. Le mie avventure di ra-gazzo «nu poco… stratanoso», Armando Editore, Roma2015, pp. 176, € 14,00

SERGIO LARICCIA, Tutti gli scritti, Tomi 5 (I, 1959-1978; II,1979-1989; III 1990-1996; IV 1997-2006; V 2007-2015) conprefazione generale di Pietro Rescigno, Luigi Pellegrini Ed.Cosenza 2015, pagine complessive 4588, € 150,00 per tom

UGO MARIA OLIVIERI, MARIO ROVINELLO, PAOLO SPERANZA (acura di), L’onda della libertà. Le Quattro giornate di Napoli

– 97

tra storia, letteratura e cinema, Edizioni Scientifiche Italiane,Napoli 2015, pp.104, € 12,00

COSIMO QUARTA, Homo utopicus: la dimensione storico an-tropologica dell’utopia, Dedalo Ed. Bari 2015, pp. 280, €17,00

GIUSEPPE STOPPIGLIA, Vedo un ramo di mandorlo… (Conprefazione di Leonardo Boff e postfazione di Mario Tronti),Ed Macondo liber – Servitium, Pove del Grappa (Vicenza)2015, pp. 286, € 12,00

RITA TORTI, …Cerco solo di capire. Intervista a GiancarlaCodrignani (con presentazione di Marinalla Pezzano, intro-duzione di Romano Prodi), Aracne ed. Roma 2015, pp. 114,€ 12,00

98 –

QUESTIONARIO PER I LETTORI

Prima parteEtà…………………e-mail……………..Titolo di studio …………………………………………………………Professione………………………………………………………………Da quanto tempo conosce la rivista il tetto?………………………Con quale frequenza la legge? ………………………………………È abbonato? Sì [ ] no [ ].Se è abbonato da quando?……………………………………………È impegnato in un gruppo d’impegno sociale? Sì [ ] no [ ], perché?…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..Se [sì], con quale periodicità lo frequenta?…………………………Quali argomenti vengono presentati e discussi?……………………………………………………………………………Approssimativamente quante persone si ritrovano e si ricono-scono in questo gruppo?……………………………………………………………………………..Qual è l’età media?…………………………………………………….Questo gruppo produce documenti e/o realizza attività territo-riali? Quali?……………………………………………………………………..

È impegnato in qualche gruppo ecclesiale? Sì [ ] no [ ], perché?…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..

– 99

Se [sì ]: con quale periodicità lo frequenta?………………………...Quali argomenti vengono presentati e discussi? ..………………………………………………………………………………………………..Approssimativamente quante persone si riconoscono e si ritro-vano in questo gruppo?………………………………………………..qual è l’età media?………………………………………………………Questo gruppo produce documenti o realizza attività collegate?Se [sì ] quali…………………………………………………………..………………………………………………………………………………..

Seconda parte

Quale dei temi trattati abitualmente dalla rivista le interessanomaggiormente?• Temi di approfondimento teologico e/o religioso;• Discussioni sulla situazione della chiesa in italia oggi;• Dibattito sulle istituzioni e la democrazia ed interventi di tipo

politico generale;• Interventi sui problemi di Napoli e del mezzogiorno;• Atti di convegni e/o recensioni di libri e riviste• Altro (specificare)Qual e’ l’indice di gradimento?……………………………………………………………………………..Ci si riconosce nei contenuti e nella sua impostazione?……………………………………………………………………………..** gli articoli, i documenti riportati hanno un riscontro nelle pro-blematiche di ogni giorno? …………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..Vengono letti con interesse o per abitudine?……………………………………………………………………………………………………..** rispondono alle tue attese?…………………………………………

100 –

Se [no] perche’…………………………………………………………..C’e’ qualcosa da evidenziare maggiormente, approfondire, elimi-nare, ridurre? ………………………………………………………..

