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ISTITUTO COMPRENSIVO BERTO BARBARANI SCUOLA PRIMARIA SCUOLA SECONDARIA DI MINERBE ________________________________________________________________________________ Domenica 29 gennaio 2012 in ricordo della Shoah M M a a i i p p i i ù ù Liliana Segre Celebrazione della giornata della Memoria con l’intervento di Emanuela Zuccalà autrice del libro “SOPRAVVISSUTA AD AUSCHWITZLILIANA SEGRE, fra le ultime testimoni della Shoah

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ISTITUTO COMPRENSIVO BERTO BARBARANI

SCUOLA PRIMARIA

SCUOLA SECONDARIA DI MINERBE

________________________________________________________________________________

Domenica 29 gennaio 2012

in ricordo della Shoah

““MMaaii ppiiùù””

Liliana Segre

Celebrazione della giornata della Memoria

con l’intervento di Emanuela Zuccalà

autrice del libro “SOPRAVVISSUTA AD AUSCHWITZ”

LILIANA SEGRE, fra le ultime testimoni della Shoah

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Indice

Introduzione

Il percorso della Scuola:

Scarpette rosse, classi V A e V B

Bambina felice, classe III A

Come sopravvivere, classe II A

Nel lager, classi II B- II C

La marcia della morte, classe III C

Ubriaca di libertà, classe III A

Una testimonianza al femminile, classe III B

Voce agli innocenti attraverso pensieri, disegni e riflessioni, classi I A- I B- I C della scuola secondaria e classi V della scuola primaria

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Introduzione Se anche quest‟anno gli studenti della scuola primaria e secondaria di Minerbe si sono impegnati ad approfondire la complessa e vasta tematica della Sohah è per merito degli insegnanti che li hanno stimolati nello studio e nell‟approfondimento fino ad offrire loro l‟opportunità di sentire, sia pur indirettamente, attraverso un‟interposta persona, la testimonianza di una superstite di quell‟orrore: Liliana Segre. La testimonianza è un dono prezioso; un riconoscimento doveroso quindi a Emanuela Zuccalà che ha accolto il nostro invito ed ha accettato di incontrare gli studenti e la comunità per raccontare la vicenda di Liliana Segre, come lei stessa l‟ha sentita e raccolta dalla viva voce di questa sopravvissuta, una fra ultime testimoni della Shoah. Poche cose per inquadrare questo evento. Stiamo parlando di Shoah. Shoah significa distruzione. Un genocidio di sei milioni di ebrei. Non è stato l‟unico né l‟ultimo, ma è stato un crimine senza precedenti e non per il numero delle vittime, ma per la natura di questo crimine che ha segnato profondamente la storia dell‟umanità. La Shoah infatti è una tragedia che riguarda tutta l‟umanità; gli ebrei ne sono stati le vittime certamente; ma per commettere un genocidio così radicale c‟è voluta la complicità, la collaborazione, ma soprattutto l‟indifferenza di milioni di persone. Per commettere un crimine di questo livello è stato necessario che un‟intera società, che l‟intera Europa partecipasse, anche non facendo niente, anche magari rimanendo in silenzio indifferente. Ma c‟è anche un‟altra ragione per cui ha segnato profondamente l‟umanità. Nel momento infatti in cui si pensa di uccidere delle persone mandandole a morire con il gas come fossero insetti, cancellandole dalla faccia della terra, non è semplicemente il popolo ebreo che viene mandato a morire ad Auschwitz, luogo simbolo della Shoah, ma è il concetto stesso di umanità che viene ucciso. In questo genocidio non c‟è neanche più rispetto per la vittima, non c‟è più rispetto per la sacralità della vita umana e questa è una cosa che ha segnato profondamente il tempo recente e che ci deve interrogare ancora oggi. Noi cioè dobbiamo chiederci come sia stato possibile che una società moderna, un‟Europa che ha promulgato i diritti dell‟uomo, con conquiste del progresso incredibili, sia potuta arrivare a commettere tutto ciò. E così nel momento in cui noi accettiamo di confrontarci con questa storia dobbiamo essere consapevoli che non stiamo studiando storia antica, fatti lontani del passato, ma un evento che ci interroga come esseri umani, nella nostra umanità, e soprattutto nella nostra concezione di modernità. C‟è la possibilità della barbarie, c‟è la possibilità di cadere in questa violenza e noi dobbiamo capire quando e in quale contesto riusciamo, ancora oggi, a distogliere lo sguardo, a tacere, a non indignarci più quando vediamo prevaricazioni, come tuttora succedono. Liliana Segre nelle sue testimonianze non smette mai di ricordare che la peggiore malattia sociale è l‟indifferenza, che va combattuta con tutte le forze per evitare che abbia a ripetersi un‟altra tragedia simile a quella da lei vissuta. La testimonianza che i sopravvissuti ci lasciano non deve pertanto restare solo racconto della loro sofferenza né deve servire semplicemente a farci provare empatia emotiva, ma deve trasformarsi in impegno, nel nostro impegno di tutti i giorni.

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La sfida pertanto, per tutti noi adulti, ma soprattutto per i nostri giovani, è fare in modo che sia sempre l‟uomo a scegliere, in qualunque situazione si trovi, perché il fatto che si possa scegliere e soprattutto che si scelga di non essere indifferenti, è quello che può veramente far di noi degli esseri umani, anche nelle situazioni più terribili. Il nostro augurio, quello della scuola, quello degli insegnanti e di quanti hanno a cuore lo sviluppo positivo dell‟umanità è che il ricordo della Shoah susciti in tutti riflessioni e pensieri che aiutino ad essere più responsabili e più consapevoli dell‟esigenza di costruire la vita di ogni persona e quella della futura società senza nemmeno l‟ombra della più piccola indifferenza. Un esempio di questo impegno contro ogni tipo di indifferenza, quotidianamente attuato, è quello di Emanuela Zuccalà che per “mestiere”, ma sicuramente anche per natura oltre che vocazione, si interessa ad ogni tipo di discriminazione per metterne in luce limiti e debolezze ed attirare su di esse attenzioni e alleanze in modo da creare partecipazione ed interesse, indispensabili contro ogni ingiustizia. Cosa che tutti dobbiamo imparare a fare per realizzare un futuro migliore.

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27 Gennaio…SHOAH, non dobbiamo dimenticare!

In occasione della “Giornata della Memoria”, noi di classe quinta abbiamo compiuto un percorso di conoscenza dei terribili eventi che hanno segnato per sempre la coscienza, non solo del popolo ebraico, ma dell‟intera umanità. Abbiamo avuto modo di approfondire l‟argomento attraverso la lettura delle testimonianze dei sopravvissuti, le cui memorie ci sono state consegnate attraverso delle commoventi pagine di diario, autobiografie, biografie ed altro. “Anna Frank” ci ha presentato la solitudine di una ragazzina più o meno della nostra età costretta a nascondersi dalla persecuzione e ad avere come amica la sua “Cara Kitty”, un diario. “Settimia Spizzichino” nel suo libro “Gli anni rubati” tra le tante torture ci ha rivelato gli orrori dei medici nazisti che sperimentarono sulla sua pelle malattie e farmaci per “curarla”, infliggendole terribili sofferenze. “Liliana Segre” alla quale abbiamo dedicato quasi tutto il nostro tempo, leggendo la sua commovente storia nel libro “Sopravvissuta ad Auschwitz”,e della quale parleremo più avanti, ci ha dato modo di riflettere e capire la sua condizione prima di bambina emarginata per “colpa di essere nata ebrea” e poi di “ragazza-nulla” nei Lager. Non solo, ma abbiamo anche imparato canzoni e poesie, guardato film, compiuto ricerche di materiali e fotografie. Siamo convinti che l‟avere avuto questa occasione di conoscenza della sofferenza e allo stesso tempo, della crudeltà umana, ci aiuterà a cercare di essere nella nostra vita uomini e donne migliori e ad amare e rispettare ogni essere umano indipendentemente dalla sua razza o religione, per questo diciamo:

“UN GRANDE GRAZIE A CHI TROVA IL CORAGGIO DI ESSERE

TESTIMONE.”

Angelica C.

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…abbiamo guardato il film “Il bambino con il pigiama a righe”.

SCARPETTE ROSSE

Scritta dalla poetessa Joyce Lussu, questa poesia è dedicata a tutti i bambini sterminati

nelle camere a gas, migliaia di innocenti strappati alla vita, che avevano come unica colpa

solo quella di essere nati ebrei. Un paio di scarpe rosse numero ventiquattro, un paio di

scarpette normalmente utilizzate per i giorni di festa ed ancora nuove, che un bambino di

soli tre anni e mezzo calzava a Buchenwald, un campo di sterminio nazista, in Germania.

Quelle scarpette erano in cima ad un mucchio di altre scarpe appartenenti a bambini che

in quel luogo assieme a lui hanno trovato la morte. Questa è l‟immagine protagonista della

poesia a testimonianza che di quegli innocenti non rimase altro che un mucchio di scarpe

e, più in là, un altro mucchio, fatto di riccioli biondi, di ciocche nere e castane che

servivano per fare coperte ai soldati. I bambini venivano spogliati e rasati come gli adulti

prima di entrare nelle camere a gas e di loro poi non restava più traccia, bruciati nei forni

crematori, resi per sempre invisibili, dispersi nel vento. Probabilmente non riusciremo ad

immaginare di che colore erano gli occhi di quel bambino bruciati nel forno, ma

riusciremo ad immaginare il suo pianto, un pianto che nessuno riuscirebbe a sopportare,

che nessuno vorrebbe sentire e che mai più, in nessun luogo della terra, in nessun tempo,

si dovrà sentire.

Per questo noi… non dobbiamo dimenticare!

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C’è un paio di scarpette rosse

numero ventiquattro quasi nuove:

sulla suola interna si vede ancora

la marca di fabbrica Schulze Monaco.

C’è un paio di scarpette rosse

in cima a un mucchio

di scarpette infantili

a Buchenwald.

Più in là c’è un mucchio di riccioli biondi,

di ciocche nere e castane

a Buchenwald.

Servivano a far coperte per i soldati,

non si sprecava nulla

e i bimbi li spogliavano e li radevano

prima di spingerli nelle camere a gas.

C’è un paio di scarpette rosse per la domenica

a Buchenwald,

erano di un bimbo di tre anni,

forse di tre anni e mezzo.

Chissà di che colore erano

i suoi occhi bruciati nei forni,

ma il suo pianto lo possiamo immaginare.

Si sa come piangono i bambini,

anche i suoi piedini

li possiamo immaginare.

Scarpa numero ventiquattro per l’eternità,

perché i piedini dei bambini morti non crescono.

C’è un paio di scarpette rosse

a Buchenwald, quasi nuove,

perché i piedini dei bambini morti

non consumano le suole.

JOYCE LUSSU

Chiara B.

Angelica C.

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I loro corpi erano bruciati nei forni

“Scarpette Rosse” per noi significa… Questa poesia parla di un bambino morto a tre anni, che aveva delle scarpette rosse numero ventiquattro. Ci dispiace molto per questo bambino o bambina, e per tutti gli altri che non hanno potuto vivere la loro vita. NON ERA COLPA LORO ESSERE NATI EBREI! Speriamo che non succeda mai più con nessuna razza.

ANGELICA C. - ANNA M. - SILVIA A.

Pensiamo che i tedeschi non dovevano fare questa strage perché non è vero che erano la

razza più pura, anzi, chi fa queste cose non è certamente superiore ad un altro .

MICHAEL B. - LORENZO M. - FRANCESCO D.

La poesia scarpette rosse mi fa pensare a tutti i bambini che hanno sofferto, anche se non avevano colpa. Per me le scarpe del bambino non erano rosse ma chiare, sono diventate rosse con tutto il sangue sparso. Per me i bambini non avevano rosse solo le scarpe ma anche gli altri vestiti .

GIULIA C.

Secondo noi tagliare i capelli ai bimbi per fare delle coperte per i soldati è stata una cattiveria, ed anche spogliarli per poi portarli nelle camere a gas è stato orribile. Non sappiamo il perché, ma crediamo che fare queste cose sia veramente disumano, perché ogni bambino aveva il diritto di vivere, anche se era ebreo.

AURORA B. - CLAUDIA Z.

Ambra Z. Nicole B.

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Io non farei mai coperte per i soldati con i capelli delle persone e dei bambini che sono morti perché è una cosa atroce. Provo tristezza e sono molto arrabbiata perché queste cose ai bambini, alle mamme e ai papà non si fanno, solo un pazzo come Hitler poteva farlo!

ARIANNA C.

Quando la poesia dice: “C‟E‟ UN PAIO DI SCARPETTE PER LA DOMENICA A BUCHENWALD ERANO DI UN BIMBO FORSE DI TRE ANNI E MEZZO. CHISSA‟ DI CHE COLORE ERANO I SUOI OCCHI BRUCIATI NEI FORNI, MA IL SUO PIANTO LO POSSIAMO IMMAGINARE”, immaginiamo quel bambino che non ha potuto vivere perchè è morto, e se ci pensiamo ci viene da piangere.

