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LA COSTITUZIONE 1. SIGNIFICATI DI COSTITUZIONE. Il termine Costituzione assume diversi significati: funzione descrittiva - indica gli elementi che caratterizzano un determinato sistema politico; possiamo quindi dire che ogni società ha un sua costituzione, ma va notato inoltre che non solo i sistemi politici ma anche le formazioni sociali più semplici hanno delle costituzioni ed alcune di queste le hanno incorporate in documenti solenni che racchiudono la regola di base. Nell’idea stessa di costituzione troviamo delle condizioni implicite quali ad esempio la costanza dei meccanismi con cui si prendono le decisioni principali, la prevedibilità dei comportamenti e del loro modo di funzionare. Gli antichi guardavano alla costituzione di un paese come ad un dato che sta al pari delle condizioni fisiche del territorio. manifesto politico - tutte le più importanti stagioni di progettazione costituzionale hanno coinciso con grandi sommovimenti politici; eventi quali la rivoluzione francese, i moti del ’48, le due guerre mondiali, il crollo dell’impero sovietico, hanno portato i paesi coinvolti a formulare sulle nuove basi createsi, le regole della propria convivenza sociale. Dopo ognuno di questi accadimenti storici si apre un processo costituente. La costituzione così intesa è quindi il documento fondamentale che segna il trionfo di un nuovo ideale. testo normativo- il testo normativo è la più importante fonte del diritto, da essa derivano diritti e doveri, obblighi e divieti giuridici, attribuzione di poteri e regole per il loro esercizio. Il termine Costituzione viene poi utilizzato in maniere differenti; in senso descrittivo viene utilizzato da sociologi e politologi in quanti essi interessati a come il sistema politico concretamente vive. Essi assumono un atteggiamento esterno rispetto alla Costituzione come testo normativo, i dati normativi vengono quindi trattati come fattori che creano aspettative sul funzionamento delle istituzioni. A causa della scarsa conoscenza che questi individui hanno del legame fra testo e significato che gli viene attribuito le loro proposte di riforma delle istituzioni, appaiono, all’occhio del giurista, un pò troppo naif. Gli storici e i filosofi sono invece più interessati alla Costituzione come manifesto politico in quanto si interessano soprattutto degli eventi politici e delle idee che hanno ispirato i padri del testo costituzionale. I giuristi ovviamente guardano alla Costituzione come ad un testo normativo, essa serve loro per decidere se un determinato atto o comportamento sia compatibile o meno con essa, e vada quindi qualificato come legittimo o meno. Talvolta capita che il giurista confonda il suo ruolo con quello del politologo o dello storico, ciò porta a confondere ciò che il sistema politico è e ciò che il sistemo politico deve essere, ovvero alla confusione fra descrizione del sistema e prescrizione della norma . 2. POTERE COSTITUENTE E POTERI COSTITUITI. Abbiamo affermato che tutti i sistemi politici hanno una costituzione in senso descrittivo, ma ciò non significa che tutti abbiamo un testo normativo chiamato Costituzione. La Costituzione come documento scritto è un fenomeno recente dovuto al ‘costituzionalismo’, esso è un atto di volontà che segna un momento cruciale della storia politica di un paese; infatti attraverso la Costituzione il potere politico tende a consolidarsi, strutturarsi, dotarsi di un sistema di regole alle quali dovrà soggiacere. DIRITTO COSTITUZIONALE - Bin; Pitruzzella. 1 we the People of the United States, in Order to forma a more perfect Union, entstablish Justice, ensure Domestic Tranquility, provide for the common defence, promote the general Welfare and secure the Blessings of Liberty to ourselves and our Posterity, do ordain and entstablish the United States of America 25 luglio ’43 - il Re revoca Mussolini dalla carica di Capo del Governo e vi appunta il maresciallo Badoglio Badoglio sopprime tutti gli organi istituiti dal fascismo aprile ’44 - patto di Salerno fra Badoglio e il C.L.N. Governo Bonomi - emanazione di una Costituzione provvisoria Governo Porri - instabilità, nasce la Consulta Nazionale l’Assemblea Costituente assumeva funzioni tipicamente parlamentari (approvazione leggi) 2 giugno ’46 - referendum

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LA COSTITUZIONE

1. SIGNIFICATI DI COSTITUZIONE.Il termine Costituzione assume diversi significati:funzione descrittiva - indica gli elementi che caratterizzano un determinato sistema politico; possiamo quindi dire che ogni società ha un sua costituzione, ma va notato inoltre che non solo i sistemi politici ma anche le formazioni sociali più semplici hanno delle costituzioni ed alcune di queste le hanno incorporate in documenti solenni che racchiudono la regola di base. Nell’idea stessa di costituzione troviamo delle condizioni implicite quali ad esempio la costanza dei meccanismi con cui si prendono le decisioni principali, la prevedibilità dei comportamenti e del loro modo di funzionare. Gli antichi guardavano alla costituzione di un paese come ad un dato che sta al pari delle condizioni fisiche del territorio.• manifesto politico - tutte le più importanti stagioni di progettazione costituzionale hanno coinciso con

grandi sommovimenti politici; eventi quali la rivoluzione francese, i moti del ’48, le due guerre mondiali, il crollo dell’impero sovietico, hanno portato i paesi coinvolti a formulare sulle nuove basi createsi, le regole della propria convivenza sociale. Dopo ognuno di questi accadimenti storici si apre un processo costituente. La costituzione così intesa è quindi il documento fondamentale che segna il trionfo di un nuovo ideale.

• testo normativo- il testo normativo è la più importante fonte del diritto, da essa derivano diritti e doveri, obblighi e divieti giuridici, attribuzione di poteri e regole per il loro esercizio.

Il termine Costituzione viene poi utilizzato in maniere differenti; in senso descrittivo viene utilizzato da sociologi e politologi in quanti essi interessati a come il sistema politico concretamente vive. Essi assumono un atteggiamento esterno rispetto alla Costituzione come testo normativo, i dati normativi vengono quindi trattati come fattori che creano aspettative sul funzionamento delle istituzioni. A causa della scarsa conoscenza che questi individui hanno del legame fra testo e significato che gli viene attribuito le loro proposte di riforma delle istituzioni, appaiono, all’occhio del giurista, un pò troppo naif.Gli storici e i filosofi sono invece più interessati alla Costituzione come manifesto politico in quanto si interessano soprattutto degli eventi politici e delle idee che hanno ispirato i padri del testo costituzionale.I giuristi ovviamente guardano alla Costituzione come ad un testo normativo, essa serve loro per decidere se un determinato atto o comportamento sia compatibile o meno con essa, e vada quindi qualificato come legittimo o meno. Talvolta capita che il giurista confonda il suo ruolo con quello del politologo o dello storico, ciò porta a confondere ciò che il sistema politico è e ciò che il sistemo politico deve essere, ovvero alla confusione fra descrizione del sistema e prescrizione della norma.

2. POTERE COSTITUENTE E POTERI COSTITUITI.Abbiamo affermato che tutti i sistemi politici hanno una costituzione in senso descrittivo, ma ciò non significa che tutti abbiamo un testo normativo chiamato Costituzione. La Costituzione come documento scritto è un fenomeno recente dovuto al ‘costituzionalismo’, esso è un atto di volontà che segna un momento cruciale della storia politica di un paese; infatti attraverso la Costituzione il potere politico tende a consolidarsi, strutturarsi, dotarsi di un sistema di regole alle quali dovrà soggiacere.

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we the People of the United States, in Order to forma a more perfect Union, entstablish Justice, ensure Domestic Tranquility, provide for the

common defence, promote the general Welfare and secure the Blessings of Liberty to ourselves and our Posterity, do ordain and entstablish the United

States of America

25 luglio ’43 - il Re revoca Mussolini dalla carica di Capo del Governo e vi appunta il maresciallo BadoglioBadoglio sopprime tutti gli organi istituiti dal fascismoaprile ’44 - patto di Salerno fra Badoglio e il C.L.N.Governo Bonomi - emanazione di una Costituzione provvisoriaGoverno Porri - instabilità, nasce la Consulta Nazionalel’Assemblea Costituente assumeva funzioni tipicamente parlamentari (approvazione leggi)2 giugno ’46 - referendum

La Costituzione segna il passaggio tra due situazioni storiche e giuridiche diverse, si esaurisce il potere costituente ed inizia il potere costituito. Possiamo definire il potere costituente come l’unico potere libero. Libero in quanto non regolato da leggi, si tratta di una situazione di fatto dove valgono solamente i rapporti di forza. Notiamo come l’esito del referendum istituzionale del ’46 abbia posto un limite alle scelte dell’Assemblea costituente, questo limite lo troviamo dell’art. 139 della Costituzione dove si vieta di modificare la forma repubblicana con gli stessi strumenti della revisione costituzionale. La forma repubblicana scelta dal popolo no può essere modificata senza rompere la ‘legalità costituzionale’ del paese, ovvero senza un rivoluzione.Il nuovo regime politico deve ottenere non uno ma ben due consensi: il consenso interno , perché un regime politico non può reggersi solamente grazie alla coercizione e alla violenza; ed il consenso esterno, ovvero il riconoscimento internazionale. Questo è un atto che deriva da valutazioni essenzialmente politiche, che non incide sulla personalità dello Stato nel diritto internazionale.

Il nuovo regime si costituisce attraverso un processo costituente, dotandosi di una Costituzione alle cui regole dichiara di sottoporsi, così facendo diventa un ordinamento legittimo. Le regole così imposte non possono essere scelte arbitrariamente ma devono servire come garanzie.Le costituzioni sono fenomeni storici, ognuna guarda al proprio passato e cerca di descrivere le regole necessarie a rimediare le cause che hanno prodotto la crisi del vecchio regime.

3. COSTITUZIONI “FLESSIBILI” E COSTITUZIONI “RIGIDE”.Costituzione flessibile: non prevede un particolare procedimento per la modificazione, essa può infatti avvenire tramite la normale attività legislativa; non è prevedibile una forma di controllo di costituzionalità delle leggi, essendo esse stesse a prevalere sulla costituzione; si tratta della tipica costituzione dell‘800, breve e gentilmente concesse dal sovrano assoluto.Costituzione rigida: è modificabile attraverso un particolare e più gravoso processo; la sua prevalenza sulla legge ordinaria è garantita da un giudice; tipica costituzione del ‘900, lunga che non si limita a disciplinare le regole generali dell’esercizio del potere pubblico e della produzione delle leggi.

Le costituzioni nate a fine ‘800 sono create dalla rinuncia del sovrano all’esercizio del potere assoluto e dalla sua sottomissione alla legge, che doveva essere creata attraverso un procedimento formale. Il suo senso era quindi quello di far passare al titolarità potere dal Re al ‘Re in Parlamento’, da un singolo ad un collegio. L’unica vera norma fondamentale di tali costituzioni era quella che regolava il procedimento legislativo, difatti diritti e libertà erano solamente professati, in quanto le Camere e il Re potevano plasmarli a loro piacimento. Questa costituzione esaurisce la propria funzione normativa con l’affermazione che sono la legge e il suo procedimento formativo le fonti legittime dell’autorità.

Si tratta di costituzioni che guardano al passato e non al futuro, la Costituzione come ‘manifesto politico’ prevale sulla Costituzione come ‘testo normativo’.

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HANS KELSEN - dottrina pura = un ordinamento giuridico nasce e s’impone di fatto e le ragioni per cui esso riesce ad imporsi e riesce a legittimarsi non sono spiegabili dal diritto. E’ una dottrina pura perché vuole essere completamente giuridica e vuole eliminare tutte quelle valutazioni non giuridiche che spiegano l’affermarsi e la legittimazione dei un sistema giuridico.

STATUTO ALBERTINO: 1848 - il re rinunciava ad essere sovrano assoluto con decisione perpetua ed irrevocabile. Pur non essendo previsti revisione e modifica è scontato che esso non sia immodificabile.Cavour assegna il potere di revisione al Re in Parlamento perché se affidato al Re solo tale potere sarebbe stato in violazione costituzionale

L’idea dominante era che lo Statuto fosse modificabile con l’accordo di Re e Camere, quindi tutto di esso era modificabile tranne questo punto.La giurisprudenza si oppse fermamente all’utilizzo dei decreti-legge non previsti dallo Statuto.

La nozione di Costituzione flessibile risulta quindi ambigua: è flessibile in quanto non pretende di essere regola giuridica, ma è rigida in quanto attribuisce la sovranità alla legge e al suo procedimento formativo. Per questo motivo le costituzioni flessibili sono anche brevi, contenevano sì dichiarazioni che avevano funzione di manifesto ma non possedevano particolare forza regolativa

Le costituzioni rigide pretendono che tutte le loro disposizioni abbiano forza regolativa e siano trattate come regole inderogabili. Nel modello americano la rigidità della costituzione è conseguenza dell’origine federale dello Stato unitario, attraverso il patto fra Stati la sovranità viene trasferita allo Stato federale. Nelle costituzione del ‘900 è comunque presente una componente pattizia ma si tratta di un patto fra parti politiche, religiose, sociali, etc; è un patto volto a garantire che la maggioranza non si impossessi del potere e non minacci la sopravvivenza delle componenti in minoranza. Nelle costituzioni rigide ci si preoccupa di limitare il potere legislativo per evitare che la maggioranza prevalga,c ambiando le regole del gioco politico. Quindi ogni costituzione rigida è frutto di un compromesso, è necessariamente lunga ed è necessariamente garantita da un giudice con il compito di assicurare il rispetto del compromesso.

4. LE GARANZIE DELLA RIGIDITÀ’ COSTITUZIONALE.Nella Costituzione rigida è quindi garantita la prevalenza di essa su ogni altra regola. E le garanzie date sono di due tipi: il procedimento di revisione costituzionale e il controllo di legittimità delle leggi.Il procedimento di revisione costituzionale è sempre più gravoso del normale procedimento legislativo in quanto è necessario riprodurre condizioni simili a quelle che hanno prodotto il compromesso iniziale, ergo questo tipo di procedimento è diverso da paese a paese. Nessuna Costituzione è talmente rigida da non permettere nessun cambiamento.

Questo procedimento gravoso di modificazione non avrebbe senso se non fosse poi presente un’autorità capace di verificare che quelle procedure siano rispettate. Tale compito spetta solitamente ad un giudice, seppur particolare, egli deve avere un carattere non rappresentativo e non deve rispondere al principio di maggioranza.

5. COSTITUZIONE SCRITTA E DIRITTO COSTITUZIONALE.In Italia sono applicabili 2 milioni e mezzo, forse più di 3 milioni di articoli di legge, mentre la Costituzione ne ha solamente 139, questi ultimi enunciano valori ed interessi particolarmente importanti che non interessano solitamente le singole materie ma hanno portata generale, applicabili quindi in qualsiasi settore della legislazione. Ciò significa che ogni articolo di legge in vigore può esser impugnato perché se ne verifichi la compatibilità con un articolo della Costituzione.La Corte Costituzionale non si occupa solo del rispetto della Costituzione da parte del legislatore, ma anche della rigidità di tutto l’assetto costituzionale dei poteri pubblici, quindi della forma di stato e della forma di governo.Attorno alla Costituzione troviamo numerose componenti che formano il diritto costituzionale.(A) leggi costituzionali - volte a modificare le singole disposizioni della Costituzione stessa o espressamente

previste dalla stessa, sono leggi importanti ma non spostano il problema.(B) tradizioni costituzionali - la storia costituzionale moderna ha consolidato le regole basilari di

funzionamento delle istituzioni rappresentative e delle garanzie delle libertà individuali, oggi si utilizza una terminologia tecnica consolidata che evoca dei modelli precisi. Essi sono sistemi di regole precise, sviluppatesi per garantire equilibrio agli interessi regolati.

(C) la giurisprudenza della Corte Costituzionale è uno dei grandi tributari del diritto costituzionale, essa rappresenta un lavoro di continua specificazione del significato delle disposizioni costituzionali. Per difendere la propria credibilità nel ruolo di giudice la Corte deve tentare di essere coerente con le proprie decisioni precedenti.

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Di tutte le costituzione moderne prese di solito a paragone, la nostra è la più facile da cambiare. Essa prevede un procedimento macchinoso ma per nulla difficile. E’ necessario il consenso di uno schieramento abbastanza vasto da riprodurre le condizioni di compromesso che hanno permesso la nascita della nostra Costituzione. E’ però anche prevista la possibilità che che la modificazione sia voluta e decisa dalla sola maggioranza del Governo salvo il caso di ricorrere al corpo elettorale.

(D) la legislazione ordinaria svolge due ruoli importanti: 1. opera un completamento della materia costituzionale (legislazione elettorale, regolamenti parlamentari, etc.); è la Costituzione stessa che con la riserva di legge impone alla legge ordinaria di disciplinare materie delicate; 2. la Costituzione richiama nozioni che sono elaborate dalla legislazione di settore, la Costituzione statuisce il principio generale e la legislazione lo sviluppa ed applica nei diversi settori.

6. DISPOSIZIONI, NORME, REGOLE, PRINCIPI, VALORI, INTERESSI.Valori e interessi stanno fuori dal diritto, sono ciò che muove il legislatore. I valori nel diritto entrano come principi, ovvero come norme dal contenuto generale e non circostanziale; valori e interessi stanno fuori dal mondo delle norme, vi rientrano solamente nella forma si principio.I principi sono dei tipi di norme giuridiche che si distinguono dalle regole, per il fatto di essere elevatamente generiche e non circostanziali; i principi sono affermazioni assolute, esso è reso concreto ed operativo dalle regole poste dallo stesso articolo.Principi e regole sono norme giuridiche, cioè costruzioni che gli interpreti fanno per dare senso coerente a quello che il costituente o il legislatore ha scritto nelle disposizioni. Le disposizioni sono quindi parte del testo, enunciati scritti dal legislatore; le norme giuridiche sono il significato che a tali disposizioni attribuiscono gli interpreti.

7. LA COSTITUZIONE ITALIANA.La Costituzione italiana entra in vigore il 1° gennaio 1948, fu approvata dall’Assemblea Costituente, eletta contemporaneamente al referendum istituzionale.

Il testo finale della Costituzione fu approvato dal 90% di un’assemblea politicamente molto divisa; questo fatto spiega alcune caratteristiche di essa quali il suo essere ‘lunga’ e il suo essere ‘aperta’. Una Costituzione aperta non pretende d’individuare il punto di equilibrio tra i diversi interessi, si limita ad elencarli (se viene scritta per fissare le regole del gioco, non può dire quale giocatore risulterò vincitore).Essendo nata in un’epoca di ignoranza completa del futuro, nessuno all’interno dell’AC aveva la certezza che il suo schieramento sarebbe stato eletto nel futuro Parlamento, la paura di soccombere ebbe la meglio e quindi è visibile nella nostra Costituzione un’attenzione assoluta verso i diritti delle minoranze. La Costituzione è volta a fissare i confini oltre i quali non può andare la volontà della maggioranza politica, qualunque essa sia.

La Costituzione si compone di diverse parti; inizia con i Principi fondamentali: 12 articoli che contengono un complesso di norme di principio non collegate tra loro. Sono qui esposte disposizioni importanti, di grande rilievo operativo e altre invece uscite dal ‘manifesto’ per trasformarsi in strumenti di regolazione giuridica. Esse non sono disposizioni inutili dal punto di vista giuridico, essendo la Costituzione un testo normativo, i giudici possono impugnare le leggi che vanno contro o ostacolano il raggiungimento di essi. Questa funzione può essere riconosciuta a tutte le ‘norme programmatiche che si trovano in più punti della Costituzione. L’avvento della Corte Costituzionale, e l’applicazione che essa ha fatto di ogni norma costituzionale, ha fatto perdere significato alla distinzione nelle norme costituzionali tra norme precettive e norme programmatiche.

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2 giugno 1946 - referendum istituzionale, prime elezioni a suffragio universaleL’AC non aveva solo il compito di scrivere la Costituzione ma aveva anche dei poteri tipici del Parlamento quali eleggere un provvisorio Capo dello Stato, far valere la responsabilità politica del Governo e approvare leggi in materia costituzionale, elettorale e i trattati internazionali.

Il più grande errore dei costituenti fu l’ingenuità con la quale crearono i ‘contropoteri’, meccanismi costituzionali che servono ad evitare la concentrazione del potere in poche mani e operano nel senso di rafforzare controlli politici e giuridici. Il loro funzionamento è stato rinviato a delle leggi di attuazione della Costituzione, come dire che l’operatività dei meccanismi di limitazione della volontà della maggioranza è rimasta condizionata dalla legge, strumento tipico di espressione della volontà della maggioranza.

Le altre norme vanno lette come compromesso tra principi opposti.

L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA

1. GIUDICI ORDINARI E GIUDICI SPECIALI.Nel sistema italiano esistono contemporaneamente diverse giurisdizioni: i giudici ordinari, amministrativi, contabili tributari e militari, la cui specifica competenza è stabilita dalla legge.I giudici ordinari amministrano la giustizia civile e penale attraverso due tipi di organi: requirenti e giudicanti. Gli organi giudicanti civili si dividono in primo (giudice di pace e tribunale) e secondo grado (corte d’appello). Gli organi giudicanti penali hanno anch’essi un primo (giudice di pace, tribunale, corte d’assise) ed un secondo grado (corte d’appello, corte d’assise d’appello, tribunale della libertà). Gli organi requirenti sono pubblici ministeri che esercitano l’azione penale e agiscono per tutelare gli interessi pubblici. Il Pubblico Ministero (PM) attiva la giurisdizione penale attraverso l’esercizio dell’azione penale; egli agisce anche nel processo civile nei casi stabiliti dalla legge a tutela degli interessi pubblici. Il PM ha l’obbligo all’azione penale ovvero non può rifiutarsi di agire in presenza di una notizia criminis fondata (questo per evitare che l’azione penale sia caratterizzata da imparzialità). La Costituzione garantisce l’indipendenza del Pubblico Ministero, il quale è il titolare esclusivo dell’azione penale.

Gli uffici del PM si chiamano Procure Della Repubblica e si trovano presso i tribunali, la Corte d’Appello e la Corte di Cassazione. Presso quest’ultima è istituita anche la Direzione nazionale antimafia con compiti di coordinamento delle indagini sulla criminalità organizzata; essa non va confusa con la Direzione investigativa antimafia, istituita presso il Ministero dell’interno, con il compito di investigazione preventiva relativa alla criminalità organizzata, e delle indagini riguardanti delitti di tipo mafioso.Il Tribunale per i minorenni è un organo collegiale formato due magistrati professionali e da due esperti che ha giurisdizione per quanto riguarda controversie con soggetti di età inferiore ai diciotto anni. In sede penale agisce come giudice unico di prima istanza; mentre in sede civile ha competenza su casi tassativamente indicati dalla legge in cui il giudice interviene nell’interesse del minore.I giudici amministrativi sono tribunali amministrativi regionali e il Consiglio di Stato; ad essi è affidata la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi, che prevede la possibilità che siano annullati gli atti della pubblica amministrazione.

(giudice ordinario - diritti soggettivi giudice amministrativo - interessi legittimi)

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Nei primi anni della Costituzione si pensava che la maggior parte delle norme non potesse essere applicata direttamente nei tribunali. Esse venivano quindi ricostruite come ‘norme programmatiche’ che non sarebbero direttamente applicabili dal giudice ma sono rivolte al legislatore per indicargli cosa fare. Il giudice può al massimo utilizzarle come guida per l’interpretazione. Sono quindi poche le norme costituzionali “precettive”.

Il passaggio di un magistrato da organo requirente a giudicante e viceversa, è possibile e accade. Questo fatto viene criticato su due basi: 1. rende i magistrati giudicanti sensibili e dipendenti dalle richieste dei magistrati requirenti; 2. le due funzioni richiedono tipi diversi di professionalità. Per questo si insiste fortemente sulla separazione delle carriere.Legge Castelli 2005: 1. i candidati al concorso per la magistratura devono indicare già nella domanda di quale organo volessero assumere le funzioni; 2. i passaggi di carriera devono compiersi nel solo ambito di una delle funzioni; 3. il mutamento di funzioni può avvenire solamente per i posti disponibili in uffici giudiziari aventi sede in diversi distretti di Corte d’Appello.Legge Mastella 2007: il passaggio da una all’altra funzione può essere richiesto dall’interessato non più di 4 volte nell’arco dell’intera carriera, dopo aver svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella stessa funzione esercitata.

Secondo la nozione tradizionale, si ha un diritto soggettivo quando è garantito un bene della vita.Di fronte al diritto privato può esserci potestà pubblica, prevista dal diritto, che si esplica in un potere da parte dell’amministrazione si limitare o addirittura sopprimere quel diritto. Il soggetto privato ha garantito dall’ordinamento l’interesse alla legittimità dell’azione amministrativa. Questa situazione soggettiva prende appunto il nome di interesse legittimo. Quest’ultimo pertanto può essere definito come la situazione di vantaggio che si possiede di fronte al potere dell’amministrazione e che si sostanzia nella garanzia della legittimità dell’atto amministrativo

Il legislatore ordinario può stabilire delle eccezioni al criterio generale di ripartizione delle giurisdizioni nei confronti delle amministrazioni. Ad esempio il campo di sanzioni amministrative pecuniarie è affidato alla giurisdizione del giudice civile, mentre altre materia, chiamate a giurisdizione esclusiva sono affidate alla cognizione del giudice amministrativo.

Il Consiglio di Stato è giudice d’appello dei tribunali amministrativi ed oltre ai poteri giurisdizionali ha anche poteri consultivi che possono essere attivati dal Governo.La Corte dei conti opera attraverso sezioni regionali e sezioni centrali; esercita giurisdizione in tema di responsabilità dei pubblici amministratori qualora abbiano recato un danno economico ai soggetti pubblici dai quali dipendono.I giudici tributari esercitano la giurisdizione nelle controversie fra cittadini e amministrazione finanziaria dello Stato.I giudici militari esercitano la giurisdizione secondo quanto stabilito dalla legge in tempo di guerra, mentre in tempo di pace, hanno giurisdizione solo sui reati commessi da appartenenti alle forze armate.

2. PRINCIPI COSTITUZIONALI IN TEMA DI GIURISDIZIONE.Principio della precostituzione del giudice (principio del giudice naturale): “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge” (art.25 Cost.), ciò significa che nessuno può trovarsi ad essere giudicato appositamente costituito dopo la commissione di un determinato fatto. Vi è pure il divieto di istituire giudici speciali, mentre però è possibile istituire sezioni specializzati presso i tribunali ordinari. Portata generale hanno le disposizioni costituzionali che vogliono che la giustizia sia amministrata in nome del popolo, che immaginano una partecipazione popolare alla stessa giurisdizione, che impongono al giudice la sola soggezione alla legge stabilendo che la disciplina dell’ordinamento giudiziario sia rimessa alla competenza della legge, e che sempre la legge assicuri l’indipendenza delle giurisdizioni speciali e del pubblico ministero; secondo la Costituzione, i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati e che contro le decisioni dei giudici ordinari, è ammesso ricorso alla Corte di Cassazione.La Corte di Cassazione si configura come giudice di legittimità, cioè competente a conoscere le sole violazioni di legge compiute dagli organi giurisdizionali di grado inferiore. Essa risolve anche i conflitti di giurisdizione fra giudice ordinario e giudice speciale.

La difesa è “un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”. La tutela giurisdizionale dei diritti e interessi legittimi è azionabile sia verso i soggetti privati che nei confronti dello Stato e di altri enti pubblici. Per attuare la garanzia al diritto di difesa è necessario che il processo si caratterizzi: 1. per il contraddittorio fra le parti, e 2. per la imparzialità e la terzietà del giudice.Il nuovo testo dell’art. 111 ha consacrato la formula del giusto processo. La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge ed ogni processo si svolge nel contraddittorio fra le parti, in condizioni di parità davanti a un giudice terzo e imparziale.

Il nuovo testo dell’art.111 stabilisce anche che la legge deve assicurare la ragionevole durata del processo, è la Corte di appello ad avere competenza per quanto riguarda l’equa riparazione in caso di eccessiva durata dei processo.

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La tendenza più recente è di privilegiare, nella ripartizione della giurisdizione criteri che fanno riferimento alla materia rispetto a quello tradizionale che si affida alla natura giuridica della situazione soggettiva tutelate.

