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I
SAPIENZA IN PEDIATRIA
Venerdì 6 luglio 2012 Aula Magna
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria infantile
ore 8.45 Presentazione della Riunione Scientifica (Proff. Salvatore Cucchiara e Mario De
Curtis)
Lettura ore 9.00: Prof. Mario De Curtis: L'etiopatogenesi e la prevenzione dell'enterocolite
necrotizzante del neonato
ore 9.30 COMUNICAZIONI
ore 9.30-10.10 AREA DI NEONATOLOGIA
Moderatore: Prof. Mario De Curtis
1. Ecografia toracica nel neonato: indicazioni e limiti. Romaggioli S, Ferro R, D’Avanzo
M, Stolfi I, Fassi C, Mennini ML, Giannini L, Colarizi P, Roggini M.
2. Blood transfusion and acute gut injury. Gupta A, Gupta N, Protano C, Wilkinson A.
3. L’insufficienza cervicale è un nuovo fattore da considerare nella prevenzione della
malattia perinatale da Streptococco di gruppo B? Bizzarri B, Castronovo A, Natale F,
Brunelli R, De Curtis M.
4. Ranitidine therapy increases the risk of sepsis and necrotizing enterocolitis in very
low birthweight infants: prospective multicenter study. Terrin GL, Passariello A, Berni
Canani R, De Curtis M.
ore 10.10-10.40 AREA DI IMMUNOLOGIA, ALLERGOLOGIA
Moderatore: Prof.ssa Marzia Duse
5. Allergic proctocolitis refractory to maternal oligoantigenic diet in exclusively
breast-fed infants with: a clinical observation. Lucarelli S, Di Nardo G, Lastrucci G,
D’Alfonso Y, Marcheggiano A, Federici T, Frediani S, Frediani T and Cucchiara S.
6. Screening neonatale per le Immunodeficienze combinate gravi. Melengu T, Korn D,
Ragusa G, De Castro G, Indinnimeo L, Zicari AM, Tancredi G, Di Coste A, Duse M.
7. Cheratocongiuntivite Vernal e validazione di un punteggio score per la diagnosi.
Celani C, Lollobrigida V, Zicari AM, Nebbioso M, Pansa P, Cesoni M, Carbone MP,
Indinnimeo L, De Castro G, Tancredi G, Occasi F, Duse M.
II
Ore 10.40-11.40 AREA DI NEUROPSICHIATRIA INFANTILE
Moderatore: Proff. Gabriel Levi, Vincenzo Guidetti
8. Disabilita’ Intellettiva: influenza dei fattori biologici e ambientali sul profilo
cognitivo. Capozzi F, Del Signore S, Piedimonte C., Vigliante M.
9. Studio di un campione di preadolescenti con Disturbo Specifico di
Apprendimento (DSA) attraverso una scala di funzionalità globale (C-GAS)
Capozzi F, Petrone A, Del Signore S, Rossetti S.
10. Juvenile offenders: risk factors and psychopatic traits . Sabatello U,
Arbarello I, Spissu M, Stefanile S, Malagoli Togliatti M.
11. Crisi convulsive ed epilessia nella sindrome di Sotos: analisi multicentrica di 19
pazienti italiani. Nicita F, Papetti L, Ursitti F, Ulgiati F, Tarani L, Properzi E, Spalice
A.
12. Utilizzo della DTI-fiber tracking nello studio delle patologie neurologiche e
neurochirurgiche in pediatria. Papetti L, Nicita F, Ursitti F, Del Balzo F, Properzi E,
Spalice A.
13. Correlazione clinica, genetica e neuroradiologica nei difetti di migrazione
neuronale: presentazione di una casistica. Ursitti F, Papetti L, Nicita F, Del Balzo
F, Properzi E, Spalice A, Iannetti P.
ore 11.40-12.00 Coffee break
ore 12.00-12.40 AREA DI CARDIOLOGIA, BRONCOPNEUMOLOGIA
Moderatore: Prof. B. Marino
14. Cardiopatie congenite trasmesse con carattere autosomico dominante. Versacci
P, Martucci V, Tarani L, Digilio MC, Dallapiccola B, Marino B.
15. L’attività sportiva nei bambini asmatici: caratteristiche funzionali ed effetti
dell’allenamento. Tancredi G, Ernesti I, De Castro G, Zicari AM, . Indinnimeo L,
Putotto C, Unolt M, Duse M.
16. Vitamina D e patologie respiratorie ostruttive nel bambino. Macrì F, Tromba V.
17. Dalla bronchiolite all’asma: il virus respiratorio sinciziale è pronto alla sfida?
Midulla F, Rabasco J, Salvadei,S, Nicolai A, Cangiano G, Papoff P, Moretti C.
III
ore 12.40-13.00 AREA DI PEDIATRIA GENERALE E SPECIALISTICA
Moderatore: Prof. Manuel Castello
18. .La funzione testicolare del bambino con sindrome di Klinefelter Tarani L.,
Mattiucci C., Liberati N, Mancini F, Colloridi F, Radicioni A.
19. .Osteogenesi imperfetta e taurina: possibili prospettive terapeutiche?
D’Eufemia P.
ore 13.00-14.00 Lunch
Lettura
Ore 14.00 Dott.ssa. Laura Stronati: Patologia gastrointestinale da interazione tra geni,
ambiente e immunità
ore 14.30-15.30 AREA DI GASTROENTEROLOGIA,
Moderatore: Prof. S. Cucchiara
20. Premature subclinical atherosclerosis in pediatric inflammatory bowel disease.
Aloi M, Tromba L, Di Nardo G, Dilillo A, Del Giudice E, Viola F, Civitelli F, Cucchiara
S.
21. Investigation of small bowel in pediatric Crohn's disease. Di Nardo G, Aloi M,
Viola F, Oliva S, Civitelli F, Casciani E, Cucchiara S.
22. Characterization of adherent-invasive Escherichia Coli isolated from pediatric
patients with inflammatory bowel disease. Negroni A, Costanzo M, Vitali R,
Superti F, Bertuccini L, Di Nardo G, Nuti F, Pierdomenico M, Cucchiara S, Stronati L.
23. Fecal HMBG1 is a novel marker of intestinal mucosal inflammation in pediatric
inflammatory bowel disease. Vitali R, Stronati L, Negroni A, Di Nardo G,
Pierdomenico M, del Giudice E, Rossi P, Cucchiara S.
24. Usefulness of single-balloon enteroscopy in pediatric Crohn's disease. Di Nardo
G, Oliva S, Aloi M, Rossi P, Casciani E, Masselli G, Ferrari F, Mallardo S.
25. Celiachia e sfera riproduttiva Nenna R, Giancotti A, Ferro R, Favata P, Lucantoni F,
Petrarca L, Fiorenza V, Pisani V, Mennini M, Bonamico M.
26. Comparison of times of intervention during pediatric CPR maneuvers using
ABC and CAB sequences: A randomized trial. Gentile I, Belleli E, Paoli S,
Lubrano R
1
COMUNICAZIONI
AREA DI NEONATOLOGIA
ECOGRAFIA TORACICA NEL NEONATO: INDICAZIONI E LIMITI
Dott.ssa Sara Romaggioli, Prof.ssa Rosalia Ferro, Dott.ssa Miriam D’Avanzo,
Dott.ssa Ilaria Stolfi, Dott.ssa Carla Fassi, Dott.ssa Maria Luisa Mennini,
Prof. Luigi Giannini, Prof.ssa Patrizia Colarizi, Prof. Mario Roggini
Per molto tempo il torace non è stato un campo di applicazione dell’ecografia a causa della
presenza in questo distretto di mezzi fisici che ostacolano la propagazione degli ultrasuoni.
Infatti, aria e osso impediscono la visualizzazione di quanto si trova in profondità e generano
degli artefatti. Dallo studio degli artefatti è stato possibile riconoscerne alcuni come
caratteristici del polmone sano e altri, invece, di una condizione patologica a carico del
polmone.
I vantaggi dell’ecografia, quali l’innocuità, legata alla mancata esposizione a radiazioni e
quindi la possibilità di essere ripetuta più volte nel tempo, senza rischio per il paziente e per
l’operatore, la rapidità di realizzazione delle indagini, la praticità e il costo contenuto,
spingono a valutare la possibilità di affiancare, se non sostituire, questo tipo di indagine a
quella utilizzata tradizionalmente nello studio delle patologie del torace e cioè l’esame
radiografico. Questa prospettiva si mostra interessante soprattutto in reparti quali la terapia
intensiva neonatale, nei quali i pazienti hanno bisogno di esami radiografici seriati nel tempo.
L’obiettivo principale del nostro studio è quello di studiare le caratteristiche ecografiche delle
patologie toraciche del neonato, confrontandole con le immagini radiografiche, per
considerare la possibilità di affiancare l’ecografia all’esame radiografico e analizzarne le
indicazioni, i vantaggi e i limiti.
INDICAZIONI E LIMITI ALL’ESAME ECOGRAFICO DEL TORACE
Nonostante l’esame radiografico sia ancora oggi il gold standard per lo studio del torace,
esso non è privo di limiti. Tra gli inconvenienti maggiori si riconoscono:
1. L’esposizione a radiazioni ionizzanti, che sui tessuti a rapida crescita come quelli
del neonato può determinare danno, sia somatico che genetico, cin misura maggiore
rispetto all’adulto.
2. I pitfalls ( “ trabocchetti”) dell’ esame radiografico del torace.
L’esecuzione delle indagini strumentali nel neonato non sono esenti da difficoltà, legate alla
tecnica stessa e al fatto che il paziente non è collaborante. La mancata corretta
interpretazione dei ”trabocchetti” delle tecniche di imaging può portare ad errori diagnostici e
a trattamenti inadeguati.
Per compensare i due principali limiti dell’esame radiografico, è raccomandabile il ricorso
all’ecografia, come indagine di prima istanza, al posto della radiografia, nel caso in cui
2
questa possa offrire ragionevoli possibilità di successo diagnostico e come indagine di
seconda istanza, dopo l’esame radiografico, qualora si pongano dei problemi di
interpretazione delle immagini.
Le indicazioni dell’esame ecografico del torace sono:
1. situazioni in cui l’esame radiografico non è diagnostico o fornisce delle informazioni
equivoche; ad esempio, nel caso di un “torace opaco”, reperto determinato da
condizioni differenti quali atelettasia, versamenti pleurici, consolidazioni
broncopneumoniche. In questo caso l’ecografia può distinguere tra contenuto liquido
o solido di un torace opaco.
2. il follow up (ad esempio, nel versamento pleurico);
3. l’ecografia FAST (come estensione dell’ecografia addominale FAST), per ricercare o
escludere la presenza di versamento pleurico, pneumotorace, contusione polmonare,
versamento pericardico;
4. le procedure ecoguidate in terapia intensiva: drenaggio toracico, pericardiocentesi,
incannulamento venoso centrale.
Rispetto alle altre metodiche di imaging, i vantaggi che caratterizzano l’ecografia sono:
1. impiego di ultrasuoni, non di radiazioni ionizzanti;
2. possibilità di essere eseguito al letto del paziente;
3. possibilità di essere ripetuta più volte, anche nello stesso giorno;
4. rapidità;
5. praticità;
6. costo contenuto.
Ciò nonostante, si riconoscono alcuni limiti dell’ ecografia [11]:
1. è operatore- dipendente;
2. non fornisce una visione panoramica, al contrario dell’ esame radiografico e della TC;
3. necessita di interpretazione immediata;
4. gli artefatti dell’ecografia;
5. la presenza di enfisema sottocutaneo.
MATERIALI E METODI
Abbiamo arruolato nello studio 28 neonati ricoverati presso la Terapia Intensiva Neonatale
del Dipartimento di Pediatria del Policlinico Umberto I nel periodo Marzo 2010- Novembre
2011. Per ciascun neonato abbiamo raccolto, su scheda appositamente preparata, dati
anagrafici, clinici e assistenziali. I neonati inclusi nello studio avevano un’età gestazionale
compresa tra 23+3 settimane e 41+3 settimane (media ± DS: 34 ± 4,5) e un peso alla nascita
compreso tra 630 e 3690 g (media ± DS: 2290 ± 848). Dei 28 neonati, 17 avevano RDS, 2
presentavano addensamento polmonare, 2 pneumotorace, 1 displasia broncopolmonare, 2
neonati avevano tachipnea transitoria, 2 versamento pleurico, 1 atresia esofagea, 1
ipoplasia timica.