CHIARA B. - NICOLE B.

Non bisogna uccidere le persone perchè siamo tutti uguali, alla fine non si ottiene niente. Gli americani e i russi, al contrario, sono stati bravi a liberare gli ebrei dai nazisti e dare loro del cibo .

MARCO G. - SAMUELE M. - LUCA G.

La SHOAH nei nostri disegni…

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Disegni a cura di : Paolo M. Ambra Z. Angelica C. Silvia A. Samuele M. Nicole

B.

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LILIANA SEGRE: “SOPRAVVISSUTA AD AUSCHWITZ”

Abbiamo conosciuto la storia di Liliana Segre, una delle ultime testimoni viventi degli orrori della Shoah. Riportiamo di seguito alcune parti tratte dal I capitolo del libro scritto su di lei dalla giornalista Emanuela Zuccalà, che sono state per noi spunto di discussione e riflessione.

Per la colpa di essere nata (Settembre 1938 entrano in vigore le Leggi Razziali)

“…Io frequentavo una scuola pubblica, ero anche una discreta scolara, non vedevo i motivi per essere espulsa…mi sentivo colpevole, colpevole di una colpa che mi restava sconosciuta. Solo negli anni capii che era la colpa di essere nata ebrea…”

( tratto dal libro “Sopravvissuta ad Auschwitz)

Greta C.

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…abbiamo letto il libro sulla vita di Liliana Segre

(versione digitale nella Lim)

e in questo modo abbiamo conosciuto…

…l’emarginazione

La vita di Liliana nel 1938 cambiò radicalmente. Fu molto triste quando seppe che non poteva più andare nella scuola pubblica con le suo compagne, perché era ebrea. Poteva ascoltare un‟unica stazione radio, la domestica che avevano non doveva più stare in quella casa e, se i poliziotti li ”beccavano” a trasgredire le Leggi, erano nei guai. Sentiva continuamente risatine maliziose delle compagne che fino a poco tempo prima avevano condiviso con lei gioie e dolori. Anch‟io, come lei, mi sarei sentita molto triste e delusa .

CLAUDIA Z.

“La Selezione”

Natasha C.

Nicole B.

Patryk G.

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Se io fossi stata al suo posto, credo che mi sarei sentita umiliata e presa in giro da chi prima era mia amica. Ogni volta che mi avessero indicata come “diversa” sarei scoppiata a piangere, anche perché non avrei capito cosa ci fosse di male ad essere ebrea.

ERIKA S.

…la crudeltà

Pensiamo che sia stata una cosa ingiusta emanare le Leggi Razziali perché siamo tutti uguali, non abbiamo mai sentito parlare di persone così cattive come loro, i Nazisti. Una cattiveria così grande speriamo che non esista mai più, uccidere sei milioni di ebrei, solo perché sono nati, è una cosa che non può essere perdonata.

FEDERICO D. B. - ANDREA R. - PATRYK G.

…l’amore

Mi domando come abbia fatto il papà a spiegarle in modo semplice e tranquillo quello che stava succedendo, mascherando la sua commozione e preoccupazione: era un uomo straordinario!

EDOARDO P.

…la sofferenza

Liliana Segre ha sofferto molto la fame, la tristezza e la fatica: la fame perché le davano poco da mangiare, la tristezza perché vedere persone affamate e mucchi di cadaveri sarà stato terribile, e la fatica perché il lavoro e la “marcia della morte” l‟hanno sfinita.

CHIARA B.

…la forza

Secondo noi lei non meritava di finire in un posto così brutto, per fortuna è stata a lavorare al coperto, ce l‟ha fatta nonostante tutto quello che ha passato. Non avrebbe mai dovuto fare quella vita orribile, e anche se Liliana mangiava bucce di patate e dopo vomitava, è stata un‟eroina perché è riuscita a fare questo: “SOPRAVVIVERE”.

ERSILIA L. - SILVIA A.

Liliana non si è mai arresa, è stata molto forte, e così grazie alla sua tenacia è riuscita a restare viva nel campo di concentramento di Auschwitz. Uccidere tantissime persone soltanto perché erano ebree mi sembra una vera e propria ingiustizia.

ANGELICA C.

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…l’odio

che diventò…

…perdono!

Edoardo P.

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LA MEMORIA Gli Ebrei non mettono fiori sulle tombe dei loro cari, ma pietre, questa è un‟usanza molto antica che risale al periodo nomade, quando vivevano nel deserto. Essi deponevano le pietre sulle tombe per evitare che la sabbia volasse via, scoprendo i corpi. Oggi lo scopo è diverso: nella religione ebraica ogni ostentazione del lutto e del dolore è considerata indecorosa, quindi sulle tombe non si usa mettere fiori, decorazioni, lumi… ma un piccolo sasso che, al contrario, è una dimostrazione d‟affetto sobria e duratura. Abbiamo pensato di decorare con il simbolo della pace dei sassi per “FARE MEMORIA”

di quello che abbiamo imparato e compreso conoscendo la persecuzione e il massacro subiti dagli ebrei, “colpevoli di esistere”. Anche noi come il cantante Bob Dylan nella celebre canzone “Blowin‟ in the wind”, “Soffia nel vento” ci domandiamo: “Quanto tempo ci vorrà prima che l’uomo impari ad amare ed a rispettare i suoi simili anche se appartenenti ad un'altra cultura o religione?”

La risposta è nella Memoria… spetta a noi far vivere quel tempo!

SOFFIA NEL VENTO

Quante strade deve percorrere un uomo prima che tu possa chiamarlo uomo? E quanti mari deve navigare una bianca colomba prima di dormire sulla sabbia? E quante volte devono volare le palle di cannone prima di essere proibite per sempre? La risposta, amico mio, soffia nel vento, la risposta soffia nel vento. E quanti anni può esistere una montagna prima di essere erosa dal mare? E quanti anni possono gli uomini esistere prima di essere lasciati liberi? E quante volte può un uomo volgere lo sguardo e fingere di non vedere? La risposta, amico mio, soffia nel vento, la risposta soffia nel vento. E quante volte deve un uomo guardare in alto prima di poter vedere il cielo? E quanti orecchi deve avere un uomo prima di poter sentire gli altri che piangono? E quante morti ci vorranno prima che lui sappia che troppi sono morti? La risposta, amico mio, soffia nel vento, la risposta soffia nel vento.

BOB DYLAN

Martina C.

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Le foto parlano…

Lavoriamo con i sassi

Riflettiamo insieme:

“ « Tutti gli esseri umani nascono liberi

ed eguali in dignità e diritti.

Essi sono dotati di ragione e di coscienza e

devono agire gli uni verso gli altri in

spirito di fratellanza. »

(Dichiarazione Universale dei Diritti

Umani)

Questo è il nostro messaggio:

Cl. 5A – 5B

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UNA BAMBINA FELICE COME TANTE ALTRE…

Dalle prime pagine del libro di Emanuela Zuccalà “SOPRAVVISSUTA AD AUSCHWITZ,

LILIANA SEGRE fra le ultime testimoni della Shoah”

“Ero una bambina milanese come tante altre, di famiglia ebraica laica … non avevo ricevuto alcun insegnamento religioso in casa. Nel settembre del 1938 avevo terminato la seconda elementare e conducevo una vita tranquilla e felice… Abitavo a Milano, al numero 55 di corso Magenta, con mio papà e i nonni Olga e Pippo: dolcissimi, molto amati. Mia mamma era morta quando io non avevo ancora compiuto un anno, e mio papà - che nel 1938 aveva trentanove anni – era tornato a vivere nella casa dei genitori. Non avevo mai sentito parlare di ebraismo quando, una sera di fine estate, mi sentiti dire dai miei familiari che non avrei più potuto andare a scuola. Ricordo che eravamo a tavola. Ricordo i loro visi ansiosi e affettuosi insieme: mi fissavano negli occhi mentre mi comunicavano questa notizia che a me suonava incredibile. Io frequentavo una scuola pubblica, ero anche una discreta scolara, non vedevo motivi per essre espulsa. “Perché? Cos‟ho fatto di male? ” chiesi, e intanto mi sentivo colpevole, colpevole di una colpa che mi restava sconosciuta. Solo negli anni capii che era la colpa di essere nata ebrea. Colpa inesistente, paradosso atificiale ma allora spaventosamente reale. Mio papà cercò di spiegarmi che le nuove leggi razziali avevano espulso tutti gli studenti ebrei dalla scuola elementare fino all‟università, e così pure i maestri, i professori, gli impiegati degli enti pubblici, i magistrati, gli ufficiali. Perfino i professionisti, avvocati e medici, potevano esercitare esclusivamente con clienti ebrei. Era troppo difficile per me comprendere un evento simile. “ Ma perché? ”, riuscivo solo a dire…

Interpretiamo con il disegno

Bila: la cena in casa Segre

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Immaginiamo il dialogo: UNA SERA DI FINE ESTATE…

In casa Segre intorno alla tavola per la cena ci sono la piccola Liliana, il papà Alberto, i nonni Olga e Pippo. I visi sono preoccupati e tristi perché sanno che di sicuro Liliana soffrirà molto per la notizia che le devono annunciare.

Papà: - Ti piace la minestra che ha preparato la nonna Olga stasera? Nonna: - Ti piace la tovaglia? È nuova! Nonno: - Liliana, ti voglio bene. Liliana: - Anch‟io ti voglio tanto bene nonno Pippo, in questa famiglia sto molto bene anche se non ho mai conosciuto la mamma. Papà: - Lo sai che la tua mamma ti assomigliava?

Rumore di stoviglie, ciascuno è assorto nei suoi pensieri.

Nonni e papà: - Purtroppo ti dobbiamo rivelare una brutta notizia… Liliana: - Cos‟è successo? Papà: - Da oggi in poi non potrai più frequentare la scuola elementare. Liliana: - Cosa ho fatto di male per essere espulsa? Papà: - Tu non hai fatto niente, sei una brava scolara… Purtroppo una nuova legge ingiusta ha deciso così per noi ebrei. Liliana: - È uno scherzo, vero, papà? Nonna: - È purtroppo vero… Liliana: - Ma che cosa vuol dire essere ebrei? Nonno: - Cara, la nostra discendenza è ebrea, la nostra religione è ebrea anche se non te ne abbiamo mai parlato perché noi non frequentiamo la sinagoga. Liliana: - Ma che colpa ho io di questo? Mi mancheranno tanto i miei compagni e la maestra… Dove andrò a scuola? Papà: - Stai tranquilla, vedrai che troveremo una soluzione, per esempio una scuola privata dove insegnano maestri ebrei come noi. Vedrai, le cose si sistemeranno. Mangia ora, si raffredda!

Lavoro collettivo, classe 3^ A Primaria

Edoardo

Riccardo

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…E intanto ero diventata una diversa, insieme a quella minoranza di italiani di religione ebraica trasformati all‟improvviso in cittadini “di serie B”, separati dalla società civile ed esclusi dalla realtà di ogni giorno…Di colpo non ero più quella di prima… Uno dei miei ricordi più nitidi è proprio quello di essere segnata a dito. Per andare nella mia nuova scuola privata, l‟unica che mi fosse concesso di frequentare, attraversavo la via della vecchia scuola pubblica. E vedevo le ex compagne di prima e di seconda elementare, bambine con le quali avevo giocato, riso e scherzato, che dall‟altra parte della strada mi indicavano alle altre: “Quella lì è la Segre. Non può più venire a scuola con noi perché è ebrea”. Risatine maliziose, frasi delle bimbe di quell‟età, che in realtà non conoscevano il significato di quello che dicevano così come lo ignoravo io. Giorno dopo giorno cominciai a capirlo, e il mio tormento quotidiano diventò tentare di mimetizzarmi nella mia nuova scuola, non parlare, io che ero sempre stata così aperta, così cordiale, così vivace … Zitta, stavo zitta per non farmi sfuggire nulla di bocca, per non raccontare quello che accadeva nella mia casa tranquilla, una casa serena come tutte le altre…”

Questo ricordo di Liliana nei disegni

Marina Giada

Anna

Silvia

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Minerbe, 20 gennaio 2012

CARA LILIANA,…TI SCRIVIAMO

Cara Liliana,

la mia maestra mi ha raccontato molto di te e ti scrivo questa lettera per farti dimenticare quei brutti momenti e per dire: mai più! Io in questo momento sto ricordando Janine, una che come molti altri è morta nel modo voluto da Hitler, cioè nella camera a gas. Ma mi piace soprattutto la tua storia perché ha un significato che adesso scrivo e che è: ricordare perché non succeda più! Adesso ti domando: come sono stati i tuoi primi giorni ad Auschvitz e le tue prime selezioni? Io mi chiedo: perché non hai sparato a quel soldato che ti ha fatto patire tanto? Ma poi perché non hai consolato Janine e non l‟hai chiamata per nome? Che cosa hai trovato dentro il cuore di quell‟uomo che poi è diventato tuo marito? Grazie per il suggerimento della stellina che quando sarò in difficoltà, non in difficoltà di morte, ma con qualche problema, dirò: finché brilla quella stellina io sarò bravo e buono. Ti devo dire che oggi Minerbe è bianco di brina ma quando penso a te mi si riscalda il

cuore. Simone ti porge i suoi più cordiali saluti.