Prima del 1999 il principio del contraddittorio sembrava subire incisive limitazioni in alcune occasioni. La Corte costituzionale riteneva che l’ordinamento attribuisse, nel processo penale, una posizione di vantaggio all’organo dell’accusa rispetto ai poteri di difesa dell’imputato. Per appianare queste differenze il Parlamento approva una legge costituzionale che modifica l’art.111 a garanzia del giusto processo:1. nel processo penale l’accusato deve essere informato tempestivamente della natura e dei motivi

dell’accusa mossa a suo carico;2. l’accusato deve disporre del tempo e condizioni necessarie per preparare la sua difesa, deve avere la

facoltà, di interrogare le persone che rendano dichiarazioni a suo carico, e ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa;

3. la colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da un soggetto che non si presenta per essere interrogato (hearsay evidence)

3. LO STATUS GIURIDICO DEI MAGISTRATI ORDINARI.La Costituzione stabilisce che la nomina a magistrato debba avvenire per concorso.

I requisiti per l’accesso al concorso sono elencati in una legge. Sono ammessi: i magistrati amministrativi e contabili, i procuratori dello Stato, gli appartenenti al personale universitario di ruolo docente di materie giuridiche in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza, gli avvocati, i laureati in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza e del diploma conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali o che hanno conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche. Questo concorso ha il carattere di un ‘concorso di secondo grado’.La commissione giudicatrice è presieduta da un magistrato che abbia conseguita la sesta valutazione di professionalità e formata da venti magistrati che abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità, da cinque professioni universitari di ruolo titolari di insegnamenti nelle materie oggetto in esame e da tre avvocati iscritti all’albo speciale dei patrocinati dinanzi alle magistrature superiori. Vinto il concorso si è nominati uditore giudiziario e si inizia il tirocinio.

Le disposizioni costituzionali proclamano l’autonomia e l’indipendenza del potere giudiziario; “la magistratura costituisce un ordine autonomo indipendente da ogni altro potere”. L’autonomia dell’ordine giudiziario fa sì che ciascun magistrato possa determinarsi in maniera autonoma senza subire condizionamenti da altri magistrati. Mentre l’indipendenza dell’ordine giudiziario è una garanzia costituzionale che tutela ogni singolo magistrato da tutti i condizionamenti che possono provenire da poteri diversi da quello giudiziario.I magistrati sono inamovibili ovvero, senza il loro consenso essi non possono essere trasferiti in una sede diversa da quella che occupano.

4. IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA.Il Consiglio Superiore della Magistratura è un organo staccato dal Governo che ha il compito di adottare tutti i provvedimenti riguardanti la carriera e in generale lo status dei magistrati ordinari.Il CSM è composto da:• 3 membri di diritto - il Presidente della Repubblica, il primo presidente della Cassazione il

Procuratore Generale della Corte di Cassazione;• membri togati - membri eletti dai magistrati ordinari che devono rappresentare i 2/3 del Collegio;• membri laici - il restante terzo, eletto dal Parlamento in seduta plenaria fra professori ordinari di

Università in materie giuridiche e avvocati che esercitano da almeno 15 anni.La Costituzione non stabilisce quanti debbano essere i membri del CSM; per impedire che esso si trasformasse in una specie di casta, la presidenza del Collegio viene data al Presidente della Repubblica (per quanto si tratti di una presidenza a carattere formale e simbolico).Risulta assai controversa la questione della scelta del tipo di sistema elettorale con cui eleggere i membri togati.

Abbiamo detto che il CSM è competente per quanto riguarda l’adozione di provvedimenti che riguardino carriera e status dei magistrati ordinari. Per quanto riguarda però le promozioni e i provvedimenti disciplinari, si è preferito attribuire la titolarità dell’azione disciplinare al ministro della giustizia. La decisione, a seguito dell’avvio di un procedimento disciplinare, spetta all’apposita sezione disciplinare del

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Giudici senza concorso:1.possono essere nominati consiglieri di cassazione per meriti insigni, i professori universitari ordinari in materie giuridiche o gli avvocati che abbiano svolto la professione per 15 anni e siano iscritti agli albi della magistratura superiore2.il giudice di pace viene scelto fra cittadini italiani che presentino alcuni requisiti e che siano ‘capaci di assolvere degnamente, per indipendenza e prestigio acquisito e per esperienza giuridica e culturale maturata, le funzioni di magistrato ordinario’.

Viene criticato il carattere blando dei meccanismi diretti ad accertare l’effettivo grado di professionalità del magistrato. La legislazione ordinaria sulla progressione in carriera dei magistrati ha sostanzialmente vanificato qualsiasi tipo di valutazione del merito e fatto affidamento principalmente sull’anzianità.

CSM; queste sezione può, secondo la Corte costituzionale, sollevare questioni di legittimità costituzionale in via incidentale.La responsabilità disciplinare opera in caso di violazione dei doveri connessi al corretto esercizio della funzione giurisdizionale, ogni comportamento assunto in violazione dei propri doveri in modo da compromettere il prestigio dell’ordine giudiziario. L’applicazione di questo tipo di responsabilità è altamente discrezionale in quanto le ipotesi di illecito sono estremamente generiche.I magistrati ordinari sono sottoposti a responsabilità disciplinare sia penale che civile; la penale opera in caso di reati commessi nell’esercizio delle funzioni; la civile ha un regime speciale per i magistrati ordinari, speciali, contabili e militari, riguarda i danni subiti dal cittadino per effetto di privazione della libertà personale conseguente a diniego di giustizia ovvero ad atti e comportamenti assunti con dolo o colpa grave.I provvedimenti del CSM assumono la veste di decreti del Presidente della repubblica e sono sottoposti al sindacato del giudice amministrativo; il Giudice competente è il Tar del Lazio e in appello il Consiglio di Stato.

5. IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA.Il Ministro della Giustizia di limita a:A. curare l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia;B. promuovere l’azione disciplinare davanti all’apposita sezione disciplinare del CSM;C. partecipare al procedimento di conferimento degli uffici direttivi;D. esercitare poteri di sorveglianza ed eventuali attività ispettive nei confronti degli uffici giudiziari.

FONTI GENERALI

1. FONTI DI PRODUZIONE.Nel linguaggio giuridico la parola “fonte” indica gli strumenti di produzione del diritto, la definizione tradizionale recita: “dicasi fonte del diritto l’atto o il fatto abilitato dall’ordinamento giuridico a produrre norme giuridiche, cioè a innovare all’ordinamento giuridico stesso.”; si tratta di una definizione circolare.

Sorge spontanea una domanda: come si istituiscono inizialmente gli ordinamenti giuridici? Per gli ordinamenti primitivi, si può dire che si siano formati attraverso la lenta evoluzione dalle tradizioni e dagli usi, ovvero da un diritto consuetudinario. In linguaggio tecnico si può parlare di evoluzione da fonti-fatto a fonti-atti.

Gli ordinamenti moderni invece si istituiscono attraverso il processo costituente già visto; è la Costituzione stessa a indicare gli atti che possono produrre diritto. Notare che è sufficiente che la Costituzione indichi le fonti immediatamente ad essa sottostanti (fonti primarie), ovvero le leggi e gli atti ad esse equiparati perché saranno poi queste a regolare le fonti ancora inferiori (fonti secondarie).

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2002 - riforma della composizione del CSM e delle modalità di elezione. Attualmente i membri togati sono 16 e i membri laici 8. L’elezione dei magistrati avviene così:• in un collegio unico nazionale per 2 magistrati che esercitano le funzioni di legittimità presso la Corte di Cassazione e la Procura Generale presso la medesima Corte;• in un collegio unico nazionale per 4 magistrati che esercitano le funzioni di PM presso uffici di merito e presso la Direzione nazionale antimafia;• in un collegio unico nazionale per 10 magistrati che esercitano le funzioni di giudice ovvero che sono destinati alla Corte suprema di Cassazione.

La Bibbia ci offre un esempio molto chiaro del passaggio da fonti-fatto a fonti-atto. Dopo la fuga dall’Egitto, Mosè si ritrovò a dover amministrare il suo popolo, che non possedendo però norme scritte si regolava secondo le consuetudini e regole non scritte. Il fratello Ietro, che abitando in una tribù nomade a stretto contatto con gli Assiri, e quindi a conoscenza del diritto scritto, gli disse di scegliere dei giudici che amministrassero la giustizia nel popolo, sottoponendogli solamente le questioni importanti. Mosè così fece e inoltre portò al popolo le leggi scritte dal Monte Sinai, leggi dettate direttamente da Dio.

Norme di riconoscimento o fonti sulla produzione delle norme sono invece le norme che indicano le fonti abilitate a innovare l’ordinamento stesso.

2. FONTI DI COGNIZIONE: PUBBLICAZIONE E RICERCA DEGLI ATTI NORMATIVI.Le fonti di cognizione sono gli strumenti attraverso i quali si viene a conoscere le fonti di produzione. In Italia abbiamo fonti di cognizione ufficiali e fonti private; la più importante fonte ufficiale è la Gazzetta Ufficiale.

Altre fonti ufficiali sono i Bollettini ufficiali delle Regioni (B.U.R.) e la Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea (GUCE).

Il testo pubblicato è quello che poi entra in vigore, passato il periodo di vacatio legis; passato questo periodo ignorantia legis non excusat e il giudice ha l’obbligo di applicarla iura novit curia.Le fonti non ufficiali possono invece essere fornite da soggetti pubblici o privati ed essere cartacee o informatiche, queste però non hanno valore legale.

3. FONTI-FATTO E FONTI-ATTO.Le fonti di produzione si distinguono in fonti-atto, o atti normativi, e le fonti-fatto, o fatti normativi. La distinzione è importante in quanto, le fonti-atto fanno parte degli atti giuridici che possiamo definire come i comportamenti consapevoli e volontari che danno luogo a effetti giuridici, questi atti normativi hanno poi due caratteristiche particolari:A. i loro effetti giuridici sono vincolanti per tutti;B. i comportamenti devono essere imputabili a soggetti cui è riconosciuto il potere di porli in essere.La norma di riconoscimento attribuisce ad un determinato organo il potere di emanare un determinato atto normativo; la definizione tradizionale recita: “la fonte-atto è l’espressione di volontà normativa di un soggetto cui l’ordinamento attribuisce l’idoneità di porre in essere norme giuridiche”. Mentre le fonti-fatto sono tutte le altre fonti che l’ordinamento riconosce e di cui ordina o consente l’applicazione per il semplice fatto di esistere. Esse fanno parte della categoria dei fatti giuridici, ovvero quegli eventi naturali che producono conseguenze rilevanti per l’ordinamento.

Perché la volontà di un soggetto possa produrre effetti giuridici ed essere vincolante per tutti, è necessario che essa sia riconoscibile; quindi ogni atto normativo deve manifestarsi in modi specifici che l’ordinamento stesso determina per ciascun tipo di fonte. Ogni tipo di fonte ha una sua forma essenziale, la forma tipica dell’atto è data da elementi quali: l’intestazione all’autorità emanante, il nome proprio dell’atto, il procedimento di formazione dello stesso. Per procedimento, intendiamo la sequenza di atti preordinata al risultato finale. L’atto è diviso in ‘articoli’, e questi in ‘commi’, gli articolo possono esser corredati da ‘rubriche’ e possono essere raggruppati in ‘capi’, e questi in ‘titoli’ e ‘parti’.

Una volta si poteva individuare la consuetudine come fonte-fatto per eccellenza; essa nasce da un comportamento sociale ripetuto nel tempo (elemento oggettivo) al punto da essere sentito come obbligatorio, giuridicamente vincolante (elemento soggettivo).

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Tutti gli atti normativi dello Stato devono essere pubblicati nella “Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana” e inseriti poi nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. Quest’ultima viene stampata annualmente, mentre la Gazzetta Ufficiale è pubblicata tutti i giorni non festivi, corredata da una serie di “serie speciali” dedicate alle sentenza della Corte costituzionale, agli atti della Comunità europea, alle leggi regionali e ai concorsi pubblici.

Poiché la produzione giuridica italiana è frenetica, sono rare le fonti che seguono l’intera legislazione: tale ambizione hanno i sistemi informatici della Camera e dalla Cassazione. Oltre a queste opere generali troviamo una ricchissima produzione editoriale di codici specializzati per settore.

La consuetudine è però oggi scomparsa dagli ordinamenti moderni che si reggono sulla base della codificazione; nel nostro ordinamento possiamo però trovarne ancora qualche traccia:(A) nelle Preleggi; l’art.1 enunciando la gerarchia delle fonti, pone gli usi all’ultimo posto; questi sono

appunto consuetudini, che sono però ammesse quando non esista alcun tipo di norma superiore e “nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati”. La consuetudine può operare praeter legem o secundum legem, mai contra legem.

(B) una seconda traccia si trova sempre nel codice civile; specificamente quando esso rimanda esplicitamente agli usi a cui esso rinvia la disciplina del rapporto, soprattutto in materia contrattuale. In certi casi agli usi è consentito di disporre in modo diverso dalla regole generale fissata dal codice, derogandola; si pone però il problema della conoscenza di questi usi che è facilitata dalle raccolte generali del Ministero dell’industria e dalle Camere di Commercio.

(C) la terza traccia è tutta dottrinale; spesso la dottrina fa riferimento alle consuetudini ma solitamente si tratta di consuetudini interpretative, che sono la costante interpretazione di una disposizione di legge, esse non sono quindi fonti del diritto ma il frutto di un atteggiamento stabile degli interpreti (una disposizione viene ‘fatta vivere’ secondo un determinato significato). Le consuetudini alle quali accennano gli autori principalmente in diritto costituzionale sono le consuetudini facoltizzanti, ovvero che consentono comportamenti che le disposizioni scritte non negano (4ex. nomina degli organi non necessari del Governo, e la possibilità del Governo di porre la ‘questione di fiducia’). Bisogna spiegare la differenza fra convenzioni costituzionali e consuetudini costituzionali in quanto spesso le uno vengono confuse con le altre: le convenzioni nascono da accordo fra soggetti politico-istituzionali, mentre le consuetudini si originano da comportamenti spontanei; le consuetudini sono poi fonti del diritto mentre le convenzioni no.

(D)una quarta traccia si trova nella Costituzione; l’art.10 recita “l’ordinamento italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”, ci si riferisce alle consuetudini internazionali, ovvero le norme che hanno origine in regole non scritte né poste da soggetti determinati, ma comunque considerate obbligatorie tra gli Stati. L’ordinamento italiano si adegua automaticamente a queste consuetudini, il giudice italiano deve quindi applicarla come fosse una norma interna dello stesso rango della norma che la richiama (rinvio mobile).

Fonti-fatto per il nostro ordinamento sono anche tutte quelle fonti che producono norme richiamate dal nostro ordinamento ma non prodotte dai nostri organi, ad esempio le norme prodotte dalla Comunità europea e le cosiddette norme di diritto internazionale privato. Le norme di diritto internazionale privato sono le norme che regolano l’applicazione della legge quando i soggetti o i beni coinvolti nel caso sottoposto al giudice sono collegati a ordinamenti giuridici diversi.

Il giudice ha il potere e il dovere di individuare le fonti normative da applicare, questo è il principio jura novit curia che vale per tutte le fonti, sia atti che fatti. I problemi sorgono quando si vuole trattare le fonti-fatto: la consuetudine è conoscibile attraverso l’inserimento nelle Raccolte Generali ma non chiude il problema dell’accertamento; il diritto privato internazionale, è a carico del giudice l’onere di accertare la legge straniera; il diritto comunitario, il giudice ha il pieno obbligo di conoscere le fonti.

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Il Common Law è un sistema che nasce come consuetudinario, gli invasori normanni continuarono ad applicare le consuetudini inglesi per secoli. Non si può però dire che ora esso sia un sistema consuetudinario, esso è ora un insieme di regole giurisprudenziali, formatosi attraverso il consolidamento e l’evoluzione dei ‘precedenti giudiziari’.

Disposizioni sulla legge in generale, 31 articoli, divisi in due capi ‘delle fonti del diritto’ e ‘dell’applicazione della legge in generale’. Riguardano l’intero ordinamento e si occupano di argomenti tipicamente costituzionali, per questo motivo fu messa in dubbio la legittimità stessa di queste disposizioni. Alla fine prevalse l’idea che le preleggi non avessero carattere innovativo ma che fossero solo la ricognizione, la riproduzione di norme già vigenti nell’ordinamento.

Secondo questo principio il giudice ha anche il potere-dovere di interpretare le disposizioni per trovare la norma da applicare: consuetudini, non vi è nulla da interpretare, bisogna solo accertarsi che la norma si sia imposta nella prassi; diritto internazionale privato, la legge straniera “è applicabile secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo” il nostro giudice deve quindi comportarsi come il giudice dell’altro ordinamento; diritto comunitario, qui vige la riserva di interpretazione a favore del giudice comunitario, la Corte di giustizia della Comunità, quindi il giudice dovrà sottoporre ad essa la questione interpretativa ogni qual volta abbia dei dubbi.Il giudice deve inoltre valutare che la norma sia valida, ed una norma è valida quando è posta in conformità alle norme di rango superiore; consuetudine, non pone molti problemi in quanto si sviluppa praeter o secundum legem; diritto internazionale privato, il giudice italiano ha può valutare che la legge straniera sia in vigore, ma non può rilevarne gli eventuali ‘vizi’; diritto comunitario, deve invece fare proprio questo trattandosi di diritto comunitario, se rileva un vizio della fonte, deve sospendere il proprio giudizio e investire della questione la Corte di giustizia.

4. TECNICHE DI RINVIO AD ALTRI ORDINAMENTI.Il principio di esclusività è espressione della sovranità dello Stato ed attribuisce a questo il potere esclusivo di riconoscere le proprie fonti. Le norme degli altri ordinamenti possono valere all’interno di uno Stato soltanto se le disposizioni di questo lo consentono, e per consentire che queste norme operino all’interno dell’ordinamento statale si opera attraverso la tecnica del rinvio. Il rinvio è lo strumento con cui l’ordinamento si uno Stato rende applicabili al proprio interno norme di altri ordinamenti.

Il rinvio fisso è il meccanismo con il quale una disposizione dell’ordinamento statale richiama un determinato atto in vigore in un altro ordinamento; si dice ‘fisso’ perché recepisce uno specifico e singolo atto. Se l’atto recepito subisce modifiche, queste non produrranno effetti nel nostro ordinamento senza un altro apposito atto di recepimento.

Il rinvio mobile è il meccanismo con il quale una disposizione dell’ordinamento statale richiama non uno specifico atto, ma una fonte di esso. Con il rinvio mobile l’ordinamento statale si adegua automaticamente a tutte le modifiche che nell’altro ordinamento si producono nella normativa posta dalla fonte richiamata.Importante differenza è quindi questa: il rinvio fisso pone ai soggetti dell’applicazione solo il compito di interpretare il testo normativo richiamato, mentre il rinvio mobile pone loro il compito di ricercare le disposizioni in vigore nell’ordinamento straniero.

5. LA FUNZIONE DELL’INTERPRETAZIONE.L’atto normativo è un documento scritto, dotato di determinate caratteristiche formali. Attraverso di esso il legislatore esprime la sua volontà di disciplinare una determinata materia, l’atto normativo è articolato in enunciati. Un enunciato è qualsiasi espressione linguistica che ha una forma grammaticale compiuta; siccome hanno questa caratteristica imperativa, gli enunciati degli atti normativi si chiamano disposizioni.La questione più complessa riguarda il linguaggio in quanto a qualsiasi frase può essere dato più di un significato. Il compito di riportare a coerenza il sistema delle disposizioni è affidato all’interprete.Il primo passo è quello di distinguere fra interpretazione ed applicazione del diritto. L’applicazione del diritto significa applicare una norma generale ed astratta a un caso particolare e concreto; la norma dice che, se è compiuto da chiunque e in qualunque circostanza al comportamento X deve esserci la conseguenza Y. Questo è lo schema del sillogismo giudiziale: premessa maggiore (la norma), premessa minore (il fatto) e conclusione (applicazione della norma al fatto). La norma è il frutto dell’interpretazione delle disposizioni, il loro significato.Per quanto una disposizione possa essere scritta chiaramente e con precisione, il suo significato non è mai scontato. Non è però colpa del legislatore se le disposizioni non sono chiare e univoche, egli può cercare di risolvere i problemi più gravi di interpretazione attraverso una specie di forzatura dell’interpretazione

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Tizio è sorpreso da un vigilante del supermercato mentre infila in orologio, nella tasca. Qual’è il fatto? L’art.624 del cod. penale dice che: “chiunque s’impossessa della cosa mobile sottraendola a che la detiene, al fine di trarne profitto per sé e per altri è punito con la reclusione ecc” Il giudice deve creare la sua norma, partendo dalla lettera della disposizione: la Cassazione per esempio per condannare Tizio ha elaborato questa massima: “nei supermercati l’acquirente consegue il possesso legittimo della merce posta nel cestino o tenuta in mano, quando ne paga il prezzo alla cassa, mentre la merce nascosta nella borsa o in tasca o altrimenti, ne acquisisce il possesso al momento dell’apprensione, onde il furto è già consumato nel momento del passaggio alla cassa”.

Attraverso la cosiddetta interpretazione autentica ovvero l’emanazione di disposizioni che andando a sommarsi a quelle già esistenti cercano di precisarne il significato. Questa è però un’opera di legislazione in quanto il legislatore non può sostituirsi all’interprete, glielo impedisce la separazione dei poteri.

Un aspetto importante della separazione dei poteri è la netta separazione fra chi ha potere di ‘disporre’ e chi ha invece il potere di interpretare. Le differenze non sono solo funzionali ma anche strutturali. Il legislatore è un organo politico, è chiamato dagli elettori ad esprimere la propria volontà, e ad essi deve rispondere delle sue scelte; i soggetti di applicazione del diritto sono tecnici del diritto, non accedono alla carica per elezione ma per concorso e sono privi di responsabilità politica.E’ ovvio che chi applica le leggi necessiti di norme non contraddittorie, la coerenza tra le norme è la prima regola della deontologia professionale del legislatore.

6. ANTINOMIE E TECNICHE DI RISOLUZIONE.Antinomie sono i contrasti tra norme, ovvero quando le disposizioni esprimono dei significati tra loro incompatibili, ossia norme che qualificano lo stesso comportamento in modi contrastanti. E’ compito dell’interprete risolvere le antinomie, individuando la norma applicabile al caso; quando però il testo non permette di ricavarne norme coerenti è necessario scegliere.I criteri con cui si sceglie la norma da applicare in caso di antinomia sono spesso codificati dalla legge, si può anche tranquillamente dire che questi criteri sono impliciti nell’ordinamento ed essi sono quattro:1. criterio cronologico;2. criterio gerarchico;3. criterio della specialità;4. criterio della competenza.

7. IL CRITERIO CRONOLOGICO E L’ABROGAZIONE.Il criterio cronologico stabilisce che in caso di due norme contrastanti, prevale quella più recente, lex posterior derogat priori; negli ordinamenti moderni che sono dinamici questo criterio è indiscutibile. L’effetto che la nuova norma produce nei confronti della nuova è l’abrogazione.

L’efficacia consiste nell’idoneità di un atto o fatto a produrre effetti giuridici (costituire o modificare situazioni giuridiche). La norma diventa efficace quando la disposizione dalla quale è tratta entrata in vigore. Vale ovviamente il principio di irretroattività degli atti normativi codificato nell’art.11 delle Preleggi: “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”; esistono delle eccezioni a questo principio, alcune sancite dalla Costituzione stessa per quanto riguarda le norme incriminatrici penali, poi esso può essere derogato anche dalle singole leggi che possono disporre la propria irretroattività.

Il principio di irretroattività vale anche per l’abrogazione. La norma abrogata non sarà più valida per il futuro ma tutti i rapporti sorti prima dell’abrogazione rimangono in piedi e regolati da essa.

All’art.15 delle Preleggi vengono indicati i tre tipi di abrogazione: espressa, tacita e implicita.L’abrogazione espressa è contenuta nella disposizione stessa, si tratta quindi di un aspetto della legislazione e vale perciò erga omnes.L’abrogazione tacita si ha quando un giudice si trova davanti ad un’antinomia e farà quindi prevalere la disposizione successiva rispetto a quella antecedente. La differenza principale dall’abrogazione espressa sta nel fatto che quest’ultima come abbiamo detto vale erga omnes, mentre l’abrogazione tacita è valida

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Verso la metà degli anni ’80 si vide il rischio di una forte concentrazione nella stampa quotidiana. Il giudice di primo grado rigettò il ricorso ma il Parlamento votò una legge, presentandola come interpretazione autentica, con la quale imponeva criteri più restrittivi. LE NORME DI INTERPRETAZIONE HANNO LA PARTICOLARITÀ’ DI ESSERE RETROATTIVE. Ma la Corte Costituzionale trovò illegittima questa legge, in quanto le disposizioni interpretative non può avere carattere innovativo: “va riconosciuto carattere interpretativo solo alla legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata ne chiarisce il significato interpretativo ovvero privilegia una tra le tante interpretazioni possibili.

solamente rispetto al singolo giudizio quindi inter partes, non vincolando così gli altri giudici, in quanto i giudici sono soggetti solo alla legge.

L’abrogazione implicita è simile alla tacita; è l’interprete ad applicare la nuova legge creata dal legislatore per riformare la materia.

Diversa dall’abrogazione è la deroga. La deroga scaturisce da un diverso contrasto tra norme: la norma derogata è una norma generale, mentre la norma derogante è un norma particolare. La deroga è un’eccezione alla regola.La norma derogata non viene abrogata ma ne viene semplicemente ristretto il campo si applicazione.Simile alla deroga è la sospensione dell’applicazione di una norma, solitamente limitata a un certo periodo e spesso a singole categorie e zone.

8. CRITERIO GERARCHICO E L’ANNULLAMENTO.Il criterio gerarchico dice che in caso di contrasto tra due norme si deve preferire quella che nella gerarchia delle fonti occupa il posto più elevato, lex superiore derogat legi inferiori. Anche qui abbiamo a che fare con un criterio indiscutibile negli ordinamenti moderni strutturati secondo una pluralità di fonti disposte sui vari gradini di una scala gerarchica.La prevalenza della regola superiore su quella inferiore si esprime attraverso l’annullamento; esso è l’effetto di una dichiarazione di illegittimità che un giudice pronuncia nei confronti di un atto, disposizione, norma; essi perdono di validità. La validità consiste nella conformità di un atto o negozio giuridico rispetto alle norme che lo disciplinano, si riferisce quindi solamente agli atti normativi; la legittimità significa anch’essa conformità alle leggi, ma si riferisce anche ai fatti normativi. L’atto invalido è un atto viziato; i vizi di legittimità possono essere di due tipi: vizi formali che riguardano la forma dell’atto (4ex. quando è emanato da un organo non competente) e vizi sostanziali che riguardano i contenuti normativi della disposizione (viziata quando produce un’antinomia).

Quando un giudice dichiara l’illegittimità di un atto normativo, l’atto annullato non può essere più applicato a nessun rapporto giuridico, anche se sorto in precedenza all’annullamento. L’annullamento non opera solo per il futuro, ma anche per il passato (ex tunc), notare però che gli effetti dell’annullamento possono essere percepiti solamente dai rapporti pendenti (o parti), ovvero solo dai rapporti ancora sottoponibili ad un giudice. La chiusura di ogni rapporto è invece stabilito dai singoli rami dell’ordinamento, solitamente avviene attraverso prescrizione, decadenza, acquiescenza o sentenza passata in giudicato.

Solitamente il criterio gerarchico prevale su quello cronologico.Cosa accade se una norma posteriore di grado superiore contraddice una norma precedente di grado inferiore? Tutto dipende dal carattere omogeneo o meno della norma. Se omogenee, si ritiene che prevalga il criterio cronologico e la che la norma superiore abroghi direttamente quella precedente inferiore, Se invece disomogenee, c’è abrogazione solamente nell’ipotesi in cui la norma successiva superiore sia di dettaglio; nel caso più normale invece dove la norma successiva superiore sia di principio, non si ha abrogazione, ma dovrà intervenire il giudice dichiarando l’illegittimità della norma precedente.

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“sono abrogate le disposizioni incompatibili con la presente legge” - si tratta di una formula di pessimo stile in quanto non serve a nulla: 1. la incompatibilità non sorge fra le disposizioni ma tra i loro significati (norme) e 2. se l’interprete rileva un contrasto, questo sarà appianato tramite l’abrogazione tacita senza bisogno di autorizzazione da parte del legislatore.