Tutti i neonati sono stati sottoposti ad esame radiografico del torace nel giorno del ricovero o
tra il primo e il secondo giorno di vita. In 15 neonati l’esame ecografico è stato eseguito nella
prima giornata di vita, in 3 neonati nella seconda giornata, in 2 neonati nella terza giornata, in
3
2 neonati in quarta giornata, in 2 neonati in quinta giornata, in 1 neonato in 7° giornata, in 1
neonato in 8° giornata, in 1 neonato in 19° giornata, in 1 altro (ipoplasia timica) in 26°
giornata. Nei neonati con versamento pleurico, l’esame è stato eseguito più volte,
inizialmente con un intervallo di 2-4 giorni e poi con frequenza minore fino alla scomparsa
del versamento pleurico. L’esame è stato eseguito da un solo operatore, un radiologo
pediatra, che ha effettuato anche il confronto con i dati clinici e radiologici dei neonati.
Per l’esecuzione dell’ esame ecografico abbiamo utilizzato un ecografo APLIO XV
(TOSHIBA) e una sonda lineare ad alta frequenza 5-12 MHz, che è il tipo di trasduttore che
solitamente si usa in neonatologia, in quanto consente lo studio anche delle strutture più
profonde. L’esame è stato eseguito a letto del paziente, in incubatrice, sempre dallo stesso
operatore. I neonati sono stati esaminati in posizione supina, prona e in decubito laterale, a
seconda delle possibilità.
Abbiamo preferito seguire un approccio transtoracico che, a differenza di quello
transaddominale attraverso fegato e milza, applicato in alcuni studi precedenti, consente di
studiare tutti i campi polmonari e non solo la base.
RISULTATI
Nel neonato l’ecografia toracica ha i suoi risultati migliori e uno spettro di potenzialità molto
più ampio che nell’adulto, grazie alle sue dimensioni corporee ridotte che consentono lo
studio anche delle strutture più profonde. Tra le patologie toraciche esaminate nel nostro
studio, la più frequente è risultata la sindrome da distress respiratorio, una delle più comuni
cause di insufficienza respiratoria nei neonati prematuri. Nei diversi studi della letteratura che
hanno considerato il ruolo degli ultrasuoni nella diagnosi di RDS, alcuni hanno seguito un
approccio transaddominale, dimostrando che i bambini con RDS presentano
un’iperecogenicità alla base polmonare, mentre altri hanno seguito un approccio
transtoracico.
Nel nostro studio abbiamo scelto di utilizzare un approccio transtoracico, perché consente di
esaminare tutti i campi polmonari e non solo la base e permette inoltre la valutazione della
linea pleurica, al contrario dell’approccio transaddominale. Come sottolineato dagli stessi
autori, la valutazione della sola base polmonare non può essere sufficiente per la diagnosi di
RDS, perché la presenza di linee B compatte bilaterali alla base può essere presente anche
nella tachipnea transitoria del neonato. La valutazione della linea pleurica sembra essere
importante: sia nello studio di Copetti e Cattarossi che nella nostra esperienza, essa si è
mostrata alterata nei neonati con RDS.
I neonati con RDS esaminati nel nostro studio hanno mostrato all’ecografia la presenza di
linee B numerose e compatte, diffuse e distribuite in modo simmetrico su entrambi i polmoni
(white lung ecografico), senza aree di risparmio e una linea pleurica ispessita e irregolare,
con consolidazioni subpleuriche.
Copetti e Cattarossi hanno evidenziato che le anormalità della linea pleurica, il white lung
ecografico e l’assenza di aree risparmiate sono sempre presenti in aree con RDS e assenti
in altre forme di distress respiratorio e nei neonati a termine, dimostrando quindi che la
simultanea presenza di questi tre segni caratterizza la RDS ecograficamente, con una
sensibilità e una specificità del 100%.
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L’elevata specificità del quadro ecografico dei neonati con RDS apre un’interessante
prospettiva che è quella di consentire una terapia con surfattante mirata, escludendo dal
trattamento profilattico, costoso e con potenziali effetti collaterali, i neonati che non mostrano
questi aspetti ecografici.
Nei casi di tachipnea transitoria del neonato esaminati abbiamo osservato un segno
ecografico considerato altamente specifico di questa patologia e pertanto dotato di elevato
potere diagnostico: il “double lung point”. A differenza dell’esame radiografico che di solito
mostra una lieve riduzione di trasparenza in tutti i campi polmonari e strie periilari, l’esame
ecografico evidenzia la presenza di linee B molto numerose e compatte alle basi e meno
numerose e compatte ai campi superiori. Queste differenze potrebbero essere dovute alle
alterazioni della clearance del liquido polmonare. Poiché la massa parenchimale polmonare
è predominante nei campi polmonari inferiori rispetto agli apici, l’interstizio è più
rappresentato alle basi. La presenza di linee B compatte in queste zone è il risultato di una
maggiore quota di liquido nei campi polmonari inferiori, mentre le linee B meno compatte,
presenti nelle aree superiori, sono correlate ad un edema interstiziale più lieve.
Probabilmente il double lung point esprime una maggiore abilità degli ultrasuoni rispetto
all’esame radiografico nel valutare l’interstizio.
Anche nel pneumotorace sono emersi aspetti ecografici piuttosto caratteristici. Un primo
reperto è l’ abolizione del lung sliding che può essere però causata anche da altre condizioni,
come le aderenze infiammatorie tra i foglietti pleurici, la sinfisi pleurica congenita,
l’atelettasia, la fibrosi polmonare con perdita dell’espansione del polmone. Se il lung sliding è
presente, è possibile però escludere il pneumotorace con un valore predittivo positivo del
100%. La presenza di immagini di origine parenchimale come le linee B o addensamenti
parenchimali permette di escludere la presenza di pneumotorace in quella sede, dal
momento che lo sbarramento acustico dovuto al pneumotorace impedisce la visualizzazione
di qualunque struttura anatomica al di sotto della pleura parietale. Quindi le linee B sono
assenti mentre le linee A, nonostante siano caratteristiche del polmone normalmente aerato,
sono presenti anche nel pneumotorace, perché esso determina un analogo sbarramento
acustico al di sotto della linea pleurica. Altro segno caratteristico sono i lung points, segno
specifico ma non sensibile, perché manca se il pneumotorace è massivo. E’ interessante la
possibilità di quantificare il pneumotorace mediante mappatura dei lung points.
Lo studio del versamento pleurico si è rivelato uno dei campi di applicazione più interessanti
e soddisfacenti dell’ecografia toracica. Rispetto all’esame radiografico, che evidenzia
versamenti di 200-500 ml, esso è in grado di individuare versamenti di volume molto ridotto,
anche di soli 3-5 ml. Sebbene non sia in grado di fornire informazioni sulla natura del
versamento, l’ecografia toracica si è dimostrata estremamente utile nel follow up del
versamento, presentandosi in quest’ambito come una metodica molto più accurata della
radiografia anche nel quantificare l’entità del versamento.
Per quanto riguarda la displasia broncopolmonare, i segni ecografici sono poco specifici e
finora purtroppo poco studiati. Nel nostro unico caso di DBP, l’aspetto ecografico era quello
di un’iperecogenicità basale non omogenea, irregolare, frammista a zone di parenchima più
normale, associata ad alterazioni della linea pleurica. Una prospettiva interessante è quella
di utilizzare l’ecografia toracica in bambini con RDS per prevenire lo sviluppo della DBP e a
questo proposito Pieper C.ORE, Smith J. e Brand E.J. hanno individuato il 9° giorno di vita
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postnatale come il giorno più precoce in cui la persistenza di un’anormale iperecogenicità
deve mettere in allarme per un successivo sviluppo di DBP.
Abbiamo utilizzato inoltre l’esame ecografico anche nello studio del timo e di casi di sospetto
di atresia esofagea.
CONCLUSIONI
Sebbene l’esame radiografico resta ancora il gold standard per lo studio del torace,
l’obiettivo del nostro studio è stato quello di dimostrare i vantaggi dell’esame ecografico (pur
senza trascurarne i limiti), che se affiancato all’esame radiografico, potrebbe consentire un
uso più limitato di quest’ultimo.
Possiamo affermare che l’esame ecografico non solo ha confermato le diagnosi cliniche e
radiografiche ma in alcuni casi ha apportato informazioni aggiuntive.
In letteratura alcuni segni ecografici sono risultati altamente specifici di determinate patologie
e pertanto dotate di elevato potere diagnostico: white lung ecografico, ispessimento della
linea pleurica e assenza di aree risparmiate per la RDS e il double lung point per la TTN. Nel
nostro studio abbiamo riscontrato gli stessi segni.
L’ecografia si è rivelata uno strumento molto prezioso nel follow up del versamento pleurico,
grazie alla sua capacità di evidenziare versamenti di volume molto minore rispetto a quelli
visibili al radiogramma del torace.
E’ emersa l’importanza dell’indagine ecografica anche di fronte a quadri radiografici di
difficile interpretazione come il torace opaco e si è rivelata uno strumento utile anche nello
studio di altri organi toracici come il timo e l’esofago.
I principali limiti dell’esame sono: l’operatore-dipendenza, l’incapacità di fornire una visione
panoramica, la necessità di interpretazione immediata, gli artefatti e la presenza di enfisema
sottocutaneo.
I vantaggi che caratterizzano l’ecografia e che dovrebbero far prediligere l’ecografica alle
altre tecniche di diagnostica per immagini sono l’impiego di ultrasuoni (anziché radiazioni
ionizzanti), la possibilità di essere eseguita al letto del paziente, la possibilità di essere
ripetuta più volte senza danno per il paziente e per l’operatore, la rapidità e il costo
contenuto.
6
BIBLIOGRAFIA
[1] Cittadini G. Diagnostica per immagini e radioterapia. Edizioni Culturali Internazionali
Genova, 2002.
[2] Castello M.A. Manuale di pediatria. Piccin, 2007.
[3] Feletti F, Gardelli G, Mughetti M. L’ecografia toracica. Applicazioni ed imaging integrato.
Athena, 2009.
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Syndrome: a useful tool for early diagnosis. Neonatology. 2008; 94: 52-59.
[6] Copetti R, Cattarossi L. The “double lung point”: an ultrasound sign diagnostic of transient
tachipnea of the newborn. Neonatology. 2007; 91: 203-209.
[7] Moretti C. Disturbi respiratori del neonato dalla patogenesi alla terapia. Masson. 2002.
[8] Enriquez G, Garcia-Peňa P, Lucaya J. Pitfalls in chest imaging. Pediatr Radiol. 2009; 39:
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[9] Pieper CH, Smith J, Brand EJ. The value of ultrasound examination of the lung in
predicting bronchopulmonary dysplasia. Pediatric Radiology. 2004; 34: 227-231.
[10] Lobo L, The neonatal chest. European Journal of Radiology. 2006; 60: 152-158.
[11] Riccabona M. Ultrasound of the chest in children (mediastinum excluded); European
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[12] Eibenberg WI Dock, Ammann ME, et al. Quantification of pleural effusion: sonography
versus radiography. Radiology. 1994; 191(3): 681-684.
[13] Roch A, Bojan M, Michelet P, et al. Usefulness of ultrasonography in predicting pleural
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[14] Siegel MJ. Pediatric Sonography. Lippincott Williams & Wilkins. 2002
[15] Venuta F, Coloni GF. Malattie del torace. Società Editrice Universo. 2006[16] Liu DM,
Forkheim K, Rowan K. Utilization of ultrasound for the detection of pneumothorax in the
neonatal special-care nursery. Pediatric Radiology. 2003; 33: 880-883.
7
Blood transfusion and acute gut injury.
Gupta A, Gupta N, Protano C*, Wilkinson A
Neonatal Intensive Care Unit, John Radcliffe Hospital, University of Oxford, Oxford, United
Kingdom
*Neonatal Intensive Care Unit, Department of Pediatrics and Infantile Neuropsychiatry,
University “La Sapienza”, Rome
BACKGROUND:
The use of blood transfusion has been linked with the development of NEC 1-4.
AIM:
To explore the link between an antecedent blood transfusion and the occurrence of
necrotising enterocolits.
METHODS:
A 4 year retrospective case–control analysis was undertaken at the John Radcliffe Hospital,
Oxford. Only in-born infants at gestational age of ≤ 32 w, with stage II and III NEC as
defined using Bells’ classification were included. Those with congenital malformations were
excluded. Antecedent use of blood transfusion (defined as development of NEC within 48
hours of a transfusion) and the development of NEC was examined and associations were
studied using the chi-squared test.