Cara Liliana,

la maestra mi ha raccontato che sei sopravvissuta ad Auschvitz. Ci ha detto che ti sei salvata perché eri alta, sembrava che avessi più anni così ti hanno messo a lavorare in una fabbrica di munizioni. Non riesco neanche a immaginare quanto sei stata male quando ti maltrattavano. Per te deve essere stato difficile credere che eri ancora viva quando hanno aperto il cancello del lager. Quando sei andata nel campo di concentramento papà è andato in un‟altra parte del campo perché ce n‟erano due: una maschile e una femminile. Non dormivi bene perché avevi gli zoccoli sotto la testa. Mi dispiace che la tua mamma sia morta, perché se fosse stata viva quando era finita la guerra ti avrebbe capita. Credo che tua mamma sarebbe stata molto buona con te. Quando sei andata dai tuoi zii non ti davano retta perché pensavano che loro avevano vissuto di brutto più di te. Hai fatto una buona azione quando volevi uccidere l‟uomo che ti ha fatto tanto male e non lo hai fatto. Io ti avrei capito quando sei venuta a casa dal campo di concentramento. Hai passato una brutta esperienza, però adesso è tutto finito.

Spero che l‟anno prossimo venga di persona qui a Minerbe. Ciao. Francesco

Davide: Liliana e le sue ex compagne della scuola pubblica

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Cara Liliana,

la maestra ci ha letto il tuo libro ed è molto commovente. Io non saprei immaginarmi come si stava e cosa si provava lì ad Auschwitz in Polonia, dovrebbe essere stato bruttissimo e spaventoso! Mi dispiace molto per Janine e per te , Liliana. Io ho visto in Internet un tuo video e tante foto molto ma molto brutte! Immagino che ora tu sia molto triste, non hai mamma, né papà, né nonni: io sarei molto, molto triste …sono senza parole. Non riesco neanche a immaginare tutte le sofferenze che hai passato. Mi ha colpito molto che da quanto eravate affamate vi siete divorate perfino carne di un cavallo morto! Il tuo libro è stato bellissimo. Ma non riesco a immaginare tutte quelle cose che hai passato! Come facevi a resistere al freddo solo con gli zoccoli e la divisa a righe? Io non so cosa dire… Chissà come facevi a dormire con gli zoccoli sotto la testa… Non ti facevi male al collo? Non preoccuparti, non succederà MAI PIÙ. Grazie, spero di vederti di persona l‟anno prossimo!

Nel tuo cuore c‟è la pace. Ciao, Marina

Cara Liliana, la maestra ci ha raccontato le tue brutte avventure ad Auschvitz in Polonia. Se fossi andata io nei campi di concentramento non so come avrei fatto a sopravvivere, ma tu sei stata bravissima a resistere a quella tortura. Sicuramente avrai avuto molta paura alle selezioni. Che cattivi però che sono stati Hitler e compari a farvi così tanto male, proprio vergognosi. Tu però ce l‟hai fatta in un‟impresa così difficile, io non avrei potuto sopportare tutta quella paura. Credo che tu sia stata molto brava a tener duro, ma che cosa avrai pensato? Che cosa hai fatto per sopravvivere a tutto quel dolore? Dopo tutto sono contentissima che tu sia uscita viva, ma anche perché sei felice ora. Immagino che ci sia stato qualcuno che ti abbia consolato, per esempio Janine a cui eri molto affezionata. Quando sei arrivata ad Auschvitz cosa ti avranno fatto?! Quelle brutte leggi che non so chi sia stato a tirarle fuori… sarei stata cattiva nei confronti di quel soldato che si è rimesso i vestiti da uomo normale, ma tu come hai fatto a non sparargli? Spero di vederti presto dal vivo, magari l‟anno prossimo, vorrei vederti da qualsiasi parte,

per esempio in tivu! Come vorrei vederti! Ciao da Giada

Alessio: Liliana si sente

“diversa”

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COME SOPRAVVIVERE

13-01-2012 Caro diario, noi alunni della Scuola Secondaria di Primo Grado di Minerbe abbiamo letto dei passi di ricordi di Liliana Segre, anziana signora, moglie, madre di tre figli e anche nonna, scritti dalla giornalista Emanuela Zuccalà. Liliana è nata nel 1930 e nel 1938 in Italia vennero emanate le leggi per la difesa della razza italiana, quindi a quell'epoca era giovanissima. Quando la ragazza lo venne a sapere, assieme al padre cercò di fuggire in Svizzera, ma fu arrestata e rinchiusa nel carcere di San Vittore e, dopo alcuni mesi, deportata con un vagone merci nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. La mia classe, la II A, ha analizzato soprattutto le parti del testo in cui si racconta delle "ragazze-nulla", sfortunate compagne di questo triste percorso, le quali, appena scese dai vagoni merci, si separarono per sempre dai loro cari e, superata la prima selezione che consisteva semplicemente in "Tu sì, tu no", arrivavano nel lager vero e proprio, dove venivano loro rasati sia i capelli sia i peli. Io, come femmina, posso capire come si devono essere sentite, visto che, così rasate, non c'era più tanta distinzione tra loro e i maschi, tranne la struttura fisica.

Noi ragazzi di II A della Scuola Secondaria di Primo Grado abbiamo appreso la

storia della vita di Liliana Segre dalla lettura e dall'analisi, assieme alla nostra

insegnante di Lettere, di alcune pagine significative di Sopravvissuta ad

Auschwitz. Liliana Segre fra le ultime testimoni della Shoah della giornalista

Emanuela Zuccalà. In particolare ci siamo soffermati su alcuni passi del testo per

capire come una ragazza, una nostra coetanea, potesse sopravvivere nel lager, quali

fossero i suoi pensieri in quel luogo di morte, ma soprattutto come in mezzo a tanta

violenza psicologica e fisica Liliana Segre sia riuscita a farcela, senza farsi

trasportare nel vortice della disperazione.

Seguono alcune nostre pagine di diario che abbiamo immaginato di scrivere come

riflessione personale su quanto appreso, su quanto ci ha lasciato un indelebile

segno.

Gli alunni della II A

Gli alunni della II A

Gli alunni della II A

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Alle donne e agli uomini veniva tatuato sul braccio un numero, che li identificava per il resto del tempo che sarebbero rimasti lì, nel campo di sterminio. Il numero di Liliana Segre era 75190, fünf-und-siebzig-ein-hundert-neunzig, la prima cosa che imparò a dire in tedesco. Lei non era più Liliana Segre, era il numero 75190. Lei dice che esistono dei laser per cancellare i tatuaggi, ma che non esiste alcun laser capace di cancellare il numero di Auschwitz; penso che intenda sottolineare che il numero 75190 è impresso, marcato a fuoco nel suo cuore. I deportati erano chiamati dagli aguzzini stücke, pezzi, infatti fra di loro le guardie si chiedevano: «Quanti pezzi hai nella tua baracca?» e Liliana era uno di questi pezzi, soltanto un numero. Lei racconta che era lì con il corpo, che subiva botte, fame e freddo, ma non con lo spirito; si era creata un mondo tutto suo, non costituito da ricordi, che avrebbero potuto farle ancora più male, e ripensava alla trama dei bei film che aveva guardato da piccola, alle nuotate nel mare della Liguria. Liliana si fissava sempre i piedi, non guardava in faccia né le guardie, che avrebbero potuto spararle un colpo di fucile, né le altre compagne, forse perché vedendole soffrire avrebbe patito ancora di più, anche perché quello che oggi succedeva a loro, domani poteva accadere a lei. Nelle notti terse Liliana si immedesimava in una stellina alta nel cielo e pensava che, finché la stellina continuava a brillare, lei stessa non poteva morire. Ancora oggi i suoi figli le regalano delle stelline e i suoi nipoti le disegnano per lei. La stella è il suo simbolo. L'identificazione con quella stellina, il guardare sempre in basso e l'essere scelta, in mezzo a moltissime ragazze, per lavorare al chiuso, furono le motivazioni principali che la salvarono dall'essere uccisa dai nazisti. Ma il peggio è che violenze simili nel mondo non sono ancora finite, non intendo solo contro gli ebrei. Inoltre, ci sono razzisti che pensano di essere forti perché usano violenza sugli altri, mentre, secondo me, le vere persone "potenti" sono quelle che sanno amare. Ora devo andare. Dormi bene, caro diario. Tua Vittoria.

13-01-2012 Caro diario, questa mattina, con la professoressa di Lettere, noi alunni della II A abbiamo letto dei passi tratti da un'opera intitolata Sopravvissuta ad Auschwitz. Liliana Segre fra le ultime testimoni della Shoah , una specie di biografia di Liliana Segre. Liliana è stata deportata ad Auschwitz insieme a molte donne e uomini ebrei su un treno. Arrivati lì, sono stati divisi fra femmine e maschi. Poi le ragazze venivano selezionate, nude, davanti ad un tribunale di medici. A Liliana, come a tutte le altre ragazze che aveva come compagne, hanno tolto tutto della sua femminilità: le hanno rasato i capelli e negata qualsiasi caratteristica che la rendesse donna. Le prigioniere, e quindi anche la stessa Liliana, erano denutrite, infatti erano chiamate donne scheletro oppure ragazze-nulla perché quando una donna è considerata nulla e le viene tolto tutto diventa il nulla, si sente il nulla.

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Liliana Segre però riesce a "superare" questo imparando il tedesco, lavorando al chiuso, non guardando le SS negli occhi e creandosi un mondo di fantasia tutto suo, non pensando a quello che c'era intorno e a quello che le stava accadendo. Una cosa che più di tutte l'ha aiutata è stato guardare nel cielo una stellina e farsela "amica". Spero che queste violenze non accadano mai più a nessuna donna, a nessuna persona. Ora devo andare,ti saluto, baci e abbracci. Tua Elisabeth.

13-01-2012 Caro diario, stamattina, in classe, noi alunni della II A abbiamo letto dei passi tratti dal libro Sopravvissuta ad Auschwitz. Liliana Segre fra le ultime testimoni della Shoah. Questo testo racconta della crudeltà tedesca fatta nei campi di sterminio durante la II guerra mondiale. Liliana, una ragazza ebrea, viveva una vita normale in Italia, ma nel 1938 vennero emanate le leggi razziali e per lei non è stato più così facile. Quando il padre si rese conto che la situazione peggiorava, decise di rifugiarsi in Svizzera con Liliana. Una volta arrivati al distretto di polizia locale, vennero riportati subito al confine e furono arrestati dalle guardie italiane. All'età di tredici anni, Liliana salì forzatamente su un treno merci che aveva come destinazione Auschwitz. Il 6 febbraio del 1944 Liliana si trovò davanti ai cancelli del lager. Riuscì a passare la prima selezione sulla Judenrampe. Dopo di che venne denudata e guardata da un gruppo di medici tedeschi che, in base all'aspetto fisico, determinava la vita o la morte dei deportati. Liliana dice di essere riuscita a passare quelle selezioni grazie alla sua alta corporatura e al fatto che dimostrava più dei suoi tredici anni. In seguito, ai maschi e alle femmine vennero rasati tutti i peli e i capelli, per evitare la proliferazione di pidocchi e zecche. Dopo questo, furono numerati sull'avambraccio sinistro e, da quel momento, Liliana non è stata più lei, una persona, ma un numero, 75190. Ora queste cifre si possono rimuovere in estetica, ma non si elimineranno mai dalla mente. Liliana, per salvarsi la vita, imparò in lingua tedesca il numero inciso sul suo braccio, poiché le SS tedesche non chiamavano i prigionieri per nome, ma con il numero; i deportati erano per loro degli stücke, cioè dei pezzi. Lì Liliana capì di aver perso la sua identità di ragazza. Si salvò stando sempre a testa bassa, "guardandosi i piedi" per non offendere con il solo sguardo le guardie tedesche. Verso la fine della guerra, le SS erano a conoscenza che americani e sovietici erano ormai vicini, per questo decisero di incamminarsi verso la Germania avviando a forza i prigionieri dei lager che ancora potevano stare in piedi, e tra questi anche Liliana. Questo tragitto è stato chiamato "marcia della morte". Finalmente sovietici e americani liberarono gli ebrei vicino a Ravensbrück, e fra loro anche Liliana. Ora, caro diario, devo andare. Tuo Edoardo.