Una norma generalissima, come potrebbe esserlo un principio costituzionale nuovo non è in grado di essere applicata da un giudice senza una disciplina di attuazione.

L’omogeneità o disomogeneità delle norme non può essere stabilito in modo oggettivo e univoco, ma dipende dalle valutazioni dell’interprete.

9. IL CRITERIO DELLA SPECIALITÀ’Il criterio di specialità dice che in caso di contrasto tra due norme si deve preferire la norma speciale a quella generale, anche se questa è successiva, lex specialis derogat legi generali, lex posterior generalis non derogat legi priori speciali. Questo criterio non è però ben codificato soprattutto perché la definizione di ‘genere’ e ‘specie’ è spesso questione di opinioni.

La preferenza per la specialità cono si riscontra né con riferimento alla sua validità, né alla sua efficacia. Le norme in conflitto rimangono entrambe efficaci e valide, l’interprete opera solamente per quanto riguarda la scelta di quale norma vada applicata e quale no. Possiamo dire che la deroga è l’effetto tipico della prevalenza della norma speciale su quella generale.

Rapporti tra criterio di specialità e gli altri criteri:I. se la norma generale è successiva, e la norma generale e quella speciale hanno parità gerarchica: è

preferita la norma speciale (deroga);II. se la norma generale è successiva ed è di grado superiore alla norma speciale: è preferita la norma

generale (illegittimità della norma speciale);III. se la norma generale è successiva ed è di grado inferiore alla norma speciale: è preferita la norma

speciale superiore (illegittimità della norma generale);IV. se la norma speciale è successiva, e la norma generale e quella speciale hanno parità gerarchica: è

preferita la norma speciale (deroga);V. se la norma speciale è successiva ed è di grado inferiore alla norma generale: è preferita la norma

generale superiore (illegittimità della norma speciale);VI. se la norma speciale è successiva ed è di grado superiore alla norma generale: è preferita la norma

speciale superiore (abrogazione o deroga della norma generale).

Il criterio di specialità opera esclusivamente fra le norme e quindi sul piano dell’interpretazione; esso opera quindi inter partes. Il legislatore ha la facoltà di indicare la prevalenza di una norma sull’altra. L’eccezione può essere a sua volta disciplinata dalla stessa disposizione che pone la regola, oppure può essere prevista con una clausola di rinvio indeterminato. Queste eccezioni non possono però mai essere interpretate in senso estensivo: “le leggi che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse indicati”.

10. IL CRITERIO DELLA COMPETENZA.Il criterio di competenza non si presta ad una definizione, questo in quanto si tratta di un criterio esplicativo e non prescrittivo: serve a spiegare come è organizzato attualmente il sistema delle fonti. Il criterio di competenza nasce dal problema che la Costituzione rigida ha introdotto sé stessa come fonte sovrapposta alla legge ordinaria, e che venissero create, accanto alla legge formale, delle altre leggi o atti equiparati a a legge formale, alle quali la Costituzione assegna competenze particolari.Il criterio di competenza ci spiega quindi che la gerarchia delle fonti non è più sufficiente a darci il quadro esatto del sistema perché ora all’interno dello stesso grado gerarchico ci sono fonti atti che si distinguono non più per forza ma per competenza.

Esso prescrive di dare preferenza alla norma competente. Questa prevalenza si esprime a seconda del fatto se una legge ordinaria si esprima in una violazione della norma costituzionale che garantisce la competenza, in questo caso la norma sarebbe viziata e in contrasto con una di grado superiore; oppure può essere che la violazione non si esprima in un attacco preciso contro la sfera riservata alla Costituzione. A decidere la prevalenza si arriva quindi attraverso due considerazioni: bisogna prima distinguere gli ambiti di applicazione delle due norme e scegliere poi quella competente ‘per ambito’ e infine non applicare la norma considerata non competente.

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11. RISERVE DI LEGGE E PRINCIPIO DI LEGALITÀ’La riserva di legge è lo strumento con il quale la Costituzione regola il concorso delle fonti nella disciplina di una determinata materia. E’ una regola sull’esercizio della funzione legislativa: impone al legislatore l’obbligo di disciplinare determinate materie. Tutto ciò ha lo scopo ultimo di evitare che in determinate materie manchi una disciplina legislativa capace di arginare i comportamenti degli organi del potere esecutivo.Il principio di legalità invece stabilisce che l’esercizio di qualsiasi potere pubblico si fonda su di una norma precedente che vi attribuiva competenza; esso serve ad assicurare un uso regolato e non arbitrario del potere.

La riserva di legge è una delle regole limitative del potere legislativo presenti nella Costituzione.

(A) Le riserve a favore si atti diversi dalla legge sono rari e sono: le riserve a favore di legge costituzionale, di regolamenti parlamentari e di decreti di attuazione degli Statuti speciali.

(B) La riserva di legge formale ordinaria stabilisce che su una determinata materia intervenga solamente la legge creata attraverso procedimento parlamentare, escludendo quindi tutti gli altri atti equiparati alla legge formale; è quindi riservata al Parlamento l’approvazione di tutte le leggi con le quali esso esercita un controllo sull’operato del Governo. Difatti se non vi fosse riserva di legge formale il Governo approverebbe con un suo atto il suo stesso operato.

(C) Le riserve di legge escludono o limitano l’intervento di atti di livello gerarchico inferiore alla legge, ovvero i regolamenti amministrativi. A seconda del rapporto che intercorre fra legge e regolamento si differenziano due tipi di riserve di legge:

C1 - riserva assoluta - esclude qualsiasi intervento di fonti sub-legislative, la materia dovrà essere interamente disciplinata da leggi formali ordinarie o atti ad esse equiparati. Ciò accade per le libertà fondamentali in quanto rivendicate contro lo Stato e il suo potere coercitivo detenuto dal Governo; sulla materia si affianca alla riserva di legge la riserva di giurisdizione la quale implica che ogni atto dei poteri pubblici che incida sulla libertà debba essere previsto in astratto dalla legge e autorizzato in concreto dal giudice. C2 - riserva relativa - non esclude l’intervento di fonti sub-legislative, la materia può essere disciplinata anche dal regolamento amministrativo, ma la legge deve preventivamente enunciare i principi ai quali il regolamento deve attenersi. Con questa riserva di legge la Costituzione pone un vincolo sia al legislatore che al potere esecutivo.

(D) Le riserve rinforzate sono un meccanismo con cui la Costituzione pone ulteriori vincoli al legislatore. D1 - riserve rinforzate per contenuto - si hanno quando la Costituzione prevede che una determinata regolazione possa essere fatta dalla legge ordinaria soltanto con contenuti particolari; ciò serve per limitare il potere del legislatore in modo che le eventuali leggi che intendessero comprimere la sfera di libertà degli individui potranno essere considerate legittime soltanto a condizione che siano razionalmente giustificabili in relazione ai fini indicati dalla Costituzione. D2 - riserve rinforzate per procedimento - prevedono che la disciplina di una determinata materia debba prodursi attraverso un procedimento aggravato rispetto a quello che si utilizza per la legislazione ordinaria; ciò serve per limitare i poteri della maggioranza politica nei confronti

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Il principio di legalità formale richiede soltanto che l’esercizio di un potere pubblico si basi su una previa attribuzione della competenza.Il principio della legalità sostanziale richiede invece che l’esercizio del potere sia limitato e diretto da specifiche norme di legge, tali da restringere la discrezionalità dell’autorità agente.

In pratica non è facile distinguere se il rinvio della Costituzione sia da classificarsi come riserva assoluta o relativa. Elementi utili per l’interpretazione sono:a) l’argomento letterale - si può ritenere assoluta la riserva di legge quando la Costituzione utilizza espressioni che

sembrano restringere al massimo il potere discrezionale di chi è chiamato ad applicare la legge; ma nella maggior parte dei casi la lettera della Costituzione non è di alcun aiuto

b) l’argomento sistematico - l'insieme di meccanismi che la Costituzione appronta per quello specifico argomentoc) l’argomento storico - se la Costituzione introduce una riserva si legge su una materia che in precedenza era

riservata al Governo essa si può ritenere relativad) argomento ab absurdo - i risultati dell’interpretazione diversa

delle minoranze, essa può fare la legge solo al ‘costo’ di ottenere il consenso dei soggetti che rappresentano la comunità minoritaria interessata.

LE FONTI DELL’ORDINAMENTO ITALIANO: STATO

1. COSTITUZIONE E LEGGI COSTITUZIONALI.La Costituzione della Repubblica italiana del 1948 coincide con il vertice della gerarchia delle fonti ed è quindi il fondamento della validità delle fonti primarie. E’ una Costituzione rigida, e il suo mutamento è possibile attraverso un procedimento particolare di revisione costituzionale, lo stesso è da applicarsi all’approvazione delle leggi costituzionali previste per l’integrazione della Costituzione stessa.

Il procedimento ordinario prevede una sola deliberazione a maggioranza relativa di ciascuna Camera dello stesso testo, seguita dalla promulgazione del Presidente della Repubblica; per le leggi costituzionali il procedimento invece è più complesso, esso prevede due deliberazioni successive per ciascuna Camera.La prima deliberazione è anch’essa a maggioranza relativa (i sì devono superare i no) e in questa fase ogni Camera può apportare gli emendamenti che crede al testo. Per la seconda votazione invece, devono trascorrere tre mesi dalla prima e non è più possibile emendare il testo; vi sono poi due possibili strade che si aprono per questa approvazione: 1. ciascuna Camera può esprimersi con la maggioranza qualificata dei 2/3 e quindi la legge viene direttamente promulgata dal PdR; 2. se la legge viene approvata con la maggioranza assoluta (50%+1) il testo approvato viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, e nel periodo massimo di 3 mesi può essere richiesto un referendum costituzionale ad opera di minoranza territoriali, minoranze del corpo elettorale e minoranze politiche, basta che abbiano le firme di 1/5 dei membri di una Camera.

(notare che il procedimento può iniziare indifferentemente in Camera o in Senato)In Italia non vi è differenza fra il procedimento necessario per lievi modifiche e quello necessario per modifiche di grande rilievo.

Esiste un unico limite esplicito nella Costituzione: “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”. E’ poi prevalsa un’interpretazione estensiva della dicitura ‘forma repubblicana’ fino ad arrivare a comprendere non solo il carattere elettivo del Capo dello Stato, ma anche il principio della sovranità popolare; la forma repubblicana è quindi considerata inscindibile dal carattere ‘democratico’ della Repubblica. Vengono quindi risposti sotto l’ala protettiva del limite esplicito tutti quei principi che sembrano in dispensabili per poter definire ‘democratico’ un ordinamento politico (si parla di soli principi non anche di regole di dettaglio).Altre interpretazioni estensive di articoli della Costituzione possiamo averli nell’art.2 che dichiara inviolabili i diritti dell’uomo e porrebbe quindi al riparo tutte le libertà elencato dall’art.13 e successivi; l’art.5 dichiara la Repubblica “una e indivisibile” sarebbe quindi impossibile effettuare una secessione o divisione legale del paese.

Le norme che vengono immesse nel nostro ordinamento attraverso rinvii previsti dalla Costituzione non possono violare i principi supremi dell’ordinamento costituzionale; ad esempio nel 1982 viene dichiarata illegittima una legge si esecuzione dei Patti lateranensi per violazione del diritto alla difesa (art.24).La Corte ha affermato più volta la non derogabilità dei “principi supremi” con due conseguenze:

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Tizio e Caia si sposano in chiesa. In base al ‘Concordato’ sono i tribunali ecclesiastici ad avere giurisdizione sulla nullità di tale matrimonio. Caia presenta, dopo qualche tempo, ricorso al Sommo Pontefice per dissolvere il rapporto matrimoniale, apportando come ‘giusta causa’ la mancata consumazione del matrimonio stesso. Essendo questa riguardata come giusta causa dal diritto canonico, Caia ottiene un provvedimento amministrativo di scioglimento del rapporto matrimoniale. Con questa si presenta dinanzi ad un giudice civile italiano per rendere esecutivo agli effetti civili il provvedimento ecclesiastico. Tizio però insorge di fronte alla Corte d’appello, denunciando la violazione del suo fondamentale diritto alla difesa ed il giudice gli dà ragione.Pur riconoscendo che il procedimento davanti ai ‘dicasteri ecclesiastici’ prevede la forma del contraddittorio, la Corte ritiene che vi sia violazione del diritto alla difesa nel fatto che agli accertamenti segua un procedimento amministrativo che produce effetti civili nell’ordinamento italiano: il “principio supremo dell’ordinamento costituzionale” è che per qualsiasi controversia si assicurato un giudizio davanti ad un giudice.

1) la prevalenza dei principi supremi sulle norme comunitarie porta alla non applicabilità in Italia di norme comunitarie contrarie con questi principi.

2) se solo i principi supremi resistono alle norme comunitarie, significa che le norme costituzionali di dettaglio si devono ritenere inderogabili.

Ulteriormente, la Corte ha recentemente affermato via obiter dictum, che i principi supremi sono sottratti alla revisione costituzionale. Il concetto di obiter dictum va interpretato in contrasto con quello di ratio decidendi, dove questa è l’argomentazione su cui si fonda la decisione, mentre obiter è un’argomentazione accessoria.

2. LEGGE FORMALE ORDINARIA E ATTI CON FORZA DI LEGGE.La legge formale è l’atto normativo prodotto dalla deliberazione delle Camere e promulgato dal PdR, essa è la fonte del diritto per eccellenza; la sua ‘forma’ è data dal particolare procedimento previsto dalla Costituzione per la sua formazione. Con l’espressione legge formale si indicano sia le leggi costituzionali che le leggi formali ordinarie.Gli atti con forza di legge sono invece atti normativi che hanno la forma della legge, ma sono equiparati alla legge formale ordinaria. Occupano quindi la sua stessa posizione nella scala gerarchica, possono abrogarla, stessa forza attiva, e possono da essa e solo da essa essere abrogati, stessa forza passiva.Le fonti primarie sono formate dalle leggi formali ordinarie e dagli atti con forza di legge, in contrapposizione alle fonti secondarie che sono i regolamenti amministrativi.

“La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere” art.70; gli articoli successivi dettano in linea di massima le regole per il procedimento di formazione della legge formale. Gli atti con forza di legge rappresentano i casi in cui la funzione legislativa non è svolta in forma legislativa, ovvero come deroga alla regola costituzionale non possono esser previsti da fonti che non abbiano rango costituzionale. Questi atti sono: il referendum abrogativo delle leggi; il decreto legislativo delegato; il decreto-legge; i decreti del Governo in caso di guerra e i decreti di attuazione degli Statuti delle Regioni autonome.Possono essere introdotte innovazioni solo con legge costituzionale.

3. PROCEDIMENTO LEGISLATIVO.Il procedimento legislativo è un serie di atti coordinati, rivolti ad uno stesso risultato finale: la legge formale. Questo procedimento si compone di: iniziativa legislativa; deliberazione legislativa delle Camere e la promulgazione.

L’iniziativa legislativa consiste nella presentazione di un progetto di legge che si differenziano in disegni di legge se presentati dal Governo o proposte di legge negli atri casi. In entrambi casi esso consta di due parti: il testo dell’articolato e la relazione che lo accompagna e che ne illustra gli scopi e caratteristiche.L’iniziativa legislativa è riservata a dei soggetti tassativamente indicati dalla Costituzione:1. iniziativa governativa: il Governo è l’unico ad avere potere legislativo su tutte le materie, anzi ve n’è

alcune in cui essa è riservata al Governo; essa può essere presa da uno o più Ministri, seguirà la delibera del Consiglio dei Ministro e l’autorizzazione del PdR.

2. iniziativa parlamentare - ogni deputato o senatore può presentare dei progetti di legge alla sua Camera, fatta esclusione per le materie di esclusiva giurisdizione del Governo.

3. iniziativa popolare - il progetto di legge può essere proposto da 50.000 elettori.4. iniziativa regionale - i Consiglio regionali hanno il potere di presentare proposte di legge.5. iniziativa del CNEL - gli unici limiti a questa facoltà di proposta stanno della scarsa funzionalità

dell’organo.L’iniziativa legislativa non crea mai un obbligo per la Camera di deliberare, l’inserimento della discussione della proposta di legge nei programmi di lavoro della Camera dipende dalla valutazione politica della Conferenza dei capigruppo, la non discussione è quindi il risultato del disinteresse che i gruppi parlamentari dimostrano nei confronti di una proposta.

L’art.72 vieta che un progetto di legge sia discusso direttamente dalla Camera, prima deve essere esaminato dalla commissione permanente competente. Esistono tre procedimenti di approvazione principali:(A) Procedimento ordinario per commissione referente: spetta al presidente della Camera individuare la

commissione competente per materia. Il presidente della commissione espone le linee generali della

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proposta di legge, provocando una discussione generale su di essa, si passa poi alla discussione articolo per articolo e alla votazione degli eventuali emendamenti (si può avere la nomina di un comitato ristretto per la migliore formulazione dell’articolato); alla fine il testo viene approvato assieme alla relazione finale, che contiene l’attività svolta e gli orientamenti emersi durante i lavori. In aula la discussione procede per tre letture: la prima lettura consiste nella discussione generale, e si può chiudere con il voto di un “ordine del giorno di non passaggio degli articoli” oppure si continua con la votazione, la seconda lettura prevede la discussione dei singoli articoli, degli eventuali emendamenti e la votazione del testo definitivo di ogni articolo, infine la terza lettura consiste nell’approvazione finale dell'intero testo di legge; la maggioranza richiesta è quella semplice o relativa.

(B) Procedimento per commissione deliberante: particolarità del nostro ordinamento ereditata dal fascismo che consente alla commissione di assorbire tutte le fasi del procedimento di approvazione sostituendo l’aula; trattandosi di un procedimento particolare ci sono determinate garanzie che lo circondano: 1. alcune materie sono escluse dal questo tipo di procedimento, esistono quindi materie dove esiste la riserva di assemblea; 2. per la composizione della commissione la Costituzione impone che si segua il criterio di rappresentanza proporzionale dei gruppi parlamentari. Invece l’assegnazione della proposta alla commissione, nel Senato la decisione spetta al Presidente e non è opponibile, mentre alla Camera il regolamento prevede che il Presidente abbia solo potere di proposta, che si considera accettata se nessun deputato chiede di sottoporla al voto dell’assemblea.

(C) Procedimento per commissione redigente: questo procedimento è una via di mezzo tra i due precedenti, non è previsto dalla Costituzione ma dai regolamenti parlamentari con significative differenze fra Camera e Senato. E’ un procedimento volto a sgravare l’assemblea dalla discussione e approvazione degli emendamenti, decentrandoli in commissione e riservando all’aula l’approvazione finale.

I regolamenti delle Camere prevedono della procedure abbreviate per l’esame di progetti di legge dichiarati urgenti, si tratta di meccanismi di riduzione dei tempi richiesti per il compimento delle fasi dei procedimenti descritti.

Conclusasi la fase dell’approvazione la legge è perfetta, ma diviene efficace solamente con la promulgazione da parte del PdR (fase integrativa dell’efficacia). E’ il Governo che ha il compito di trasmettere la legge al PdR; questi ha il potere di rinviare la legge alle Camere con un messaggio motivato. Non perfettamente definibili sono i motivi per cui il PdR può disporre di questo rinvio della legge, bisogna però considerare che: 1) sia l’atto di promulgazione che l’eventuale messaggio di motivazione devono essere controfirmati dal Governo, che ha quindi la facoltà di svolgere un controllo cui corrisponde l’assunzione di responsabilità politica; 2) il rinvio può essere compiuto una sola volta, non si tratta quindi di un potere si veto, ma di una forma di “controllo con richiesta di riesame”.Alla promulgazione segue sempre la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

4. LEGGI RINFORZATE E FONTI ATIPICHE.Attraverso il meccanismo della riserva di legge, la Costituzione ha creato dei tipi di legge che si scostano dalla normale legge approvata dal Parlamento. Per disciplinare alcune materie è quindi necessario seguire un procedimenti di formazione più complesso rispetto a quello per la legge ordinaria (leggi rinforzate). La

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Comitato per la legislazione: esprime “pareri sulla qualità dei testi legislativi con riguarda alla loro omogeneità, alla semplicità, chiarezza e proprietà della loro formulazione nonché all’efficacia di essi per la semplificazione e il riordinamento della legislazione vigente ... sulla base di criteri e di requisiti tecnici definiti dalle norme costituzionali e ordinarie e dal Regolamento”. Il parere può essere richiesto dalla Commissione permanente che sta esaminando la proposta di legge. Notare che questo comitato si sottrae alla regola della rappresentanza proporzionale dei gruppi parlamentari: è composto da 10 membri, egualmente ripartiti fra maggioranza e opposizioni.

Il procedimento per commissione deliberante presenta grossi vantaggi e svantaggi.Vantaggi: vi è una rilevante velocizzazione della produzione delle leggi.Svantaggi: ridotto tasso di pubblicità e sensibilità agli interessi di categoria a causa della loro composizione.

Costituzione prevede che ognuna di esse abbia una collocazione particolare nel sistema delle fonti non avendo esattamente la stessa forza attiva né la stessa forza passiva.

Parlando della riserva di legge rinforzata per procedimento è necessario fare alcune considerazioni:I. per lo più le leggi rinforzate sono tali non perché sia rafforzato il procedimento parlamentare per la

loro formazione, ma perché è reso più complesso dell’ordinario il procedimento di formazione del progetto di legge. In questi casi il Parlamento non ha la facoltà di procedere unilateralmente ad emendare il testo proposto dal Governo, può in caso, invitare il Governo a rinegoziare le norme che si voglio emendare e solo in seguito procedere all’approvazione dell’emendamento

II. le riforme costituzionali degli ultimi anni si è manifestata la tendenza a introdurre leggi rinforzate sul procedimento di formazione della legge. Ad esempio la riforma del Titolo V della Costituzione introduce due ipotesi di rafforzamento: a) l’art.116 prevede che si possano riconoscere a determinate Regioni “forme e condizioni particolari di autonomia”; b) è poi previsto che, qualora si istituisse la Commissione bicamerale ‘integrata’ dal rappresentanti delle Regioni tutte le leggi che si discostassero dal parere di questa, dovranno essere approvate anch’esse a maggioranza assoluta dalle Camere

III. i procedimenti rinforzati sono procedimenti specializzati seguiti per produrre leggi anch’esse specializzate, ma vale anche il reciproco ovvero con il procedimento si possono approvare soltanto le leggi con quelli specifico contenuto. Si tratta di atti che hanno competenza riservata e limitata, si distinguono dalle leggi comuni sia per forza attiva che passiva. Le leggi rinforzate sono quindi a loro volta esempi di fonti atipiche.

Per fonti atipiche si intendono gli atti che pur avendo la stessa forma della legge ordinaria, hanno una posizione particolare nel sistema delle fonti per quanto riguarda la loro forza; non si tratta di una categoria precisa e connotata da caratteristiche univoche. Le tipologie principali sono due:1) atipiche sono le leggi l’art.75 esclude dal referendum abrogativo a causa della loro forza passiva

potenziata;2) atipiche sono anche le leggi meramente formali, ovvero quegli atti che pur avendo la forma di una legge

non ne hanno il contenuto, esempi sono le leggi di approvazione del bilancio e la legge di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali.

2.1 - la legge di approvazione del rendiconto consuntivo è un atto con il quale il quale il Parlamento esercita il controllo su un documento contabile presentato dal Governo, in cui sono riepilogati i dati relativi all’esercizio finanziario trascorso. La legge di approvazione del bilancio di previsione ha trattazione più complessa; è la Costituzione stessa a porre i limiti che la legge di bilancio non può in alcun modo aggirare, ad esempio l’art.81 vieta a questa legge di stabilire ‘nuovi tributi e nuove spese’. La legge di bilancio è atipica anche per la sua forza passiva, ha un’efficacia temporale limitata all’anno a cui si riferisce. 2.2 - i trattati internazionali sono ratificati con un’autorizzazione pervenuta con legge formale, essi “sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi” (art.80); gli altri trattati possono essere ratificati senza previa autorizzazione legislativa oppure conclusi e perfezionati dalla semplice sottoscrizione di un rappresentante del Governo.

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Il rafforzamento del procedimento legislativo può essere disposto solamente da una norma costituzionale. Se fosse una legge ordinaria a prevederlo si rischierebbe di ottenere una legge inutile e illegittima: inutile perché qualsiasi altro atto dotato della stessa forza potrebbe abrogarla o derogarla; illegittima perché invaderebbe la materia che è in parte posta dalla Costituzione e da essa riservata ai regolamenti delle Camere.

Il trattato internazionale è il frutto di un procedimento complesso e solenne. Questo comincia con una fasi di negoziazione fra gli Stati interessati, che si chiude con la firma da parte di un rappresentante del Governo. Vi sono poi la presentazione del disegno di legge e l’approvazione della legge di autorizzazione, in forza della quale il Presidente della Repubblica può procedere alla ratifica del trattato: la ratifica è l’atto formale e solenne con cui il PdR, come rappresentante dello Stato italiano, dichiara la volontà dello Stato di assumere gli obblighi e i diritti nell’ordinamento giuridico internazionale. Il procedimento è concluso e il trattato entra in vigore nel diritto internazionale.

Il Parlamento partecipa alla creazione dei trattati internazionali attraverso la legge di autorizzazione alla ratifica. La formula di autorizzazione della ratifica è fissa e gli effetti giuridici che derivano da questa formula si compiono all’interno dei rapporti tra gli organi costituzionali. Per questa ragione la legge si autorizzazione della ratifica è atipica: non ha forza attiva perché non innova le leggi ordinarie, ma è atipica anche in quanto a forza passiva. Nella maggior parte dei casi, la formula di autorizzazione è seguita dall’ordine di esecuzione, cioè dalla formula che serve a produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento.La Corte costituzionale ha esteso all’ordine di esecuzione due regole: la riserva di assemblea e la esclusione dal referendum abrogativo; mentre le Camere hanno esteso a quest’ordine la regola della non emendabilità.I trattati internazionali, benché debitamente ratificati, non sono direttamente applicabili nel nostro ordinamento finché non vengono emendate norme interne rivolte alla loro esecuzione.

5. LEGGE DI DELEGA E DECRETO LEGISLATIVO DELEGATO.La legge di delega è la legge con cui le Camere possono attribuire al Governo parte del proprio potere legislativo. Il decreto legislativo o decreto delegato è il conseguente atto con forza di legge emanato dal Governo. Lo strumento della delega legislativa è usato soprattutto per affrontare argomenti tecnicamente molto complessi e tecnici.

La delega al Governo di funzioni legislative è ovviamente un’eccezione alla regola per cui il potere legislativo è esercitato dal Parlamento (art.70). L’art.76 regola poi questo potere di delega:(A) la delega si conferisce solamente con legge formale, fa quindi parte delle materie per cui vige riserva di

legge formale, ed è inoltre una legge che deve essere approvata con il procedimento ordinario;(B) la delega può essere conferita solo al Governo , e non ai singoli componenti di esso;(C) l’art.76 prescrive che la legge di delega contenga delle indicazioni minime: C1 - deve indicare un oggetto definito, non può essere generale; il Parlamento si limita a tracciare la cornice normativa nel suo nuovo assetto legislativo della materia, affidando al Governo il compito di precisare il dettaglio delle singole parti del disegno; C2 - deve indicare un tempo limitato entro il quale il decreto deve essere emanato, la delega quindi ha un termine, non ci sono però criteri specifici per determinare la durata massima della delega; C3 - deve indicare i principi e i criteri direttivi che servono da guida per l’esercizio del potere delegato, la determinazione degli interessi da soddisfare e degli scopi da perseguire resta quindi una competenza riservata al Parlamento.Nella prassi legislativa si registra questo fenomeno: la carenza nella legge di delega di norme sostanziali che valgono come principi e criteri direttivi è spesso equilibrata dall’introduzione di norme procedurali.