RESULTS:
494 infants had 434 transfusions. The total number of transfusions was not different in cases
and controls. However, of the 68 cases of NEC, 38 infants (55%) had an antecedent
transfusion. Infants who had transfusion associated NEC were born at lower gestation (mean
gestation of 26.2 w vs. 27.9 w, p<0.01) and lower birth weight (mean weight 774 g vs. 1084
g, p<0.01). There was no difference in the frequency of growth restriction, use of antenatal
steroids, use of breast milk, and time to full enteral feeds. Infants with transfusion associated
NEC had similar haemoglobin concentrations at the time of transfusion but were likely to be
ventilated for a longer period, have stage III NEC, and were more likely to die.
CONCLUSIONS:
The data suggest that antecedent use of blood transfusion may be associated with NEC in
some infants.
REFERENCES
1. Mally P et al. Association of necrotizing enterocolitis with elective packed red blood
cell transfusions in stable, growing, premature neonates. Am J Perinatol
2006;23:451-8.
2. Blau J et al. Transfusion- related acute gut injury: necrotizing enterocolitis in very low
birth weight neonates following packed red blood cell transfusion. J Pediatr 2011.
3. Christensen RD et al. Is ‘‘transfusion-associated necrotizing enterocolitis’’ an
authentic pathogenic entity? Transfusion 2010;50:1106-12.
4. Josephson CD et al. Do red cell transfusions increase the risk of necrotizing
enterocolitis in premature infants? J Pediatr 2010.
8
L’INSUFFICIENZA CERVICALE È UN NUOVO FATTORE DA CONSIDERARE NELLA
PREVENZIONE DELLA MALATTIA PERINATALE DA STREPTOCOCCO DI GRUPPO B ?
B. Bizzarri , A. Castronovo , F. Natale , R. Brunelli *, M. De Curtis
U.O.C. di Neonatologia, Patologia e Terapia Intensiva Neonatale Policlinico Umberto
I ,"Sapienza" Università di Roma
* Dipartimento di Scienze Ginecologico-Ostetriche e Scienze Urologiche Policlinico
Umberto I, "Sapienza" Università di Roma
Premesse
Le linee guida per la prevenzione della malattia perinatale da Streptococco di gruppo
B (GBS), pubblicate dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta,
costituiscono il principale riferimento nella prevenzione delle sepsi neonatali precoci
da Streptococco di gruppo B.
Tali linee guida prevedono lo screening per GBS con tampone retto-vaginale tra la
35° e la 37° settimana in tutte le donne gravide. Lo screening è raccomandato anche
nelle pazienti con minaccia di parto pretermine solo in caso di travaglio pretermine o
rottura pretermine e prematura delle membrane (pPROM). Queste raccomandazioni
nella pratica clinica non sono sempre applicate.
Casi clinici
Riportiamo due gravi casi di sepsi precoce da GBS (con emocoltura positiva) che
hanno interessato due neonati estremamente prematuri (< 28 settimane di età
gestazionale) partoriti da donne con insufficienza cervicale e protrusione delle
membrane amniotiche. Entrambe le donne non avevano effettuato lo screening per il
GBS perché non rientravano nelle indicazioni delle linee guida.
E' noto che le donne con insufficienza cervicale, definita come dilatazione della
cervice in assenza di travaglio, sono ad alto rischio di parto pretermine ma, in
accordo con quanto previsto dai CDC, non necessitano di essere indagate per GBS
nè di ricevere una profilassi antibiotica fino all’insorgenza del travaglio o della
pPROM.
Questi due casi clinici suggeriscono di riconsiderare le linee guida e di eseguire lo
screening sistematicamente nelle donne con insufficienza cervicale avanzata e con
membrane amniotiche integre quando viene posta la diagnosi di insufficienza
cervicale. Inoltre, in caso di screening positivo, è opportuno iniziare la terapia
antibiotica materna in quanto l'infezione intraamniotica può verificarsi ancora prima
dell'inizio del travaglio o dell’insorgenza della pPROM.
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RANITIDINE THERAPY INCREASES THE RISK OF SEPSIS AND NECROTIZING
ENTEROCOLITIS IN VERY LOW BIRTHWEIGHT INFANTS: PROSPECTIVE
MULTICENTER STUDY
Gianluca Terrin1, Annalisa Passariello2,3, Roberto Berni Canani2, and Mario De
Curtis4.
1Department of Gynecology Obstetrics and Urology, University “La Sapienza”, Rome;
2Department of Pediatrics University “Federico II”, Naples; 3Neonatology Unit, AORN Monaldi, Naples; 4Department of Pediatrics and Infantile Neuropsychiatry, University “La Sapienza”,
Rome;
BACKGROUND:
Gastric acidity is a major non-immune defense mechanism against infections. In
adults and children treated with gastric acidity inhibitors (GAI) there is evidence of an
increased risk of intestinal and extraintestinal infections. These drugs are being
increasingly used in the neonatal period.
AIM:
To investigate the possible association between GAI and infections or necrotizing
enterocolitis (NEC) in very-low-birthweight (VLBW) newborns.
METHODS:
VLBW consecutively observed in Neonatal Intensive Care Units for at least 8 weeks
were evaluated and the effect of GAI exposure on the rate of infections and NEC
was analysed.
RESULTS:
As many as 274 VLBW infants were evaluated 183 not exposed to GAI and 91
received ranitidine. The main clinical and demographic characteristics were not
different between the two groups. The rate of infections was significantly higher in
neonates receiving ranitidine (34/91) compared to subjects not receiving GAI (18/183,
p<0.001). The number of infants presenting sepsis (23/91 vs 16/183), pneumonia
(4/91 vs 1/183), urinary tract infections (7/91 vs 1/183) was significantly higher in the
newborns receiving ranitidine than in controls (p<0.05). The risk of infections (OR
5.47, 95% CI 2.9-10.4) and NEC (OR 6.58, 95% CI 1.7–25.0) were significantly
increased in neonates exposed to ranitidine.
CONCLUSIONS:
Ranitidine therapy is associated with an increased risk of infections and NEC in
VLBW infants. Neonatologists need to consider that the benefits of treatment
outweigh the potential risk.
10
AREA DI IMMUNOLOGIA, ALLERGOLOGIA
ALLERGIC PROCTOCOLITIS REFRACTORY TO MATERNAL OLIGOANTIGENIC DIET
IN EXCLUSIVELY BREAST-FED INFANTS WITH: A CLINICAL OBSERVATION.
Sandra Lucarelli1*§, Giovanni Di Nardo1*, Ginevra Lastrucci1*, Ylenia D’Alfonso1*,
Adriana Marcheggiano3, Tatiana Federici1*, Simone Frediani1*, Tullio Frediani2* and
Salvatore Cucchiara1*
1Pediatric Gastroenterology Endoscopy and Liver Unit, Sapienza University of Rome,
Azienda Policlinico Umberto I, Viale Regina Elena 324, 00161 Rome, Italy
2Pediatric Allergology Unit, Sapienza University of Rome, Azienda Policlinico Umberto I,
Viale Regina Elena 324, 00161 Rome, Italy
3Department of Clinical Sciences, Sapienza University of Rome, Azienda Policlinico Umberto
I, Viale Regina Elena 324, 00161 Rome, Italy.
BACKGROUND:
Allergic proctocolitis (APC) in exclusively breast-fed infants is caused by food proteins,
deriving from maternal diet, transferred through lactation. In most cases a maternal cow milk-
free diet leads to a prompt resolution of rectal bleeding, while in some patients a multiple
food allergy can occur. The aim of this study was to assess whether the atopy patch test
(APT) could be helpful to identify this subgroup of patients requiring to discontinue breast-
feeding due to polisensitization. Additionally, we assessed the efficacy of an amino acid-
based formula (AAF) when multiple food allergy is suspected. amino acid-based formula
METHODS:
We have prospectively enrolled 14 exclusively breast-fed infants with APC refractory to
maternal allergen avoidance. The diagnosis was confirmed by endoscopy with biopsies. Skin
prick tests and serum specific IgE for common foods, together with APTs for common foods
plus breast milk, were performed. After a 1 month therapy of an AAF all patients underwent a
follow-up rectosigmoidoscopy.
RESULTS:
Prick tests and serum specific IgE were negative. APTs were positive in 100% infants, with a
multiple positivity in 50%. Sensitization was found for breast milk in 100%, cow’s milk (50%),
soy (28%), egg (21%), rice (14%), wheat (7%). Follow-up rectosigmoidoscopy confirmed the
remission of APC in all infants.
CONCLUSIONS:
These data suggest that APT might become a useful tool to identify subgroups of infants with
multiple gastrointestinal food allergy involving a delayed immunogenic mechanism, with the
aim to avoid unnecessary maternal dietary restrictions before discontinuing breast-feeding.
11
SCREENING NEONATALE PER LE IMMUNODEFICIENZE COMBINATE GRAVI
Melengu Tauland, David Korn, Giovanni Ragusa, Giovanna De Castro, Luciana
Indinnimeo, Anna Maria Zicari, Giancarlo Tancredi, Annalisa Di Coste, Marzia Duse
INTRODUZIONE:
l’immunodeficienza severa combinata da deficit di adenosina-deaminasi (SCID-ADA) è
causata da un difetto dell’enzima adenosina-deaminasi. È una rara malattia ereditaria del
metabolismo delle purine caratterizzata da immunodeficienza, ritardo di accrescimento e
alterazioni metaboliche (1). L'adenosina monofosfato deaminasi è un enzima della via di
metabolismo delle purine che catalizza la deaminazione dell'adenosina e del 2-
deossiadenosina a inosina e 2-deossiinosina, rispettivamente. Nella forma classica ad
esordio precoce (85-90 % dei casi), l’enzima è totalmente assente e si verifica un accumulo
dei metaboliti a monte del difetto. Questo avviene potenzialmente in tutte le cellule
dell’organismo, ma gli effetti tossici maggiori si verificano nelle cellule del sistema
immunitario l’evoluzione è di solito infausta. La forma ritardata o a insorgenza tardiva sono
associate ad un’evoluzione insidiosa con sequele permanenti.
Sia l’analisi dei TREC (T cell receptor excision circle) che la spettrometria tandem-mass
(STM) eseguite sugli spot di sangue alla nascita sono mezzi riconosciuti per identificare la
SCID-ADA ad insorgenza precoce e possono essere utilizzati per lo screening dei nuovi nati.
Tuttavia poco è ancora noto riguardo l’identificazione della SCID-ADA ritardata o ad
insorgenza tardiva nel periodo asintomatico.
OBIETTIVI:
a breve termine:valutare se la STM e/o l’analisi quantitativa dei TREC può identificare la
SCID-ADA ritardata o ad insorgenza tardiva sugli spot di sangue alla nascita. A lungoi
rtermine: impostare uno screeneng neonatale per verificare la reale prevalenza di ADA-SCID
nella popolazione generale
METODI:
spot di sangue alla nascita su Guthrie Card, provenienti da 3 pazienti residenti nel Lazio
(età: 4 anni, 2 anni e 4 mesi) affetti da SCID-ADA diagnosticata tramite l’analisi genetica,
sono stati analizzati con la STM per valutare i livelli di adenosina e 2’-deossiadenosina e con
l’analisi quantitativa dei TREC metodica Real-Time PCR. I tests sono stati eseguiti presso
l’ospedale Anna Meyer di Firenze.
RISULTATI:
la media dei livelli di adenosina e 2’-deossiadenosina erano pari rispettivamente a 18.24
µmol/L (v.n. < 1.5 µmol/L) e 1.95 µmol/L (< 0.07). Tali valori sono maggiori di 12.1 volte e
27.8 volte i valori medi normali.
L’analisi quantitativa dei TREC non ha mostrato anomalie nell’espressione dei TREC in tutti i
pazienti.
12
DISCUSSIONE:
nel corso degli anni sono stati proposti vari metodi in grado di identificare alla nascita un
difetto grave del sistema immunitario che fossero applicabili a tutti i tipi di SCID. Perché una
procedura possa essere inserita nel programma di screening neonatale routinario, deve
essere compatibile con le metodiche già in uso, che si basano, oggi, sulla raccolta nel II
giorno di vita di una goccia di sangue prelevata dal calcagno ed assorbita su un cartoncino di
Guthrie (dried blood spot o DBS).