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13-01-2012

Caro diario, sai, oggi, io e i miei compagni di classe abbiamo parlato di una donna sopravvissuta ad Auschwitz: Liliana Segre. Il 6 febbraio 1944, lei e suo padre furono costretti a salire sul treno per Auschwitz. Quando arrivarono, furono i prigionieri "vestiti a righe" a farli scendere, costretti dalle SS a metterli in fila. Le guardie cercavano di calmarli mentre dividevano i maschi dalle femmine. Così Liliana andò con le donne e salutò suo padre, senza sapere che era l'ultima volta che lo vedeva. Quando ci fu la selezione, fu fortunata: venne scelta per la vita e non per il gas. Non c'era un criterio preciso di selezione: «Tu sì, tu no!». I deportati arrivarono in 605, ma solo 128 restarono in vita. Il resto salì su un camion e fu portato chissà dove, sicuramente alla morte. Il campo in cui era Liliana raggruppava 60000 donne che vivevano in baracche. Il recinto era formato da filo spinato elettrificato. Gli occhi di Liliana videro al suo arrivo che le prigioniere erano denutrite, le sentinelle avevano la mitragliatrice puntata contro i detenuti nel campo, che c'erano donne in punizione, inginocchiate, donne-scheletro che guardavano mute le nuove arrivate e portavano bidoni di zuppa o trasportavano pietre o venivano picchiate. Queste prigioniere appena arrivate si chiedevano in che posto fosseromai capitate. Le misero nelle baracche, le denudarono e portarono via tutti i loro averi. Le donne, a cui i peli e i capelli vennero subito rasati, cercavano di coprirsi. Gli aguzzini le obbligarono ad indossare divise a righe, dopo di che tatuarono loro il numero sul braccio sinistro. Il numero di Liliana era 75190. Queste donne diventarono stücke, pezzi. Infatti, per le prigioniere la parola "donna" non esisteva più. Le guardie, al momento dell'appello, si chiedevano:«Quanti pezzi hai nella tua baracca?». Arrivata a questo punto, Liliana si chiuse in se stessa; il dolore era dentro di lei, ma non lo mostrava. La prima cosa che imparò fu il suo numero in tedesco, infatti serviva a qualsiasi cosa. Una fortuna è stata che la scelsero per fare un lavoro al chiuso, nella fabbrica Union, fuori dal lager. Una "strategia" che la fece resistere così giovane in mezzo a tutte quelle brutture era "guardarsi i piedi", non voleva vedere ciò che succedeva intorno a lei, in quanto aveva paura di quello che i suoi occhi potevano vedere. Con il corpo era lì, a patire freddo e fame, ma con lo spirito era altrove. Con la fantasia cercò di formarsi un momento tutto suo, dove poteva correre su un prato e cogliere fiori, nuotare nel mare... In una notte serena vide in cielo una stellina e si identificò con essa, tanto che poi diventò il suo simbolo. Lei disse: «Io sono quella stellina, finché lei brillerà, io resterò in vita e, finché resterò in vita io, lei continuerà a brillare». Dobbiamo imparare tanto da lei, dobbiamo amare la vita come lei nonostante tutte le difficoltà che ci possiamo trovare dinanzi! Ciao ciao. Tuo Lorenzo.

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NNEELL LLAAGGEERR

LLAA TTEESSTTIIMMOONNIIAANNZZAA DDII LLIILLIIAANNAA SSEEGGRREE

Anche gli studenti delle classi 2a B e 2a C si sono preparati per la celebrazione della Giornata della memoria, e in particolare per l‟incontro con la giornalista Emanuela Zuccalà, alla quale Liliana Segre, una delle poche sopravvissute ad Auschwitz, ha affidato il racconto della sua vita. In classe i ragazzi hanno letto alcuni passi tratti da SOPRAVVISSUTA AD AUSCHWITZ. Liliana Segre fra le ultime testimoni della Shoah: hanno conosciuto le vicende salienti della biografia di Liliana Segre, si sono soffermati sul tragico momento dell‟arrivo ad Auschwitz e sulla dolorosa esperienza del campo di sterminio, rimanendo colpiti dalla tenacia, dallo straordinario attaccamento alla vita di Liliana, non meno che dagli orrori compiuti dalle SS. Il racconto dei fatti, unito al messaggio che Liliana rivolge alle generazioni future, a coloro che lei chiama affettuosamente “i miei nipoti”, è stato per i ragazzi motivo di commozione e di riflessione, ed è sorta la volontà di scrivere una lettera a questa donna coraggiosa. Ecco alcuni dei testi prodotti:

Minerbe, 18 gennaio 2012 Cara Liliana, a scuola abbiamo approfondito alcuni episodi della sua vita, tratti dal libro Sopravvissuta ad Auschwitz. Io mi chiedo dove ha trovato tutta quella forza di fronte alle mostruosità del campo di sterminio, dove ha trovato il coraggio di andare avanti in quelle giornate di puro orrore. Le sue parole mi hanno toccato il cuore… Mi ha colpito soprattutto il passo in cui racconta di aver creato nella sua mente un mondo di fantasia per sfuggire alla morte del corpo e dell‟anima. Mi sono resa conto che anche nei momenti più tristi e difficili si può avere un briciolo di positività, ottimismo… SPERANZA. Già, speranza. Credo che sia la parola giusta per riassumere quanto lei ci ha trasmesso, e, a leggere la sua storia, ho pensato che il detto “la speranza è l‟ultima a morire” è proprio veritiero. Mi prende un sentimento di orrore per quello che è stato fatto agli ebrei deceduti nel campo. Essere uccisi per un sì o per un no… perdere i propri cari, gli amici… non oso immaginare come ci si senta in quei momenti! Io, sinceramente , non ce l‟avrei mai fatta ad andare avanti, a rendermi “invisibile” al campo. Però LEI è riuscita a sopravvivere ad una realtà illogica, piena di odio e terrore. Oggi, per me e per tutti i giovani, la sua testimonianza è preziosa più dell‟oro. Per non commettere gli stessi sbagli del passato, infatti, è importante ricordare. Io lo farò. Un saluto cordiale Alessia Lorenzetti, classe 2a C

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Minerbe, 18 gennaio 2012 Cara Liliana, è la forza d‟animo la tua vera natura. Cara Liliana, entrata in quel luogo indescrivibile, la tua giovinezza e il tuo coraggio macchiati dall‟orrore del campo, l‟affiorare dei primi moti dell‟adolescenza interrotto. Eppure tu, durante la permanenza ad Auschwitz, ti sei erta su una roccia creata dalla tua immaginazione, e con la mente hai potuto sorvolare, con un paio di ali dorate, il sangue che ha macchiato ingiustamente tanti “pigiami a righe”. Essi, ormai laceri, mentre i giorni passavano avvolgevano non più uomini, personalità incarnate, ma scheletri privati dei sentimenti. Nel campo tacevi, evitavi di creare rapporti che –racconti– “potevano voler dire, ancora una volta, distacco e sofferenza”, e intanto il tuo animo interagiva con un mondo idilliaco dove risuonava lo sciabordìo delle onde liguri. Cara Liliana, continua a trasmetterci la forza che ti ha accompagnato e ti accompagnerà ad ogni passo della vita. Elia Masotto e Joele Dal Cortivo, classe 2a C

Minerbe, 18 gennaio 2012 Cara Liliana, siamo due ragazze di quasi tredici anni; ammiriamo molto la forza di volontà con cui ha affrontato l‟orrore del campo di sterminio, il coraggio e la tenacia che ha espresso in quei momenti pieni di disperazione, sola al mondo. Immedesimandoci nella sua situazione, troviamo impossibile anche solo il pensiero di essere private degli affetti familiari. Noi, che a quest‟età ci sentiamo ancora “piccole”, non saremmo mai riuscite a sopportare le difficoltà che Lei ha superato: con la Sua voglia di vivere Lei ha vinto, prima di tutto, la paura di non farcela. Lei ha “scelto la vita” perché nella vita credeva. Non abbiamo parole per descrivere l‟immensa opera di testimonianza che sta portando avanti. Lei ha avuto il coraggio di ricordare, perché nessuno possa dire che tutto ciò che è accaduto è frutto della fantasia. La appoggiamo in questa sua battaglia per NON DIMENTICARE. Felici di averLa conosciuta, tramite la Sua storia, La salutiamo con affetto, Elena A. e Anna C., classe 2a C

Minerbe, 18 gennaio 2012

Cara Liliana, quando in classe abbiamo letto alcuni passi di Sopravvissuta ad Auschwitz che raccontavano gli orrori del campo di sterminio, nei nostri occhi si poteva vedere un velo di sofferenza: dal dispiacere siamo diventati subito tristi; abbiamo letto delle cose strazianti e ora anche noi abbiamo capito cosa vuol dire veramente la parola sofferenza: lei ci fa capire che le vere sofferenze non sono i problemi della scuola, un brutto voto o le difficoltà incontrate nello studio, le vere sofferenze sono quegli avvenimenti che ci richiedono di lottare per vivere, e per superare queste dobbiamo sapere bene quanto valore abbia la vita. Devo dire che Lei ha avuto un coraggio immenso: al Suo posto penso proprio che io non ce l‟avrei fatta, di certo ci avrei provato, ma non sarei riuscita a sopportare il vuoto, di giorno in giorno maggiore, lasciato dalla perdita dei miei cari.

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Concludo dicendo che mi ha colpito molto l‟episodio in cui Lei racconta di quel medico tedesco che, vedendo la cicatrice che Le era rimasta in seguito ad un‟operazione di appendicite, ha imprecato contro il chirurgo italiano che Le aveva rovinato la pancia “per tutta la vita” con “una cicatrice tanto brutta”: come poteva parlare così, quando lui stesso avrebbe lasciato per sempre, a Lei e a tante altre persone, una cicatrice molto più brutta, nel cuore? Un caro saluto Melissa, classe 2a C

Minerbe, 18 gennaio 2012 Cara Liliana, credo che noi, che viviamo una giovinezza serena, non possiamo capire fino in fondo quello che lei ha provato, tuttavia vogliamo provare lo stesso ad immedesimarci in quelle vicende che sono tuttora parte di lei, per non dimenticare. La forza con cui ha affrontato le angherie naziste, sempre a testa alta, superando la paura, ci ha colpito molto. Una delle parti più toccanti del suo racconto, secondo noi, è quella in cui ci ha svelato la sua “strategia per mantenersi a galla”, quel modo tutto suo per affrontare i tragici avvenimenti che hanno sconvolto la sua infanzia. Abbiamo trovato commovente e allo stesso tempo ingegnosa l‟idea di identificarsi con una stellina -stellina che ancor oggi è il suo “simbolo”- e la ringraziamo di aver condiviso con noi ragazzi anche pensieri e sentimenti molto personali. Con affetto, Diletta e Marianna, classe 2a C

Minerbe, 18 gennaio 2012 Cara Liliana, mi chiamo Fabio, ho 12 anni, frequento la classe 2° C della Scuola secondaria di primo grado “B. Barbarani” di Minerbe, in provincia di Verona, e sono lieto di scriverle. Leggendo il racconto della sua infanzia ad Auschwitz mi sono commosso, e le cose che vorrei chiederle sono tante che non so da dove cominciare… ma ho anche paura che le parole le facciano ricordare la sofferenza patita. Credo di aver compreso il suo dolore e aggiungo che l‟orrore che quei maledetti SS si sono portati dietro con la follia disumana dei loro campi di concentramento e di sterminio mi ha fatto arrabbiare terribilmente. Un cordiale saluto, Fabio, classe 2a C

Minerbe, 19 gennaio 2012

Cara Liliana, il suo racconto è molto emozionante e commovente. Spero che lei abbia dimenticato tutte le sofferenze che ha passato nel campo di sterminio, e anche il terribile viaggio, lunghissimo, da Milano ad Auschwitz, con la fame, la sete e l‟assoluta mancanza d‟igiene in quei vagoni per bestie.

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Io non la conosco ma sono sicuro che lei è una donna magnifica e molto coraggiosa. Perché pochi avrebbero avuto il coraggio di raccontare una terribile esperienza come quella che ha passato lei. Io la stimo veramente tanto e vorrei incontrarla almeno una volta per dirle che è una donna unica. Charaf, classe 2a B

Minerbe, 19 gennaio 2012

Cara Liliana, abbiamo saputo che quando incontra i ragazzi nelle scuole li pensa sempre come suoi nipoti e quindi le vorremo scrivere dandole del tu. Dopo aver parlato di te e della tua storia, in cui vieni rinchiusa nel carcere di San Vittore, a Milano, per poi essere trasferita nel campo di sterminio di Auschwitz a soli 13 anni, abbiamo riflettuto su quello che hai passato e continui a ricordare con tanta tristezza. Noi ragazzi parliamo spesso della Shoah e del dolore che voi deportati avete provato durante la guerra, ma in verità non possiamo capire ciò che avete sofferto veramente perché noi non conosciamo più che cosa siano davvero “guerra” e “dolore”. Le auguriamo una vita serena e felice. Luca ed Elena C., classe 2a B

Minerbe, 19 gennaio 2012

Cara Liliana, Lei è l‟essenza della vita, un incoraggiamento a non rassegnarsi alla morte. Tralasciare i ricordi e l‟emozione (per sopravvivere al campo) è ciò che meno si può desiderare, ma lei, alla fine, è uscita vittoriosa anche da questo. Non si può ignorare il passato, la Shoah non è un avvenimento da tralasciare: è l‟ingiusta realtà che ha percosso l‟anima dei deportati. Lei ha respirato l‟odore della speranza in un luogo nel quale la speranza non c‟era. Lei ha lasciato una testimonianza, aprendo l‟anima a molti ragazzi, e per questo le sono molto grata. Grazie, con affetto, Elena L., classe 2a B

Minerbe, 19 gennaio 2012 Cara Liliana, noi ragazzi della 2a B della scuola “B. Barbarani” di Minerbe, in provincia di Verona, abbiamo conosciuto la sua storia. Quello che ha subito dev‟essere stato traumatizzante per una ragazzina di 13 anni. Vedere morire il proprio padre e tante altre persone, anche se sconosciute, doveva essere molto doloroso. Noi la ammiriamo molto perché ha resistito in un luogo orribile, creato a causa del “capriccio” di un uomo, e la ammiriamo anche per il modo con cui è riuscita ad essere indifferente a tutto ciò che le accadeva intorno. Secondo noi questo è un atto da persona coraggiosa e forte nello spirito.