Il potere esecutivo esercita le proprie funzioni attraverso la forma del decreto; decreti sono anche gli atti che il Governo emana nell’esercizio delle attribuzioni legislative che gli sono riconosciute dalla Costituzione. Il procedimento di formazione dei decreti delegati è il seguente: proposta del Ministro/i competente; delibera del Consiglio dei Ministri; emanazione da parte del PdR. Di tutte queste fasi deve essere data indicazione nella premessa del decreto.L’art.14 della legge 400 introduce una novità per quanto riguarda il nomen juris dei decreti delegati: essi vengono ora pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale con la denominazione di decreto legislativo e con al stessa numerazione progressiva delle leggi; in precedenza venivano emanati in forma di decreto del Presidente della Repubblica. Lo stesso articolo della legge, risolve anche un problema di dubbio interpretativo, se per evitare la scadenza della delega, bastasse che entro il termine prefissato fosse deliberato il decreto dal

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Fermo restando l’obbligo del Governo di adempiere agli oneri procedurali prescritti dalla legge di delega, resta aperto il problema di quale funzione possa la leggi di delega attribuire al parere. Le ipotesi possono essere 2: che si tratti di un parere obbligatorio o si un parere vincolante.Il parere obbligatorio, vincola solo a richiedere il parere; mentre il parere vincolante vincola ad adeguare la decisione finale d esso. In presenza di quest’ultimo, il soggetto che decide non è quello che richiede il parere ma quello che dà il parere. Con questo si modifica la natura stessa della legge di delega perché il destinatario della delega non è più il Governo ma il soggetto al quale questi chiede il parere.

Consiglio dei Ministri, o se invece fosse necessaria la sua emanazione da parte del PdR. La legge 400 indica la seconda ipotesi e prescrive che il decreto sia presentato alla firma del Capo dello Stato almeno venti giorni prima della scadenza.

Spessi la delega non è il contenuto principiale della legge approvata dal Parlamento, ma un suo completamento. Capita cioè che il Parlamento deleghi al Governo l’emanazione di norme di attuazione, coordinamento o transitorie. In queste deleghe manca solitamente un’indicazione dei ‘principi e criteri direttivi’ e quindi il potere normativo del Governo ne esce assai ridotto.Il testo unico è il risultato di un particolare tipo di delega accessoria con la quale il Governo coordina le leggi esistenti in un materia facendo un lavoro si semplificazione legislativa.

6. DECRETO-LEGGE E LEGGE DI CONVERSIONEIl decreto-legge è un atto con fora di legge che Il Governo ha la facoltà di adottare “in casi straordinari di necessità e urgenza”, esso entra in vigore subito dopo la pubblicazione, ma produce effetti provvisori, in quanto i decreti-legge “perdono efficacia sin dall’inizio” se il Parlamento non li converte in legge entro 60 giorni dalla pubblicazione. Ovviamente i decreti-legge non possono essere emanati per materie dove vi sia la riserva di assemblea.

Il decreto-legge deve essere deliberato dal Consiglio dei Ministri, emanato dal PdR e immediatamente pubblicato. La legge 400 enuncia che sia pubblicato “con la denominazione di decreto-legge e con l’indicazione nel preambolo, delle circostanze straordinarie di necessità e di urgenza che ne giustificano l’adozione, nonché dell’avvenuta deliberazione del Consiglio dei Ministri”, inoltre “deve contenere la clausola di presentazione al Parlamento per la conversione in legge”. Notiamo quindi che è il decreto-legge stesso a stabilire la sua entrata in vigore, che solitamente coincide con la data della pubblicazione, e sempre quello stesso giorno esso deve essere presentato alle Camere.

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Si afferma spesso che l’esercizio della delega si caratterizzato dall’obbligatorietà e dalla istantaneità. Per quanto riguarda la prima, non si può propriamente parlare di un obbligo giuridico di esercitare la delega, l’obbligo sarà più di tipo politico, ma è evidentemente tutt’altra questione. Le deleghe non attuate sono tutt’altro che infrequenti. Il carattere obbligatorio dell’esercizio della delega non è che il frutto di un equivoco: è stata anche la scusa utilizzata per giustificare il fatto che il Governo si affretti ad emanare il decreto delegato, in quanto atto necessario e improcrastinabile.Diversa è la questione dell’istantaneità. Il problema è se il potere delegato al Governo si estingua con l’emanazione del decreto delegato o se il Governo, sino alla scadenza fissata dalla legge di delega, possa emanare ulteriori decreti che integrino o modifichino quello già emanato. Molto dipende da come è scritta la legge di delega. Ormai è diffusa la prassi legislativa di prevedere esplicitamente, una doppia delega, con scadenze differenziate: così da consentire al Governo di far seguire, al decreto emanato in un primo tempo, altri decreti ‘correttivi’ ed anche ‘integrativi’.

I termini ‘codice’ e ‘testo unico’ indicano un tipo di tecnica legislativa.I T.U. si distinguono in due tipi: innovativi, che sono vere e proprie fonti del diritto (sono dei decreti delegati); di compilazione, che sono semplici raccolte della normativa esistente per comodità degli uffici amministrativi.

In caso di necessità immediata, come nel caso di calamità naturali, bisogna provvedere immediatamente, oppure rispettare la legalità e attendere i lunghi tempi della legislazione? Mancando una specifica regolamentazione costituzionale, si impose la prassi della decretazione d’urgenza; nonostante ciò la decretazione d’urgenza, anche se frequentissima, fu sempre vista come necessaria, ma illegale. Le corti di livello più elevato intervennero speso per annullare dei decreti-legge. In piena era fascista vi fu con una regolamentazione assai permissiva: Il decreto-legge doveva essere presentato in Parlamento entro 60 giorni, pena la scadenza, ma quando non convertito per inerzia parlamentare questo perdeva efficacia ex nunc due anni dopo la pubblicazione.

Con la presentazione alle Camere il Governo chiede che il decreto venga convertito il legge, viene quindi presentato come allegato ad un progetto di legge. Il procedimento legislativo per la conversione ha un termine tassativo di 60 giorni, esso presenta inoltre alcune variazioni rispetto al procedimento ordinario.

I meccanismi apprestati da Camera e Senato sono differenti.In Senato il regolamento prevede ancora il parere obbligatorio espresso preventivamente dalla Commissione affari costituzionali per quanto riguarda l’esistenza dei requisiti; mentre alla Camera il parere preventivo è stato eliminato e sostituito con dei filtri più complessi:- nella relazione di accompagnamento del Governo, deve essere dato conto dei presupposti di necessità ed

urgenza, inoltre devono essere descritti gli effetti e le conseguenze attese dalla conversione delle norme nell’ordinamento giuridico;

- la Commissione referente alla quale viene assegnato il disegno di legge di conversione può chiedere al Governo di integrare gli elementi forniti nella relazione;

- Il disegno di legge è sottoposto al Comitato per la legislazione, in quanto deve “contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo” ed il Comitato ha il compito di rendere effettiva questa disposizione.

La perdita di efficacia del decreto-legge si chiama decadenza, essa travolge tutti gli effetti prodotti dal decreto, anche la sentenza passata in giudicato. Una volta entrato in vigore, il decreto ha piena efficacia ma se decade tutti gli effetti vanno eliminati in quanto costituiscono degli illeciti.E’ ovvio che la situazione che si crea a seguito di una decadenza spesso risulta insostenibile, anche perché spesso non si può ripristinare la situazione precedente. L’art.77 presenta due strumenti con i quali si può apportare una soluzione al problema:(1) la legge di sanatoria degli effetti del decreto decaduto; è una legge riservata alle Camere con la quale si

possono “regolare ... i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti”. Notiamo però che il Parlamento quando non converte un decreto, non ha l’obbligo di approvare una legge di sanatoria, e in secondo luogo non si tratta comunque di una soluzione sempre applicabile.

(2) l’altro strumento si trova nell’art.72 “il Governo adotta, sotto sua responsabilità, provvedimenti provvisori...”, la responsabilità del Governo non è solamente politica, è un responsabilità giuridica a tutti gli effetti:

- responsabilità penale: i ministri rispondono singolarmente dei reati commessi nell’emanazione del decreto-legge, dopo il 1989 questa responsabilità viene fatta valere dalla giurisdizione ordinaria, deve però trattarsi di un vero e proprio reato corredato dall’elemento psicologico; - responsabilità civile: i ministri rispondono solidalmente degli eventuali danni prodotto a terzi; - responsabilità amministrativo-contabile: i ministri favorevoli al decreto-legge, rispondono solidalmente degli eventuali danni prodotto allo Stato (danno erariale), e se lo Stato ha dovuto risarcire terzi, esso può rifarsi sui ministri per il principio della solidarietà appena enunciato.Questi strumenti sono efficaci se visti sotto il profilo della garanzia degli interessi patrimoniali dei cittadini, molto meno invece se considerati sotto il profilo dell’interesse pubblico.

Se i decreti-legge fossero emanati solamente per le situazioni di calamità nessun tipo di problema si presenterebbe, ma addirittura i costituenti avevano pensato ad un uso più ampio del decreto-legge. Un esempio è quello dei decreti catenaccio che riguardano le imposte e i prezzi amministrati dallo Stato che, per prudenza è meglio adottare all’improvviso; seguendo questo tipo di ragionamento si tende ad utilizzare il decreto-legge per tutte le situazioni che sconsigliano di praticare la lunga via del procedimento legislativo.Si crea così un circolo vizioso. Il sempre maggior utilizzo del decreto-legge come soluzione alla lentezza dell’iter legislativo ordinario, porta a un ‘intasamento’ delle Camere; infatti il decreto-legge ha la priorità nell’ordine di lavoro delle Camere, in questo modo si allungano ulteriormente i tempi di approvazione delle leggi e si fa più necessario l’uso di decreti-legge. Ricordiamo però che il Parlamento mantiene la

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I presupposti per l’adozione di un decreto-legge sono: 1) casi straordinari (legati a circostanze eccezionali e non prevedibili), 2) di necessità (non prevedibili con normali strumenti legislativi), 3) e d’urgenza (rendono indispensabile produrre certi effetti).Per l’accertamento di questo presupposti operano il PdR in via preventiva, e la Corte costituzionale in via successiva. La Corte detiene tale potere in quanto i presupposti costituiscono dei requisiti di validità costituzionale dell’adozione del decreto ed inoltre un decreto abusivo presenterà un vizio non sanabile dal Parlamento.

facoltà di emendare i decreti-legge, oltretutto se questi vengono utilizzati per regolare una materia complessa è molto difficile che 60 giorni siano sufficienti per completare la conversione. Per questi motivi è invalsa la prassi della reiterazione del decreto-legge: scaduti i 60 giorni il Governo emana un nuovo decreto che riproduce senza, o con minime variazioni quello precedente. Ovviamente, tanto più un decreto viene reiterato, tanto più si allungherà la lista degli effetti precari da esso prodotti, ed anche qui ci ritroveremo nel circolo vizioso appena descritto: più decreti si emanano, più se ne dovranno emanare. Solamente la Corte costituzionale è riuscita a porre un argine alla prassi della reiterazione con la sent. 360/1996.

SENT. 360/1996: “il decreto-legge iterato o reiterato, per il fatto di riprodurre il contenuto di un decreto-legge non convertito, senza introdurre variazioni sostanziali, lede la previsione costituzionale sotto più profili: perché altera la natura provvisoria della decretazione d’urgenza procrastinando, di fatto, il termine invalicabile previsto dalla Costituzione per la conversione in legge; perché toglie valore al carattere ‘straordinario’ dei requisiti della necessità e dell’urgenza, dal momento che la reiterazione viene a stabilizzare e a prolungare nel tempo il richiamo ai motivi già posti a fondamento del primo decreto; perché attenua la sanzione della perdita retroattiva di efficacia del decreto non convertito, venendo il ricorso ripetuto alla reiterazione a suscitare nell’ordinamento un’aspettativa circa la possibilità di consolidare gli effetti determinati dalla decretazione d’urgenza mediante la sanatoria finale della disciplina reiterata.Su di un piano più generale, la prassi della reiterazione ... viene, di conseguenza, a incidere negli equilibri istituzionali, alterando i caratteri della stessa forma do governo e l'attribuzione della funzione legislativa ordinaria al Parlamento. Non solo. Questa prassi, se diffusa e prolungata, finisce per intaccare anche la certezza del diritto nei rapporti tra i diversi soggetti, per l’impossibilità di prevedere sia la durata nel tempo delle norme reiterate che l’esito finale del processo di conversione: ... e giustamente individua la soluzione del problema per il futuro, nel più rigoroso rispetto da parte del Governo dei requisiti della necessità e dell’urgenza.”Non solo si è così ridotto il numero dei decreti-legge, ma c’è stato altresì contenimento del numero degli articoli all’interno dei decreti.

La reiterazione viene quindi giudicata incompatibile con la disciplina costituzionale e diventa ammissibile soltanto quando il nuovo decreto “risulti fondato su autonomi motivi di necessità ed urgenza, motivi che, in ogni caso, non potranno essere ricondotti al solo fatto del ritardo conseguente alla mancata conversone del precedente decreto”. In caso di mancata conversione, l’intervento governativo “non potrà porsi in un rapporto di continuità con il decreto non convertito, ma dovrà, in ogni caso, risultare caratterizzato da contenuti normativi sostanzialmente diversi ovvero da presupposti giustificativi nuovi di natura straordinaria”.

Spesso il Governo approfittava della reiterazione per introdurre nel ‘nuovo’ decreto gli emendamenti già approvati in Parlamento; così facendo però spesso risultava che il testo che veniva infine convertito fosse molto differente da quello inizialmente presentato. La legge 400 recita: “le modifiche eventualmente apportate in sede si conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione, salvo che quest’ultima non disponga diversamente”, si tratta, come si può notare di una disposizione inutile in quanto non fa che ribadire il ben noto principio di irretroattività delle leggi. L’efficacia temporale degli emendamenti è legata alla natura dell’emendamento stesso; ecco il quadro riassuntivo delle ipotesi:(A) una disposizione del decreto è convertita senza emendamenti: si ha novazione della fonte, le norme del decreto

vengono sostituite con quelle della legge di conversione e retroagiscono;(B) una disposizione del decreto è soppressa dalla legge di conversione: avremo un emendamento soppressivo e quindi

la parte non convertita decade ex tunc, lo stesso accade con gli emendamenti sostitutivi che sia hanno quando la disposizione del decreto è sostituita in toto con quella della legge;

(C) una disposizione nuova viene aggiunta in sede di conversione al testo originale: avremo un emendamento aggiuntivo che opera secondo le normali regole ovvero secondo il principio di irretroattività;

(D) una disposizione del decreto viene parzialmente modificata: avremo un emendamento modificativo, la legge di conversione non dirà nulla circa gli effetti temporali dell'emendamento, spetta all’interprete venire a capo del problema.

Dopo la sentenza 360/1996 il Governo deve fare in modo che i suoi decreti siano sottoposti a meno emendamenti possibile per fare ciò può assicurarsi in anticipo un largo consenso nelle Camere, forzare la mano alle opposizioni usando lo strumento della questione di fiducia e riportare il decreto-legge al suo impiego tipico. Inoltre deve sollecitare il Presidenti delle Camere a dichiarare inammissibili gli emendamenti “che non siano strettamente attinenti alla materia del decreto-legge”.

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7. ALTRI DECRETI CON FORZA DI LEGGE.Nel nostro ordinamento esistono altri due decreti che occupano la posizione di atti con forza di legge, previsti da una fonte di rango costituzionale, e sono i decreti emanati da Governo in caso idi guerra e i decreti legislativi di attuazione degli Statuti speciali.

L’art.78 dispone che “le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari”

La dottrina ritiene che in delega il Governo possa emanare delle norme con forza di legge, che sarebbero autorizzati a sospendere determinate libertà costituzionali. Si tratta di atti extra ordinem che mantengono la necessità come super-fonte del diritto.

Gli Statuti delle Regioni speciali sono leggi costituzionali, e prevedono che l’attuazione dello Statuto e il trasferimento di poteri da Stato a Regione avvenga attraverso un atto particolare, ovvero un decreto legislativo emanato dal PdR su proposta di un’apposita commissione paritetica formata in parti uguali dal Governo e dall’assemblea regionale. Sono atti con forza di legge e la loro emanazione avviene senza delega legislativa del Parlamento.

8. REGOLAMENTI PARLAMENTARI (E DI ALTRI ORGNAI COSTITUZIONALI.Il regolamento parlamentare è un atto previsto dall’art.64, con cui la disciplina dell’organizzazione del funzionamento di ciascuna Camera è rimesso alla Camera stessa. Esso è approvato a maggioranza assoluta e pubblicato in Gazzetta Ufficiale. I regolamenti parlamentari sono fonti primarie, inferiori solamente alla Costituzione e dotate di un ambito di competenza riservato.

La definizione forza di legge è di tipo relazionale, nel senso che si riferisce alla capacità di una norma di modificare o essere modificata da un’altra; i regolamenti delle Camere non hanno però alcuna relazione con altre fonti primarie, quindi possiamo dire che hanno forza di legge?La Corte costituzionale con la sent. 154/1985 ha negato di poter sindacare la legittimità dei regolamenti parlamentari, poiché questi non rientrano tra le leggi e atti con forza di legge, sono una semplice espressione dell’indipendenza garantita al Parlamento. Nonostante ciò la posizione della Corte è complessa.1) La Corte costituzionale ha affermato di non poter sindacare la legittimità dei regolamenti investita di

una questione che riguardi la autodichia.2) La Corte ha però dichiarato di poter giudicare della legittimità delle leggi anche per quanto riguarda la

loro formazione, non si può quindi affermare che questa sia una questione interna all’organo.3) La Corte ha ammesso che il regolamento possa essere oggetto di conflitto di attribuzione tra Stato e

Regioni.4) Il regolamento parlamentare pur non essendo un atto normativo sindacabile dalla Corte è pur sempre

soggetto alla Costituzione e quindi la prevalenza di questa va assicurata.

Anche gli altri organi costituzionali hanno la stessa autonomia riconosciuta alle Camere?

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La Costituzione “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” art.11. Ma la guerra è però prevista come strumento di difesa. Il diritto di guerra prevede l’applicazione delle leggi militari, che però sembrano in contrasto con l’art.78 in quanto i bandi militari emanati dai comandanti, sono provvedimenti con forza di legge che hanno efficacia anche per i rapporti civili.

Dopo lo scioglimento della Camera dei fasci e delle corporazioni, la fonte primaria fu il rappresentata dal (regio) decreto-legge; in periodo di luogotenenza la decretazione d’urgenza assunse il nome di decreto-legge luogotenenziale, la Costituzione provvisoria introdusse il decreto legislativo luogotenenziale divenuti poi regi decreti legislativi, mentre tra il referendum istituzionale e l’elezione del provvisorio Capo dello Stato assunsero il nome di decreto legislativo presidenziale.

Il Governo sicuramente no, in quanto il ‘regolamento interno’ del Consiglio dei Ministri non è fonte primaria, il suo fondamento risiede nella legge ordinaria, e l’art.95 pone riserva di legge per l’ordinamento del Presidente del Consiglio e per l’organizzazione dei ministeri.Il PdR adotta del regolamenti per disciplinare i servizi della Presidenza, ma si tratta di semplici strumenti di gestioni amministrativa; non essendoci una previsione costituzionale per il potere regolamentare del PdR, esso non sarà un potere normativo.I regolamenti della Corte costituzionale creano dei problemi: la Costituzione pone riserva di legge costituzionale per la disciplina della proposizione dei giudizi di legittimità costituzionale e delle garanzie di indipendenza della Corte, e una riserva di legge ordinaria per la costituzione e il fondamento di essa.

9. IL REFERENDUM ABROGATIVO COME FONTE.Il referendum è la richiesta fatta al corpo elettorale di esprimersi direttamente su una determinata questione; si tratta quindi di uno strumento di democrazia diretta. Si può quindi dire che il referendum appare come una deroga se pensiamo che nel nostro ordinamento il principio è che la sovranità sia espressa attraverso la rappresentanza elettiva.Con referendum abrogativo il corpo elettorale può abrogare leggi o atti con forza di legge dello Stato; “è un atto fonte dell’ordinamento dello stesso rango della legge ordinaria”. Si tratta di una forma di legislazione negativa, nel senso che serve solo a togliere. Notare però che il fatto che con il referendum si possano togliere disposizioni non significa che non si possano introdurre nuove norme, come effetti della manipolazione del testo normativo.

Il referendum abrogativo richiede un procedimento lungo e difficile che parte con l’art.75 che ne prevede due tipi di proposta: da 500.000 elettori o da 5 Consigli Regionali:- richiesta popolare: un gruppo di almeno dieci cittadini iscritti nelle liste elettorali depositano in cancelleria

della Corte di cassazione il quesito che intendono sottoporre a referendum, ed entro tre mesi devono raccogliere le firme e depositare anche queste preso la cancelleria della Corte di cassazione;

- richiesta regionale: i Consigli di cinque Regioni devono approvare la richiesta a maggioranza assoluta e depositarla presso la cancelleria della Corte di cassazione;

- presso la Corte di cassazione viene istituito l’Ufficio centrale per il referendum, il quale controlla che le richieste siano conformi alla legge, questa fase si conclude con una decisione definitiva sulla legittimità dei quesiti assunta con ordinanza;

- i quesiti dichiarati legittimi passano alla Corte costituzionale per il giudizio di ammissibilità, parametro di giudizio della Corte è, ovviamente, la Costituzione, esistono però delle materie escluse dal referendum;

- se la Corte costituzionale dichiara ammissibile il referendum, il PdR fissa la data della votazione;- L’Ufficio centrale provvederà a controllare che la maggio parte degli aventi diritto abbia votato, se i no

superano i sì, il quesito non potrà essere riproposto prima di cinque anni;- se i sì superano i no, il PdR dichiara avvenuta l’abrogazione con un proprio decreto che viene pubblicato

nella Gazzetta e assume efficacia dal giorno successivo alla pubblicazioneLa procedura appena descritta si interrompe in caso di scioglimento delle Camere o nel caso in cui la legge venga abrogata prima dello svolgimento del referendum.

10. I REGOLAMENTI DELL’ESECUTIVO.Con il termine regolamento si possono indicare un gran numero di atti normativi. Abbiamo già affrontato i regolamenti che hanno una posizione particolare all’interno del sistema delle fonti, esistono poi anche regolamenti emanati dagli organi delle Regioni e degli enti locali, ed anche gli importanti regolamenti della Comunità europea. In alcuni casi però il termine regolamento indica degli atti tipici fonti dell’ordinamento giuridico generale, stiamo parlando dei regolamenti amministrativi.I regolamenti amministrativi sono atti sostanzialmente legislativi ma formalmente amministrativi, difatti essi non si distinguono dalle leggi ordinarie per contenuto o importanza. I regolamenti dell’esecutivo sono atti normativo spesso complessi emanati dagli organi dell’esecutivo attraverso un procedimento che manca delle garanzie di controllo parlamentare. Essendo i regolamenti dell’esecutivo una fonte secondaria, lo spazio che essi occupano è determinato dalla legge.

La Costituzione non disciplina i regolamenti dell’esecutivo, ma la riforma costituzionale del Titolo V ha stabilito il principio del parallelismo fra funzioni legislative e funzioni regolamentari, limitando la potestà del

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Governo di emanare regolamenti alle sole materie sulle quali lo Stato ha potestà legislativa esclusiva.Le condizioni di validità di questi regolamenti vanno ricercate nella legge, e da qui abbiamo due particolari conseguenze: le fonti secondarie sono modellabili dalla legislazione ordinaria e i regolamenti dell’esecutivo non hanno uno spazio garantito.La disciplina generale del potere regolamentare dell’esecutivo è contenuta nelle Preleggi e nell’art.17 della legge 400.Le Preleggi dedicano due articoli ai regolamenti; l’art.3 dice che “il potere regolamentare del Governo è disciplinato da leggi di carattere costituzionale” mentre “il potere regolamentare di altre autorità è esercitato nei limiti delle rispettive competenze, in conformità delle leggi particolari”. L’articolo successivo poi inserisce i regolamenti nella struttura gerarchica “I regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi” mentre i regolamenti di altre autorità “non possono nemmeno dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo”.Anche l’art.17 della legge 400 ripete la distinzione fra regolamenti del Governo e quelli di altre autorità dell’esecutivo; per i regolamenti governativi il potere normativo è fondato dall’art.17 stesso, mentre per i regolamenti ministeriali il potere deve essere espressamente conferito dalle singole leggi ordinarie. Successivamente l’art.17 riprende la scala gerarchica interna ai regolamenti dell’esecutivo: i regolamenti governativi sono superiori a quelli ministeriali. Si tratta di una gerarchia imposta da una legge ordinaria e non dalla Costituzione.Il procedimento di emanazione per i regolamenti governativi è differente da quello per i regolamenti ministeriali.I regolamenti governativi vengono deliberati dal Consiglio dei Ministri, previo parere del Consiglio di Stato (parere obbligatorio ma non vincolante); il regolamento viene poi emanato dal PdR con proprio decreto, per essere efficace deve però superare il controllo di legittimità da parte della Corte dei conti, la quale provvederà al visto e alla registrazione, alle quali seguirà la pubblicazione in Gazzetta.I regolamenti ministeriali sono invece emanati dal Ministro, sempre previo parere del Consiglio di Stato, lo stesso varrà per i regolamenti che interessano più ministri (decreto interministeriale); prima dell’emanazione devono essere comunicati al Presidente del Consiglio che può sospenderne l’adozione; anch’essi sono soggetto al controllo della Corte dei conti e pubblicati in Gazzetta.

La legge 400 distingue diverse tipologie di regolamento governativo; queste si basano sul diverso rapporto che il regolamento avrebbe con la legge, con la riserva di legge e con le competenze legislative delle Regioni.(a) regolamenti di esecuzione delle leggi; sono regolamenti che il Governo adotta quando vi è la necessità di

emanare norme che assicurino l’operatività della legge e dei decreti con forza di legge. Questi possono avere funzione interpretativa, applicativa, oppure di disciplinare le modalità procedurali per la loro applicazione; possono incontrare un limite costituzionale laddove vi sia una riserva assoluta di legge. Nonostante ciò si ritiene che in materie sottoposte a riserva assoluta di legge possano essere emanati dei regolamenti di stretta esecuzione, a condizione però che la loro funzione sia limitata a predisporre gli strumenti amministrativi e procedurali necessari a rendere operativa la legge.

(b) regolamenti d’attuazione: sono emanati per “l’attuazione e l’integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio, esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale”, parliamo quindi della ripartizione di compiti normativi fra legge e regolamento in presenza di una riserva di legge relativa: alla legge sono destinati i principi della materia, ai regolamenti la disciplina di dettaglio.

(c) regolamenti indipendenti: sono emanati “nelle materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge”, lo spazio operativo questi regolamenti è estremamente limitato.

(d) regolamenti di organizzazione: sono un residuo storico della competenza dell’esecutivo sull’organizzazione dei pubblici uffici; oggi la materia è coperta da un riserva relativa di legge, per cui i regolamenti di organizzazione non sono diversi da quelli di esecuzione o di attuazione.

Per quanto riguarda i regolamenti ministeriali il problema di classificazione non di pone in quanto possono essere emanati solamente quando una legge conferisce tale potere; nella prassi accade poi che sia un regolamento governativo a prevederli. Il controllo preventivo di legittimità viene effettuato dalla Corte dei conti e l’impugnazione successiva va fatta di fronte al giudice amministrativo.

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L’art.17 della legge 400 disciplina il fenomeno dei regolamenti delegati la cui particolarità è quella di provocare un apparente effetto abrogativo delle leggi precedenti. La loro funzione è infatti quella di produrre la delegificazione, ovvero la sostituzione della precedente disciplina di livello legislativo, con una di livello regolamentare; essa si propone quindi come rimedio alla espansione ipertrofica della legislazione ordinaria.

Il regolamento amministrativo non può né abrogare le leggi, né può essere autorizzato a farlo. L’art.17 della legge 400 dice: è la legge ordinaria a disporre l’abrogazione della legislazione precedente, facendo però decorrere l’effetto abrogativo dalla data di entrata in vigore del regolamento. Si tratta di un regolamento governativo di attuazione, che non può essere previsto in materie coperte da riserva assoluta di legge.