Lo screening per la SCID-ADA attraverso la spettrometria di massa, dal semplice DBS può
essere facilmente attuabile in una popolazione per: basso costo, nessuna spesa per ulteriori
strumenti, nessun incremento di tempo impiegato per il personale. Infatti il costo per un
singolo test usando la spettrometria di massa è circa 0.01 €/paziente; inoltre saranno
utilizzate le stesse apparecchiature già in uso per gli altri screening neonatali e infine non
richiederà altro personale oltre a quello già utilizzato per lo screening routinario.
L'ADA-SCID sembra avere, nei casi early-onset, un'incidenza fra 1:375.000 e 1: 660.000 (2)
quindi utilizzando il metodo descritto, il costo per poter individuare 1 paziente può essere fra
3.750 e 6.600 € l’anno, e questa spesa è molto probabilmente inferiore a quella che il
sistema sanitario spenderebbe per il primo ricovero, le cure intensive e il trattamento delle
sequele di un paziente diagnosticato tardivamente. Infatti, il costo di un ricovero in Italia è più
di 500 € al giorno nelle unità di pediatria e più di 1000 € al giorno nelle unità di terapia
intensiva (3).
CONCLUSIONI:
la STM, e non l’analisi quantitativa dei TREC che richiede un laboratorio in grado di
quantificare PCR ( una tecnica attualmente non usata nei programmi di screening), è uno
degli strumenti necessari per identificare la SCID-ADA ritardata o ad insorgenza tardiva alla
nascita tramite spot di sangue su Guthrie Card. Su questa base si potrebbe impostare uno
screening neonatale su base regionale
BIBLIOGRAFIA
1. Claire Booth, H bobby Gaspar. Pegademase bovine ( PEG-ADA) for the treatment of
infants and children with severe combined immunodeficiency.
2. Sauer AV, Aiuti A. New insights into the pathogenesis of adenosine deaminase severe
combined immunodeficiency and progress in gene therapy. Curr Opin Allergy Clin Immunol
2009;9:496-502.
3. Azzari C, Massai C, Poggiolesi C, Indolfi G, Spagnolo G, De Luca M, et al. Cost of
varicella-related hospitalisations in an Italian paediatric hospital: comparison with possible
vaccination expenses. Curr Med Res Opin 2007;23:2945-54.
13
CHERATOCONGIUNTIVITE VERNAL E VALIDAZIONE DI UN PUNTEGGIO SCORE PER
LA DIAGNOSI
Camilla Celani, Valeria Lollobrigida, Paola Pansa, Anna Maria Zicari, Luciana
Indinnimeo, Giovanna De Castro, Giancarlo Tancredi, Occasi F. , Marzia Duse
INTRODUZIONE:
La cheratocongiuntivite Vernal (VKC) è una patologia oculare bilaterale rara (<1 caso su
10.000 nell' Unione Europea) di pertinenza pediatrica, che per molti anni ha rappresentato
una diagnosi di esclusione con resistenza alle comuni terapie. Caratterizzata da uno stato
infiammatorio cronico della congiuntiva con possibile coinvolgimento corneale, interessa
maggiormente il sesso maschile con un rapporto maschio/femmina di 2-3:1.
Il termine “Vernal” che letteralmente significa primaverile, indica la stagione delle
riacutizzazioni cliniche, ma non sempre coincide con il periodo esclusivo delle
manifestazioni.
La sintomatologia, che tipicamente ha il suo esordio nella prima decade di vita, tende a
risolversi spontaneamente dopo la pubertà. Oltre ai sintomi tipici della congiuntivite
(iperemia, lacrimazione e prurito), si manifesta con fotofobia più o meno intensa che ne
rappresenta una caratteristica tipica.
Esistono tre forme di VKC differenziate dalla localizzazione delle lesioni oculari: tarsale,
limbare o mista.
Sebbene la componente atopica della VKC possa avere un ruolo indiscusso sia
nell’infiammazione oculare che nella componente immunologica della patologia, non vi è a
tutt’oggi certezza sui meccanismi eziopatogenetici implicati.
MATERIALI E METODI:
Presso il nostro Centro di Immunologia e Allergologia Pediatrica sono stati arruolati 60
pazienti (41 maschi) di età compresa tra 4 e 15 anni con sintomi clinici suggestivi di VKC.
Ogni paziente è stato valutato sia per la sintomatologia soggettiva riferita che per i segni
obiettivi oculari.
Per ognuno è stato calcolato lo score clinico totale come somma di un punteggio assegnato
dal pediatra (valori 1-3: prurito, fotofobia, lacrimazione, sensazione di corpo estraneo) e di un
punteggio assegnato dall’oculista (valori 1-3: iperemia congiuntivale, papille, interessamento
corneale). Tutti i bambini arruolati sono inoltre stati sottoposti ad esami ematochimici con
valutazione dell’assetto immunologico ed in particolare del profilo citochinico e autoimmune.
OBIETIVO:
Validare uno score pediatrico-oculistico per consentire il riconoscimento della VKC e per
impostare la diagnosi differenziale con le altre forme di congiuntivite.
RISULTATI:
Dei 60 pazienti analizzati per sintomi di congiuntivite resistenti alle comuni terapie effettuate,
26 (43.3%) presentavano uno score totale ≥ 7. Tali pazienti corrispondevano a quelli con
diagnosi oculistica di VKC associata a maggior gravità dei sintomi che hanno eseguito
terapia topica con ciclosporina collirio 1% con marcato miglioramento della sintomatologia
oculare.
14
CONCLUSIONI:
Per molte sindromi o malattie complesse sono in vigore criteri minimi o score clinici che ne
rendono probabile o improbabile la diagnosi. In tale studio ci proponiamo quindi di suggerire
uno score che permetta un rapido ed efficace riconoscimento dei sintomi e segni suggestivi
della patologia,in modo da indirizzare il paziente ad indagini piu’ approfondite per confermare
o escludere la diagnosi e impostare un corretto piano terapeutico.
Sono inoltre in corso di elaborazione i dati sulle caratteristiche immunologiche di questi
pazienti che insieme agli studi ormai già da tempo pubblicati sull’argomento costituiranno un
nuovo spunto di ricerca per una patologia così complessa come la VKC.
15
AREA DI NEUROPSICHIATRIA INFANTILE
Disabilità Intellettiva: influenza dei fattori biologici e ambientali sul profilo cognitivo
CAPOZZI F, DEL SIGNORE S, PIEDIMONTE C., VIGLIANTE M.
In questo articolo presentiamo uno studio svolto presso il servizio di neuropsicologia del
dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile dell’Università di Roma “Sapienza” su
un campione di 66 soggetti di età compresa tra 6,2 e 14,2 anni di cui 30 con diagnosi di
Disabilità Intellettiva Lieve (DIL) e 36 di Funzionamento Intellettivo Limite (FIL). Gli obiettivi
della nostra ricerca erano di confrontare i profili cognitivi di questi due gruppi clinici per
analizzarne eventuali differenze ed analogie, rilevare l’associazione tra DIL e FIL ed
esposizione a fattori causali o predisponenti biologici e ambientali e verificare se i fattori
eziologici individuati avessero un’influenza significativa sui profili cognitivi all’interno dei due
gruppi. Dai risultati è emersa una differenza significativa nel grado di deficit intellettivo dei
due gruppi ed un’ alta prevalenza di fattori eziologici biologici e ambientali (singolarmente o
in associazione) all’interno dei due gruppi clinici. Non si evidenzia, invece, un’influenza
significativa dei fattori eziologici sulla tipologia dei profili cognitivi.
INTELLECTUAL DISABILITY: PREVALENCE OF BIOLOGICAL AND ENVIRONMENTAL
ETIOLOGICAL FACTORS INTO COGNITIVE PROFILE
CAPOZZI FLAVIA, DEL SIGNORE SARA, PIEDIMONTE C, VIGLIANTE MIRIAM
This article present a survey conducted at Neuropsychological service of the Pediatrics and
Child Neuropsychiatric Department, University of Rome “Sapienza”, on a sample of 66
subjects aged 6,2-14,2 years, 30 having diagnosis of Mild Intellectual Disability (MID) and
36 having diagnosis of Borderline Intellectual Functioning (BIF). Objectives of our study
were: 1)to compare the cognitive profile of these two clinical groups, 2) to determine the
association among MID, BIF and exposure to biological or environmental etiological factors
and 3)to confirme if these etiological factors had an impact on cognitive profile of the two
clinical groups. Results indicate a significant difference on the degree of intellectual deficit
between the two groups and an high prevalence of biological and environmental etiological
factors (singly or combined) into clinical groups. On the contrary there is no evidence of a
significant influence of the etiological factors on kind of cognitive profile.
16
STUDIO DI UN CAMPIONE DI PREADOLESCENTI CON DISTURBO SPECIFICO DI
APPRENDIMENTO (DSA) ATTRAVERSO UNA SCALA DI FUNZIONALITÀ GLOBALE
(C-GAS)
FLAVIA CAPOZZI, ANTONIA PETRONE, SARA DEL SIGNORE, SERENA ROSSETTI
Con il presente studio è stato valutato il funzionamento globale, mediante la scala C-GAS, di
un campione di 100 preadolescenti con diagnosi di Disturbo Specifico di Apprendimento
(DSA). Sono state ricercate correlazioni tra detto funzionamento e: problemi emotivo-
comportamentali (rilevati tramite le scale CBCL e YSR); fattori intrinseci al DSA (misurati
tramite le prove MT di rapidità in lettura); livello intellettivo (misurato tramite la scala
intellettiva WISC-III); fattori esterni al DSA (livello socio-economico, valutato tramite la scala
di Hollingshead). I risultati sembrano dimostrare che i bambini con DSA presentino un
quadro globale di funzionamento (C-GAS) definito nella maggioranza dei casi da punteggi
moderatamente bassi (con una media di 58,71 al C-GAS). L’analisi statistica ha mostrato
correlazioni significative tra i punteggi ottenuti con la scala C-GAS e: i punteggi ottenuti alle
scale della CBCL che indagano le competenze; le scale della CBCL relative ai problemi di
internalizzazione, di esternalizzazione e totali; i punteggi ottenuti con la scala dello YSR
relativa alla componente aggressiva; i valori relativi alla valutazione dello stato socio-
economico. Non è presente correlazione tra il punteggio ottenuto al C-GAS e le prove MT
(rapidità) e tra C-GAS e i valori di QI (eccetto una bassa correlazione con il QIT).
STUDY OF A SAMPLE OF PREADOLESCENTS WITH LEARNING DISABILITIES (LD)
THROUGH A GLOBAL FUNCTIONING SCALE (C-GAS)
The aim of this study was to evaluate the overall functioning, through the C-GAS scale, of a
sample of 100 preadolescents with a diagnosis of Learning Disabilities (LD). Were searched
correlations between this functioning and: emotional-behavioral problems (measured by
CBCL and YSR scales); intrinsic factors to the LD (measured by tests MT of speed reading);
intellective level (measured using the intellective scale WISC-III); external factors to the LD
(socioeconomic level, measured by the Hollingshead scale). The results seem to show that
children with LD present a comprehensive framework of functioning (C-GAS) described in
most cases to moderately low scores (with an average of 58.71 at the C-GAS). Statistical
analysis showed significant correlations between scores obtained with the C-GAS scale and:
the scores of the CBCL scales investigating skills; the scales of CBCL relating to
internalizing, externalizing and total problems; the scores obtained with the scale of YSR on
the aggressive component; the values from the evaluation of socio-economic status. There is
no correlation between the score obtained to the C-GAS and MT tests (speed) and between
C-GAS and the values of IQ (except for a low correlation with the Total IQ).
17
JUVENILE OFFENDERS: RISK FACTORS AND PSYCHOPATIC TRAITS
Ugo Sabatello (*), Ilaria Arbarello (*), Margheria Spissu (*), Simona Stefanile (**),
Marisa Malagoli Togliatti (**)
Pediatric and Child and Adolescent Psychiatry Department, “Sapienza” University of Roma,
Rome (*)
Dynamic and Clinical Psychology Department, “Sapienza” University of Roma, Rome (**)
OBJECTIVES:
The increase in our country, in the sexual offending phenomenon in these years requires
further investigation in order to improve clinical skills useful for primary prevention and
treatment of sexual deviant behaviour. The aims of this study are: Identify risk factors for the
sexually violent offences and evaluate the possible correlations between the type of crime
(violent or sexual) and psychopathy.
METHOD:
We evaluated 70 male adolescents who had committed violent crimes against persons
(sexual or violent) and for which diagnostic assessment had been required by social workers
of the Young Justice, in order to establish a rehabilitation plan. We used Psychopathy
Checklist- Youth Version (PCL-YV) and Structured Assessment of Violence Risk in Youth
(SAVRY).