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Una cosa che ci ha stupito molto è il grande attaccamento alla vita che ha dimostrato durante la sua prigionia ad Auschwitz, il fatto che lei abbia lottato contro tante sofferenze fino alla liberazione. Siamo contenti che il suo sogno di una vita felice si sia avverato. Le siamo molto grati della sua testimonianza, grazie alla quale noi giovani possiamo sapere che cosa vuol dire la parola libertà. Le promettiamo che in futuro non si ripeterà un grosso sbaglio come lo sterminio degli Ebrei. Fatima e Bogdan, classe 2a B

Minerbe, 19 gennaio 2012

Cara Liliana, ci sembra impossibile, eppure Lei è riuscita a sopravvivere ad avvenimenti terribili che hanno cambiato il corso della storia e della sua vita. È incredibile come Lei abbia sopportato la morte di suo padre e dei suoi amici e come, ogni giorno, sia riuscita a conservare la voglia di vivere. Oggi Lei ha una vita normale, ma il ricordo di quelle terribili esperienze rimarrà impresso per sempre nella Sua mente. La Sua storia, come quella degli altri sopravvissuti, ci ha commosso e, allo stesso tempo, ci ha fatto capire quali crudeltà è capace di compiere l‟uomo. La ringraziamo per la Sua testimonianza, perché ci informa su una parte della sua vita che ci ha aperto gli occhi. Chiara e Giulia L., classe 2a B

Minerbe, 19 gennaio 2012 Cara Liliana, lei è molto speciale perché è riuscita a sopravvivere nel campo di Auschwitz, a soli 13 anni. Quando è stata catturata ha provato paura, perché non sapeva dove la portavano. Quando è arrivata nel campo ha provato terrore, perché si trovava in un luogo spaventoso. Eppure ce l‟ha fatta. Quello che ha passato ad Auschwitz deve essere stato orribile. Lei è una persona davvero molto speciale, perché una vita così ti fa cambiare. Io, al suo posto, non ce l΄avrei fatta a sopportare le torture che ha subito nel campo di sterminio. Arrivederci Liliana , con la speranza che la stellina continui a brillare nel cielo e sempre dentro di lei. Anna B., classe 2a B

Minerbe, 23 gennaio 2012 Cara Liliana, siamo Nicolò e Stefano, di Minerbe. La tua storia ci ha colpito molto, tanto che abbiamo pensato di scriverti. Sappiamo che hai passato momenti terribili ad Auschwitz. A scuola abbiamo letto alcune pagine del tuo libro e lo abbiamo trovato molto interessante: soprattutto ammiriamo la tua capacità di ignorare la tristezza e gli orrori del campo di concentramento.

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Ci ha molto incoraggiato la tua frase “Non dite mai non ce la faccio più”, perché ci insegna a non mollare. Dalle testimonianze giunte a noi abbiamo capito che la vita degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale non era affatto facile e questo ci rattrista molto, specialmente perché migliaia di persone sono state uccise dai nazisti. Di Sopravvissuta ad Auschwitz abbiamo letto anche il capitolo in cui parli della selezione nel campo e possiamo capire la paura che hai provato durante la visita medica. Ci dispiace che tu non possa venire al teatro di Minerbe a parlarci della tua storia, ma grazie a questa lettera riusciremo lo stesso a comunicare con te. Siamo felici di averti conosciuta e speriamo, l‟anno prossimo, di poterti incontrare di persona. A presto, Stefano e Nicolò, classe 2a B

Minerbe, 23 gennaio 2012 Cara Liliana, noi ragazzi della classe 2a B della Scuola secondaria di I grado “B. Barbarani” di Minerbe abbiamo conosciuto, tramite i nostri insegnanti, l‟esperienza che Lei ha vissuto nel campo di sterminio di Auschwitz quando aveva pressappoco la nostra età. Ci ha colpito molto la “strategia” con cui è riuscita a sopravvivere, cioè come lei rimanesse con il corpo in quel terribile luogo a subire torture e maltrattamenti mentre con la mente volava in un mondo pieno di fantasia. Noi ancora adesso non riusciamo a pensare a come avremmo potuto sopravvivere in quel posto mostruoso, pieno di sofferenza, senza i nostri amici e parenti. Con le nostre parole non vogliamo che Lei ritorni a quei momenti orribili, ma vogliamo comunicarle che siamo tutti disponibili a sostenerla. Anche noi pensiamo che Lei è come un ermellino bianco, che è saltato in una pozza di fango e ne è tornato fuori completamente bianco. La ringraziamo di averci raccontato la Sua storia e per tutto il tempo che spende nel Suo lavoro di testimone. Giulia F. e Matteo, classe 2a B

Minerbe, 23 gennaio 2012 Cara Liliana, noi ragazzi della 2a B di Minerbe abbiamo letto il libro che racconta di quello che lei ha passato. Ci ha colpito la tenacia che aveva nel voler continuare a vivere, a resistere in quel brutale campo di concentramento. La sua vita è stata davvero dura, dopo l‟8 settembre 1943, giorno della sua cattura. Possiamo solo immaginare le sensazioni che le correvano nella testa e nel cuore nel momento della selezione o durante la marcia della morte, e Lei ha resistito fino alla fine. Un caro saluto, Pietro e Cristian, classe 2a B

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Minerbe, 23 gennaio 2012 Cara Liliana, siamo Radouane e Samantha. A scuola ci hanno raccontato quello che lei ha vissuto nel campo di sterminio di Auschwitz: abbiamo appreso che dall‟8 settembre del 1943 la sua vita cambiò totalmente, ma anche che, da quando fu caricata sul convoglio per Auschwitz, lei ha sempre creduto nella vita. Abbiamo anche letto che, per sopravvivere, cercava di ricordare i film che aveva visto da piccola, e che aveva scelto una stella pensando di rimanere viva finché quella stella brillava. Cara Liliana, lei, credendo nella vita e insistendo, ci ha veramente colpiti. Cari saluti, Radouane e Samantha, classe 2a B

Minerbe, 23 gennaio 2012 Cara Liliana, abbiamo letto la sua storia e siamo rimasti colpiti da come è riuscita a sopravvivere al lager. Abbiamo saputo che il 30 gennaio del 1944 è stata caricata su un treno per Auschwitz, dove è arrivata il 6 febbraio, a soli 13 anni, e ha visto morire suo padre, a cui era molto affezionata. Chi la consolava? Che cosa ha significato campo di sterminio, per lei? Con il suo racconto risponde a tante nostre domande, e noi ragazzi cerchiamo di capire che cosa è stata la Shoah, e il dolore che le persone ebree hanno patito. Le siamo molto riconoscenti per la sua testimonianza, grazie alla quale possiamo sapere che cosa vuol dire la parola libertà. Ringraziamo lei e tutte le persone che, raccontando ciò che hanno vissuto nei campi di concentramento e di sterminio, ci hanno consegnato la loro storia. Isabella e Andrea, classe 2

a B

Riccardo Francesco

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LLAA MMAARRCCIIAA DDEELLLLAA MMOORRTTEE Ci siamo soffermati a riflettere sul racconto degli ultimi giorni di prigionia nel gennaio del 1945, quando i tedeschi tentarono di cancellare ogni traccia e ogni prova che attestasse gli orrori compiuti. In questa narrazione , che non a caso è intitolata “ fantasmi in marcia “ molti episodi lasciano ammutoliti e sconvolti:

- le condizioni fisiche e psicologiche disumane di quella marcia - l‟apparente mancanza di pietà nel rifiuto di guardare le compagne che cadevano e

che non riuscendo a rialzarsi, venivano finite dalle guardie con un colpo alla testa - la fame terribile che spingeva ad avventarsi sugli immondezzai alla ricerca di

qualsiasi cosa da poter addentare

La narrazione di questi episodi non ci ha lasciato indifferenti e d‟altro canto ci è parso quasi incredibile l‟attaccamento fortissimo alla vita…anche in quelle condizioni di assoluta mancanza di dignità. “ Mi ero nutrita a lungo solo di malvagità e di vendetta…” scrive la signora Segre ma ci è sembrato che l‟essere passata attraverso questo inferno abbia quasi paradossalmente rafforzato in lei l‟amore per la vita. Alunni classe III C

Marina

Arianna

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UUBBRRIIAACCAA DDII LLIIBBEERRTTAA‟‟

Il 17 gennaio 1945, dieci giorni prima dell‟arrivo dei russi, Liliana Segre viene costretta alla marcia della morte, per cui la sua liberazione arriva ai primi di aprile, in territorio tedesco, lontana chilometri da Auschwitz, quando incontra dei soldati francesi ex prigionieri e subito dopo gli Americani. Ma la sua vera libertà avviene in un altro momento, è una conquista che fa tutta da sola, in un istante ben preciso e fondamentale per la sua vita. Quando ormai i nazisti si tolgono la divisa e indossano abiti civili per non essere riconosciuti, lei ha la possibilità di uccidere un comandante tedesco, la cui pistola è caduta ai piedi di Liliana. Il tedesco pensa solo a cambiarsi in fretta e a tornare dalla sua famiglia, ignorando completamente il rischio che sta correndo perché l‟ebrea vicina a lui non è una persona, è un “pezzo”, quindi che male può fargli? La ragazza ebrea, invece, intuisce la possibilità di vendicarsi di tutte le sofferenze che lei e le altre donne hanno subito: intorno c‟è molta confusione, non resta che cogliere l‟occasione. Eppure è lì che lei vince e si conquista la sua libertà, lei che in altri momenti si definisce vigliacca ed egoista: “nella debolezza estrema che mi vinceva, la mia etica e l‟amore che avevo ricevuto da bambina mi impedivano di diventare uguale a quell‟uomo. Non avrei mai potuto raccogliere la pistola e sparare al comandante di Malchow. Io avevo sempre scelto la vita. Quando si fa questa scelta non si può togliere la vita a nessuno”. Gli alunni sono stati molto impressionati da questo episodio, reagendo anche in modo diverso, perché tutti si sono comunque immedesimati: c‟è chi si è precipitato a dire che lui avrebbe sparato e chi ha capito che il gesto lo avrebbe eguagliato all‟aguzzino. Di sicuro la scelta di quella ragazza ebrea è un insegnamento per tutti, ancora oggi. Un altro aspetto che ha colpito gli studenti è stata la difficoltà di Liliana a tornare a una vita normale, ad inserirsi nel mondo civile, con le sue regole di buona educazione da rispettare, mentre per lei la prima necessità era riscoprire prima di tutto l‟affetto. Nei mesi trascorsi in Germania dopo la liberazione non sente il bisogno di tornare a casa. La prima sensazione che prova è quella di una persona ubriaca, in una confusione e in un caos che la circondano e che certo non l‟aiutano: “Avvertivo lo sbandamento di un mondo che crollava pezzo per pezzo, minuto dopo minuto, stanca di una stanchezza che era la somma di tutte le stanchezze. Mi trascinavo senza sapere dove andare, cosa fare di me, a chi chiedere indicazioni”. Sono giorni in cui prova l‟euforia di poter finalmente mangiare (anche se la prima sera non riesce nemmeno a finire una fetta di pane ricoperta d‟olio), di poter lavarsi, di stare in mezzo alla natura. Sono giorni “sospesi nel tempo”, in una felicità assoluta, senza nessun pensiero angoscioso, un “limbo senza tempo” che durerà quattro mesi, trascorsi in Germania, sotto la protezione degli americani: “ero uscita da una gravissima malattia e quella era la mia convalescenza. La tregua, dicevo, in cui dietro al gusto di tutte le cose che mangiavo, perfino di quei dolcissimi lamponi, restava il retrogusto di Aushwitz. Non sapevo cosa ci fosse davanti a me: mangiavo lamponi, solo il presente era importante. […] Era il ricostituirsi delle forze che avevo perso da tempo”.

Che la testimonianza di Liliana Segre riesca ad essere molto toccante, lo dimostrano anche le riflessioni dei ragazzi, qui di seguito riportate.