Leggi e regolamenti esauriscono il sistema delle fonti atto statali? Il principio di tipicità delle fonti-atto, richiede che l’ordinamento giuridico determini con esattezza i procedimenti e le forme con cui possono essere prodotte le norme generali ed astratte a cui tutti dobbiamo attenerci e che giudici e apparati amministrativi devono applicare. Questo principio è assolutamente tassativo per le fonti primarie, lo stesso non può dirsi delle fonti sub-primarie, perché la loro disciplina è affidata alla legge ordinaria.Le stesse leggi generali in materia di produzione normativa s’impongono all’esecuzione e ne disciplinano i comportamenti anche nella produzione normativa, ma non sono accreditate della ‘forza passiva’ necessaria per imporsi alle altre leggi.L’attribuzione di un atto alla categoria dei regolamenti segue criteri sostanziali e non formali: se l’atto contiene norme generali e astratte che si rivolgono ai consociati e innovano all’ordinamento giuridico, quello è un regolamento amministrativo. Esistono dei processi in corso nella società che spingono verso la proliferazione di atti regolativi anomali. Uno è il venir meno dei poteri di direzione politica dell’economia; vi è qui una produzione di regole generali ed astratte da parte di autorità indipendenti attraverso un processo negoziale fra autorità pubblica e operatori privati. Un altro è l’attenuazione della supremazia dello Stato rispetto al sistema delle autonomie locali, qui gli atti di programmazione negoziata son frutto di negoziazione politica e normativa che si collocano sulla soglia tra l’atto meramente politico e l’atto giuridico produttivo di effetti normativi.Dalla semplice contrapposizione tra precetto generale ed astratto e precetto singolare e concreto, nasce il problema degli atti amministrativi generali. Solitamente generali ed astratti sono gli atti normativi, mentre singolari e concreti sono le sentenze e i provvedimenti. Esistono però degli atti che sembrano valicare questa divisione, principalmente parliamo di ordinanze amministrative che possono essere emanate in caso di urgenza e necessità, in base a specifiche previsioni di legge, anche in deroga alle disposizioni di legge. Altri atti appartenenti alla categoria sono i bandi di concorso e gli atti interni alla pubblica amministrazione.

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La riserva di legge serva a limitare o escludere il ricorso al regolamento amministrativo, imponendo al legislatore l’obbligo di disciplinare egli stesso la materia, almeno per linee generali. Questo accade perché mentre il procedimento legislativo ordinario è caratterizzato dalla pubblicità, per permettere alle opposizioni di partecipare alle decisioni; il procedimento decisionale del Governo è caratterizzato dalla riservatezza. Nonostante esso sia espressione della volontà del corpo elettorale di farsi rappresentare da determinati individui, la partecipazione dell’opposizione a giustificare la riserva di legge come istituto di garanzia.

Delegificazione, deregolamentazione e semplificazione, sono tre termini che esprimono concetti ben diversi. La delegificazione è un abbassamento del livello della disciplina normativa nella speranza di velocizzare l’adeguamento delle regole alla realtà. La deregolamentazione (deregulation) punta invece a una drastica riduzione dell’insieme delle regole che imbrigliano l’attività dei privati in un certo settore, nella convinzione che l’iniziativa privata e il mercato possano finalmente riespandersi. La semplificazione intende invece eliminare o attenuare, il peso e i costi dei procedimenti burocratici.Delegificare non significa quindi ridurre il numero di norme, anzi. La deregulation importa una semplificazione amministrativa, una riduzione di procedimenti, oneri, etc.

FONTI COMUNITARIE

1. IL SISTEMA DELLE FONTI COMUNITARIE.Per cominciare a parlare di fonti comunitarie bisogna partire dalla distinzione fra diritto convenzionale, le cui fonti sono i trattati con i quali è stata istituita la Comunità europea, e il diritto derivato che è costituito dagli atti normativi con i quali si esprimono i poteri normativi degli organi della Comunità.La Corte di giustizia della Comunità europea è stata istituita per garantire la supremazia della diritto convenzionale rispetto a quello derivato; essa ha giurisdizione esclusiva per quanto riguarda l’interpretazione del Trattato e del diritto derivato, nonché del giudizio di legittimità sul diritto derivato

Le fonti del diritto derivato si distinguono in vincolanti e non vincolanti. Le fonti non vincolanti sono formate dalle raccomandazioni CE (inviti agli Stati a conformarsi ad un certo comportamento) e i pareri (esprimono il punto di vista di un organo su un determinato oggetto); sono atti privi di efficacia giuridica e non esprimono norme.Le fonti vincolanti sono invece atti normativi e si distinguono in tre tipologie:(a) Regolamenti CE: hanno le caratteristiche tipiche della legge di portata generale e obbligatorietà erga

omnes, ma più importante di tutte è la caratteristica della diretta applicabilità;(b) Direttive CE: sono atti normativi rivolti agli Stati che li obbligano rispetto al risultato ma non rispetto ai

mezzi per ottenerlo; nella prassi la direttiva spesso fornisce discipline particolareggiate (direttive dettagliate) in modo da limitare la discrezionalità statale

(c) Decisioni CE: posseggono le caratteristiche tipiche dei provvedimenti amministrativi, sono inoltre obbligatori in tutti i loro elementi e sono direttamente applicabili, hanno però portata specifica, ovvero si rivolgono a soggetti specifici.

La diretta applicabilità esprime la potestà legislativa affidata agli organi comunitari, è definita nel Trattato, quale determina anche quando e come i regolamenti debbano essere emanati.La nozione di effetto diretto ha invece una diversa portata concettuale, essa riguarda le norme e quindi una nozione definita dall’interprete, in questo caso dalla Corte di giustizia della Comunità europea. L’effetto diretto è la capacità della norma comunitaria di creare diritti e obblighi direttamente in capo ai singoli; questa capacità discende dalla singola disposizione e dalla norma che se ne può ricavare, è quindi un lavoro svolto dall’interprete. Questa nozione è stata creata per garantire la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno. Questo significa che il singolo può indicare la norma comunitaria e lo Stato membro non può appellarsi alla mancata attuazione dell’atto comunitario; troviamo quindi una componente sanzionatoria per lo Stato negligente e una componente di garanzia per i singoli.

Se incrociamo la caratteristica tipologica che in astratto connota alcuni atti-fonte, la diretta applicabilità, con la caratteristica che in concreto connota determinate norme, l’efficacia diretta, possiamo avere quattro possibilità:1) norme direttamente efficaci (self-executing) espresse da atti direttamente applicabili: caratterizzano i regolamenti

CE, con l’entrata in vigore di uno di essi si producono effetti giuridici senza alcuna interposizione del legislatore nazionale;

2) norme non direttamente efficaci espresse da atti direttamente applicabili: alcuni regolamenti Ce definiscono un quadro normativo che deve essere attuato da altri regolamenti CE o da norme nazionali;

3) norme direttamente efficaci (self-executing) espresse da atti non direttamente applicabili: sono per lo più i divieti posti da direttive dettagliati o dagli stessi trattati;

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Sent. Van Gend & Loos - 1963 - il diritto comunitario “indipendentemente dalle norme emanate dagli Stati membri, nello stesso modo in cui impone doveri ai singoli, attribuisce loro dei diritti soggettivi” e che gli Stati membri “hanno riconosciuto al diritto comunitario un’autorità tale da poter essere fatto valere dai loro giudici (nazionali)”. Per questo motivo costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale; da qui nasce la dottrina dell’efficacia diretta.Sent. Francovich - 1991 - “sarebbe messa a repentaglio la piena efficacia delle norme comunitarie e sarebbe infirmata la tutela dei diritti da esse riconosciuti se i singoli non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento ove i loro diritti siano lesi da una violazione del diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro”. Si affaccia ora il principio di responsabilità derivante dall’omissione legislativa.

4) norme non direttamente efficaci espresse da atti non direttamente applicabili: sono le norme che derivano dalle direttive CE, non sono in grado di far sorgere posizioni soggettive azionabili senza un preventivo intervento attuativo del legislatore nazionale.

2. RAPPORTI TRA NORME COMUNITARIE E NORME INTERNE.La già nominata prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno, segna un perdita di parte della sovranità nazionale, che viene in questo modo limitata.In quasi tutti gli Stati l’adesione alla Comunità europea è stata accompagnata da riforme costituzionali. Non in Italia, qui l’unica fonti che disciplina l’adesione dell’Italia è la legge di ratifica del Trattato di Roma e ovviamente l’ordine di esecuzione in essa contenuto. La domanda che sorge spontanea è se questi siano sufficienti per disporre una cessione della sovranità. La Corte costituzionale ha risposto di dì, appellandosi all’art.11 secondo il quale l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni”. Il risultato di questa interpretazione è però la mancanza di una vera disciplina dei rapporti tra l’ordinamento italiano e quello comunitario; per questo motivo l’intera disciplina è stata elaborata dalla giurisprudenza costituzionale. Con la riforma del Titolo V l’art.117 ha inserito un riferimento esplicito agli obblighi comunitari.

Cosa succede se una norma comunitaria è in contrasto con una norma interna? La Corte ha dato risposta a questo quesito applicando nel tempo i diversi criteri di risoluzione delle antinomie.Inizialmente ha applicato il criterio cronologico, ma la Corte di giustizia non approvava questo metodo mettendo esso a repentaglio la supremazia delle leggi comunitarie. Sicché la Corte costituzionale cominciò ad applicare il criterio gerarchico: le leggi italiane in contrasto con un precedente regolamento CE dovevano essere impugnate davanti alla Corte costituzionale per violazione indiretta dell’art.11. Per il successivo cambio di giurisprudenza vale la pena segnalare il caso Granital di cui basti ricordare che per l’interpretazione della normativa comunitaria sui dazi, la Corte costituzionale impiegò 12 anni per emanare un verdetto. Con l’applicazione del criterio gerarchico negli anni che intercorrono fra l’impugnazione della legge italiana e l’entrata in vigore di quella comunitaria, quest’ultima rimane inattesa. La sent. 170/1984 o Granital si sviluppa sui seguenti punti:1. la teoria dualistica, l’ordinamento comunitario e quello italiano sono due ordinamenti giuridici autonomi

e separati, ognuno dotato di un suo sistema di fonti;2. la normativa comunitaria “non entra a far parte del diritto interno” non esiste neppure un vero conflitto fra

fonti interne e fonti comunitarie;3. è il Trattato che segna la “ripartizione delle competenze” tra i due ordinamenti; le norme giuridiche emanate

dalla Comunità europea si impongono nell’ordinamento italiano, non perché abbiano forza di legge ma per la forza che viene esse conferita dal trattato;

4. i conflitti fra le norme devono essere risolti dal giudice italiano secondo il criterio della competenza, la norma competente va applicata, quella non competente no.

Il quadro dei rapporti tra norme comunitarie e norme interne può quindi riassumersi così:(A) Contrasto tra legge ordinaria e norme CE self-executing: va applicata la legge comunitaria e quella italiana

non va applicata, è però una regola che vale solo e per tutte le norme comunitarie munite di effetto diretto, ed è una regola diretta a tutti i soggetti dell’applicazione del diritto;

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Art.101: “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”, la funzione giudiziaria è autonoma e il giudice è libero in quanto svolga la sua funzione nell’ambito della legge. Il principio secondo il quale se un giudice trova una legge in contrasto con la Costituzione non può semplicemente disapplicarla ma deve interrompere il giudizio e rimetterlo alla Corte costituzionale viene sovvertito quando si parla di una norma comunitaria in disaccordo con la Costituzione. Il perché possiamo trovarlo nella differenza fra ‘disapplicazione’ e ‘non applicazione’.La disapplicazione è un effetto che evoca un vizio dell’atto, quindi tale ipotesi implicherebbe un giudizio sulla validità; la non applicazione invece è semplicemente il frutto di una scelta della norma competente a disciplinare la materia. In sostanza la disapplicazione può apparire come un accertamento di illegittimità con effetti inter partes, mentre la non-applicazione implica solo la definizione dell’ambito di applicazione di norme che si suppongono tutte valide. La Corte europea non può accettare che in uno Stato membro siano ritenuto valide e restino in vigore leggi contrarie alle norme comunitarie, affidando al singolo giudice il compito di non applicarle di volta in volta nel singolo caso.

(B) Contrasto tra legge ordinaria e norme CE non self-executing: finché la norma comunitaria non è attuata, si applica la vecchia normativa italiana, e dopo che sarà attuata si applica la nuova normativa italiana, il giudice italiano può sempre sollevare la questione di legittimità costituzionale quando pensi che la legge italiana sia in contrasto con la norma comunitaria;

(C) Contrasto tra norme sub-legislative e norme CE: il contrasto tra regolamento o procedimento amministrativo e norma comunitaria è risolto applicando il criterio di gerarchia in quanto il regolamento o procedimento sarebbe illegittimo;

(D) Contrasto tra norme costituzionali e norme comunitarie: le norme comunitarie possono derogare alle norme costituzionali di dettaglio ma non ai principi fondamentali della costituzione (teoria dei controlimiti).

Il vero problema si ha quando una norma comunitaria leda un principio fondamentale della Costituzione. Innanzitutto va detto che gli atti normativi della Comunità europea sono, per il nostro ordinamento, ancora concepiti come fatti normativi, ovvero atti di quell’ordinamento che possono essere impugnati davanti al giudice di legittimità di quell’ordinamento, ma non davanti alla Corte costituzionale. Quindi, se una norma comunitaria lede un principio costituzionale, la sola possibilità è impugnare l’unica disposizione con forza di legge del nostro ordinamento, in forza della quale tutte le norme comunitarie devono essere applicate in Italia, ovvero l’ordine di esecuzione del Trattato.

La teoria dualistica si basa su di una visione tradizionale della natura della Comunità europea, ovvero essa viene vista come un’organizzazione comune creata da Stati sovrani attraverso il diritto internazionale. Essa ha però forma mutante che non rientra in nessuna categoria tradizionale e per questo motivo la teoria dualistica appare inadatta a descrivere i reali rapporti che intercorrono tra i due ordinamenti.

L’aspetto più paradossale della teoria dualistiche è appunto che vi sono due ordinamento automi e distinti ma uniti per quanto riguarda l’applicazione del diritto. I giudici saranno quindi soggetti all’applicazione di norme di due ordinamenti, e dovranno portarli a unità; il giudice nazionale opera quindi come primo anello di due diverse catene: quella nazionale e quella comunitaria. Ecco i passi che deve compiere il giudice incontrando un contrasto tra norma interna e norma comunitaria.I) Come prima cosa il giudice dovrà decidere della competenza; ovviamente nel caso in cui esista una

norma comunitaria, significa che la Comunità presuppone il suo potere su quella determinata materia, se però il giudice è convinto del contrario potrà impugnare l’atto di fronte alla Corte di giustizia (rinvio pregiudiziale di validità).

II) Il giudice dovrà poi verificare se la norma comunitaria abbia effetto diretto o meno, trattandosi di una questione d’interpretazione, potrà sospendere il giudizio e sollevare una questione pregiudiziale di interpretazione di fronte alla Corte di giustizia, egli potrà riprendere il giudizio applicando la norma qualora la Corte gliela indichi come self-executing.

III) Se la norma comunitaria esprime un principio, il giudice, in caso di dubbio, può sollevare la questione pregiudiziale di interpretazione; la Corte di giustizia può a questo punto, ricavare dall’interpretazione delle disposizioni comunitarie con caratteristiche sufficienti a produrre effetti diretti; il giudice quindi, ritrovandosi con una norma self-executing procederà applicandola e disapplicando la norma interna.

IV) Se il giudice accerta che la norma comunitaria non è self-executing, può impugnare la legge italiana contrastante di fronte alla Corte costituzionale.

V) Se il giudice dubita della compatibilità della norma comunitaria con i principi supremi della Costituzione, impugna l’ordine di esecuzione del Trattato di fronte alla Corte costituzionale, anche se potrebbe preferire impugnare direttamente la norma comunitaria davanti alla Corte di giustizia.

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Tutta la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia comunitaria si basa sul principio di netta separazione delle competenze fra Comunità europea e Stato. Questa separazione non è però così netta. Il Trattato di Maastricht riafferma il principio di attribuzione (le istituzioni comunitarie fanno quanto è loto assegnato dai trattati). Il principio di sussidiarietà invece, anch'esso introdotto dal Trattato di Maastricht serve a promettere una riduzione dell’azione comunitaria. Il problema è che questo principio non fissa un riparto di competenze ma anzi, annuncia che non vi è più un tale assetto rigido preventivamente determinato: è l’opportunità, non il diritto, a dire che fa che cosa. Il giudice quindi dovrà seguire la ripartizione di competenza stabilita e garantita dal Trattato per stabilire quale sia l’ordinamento competente.

Per quanto riguarda invece il comportamento della Corte costituzionale in relazione alle questioni che sorgono sulla compatibilità delle leggi italiane con le norme comunitarie:(a) se il giudice nazione impugna la legge italiana di fronte alla Corte costituzionale senza averne

preventivamente accertato se la norma comunitaria violata abbia o meno effetto self-executing, la Corte dichiarerà immediatamente la questione non ammissibile, in quanto il giudice non ha valutato la rilevanza della norma nel ‘suo’ giudizio;

(b) la Corte ritiene invece di sindacare la compatibilità delle leggi italiane con tutte le norme comunitarie, anche self-executing, se la questione le è prospettata in via principale.

3. L’ATTUAZIONE DELLE NORME COMUNITARIE.Con la legge La Pergola, modificata poi nel 2005, viene disciplinata la partecipazione del Parlamento e delle Regioni al processo decisionale comunitario e l’esecuzione degli obblighi comunitari.La legge comunitaria è una legge che ogni ano viene approvata ed essa deve contenere:- le disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi

comunitari;- le disposizioni necessarie all’esecuzione dei trattati internazionali conclusi;- le disposizioni necessarie ad attuare norme comunitarie;- le disposizioni che individuano i principi fondamentali nel rispetto dei quali le Regioni devono dare

attuazione agli atti comunitari nelle materie di competenza legislativa concorrente;- le disposizioni emanate nell’esercizio del potere sostitutivo del Governo.Concludiamo dicendo che le direttive comunitarie possono essere attuate seguendo tre diverse modalità:1) attraverso legge comunitaria o un’altra legge parlamentare;2) attraverso decreti legislativi sulla base della delega contenuta nella legge comunitaria;3) attraverso regolamenti del Governo.

GIUSTIZIA COSTITUZIONALE

1. CHE COS’E’ LA GIUSTIZIA COSTITUZIONALE?Per giustizia costituzionale s’intende un sistema di controllo giurisdizionale del rispetto della Costituzione, essa è la principale garanzia della rigidità della Costituzione.Per una Costituzione rigida è naturale che si sviluppi un sistema di controllo di legittimità costituzionale delle leggi; infatti se non fosse possibile sindacare una legge in contrasto con la Costituzione, quest’ultima perderebbe il sui significato giuridico e a nulla servirebbero le norme che prescrivono particolari procedure per la sua revisione. Essa perderebbe la sua prevalenza giuridica rispetto alle altre fonti.

I modello di controllo giurisdizionale delle leggi si dividono i grandi famiglie.(1) La prima distinzione è fra sindacato preventivo e sindacato successivo (rispetto all’entrata in vigore della

legge). Tipico esempio di sindacato preventivo è quello francese, dove la Costituzione del 1958 ha introdotto l’organo del Conseil constitutionel con la funzione di garanzia alla divisione di competenze fra Governo e Parlamento (i quali si ripartiscono la potestà normativa). Si tratta di intervento preventivo, in quanto parte del procedimento legislativo.

(2) Nell’ambito dei sistemi a sindacato successivo, c’è da distinguere i sistemi a sindacato diffuso e i sistemi a sindacato accentrato. Nei sistemi a sindacato accentrato vi è un unico organo che può compiere il giudizio di legittimità delle leggi (tipico dei paesi di civil law). Nei sistemi a sindacato diffuso invece ogni giudice può esaminare la compatibilità delle leggi con la costituzione, traendone una sua propria conclusione, è chiaro quindi che l’incostituzionalità così provata potrà avere effetto solamente inter

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Non appartiene alla tradizione francese l’idea che una legge del Parlamento sovrano possa essere sindacata da un giudice in quanto essa espressione di un organo legittimato dal corpo elettorale (cosa che invece il giudice non è). Tuttavia la Costituzione afferma che il Conseil giudica della conformità delle leggi alla Costituzione, e non solo al riparto di poteri normativi in essa compiuto.

partes e portare quindi alla disapplicazione delle legge nel caso singolo (tipico dei sistemi di common law dove vige la regola dello stare decisis e del precedente vincolante).

(3) Nell’ambito dei sistemi a sindacato accentrato è necessario poi distinguere due ulteriori modelli di giudizio a seconda della via d’accesso ad esso: il giudizio in via diretta e il giudizio in via indiretta. In un giudizio in via diretta nasce da un ricorso presentato direttamente alla Corte costituzionale, serve a garantire i diritti e le prerogative costituzionali ed è esperibile nei confronti di qualsiasi atto o comportamento degli apparati pubblici, nonché degli atti legislativi; ma solo ed esclusivamente, quando ogni altra via giurisdizionale di difesa sia impraticabile. Ne sono esempio il Verfassungsbeschwerde e il recurso de amparo constitucional, che offrono al cittadino un forte strumento di difesa che costituisce però la risorsa estrema. Il giudizio in via indiretta invece è più un incidente nel corso di un giudizio normale: il giudice sospende il giudizio quando sia in dubbio sulla legittimità della norma da applicare, e presenta la questione alla Corte costituzionale. Sarà quindi il giudice a selezionare i quesiti da porre alla Corte.

Il modello italiano di giustizia costituzionale è prevalentemente (ma non esclusivamente) orientato verso un giudizio successivo, accentrato e ad accesso indiretto.A. Esiste anche una forma di sindacato preventivo su impugnazione del Governo, degli Statuti regionali e

della legge statutaria delle Regioni speciali e per i regolamenti amministrativi governativi o ministeriali.B. Il sindacato diffuso sulle leggi può attivarsi in caso di funzionamento della Corte costituzionale. C’è da

ritenere che in caso di necessità siano i giudici ordinari a sollevare le controversie circa la costituzionalità delle leggi. La struttura del giudizio incidentale fa in modo che i giudici di merito svolgano una prima valutazione della legittimità costituzionale, filtrando solo quelle questioni che appaiono più serie.

C. Il giudizio in via diretta è previsto dalla nostra Costituzione, ma come strumento riservato solo allo Stato, quando impugna la legge regionali e alla Regione, quando impugna la legge dello Stato o di un’altra Regione. A BZ: lo Statuto prevede che la maggioranza dei consiglieri appartenenti ad uno dei tre gruppi linguistici possa chiedere che una determinata legge venga votata per gruppi linguistici: se la richiesta è respinta o se al legge è approvata nonostante il voto contrario di 2/3 del gruppo linguistico che l’ha presentata, la maggioranza del gruppo stesso può impugnare direttamente la legge davanti alla Corte costituzionale.

Il giudizio di legittimità costituzionale delle leggi è uno strumento attraverso il quale viene estesa l’applicazione del principio di legalità a che alla funzione legislativa. Ma quasi sempre le costituzioni moderne estendono ulteriormente l’ambito di applicazione di questo principio a questioni che in precedenza erano lasciate alla politica.(a) Nei sistemo federali è normale che sia affidato alla giustizia costituzionale il compito di dirimere i

conflitti che insorgono tra gli Stati federati e tra questo e lo Stato federale (Belgio - post riforma federale viene istituito un organo giurisdizionale con il compito di risolvere le controversie che possono sorgere tra le entità federate), lo stesso vale per gli Stati regionali.

(b) Alla giustizia costituzionale sia attribuito il compito di risolvere i conflitti che insorgono tra gli organo costituzionali, si tratta di evitare che, attraverso gli accordi tra le forze politiche o la prassi istituzionale, la fora di governo venga a subire trasformazioni che l’allontanino dall’assetto tracciato dalla Costituzione.

(c) Agli organi della giustizia costituzionale è domandato il compito di giudicare i reati commessi dal Capo dello Stato o da membri del Governo. Si tratta infatti di una giustizia penale molto particolare ed inoltre il principio della divisione dei poteri mal tollererebbe che un giudice ordinario, appartenente al potere giurisdizionale, possa paralizzare con l’impeachment un altro potere costituzionale.

La Corte costituzionale è competente a giudicare:- “sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti con forza di legge, dello Stato e delle

Regioni”; “le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale”- “sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato”- i conflitti di attribuzione “tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni”- “sulle accuse promosse contro il PdR a norma della Costituzione”

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2. LA CORTE COSTITUZIONALE.La Corte costituzionale non può essere rappresentativa, perché l’organo chiamato a difendere la legalità costituzionale non può essere espressione della maggioranza. La Costituzione rigida ha bisogno di un organo neutro, ma neutro rispetto a cosa?(1) Neutralità rispetto alla politica. In Italia è la Costituzione stessa che indica i requisiti professionali dei

componenti della Corte: “fra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria e amministrativa, i professori ordinari di università di materie giuridiche e gli avvocati dopo 20 anni di servizio” art.135

(2) Neutralità rispetto alla parti. In Italia l’organizzazione regionale della Repubblica non si riflette in alcun modo sulla composizione della Corte costituzionale, essa è dettata dalla natura pattizia della Costituzione, sono infatti i poteri politici dello Stato a dividersi le nomine dei 15 giudici costituzionali:

- 5 nominati dal Presidente della Repubblica per convenzione senza alcuna proposta governativa; - 5 nominati dalle supreme magistrature ordinaria e amministrativa e per maggiore precisione, 3 dai magistrati di Cassazione, 1 da quelli del Consiglio di Stato e 1 dalla Corte dei conti; - 5 eletti dal Parlamento in seduta comune a scrutinio segreto con la maggioranza di 2/3(3) Neutralità rispetto agli interessi politici e privati, che è la più difficile da garantire. In Italia i giudici

durano in carica 9 anni e il loro mandato non è rinnovabile, inoltre vige un severo regime di incompatibilità che riguarda non solo le cariche politiche ‘elettive’ ma anche la professione.

Ricco è il complesso di garanzie attraverso il quale la Costituzione e le leggi cercano di assicurare la neutralità della Corte costituzionale.(A) Immunità e improcedibilità. “I giudici della Corte costituzionale non sono sindacabili, né possono essere perseguiti

per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”, inoltre essi godono della stessa immunità personale accordata ai parlamentari.

(B) Inamovibilità. I giudici della Corte costituzionale non possono essere rimossi né sospesi dal loro ufficio se non a seguito di una deliberazione della Corte stessa, presa a maggioranza di 2/3 dei presenti e solo per sopravvenuta incapacità fisica o civile o “per gravi mancanze nell’esercizio delle loro funzione”, notare però che un giudice decade dalla carica se non esercita per sei mesi le sue funzioni.

(C) Convalida delle nomine. Spetta alla stessa Corte costituzionale e si tratta di un giudizio che comporta esclusivamente il riscontro dell’esistenza dei requisiti soggettivi di ammissione.

(D) Trattamento economico. Il trattamento economico dei giudici non può essere inferiore a quello del magistrato ordinario investito delle più alte funzioni; alla scadenza del mandato, ad essi è poi garantito il reinserimento nelle precedenti attività professionali.

(E) Autonomia finanziaria e normativa. La Corte amministra un proprio bilancio, il cui ammontare è fissato dal bilancio dello Stato.

(F) Autodichia. La Corte costituzionale gode di competenza esclusiva per giudicare i ricorsi in materia di impiego sei propri dipendenti.

Abbiamo detto che i giudici durano in carica 9 anni, il rinnovo della Corte è graduale, e ai giudici costituzionali non si applica il regime della prorogatio in forza del quale i titolati di un ufficio pubblico, benché scaduto, continuano ad esercitare le proprie funzioni finché non vengono sostituiti.La Corte può funzionare con un quorum di 11 giudici, quorum che scende a 9 quando si tratta di deliberazioni non giurisdizionali. Le decisioni devono essere deliberate “dai giudici presenti a tutte le udienza in cui si è svolto il giudizio” quindi il collegio che ha iniziato la causa è quello che la decide in via definitiva.

Per i soli giudizi d’accusa è previsto il regime della prorogatio: “ i giudici ordinari e aggregati che costituiscono il collegio giudicante continuano a farne parte sino all’esaurimento del giudizio, anche se sia sopravvenuta la scadenza del mandato”

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Che accade se il Parlamento o un altro organo decide di paralizzare la Corte non sostituendo i giudici di sua nomina che scadono?La legge cost. 2/1967 prescrive che la sostituzione deve avvenire entro un mese a il mancato rispetto del termine non è sanzionabile. L’unica reazione prevedibile potrebbe essere che la Corte sollevi il conflitto di attribuzione contro il ‘potere’ che non esercita il potere-dovere di nomina con la conseguenza che la Corte si troverebbe ad essere nello stesso giudizio, parte e giudice.