Ci sono problemi, difficoltà, proposte sui seguenti punti?** periodicità…………………………………………………………….** settori nei quali è articolata la rivista…………………………..………………………….……………….…………………………………

** altro…………………………………………………………………….……………………………………………………………………………..

Nella molteplicita’ di esperienze sociali, religiose, ambientaliste,in quali ti riconosci e sei interessato ad acquisirne cono-scenze?………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..Quale contributo potrebbe offrire «il tetto»?…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..Quali iniziative riguardanti la vicende attuali a livello ecclesialee religioso potrebbero essere opportune e necessarie?……………………………………………………………………………..Quali interventi in campo politico e sociale la rivista potrebbepromuovere? ……………………………………………………………

Il questionario può essere inviato per posta elettronica richiedendoalla redazione il modulo o per fax o per posta ordinaria fotoco-piando il testo (vedi p. 5).

– 101

INDICE SISTEMATICO

FASCICOLO P.

EDITORIALI

305 5 Pasquale Colella, «Chiesa povera e dei poveri»306-307 5 Pasquale Colella, Papa Francesco. Le ragioni della speranza308-309 5 Pasquale Colella, Papa Francesco, ancora segnali di speranza310 6 Pasquale Colella, Ancora sulla Riforma della Chiesa

ETICA E POLITICA

305 19 Piero Bellini, Libertà di pensiero, libertà di stampa305 33 Guglielmo Forni Rosa, Simone Weil nel XXI secolo305 40 Elio Rindone, Lo slogan della governabilità306-307 13 Andrea Proto Pisani, Diritti sostanziali e processo nella evo-

luzione delle relazioni familiari

CHIESA

305 9 Cristofaro Palomba, Povertà evangelica in una società vio-lenta

308-309 13 Ugo Leone, Laudato siʼ Francesco308-309 20 Anselmo Paolini, San Romero de las Americas308-309 26 Rosanna Ciappa, Un incontro storico308-309 30 Giovanni Benzoni, Riflessioni su un vescovo, il mio310 13 Andrea Proto Pisani, Diritti e doveri per la conservazione

della «casa comune»310 25 Cesare Milaneschi, Luigi Prota Giurleo. Riforma ecclesiale e

militanza politica

NAPOLI E MEZZOGIORNO

306-307 21 Ugo Leone, Se son rose310 36 Ugo Leone, Se sei mesi

102 –

INDICE DELLʼANNATA 2015 (LII)

FASCICOLO P.

SOCIETÀ CIVILE

308-309 61 Eusapia Tarricone, Immigrazione: paura, odio e solidarietà sifronteggiano

DOSSIER50 PUNTO E A CAPO

305 71 Pasquale Colella, Guido DʼAgostino, Aldo Masullo, ErmannoRea, Laura Capobianco, Corrado Maffia, Annamaria Palmieri,Ugo Leone, Ugo Maria Olivieri, Mario Porzio, Andrea ProtoPisani, Mario Rovinello

DOSSIERAtti del Forum sul dono306-307 25 Ugo Olivieri, IntroduzioneLʼeconomia del dono306-307 31 Tomaso Montanari, A caval donato306-307 44 Stefano Consiglio, Lʼinnovazione sociale per il patrimonio cul-

turale306-307 62 Lorenzo Zoppoli, Lavoro subordinato e dono306-307 67 Melania Verde, Oltre la teoria economica ortodossa: i beni

relazionali306-307 72 Margherita Guelfo, Salvatore Rotondi, Federico Pone, Gian-

carlo Crispino, Prisca Palermo e Brigitta Buglione, DonareParti per costruire Insiemi: trasformare oggetti concreti(taonga) in legami affettivi (hau)

306-307 81 Daniela Falcioni, Il dono della servitùLa rete del dono306-307 89 Chiara Colasurdo, Gli orizzonti politici dei Beni Comuni pro-

duttivi: lʼesperienza dellʼex Asilo Filangieri306-307 92 Giuseppe Micciarelli, Pratiche di commoning nel governo dei

beni comuni: il caso dellʼex Asilo Filangieri306-307 96 Rossana Valenti, Le donne per la Scienza306-307 99 Carmela Maffia, Il dono della linguaIl dono dellʼarte306-307 105 Sarantis Thanopulos, Il dono nellʼarte. Il dono nellʼamore

307-308 61 Eusapia Tarricone, Immigrazione: paura, odio e solidarietà sifronteggiano

DOSSIER Scuola307-308 66 Mario Rovinello, Introduzione

– 103

FASCICOLO P.