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Un aspetto della storia di Liliana Segre che mi ha toccato è quello che riguarda la sua creazione di un luogo intimo e personale che tenesse conto dei suoi bisogni e necessità di ragazzina, in un ambiente caratterizzato da maschi. Anche quando trascorrerà dei mesi libera, prima di tornare in Italia, sarà spesso a contatto con uomini, ma non le succederà mai nulla ( lei dice: “ero come un ermellino che poteva saltare nel fango senza sporcarsi”).

Melisa

Liliana Segre ha avuto una grande forza fisica e di anima e, se adesso è viva, è per raccontarci quello che “i mostri tedeschi” hanno fatto a tantissime persone ebree. Non immagino neanche il male che deve aver subito quando le hanno tatuato il numero sul braccio, la tristezza che ha provato nel vedere tutti quei corpi sparsi per terra o ammucchiati in angoli per essere poi bruciati, insomma tutte le sofferenze che ha vissuto. È perciò ancora più sorprendente l‟episodio in cui racconta che, pur avendone la possibilità, si è rifiutata di sparare a un comandante tedesco: non si è vendicata, anche se una rabbia fortissima la spingeva a farlo. Io non so se avrei resistito perché aveva fatto morire tantissime persone innocenti e quindi il mio primo pensiero è che sarebbe stato giusto ucciderlo. Non so veramente se avrei saputo trattenermi da quell‟istinto… Giulia F. Liliana Segre mi fa accapponare la pelle quando racconta l‟incontro con un comandante tedesco e lei si rifiuta di sparargli per non diventare anche lei come lui: un mostro. Per me questo gesto è molto significativo perché non ha voluto vendicarsi di chi le faceva del male e le aveva provocato tanta sofferenza soltanto perché era un‟ebrea.

Diego Affrontare la testimonianza di Liliana Segre in classe ci è servito molto per aprire gli occhi,per farci capire quanto sono stati crudeli a quel tempo, fino al punto da uccidere dei bambini. Molto diverso è invece il comportamento di Liliana proprio davanti a un bambino tedesco, che lei incontra nei primi giorni della liberazione. Al primo pensiero che lei avrebbe dovuto odiarlo, si sostituisce subito un sentimento di benevolenza per un bimbo bello e innocente.

Alessandra

Ammirare Liliana Segre è molto facile, ma mettersi nei suoi panni non è altrettanto semplice, posso solo constatare che forse non avrei avuto il suo coraggio e la sua determinazione, non solo nel campo di concentramento, ma anche nella vita che ha vissuto dopo. Leggendo alcune pagine, mi sono chiesta com‟è possibile che l‟essere umano sia arrivato a fare del male in quel modo, in altre pagine però si vede e si impara anche la parte migliore dell‟uomo, che aiuta, che si sacrifica, che sa andare avanti a testa alta dopo tutto quello che ha vissuto. Se Liliana ce l‟ha fatta, vivendo una catastrofe del genere, perché noi non possiamo, nelle cose più semplici e belle? Secondo il mio parere bisogna imparare dagli errori che ha fatto l‟uomo in passato, perché non vengano ripetuti in futuro, e ricordare che niente è scontato, neanche la vita…

Anna

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Mi ha fatto molto riflettere il racconto del ritorno, quando Liliana non riusciva ad abituarsi alla vita “normale”, a stare in modo educato con i suoi familiari e con gli altri in genere. L‟esperienza di quell‟anno in campo di concentramento l„aveva così profondamente segnata che per lei non avevano più senso le regole di vita civile. Mi ha colpito anche il suo rapporto con il cibo, in particolare il fatto che molti scampati all‟orrore nazista si abbuffarono a rischio della vita. Lei stessa ingrassò di quaranta chili in quattro mesi e le ci volle molto tempo prima di trovare un equilibrio con il cibo.

Matteo Anch‟io sono stato colpito dalla fame che, come gli altri prigionieri, ha patito Liliana Segre, e dalla fatica che le ci è voluta per tornare a mangiare in modo normale. Mi dispiace vedere mia sorella che disprezza il cibo, sapendo che allora avevano appena il minimo per sopravvivere. Inoltre la storia di questa donna è molto triste, ma mi è piaciuta perché anche di fronte alla paura o alla disperazione è riuscita a trovare sempre dei pensieri positivi e un forte attaccamento alla vita, che l‟hanno aiutata a salvarsi.

Manuel Io non immagino neanche cosa Liliana ha potuto vedere e cosa ha potuto provare. Lei era solo una ragazza di 13 anni e ha provato sulla sua pelle quanto le persone possano essere cattive e come la vita è dura. Io non ce l'avrei mai fatta a sopravvivere al campo di concentramento e poi alla marcia della morte, quindi la reputo una grandissima donna. La sua vita deve essere stata molto dura, perché penso che le siano rimaste sempre nella mente le immagini di quelle sofferenze.

Lucrezia Liliana Segre non solo è stata molto forte a sopportare il freddo, la fame, le sofferenze e il dolore, ma ha anche avuto il coraggio di raccontare a tutti la sua storia: io non so se ci sarei riuscita.

Jessica Sono rimasto sorpreso del modo in cui è stata descritta la vita di Liliana Segre, un modo così preciso e dettagliato come se la storia fosse stata scritta nello stesso momento in cui fu vissuta. E‟ come se quei momenti, quando emergono dai ricordi, fossero ancora qui, nel presente, e queste emozioni forti ci fanno capire quanto deve essere stato difficile il ritorno alla normalità.

Michele

La storia di Liliana Segre mi ha colpito molto perché quando è stata deportata ad Auschwitz era solo una ragazzina di 13 anni, come sono io adesso. Non so se al suo posto sarei durata tanto al freddo e mangiando pochissimo: lei, per lo meno, si era creata un mondo tutto suo per sopravvivere. Quando ci è stato raccontato che lei aveva preso parte alla cosiddetta “marcia della morte”, io ho pensato che nelle sue condizioni non sarei riuscita a resistere molto: aveva un‟infezione sotto un braccio, era magrissima e in questa marcia camminava di notte con il freddo di gennaio e febbraio.

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Inoltre, dopo aver letto il racconto della sua liberazione, ho pensato che deve essere stata molto forte per essere riuscita a sopravvivere ad Auschwitz, rientrare nella società ed essersi sistemata in una casa comoda con un letto morbido, la tavola apparecchiata e una doccia per lavarsi. E tutto senza le persone a lei più care, il padre e i nonni paterni. E‟ vero, aveva ancora degli zii e i nonni materni, ma dal suo racconto si capisce che solo quando ha incontrato il ragazzo che poi diventerà suo marito, riuscirà a ritrovare la capacità di una vera relazione umana.

Giulia P.

Michel

Aurora

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TTEESSTTIIMMOONNIIAANNZZAA AALL FFEEMMMMIINNIILLEE

Eccoci a conoscere e pensare al passato per ricordare, non dimenticare, capire cosa

significa dignità umana, umanità, riflettere sul presente segnato ancora purtroppo da

genocidi e deportazioni, ma soprattutto siamo qui ad ascoltare con il cuore la

testimonianza di chi ha vissuto quella terribile esperienza di distruzione ed è

sopravvissuto. Il lavoro di noi ragazzi della classe terza B. vuole però presentare anche

una breve apertura su una particolare angolatura di studio che la Giornata della Memoria

e la lettura del libro su Liliana Segre, “Sopravvissuta ad Auschwitz Liliana Segre fra le

ultime testimoni della Shoah” di Emanuela Zuccalà, ci hanno dato occasione di

intraprendere e cioè quello della deportazione delle donne per focalizzare: “Una

testimonianza al femminile”.

Abbiamo iniziato il nostro percorso, con la lettura del testo di Emanuela Zuccalà, da cui è stata sviluppata la seguente analisi:

Sintesi - Bambina ad Auschwitz

- Per la paura di essere ebrea: Liliana Segre, italiana ebrea vissuta a Milano duranTe la II Guerra Mondiale subì il trauma che milioni di ebrei patirono durante la Shoah.

- La fuga dei sogni: In Italia furono emanate leggi razziali che impedirono a milioni di persone di vivere una vita dignitosa. Liliana fu esclusa dalla scuola, abbandonata da chi la conosceva, deportata inizialmente nel campo di Auschwitz e, in seguito, spostata in altri fino all‟arrivo degli Alleati.

- Gli ultimi uomini: Liliana cercò di fuggire in Svizzera, ma fu carcerata a Varese nella prigione di San Vittore dove incontrò detenuti capaci di pietà.

- Il pianto, la preghiera, il silenzio: Durante il viaggio diretto ad Auschwitz Liliana racconta di un pianto iniziale, poi la preghiera seguita da un silenzio solenne.

- Ragazze-nulla: Ad Auschwitz arrivarono in 605 persone e più della metà erano donne, oltre alle 60.000 già presenti nel campo dove vivevano in situazioni surreali. Per sopravvivere divenne una ragazza-nulla: il numero 75.190 tatuato sul braccio.

- La selezione: Tra le persone arrivate solo 128 furono scelte per le vita di cui 97 uomini e 31 donne, mentre i bambini fino ai 13 anni furono mandati a morire.

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Fu selezionata per lavorare nella fabbrica Union; racconta che durante il tragitto per andare al “lavoro”, lei e le sue compagne venivano osservate da un gruppetto di ragazzini dai 14 ai 20 anni che le insultavano.

- Fantasmi in marcia: Dopo un anno passato ad Auschwitz, dieci giorni prima del 27 gennaio, lei e le altre donne sono in marcia sulle strade della Polonia prima e della Germania poi, come fantasmi, pronte a gettarsi sulle immondizie e ad essere fucilate quando cadevano sfinite.

- Testimone della Shoah

- Un debito non pagato: Nel 1990 Liliana Segre decide di diventare una testimone della Shoah. Quarantacinque anni dopo Auschwitz, Liliana parla della sua storia e quella di milioni di Ebrei davanti un pubblico di studenti e di insegnanti perché essi siano a loro volta dei testimoni. Lo fa perché si sente in debito verso coloro che non sono tornati dal lager.

- “Cosa ne pensa di Israele e dei naziskin?” Liliana vuole raccontare, ma per testimoniare la Shoah; non approva quando le chiedono su questi argomenti perché pensa che non siano pertinenti con la sua esperienza.

- Quel che resta Liliana parla per testimoniare la sua esperienza facendo emergere la sua fatica dei suoi incontri con gli studenti. Ricorda volentieri l‟incontro con una ragazzina di dieci anni che si è rivelata molto informata sull‟argomento, ma che la fine la ringrazia semplicemente e sta in silenzio per non ferirla.

- “Ho scelto la vita”

- Ubriaca di libertà Liliana parla del momento in cui tutti i prigionieri sono liberati. Trascorre un paio di giorni con un gruppo di ragazzi e ragazze francesi con cui aveva lavorato. Il gruppo si sposta a Jessennitz, in un accampamento americano che fornisce loro alloggio e cure mediche. Liliana si ritrova con un gruppo di soldati italiani e si unisce ad una ragazza italiana, Graziella Coen. Dopo Auschwitz, la marcia della morte, l‟uscita da una malattia, scopre infine che il suo corpo risponde alla libertà.

- Il treno all’ingiù Un treno la porta in Italia, a Bolzano. Da lì Liliana e Graziella arrivano a Pescantina, vicino a Verona, e poi a Milano, città della Segre. E‟ il 31 agosto 1945.

- “Mostra ai signori il tuo numero sul braccio”. Le due ragazze vengono accolte dalla famiglia Gatta che avvisa subito i parenti di Liliana.

- All‟incontro con i parenti, per la prima volta Liliana realizza che gli altri non ci sono più. Vive a casa degli zii dove affronta un periodo di depressione e incomprensione, quindi si trasferisce dai nonni.

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- Un amore sulla spiaggia Liliana e i suoi nonni, nell‟estate tra la sua seconda e terza liceo, vanno in villeggiatura a Pesaro, nelle Marche. Qui conosce un ragazzo, di cui si innamora, che poi diventa suo marito.

Dopo qualche anno ha figli.

Azioni - A Liliana Segre è negata l‟istruzione

- Tenta di fuggire ma viene arrestata

- Liliana è deportata e trasferita di campo in campo

- Subisce l‟annientamento della sua persona con sofferenze e patimenti, ella stessa vuole essere invisibile

- Sopravvive nel campo. Viene liberata. Vive con gli zii.