RESULTS:
SAVRY preliminary datas indicate that the average scores in the Total Risk of JVO (Juvenile
Violent Offenders) are significantly greater than those of the JSO (Juvenile Sexual
Offenders), highlighting an increased risk for the first group. In particular, the group of JVO,
compared with the JSO, has significantly higher scores with regard to the total Historical risk
factors and Individual / Clinical. On the contrary, there are no differences in total Social /
Contextual risk factors. In Summary Risk, JVO group scored statistically significantly higher
than the average JSO.
PCL-YV preliminary datas indicate that JSO group has significantly lower average scores
than JVO in Behavioural and Antisocial subscales and total scores of Psychopathy, whilst the
averages are not significantly different in Interpersonal and Affective subscales.
CONCLUSIONS:
The results of this study lead us to reflect on the heterogeneity of the JSO and the
phenomenon of juvenile sexual offending. The profile of the JSO only partly overlaps with
that of the deviant group. Further research may highlight different mechanisms and risk
factors underlying the two crimes.
18
CRISI CONVULSIVE ED EPILESSIA NELLA SINDROME DI SOTOS: ANALISI
MULTICENTRICA DI 19 PAZIENTI ITALIANI
Francesco Nicita 1, Laura Papetti 1, Fabiana Ursitti 1, Fiorenza Ulgiati 1, Luigi Tarani 2,
Enrico Properzi 1, Alberto Spalice1
1 Division of Child Neurology, Department of Pediatrics, Sapienza University of Rome, Italy
2 Department of Pediatrics, Sapienza University of Rome, Italy
ABSTRACT
INTRODUZIONE:
La sindrome di Sotos (SS) appartiene al gruppo delle sindromi da iperaccrescimento ed è
caratterizzata da aspetto faciale tipico, ritardo del linguaggio, e macrocefalia. Convulsioni
febbrili (CF) ed afebbrili sono riscontrabili nel 9-50% dei casi. Non sono presenti in letteratura
dati circa la possibile evoluzione in epilessia di pazienti con CF e SS, né sono presenti studi
riguardo le caratteristiche elettro-cliniche dei pazienti con convulsioni e SS.
OBIETTIVI:
Descrivere le caratteristiche elettro-cliniche di una serie di 19 pazienti con SS, convulsioni
febbrili o afebbrili.
RISULTATI:
Oltre il 50% dei pazienti con CF ha successivamente sviluppato crisi afebbrili. Crisi temporali
sono state riscontrate nel 40% dei casi. Le crisi si sono rivelate prontamente controllabili
mediante monoterapia nella maggior parte dei pazienti.
CONCLUSIONI:
Raccomandiamo una accurata valutazione neurologica ed EEGgrafica dal momento che le
crisi convulsive sembrano essere una frequente caratteristica di tale sindrome e dal
momento che crisi temporali possono essere erroneamente diagnosticate per disturbi del
comportamento, anche questi ultimi descritti in pazienti con SS.
19
UTILIZZO DELLA DTI-FIBER TRACKING NELLO STUDIO DELLE PATOLOGIE
NEUROLOGICHE E NEUROCHIRURGICHE IN PEDIATRIA.
Laura Papetti, Fracesco Nicita, Fabiana Ursitti, Francesca Del Balzo, Enrico Properzi,
Alberto Spalice
Division of Child Neurology, Department of Pediatrics, University La Sapienza, Rome, Italy
La Diffusion Tensor Imaging (DTI) è una metodica di Risonanza Magnetica che permette
un’accurata valutazione dell’integrità della sostanza bianca cerebrale, misurando la
diffusione delle molecole di acqua secondo i tre piani dello spazio. I fasci di fibre nervose,
presentano un'anisotropia, cioè una peculiare direzionalità che si riflette nella diffusione delle
molecole d'acqua e che viene per l'appunto sfruttata per creare le immagini DTI anche
trimensionali (fiber tracking).
Le applicazioni cliniche della DTI-FT derivano, dunque, dalla possibilità di ottenere
informazioni sull’entità, e sulle possibili variazioni patologiche, dell’anisotropia nei tessuti, e
dalla possibilità di studiare l’orientamento delle fibre e l’eventuale perdita di integrità dei
tessuti stessi.
Per tutte queste caratteristiche, la DTI-FT e stata usata nello studio di molte malattie che
alterano sensibilmente l’integrità delle strutture encefaliche, come ad esempio l’epilessia, le
malattie oncologiche, i disordini della sostanza bianca e le malattie infettive.
Casi clinici
Riportiamo alcuni casi giunti alla nostra attenzione, in cui l’impiego della DTI-FT ha dato un
interessante contributo all’interpretazione clinico-radiologica di determinate patologie:
Clinica RMN DTI-FT
Pz 8 aa: Ritardo
psicomotorio ed epilessia
parziale
Pz 3aa: ritardo psicomotorio
Pz 14aa: lieve disartria e
ritardo cognitivo
Pz 6 mesi: emiparesi lato sn
Pz 9aa: epilessia temporale
Eterotopia a banda
Agenesia parziale del CC
Cisti cerebellare
Esiti di sofferenza ipossico
ischemica
Tumore cerebrale
(ipotalamo-mesencefalo)
Rarefazione dei tratti frontali
della corona radiata e del
fascicolo anteriore
Normale la connessione
interemisferica nel tratto
residuo
Compressione e rarefazione
del peduncolo cerebellare
Danno del fascio piramidale
destro
Distorsione dei peduncoli
mesencefalici e della capsula
interna
20
CORRELAZIONE CLINICA, GENETICA E NEURORADIOLOGICA NEI DIFETTI DI
MIGRAZIONE NEURONALE: presentazione di una casistica.
Nomi: Fabiana Ursitti, Laura Papetti, Francesco Nicita, Francesca Del Balzo, Enrico
Properzi, Alberto Spalice, Paola Iannetti.
Dipartimento di Pediatria, Servizio di Neurologia Pediatrica, Università “Sapienza” di Roma
INTRODUZIONE:
I difetti di migrazione neuronale sono risultato di alterazioni di sviluppo del SNC durante le
fasi di migrazione neuronale. Varie cause (tossiche, metaboliche, infettive e genetiche)
determinano tali malformazioni dal 3-5 mese di gestazione. I quadri malformativi
comprendono: Lissencefalia, Pachigiria, Doppia Corteccia, Eterotopia Periventricolare,
Polimicrogiria e Schizencefalia.
METODI:
In 42 pz (21 M e 20 F) eseguiti: EO generale e neurologico, test psicometrici, esami ematochimici e metabolici, EEG standard, EEG Holter, Video-EEG, EEG-ECG Holter, poligrafia, RMN encefalo, fRMN e RMNs, indagini genetiche. In casi selezionati eseguiti PET, SPECT e RMN-DTI FT.
RISULTATI:
-7 pz Lissencefalia: RMN: 4/7 Lis tipo I, 2/7 Lis tipo II, 1/7 Lis tipo I e displasia corticale.
Clinica: 6/7 epilessia e RPSM. EEG: 3/7 CPO diffusi, 3/7 attività rapida diffusa. Genetica: 1/7
delezione 17p13.3 (S.Norman-Roberts), 2/7 LIS1, 1/7 DCX, 1/7 TUBA1a.
-16 pz Pachigiria: RMN: 1/16 Sclerosi Tuberosa, 1/16 S. Dandy-Walker, 2/16 Microcefalia.
Clinica: 12/16 epilessia e RPSM, 1/16 cefalea, 2/16 RPSM, 1/16 RPSM e Linfoma-Hodgking.
EEG: 8/16 CPO diffusi, 2/16 CPO focali, 2/16 onde lente diffuse. Genetica: 2/16 FLN1, 3/16
LIS1.
-2 pz Doppia corteccia: RMN-DTI-FT: 2/2 riduzione fibre U, 1/2 atrofia corticale. Clinica: 1/2
epilessia, 1/2 epilessia e RPSM. EEG: 2/2 CPO focali con secondaria generalizzazione.
Genetica: 1/2 mutazione de novo DCX.
-3 pz Eterotopia Periventricolare: RMN: 1/3 S.di Dandy Walker, 1/3 S. da Banda amniotica.
Clinica: 3/3 RPSM ed epilessia. EEG: 2/3 CPO diffusi, 1/3 CPO focali. Genetica: 1/3
mutazione FLN1 (Xp28).
-10 pz Polimicrogiria: RMN: 1/10 eterotopia nodulare periventricolare, 1/10
emimegalencefalia. Clinica: 7/10 RPSM ed epilessia, 1/10 epilessia e NF1, 2/10 epilessia e
S.di De George. EEG: 4/10 CPO diffuse, 3/10 CPO focali. Genetica: 2/10 microdelezione
22q11.2.
-4 pz Schizencefalia: RMN: 1/4 Sintencefalia e Polimicrogiria, 1/4 Arnold-Chiari I, 1/4
Displasia corticale, 1/4 calcificazioni cerebrali (infezione CMV). Clinica: 4/4 RSPM ed
epilessia. EEG: 4/4 CPO diffusi.
CONCLUSIONI:
le innovative ricerche genetiche hanno ampliato le conoscenze sui meccanismi molecolari
alla base dello sviluppo del SNC. In futuro si spera che queste nuove acquisizioni
contribuiscano alla definizione di nuove strategie terapeutiche per queste patologie il cui
trattamento si rivela una sfida per i medici.
21
AREA DI CARDIOLOGIA E BRONCOPNEUMOLOGIA
CARDIOPATIE CONGENITE TRASMESSE CON CARATTERE AUTOSOMICO
DOMINANTE
P. Versacci, V. Martucci, L. Tarani, M.C. Digilio, B. Dallapiccola, B. Marino
INTRODUZIONE
Le cardiopatie congenite (CC) sono le malformazioni congenite più comuni nell’uomo (5-
10/1000 nati vivi). Nel corso degli ultimi 30 anni sono stati compiuti notevoli progressi nella
comprensione dei determinanti molecolari e genetici in un numero crescente di CC,
chiarendo le correlazioni genotipo-fenotipo. La ricorrenza familiare è uno dei classici pattern
con cui si presentano le CC. Circa il 30% dei bambini con CC presenta un’associazione con
altri disordini genetici mentre il 70% ha una CC isolata, non-sindromica. La maggior parte dei
bambini non-sindromici presenta un difetto cardiaco sporadico mentre il 3-5% presenta una
CC a ricorrenza familiare.
Il modello di ricorrenza di alcune CC non-sindromiche come il canale atrioventricolare (CAV)
e alcune forme di Eterotassia e di CC associate a sindromi polimalformative come nella
sindrome di DiGeorge - del22q11.2 (DGS), indica un meccanismo di trasmissione
autosomico dominante (AD) con eredità monogenica o oligogenica in selezionati pedigree.
Il nostro gruppo, negli ultimi 20 anni, ha contribuito in modo significativo alla comprensione di
alcuni meccanismi patogenetici alla base di CC familiari, sia individuando i modelli di tali
ricorrenze, sia tramite l’analisi di linkage familiare e infine individuando la mutazione di geni
candidati per quella specifica CC.
OBIETTIVI DELLO STUDIO
Gli obiettivi specifici dello studio sono: 1. Caratterizzazione fenotipica e genetico-molecolare
di CC ereditate con meccanismo AD, ponendo particolare attenzione alla variabilità
fenotipica; 2. Ottenere implicazioni pratiche nel counselling genetico per le famiglie. 3.
Rilevare legami patogenetici tra CC. 4. Identificare pedigree con ricorrenza familiare di CC
come risorsa fondamentale per gli studi molecolari e l’identificazione di geni. 5. Ricerca di
predisposizione genetica nei pattern insoliti di ricorrenza familiare.
MATERIALI E METODI
CC non-sindromiche. Saranno arruolate per l’analisi molecolare famiglie con trasmissione
verticale delle forme non sindromiche di CAV ed Eterotassia. I geni candidati noti per essere
correlati a queste CC (GATA4, CRELD1) saranno analizzati a partire da DNA genomico di
pazienti affetti attraverso lo screening dell’intera sequenza codificante e delle porzioni di
introni vicine di ogni gene candidato tramite DHPLC (denaturating high-performance liquid
cromatography). I casi DHPLC positivi verranno analizzati mediante sequenziamento
bidirezionale. Nei geni candidati saranno selezionate le mutazioni “splicing”. Nei pazienti che
non presentano mutazioni a carico dei geni studiati, sarà effettuata la ricerca di
microarrangiamenti cromosomici o “copy number variants” (CNV) mediante l’analisi array-
CGH al fine di identificare nuove regioni cromosomiche candidate. I geni localizzati all’interno
22
delle regioni cromosomiche correlate alle CC saranno studiati tramite sequenziamento
diretto.