Il Presidente è un giudice della Corte eletto dalla Corte stessa a maggioranza assoluta per un mandato della durata di 3 anni (rinnovabile). Oltre ai suoi compiti di rappresentanza esterna, amministrazione degli uffici della Corte, il Presidente ha il compito di :- fissare il ruolo delle udienze e delle adunanze in camera di consiglio e convocare la Corte;- designare il giudice incaricato dell’istruzione della causa e di introdurla;- designare il giudice incaricato di redigere il progetto di motivazione della decisione;- presiedere il collegio giudicante e dirigerne i lavori, regolare la discussione;- votare per ultimo ed esprimere il voto decisivo in caso di parità.

A seconda del tipo di giudizio le procedure sono diverse. La Corte ha poteri istruttori: accertamento di dati e fatti anche attraverso l’audizione di testimoni (la disciplina sull’acquisizione del materiale probatorio si presenta piuttosto lacunosa).La Corte si riunisce in udienza pubblica o in camera di consiglio: la scelta spetta al Presidente. In udienza pubblica vi è un dibattimento nel quale le parti possono essere rappresentate dai rispettivi avvocati; il giudice relatore espone le questioni della causa e poi i difensori delle parti sono invitati ad intervenire. La decisione è assunta in camera di consiglio (alla quale partecipano i giudici che hanno preso parte a tutte le udienze relative alla causa), ed è assunta a maggioranza assoluta dei votanti. In camera di consiglio vi vota solamente il dispositivo della decisione, dopo di che il Presidente incarica un giudice di redigere una bozza di motivazione che verrà approvata collegialmente; la decisione è infine firmata dal Presidente e dal giudice redattore e viene quindi depositata in cancelleria e pubblicata sull’apposito supplemento della Gazzetta. Le date rilevanti per quanto riguarda la decisione della Corte sono tre: quella di decisione finale in camera di consiglio, quella del deposito in cancelleria (da qui si fanno decorrere gli effetti della sentenza) e quella di pubblicazione (da qui si considera la decisione conosciuta).

Le decisioni della Corte costituzionale possono dividersi in due tipi: sentenze e ordinanze; “la Corte giudica in via definitiva con sentenza. Tutti gli altri provvedimenti di sua competenza dono adottati con ordinanza”.La sentenza definisce il giudizio, essa è l’atto con cui il giudizio si chiude, mentre l’ordinanza è uno strumento interlocutorio che serve per risolvere le questioni che sorgono nel corso del processo. Tuttavia la Corte ha sviluppato un uso delle ordinanze più ampio rispetto a quello tradizionale, ricorrendo ad esse anche per chiudere il processo, ad esempio la Corte può, in certi casi, chiudere il giudizio rigettando con ordinanza la domanda sottopostale.Le sentenze devono essere esaurientemente motivate, sia in fatto che in diritto, mentre per le ordinanze è sufficiente che siano succintamente motivate. Particolarità delle decisioni della Corte è che non possono mai essere impugnate: lo stabilisce la stessa Costituzione.

3. IL CONTROLLO DI COSTITUZIONALITÀ’ DELLE LEGGI.

La Corte costituzionale giudica “sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni”.Questa disposizione ha posto alcuni delicati problemi interpretativi:(a) è da chiarire che con leggi si intendono gli atti che hanno la forma della legge e il grado gerarchico

delle fonti primarie, le leggi costituzionali, adottate con le forme della legislazione parlamentare e anche le leggi di revisione costituzionale; il giudizio di legittimità potrà quindi estendersi non soltanto ai ‘vizi formali’ ma anche ai ‘vizi materiali’ (se non fosse possibile provocare un giudizio di legittimità delle leggi di revisione, il rispetto dei limiti posti dall’art.139 e di quelli considerati impliciti nella Costituzione, resterebbe affidato soltanto alla buona volontà delle forze politiche o al controllo politico del corpo elettorale)

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Legittimità e merito sono due termini che compaiono spesso nei discorsi dei giuristi e sempre in reciproca opposizione: ma il loro significato cambi a seconda dei contesti. Parlando delle funzioni della Corte costituzionale, si può incontrare la contrapposizione tra ‘giudice di legittimità’ e ‘giudice di merito’, designando il primo la Corte che sindaca la corrispondenza delle leggi alla Costituzione, il secondo il giudice che entra nel merito della causa principale. Qui il giudice di merito indica semplicemente il giudice del caso concreto.

(b) un problema storico riguarda l’impugnabilità delle leggi precedenti all’entrata in vigore della Costituzione, questo perché nel 1948 tutte le norme precedenti sono rimaste in vigore con eccezione di quelle espressamente abrogate dalla Costituzione stessa. Le leggi precedenti alla Costituzione sono impugnabili solo per vizi materiali, diverso è il problema se la Corte possa sindacare gli atti legislativi anteriori alla Costituzione in rapporto alle regole procedurali del tempo, la risposta è no

(c) l’indicazione degli atti con forza di legge, sta a significare che sono escluse dal sindacato di legittimità costituzionale le fonti-fatto, sono quindi escluse non solo le consuetudini, ma anche le norme provenienti da altri ordinamenti, come le norme comunitarie

(d) la tipologia degli atti di cui la Corte può giudicare la legittimità è chiusa (atti con forza di legge), sono quindi compresi i decreti-legge, i decreti legislativi, mentre sono esclusi i regolamenti dell’esecutivo e gli altri regolamenti amministrativi, non possono poi essere sindacati i regolamenti interni dei Consigli regionali.

Per l’impugnazione dei decreti legge si pone qualche problema. Se il decreto-legge non viene convertito, verrà meno l’oggetto dell’impugnazione e la Corte dichiarerebbe la questione di legittimità costituzionale inammissibile. Se invece il decreto viene convertito in legge, vi sarebbe novazione della fonte e in questo caso la Corte ha detto che la questione di legittimità costituzionale di trasferirebbe automaticamente alla legge. I decreti-legge possono quindi essere giudicati dalla Corte costituzionale solamente in due casi:1) che il decreto venga impugnato e giudicato dalla Corte nei sessanta giorni di vigenza provvisoria;2) che il decreto venga reiterato (andando contro la sent.360/1996).Per il referendum abrogativo è difficile immaginare un giudizio di legittimità costituzionale a posteriori, è invece ipotizzabile che venga impugnata la ‘normativa di risulta’ ossia le norme così come si prospettano a seguito dell’abrogazione di quelle sottoposte a referendum; ma in questo caso oggetto dell’impugnazione sono le disposizioni rimaste in vigore non già il referendum.

Si è soliti distinguere tra vizi formali e vizi materiali.I vizi formali riguardano il procedimento di formazione dell’atto legislativo, in linea di principio essi inficiano l’intero atto, ma può anche essere che colpiscano le singole disposizioni.I vizi materiali riguardano invece i contenuti normativi dell’atto legislativo, essi non colpiscono l’atto, ma le sue singole disposizioni.La distinzione fra i due tipi di vizi non è affatto precisa, si discute infatti, ad esempio, se il vizio di incompetenza, ricada negli uni o negli altri, oppure costituisca una figura autonoma.

Per parametro di giudizio, si intende il termine di confronto impiegato nel giudicare la legittimità degli atti legislativi, dato in primo luogo dalle disposizioni costituzionali e dalle leggi costituzionali. Tuttavia la stesso Costituzione prevede in diversi casi che le leggi o atto con forza di legge siano vincolati al rispetti dei fonti sub-costituzionali.Si parla in questi casi di parametro interposto, si utilizza per indicare quelle norme che non hanno un rango costituzionale, ma la cui violazione da parte delle leggi comporta un’indiretta violazione di norme costituzionali.

Giudizio in via incidentale: quando la questione di legittimità costituzionale sorge nel corso di un procedimento giudiziario come incidente processuale, che comporta la sospensione del giudizio e la remissione della questione di legittimità costituzionale alla Corte.

La questione di legittimità costituzionale deve essere sollevata “nel corso di un giudizio” e “dinanzi ad una autorità giurisdizionale”. Per poter ampliare la possibilità di eliminare leggi incostituzionali, è stata ritenuta ‘giurisdizionale’ anche l’attività di organi che, pur non facendo strettamente parte dell’ordine giudiziario, sono investiti di “funzioni giudicanti per l’obiettiva applicazione della legge”. I requisiti necessari dalla giurisprudenza costituzionale perché un organo possa considerarsi legittimato a sollevare la questione di costituzionalità sono:1. requisito oggettivo: l’essere investito di una funzione di applicazione obiettiva di una norma, in via

tendenzialmente definitiva;2. requisito soggettivo: la posizione di terzietà, indipendenza e imparzialità dell’organo, l’esistenza di un

procedimento fondato sul contraddittorio; se le legge desse l’organo funzioni oggettivamente giudicanti ma non garantisse l’elemento soggettivo, la Corte la dichiarerebbe illegittima.

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La questione di legittimità costituzionale può essere sollevata da una delle parti o d’ufficio; notare però che le parti non possono adire direttamente alla Corte, ma devono presentare un’istanza al giudice della causa principale, che dovrà valutare se ricorrono i presupposti necessari per l’attivazione del giudizio di costituzionalità. L’atto introduttivo fa quindi necessariamente capo al giudice a quo, a lui infatti compete la valutazione circa la sussistenza delle condizioni di proponibilità della questione di legittimità.Il giudice deve verificare la sussistenza dei due requisiti:1) la questione deve essere rilevante per la soluzione del giudizio in corso, esso non può proseguire senza

che venga risolta la questione di legittimità costituzionale, ciò che imposta è che “il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale”;

2) che non sia manifestamente infondata, ovvero che la questione di legittimità abbia un minimo fondamento giuridico; per poter rimettere la questione alla Corte è sufficiente un minimo dubbio sulla costituzionalità, è questo dubbio che impedisce al giudice di proseguire il processo principale.

Se tali condizioni di proponibilità provengono dal giudice, esse avranno la funzione di ‘filtro’; se invece provengono dalle parti, costituiranno elementi dai quali deriverò il dovere del giudice di proporre la questione.Nel caso in cui una delle condizioni non dovesse sussistere, il giudice provvederà a respingere l’istanza con una ordinanza adeguatamente motivata. Se invece ritiene che la questione sia rilevante e non manifestamente infondata, emette una ordinanza di rinvio, necessariamente motivata, che produce l’effetto di introdurre il giudizio costituzionale e di sospendere il giudizio principale. Tale ordinanza deve contenere gli elementi necessari ad individuare la questione di legittimità costituzionale:• l’indicazione dell’oggetto e del parametro del giudizio, vale a dire le disposizioni della legge di cui si

denuncia l’incostituzionalità, nonché le disposizioni costituzionali che si presumono violate;• la motivazione della rilevanza e i motivi che hanno portato a dichiarare la non manifesta infondatezza;• i profili della questione di legittimità in base ai quali si è verificata la violazione con la descrizione

della fattispecie concreta, indicazione particolarmente importante nei giudizi di eguaglianza.La Corte, quando accoglie una istanza dichiara nei limiti dell’impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime, la c.d. illegittimità costituzionale consequenziale, si ha quando dalla decisione adottata deriva l’illegittimità di altre disposizioni collegate a quella dichiarata illegittima.L’ordinanza di remissione deve essere notificata, a cura della cancelleria del giudice a quo, alle pari in cauda, al pubblico ministero e al Presidente del Consiglio, con lo scopo di consentire ai soggetti abilitati di intervenire nel giudizio.

Entro 20 giorni dalla notificazione dell’ordinanza con cui si instaura il giudizio costituzionale, le parti del giudizio a quo possono costituirsi. La loro partecipazione al giudizio è facoltativa, infatti si tratta di un giudizio a parti eventuali, nel senso che esse non incidono in alcun modo sul processo; questo perché esso ha come principale obiettivo quello di stabilire la legittimità costituzionale delle leggi.Il pubblico ministero non è abilitato ad intervenire nel processo; “il Governo anche quando intervenga nella persona del Presidente del Consiglio” deve essere rappresentato dall’Avvocatura di Stato (notare che se le parti non si costituiscono, l’Avvocatura di Stato non può intervenire). E’ opinione comune che il Governo intervenga per esprimere una propria opinione, mentre invece la prassi ci mostra che quasi sempre esso interviene a difesa della legittimità della legge. Il Governo non è obbligato né a prendere parte al processo, né a difendere a priori la legge.

Giudizio in via principale: può essere proposto con ricorsa da parte dello Stato contro leggi regionali o da parte della Regione contro leggi statali o di altre Regioni, la questione viene infatti proposta direttamente con una procedura ad hoc. Il procedimento è astratto, in quanto le leggi impugnate vengono in rilievo autonomamente dalla loro concreta applicazione, ed è disponibile dato che i soggetti legittimati non sono tenuti ad instaurarlo. Dopo la riforma del Titolo V le differenze tra il ricorso statale e il ricorso regionale si sono molto attenuate. L’impugnazione statale avverso le leggi regionali può essere promossa dal Governo quando ritiene che una legge violi qualsiasi disposizione costituzionale, di conseguenza lo Stato, agendo a tutela dell’interesse generale della legalità non deve dimostrare l’interesse a ricorrere. Al contrario il ricorso della Regione nei confronti della legge statale può fondarsi sono sulla invasione della sfera di competenza attribuita dalla Costituzione: la Regione deve perciò dimostrare di avere un interesse concreto al ricorso.

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L’atto introduttivo del giudizio in via principale è il ricorso che deve essere deliberato dal Consiglio dei Ministri se agisce lo Stato, o dalla Giunta regionale per la regione, nel temine di 60 giorni dalla pubblicazione della legge. Il ricorso deve poi essere depositato nella cancelleria della Corte costituzionale entro i 10 giorni successivi alla notifica a cura del ricorrente.

Quanto al giudizio, la legge 131/2003 introduce due importanti novità:(1) la Corte costituzionale fissa l’udienza di discussione del ricorso entro 90 giorni dal deposito dello

stesso, il che significa che per i giudizi in via principale è predisposto un diritto di precedenza rispetto ai giudizi in via incidentale;

(2) è prevista per la prima volta che la Corte “qualora la Corte ritenga che l’esecuzione dell’atto impugnato o di parti di esso possa comportare il rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico o all’ordinamento giuridico della Repubblica, ovvero il rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini” sospenda l’esecuzione dell’atto impugnato.

Le decisioni della Corte nei giudizi di legittimità sono divise in 3 grandi famiglie: decisioni di inammissibilità, decisioni di rigetto e decisioni di accoglimento.

La Corte pronuncia l’inammissibilità della questione quando manchino i presupposti per precedere ad un giudizio di merito. Ciò può accadere:(A) quando manchino i requisiti oggettivi e soggettivi per la legittimazione a sollevare la questione di

legittimità costituzionale, ossia quando la questione sia sollevata da un organo non qualificabile come giudice, o al di fuori di un procedimento qualificabile come giudizio;

(B) quando sia carente l’oggetto del giudizio, ossia quando l’atto impugnato non rientri tra quello indicati dall’art.134; tale difetto può essere macroscopico: la manifesta inammissibilità sarà decisa in camera di consiglio, in altri casi la carenza della forza di legge può essere la conclusione di una valutazione difficile e costituire l’oggetto attorno a cui verte la stessa udienza pubblica;

(C) quando manchi il requisito della rilevanza: se vi è una semplice carenza di motivazione, la Corte, con ordinanza, ordinerà la restituzione degli atti al giudice a quo, altrettanto accadrà se si è di fronte ad un’ipotesi di jus superveniens;

(D)quando l’ordinanza di remissione manchi di indicazioni sufficienti ed univoche per definire il thema decidendum;

(E) quando siano stati compiuti errori meramente procedurali;(F) quando la gestione sottoposta alla Corte comporti “una valutazione di natura politica” o un sindacato

“sull’uso del potere discrezionale del Parlamento”, la Corte vi ricorre per liberarsi di casi particolarmente spinosi (4ex: la legge sull’aborto).

Con la sentenza di rigetto la Corte dichiara non fondata la questione prospettata dall’ordinanza di remissione. La Corte non dichiara che la legge impugnata è legittima, ma si limita a respingere la questione sollevata dal giudice a quo. Così facendo la Corte si pronuncia solamente sulla fondatezza della costruzione prospettata dal giudice; la sentenza non ha effetti erga omnes; il suo unico effetto giuridico è

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In T.A.A. lo Statuto prevede che la legge regionale possa essere impugnata dal Governo per violazione della Costituzione, dello Statuto o del principio di parità dei gruppi linguistici. Lo Statuto predispone che la legislazione regionale o provinciale deve essere adeguata ai principi e alle norme di cui agli artt.4-5 dello Statuto attraverso un atto legislativo statale entro i sei mesi successivi dalla pubblicazione dell’atto stesso. In caso di mancato adeguamento, le leggi regionali non adeguate potranno essere impugnate dinanzi alla Corte costituzionale entro 90 giorni dal Presidente del Consiglio previa deliberazione del Consiglio dei ministri.

Un problema difficile è capire, in alcuni casi, quali effetti derivino dalle sentenze di inammissibilità nei giudizi in via incidentale; se la decisione di inammissibilità è assimilata a quella di rigetto, ad essa dovrebbe estendersi l’effetto preclusivo che è tipico delle sentenze di rigetto. In alcuni casi invece, è evidente che la decisione della corte è assimilabile ad una decisione di rigetto.

di precludere la riproposizione della stessa questione da parte dello stesso giudice nello stesso stato e grado di giudizio. Dichiarando al questione infondata, la corte risolve il dubbio del giudice, il quale dovrà riassumere il processo e chiuderlo applicando la disposizione de qua.Nulla impedirà al giudice di sollevare una questione di legittimità diversa, una volta letta la sentenza della Corte, difatti la stessa disposizione può apparirgli di dubbia legittimità, in riferimento ad un altro parametro costituzionale. Quello che è vietato al giudice è riproporre la stessa questione di legittimità costituzionale, la preclusione opera perciò solo inter partes.

Con la sentenza di accoglimento la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata; essa opera erga omnes, con effetti assimilabili all’annullamento e deve sempre e necessariamente essere pronunciata con sentenza.La sentenza di accoglimento è assimilabile all’annullamento perché nasce dall’accertamento di un vizio della legge che ne causa l’invalidità. La sentenza ha valore costitutivo perché il contrasto con la Costituzione è accertato solamente on la sentenza, perciò io rapporti sorti in precedenza sulla base di quella legge non decadono ipso iure; tuttavia si dice comunemente che gli effetti della sentenza di accoglimento operino ex tunc, ossia siano retroattivi.L’art.136 dispone che a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale, “la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”, “le norme dichiarate incostituzionali, non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione”. La dichiarazione di illegittimità si traduce, pertanto, in un ordine rivolto ai soggetti dell’applicazione di non applicare più la norma illegittima. Ciò significa che gli effetti della sentenza di accoglimento non riguardano solo i rapporti che sorgono in futuro, ma anche quelli che sono sorti in passato, purché non siano esauriti.Per poter parlare di rapporto esaurito o di rapporto pendente è necessario guardare alle regole che disciplinano i singoli rami del diritto. E’ opinione diffusa che il passare del tempo consolidi i rapporti giuridici rendendoli non più ‘azionabili’ di fronte ad un giudice. Ciò può avvenire attraverso i meccanismi della prescrizione (estinzione del diritti per mancato esercizio), dalla decadenza (perdita della possibilità di esercitare un diritto per non aver compiuto determinati atti), dalla rinuncia, etc. L’effetto della dichiarazione di illegittimità è di vietare l’applicazione della norma invalidata; le sentenze di accoglimento hanno effetti ‘retroattivi’ che riguardano anche le situazioni sorte in passato. Un’eccezione a questa regola è prevista dalla legge 87/1953 “Quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali”, questa norma è generalmente riferita alle sole condanne penali.

Le sentenze interpretative di rigetto sono le decisioni con cui la Corte dichiara infondata la questione di legittimità costituzionali perché il dubbio del giudice si basa su una cattiva interpretazione della disposizione impugnata.Nel caso in cui la disposizione possa essere interpretata in modi diversi, l’interprete deve scegliere l’interpretazione conforme a costituzione. Se, invece il giudice propende per la una norma che rende al disposizione di dubbia compatibilità con la Costituzione, la Corte rigetta la questione spiegando, nella motivazione, che la corretta interpretazione conforme a Costituzione, basterebbe a risolvere il contrasto. L’elemento che caratterizza il dispositivo delle sentenze interpretative di rigetto è proprio il richiamo alla motivazione. Il limite di queste sentenze è che si esauriscono inter partes. Così come la Corte è autonoma nelle sue scelte interpretative, lo sono anche i giudici: essi sono “soggetti soltanto alla legge”, non anche all’interpretazione che della legge la Corte dà. Il giudice a quo non può insistere nella sua interpretazione originale quando riceva la sentenza dalla Corte, dovrà quindi riprendere il processo che aveva sospeso e non potrà insistere nella sua precedente interpretazione, non potrà sollevare la questione un seconda volta , potrà quindi solo adeguarsi all’interpretazione della Corte. La Cassazione e i giudici ordinari sono concordi sul negare efficacia alle interpretazione conformi a costituzione delle leggi con cui la Corte costituzionale motiva le sentenze interpretative di rigetto. Per questo motivo la Corte ne fa un uso limitato e si conforma al cosiddetto diritto vivente. Quando si trova dinanzi un’interpretazione consolidata nel tempo, la Corte non cerca di modificarla ma accetta di giudicare la disposizione nel significato normativo che ad essa viene attribuito dalla giurisprudenza ordinaria. Se però la norma di diritto vivente è in contrasto con la Costituzione, la Corte la dichiarerà illegittima.

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La dottrina del diritto vivente induce la Corte a non contrapporsi ai giudici ordinari nell’interpretazione delle leggi. Per cui oggi il ricorso alle sentenze interpretative di rigetto è diventato meno frequente. La Corte le impiega soprattutto per far valere l’interpretazione giurisprudenziale prevalente, le sentenze così espresse vengono anche chiamate sentenze correttive che servono dunque per confermare il diritto vivente. Le sentenze adeguatrici invece servono ad orientare la giurisprudenza futura.

Le sentenze di accoglimento sono dette anche manipolative, interpretative, o normative, quando la l’illegittimità è dichiarata ‘nella parte in cui’ la disposizione significa o non significa qualcosa, ossia per la norma che esprime.E’ un genus che comprende species diverse.(1) Sentenze di accoglimento parziale: la Corte dichiara illegittima la disposizione solo per una parte del suo

testo.(2) Sentenze additive: la Corte dichiara illegittima la disposizione ‘nella parte in cui non’ prevede ciò che

sarebbe costituzionalmente necessario (l’addizione è una norma omessa dal legislatore)

(3) Sentenze sostitutive: la Corte dichiara l’illegittimità di una disposizione legislativa ‘nella parte in cui prevede X anziché Y’. La Corte sostituisce quindi una locuzione della disposizione, con una compatibile alla Costituzione. Anche qui l’opera normative della Corte è abbastanza evidente e viene giustificata spiegando che essa procede per rime obbligate e che vale comunque il principio di economicità, per il quale la Corte opera queste sostituzioni per ridurre al minimi l’effetto ablativo conseguente alla pronuncia di incostituzionalità.

Le sentenze interpretative sono una soluzione elaborata dalla prassi giurisprudenziale della Corte costituzionale per ovviare alla scarsità di strumenti di cui la disciplina legislativa la ha fornita: se la Corte non potesse emanare sentenze interpretative di rigetto, sarebbe costretta a dichiarare l’illegittimità della disposizione ogniqualvolta il giudice a quo ne proponesse un’interpretazione cervellotica o sbagliata.Le sentenze di accoglimento comportano il divieto di applicazione della norma dichiarata illegittima con effetti retroattivi. Il dove e il quando la sentenza di accoglimento produca effetto è deciso quindi dai singoli soggetti che devono applicare le leggi. Gli effetti sono dunque incalcolabili a priori.

Questa condizione ineliminabile porta la Corte a cercare di limitare l’impatto delle sue pronunce. Ciò l’ha spinta ad elaborare ulteriori tipologie di sentenze:(a) Sentenze monitorie o esortative: sono sentenze di rigetto nella cui motivazione la Corte rivolge un invito al

legislatore ad intervenire per rendere le disciplina vigente adeguata alla Costituzione. Talvolta l’invito è blando, talvolta è accompagnato da precise indicazioni circa l’integrazione legislativa necessaria. La

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La Corte non è libera di inventare la norma da aggiungere al significato normativo della disposizione. E’ il giudice remittente che, nell’ordinanza, deve indicare il verso dell’addizione; il giudice avverte l’illegittimità derivante dall’assenza della previsione normativa, e chiede espressamente alla Corte di integrare la previsione normativa con una regola che ripristini la legalità costituzionale. Questa regola non è inventata, ma viene tratta dalla disciplina che regola situazioni analoghe: il tenore della disposizione impedisce però al giudice a quo di procedere per analogia. Egli chiede perché alla Corte di estendere all’ipotesi in causa, la stessa regola prevista per una caso analogo. La Corte procede perciò per “rime obbligate”.

Nono solo la Corte costituzionale, ma tutto il sistema giudiziario tende ad allargare e mai a restringere la spesa pubblica. Tizio agisce in giudizio per ottenere un certo beneficio, lamentando di esserne stato illegittimamente escluso. E’ in questa pretesa che trova fondamento il uso interesse ad agire perché se lui agisse per chiedere l’eliminazione di esso per gli altri, gli verrebbe risposto che egli non ha alcun interesse ad agire. Il giudice quindi, se accoglie la domanda di Tizio, produce un allargamento della spesa necessaria a far fronte alla prestazione in questione. Si tratterà di una spesa non prevista dalla legge, quindi una spesa priva di copertura in bilancio, in violazione perciò del disposto dell’art.81 per il quale ogni legge “che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”. Ma la Corte ha detto che il principio di copertura finanziaria delle leggi p un principio costituzionale come gli altri, che certo non impedisce di assicurare piena garanzia di tutela ai diritti degli individui.

Corte non sanziona con la dichiarazione di illegittimità, a volte perché la complessità della materia impedisce di procedere a modificare la disciplina vigente a colpi di sentenza (la riforma legislativa richiede valutazioni politiche che devono essere necessariamente lasciate alla discrezionalità del legislatore), ed a volte perché la Corte non può individuare il verso con riferimento al quale procedere ad una pronuncia additiva.

(b) Sentenze di legittimità provvisoria: sono sentenze di rigetto il cui monito, è legato fortemente alla dichiarazione della sicura incompatibilità della disciplina vigente con la Costituzione. La legge impugnata viene però salvata a causa del suo carattere transitorio, in quanto quindi destinata ad essere superata da una imminente riforma legislativa della materia.

(c) Sentenze di accoglimento che limitano la retroattività dei propri effetti: sentenze di fine anni ’80 in cui la Corte ha provato a limitare la retroattività degli effetti della dichiarazione di illegittimità di una legge. In alcuni casi si è indicato un evento del passato recente che ha provocato, ma solo da quella data, l’illegittimità della legge in questione; in altri casi si è semplicemente affermato che la dichiarazione di illegittimità opera solo pro futuro.

(d) Sentenze additive di principio: sono sentenze di accoglimento di cui la dichiarazione di illegittimità è accompagnata dall’indicazione dell’esigenza che il legislatore introduca i meccanismi legislativi necessari alla piena operatività della sentenza stessa.

CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA I POTERI DELLO STATOI conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato sono lo strumento con cui un ‘potere’ dello Stato, può agire davanti alla Corte per difendere le proprie ‘attribuzioni costituzionali’. Se la Costituzione rigida è il modo per porre dei limiti alle decisioni che la maggioranza politica può liberamente assumere, questi limiti riguardano anche le regole che presiedono ai rapporti tra gli organi costituzionali, cioè alla forma di governo, e, come affermato dalla Corte, tra gli organi costituzionali e il corpo elettorale, cioè la forma di stato. Il conflitto di attribuzioni è lo strumento predisposto dalla Costituzione per affrontare la violazione di queste regole.L’assetto della nostra forma di governo è complesso. In essa i ‘poteri’ non sono solo i 3 tradizionali, ma ad essi si aggiungono numerosi altri soggetti che partecipano ai procedimenti decisionali e che non sono riducibili ai tre poteri tradizionali. L’esperienza ha dimostrato che anche i tre poteri tradizionali non sono monolitici e conflitti di attribuzione possono sorgere anche al loro interno.