- Trova l‟amore

Stati d‟animo

Liliana compie un percorso della memoria lungo e faticoso. Racconta un‟esperienza inenarrabile, con calma, con pazienza. Ricorda l‟umiliazione dell‟indifferenza di coloro che conoscevano lei e la sua famiglia e l‟isolamento familiare. Nasconde la sua paura e le tensioni stringendosi forte in una nuova intimità e al calore straordinario della casa, aggrappandosi alle figure di coloro che emergono dalla “zona grigia”. Del carcere ricorda come momento indimenticabile il “passaggio dalla libertà alla prigionia”, il pianto di quei suoi tredici anni, “età così speciale, di immensa sensibilità: tutto ti ferisce, ti tocca, ti provoca, ti incuriosisce, ti stanca…”. Sottolinea però anche la “pietà” dei carcerati verso di lei. Ricorda del suo viaggio il tempo del pianto, il tempo della preghiera, il tempo del silenzio, la sporcizia, la fame e la sete, la mancanza di luce. All‟arrivo ad Auschwitz prova un grande smarrimento: sente il rumore osceno degli assassini che aprono le porte, altri prigionieri vestiti a righe fanno scendere dal vagone quell‟”umanità”; lei viene “scelta per la vita” ma le viene sottratta l‟identità e viene marchiata con quei numeri che oggi porta con orgoglio. Là diventa una ragazza nulla; ricorre a una “sovrapposizione di realtà diverse”: con il corpo patisce il freddo, la fame, le botte, ma si inventa anche “un mondo di fantasia: lei è una stellina”. Inizialmente prova odio, ma poi un miscuglio di paura e di pena verso quei giovani che ridevano e insultavano lei e le ragazze che andavano alla fabbrica Union. Alla liberazione avverte sensazioni fisiche che segnalano il ricostruirsi delle forze che aveva da tempo perso. Sente ansia del ritorno a casa, nell‟attesa della partenza. Si sente impietrita all‟incontro con i parenti; affranta quando si rende effettivamente conto che gli altri non ci sono più Prova inadeguatezza, solitudine e un senso di vuoto a vivere con gli zii che le chiedono di esibire il suo numero tatuato sul braccio. Si sente a casa parlando di niente con la cameriera Susanna. Riscopre l‟amore quando incontra la persona che diventerà suo marito e quando nascono i suoi figli.

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Il padre di Liliana, Alberto, alla morte della moglie, si trasferisce nella casa dei genitori per aiutarli ed accudirli. Egli era molto preoccupato per la salute della figlia e cercava in tutti i modi di proteggerla. Il nonno poi, malato di Parkinson, era molto attaccato alla nipote, la quale cercava in tutti i modi di rallegrarlo e alleviargli il dolore. La nonna, all‟arrivo dei tedeschi, va ad aprire con Liliana e, con grande dolcezza, li fa accomodare in soggiorno, come ospiti graditi offrendo loro ristoro.

Femminilità

violata

Inizialmente l‟essere femmina significò per lei essere separata dal padre. Successivamente però nel campo venne ammassata con altre sessantamila donne, spinte in baracche e denudate, private di tutto ciò che le legava alla vita passata. Alle donne venivano infatti rasati i capelli e fatta indossare la divisa a righe. Erano sottoposte alle peggiori efferatezze da altre donne. La loro persona spariva, veniva loro cancellato il nome, sostituito da un numero tatuato sul braccio sinistro, ridotte a scheletri, consapevoli della propria fragilità fisica, desiderose solo di diventare trasparenti. Non venivano chiamate donne, ma semplicemente pezzi. Erano costrette a subire più selezioni: a gruppi di cinquanta sessanta ragazze per volta erano denudate, fatte “sfilare” nude per essere lasciate in vita o per essere mandate a morire. Erano rese insensibili verso chi subiva poi l‟atroce sorte dell‟uccisione. All‟amica Janine per esempio lei non dice “Coraggio Janine, ti voglio bene, ciao” quando non supera la selezione. Piene di pidocchi, al passaggio in altri campi venivano disinfestate con del liquido spruzzato sulla pelle. Al ritorno ella si vede una ragazzotta, decisamente brutta, con un vocabolario infarcito di parolacce, incapace di dialogare con le amiche di un tempo, di vestire se non con stracci,… Piano piano riprende la sua vita … ritorna a scuola, finché non trova l‟“amore sulla spiaggia”.

Riflessioni Molte persone non capiscono, forse per ignoranza o forse per paura delle proprie emozioni, la brutale violenza che hanno subito i sopravvissuti alla Shoah. È giusto scuotere le coscienze delle generazioni future affinché ciò non succeda più. Liliana Segre è una donna che è riuscita a realizzare il suo sogno, cioè sposarsi e avere figli, nonostante la sua esperienza. Ricorda il suo passato con ovvio dolore, ma con serenità e vuole che esso sia capito. Il suo ritorno alla realtà è stato graduale, ma comunque traumatico in quanto non è subito rientrata in Italia, ma ha passato, come lo chiama lei, un periodo di convalescenza dove ha curato il suo corpo e la sua anima. Noi possiamo solo immaginare lontanamente quello che può voler dire essere strappati alla vita, essere trattati come animali con la consapevolezza che la fine che ci aspetta è un‟ atroce morte.

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Ella ha avuto però la fortuna di tornare a vivere anche se ha passato un periodo in cui non voleva più possedere una vita. Fortunatamente l‟amore l‟ha salvata anche se conserva nel cuore ferite incurabili. Da tutto ciò noi abbiamo colto che diverse cose: Innanzitutto, di fronte alle vicende della vita, dobbiamo conoscere, capire oltre che emozionarci, per cogliere i meccanismi che possono condurci ad aberrazioni. Concentrandoci su una personalità come quella di Liliana Segre, entrando nello spirito della testimonianza, possiamo entrare anche nella conoscenza del nostro mondo interiore. Pensiamo che l‟indifferenza subita e la solitudine provata da Liliana non debbano essere dimenticate perché soltanto parlando e ricordando ciò che è successo si può apprezzare la pace e dare valore alla vita. Le cose disumane che si sono consumate in quel campo possono essere capite anche attraverso un libro; se narrate come testimonianza si riesce a cogliere la sofferenza della persona e il suo sforzo per aggrapparsi alla vita. Da questi orrori, pagati con la vita di molte persone, l‟uomo deve imparare e impedire che questo si ripeta in futuro, perché ognuno ha propri pensieri ed opinioni, ma innanzitutto deve capire che il male nasce dall‟odio. Liliana Segre fa emergere la “banalità del male”, raccontando come i carnefici alla fine si siano messi in mutande per sfuggire. Quando il comandante di quell‟ultimo campo buttò la pistola ai suoi piedi ella racconta: “ con tutto l‟odio che avevo dentro di me e la violenza subita che mi invadeva il corpo, io pensai per un istante - adesso mi chino, prendo la pistola e in questa confusione assoluta lo ammazzo - mi ero nutrita a lungo solo di malvagità e di vendetta…ma fu solo un attimo”… l‟etica e l‟amore che aveva ricevuto da bambina le impedivano di diventare come quell‟uomo. La testimonianza di Liliana Segre è un messaggio di vita e di pace: anche “dopo aver abitato nella città artificiale del male assoluto è ancora possibile vivere amare, sentirsi umani e … liberi dalla tentazione di odiare per sempre” La testimonianza di Liliana Segre è quella di una donna che mette in luce quale sia stata la peculiarità dell‟esperienza fatta dalle donne nel campo di sterminio.

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Alla fine noi ragazzi abbiamo condiviso le seguenti considerazioni conclusive:

Si parla di "memoria storica", ma storia (i fatti come sono avvenuti) e memoria (i fatti come noi li ricordiamo) sono spesso contrapposte: il passato che la storiografia ricostruisce è spesso irriconoscibile per chi lo ha vissuto. Crediamo che, dopo l‟iniziale smarrimento, le donne deportate abbiano sempre cercato di soffocare il dolore disumano e la disperazione per fuggire alla morte fisica, diventando donne “ senza capelli e senza nome, senza più la forza di ricordare, vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d‟inverno” (Levi). Quelle donne ciecamente ubbidienti per continuare a vivere hanno voluto tentare di non ricordare pur vivendo quotidianamente dentro di sé terribili immagini di sconfitta, di passività, di umiliazione e di dileggio. Alla deportazione delle donne si debbono riconoscere perciò peculiarità particolarissime, che riguardano innanzitutto le ferite conseguenti alla loro separazione dalla famiglia, dai figli, al loro impatto con la promiscuità dei lager; che riguardano infine l'aggressione alla riservatezza, alla sensibilità e alle necessità femminili, nel lavoro e nella vita del campo; a tutto ciò vanno aggiunte le difficoltà poi incontrate dalle superstiti, al momento del rientro, per il reinserimento nella famiglia e nella società. Attraverso il racconto della Testimonianza di Liliana Segre abbiamo conosciuto la storia di una donna passata attraverso la Shoah da Auschwitz, a Buchenwald, a Lipsia, deportata nello stesso convoglio sul quale aveva “viaggiato” Primo Levi. Ella ci ha fatto cogliere la specificità al femminile della solitudine, della sofferenza, dell‟annullamento, della solidarietà.

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Lettere a Liliana Segre

Gentilissima signora Segre, siamo ragazzi di tredici anni, abbiamo la stessa età che Lei aveva quando venne rinchiusa nel campo di concentramento di Auschwitz. Le confessiamo che è stata per noi una fatica immergerci nella sofferenza dell‟olocausto, non essere indifferenti. Quasi sicuramente, noi non saremmo riusciti a resistere in quello stato disumano di lavoro forzato, di urla e grida di chi, in ogni momento della giornata, moriva nelle camere a gas e nei forni crematori e soprattutto per la ferocia degli aguzzini. Vorremmo anche noi però condividere un po‟ del suo grande coraggio e della sua capacità di amore. Chissà quante donne, bambini, vecchi stanno vivendo ancora oggi la loro Shoah! La sua è una delle tante storie uguali nella ferocia della persecuzione, anche se tutta diversa perché ognuno porta in modo personale l‟intima tragedia e l‟immane sofferenza. Non possiamo perciò non conoscere, chiudere gli occhi di fronte a esperienze fortemente dolorose anche se solo ascoltate, ma che ci aiutano ad accettare ed ascoltare l‟altro e ad abbandonare il nostro individualismo e ad aprirci meglio alla relazione. Abbiamo capito e La stimiamo molto per la sua testimonianza, per la speranza che, in fondo, non l‟ha mai abbandonata, per il suo esempio, per essere stata capace di ascoltare e conservare la sua femminilità, per il suo coraggio. Lei ha sempre scelto la vita perché non è stata mai vinta dall‟odio. Lei ha sviluppato l‟idea del prossimo come l‟altro, diverso dal sé, con la sua specificità e perciò anche con il suo essere donna o essere uomo; un altro che si deve mettere nel proprio spazio e al quale ci si approssima senza velleità e malvagità anzi con la capacità di pietà. Cordiali saluti,

Ghizlane, Arianna, Matteo, Davide, Katia, Chiara, Filippo, Eleonora, Sofia, Riccardo, Gurpreet, Matteo, Walter, Cristian, Ibrahim, Sofia, Sara

Cara Liliana,

dopo aver letto le sue testimonianze, raccolte dalla signora Emanuela Zuccalà, siamo rimasti colpiti e delusi dalle azioni che un uomo può compiere verso un suo simile. La ringraziamo per la sua testimonianza che ci aiuta a capire quel delicato e orribile periodo della Shoah. La sua testimonianza ci ha coinvolti nel ricordo di una tragedia che ha sconvolto l‟umanità. La sua esperienza ci ha fatto rivivere tutti i dolori, le sofferenze e le gioie che lei personalmente ha vissuto. Sappiamo che in quel periodo la femminilità veniva violata: una cosa orribile togliere ad una persona la sua identità. È difficile immaginare la qualità della vita che i prigionieri hanno dovuto sopportare. Ci troviamo a riflettere sul significato della vita e capiamo che per lei è stato un grande dono riottenere la libertà. La più grande cosa che ci sentiamo di dirle è “grazie”,

Chiara, Sara, Katia, Ghislane, Matteo, Filippo

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CON L’ARTE DI CHAGALL

DIAMO VOCE AGLI INNOCENTI

Marc Chagall

Chagall nasce in Bielorussia nel 1887. Ebreo di nascita, studia a San Pietroburgo facendosi

strada come pittore; frequenta anche Parigi e Berlino. Con l‟avvento del nazismo, si rifugia

in America, da cui ritorna nel 1947. Muore in Francia nel 1985.

Opera: LLaa ccrroocciiffiissssiioonnee bbiiaannccaa

[dipinto a olio su tela (155x140 cm), del 1938 e custodito presso l‟Art Institute di Chicago]

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ATTIVITA‟

Dare voce ai diversi personaggi del dipinto di Chagall: La crocifissione bianca.