CC sindromiche. Famiglie con variabilità clinica interindividuale della DGS saranno studiate
tramite MLPA (multiplex ligation dependent probe amplification) ed array-CGH per delineare
il segmento deleto. Verrà effettuato il sequenziamento diretto dei geni modificatori candidati
all’interno della regione deleta e quelli mappati sul genoma al fine di identificare i fattori
responsabili della variabilità clinica. Tra i geni mappati all’interno della delezione 22q11.2
sarà studiata la “regione critica” dei geni Ufd1, HIRA a CRKL. Tra i geni localizzai in altre
parti del genoma in grado di alterare l’espressività saranno considerati Fgf8, Pitx2, Gbx2 e
Chd7. Verranno inoltre correlati comuni e rari SNPs (single nucleotide polymorphisms) o
aplotipi con il fenotipo della CC.
Tutti i pazienti saranno sottoposti ad assessment cardiologico completo: e.o. cardiologico,
RX torace, ECG, ecocardiografia transtoracica per lo studio morfo-funzionale del cuore, ECG
Holter delle 24 ore e in casi selezionati RMN delle strutture cardiovascolari ed
ecocardiografia transesofagea.
RISULTATI ATTESI
CC familiari non-sindromiche (CAV ed Eterotassia) Identificazione di mutazioni in nuovi
geni e di possibili geni modificatori coinvolti nella variabilità fenotipica intrafamiliare.
CC sindromiche (DGS) Individuazione di geni modificatori all’interno e al di fuori della
regione deleta al fine di identificare le correlazioni genotipo-fenotipo e la variabilità fenotipica
intrafamiliare.
23
L’ATTIVITÀ SPORTIVA NEI BAMBINI ASMATICI: CARATTERISTICHE FUNZIONALI ED
EFFETTI DELL’ALLENAMENTO.
G. Tancredi, I. Ernesti, G. De Castro, A. M. Zicari, L. Indinnimeo, C. Putotto, M. Unolt,
M. Duse.
Scopo del nostro studio preliminare è valutare le caratteristiche funzionali e la tipologia di
attività sportiva nel bambino asmatico rispetto ad un gruppo di controllo.
Da settembre 2011 ad aprile 2012 sono stati valutati 142 soggetti. Il Gruppo 1 (G 1)
comprendeva 70 soggetti (49 maschi, 21 femmine) di età media 12,5±DS2,5 anni (range 7-
20) in apparante stato di buona salute ed il Gruppo 2 (G 2) era composto da 72 asmatici (52
maschi e 20 femmine) di età media 11,4± DS2,6 anni (range 6 - 16,5).
Dopo un’accurata anamnesi veniva richiesta la tipologia di valutazione funzionale, se per
idoneità alla pratica sportiva non agonistica (NA) o agonistica (AA), il tipo di sport praticato,
le ore settimanali e mesi dell’anno dedicati all’attività fisica e, l’ eventuale terapia in atto.
Sulla base delle ore settimanali di attività fisica svolta i soggetti sono stati suddivisi in allenati
(A) ≥3 ore settimanali e sedentari (S) ≤ 2 ore settimanali.
Tutti i soggetti hanno eseguito un test da sforzo massimale di tipo incrementale su tappeto
rotante per la determinazione del massimo consumo di ossigeno in modo indiretto (VO2max),
tempo di durata dell’esercizio (TE), multiplo del consumo di ossigeno a riposo (METs). In tutti
è stata eseguita la spirometria prima e dopo test da sforzo.
Risultati: La valutazione spirometrica non ha mostrato differenze statisticamente significative
tra G1 e G2, mentre sono emerse differenze significative tra i due gruppi analizzando i valori
del test massimale: METs= G1 :15,2 ± DS 2,7 vs G2 13 ± DS 2,7 (p<0,0001); VO2MAX= G1:
52,2 ± DS 9,9 vs G2: 44,6 ± DS 8,7 (p<0,0001); TE= G1: 12,1 ± DS 2,2 vs G2: 10,5 min. ±
DS 2,4 (p<0,0001).
Riguardo il tipo di idoneità sportiva è stato osservato che nel gruppo G1 il 45,7% richiedeva
una valutazione AA ed il 54,3% una valutazione NA; nel gruppo G2 il 22,2% ed il 77,8 %
rispettivamente (p < 0,003).
Nella tabella sono riportati i parametri funzionali misurati nei gruppi G1 e G2 in relazione alle
ore di attività fisica svolte, suddivisi in A e S.
Conclusioni: I bambini asmatici, con un buon controllo della sintomatologia, non presentano
caratteristiche differenti dai controlli. In particolare i soggetti asmatici allenati (> 3 ore/sett)
hanno valori funzionali migliori dei sedentari e sovrapponibili ai controlli allenati.
Inoltre persiste un atteggiamento iperprotettivo della famiglia del bambino asmatico, per cui
la valutazione richiesta è finalizzata più frequentemente ad ottenere il consenso allo
svolgimento di una attività fisica non agonistica piuttosto che agonistica.
24
Tabella.
G1 A
(51)
G1 S
(19) p
G2 A
(32)
G2S
(40) p
FVC % pred 98,6±DS16,7 100,5±DS13,5 n.s. 103,1±DS7,9 100,3±DS10,3 n.s.
FEV1% pred 99,6±DS16,5 98,3±DS13,7 n.s. 94,4±DS17,2 97,6±DS9,8 n.s.
PEF% pred 100,1±DS19,2 95,4±DS15,1 n.s. 103,3±DS15,8 99,9±DS17,9 n.s.
ET (min.) 12,4±DS2,2 11,2±DS2,1 <
0,04
11,2±DS2,7 9,9±DS1,9 <
0,03
METS 15,6±DS2,7 14,1±DS2,6 <
0,03
14,1±DS3,1 12,3±DS2,1 <
0,003
VO2max
(ml/min/kg)
53,6±DS9,7 47,9±DS9,6 <
0,03
48,2±DS9,6 41,8±DS6,9 <
0,002
25
VITAMINA D E PATOLOGIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE NEL BAMBINO.
Francesco Macrì e Valeria Tromba
Il ruolo della vitamina D nell’omeostasi del calcio è ben conosciuto. Il riscontro della
presenza di recettori per la vitamina D (VDR) anche in tessuti che non sono implicati
nell’omeostasi minerale, ha permesso di individuare numerose altre funzioni svolte da tale
vitamina, ed in particolare , il suo ruolo nella regolazione del sistema immunitario. La
1,25(OH)2D3 modula il sistema immune determinando effetti regolatori diretti sia sui linfociti
B, attraverso la soppressione della produzione di immunoglobuline ed il ritardo nella
differenziazione dei precursori B in plasmacellule; sia sui linfociti T, favorendo l’induzione dei
T regolatori (Treg) al posto dei T effettori ed inibendo la proliferazione dei Th1 a favore del
fenotipo Th2; sia sulle cellule dendritiche (1). Studi recenti in modelli animali ed umani hanno
evidenziato una relazione tra microbiota intestinale, malattie atopiche ed obesità, ed
evidenze emergenti suggeriscono che una flora intestinale anaerobia meno diversificata
nelle fasi precoci della vita si associ ad atopia ed obesità; la vitamina D possiede proprietà
anti-infiammatorie ed anti-infettive, e la sua carenza sembra associarsi ad un più alto rischio
di sviluppare wheezing nei primi mesi di vita, asma non controllato, malattie allergiche ed
obesità, ma non è noto se il deficit di vitamina D sia in grado di modificare la composizione
del microbiota intestinale. In altri termini, è probabile che la diversa composizione del
microbiota intestinale intervenga nella prevalenza delle malattie allergiche e dell’obesità, ma
il ruolo della vitamina D e dei suoi recettori non è ancora del tutto chiaro (2). Negli ultimi anni
sono stati prodotti numerosi studi che hanno messo in correlazione i livelli di vitamina D con
l’asma, sostenendo che bassi livelli di VD si associano ad elevati livelli di IgE ed eosinofili, e
ad asma moderata-grave (3). Altri studi sono approdati a conclusioni opposte,e cioè che la
supplementazione con VD durante l’infanzia ed elevati livelli di VD durante la gravidanza
aumentino il rischio di manifestazioni atopiche (eczema, rinite, asma) (4). I rapporti tra
vitamina D e malattie respiratorie sono noti fin da quando si osservò che i bambini affetti da
rachitismo andavano più facilmente incontro ad infezioni delle vie respiratorie. Brehm ha
dimostrato l’esistenza di una correlazione tra bassi livelli di vitamina D e gravità della malattia
in un gruppo di bambini asmatici di età compresa tra 6 e 14 anni (5). Back ha al contrario
evidenziato che un aumentato apporto di vitamina D nel primo anno di vita correla in maniera
significativa con la comparsa di manifestazioni atopiche a 6 anni (6). Ancora, bambini nati da
donne che avevano in gravidanza bassi livelli di vitamina D3 sembrano presentare un’
aumentata prevalenza di dermatite atopica e di wheezing mentre i figli di madri con alti livelli
di vitamina D3 durante la gravidanza, hanno un più basso rischio di presentare wheezing. I
meccanismi ipotizzati per spiegare il legame tra vitamina D ed asma sono molteplici; in
particolare, si è focalizzata l’attenzione sul ruolo diretto che la vitamina D esercita sulle
popolazioni linfocitarie inibendo la produzione di citochine pro infiammatorie (IFN γ, IL-4, IL
13) e favorendo la produzione di IL-10 e di peptidi antimicrobici..
In ogni caso, alla luce di questi risultati così discordanti abbiamo deciso di dosare la vitamina
D3 nei bambini afferenti al nostro ambulatorio per patologia respiratoria di tipo ostruttivo a
decorso recidivante (asma, bronchite asmatica e laringospasmo) per evidenziare l’eventuale
correlazione tra i livelli di vitamina D e la frequenza e la gravità degli episodi acuti.
26
BIBLIOGRAFIA
1) Antico A , Tampoia M, Tozzoli R. Il ruolo della vitamina D nelle malattie autoimmuni.
LingandAssay 15(4)2010).
2) Ngoc P et al. Gut microbiota, probiotics, and vitamin D: Interrelated exposures
influencing allergy, asthma, and obesity? J Allergy Clin Immunol 2011;127:1087-94).
3) Brehm JM et al. Serum vitamin D levels and markers of severity of childhood asthma
in Costa Rica. Am J Respir Crit Care Med 2009;179;765-71).
4) Gale CR et al. Maternal vitamin D status during pregnancy and childhood outcomes.
Eur J Clinic Nutr 2008;62:68-77.)
5) Brehm JM et al. Serum vitamin D levels and markers of severity of childhood asthma
in Costa Rica. Am J Respir Crit Care Med 2009;179;765-71).
6) Back O et al. Does vitamin D intake during infancy promote the development of atopic
allergy? Acta Derm Venereol. 2009; 89(1):28-32
7) (Camargo CA et al. Maternal intake of vitamin D during pregancy and risk of recurrent
wheeze in children at 3 yrs of age. Am J Clin Nutr 2007; 85:788-95).
27
DALLA BRONCHIOLITE ALL’ASMA: il Virus Respiratorio Sinciziale è pronto alla sfida?
F. Midulla, J. Rabasco, S. Salvadei, A. Nicolai, G. Cangiano, P. Papoff, C. Moretti.
La bronchiolite è una delle maggiori infezioni respiratorie e causa di ospedalizzazione (2-3%
dei ricoveri) nei bambini sotto l’anno di età. L’agente patogeno più frequentemente coinvolto
è il Virus Respiratorio Sinciziale (VRS) ma negli ultimi anni è stato dimostrato il
coinvolgimento anche di altri virus respiratori. Il nostro gruppo ha pubblicato nel 2010 uno
studio (1) su 182 bambini ricoverati per bronchiolite, nei quali abbiamo ricercato 14 virus
respiratori (VRS, Rinovirus (RV), Metapneumovirus, Bocavirus umano (HboV), Coronavirus
umano OC43, 229E, NL-63, HUK1, virus Parainfluenzale 1-3, Adenovirus, virus Influenzale
A-B) tra i quali risultano più frequentemente coinvolti il VRS e il RV. Inoltre abbiamo
dimostrato che i nostri pazienti presentavano differenti caratteristiche cliniche e
demografiche a seconda dell’agente virale identificato. I bambini affetti da VRS (41.2%)
erano più piccoli d’età, erano stati allattati al seno per un periodo più breve e avevano
presentato una forma di bronchiolite più severa con prevalente air trapping all’RX torace. Le
bronchioliti da RV (8.8%) invece si presentavano con una forma di gravità intermedia e
sostanzialmente interessavano bambini con familiarità positiva per atopia ed un numero
assoluto di eosinofili nel sangue più elevato, quindi con probabile predisposizione atopica.