E’ capitato che il conflitto di attribuzione vedesse in campo una commissione parlamentare d’inchiesta, un singolo parlamentare, i promotori del referendum abrogativo.La definizione di potere si avvicina quindi molto a quella di attribuzione; potere sono potenzialmente tutti i soggetti che hanno un’attribuzione assegnata dalla Costituzione (o di un’attribuzione non esplicitamente indicata nella Costituzione). La qualificazione di potere dipende dall’attribuzione che è fatta valere nel caso concreto; il singolo ministro non è ‘potere’ se si parla di contestazione delle attribuzioni del potere esecutivo, lo è se invece si parta delle sue personali attribuzioni.I conflitti di attribuzione diventano quindi difficilmente separabili dai conflitti di competenza, questo sorgono tra organi che appartengono allo stesso ‘potere’ e devono essere risolti davanti agli organi predisposti dal potere stesso, al contrario degli altri.

Il conflitto può sorgere sia per usurpazione di potere, sia dal comportamento di un organo che intralci il corretto esercizio delle competenze altrui. Nel primo caso il conflitto consiste in una vindicatio potestatis,

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Il Ministro Mancuso compie una seria di atti pertinenti alla sua carica che scatenano dure polemiche. Il Governo si dissocia dal suo operato per l’insanabile contrasto sorto tra esso e il Ministro, il Senato vota una mozione di ‘sfiducia individuale’ nei confronti di Mancuso, con cui lo impegna a “rassegnare le dimissioni”. Mancuso solleva conflitto di attribuzione nei confronti del Senato contestando il potere delle Camere di votare la sfiducia a un singolo ministro. Il Presidente del Consiglio si reca dal PdR e insieme confezionano un decreto con cui, accertano che “è venuta meno la condizione essenziale e indefettibile della permanenze nella carica di Ministro del dott. Mancuso”. La Corte darà 3 volte torto a Mancuso: considera legittima la sfiducia del Parlamento, considera atto dovuto le dimissioni a seguito della sfiducia e considera un adempimento del suo ruolo di garante della Costituzione l’atto con cui il PdR ‘solleva’ il ministro.

ossia entrambi i soggetti rivendicano per sé l’attribuzione ad emanare l’atto. Nella seconda ipotesi non c’è rivendicazione di un potere usurpato, ma semplicemente contestazione del modo in cui un soggetto ha esercitato attribuzione che sono sue. Il conflitto poi non sorge necessariamente da un atto ma anche da un semplice comportamento (persino omissivo); l’unico ostacolo è che il conflitto di attribuzioni ha un funzione residuale, perciò la Corte ha affermato che in linea di principio, il conflitto di attribuzione non può essere sollevato per impugnazione di atti legislativi: in linea di principio, infatti, essi vanno impugnati nel giudizio di legittimità costituzionale.

I poteri possono essere costituiti da un singolo organo, e per essi non si pone il problema di individuare il soggetto che ha la legittimazione costituzionale; invece per i poteri costituiti da più organi si pone il problema di chi sia legittimato a stare in giudizio.La legge 87/1953 afferma che il conflitto sorge “tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono”. Quale sia l’organo pare dipendere dalla struttura del potere ‘complesso di organi’. Il potere esecutivo ad esempio, è un potere a struttura piramidale con il Governo al vertice, quindi qualsiasi amministrazione statale, lesa da un altro potere nell’esercizio delle sue attribuzioni, deve coinvolgere il Governo. Tutto il contrario invece per il potere giudiziario, dove non ci sono vertici né gerarchia. Qualsiasi sentenza può, passata in giudicato “dichiarare definitivamente la volontà del potere”. Per cui si tratta di un potere “diffuso”: qualsiasi giudice, dunque può essere parte attiva o passiva del conflitto.

Il giudizio viene introdotto dal ricorso (depositato in cancelleria e pubblicato) presentato dalla parte lesa alla Corte costituzionale, senza bisogno di notificazione alla controparte. Non vi sono termini di decadenza e neppure termini entro i quali debba essere convocata la camera di consiglio. Il giudizio inizia con una decisione della Corte sull’ammissibilità del conflitto; essa è assunta in camera di consiglio, quindi senza contraddittorio, questa è una decisione presa con ordinanza. In caso di ammissibilità della questione, la Corte individua gli organi che sono controinteressati e dispone che ad essi il ricorso venga notificato entro un determinato termine, essi hanno la possibilità di costituirsi entro venti giorni.Se il ricorrente rinuncia al ricorso, e se la rinuncia è accettata dalle parti, la Corte dichiara “estinto il processo”, oppure può essere dichiarata “cessata la materia del contendere”, se si può presumere superato il conflitto.

La sentenza che chiude il giudizio stabilisce a chi spetti la competenza, esso non avrà effetto erga omnes essendo il giudizio tra parti. L’accertamento della spettanza di attribuzioni può però accompagnarsi all’annullamento degli eventuali atti che siano stati emanati dall’organo che risulta incompetente (l’annullamento è ovviamente erga omnes).

5. CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA STATO E REGIONI.I conflitti di attribuzione tra Stato e Regione sono lo strumento con cui vengono risolte le controversie che sorgono tra Stato e Regione (tra organi dello stesso ente quindi interorganici) o tra Regioni (tra enti quindi intersoggettivi). Solamente gli atti legislativi non possono provocare conflitto, per essi infatti c’è giudizio di legittimità.

E’ difficile dire se l’oggetto del conflitto sia l’atto, che si presume invasivo, o la competenza che si afferma invasa. Il conflitto nasce di solito dall’impugnazione di un atto (la lesione deve essere concreta e attuale), ma il motivo dell’impugnazione deve necessariamente essere la menomazione della competenza.La violazione della competenza può derivare sia dall’invasione della sfera di attribuzioni, sia dalla menomazione o interferenza. Così ad esempio la Regione può sollevare conflitto contro un atto dello Stato lamentando che questi non la abbia coinvolta nel ‘suo’ procedimento decisionale. Si intuisce quindi facilmente che le attribuzioni oggetto di controversia non sono solo le competenze ripartite dalla Costituzione e dagli Statuti speciali.Spesso risulta difficile distinguere i vizi dell’atto denunciatili in sede di conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale e i comuni vizi di legittimità che vanno fatti valere di fronte al giudice amministrativo.

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Il conflitto è introdotto da ricorso. Condizione di ammissibilità del ricorso è l’interesse a ricorrere: il ricorrente deve dimostrare di aver subito una lesione attuale e concreta della sua competenza (requisito richiesto sia allo Stato che alla Regione).Il giudizio deve essere proposto dal Presidente della Giunta regionale (previa delibera della Giunta stessa) oppure dal Presidente del Consiglio (previa delibera del Consiglio stesso), entro 60 giorni dalla pubblicazione, notificazione o conoscenze dell’atto.

La sentenza che decide il conflitto dichiara a chi spetta la competenza, spesso poi quando il conflitto sia generato dal modo in cui il potere è stato usato, la formula del dispositivo fissa una vera e propria regola di esercizio di essa.In linea di principio, la sentenza non dovrebbe avere effetti che per le parti in giudizio. Ciò vale, ovviamente, per l’annullamento dell’atto: se la Corte, in un conflitto promosso da una Regione contro lo Stato,stabilisce che la competenza spetta alla Regione o allo Stato, le altre Regioni, che non sono coinvolte nel giudizio, subiscono gli effetti della sentenza? Se la sentenza è favorevole alla Regione, le altre Regioni ne beneficiano, se invece è favorevole allo Stato non ne subiscono gli effetti.

6. IL GIUDIZIO DI AMMISSIBILITÀ’ DEL REFERENDUM ABROGATIVO.Il giudizio di ammissibilità è introdotto con l’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum, che dichiara la legittimità della richiesta di referendum. Il Presidente della Corte fissa la camera di consiglio e nomina il giudice relatore. Viene data comunicazione ai delegati dei Consigli regionali o ai presentatori delle 500.000 firme ed al PdC (sono queste le parti che possono partecipare alla discussione orale in camera di consiglio). La Corte decide sempre con sentenza.

Il controllo sull’ammissibilità del referendum è stato introdotto dalla legge cost. 1/1953 che ha affidato alla Corte costituzionale il compito di “giudicare se le richieste di referendum abrogativo presentate a norma dell’art.75 Cost. siano ammissibili ai sensi del secondo comma dell’articolo stesso”. Ricordiamo che il referendum non è ammesso per: 1) le leggi tributarie, 2) le leggi di bilancio, 3) le leggi di amnistia e indulto, 4) le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. A partire dal 1978, viene interrotta l’interpretazione restrittiva del giudizio di legittimità e la Corte ha allargato i motivi di inammissibilità ai seguenti casi:(A) sono sottratti a referendum la Costituzione, le leggi costituzionali e le leggi rinforzate ed infine le leggi

a contenuto costituzionalmente vincolato (il nucleo normativo non può essere modificato senza pregiudizio ai principi costituzionali);

(B) i limiti dell’art.75 sono interpretati estensivamente, non sono perciò ammissibili le sole leggi di approvazione del bilancio ma anche le leggi che attengono alla manovra finanziaria;

(C) sono inammissibili i referendum il cui quesito non abbia una matrice razionalmente unitaria, ovvero non sia omogeneo.

7. LA GIUSTIZIA POLITICA.Con l’espressione giustizia politica ci si riferisca alle funzioni che la Corte costituzionale esercita quando giudica sulle accuse promosse contro il PdR. Egli è messo in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune con votazione a maggioranza assoluta ed è giudicato dalla Corte costituzionale in composizione integrata (16 cittadini dall’elenco degli eleggibili a senatore). Questo principio nasce dal concetto “the king can do no wrong”.

Il PdR può essere incriminato per alto tradimento e attentato alla Costituzione.

La procedura del giudizio d’accusa consta di due fasi:1) davanti al Parlamento in seduta comune si delibera la messa in stato d’accusa che è preceduta

dall’indagine di un Comitato, sulle conclusioni di questo il Parlamento procede alla votazione;2) la Corte costituzionale in composizione integrata emette una sentenza.

Prima del 1989 anche i reati ministeriali rientravano nella giustizia politica, ora invece i reati ministeriali sono di competenza della magistratura ordinaria previa autorizzazione della camera di appartenenza se l’imputato è deputato o senatore, dal Senato negli altri casi.

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DIRITTI E LIBERTÀ’

1. IL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZAL’art.3 enuncia il principio di eguaglianza, da distinguersi in principio di eguaglianza formale e principio di eguaglianza sostanziale.La formulazione tradizionale del principio di eguaglianza formale prescrive che di devono trattare in modo eguale situazioni eguali e in modo diverso situazioni diverse; è quindi un principio formale perché è enunciato come formula astratta. Questa prescrizione si rivolge al legislatore, vietando di creare privilegi o discriminazioni ingiustificate, gli uomini sono per natura diversi e diverse sono le situazioni che essi creano, tra esse vi può essere somiglianza o dissomiglianza. Dire che due cose si assomigliano significa affermare che tra essere le affinità sono più rilevanti delle diversità e alla valutazione di queste rinvia il giudizio di eguaglianza formale.Il nucleo forte del principio di eguaglianza vieta distinzioni “di sesso, di razza, di lingua, di religioni, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, ma non le vieta in modo assoluto. Questo nucleo forte non comporta un divieto assoluto per il legislatore di introdurre differenziazioni basate su determinati fattori, ma vieta di farne il motivo di discriminazione nel godimento dei diritti e delle libertà.Il principio di eguaglianza sostanziale punta a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che impediscono l’eguale godimento dei diritti e delle libertà, a quindi il compito di eliminare gli handicap sociali.I due principi di eguaglianza si limitano e si completano a vicenda: quello sostanziale impedisce l’eccesso di rigore dell’eguaglianza formale, mentre l’eguaglianza formale impedisce alle azioni positive di diventare a loro volta fonte di ingiustizia, dando luogo a casi di discriminazione al contrario.

Il giudizio di ragionevolezza è alla base di gran parte delle decisioni della Corte costituzionale, si trova nell’art.3 e in tutte le disposizioni costituzionali che richiamano direttamente o indirettamente l’eguaglianza. Il giudizio di ragionevolezza è composto da una serie di giudizi specifici che ne costituiscono le varie fasi. La Corte procede attraverso un ragionamento trilaterale molto simile a quello per analogia; essa pone a confronto due norme, la norma impugnata e la norma assunta a confronto, che si chiama tertium comparationis. Ma per confrontarle la Corte deve ricostruire la ratio legis della norma assunta a tertium e poi valutare se questa possa giustificare la diversa disciplina della normativa data dalla norma impugnata.Anche un’equiparazione di trattamento può risultare irragionevole e dare luogo ad una violazione del principio di eguaglianza. L’intero ragionamento lungo cui si svolge il giudizio di ragionevolezza è contenuto nel confronto fra le regole poste a confronto e il principio di cui esse sono espressione. Il principio di eguaglianza non è coinvolto ma rimane sullo sfondo come giustificazione del ragionamento, esso viene quindi utilizzato come regola di coerenza dell’intero ordinamento giuridico.

Secondo la regola di coerenza, il legislatore è libero di scegliere le finalità, il programma, il principio, da sviluppare con le sue disposizioni, ma una volta scelto, lo deve sviluppare con coerenza. Quando il legislatore deroga a questa regola, la Corte può essere chiamata a ripristinare la coerenza attraverso pronunce che avranno per lo più la struttura della sentenza interpretativa di accoglimento (la disposizione è illegittima nella parte in cui esclude o include la situazione descritta nell’ordinanza di remissione della fattispecie assunta come tertium). La Corte crea così una nuova norma più coerente con l’ordinamento.

2. LIBERTÀ’ E DIRITTI COSTITUZIONALMENTE GARANTITI.Una delle componenti essenziali, presenti in tutte le costituzioni moderne, è la disciplina dei diritti e delle libertà. Essa costituisce anzi un elemento fondamentale per la definizione della stessa forma di stato in quanto influenza in modo determinante i rapporti tra lo Stato e la società civile. Anche la definizione di libertà e di diritti ha fortemente risentito delle trasformazioni delle concezioni dello Stato.Si parla generalmente di situazioni giuridiche soggettive per indicare sia le posizioni giuridiche attive o di vantaggio che le posizioni passive o di svantaggio. Le posizioni giuridiche attive si distinguono generalmente in libertà e diritti: libertà sottolinea l’aspetto negativo, di non costrizione; diritti privilegia

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La coerenza è un compito del professionista come interprete delle leggi. Quando il giudice si imbatte in una disposizione che gli impedisce di ricavare in via di interpretazione norme coerenti con il sistema giuridico può ricorrere alla Corte costituzionale e chiederle di togliere quel testo, si amplia quindi l’ambito di applicazione del criterio gerarchico.

l’aspetto positivo, di pretesa. La convinzione secondo la quale le libertà non abbiano costi per la finanza pubblica, mentre invece i diritti ne abbiano è una convinzione priva di fondamento logico. Come pure è un mito il fatto che esistano diritti del tutto negativi, ovvero che consistano in una pura richiesta di astensione: tutti i diritti e le libertà hanno bisogno di un’organizzazione pubblica e sono quindi, ‘costosi’. Sono gli organi pubblici a dover decidere come impiegare le risorse finanziarie.Altra distinzione comune è quella fatta fra diritti assoluti e diritti relativi. Chiameremo assoluti non i diritti illimitati, ma quelli che si possono far valere erga omnes; possiamo suddividerli in diritti della persona e diritti reali, ma hanno comunque per contenuto una libertà il cui esercizio non richiede prestazioni da parte di terzi se non l’astensione. Relativi invece sono quelli che possono essere fatti valere solo verso determinati individui. Tutti i diritti hanno poi bisogno di una disciplina, anche quelli assoluti, per cui è normale che la legge non possa far dipendere anche il godimento di determinati diritti assoluti da prestazioni di altri soggetti. D’altra parte, anche i c.d. diritti relativi hanno un riflesso ‘negativo’ che opera nei confronti di tutti.In passato era di notevole importanza anche la distinzione fra diritti individuali e diritti funzionali. I primi sono attribuiti alla persona in quanto tale, per un suo vantaggio personale e per le finalità che il singolo è libero di scegliere; mentre i secondi, sono attribuiti al singolo per il perseguimento di finalità predeterminate a vantaggio della comunità e non liberamente scelte dall’individuo. Oggi questa distinzione ha perso qualsiasi utilità.La differenza fra diritto soggettivo e interesse legittimo sta principalmente nella tutela (aspetto processuale).

Le costituzioni moderne hanno allargato il catalogo delle libertà e dei diritti, ma hanno anche potenziato gli strumenti di garanzia, eccone degli esempi:Riserva di legge: alla legge è riservata la disciplina dei cadi e dei modi con cui le libertà possono essere limitate, infatti le libertà che tutelano l’individuo sono sempre corredate da riserve assolute di legge da riserve rinforzate per contenuto.Riserva di giurisdizione: meccanismo che spesso rafforza la riserva assoluta di legge perché serve a ridurre lo spazio di valutazione discrezionale lasciato all’autorità pubblica, la riserva di giurisdizione condizione ogni provvedimento restrittivo ad una previa autorizzazione da parte del giudice.Tutela giurisdizionale: l’art.24 recita “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi” vi è quindi ampia possibilità di ricorrere al giudice per ogni violazione dei propri diritti; il diritto alla difesa è un completamento indispensabile delle norme costituzionali che riconoscono i diritti e le libertà, che, senza di quello, risulterebbero svuotate di significato giuridico.Responsabilità del funzionario: l’art.28 stabilisce il principio della responsabilità diretta dei funzionari e dipendenti pubblici per gli atti compiuti in violazione di diritti. L’esistenza di forme di responsabilità penale e amministrativa a carico dei funzionari pubblici, e la responsabilità civile solidale dello Stato, costituiscono indubbiamente una garanzia dei diritti soggettivi, sia per il suo valore deterrente, sia per la tutela risarcitoria che viene assicurata.

Sindacato di legittimità costituzionale: la Corte costituzionale è chiamata a controllare che la legislazione ordinaria non travalichi e comprima le garanzie sino ad annullarle. I diritti fondamentali sono quelli che la Corte dice che essi siano in quanto l’effettivo contenuto di libertà e diritti dipende dalle interpretazioni fornite dalla giurisprudenza della Corte.

3. L’APPLICAZIONE DELLE GARANZIE COSTITUZIONALI.In certo casi la Costituzione riconosce a tutti la tutela dei diritti, in altri casi solo ai cittadini, la domanda è se e in quale misura i diritti riservati ai cittadini possano estendersi agli stranieri. L’art.10 pone riserva di legge rinforzata per lo status giuridico dello straniero “la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla

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I magistrati rispondono degli atti compiuti in violazione dei diritti? L’art.55 cod.proc.civ. limitava ai soli casi di colo, frode e concussione e diniego di giustizia, la responsabilità civile del giudice. La Corte costituzionale ha esteso ance agli atti compiuti dai magistrati la responsabilità solidale dello Stato, stemperando la previsione di una responsabilità personale diretta del giudice. La legge 117/1988 limita la responsabilità per danno ingiusto provocato da comportamenti degli organi giudiziari al dolo e alla colpa grave, prevedendo che l’azione di risarcimento venga proposta contro lo Stato e non il singolo magistrato (fatto salvo il reato).

legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”, sulla base di questa disposizione di possono giustificare estensioni dei diritti fondamentali agli stranieri. La Corte ha poi seguito un altro criterio per estendere la protezione dei diritti ai non-cittadini attraverso l’art.2 che sancisce il riconoscimento e la garanzia dei ‘diritti inviolabili dell’uomo’, la conseguenza dell’essere inviolabili è che appartengono all’uomo inteso come essere libero senza quindi discriminazione a danno degli stranieri.La Corte è giunta ad affermare il principio per cui la garanzia dei diritti inviolabili si estende allo straniero. Ma occorrono 2 precisazioni:1) l’estensione opera nei confronti dei soli diritti definibili ‘inviolabili’ sulla base della Costituzione; per gli

altri diritti, continua ad avere applicazione la regola fissata dall’art.16 delle Preleggi, che ammette lo straniero a godere dei “diritti civili del cittadino” a condizione di reciprocità; questo articolo ha ora applicazione ristretta, è rimasto come norma residuale;

2) l’eguaglianza dello straniero a godere dei diritti inviolabili è un principio e non una regola tassativa, il legislatore può prevedere oneri o limitazioni a carico degli stranieri, purché essi siano ragionevolmente giustificabili sulla base della particolare situazione dello straniero. Ossia, la condizione di straniero, può essere la ratio distinguendi che giustifica la ragionevolezza di un certo grado di scostamento dalla disciplina dello straniero da quella del cittadino.

Un secondo problema che si pone in relazione all’ambito soggettivo dei diritti è se essi possano essere fatti valere solo nei confronti dell’autorità pubblica o anche nei rapporti tra privati. Di regola i diritti costituzionali abbiano protezione anche nei rapporti tra privati, in generale, la Corte costituzionale ha in varie occasioni sancito l’efficacia erga omnes di singoli diritti di libertà.

La Corte costituzionale ha sistematicamente respinto l’idea che le nozioni costituzionali siano ‘pietrificate’. Tutto l’opposto, la Corte ha accreditato la tesi che i concetti costituzionali evolvono così come evolve la coscienza sociale, ovviamente ogni nozione presenta un nucleo storico, indiscutibili: che la libertà personale, per esempio, riguardi anzitutto l’integrità fisica delle persone. La definizione dei termini costituzionali non è quindi statica, ma ha uno sviluppo dinamico.

Se l’area dei beni o degli interessi protetti dalla Costituzione è in continua mutazione, ciò significa che la disposizione legislativa che la Corte ha ritenuto un giorno non contrastante con le garanzie sancite da una disposizione costituzionale, può risultare, in un secondo momento, con essa compatibile. E’ il fenomeno può essere causato da diverse ragioni.a) Può essere un mutamento dei costumi sociali a rendere un giorno incompatibile con la Costituzione una

determinata regola che in precedenza era tollerabile.b) L’anacronismo può essere causato dalla evoluzione tecnologica, che porta a valutare in modo diversi la

portata dei principi costituzionali. In certi casi le nuove tecnologie possono creare semplicemente l’esigenza di ridefinire le nozioni costituzionali, in altri casi esse rendono anacronistica la legge perché mutano il modo di far valere le garanzie costituzionali.

c) La stessa evoluzione della legislazione ordinaria può creare anacronismo legislativo. La disciplina legislativa di una cera materia viene riformata, ma nell’ordinamento resta qualche disposizione che risponde a principi della vecchia legislazione; non muta quindi il significato delle disposizioni costituzionali, ma la Corte, operando con il giudizio di ragionevolezza, dichiara illegittima la norma ‘rimasta indietro’. La disposizione legislativa è dichiarata ‘anacronistica’ in relazione al tertium comparationis costituito da un’altra legge ordinaria.

Sempre più spesso la Corte costituzionale fa uso delle convenzioni internazionali per ‘aggiornare’ il significato delle disposizioni costituzionali. E’ assodato ormai che le norme internazionali derivanti da

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La Costituzione riserva agli stranieri alcuni diritti, riassunti sotto l'etichetta di ‘diritto d’asilo’. E’ il diritto soggettivo riconosciuto dall’art. 10 allo straniero “al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”, di trovare rifugio nel territorio italiano. Sempre l’art.10 pone una riserva di legge sulla disciplina del diritto d’asilo. Il riconoscimento del diritto d’asilo ha conseguenze importanti, perché chi lo consegue non può essere più sottoposto ad estradizione o ad espulsione. L’estradizione è la consegna di una persona ad uno Stato straniero perché venga sottoposta a giudizio. L’espulsione è invece l’atto con cui lo Stato allontana dal proprio territorio lo straniero, inviandolo verso lo Stato di appartenenza o verso quello di provenienza.

trattati entrino nel nostro ordinamento in forza della norma di esecuzione ed assumano la stessa posizione gerarchica di questa. Ciò significa che, non hanno mai potuto costituire un parametro della validità delle leggi ordinarie, non essendo ad esse superiori nella gerarchia della fonti.

La Corte costituzionale ha mostrato scarse aperture nella direzione del riconoscimento dei uno status differenziato alla CEDU rispetto agli altri trattati. Tuttavia è ormai usa ad impiegare le convenzioni internazionali e la CEDU come strumenti di interpretazione delle disposizioni costituzionali sui diritti di libertà. Un mutamento significativo si è però avuto a seguito della modifica dell’art.117, introdotta con la legge cost.3/2001, che prevede, sia per il legislatore statale che per quello regionale, il vincolo degli obblighi internazionali. La Corte ha stabilito che tutti i trattati internazionali si pongono come limite per la legislazione ordinaria; vi è quindi soggezione all’interpretazione della Corte di Strasburgo, alla quale gli Stati contraenti sono vincolati ad uniformarsi. Ma i giudici non possono mai disapplicare le leggi italiane contrastanti con la CEDU o con gli altri trattati internazionali.

Il bilanciamento dei diritti è una tecnica impiegata in tutte le corti costituzionali per risolvere questioni di costituzionalità in cui vi sia un contrasto tra diritti o interessi diversi.I diritti e le libertà costituzionali sono espressi come principi. I principi sono un tipo di norma giuridica, che si distingue dalle regole perché sono dotati di un elevato grado di genericità e non sono circostanziati: in quanto principi, i diritti sono affermati in modo assoluto. Considerati in astratto i principi non collidono mai, ma i conflitti tra essi si verificano sistematicamente nell’applicazione concreta.In non pochi casi, è la stessa Costituzione ad indicare in nome di quali interessi il diritto costituzionale può essere limitato: in questo modo il costituente ha cercato di indicare il limite oltre il quale la garanzia del diritto cessa del tutto o subisce una eccezione.

Si possono individuare almeno 3 ipotesi generali di conflitto tra interessi:(A) Concorrenza tra soggetti diversi nel godimento dello stesso diritto: le risorse cono limitate, e quindi c’è un

problema di regolazione della concorrenza.(B) Concorrenza tra interessi individuali non omogenei: ad esempio, il conflitto sull’aborto vede contrapposti

interessi eterogenei vantati da soggetti diversi: l’interesse alla salute della madre e l’interesse alla vita del nascituro.

(C) Concorrenza tra interessi individuali e interessi collettivi: la sicurezza della viabilità e la tutela dei monumenti possono prevalere sulla libertà di espressione, che può essere limitata anche in nome dell’economia pubblica od ella sicurezza del credito.

E’ davvero impossibile tracciare gerarchie e precedenze tra diritti e interessi. Ciò non significa che la Corte compia giudizi arbitrari: le motivazioni che essa è tenuta a produrre per giustificare la sentenza rispecchiano un certo procedimento logico che così si può riassumere:1) innanzitutto la Corte ricostruisce la ratio legis e valuta la legittimità del fine della legge in questione, cioè

dell’interesse alla cui tutela la legge impugnata è diretta: se il fine fosse illegittimo, il giudizio si chiuderebbe subito con un pronuncia di illegittimità;

2) la Corte poi valuta la congruità del mezzo rispetto al fine, ossia la capacità della disposizione impugnata di servire alla tutela dell’interesse che il legislatore ha inteso proteggere: se non ci fosse congruità ci sarebbe difetto di ragionevolezza e una conseguente pronuncia di illegittimità;

3) la Corte procede quindi ad un giudizio di proporzionalità: valuta cioè il costo della tutela accordata ad un interesse. Qui non si parla del costo finanziario ma sta ad indicare la compressione dell’altro interesse coinvolto nel bilanciamento; questo è il nucleo essenziale del giudizio di bilanciamento.

Le domande che la Corte si pone sono essenzialmente due:

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La CEDU ha una caratteristica che la distingue: essa funzione con gli strumenti tipici del diritto positivo, ha una giudice ed ha sanzioni. La CEDU è stata promossa dal Consiglio d’Europa. Dopo l’entrata in vigore dell’XI protocollo, sia gli Stati contraenti che gli individui possono ricorrere direttamente alla Corte (europea dei diritti dell’uomo). La Corte europea ha solo il potere di dichiarare se nel caso specifico vi sia stata o meno violazione della CEDU, gravando sullo Stato il compito di individuare le misure destinate a porre termine alla violazione. L’Italia è sistematicamente condannata per l’abnorme lunghezza dei processi, specie quelli civili.