RABBINI IN ALTO

“Aiuto! La nostra sinagoga è in fiamme! Aiuto! Aiuto!” (Thomas – 1°B Roverchiara)

“Aiuto! Le sinagoghe stanno andando a fuoco! Prendete i rotoli della Bibbia perché non siano distrutti!” (Chiara – 1°B Roverchiara)

“Dobbiamo salvarci dalla disperazione e dalla tragedia che ci hanno colpiti: perché è tutto così assurdo? Che disgrazia!” (Valeria – 1°A Roverchiara)

“La nostra sinagoga è tutta in fiamme, i nostri sacri testi sono stati distrutti”(Matteo – 1°B Roverchiara)

“Che atrocità succedono in questo mondo: gli ebrei non hanno scampo da Hitler! .. Guardate di là, sta arrivando un esercito! Presto, chiamate i soldati: forse ci potranno liberare da questo incubo!” (Roberta – 1°A Roverchiara)

“Evviva! Evviva! Le armate russe stanno arrivando a liberarci da Hitler e dai nazisti tedeschi: non dobbiamo più temerli!” (Samuele – 1°A Roverchiara)

DONNA IN ALTO A SINISTRA

“Che catastrofe!” (Denise – 1°A Minerbe)

“Che disgrazie succedono in questo mondo! Meglio pregare Dio che aiuti l‟umanità ad amarsi di più!” (Alice – 1°A Roverchiara)

PERSONA DAVANTI ALLA SINAGOGA:

Un ebreo: “Aiuto! Aiutatemi a salvare il rotolo della Torah” (Sofia – 1°A Roverchiara)

Un ebreo: “Aiuto! Aiuto! La mia sinagoga va a fuoco! Salviamo gli oggetti sacri e la Torah (Mattia – 1°A Roverchiara)

Un ebreo: “C‟è la sinagoga in fiamme, salviamo la Torah” (Federico B. – 1°B Roverchiara)

Un soldato tedesco: “Ha, ha, ha!...la sinagoga sta bruciando e non c‟è nessuno al suo interno: è il momento buono per rubare qualcosa!” (Alice – 1°B Roverchiara)

Un soldato tedesco: “Ha, ha, ha!.. ho rubato la Torah! Ora nessuno di questi giudei potrà pregare e leggere questi libri inutili” (Benedetta – 1°A Minerbe)

Un ebreo: “ Al fuoco, al fuoco! Aiuto! La sinagoga va a fuoco: aiutatemi!” (Nicole M. – 1°A Minerbe)

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RIVOLUZIONARI RUSSI CON BANDIERE

“Siamo l‟esercito russo e veniamo a liberarvi dai tedeschi nazisti, che vi tengono prigionieri in questo inferno che sembra non finire mai” (Lara – 1°A Roverchiara)

“Dividiamoci e salviamo le persone in pericolo: la sinagoga sta bruciando, le persone sono nel campo di concentramento. Salviamoli!” (Alberto – 1°B Roverchiara)

“Ci pensiamo noi …: vi salviamo tutti” (Samuel – 1°B Roverchiara)

“Per la Russia, per l‟onore, all‟attacco!” (Luca – 1°A Minerbe)

“All‟attacco! Liberiamo gli ebrei! Coraggio!” (Manuel - 1°A Minerbe)

“Salviamo quei poveracci! I tedeschi li stanno eliminando! (Giovanni - 1°A Minerbe)

GESU‟

“Basta con lo sterminio di innocenti! Ritrovate la via della pace, sono morto anche per voi!” (Denis – 1°B Roverchiara)

“Il mio amore salverà il mondo dall‟ingiustizia e dalla paura, dalle guerre e dalla fame. Io sono il Signore e vi aiuterò a cambiare le cose che non vanno!” (Diletta – 1°A Roverchiara)

EBREI IN BARCA

“Aiuto, i tedeschi ci stanno inseguendo” (Enrico - 1°A Minerbe)

“Forza ragazzi! I russi stanno arrivando, urlate!! Urlate!!” (Carlo - 1°A Minerbe)

“Aiuto, che Dio ci aiuti! Fuggiamo in America!” (Laura – 1°B Roverchiara)

“Vi prego, aiutateci! Siamo in pericolo! Le nostre case sono state bruciate, non sappiamo dove nasconderci e c‟è qualcuno che è stato ferito!” (Francesca – 1°B Roverchiara)

“Terra, terra! Abbiamo avvistato la costa”… “Aiuto, qualcuno ci sente? Aiuto, non c‟è nessuno che ci possa soccorrere?” … “Aiuto! Siamo in pericolo!” (Alessandro – 1°A Roverchiara)

EBREO IN BASSO A SINISTRA, CON IN BRACCIO IL ROTOLO DELLA TORAH

“Dove potrò andare ora, la mia casa è stata bruciata! Ho salvato solo la cosa più importante per me: la Torah. Dio aiutami a sopravvivere perché non mi merito questo!” (Andrea - 1°A Minerbe)

“Devo salvare la Torah, per me è tutta la mia vita” (Linda - 1°A Minerbe)

“Aiuto! Aiuto! Sta andando a fuoco tutto! Sono riuscito a salvare solo la Bibbia, è meglio andare lontano da qui” (Giulia - 1°A Minerbe)

“Bisogna salvare la Bibbia a tutti i costi e la Provvidenza ci salvi!” (Obinna - 1°A Minerbe)

“Aiuto, dobbiamo salvare la Torah! Salviamo la Bibbia dalle fiamme!” (Giada – 1°B Roverchiara)

“Aiuto, aiuto! Dei criminali stanno incendiando la nostra sinagoga, salviamo la Bibbia” (Federico L. – 1°B Roverchiara)

“Devo mettere in salvo il rotolo della Bibbia” (Sara – 1°A Roverchiara)

“Almeno la Parola di Dio è salva” (Alessandra – 1°A Roverchiara)

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EBREO IN BASSO A DESTRA, CON UN SACCO SULLE SPALLE

“Ho salvato qualche bene, ma dove andrò ora? Mi hanno bruciato la casa, non trovo più la mia famiglia e in questo sacco porto solo i miei ricordi..” (Fabio - 1°A Minerbe)

“Sto scappando perché i tedeschi mi hanno derubato tutto e hanno rapito la mia famiglia” (Davide - 1°A Minerbe)

“Via, via, si salvi chi può” (Matteo - 1°A Minerbe)

“Aiuto! Aiuto! Scappo via da questo inferno infinito, dove nessuno apprezza gli altri. Salvo gli oggetti sacri della sinagoga” (Valeria – 1°A Roverchiara)

“Adesso gli oggetti sacri sono in salvo” (Anna – 1°A Roverchiara)

“Aiuto, aiuto non portatemi via! Salvatemi la vita! Dove è mia moglie, mia figlia, la mia famiglia? Vi prego, lasciateci in pace!” (Erika – 1°B Roverchiara)

EBREO IN BASSO A SINISTRA

“Aiuto, salvatemi! Non voglio morire” (Ida - 1°A Minerbe)

“Scappo via perché non si riesce più ad amare e apprezzare la vita” (Emma – 1°A Roverchiara)

“Ho paura e non so cosa fare! Sono disperato e voglio andarmene al più presto!” (Nicole Z. - 1°A Minerbe)

DONNA IN BASSO A DESTRA, CHE SCAPPA CON BIMBO IN BRACCIO

“Aiuto! Aiutatemi! Salvate mio fratello!” (Erika - 1°A Minerbe)

“Signore, se davvero sei venuto a salvarci, perché succedono queste cose? Cosa abbiamo fatto per meritarci questo?” (Ana - 1°A Minerbe)

“Aiuto! Aiuto! Aiutateci! Che fine faremo?” (Marco – 1°B Roverchiara)

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ATTIVITA‟

Raccontare, con un disegno o una poesia, la disperazione e la speranza di vivere degli ebrei colpiti dai nazisti, ispirandosi al quadro di Chagall o ad altre opere.

PPEERRCCHHÉÉ??

Mi chiedo perché?

Perché Hitler ha voluto fare così tanto male?

È proprio vero!

L‟uomo è molto crudele!

Pur avendo molti mezzi

ogni tanto compie atti da dimenticare

che non si possono dimenticare tanto facilmente!

Perché succede tutto questo?

(Alessandro - 1°A Roverchiara)

SSCCAAPPPPOO VVIIAA DDAA QQUUEESSTTOO IINNFFEERRNNOO

Scappo via da questo inferno

dove non c‟è più amore ne affetto.

Scappo via e non torno più!

Corro in Paradiso

dove c‟è amore e affetto

E io rimango qui, vicino al tuo cuore Gesù.

(Emanuele - 1°A Roverchiara)

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RRIICCOORRDDAA RRAAGGAAZZZZOO

Ricorda ragazzo la guerra passata anche se né tu né io l‟abbiamo vissuta. Ricorda ragazzo quel che gli altri hanno patito e i nostri padri ci hanno raccontato.

Quello che gli uomini hanno inflitto ai propri simili senza pietà, pure a chi era appena nato, vecchi, bambini, donne e uomini li si accusava d‟essere nati ebrei.

Essi venivano strappati dai letti, ricorda ragazzo, mentre dormivano mentre mangiavano mentre pregavano semplicemente mentre vivevano.

La loro colpa? Esser custodi delle proprie radici come tu oggi lo sei delle tue.

Ricorda ragazzo di non odiare coloro che sono da te differenti. Oggi le guerre le vedi in TV sei già abituato a vedere massacri che in pasto ai tuoi occhi son dati, rendendo la guerra una cosa banale una routine di tutti i giorni.

Ricorda ragazzo, la vita non è banale, è il più gran valore che ognuno possiede è un dono prezioso. Difendilo, sì, ma con amore la guerra non serve se dopo si muore la morte non è di suo pari valore.

Ricorda ragazzo, ricorda il valore a quelli che un giorno racconterai l‟orrore, per insegnare loro di amare e non odiare, se vuoi che il mondo in meglio possa cambiare.

Ricorda ragazzo! (Ana - 1°A Minerbe)

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LLAA MMIIAA DDIISSPPEERRAAZZIIOONNEE

Degli uomini cattivi mi hanno catturato

e violentemente in treno mi hanno trasportato.

Dopo aver viaggiato stretto, sporco e affamato

in questa gelida baracca sono arrivato.

Ogni giorno, da mattina a sera, dovevo faticosamente lavorare

per avere qualcosa da mangiare

e quel poco che ci davano, doveva bastare.

Ogni giorno ero sempre più triste e disperato

e pensavo che da quel posto non me ne sarei mai andato;

finché in una stanza venni condotto

e assieme a tanti altri col gas fui ammazzato,

cremato e in una fossa comune gettato.

(Obinna - 1°A Minerbe)

DDIIOO DD’’IISSRRAAEELLEE

Dove sei Dio d‟Israele

i tuoi figli piangono.

Dove sei Dio d‟Israele

il tuo popolo è calpestato,

denudato, privato della sua dignità.

Torna nei cuori crudeli

di chi in nome tuo

alza la mano sui suoi fratelli,

di chi per non soffrire

volge lo sguardo altrove.

Torna tra noi Dio d‟Israele

porta la pace in questo tuo mondo straziato.

(Giulia C. - 1°A Minerbe)

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PPAACCEE

È stata distrutta l‟idea di umanità …

non solo l‟identità e l‟esistenza degli ebrei!

Moltissimi sono i chiodi piantati nel cuore

di coloro che sono condannati

a sopravvivere al male,

rivivendo ogni attimo,

quei momenti di atroce dolore.

Alziamo gli occhi al cielo,

solo lì troveremo

qualcosa più grande di noi!

(Benedetta - 1°A Minerbe)

UUNN RRIICCOORRDDOO PPEERR NNOONN DDIIMMEENNTTIICCAARREE……

Capire. Sì capire, ma cosa?

Forse..una materia scolastica?

O .. un litigio tra amici?

Io riesco a capire tutto o forse no..

Infatti, una cosa che non capisco c‟è ed è

l‟Olocausto, lo sterminio di sei milioni di ebrei!

A volte, rifletto, mi chiedo come possa l‟uomo

aver fatto una cosa del genere!

E nei miei pensieri, una domanda mi turba sempre,

ma perché dobbiamo prendercela con coloro che

all‟esterno sono diversi ma all‟interno sono identici a noi?

E se si guarda bene soprattutto con gli occhi del cuore,

scopriamo che si può essere amici nonostante le poche differenze!

In alcuni libri si può immaginare, solo per un po‟,

la fame, il freddo, la paura che la morte potesse

toccare a qualcuno … ed ora …

il solo modo di dar valore a tutte le persone morte

è il loro ricordo nel resto degli anni! Linda – 1°A Minerbe

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(Fabio – 1°A Minerbe) (Erika – 1°A Minerbe)

(Giada - 1°B Roverchiara) (Davide – 1°A Minerbe)

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(Manuel – 1°A Minerbe) (1°A Minerbe)

(Laura & Alice - 1°B Roverchiara) (Emanuele - 1°A Roverchiara)

(Anna - 1°A Roverchiara) (Matteo – 1°A Minerbe)

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(Nicole Z. – 1°A Minerbe) (Giulia G. - 1°C Minerbe)

(Alessandra - 1°A Roverchiara) (Benedetta – 1°A Minerbe)

(Anna - 1°A Roverchiara) (Nicola - 1°B Minerbe)

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(Diego - 1°C Minerbe) (Catherine - 1°C Minerbe)

(Asia - 1°C Minerbe) (Emanuele - 1°A Roverchiara)

(Andrea - 1°B Minerbe) (Zeno - 1°C Minerbe)

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(Arianna - 1°C Minerbe) (Valeria - 1°B Minerbe)

(Carlo – 1°A Minerbe) (federico M. - 1°B Minerbe)

(Mattia - 1°B Minerbe) (Giulia - 1°B Minerbe)

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(Alessia - 1°B Minerbe) (Davide – 1°A Minerbe)

(Angela - 1°C Minerbe)

(Michele - 1°B Minerbe) (Federico S. - 1°B Minerbe)