Da circa 50 anni si conosce la correlazione tra bronchiolite e successivo sviluppo di
bronchite asmatica. La maggior parte degli studi in letteratura ha messo in evidenza il
rapporto tra bronchiolite da VRS, bronchite asmatica e asma. Dato che la bronchiolite può
essere causata anche da altri virus, abbiamo deciso di condurre uno studio per verificare la
presenza di eventuali episodi di bronchite asmatica successivi al ricovero per bronchiolite
causata da virus respiratori diversi dal VRS e per valutare altri fattori rischio. A tale scopo
abbiamo raccolto, attraverso le cartelle cliniche e un questionario strutturato, i dati clinici e
demografici di 313 bambini ricoverati per bronchiolite durante le stagioni epidemiche 2004-
2005, 2005-2006, 2006-2007, 2007-2008, 2008-2009. Inoltre durante il ricovero è stata
eseguita la ricerca di 14 virus respiratori sui singoli campioni di aspirato nasale tramite RT-
PCR. In seguito abbiamo condotto un follow up telefonico dopo 1, 3 e 5 anni dall’episodio di
bronchiolite.
Il nostro primo follow up dopo 12 mesi dal ricovero (2), ha mostrato che tra 313 bambini
ricoverati per bronchiolite i fattori di rischio per lo sviluppo successivo di bronchite asmatica
erano la familiarità per asma (OR 2.5, 95% CI 1.2-4.9) e l’infezione da Rinovirus (OR 3.3,
95% CI 1.0-11.1). Questi dati sono stati confermati anche nei follow up a 3 e 5 anni.
Attraverso l’analisi multivariata abbiamo confermato che i fattori di rischio per presentare
wheezing transitorio 3 anni dopo la bronchiolite (3) sono un numero di eosinofili nel sangue
> 400 cellule/mm3 (p < 0.001, OR 17.7), la bronchiolite da RV (p < 0.013, OR 4.9) e
l’allattamento al seno per più di 2 mesi (p < 0.001, OR 4.0).
Infine da un’analisi preliminare fatta su 99 bambini che hanno concluso il follow-up a 5 anni
(4) abbiamo confermato che i fattori di rischio per presentare bronchite asmatica persistente
continuano ad essere il numero assoluto di eosinofili nel sangue > 400 cellule/mm3 e la
bronchiolite da RV.
28
In conclusione è evidente, dai nostri studi, che la predisposizione atopica e la presenza di
uno specifico virus siano i fattori di rischio principali per lo sviluppo di bronchite asmatica
ricorrente, transitoria e persistente dopo un episodio acuto di bronchiolite. Tuttavia dai nostri
dati non è ancora chiaro se sia l’infezione da RV a predisporre all’asma, attraverso la
modificazione dell’ospite, oppure se il virus sia in grado di identificare bambini che sono già
di per sé geneticamente predisposti a tale patologia
BIBLIOGRAFIA
1) Midulla F, Scagnolari C, Bonci E, Pierangeli A, Antonelli G, De Angelis D, Berardi
R, Moretti C. Respiratory syncytial virus, human bocavirus and rinovirus
bronchiolitis in infants. Arch Dis Child 2010 Jan; 95(1): 35-41.
2) Midulla F, Pierangeli A, Cangiano G, Bonci E, Salvadei S, Scagnolari C, Moretti
C, Antonelli G, Ferro V, Papoff P. Rhinovirus bronchiolitis and recurrent wheezing:
1-year follow-up. Eur Resp J 2012 Feb; 39(2): 396-402.
3) Cangiano G, Pierangeli A, Scagnolari C, Bonci E, Moretti C, Papoff P, Rabasco J,
Caiazzo I, Ferrara M, Luciani S, Midulla F. Risk factors for recurrent wheezing
following bronchiolitis: 3 years of follow up. Eur Resp J 38: suppl. 55, 212s.
4) Cangiano G, Papoff P, Moretti C, Bonci E, Pierangeli A, Scagnolari C, Rabasco
J, Salvadei S, Caiazzo I, Nicolai A, Midulla F. Persistent wheezing after
bronchiolitis: 5 years of follow- up. European Respiratory Society, Vienna 2012
29
AREA DI PEDIATRIA GENERALE E SPECIALISTICA
LA FUNZIONE TESTICOLARE DEL BAMBINO CON SINDROME DI KLINEFELTER
Tarani L., Mattiucci C., Liberati N, Mancini F, Colloridi F, Radicioni A*
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile “Sapienza” Università di Roma
*Dipartimento di Scienze Cliniche “Sapienza” Università di Roma
La Sindrome di Klinefelter (SK) è il più comune disordine dei cromosomi sessuali con
un’incidenza di 1:660 maschi nati vivi. E'causata dalla presenza di cromosomi X
soprannumerari acquisiti attraverso la non-disgiunzione durante la gametogenesi materna o
paterna. L’80% dei maschi KS presentano un cariotipo 47, XXY, il restante mosaicismo 46,
XY/47, XXY.Le principali caratteristiche cliniche sono rappresentate dall’ipogonadismo
ipogonadotropo con ialinizzazione dei tubuli seminiferi, azoospermia e conseguente
infertilità, volume testicolare ridotto, sproporzione tra lunghezza degli arti e tronco e
un’altezza superiore alla media.Il fenotipo di questi pazienti è estremamente variabile e
spesso talmente sfumato che, secondo una stima accreditata, il 64% di essi non viene
diagnosticato, il 10% viene intercettato casualmente in diagnosi prenatale e solo il 26% viene
diagnosticato su un sospetto clinico ritardo del linguaggio e disturbi comportamento, per
ipogonadismo e ginecomastia durante l’infanzia o per infertilità nell’età adulta.Nell'infanzia la
SK può essere diagnosticata nel corso della valutazione di una ipospadia, di un micropene,
di un criptorchidismo o di un ritardo del linguaggio (soprattutto in età scolare). Negli
adolescenti può essere diagnosticata nel corso di una valutazione endocrinologica per un
ritardo dello sviluppo puberale o per uno sviluppo incompleto, con habitus eunucoide,
ginecomastia e ipoplasia dei testicoli. Gli adulti spesso vengono valutati per infertilità o per
tumori maligni del seno.
Al fine di studiare la funzione testicolare del bambino con SK, abbiamo valutato le
concentrazioni ormonali (FSH, LH, testosterone, AMH, estradiolo, inibina B) nell’infanzia e
nella prepubertà per poter più precisamente stabilire una correlazione tra i livelli di FSH e
inibina B del picco neonatale e studiare il momento in cui si osserva un abbassamento delle
concentrazioni ormonali di origine testicolare e si stabilisce la condizione di
ipogonadotropinemia. Abbiamo raccolto un totale di 46 pazienti affetti da SK di età compresa
tra 0,3 e 8,9 anni, seguiti nella nostra Clinica Pediatrica e Endocrinologia, tutti con cariotipo
47,XXY. Il gruppo di controllo è invece costituito da 138 maschi di età compresa tra 0,2 e 9,9
anni e nessuno presenta criptorchidismo, aneuploidie o anomalie strutturali cromosomiche,
endocrinologiche o patologie sistemiche. Entrambe le popolazioni sono state divise in 4
gruppi, secondo l'età: gruppo 1 (0.2-0.75 anni di età), gruppo 2 (0.75-3 annidi età), gruppo 3
(3-6 annidi età) e il gruppo 4 (6-10 anni di età), al fine di comparare Sk e controlli all'interno
di ciascun gruppo.
I nostri risultati, mostrano un'evoluzione ormonale dei soggetti affetti da SK sovrapponibile a
quella dei controlli sani, con dimostrazione dell'avvento di una fisiologica minipubertà,
dimostrando cosi l’integrità dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi nel lattante e nel bambino,
facendo presupporre che il danno coinvolga il testicolo e i meccanismi ormonali di feedback
solo dopo l’avvento della pubertà.
30
OSTEOGENESI IMPERFETTA E TAURINA: POSSIBILI PROSPETTIVE TERAPEUTICHE?
Patrizia D’Eufemia
L'osteogenesi imperfetta è un disordine ereditario del tessuto connettivo caratterizzato da
fragilità ossea, osteoporosi ed altri segni di alterazione connettivale come lassità dei
legamenti, sclere blu, dentinogenesi imperfetta, sordità ad esordio prevalentemente in età
adulta . L'eterogeneità clinica della malattia è ampia variando da forme letali in periodo
neonatale, a bambini con statura marcatamente bassa e deformità ossee, fino a forme con
fragilità ossea lieve e modica riduzione della massa ossea. Nel 90% dei casi l'osteogenesi
imperfetta è dovuta a mutazioni in uno dei due geni (COLIA1-COLIA2) che codificano le
catene pro-alfa del collagene tipo1. Alcune mutazioni causano una alterazione strutturale
della proteina, generalmente associata alle forme più gravi della malattia; altre mutazioni
determinano un difetto quantitativo del collagene e danno luogo a quadri clinici meno severi.
La malattia è dovuta all'incapacità dell'osteoblasta a produrre una matrice ossea adeguata al
carico meccanico; ciò porta ad un aumento degli osteoblasti e ad un conseguente
incremento dell'attività osteoclastica con un alto turnover osseo. Numerosi punti della storia
naturale dell'osteogenesi imperfetta non sono stati ancora chiariti. Ad esempio, in alcuni
pazienti non sono state individuate mutazioni sui geni del collagene di tipo 1; altri pazienti
con la stessa mutazione manifestano fenotipi diversi. Tali evidenze suggeriscono che altri
fattori metabolici di natura genetica o acquisita potrebbero svolgere un ruolo non secondario
nella patogenesi della malattia. La maggiore comprensione delle basi molecolari ha
comunque portato a ricercare trattamenti medici che potessero incrementare la massa e la
resistenza ossea ed ha reso popolare la somministrazione di amino-bifosfonati (pamidronato,
alendronato, neridronato), una classe di farmaci capaci di inibire il riassorbimento osseo,
riducendo il rischio di fratture.
Studi sperimentali in vitro e vivo hanno dimostrato come alcuni aminoacidi siano implicati
nella mineralizzazione ossea. In particolare è stato osservato come la taurina, un aminoacido
non proteico considerato componente semi-essenziale della dieta, sia localizzata nella
matrice ossea e possa regolare il metabolismo degli osteoblasti con effetto antiosteopenico.
Infatti, per quanto riguarda gli osteoblasti, la taurina promuove la proliferazione e il
differenziamento cellulare, nonché la secrezione del fattore di crescita del tessuto connettivo
(CTGF), riducendo nel contempo l'apoptosi cellulare. Si è visto inoltre che l'aggiunta di
taurina a colture di osteoblasti incrementa l'attività della fosfatasi alcalina e la secrezione di
osteocalcina. D'altra parte, se aggiunta a co-colture di osteoblasti e cellule del midollo osseo,
la taurina inibisce l'osteoclastogenesi. Studi su modelli animali hanno dimostrato che la
taurina previene il riassorbimento osseo in ratti ovariectomizzati e in criceti con periodontite
sperimentale.
Sulla base di tali evidenze il nostro gruppo di ricerca ha determinato gli aminoacidi sierici e
urinari in 14 pazienti pediatrici affetti da OI in trattamento con infusioni cicliche ogni tre mesi
di neridronato ( bifosfonato licenziato in Italia per il trattamento dell’OI.) Le determinazioni
sono state effettuate prima dell’inizio del trattamento e tre mesi dopo ogni infusione di quattro
cicli consecutivi.I risultati ottenuti hanno evidenziato una significativa diminuzione dei livelli
plasmatici e della escrezione di taurina dopo 12 mesi di trattamento rispetto ai valori basali.
Analoghi risultati sono stati da noi ottenuti in un gruppo di 12 pazienti adulti affetti da
talassemia major con osteoporosi e trattati con neridronato. Questi studi suggeriscono come
31
la progressiva riduzione della taurina possa essere implicata nel meccanismo d’azione dei
bifosfonati nell’OI e in altre patologie dell’osso e quindi aprire nuove opportunità per
migliorarne l’approccio terapeutico. La somministrazione di taurina associata a terapia con
bifosfonati potrebbe migliorarne l’efficacia terapeutica attraverso una azione sinergica?