307-308 68 Alberto Lucarelli, La «Buona scuola». Profili di illegittimità co-stituzionale

307-308 72 Ednave Stifano, La valutazione dei docenti307-308 80 Tiziana Drago, Anna Angelucci, La scuola è finita. Su Berlin-

guer e i suoi epigoni307-308 89 Ugo Maria Olivieri, Riprendiamoci il nostro presente307-308 93 Manifesto per la difesa della Scuola pubblica statale libera e

democratica

DOSSIERCostituzione310 40 Ugo Olivieri, Introduzione310 42 Luciana Castellina, La lunga erosione della democrazia310 47 Alessandro Pace, Le ragioni del no310 55 Domenico Gallo, La profezia nera di Cossiga310 58 Il Coordinamento per la democrazia costituzionale310 61 Unʼassociazione per il no

TESTIMONI

308-309 97 Domenico Iasiello, Arturo Paoli, piccolo fratello

DOCUMENTI

305 49 Comitati Dossetti, Nuove elezioni per riforme condivise305 51 Paolo Farinella, Appello a sostegno di Papa Francesco305 54 Alberto Maggi, I dieci comandamenti dopo Benigni305 57 Vittorio Bellavite, Ottopermille e la sua gestione306-307 113 Domenico Pizzuti, Papa Francesco a Napoli: perché e per

chi306-307 115 Francesca Avitabile, Quale popolo attende Francesco?306-307 116 Comunità cristiana di base del Cassano di Napoli, Chiesa di

Napoli e di Scampia «Svegliamoci»306-307 118 Sergio Sala, Dallo Sri Lanka a Scampia306-307 119 Giacomo Calvino, Grazie, Francesco…308-309 107 Ricordare Bonhoeffer310 66 Il Patto delle Catacombe di S. Gennaro dei Poveri

SEGNALAZIONI

305 63 Mario Gaetano Fabrocile, 2014 anno dei Papi Santi305 66 Mario Gaetano Fabrocile, La giornata dei diritti umani305 68 Paola Pariset, Il Werther allʼOpera di Roma

104 –

FASCICOLO P.

306-307 123 Giovanni B. Benzoni, Roberto Mancini e la dittatura dellʼeco-nomia

306-307 130 Mario Gaetano Fabrocile, Resistenza illuminata306-307 132 Mario Gaetano Fabrocile, Settanta anni fa moriva Dietrich

Bonhoeffer306-307 134 Antonio Piscitelli, Due della Brigata di Miriam Rebhun306-307 139 Maria Francesca Capuano, La «mia scuola»306-307 143 Mario Rovinello, Il fascino della narrazione tra passato e fu-

turo308-309 111 Angelo Bertani, Chi sono io, Francesco?308-309 119 Giacomo Losito, Scritti in onore di Domenico Jervolino308-309 130 Giacomo Losito, In memoria di Émile Poulat308-309 135 Mario Gaetano Fabrocile, 36° Meeting Ciellino308-309 138 Paola Pariset, Arte islamica a Roma310 69 Mario Gaetano Fabrocile, Morte di André Glucksmann310 71 Paola Pariset, Mario Sironi e le illustrazioni per ʻil Popolo dʼI-

taliaʼ310 74 Antonio Piscitelli, «Lʼonda ʻlungaʼ della libertà»310 82 Scuola di Pace, Luci nel buio. Testimoni della nonviolenza

del ʼ900

LIBRI

305 115306-307 147308-309 141310 84

– 105