1. per raggiungere il suo obiettivo il legislatore disponeva di uno strumento meno costoso in termini di compressione dell’altro diritto/interesse? Il compito del legislatore risulta assolto quando lo strumento normativo scelto per la tutela è quello che comporta il minor sacrificio degli interessi concorrenti.

2. il sacrificio imposto all’interesse concorrente è totale o consente comunque un sufficiente esercizio di quel diritto? Se il legislatore può ragionevolmente comprimere la tutela di un interesse o limitare l’esercizio di un diritto, non può però arrivare ad annullarlo, ossia violarne il contenuto essenziale.

Il giudizio di bilanciamento è qualcosa che si basa su criteri di ragionevolezza e di buon senso più che sulla rigorosa interpretazione della Costituzione.

La tecnica del bilanciamento degli interessi consente alla Corte di prendere in considerazione anche interessi che non hanno uno specifico riconoscimento in Costituzione. Spesso vengono chiamati nuovi diritti, per indicare l’assenza di una specifica disciplina costituzionale. La Corte, per esempio, ha talvolta affermato l’esistenza di un diritto fondamentale all’abitazione, o il diritto all’identità sessuale.Parte della dottrina ha ritenuto che questi diritti abbiano un fondamento nell’art.2. La disposizione “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo” è letta come un catalogo aperto del diritti, dietro a questo interpretazione vi è un’opzione ideologica di più ampia portata: l’idea che i ‘diritti’ preesistano al ‘diritto’, e che compito del secondo sia riconoscere i primi ed adeguare ad essi le leggi. Allargando il numero dei diritti fondamentali, si raggiunge però il risultato opposto: l’ambito di godimento di ognuno di essi viene infatti ristretto, trovandosi costretto a bilanciarsi con nuovi interessi.La Corte costituzionale è stata in passato assai ferma a negare la lettura ‘aperta’ dell’art.2, ritenendo che i ‘diritti inviolabili’ si cui quella disposizione parla, non siano altro che i diritti esplicati negli articoli successivi (teoria del catalogo chiuso dei diritti). Questo non le ha però impedito di introdurre nel bilanciamento anche ‘nuovi’ interessi degni di considerazione.Ciò non toglie che la Corte abbia, in alcuni casi, tratto il riconoscimento del ‘nuovo diritto’ dall’art.2. Ma non sembra che ciò abbia comportato un’adesione della Corte alla teoria del catalogo aperto, il richiamo all’art.2 è servito piuttosto come argomentazione aggiuntiva per giustificare un assai più normale bilanciamento degli interessi.

4. I DIRITTI NELLA SFERA INDIVIDUALE.Le classificazioni dei diritti e delle libertà hanno in genere ben poco significato pratico, tuttavia si può dire che la tecnica usata dalla Costituzione per scrivere le garanzie dei diritti procede secondo una logica precisa. I diritti legati alla sfera individuale sono a loro volta costruiti con una tecnica a spirale, che inizia con l’habeas corpus, cioè con il bene più fisicamente connesso all’individuo, la libertà della persona fisica appunto, allargando poi la tutela, per gradi, ad altri aspetti.Incollandosi l’area garantita da una libertà con quella garantita dalle altre, si rafforza e si completa la garanzia collettiva dei diritti individuali; ma è anche vero che l’intensità della tutela varia da una all’altra libertà, attenuandosi man mano che ci si allontana dal nucleo fondamentale della libertà personale.

Nella sua accezione più ristretta e storia la libertà personale coincide con la libertà dagli arresti. Il nucleo fondamentale della libertà personale è quindi la libertà fisica; è ovvio che la la libertà nasca e venga affermata contro i poteri repressivi dello Stato, perché è lo Stato che ha assunto il monopolio dell’uso della forza. Solo lo Stato può limitare la libertà fisica delle persone; nei confronti degli altri soggetti lo Stato si fa garante della libertà personale dell’individuo ogni limitazione della libertà personale da parte di soggetti privati costituisce un illecito penale. Nella prassi giurisprudenziale l’ambito della nozione di libertà personale ha subito però un notevole ampliamento; l’art.13 chiude l’elencazione con una locuzione ‘aperta’ (“qualsiasi altra restrizione delle libertà personali”): non tutte le limitazioni della libertà personale ricadono nel divieto dell’art.13. Ne restano infatti escluse quelle di lieve entità, di per sé incapaci di ledere la dignità personale e di costituire misure equivalenti all’assoggettamento dell'individuo all’altrui potere.Il metro quantitativo è però integrato da un elemento qualitativo, che posta a comprendere nella tutela della libertà personale anche il divieto alla violenza morale. Seguendo questa linea di interpretazione, la Corte ha incluso tra le misure lesive della libertà personale anche provvedimenti in cui non v’è traccia di coercizione fisica, come l’ammonizione, il c.d. soggiorno cautelare che è una misura di prevenzione e l’obbligo di comparire nell’ufficio di polizia.

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Insomma nella definizione di libertà personale accreditata dalla Corte costituzionale, l’elemento determinate appare essere proprio il livello di degradazione giuridica che la coercizione comporta, più che la natura fisica della coercizione stessa.

Strumenti di tutela della libertà personale predisposti dalla Costituzione sono: la riserva assoluta di legge e la riserva di giurisdizione, inoltre contro tutti i provvedimenti che incidono sulla libertà personale è sempre ammesso il ricorso alla Corte di cassazione.“In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge” (art.13) l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori che devono essere comunicati all’autorità giudiziaria entro 48h e convalidati nelle successive 48. Se ciò non accade si intendono revocati e “restano privi di effetti”. Rientrano tra i casi eccezionali i casi previsti dal codice di procedura penale. Ma anche in questi casi la garanzia della riserva di giurisdizione non è superabile; il codice di procedura penale rafforza queste garanzie: dispone che l’arrestato o il fermato venga consegnato entro 24h al P.M., altrimenti il provvedimento diventa inefficace; il P.M. può procedere all’interrogatorio solo in presenza del difensore; è il P.M. a chiedere la convalida dell’arresto o il fermo al g.i.p. entro 48h.

La riserva di legge dell’art.13 opera anche per l’individuazione del tipo di restrizione cui può essere sottoposta la libertà personale: tuttavia sono diversi i principi costituzionali che operano a questo proposito.(a) Già si è ricordato il divieto di ogni violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizione.(b) “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del

condannato” (art.27)(c) L’esclusione della pena di morte è un corollario dell’art.27.(d) La giurisprudenza più recente della Corte costituzionale ha allargato il giudizio di ragionevolezza

anche alla misura delle pene.

Per trattamento sanitario obbligatorio di intende ogni tipo di attività diagnostica o terapeutica imposta all’individuo. Se il trattamento è rivolto alla ricerca di prova del reato o alla difesa sociale della commissione di reati futuri, si ricade nella tutela tipica dell’art.13. Se invece il trattamento è ispirato a finalità sanitarie, si ricade nella tutela specifica prevista dall’art.32, la tutela accordata da questo articolo si limita alla riserva di legge, che per di più è considerata solo relativa (non c’è riserva di giurisdizione).Vari tentativi sono stati fatti per allargare la nozione di trattamento sanitario obbligatorio: i giudici li hanno sempre respinti, ma hanno anche respinto ogni tentativo delle strutture sanitarie di imporre ai pazienti scelte mediche ritenute indispensabili. L’obbligo importo per legge, di sottoporsi a trattamento medico deve essere motivato esclusivamente da esigenze di tutela della salute pubblica, non della propria salute individuale: per essa prevale la libertà di scelta individuale.

Secondo una definizione classica, il domicilio è una proiezione spaziale della persona, per questo l’art.14 estende al domicilio “le garanzie prescritte per la libertà personale”. Tuttavia le definizione di domicilio non è semplice. Vi è la nozione del codice civile, che fissa il domicilio di una persona “nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principiale dei suoi affari e interessi”. Per il diritto penale, il domicilio è invece l’abitazione e ogni “altro luogo di privata dimora” nonché le “appartenenze di essi”. Ormai è pacifico che il significato attribuibile al termine domicilio impiegato dall’art.14 sia quello del diritto penale; tuttavia la Corte

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Le misure di prevenzione sono provvedimento adottati non a seguito della commissione di un reato ma in base a indizi o sospetti che certi reati possano essere commessi in futuro, in ciò si distinguono dalle misure cautelari, che sono provvedimenti assunti dall’autorità giudiziaria nel corso delle indagini o del processo, e quindi in conseguenza di un reato già commesso, e dalle misure di sicurezza, che seguono alla condanna, in considerazione della pericolosità del reo.Le misure di prevenzione possono avere carattere patrimoniale o personale e, in questo secondo ambito, possono o meno incidere sulla libertà personale. Il problema specifico che sollevano le misure di prevenzione è che esse si basano si ‘fattispecie di sospetto’. E’ diffusa l’opinione che provvedimenti fortemente limitativi della libertà costituzionali non possano essere giustificati sulla base di un mero sospetto, suffragato da fatti che di per sé non costituiscono reato.

costituzionale ha mostrato la disponibilità ad estendere la nozione di domicilio al di là della nozione penalistica, per includervi anche ambiti ad essa estranei: è domicilio qualsiasi spazio isolato dall’ambiente esterno di cui il privato disponga legittimamente, incluso il bagaglio dell’automobile.

Anche il domicilio è inviolabile, al domicilio si estendono le stesse garanzie previste per la libertà personale. E’ opinione comune che la libertà di domicilio sia garantita anche alle formazioni sociali quali società, associazioni, etc.Il codice di procedura penale ci fornisce la definizione dei termini chiave: ispezione, perquisizione e sequestro (i mezzi di ricerca della prova penale). L’ispezione serve ad “accertare le tracce e gli effetti materiali del reato”; la perquisizione serve alla ricerca del corpo del reato o di cose pertinenti ed è preordinata al sequestro si essi.Come per la libertà personale anche per il domicilio è prevista la facoltà della polizia di provvedere, in casi eccezionali a ispezione, perquisizione e sequestro senza autorizzazione dell’autorità giudiziaria.

L’art.14 ammette eccezioni alla disciplina generale appena descritta. Ma queste eccezioni hanno limiti di oggetto e sono coperte da un riserva di legge rinforzata per contenuto: infatti la legge può consentirle solo per motivi di sanità e incolumità pubblica o per fini economici e fiscali. Con questi limiti l’autorità amministrativa può accedere al domicilio per accertare lo stato dei luoghi o esaminare la documentazione ivi conservata, senza la previa autorizzazione del giudice.

L’art.15 tutela la libertà e la segretezza di “ogni forma di comunicazione”, la libertà di comunicazione tutela l’espressione del proprio pensiero che è intenzionalmente non manifesta ma riservata. Molte cose non sono ancora del tutto chiare nella libertà di corrispondenza (corrispondenza in busta aperta, già recapitata, aperta, letta); il cod. pen. definisce corrispondenza “quella epistolare, telegrafica, telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza” esso punisce “chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa a lui non diretta”, ma anche chi sottrae la corrispondenza, anche se aperta, oppure la distrugge.

La libertà e la segretezza della corrispondenza sono tutelate attraverso il solito doppio meccanismo della riserva di legge e di giurisdizione. Il codice di procedure penale detta norme piuttosto severe. Il sequestro di posta deve essere predisposto dall’autorità giudiziaria, e solo il giudice può prendere cognizione del contenuto del materiale sequestrato. Per le intercettazioni il p.m deve chiedere l’autorizzazione al giudice, che l’accorda soltanto quando vi siano gravi indizi di reato e l’intercettazione sia assolutamente indispensabile.

La libertà di circolazione e soggiorno: nella prima è in qualche modo compresa anche la seconda. La differenza fra le due sta nel carattere coercitivo e degradante della dignità umana che caratterizza le limitazioni della libertà personale; la legge può disporre limitazioni alla libertà di circolazione soltanto in via generale per “motivi di sanità o di sicurezza”. La libertà di circolazione comprende dia la libertà di espatrio che la libertà di scelta del luogo di esercizio delle proprie attività economiche. La costituzione sottopone la libertà di espatrio agli obblighi della legge. La libertà di scelta del luogo di esercizio delle proprie attività economiche è ormai potenziata ed estesa all’intero territorio della Comunità europea dai principi di liberalizzazione del Trattato, ed in particolare dal diritto di stabilimento.

La libertà di circolazione è garantita ai cittadini da un riserva di legge rafforzata per contenuto ma non da riserva di giurisdizione. La Corte costituzionale ha sostenuto che la locuzione “in via generale” sta solo a riaffermare il principio di eguaglianza. Ha dato inoltre un’interpretazione estensiva della nozione di sicurezza, il limite della sicurezza non può in alcun modo riguardare le scelte politiche delle persone.

5. I DIRITTI DELLA SFERA PUBBLICA.I diritti che attengono alla sfera pubblica dell’individuo sono posti a tutela della dimensione sociale della persona. Essa si esprime in due direzioni da un lato, nella libertà di espressione de proprio pensiero, dall’altro nella libertà di riunirsi.

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E’ chiaro che queste libertà sono strettamente connesse alla iniziativa politica delle persone, per questa ragione, la legislazione previgente alla Costituzione, di ispirazione fasciste, era fortemente restrittiva per quanto riguarda l’esercizio di questi diritti; è stato compito della Corte costituzionale togliere uno ad uno i meccanismi normativi repressivi.Vi è però da aggiungere che i meccanismi repressivi dell’esercizio delle libertà della sfera pubblica spesso servono a proteggere altri interessi della collettività. La stessa Costituzione fa uso di clausole limitative tese a proteggere interessi sociali come il “buon costume” o “l’ordine pubblico”.

Per riunione si intende la compresenza volontaria di più persone nello stesso luogo . E’ proprio la volontà di stare insieme per uno scopo comune a distinguere la riunione da altre forme di assembramento. Sono da considerarsi ‘riunione’ i cortei, le manifestazioni spontanee, feste da ballo, cerimonie e processioni religiose, spettacoli organizzati in un circolo privato, assemblee, convegni, comizi.

La condizione posta dalla Costituzione al diritto di riunione è che essa si svolga “pacificamente e senza armi” per tutelare l’ordine pubblico in senso materiale. Il fatto che solo qualcuno dei partecipanti sia armato non è di per sé causa di scioglimento della riunione, ma semmai dell’allontanamento dell’interessato. Problematica è la definizione di ‘arma’ perché la legge l’estende alle c.d armi improprie. La Corte costituzionale ha però precisato che si devono considerare “arma impropria solo gli strumenti chiaramente utilizzabili, per le circostanze di tempo e luogo, per l’offesa alla persona”.

A seconda del luogo in cui si svolgono, le riunioni di distinguono in riunioni in luogo privato, riunioni in luogo aperto al pubblico e riunioni in luogo pubblico. Le prime sono quelle che si svolgono nei luoghi destinati al godimento esclusivo dei privati.I luoghi aperti al pubblico sono quelli in cui l’accesso del pubblico è soggetto a modalità determinate da chi ne ha la disponibilità. Luoghi pubblici sono infine quelli ove ognuno può transitare liberamente. Solo per le riunioni in luogo pubblico prevede l’obbligo del preavviso deve essere dato in forma scritta almeno 3 giorni prima al questore, con l’indicazione del luogo, dell’ora e dell’oggetto della riunione. Il preavviso è un onere posto a carico dei promotori della riunione, ma non è una condizione di legittimità della riunione. Il questore può preventivamente la riunione, ma “soltanto per comprovati motivi di sicurezza e incolumità pubblica”. Il divieto deve essere ovviamente motivato ed è impugnabile di fronte a un giudice.

Per associazione s’intendono le formazioni sociali che hanno base volontaria ad un nucleo, sia pure embrionale di organizzazione e di tendenziale stabilità. La disciplina dell’art.18 si rivolge a tutte le forme associative, tuttavia la stessa Costituzione detta norme specifiche per alcuni tipi di associazione: le associazioni a carattere religioso.

L’art.18 pone tre garanzie alla libertà di associazione:(1) La prima garanzia riguarda l’adesione all’associazione, che deve essere libera, tuttavia la stessa Corte

costituzionale ha dichiarato compatibile con l’art.18, tutta la serie di associazioni obbligatorie cui è necessario per svolgere determinate attività; tali sono anzitutto gli ordini professionali. Tali sono anche le federazioni sportive, alcune forme di consorzio obbligatorio tra proprietari o produttori. La libertà negativa di associarsi non è assoluta, ma può essere oggetto di bilanciamento; essa ha riflessi anche sull’organizzazione interna dell’associazione. La disciplina di questa è lasciata all’autonomia dell’associazione stessa. Tuttavia lo statuto dell’associazione può regolare, ma mai impedire il diritto di recesso del socio.

(2) La seconda garanzia riguarda l’istituzione dell’associazione: essa può avvenire senza autorizzazione; sono però i cittadini gli unici a cui spetta la facoltà di creare o meno un’associazione.

(3) La terza garanzia è costituita da una riserva di legge rinforzata; in questo senso va letta la locuzione “per fini che non sono vietati al singolo dalla legge penale”, le associazioni possono fare tutto quello che possono fare i singoli. Si possono quindi vietare le associazione che hanno come scopo la commissione di reati ma che siano reati previsti per il singolo.

L’art.18 vieta solo due tipi di associazioni: le associazioni segrete e le associazioni paramilitari.“Si considerano associazioni segrete, quelle che, anche all’interno di associazioni palesi, occultano la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali ovvero rendendo sconosciuti, in tutto o in parte ed anche

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reciprocamente, i soci, svolgono attività diretta ad interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale” (legge 17/1982, ‘legge P2’). La legge P2 sanziona penalmente l’appartenenza ad associazioni segrete e determina la procedura di scioglimento: ci deve essere una sentenza irrevocabile che accerti l’esistenza dell’associazione segreta, cui segue un Decreto del PdC che ne ordina lo scioglimento e la confisca del beni.Le associazioni paramilitari sono quelle “che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”; l’associazione persegue uno scopo di per sé perfettamente lecito, cioè l’attività politica, e ha una struttura organizzativa anch’essa lecita, cioè l’organizzazione militare. Notare che per avere organizzazione di carattere militare basta “l’inquadramento degli associati in corpi, reparti e nuclei, con disciplina e ordinamento gerarchico interno analoghi a quelli militari, con l’eventuale adozione di gradi o di uniformi, e con l’organizzazione atta anche all’impiego collettivo in azioni di violenza e di minaccia”.

La libertà di coscienza è la libertà di coltivare profonde convinzioni interiori e di agire di conseguenza. Essa non ha un esplicito riconoscimento in Costituzione, invece il diritto di agire secondo coscienza è implicito in tutti i diritti di libertà ed incontra i limiti posti dalle leggi.

Libertà di coscienza e libertà religiosa sono tutelate attraverso un ricco strumentario:(a) Divieto di discriminazione. Le distinzioni per religione sono vietate dal nucleo duro del principio di

eguaglianza.(b) L’eguaglianza tra le confessioni religiose. Art.8 “tutte le confessioni religiose sono uguali davanti alla legge”; in un

primo tempo la Corte interpretò questo articolo in senso restrittivo ovvero come garanzia di eguale libertà ma non di eguale trattamento, tutto ciò cambiò dopo la riforma del Concordato.

(c) La libertà di culto. L’art.19 garantisce a tutti “il diritto di professare liberamente la propria fede”, la libertà di culto si estende a tutte le attività ad esso connesse; l’unico limite sta nel buon costume (inteso come morale sessuale).

(d) L’obiezione di coscienza è il rifiuto da parte dell’individuo di compiere atti prescritti dall’ordinamento ma contrari alla proprie convinzioni religiose.

La libertà di manifestazione del pensiero consiste nella libertà di esprimere le proprie idee e di divulgarle a un numero indeterminato di destinatari. Siccome la circolazione delle idee è il presupposto della democrazia questa libertà è considerata la pietra angolare del sistema democratico. Nessuna selezione può essere compiuta tra le idee: tutte possono essere espresse liberamente.

L’unico limite posto dall’art.21 alla libertà di espressione è il buon costume, inteso come pudore sessuale.la legge sulla stampa estende il reato di pubblicazioni oscene, punendo anche le pubblicazioni a contenuto impressionante o raccapricciante che provochino turbamento del comune sentimento della morale o l’ordine familiare.Il limite del buon costume non è applicabile alle opere d’arte e di scienza.

Nella legge penale vi sono varie fattispecie di reato che si realizzano attraverso forme di espressione del pensiero. Perciò molti di questi reati di opinione sono stati sottoposti al giudizio della Corte costituzionale, che però in molti casi li ha fatti salvi. Le argomentazioni della Corte hanno seguito alcune direttrici:(1) Pensiero e azione. La prima direttrice muove nella distinzione tra ciò che è ‘espressione del pensiero’ e

ciò che è invece già ‘principio d’azione’, questo vale soprattutto per i reati come l’istigazione, l’apologia di delitti, la pubblicazione di notizie false o tendenziose. La Corte ha fatto salve diverse di queste fattispecie penali, ritenendo che sia punibile l’espressione del pensiero quando questa sia idonea a determinare direttamente l’azione pericolosa per la sicurezza pubblica. Ha rimesso quindi la giudice penale la valutazione in concreto dell’idoneità dell’espressione del pensiero a generare azioni pericolose.

(2) Pensiero e offese. La libertà di manifestare il proprio pensiero non può giungere fino al punto da offendere l’onore degli altri: da qui la legittimità dei “delitti contro l’onore”, quali l'ingiuria, e la diffamazione. Ma la Corte ha fatto salve anche le fattispecie di reato poste a protezione del sentimento religioso, del prestigio delle istituzioni. Anche in questo caso è lasciata al giudice di merito la valutazione del caso concreto.

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La libertà di espressione è garantita a tutti. Il problema è che i mezzi di diffusione del pensiero più efficaci non sono disponibili per tutti; due ordini di fattori limitano la disponibilità dei mezzi, fattori fisici e fattori economici.La libertà di manifestazione del pensiero si intreccia quindi con la libertà di iniziativa economica. Non vi è dubbio infatti che la libertà di manifestazione del pensiero comprenda anche la libertà di informazione (intesa anche sotto un profilo passivo “diritti di essere informati”). Da qui nasce la legislazione anti-trust che pone sotto controllo i trasferimenti di proprietà delle imprese giornalistiche e radiotelevisive, impone la pubblicità dei bilanci delle imprese e regola l’accesso al mercato pubblicitario.

Il regime della stampa è caratterizzato dal divieto di sottoporre la stampa a controlli preventivi, cioè di introdurre “autorizzazioni o censure”; è ammesso invece il sequestro. Il sequestro è però circondato da garanzie molto rigide:(a) riserva di legge assoluta: il sequestro è possibile solo in due casi: “nel caso di delitti, per i quali la legge sulla

stampa espressamente lo autorizzi” il riferimento va inteso più in generale alle leggi penali, ed è quindi preordinato alla salvaguardia del buon costume, ciò vale anche per le pubblicazioni con le quali si compia il delitto di apologia del fascismo; “nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili” la stampa è infatti libera ma non può essere anonima.

(b) riserva di giurisdizione: il sequestro deve essere disposto dal giudice, ma in caso in cui “vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria”.

E’ stato compito della Corte costituzionale elaborare i principi che devono ispirare la disciplina della radiotelevisione. E’ su sollecitazione della giurisprudenza che dal regime di monopolio pubblico si è passati al sistema misto attuale.La radio era nata in Italia come monopolio pubblico disciplinato dal c.d. codice postale del 1936: con l’avvento della televisione questo regime si estese anche ad essa. (se i costi delle imprese radiotelevisive sono molto elevati e se il numero delle frequenze che le convenzioni internazionali assegnano all’Italia è limitato, allora, il pluralismo dell’informazione è meglio garantito dal monopolio pubblico che da un regime privatistico che sfocerebbe inevitabilmente in un monopolio o in un oligopolio).L’evoluzione successiva della giurisprudenza non si staccò da questo ragionamento. Furono dapprima escluse dal monopolio pubblico le attività dei ripetitori di trasmittenti estere, furono escluse le televisioni via cavo a raggio limitato; poi furono escluse le trasmittenti radiofoniche e televisive via etere ma di ambito locale, mantenendo fermo però il monopolio pubblico per le trasmissioni su scala nazionale.Si realizzò esattamente ciò che la Corte paventava ovvero la costituzione di un monopolio privato che assorbì la gran parte delle trasmittenti locali. Quando alcuni giudici intervennero per oscurare le trasmissioni private di scala ormai nazionale il Governo emanò in decreto-legge che, in via transitoria, legittimava la situazione creatasi di fatto. Dovette ancora la Corte sollecitare la riforma, che venne introdotta dalla c.d. legge Mammì che legittimò il sistema misto pubblico-privato istituitosi di fatto. Il servizio pubblico resta affidato in concessione ad una società a totale partecipazione pubblica, la RAI, accanto ad esso vi sono dei concessionari privati.Ma la Corte costituzionale è già intervenuta per dichiarare incompatibili con il principio del pluralismo la norma della legge che consentiva di assegnare allo stesso soggetto privato tre delle dodici reti nazionali previste. Da qui l’ulteriore riforma, le legge è illegittima perché “la situazione di fatto non garantisce ... l’attuazione del principio del pluralismo informativo esterno, che rappresenta uno degli ‘imperativi’ ineludibili emergenti dalla giurisprudenza costituzionale in materia” e ponendo un termine entro il quale la ‘situazione di fatto’ andava corretta. L’ulteriore riforma legislativa, cerca di aggirare l’ostacolo diluendo il sistema televisivo tradizionale in un paniere di mezzi di comunicazione in cui rientrano gli strumenti più vari, punta sulla diffusione di nuove tecnologie e avvia la partizione della RAI, l’impresa radiotelevisiva pubblica.

6. DIRITTI SOCIALI.Per diritti sociali comunemente si intendono i diritti dei cittadini a ricevere determinate ‘prestazioni’ dagli apparati pubblici. Questo tipo di definizione può generare qualche equivoco: sia perché tutti i diritti si basano su una prestazione degli organi pubblici, e perciò ‘costano’, sia perché anche i diritti sociali hanno un contenuto minimo che è comunque protetto direttamente dalla Costituzione.I diritti sociali sono espressi in Costituzione come programmi la cui attuazione è rinviata alla attività successiva degli organo pubblici. Per esempio l’art.30 afferma che “nei casi di incapacità dei genitori, la legge

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provveda a che siano assolti i loro compiti”. Nei primi anni di applicazione della Costituzione, queste disposizioni costituzionali venivano interpretate come ‘norme programmatiche’ ossia come programmi assegnati al legislatore futuro. Poi la prassi dell'applicazione giurisprudenza ha mostrato che la più programmatica delle disposizioni costituzionali contiene aspetti precettivi, direttamente applicabili.La Corte costituzionale ha sempre ripetuto che i diritti di prestazione devono essere bilanciati conseguenze di tipo organizzativo e di finanza pubblica. Le esigenze della finanza pubblica o di funzionalità dell’organizzazione non possono consentire una compressione tale dei diritti sociali da intaccarne il minimo essenziale.

La Costituzione non predispone particolari strumenti di tutela per i diritti sociali. E’ attraverso la legislazione ordinaria che questi vengono organizzati in prestazione e servizi: le norme che disciplinano le prestazioni e i servizi sono generalmente derogatorie rispetto al principio di eguaglianza formale. Si richiama quindi all’eguaglianza formale chiedendo al giudice di estendere in via d’interpretazione la categoria dei beneficiari delle prestazioni pubbliche in modo da includervi anche il ricorrente, oppure di impugnare la legge davanti alla Corte costituzionale per chiederle di dichiarare illegittima la legge ‘nella parte in cui’ esclude dai benefici la sub-categoria a cui appartiene il ricorrente. Meno frequenti sono i ricorsi in cui si lamenta la violazione del contenuto essenziale del diritto.

7. I DIRITTI NELLA SFERA ECONOMICA.Libertà sindacale.Diritto di sciopero.Libertà di iniziativa economica.Proprietà privata.Il mercato nella Costituzione.Il mercato nel Trattato CE.La rilettura della Costituzione economica.Le Autorità amministrative indipendenti.

8. I DIRITTI NELLA SFERA POLITICA.Diritti politici: elettorato attivo e passivo; vari tipi di referendum; libertà di organizzazione dei partiti; diritto di petizione.I diritti politici di possono perdere a seguito della perdita di capacità d’agire per infermità mentale o condanna per gravi reati.

9. I DOVERI COSTITUZIONALI.1) dovere alla difesa della patria 2. dovere di pagare le tasse

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