32
AREA DI GASTROENTEROLOGIA E NEFROLOGIA
PREMATURE SUBCLINICAL ATHEROSCLEROSIS IN PEDIATRIC INFLAMMATORY
BOWEL DISEASE
Aloi M, Tromba L, Di Nardo G, Dilillo A, Del Giudice E, Viola F, Civitelli F, Cucchiara S.
Department of Pediatrics, Pediatric Gastroenterology and Liver Unit, Sapienza University of
Rome, Rome, Italy.
OBJECTIVES:
To investigate the risk for developing an early endothelial dysfunction based on increased
intima media thickness (IMT) and reduced flow-mediated dilation (FMD) in children with
inflammatory bowel disease (IBD), and to evaluate the role of traditional and nontraditional
risk factors in determining premature atherosclerosis.
STUDY DESIGN:
We studied 27 patients with Crohn's disease (CD) and 25 patients with ulcerative colitis (UC)
(mean age, 15.2 years; mean duration of disease, 48.05 months); 31 subjects served as
controls. Demographic data (age, sex, family history of diabetes, cardiovascular disease,
hypertension, hypercholesterolemia), traditional risk factors for atherosclerosis (blood
pressure, body mass index, active and passive smoking, dyslipidemia), and UC and CD
activity indexes (Pediatric Ulcerative Colitis Activity Index and Pediatric Crohn's Disease
Activity Index, respectively) were collected. The IMT of the carotid arteries was measured by
high-resolution B-mode ultrasound, and endothelial function was evaluated by FMD in the
brachial artery in response to reactive hyperemia.
RESULTS:
Compared with controls, patients with CD had significantly greater exposure to passive
smoking and had lower body mass index and high-density lipoprotein cholesterol values. IMT
was significantly higher in patients than controls (P < .0001), and the percentage of FMD was
significantly lower in both patients with CD (P < .0001) and patients with UC (P < .01) versus
controls. In multivariate analysis, diagnosis of IBD was an independent risk factor for
atherosclerosis.
CONCLUSION:
Premature endothelial dysfunction occurs in pediatric IBD. This represents a new challenge
in the management of pediatric IBD, leading to prevention strategies of cardiovascular
disease.
33
INVESTIGATION OF SMALL BOWEL IN PEDIATRIC CROHN'S DISEASE.
Di Nardo G, Aloi M, Viola F, Oliva S, Civitelli F, Casciani E, Cucchiara S.
Department of Pediatrics and Infantile Neuropsychiatry, Pediatric Gastroenterology and Liver
Unit, University Hospital Umberto I, Rome, Italy.
Investigation of the small bowel has been traditionally a challenge for pediatric
gastroenterologists due to its location, anatomical tortuosity, and invasiveness of the
available techniques.
Recently, there has been a remarkable improvement in imaging and endoscopic tools aimed
at exploring successfully the small intestine in inflammatory bowel disease. The former are
represented by ultrasonography (either alone or with administration of oral contrast agents)
and by magnetic resonance: both have provided accurate methods to detect structural bowel
changes, diminishing patient discomfort and precluding radiation hazard.
The use of traditional radiologic techniques such as fluoroscopy have been markedly
reduced due to radiation exposure and inability to depict transmural inflammation or
extraluminal complications.
Among the novel endoscopic tools, capsule endoscopy and balloon-assisted enteroscopy
have tremendously opened new diagnostic and therapeutic perspectives, by allowing the
direct visualization of small intestinal mucosa and, through enteroscopy, histological
diagnosis as well as therapeutic interventions such as stricture dilation and bleeding
treatment. These endoscopic techniques should always be preceded by imaging of the
intestine in order to identify strictures.
We aimed at describing the most recent progress with the employment of novel imaging and
endoscopic methodologies for investigating the small bowel in children with suspected or
established Crohn's disease.
34
CHARACTERIZATION OF ADHERENT-INVASIVE ESCHERICHIA COLI ISOLATED FROM
PEDIATRIC PATIENTS WITH INFLAMMATORY BOWEL DISEASE.
Negroni A, Costanzo M, Vitali R, Superti F, Bertuccini L, Di Nardo G, Nuti F,
Pierdomenico M, Cucchiara S, Stronati L.
ENEA, Italian National Agency for new Technologies, Energy and Sustainable Economic
Development, ISS and Department of Pediatrics, Sapienza University of Rome, Italy.
BACKGROUND:
Crohn's disease (CD) and ulcerative colitis (UC), known as inflammatory bowel diseases
(IBD), are characterized by an abnormal immunological response to commensal bacteria
colonizing intestinal lumen and mucosa. Among the latter, strains of adherent-invasive
Escherichia coli (AIEC), capable of adhering to and invading epithelium, and to replicate in
macrophages, have been described in CD adults. We aimed at identifying and characterizing
AIEC strains in pediatric IBD.
METHODS:
In all, 24 CD children, 10 UC, and 23 controls were investigated. Mucosal biopsies, taken
during colonoscopy, were analyzed for the presence of AIEC strains by an adhesive-invasive
test. Protein expression of the specific AIEC receptor, the carcinoembryonic antigen-related
cell adhesion molecule 6 (CEACAM6), was evaluated by western blot and
immunohistochemistry, while tumor necrosis factor alpha (TNF-α) and interleukin (IL)-8
mRNA expression was detected by real-time polymerase chain reaction (PCR), after
bacterial infection. Transmission electron microscopy and trans-epithelial electric resistance
assays were performed on biopsies to assess bacteria-induced morphological and functional
epithelial alterations.
RESULTS:
Two bacterial strains, EC15 and EC10, were found to adhere and invade the Caco2 cell line,
similar to the well-known AIEC strain LF82 (positive control): they upregulated CEACAM6,
TNF-α, and IL-8 gene/protein expression, in vitro and in cultured intestinal mucosa; they
could also survive inside macrophages and damage the epithelial barrier integrity. Lesions in
the inflamed tissues were associated with bacterial infection.
CONCLUSIONS:
This is the first study showing the presence of adhesive-invasive bacteria strains in the
inflamed tissues of children with IBD. Collective features of these strains indicate that they
belong to the AIEC spectrum, suggesting their possible role in disease pathogenesis.
35
FECAL HMGB1 IS A NOVEL MARKER OF INTESTINAL MUCOSAL INFLAMMATION IN
PEDIATRIC INFLAMMATORY BOWEL DISEASE.
Vitali R, Stronati L, Negroni A, Di Nardo G, Pierdomenico M, del Giudice E, Rossi P,
Cucchiara S.
Department of Radiobiology and Human Health, ENEA, Rome, Italy and Department of
Pediatrics, Sapienza University of Rome
OBJECTIVES:
High-mobility group box 1 (HMGB1) is a nuclear protein with functions in the regulation of
transcription. In inflammatory conditions, HMGB1 is actively secreted from immune cells in
the extracellular matrix, where it behaves as a proinflammatory cytokine. The aim of the
present study was to investigate the role of HMGB1 in pediatric inflammatory bowel disease
(IBD).
METHODS:
We analyzed the stools of 19 children with Crohn's disease (CD), 21 with ulcerative colitis
(UC), and 13 controls. The gene/protein expression levels of HMGB1 were assessed in
bioptic specimens of all children using real-time PCR and western blot assay. Finally,
intracellular localization of the protein was analyzed by western blot, after separation of
nuclear and cytoplasmic extracts, and by immunohistochemistry.
RESULTS:
HMGB1 protein levels were significantly increased (P<0.001) in the stools of patients, but
were undetectable in the controls; fecal HMGB1 correlated well with fecal calprotectin levels
(r: 0.77 in CD, r: 0.70 in UC; P<0.01); and mRNA and protein expression were unchanged in
inflamed bioptic tissues compared with controls. However, by separately analyzing the
nuclear and cytoplasmic fraction, we detected the cytoplasmic HMGB1 expression to be
significantly enhanced (P<0.01) in the inflamed tissues of the patients. In addition, HMGB1
was significantly detected in 16 patients with inactive disease, whose endoscopic scores
showed persisting inflammation, suggesting that it may be a sensitive marker of mucosal
inflammation, although the disease is clinically inactive.
CONCLUSIONS:
It was shown for the first time in our study that HMGB1 is secreted by human inflamed
intestinal tissues and abundantly found in the stools of IBD patients. Hence, it can be
considered as a novel marker for intestinal inflammation. We can also suggest that the
presence of HMGB1 in large amounts in the fecal stream of IBD patients is mainly due to
active secretion of the protein stored in the nucleus rather than a "de novo" synthesis.
36
USEFULNESS OF SINGLE-BALLOON ENTEROSCOPY IN PEDIATRIC CROHN'S
DISEASE.
Di Nardo G, Oliva S, Aloi M, Rossi P, Casciani E, Masselli G, Ferrari F, Mallardo S,
Cucchiara S.
Department of Pediatrics, Sapienza University of Rome, Rome, Italy.
BACKGROUND:
Single-balloon enteroscopy (SBE) has not been reported in pediatric Crohn's disease (CD).
OBJECTIVE:
To determine technical performance, yield, safety, and clinical impact of SBE in pediatric
patients with suspected and established CD.
DESIGN:
Prospective, cohort study.
PATIENTS:
This study involved 16 patients (group A) with suspected CD and unspecific upper and lower
GI endoscopy results and 14 patients (group B) with longstanding CD with previous surgery
and showing signs unaccountable by conventional endoscopy. All underwent magnetic
resonance imaging, and 14 patients in group A also underwent wireless capsule endoscopy.
MAIN OUTCOME MEASUREMENTS:
SBE diagnostic and therapeutic yield, technical performance, clinical impact, and safety.
RESULTS:
In group A, SBE aided diagnosis of CD in 12 patients and eosinophilic enteropathy in 2
patients, whereas no lesions were found in 2 patients. WCE was diagnostic of CD in 3
patients, suggestive of CD in 7 patients, and unspecific in the remaining patients. In group B,
SBE revealed moderate-to-severe disease activity in most patients, leading to the
introduction of or change in biological therapy, with a marked decrease in the pediatric
Crohn's disease activity index scores. SBE allowed successful dilation of small-bowel
strictures in 2 patients in group A and 3 in group B. No complications occurred.
CONCLUSION:SBE is a useful and safe endoscopic procedure for evaluating the small
bowel in pediatric patients with suspected or established CD. Not only does it allow a definite
diagnosis of CD when the latter is uncertain, but it is also very effective in the management
of small-bowel strictures, thus avoiding surgery. It may be helpful in redirecting therapy in
selected CD patients.
37
COMPARISON OF TIMES OF INTERVENTION DURING PEDIATRIC CPR MANEUVERS
USING ABC AND CAB SEQUENCES: A RANDOMIZED TRIAL
Gentile I, Belleli E, Paoli S, Lubrano R
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, Sapienza Università di Roma
BACKGROUND:
The proposed introduction of the CAB (circulation, airway, breathing) sequence for car-
diopulmonary resuscitation has raised some perplexity within the pediatric community. We
designed a randomized trial intended to verify if and how much timing of intervention in
pediatric cardiopulmonary resuscitation is affected by the use of the CAB vs. the ABC
(airway, breathing, circulation) sequence. Patients and methods: 340 volunteers, paired into
170 two-person teams, performed 2-rescuer healthcare provider BLS with both a CAB and
ABC sequence. Their performances were audio–video recorded and times of intervention in
the two scenarios, cardiac and respiratory arrest, were monitored.
RESULTS:
The CAB sequence compared to ABC prompts quicker recognition of respiratory (CAB vs.
ABC = 17.48 ± 2.19 vs. 19.17 ± 2.38 s; p < 0.05) or cardiac arrest (CAB vs. ABC = 17.48 ±
2.19 vs. 41.67 ± 4.95; p < 0.05) and faster start of ventilatory maneuvers (CAB vs. ABC =
19.13 ± 1.47 s vs. 22.66 ± 3.07; p < 0.05) or chest compressions (CAB vs. ABC = 19.27 ±
2.64 vs. 43.40 ± 5.036; p < 0.05).
CONCLUSIONS:
Compared to ABC the CAB sequence prompts shorter time of intervention both in
diagnosing respiratory or cardiac arrest and in starting ventilation or chest compression.
However, this does not nec- essarily entail prompter resumption of spontaneous circulation
and significant reduction of neurological sequelae, an issue that requires further studies.