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0 DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA Cattedra di Diritto Processuale Penale L’APPELLABILITÀ DELLA SENTENZA DI PROSCIGOLIMENENTO: PROFILI PROBLEMATICI. RELATORE CANDIDATO Chiar.ma Prof. Antonio Laudisa Maria Lucia Di Bitonto Matr.109443 CORRELATORE Chiar.mo Prof. Domenico Carcano ANNO ACCADEMICO 2014/2015

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DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Cattedra di Diritto Processuale Penale

L’APPELLABILITÀ DELLA SENTENZA DI PROSCIGOLIMENENTO:

PROFILI PROBLEMATICI.

RELATORE CANDIDATO

Chiar.ma Prof. Antonio Laudisa

Maria Lucia Di Bitonto Matr.109443

CORRELATORE

Chiar.mo Prof.

Domenico Carcano

ANNO ACCADEMICO 2014/2015

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Indice

Introduzione .......................................................................................... 4

CAPITOLO PRIMO

L’appello nel processo penale

§1. Linee generali del sistema delle impugnazioni. ..................................................... 6

§2. Appello e sistema accusatorio: l’eccezionalità della rinnovazione istruttoria ex art.

603 c. p. p. .................................................................................................................. 14

§3. Il diritto dell’imputato ad un “doppio grado di giurisdizione nel merito”............ 26

§4. Profili critici dell’appello disciplinato dal nuovo codice di procedura penale. .... 34

§5. L’appellabilità della sentenza di proscioglimento. ............................................... 41

CAPITOLO SECONDO

La riforma dell’appello nella Legge 20 febbraio 2006, n. 46

§1. Il travagliato iter normativo della riforma e il dibattito politico. ......................... 48

§2. La regola dell’inappellabilità della sentenza di proscioglimento. ........................ 59

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§3. Profili critici del nuovo art. 593 c. p. p.: la limitata appellabilità della sentenza di

proscioglimento. ......................................................................................................... 73

§3. Segue: Il meccanismo di conversione del ricorso per Cassazione in appello ex art.

580 c. p. p. .................................................................................................................. 79

§4. L’inappellabilità della sentenza di non luogo a procedere. .................................. 85

§5. La modifica del 606.1 lett. e: come cambia il ricorso in Cassazione per vizio di

motivazione. ............................................................................................................... 95

§6. L’impugnazione della parte civile. ..................................................................... 102

CAPITOLO TERZO

L’illegittimità costituzionale della Legge 20 febbraio 2006, n. 46

§1. La sentenza n. 26/ 2007 della Corte Costituzionale. .......................................... 110

§2. La sentenza n. 320/ 2007 della Corte Costituzionale. ........................................ 127

§3. La sentenza n. 85/2008 della Corte Costituzionale. ........................................... 133

§4. L’inappellabilità della sentenza di non luogo a procedere al vaglio della Corte

Costituzionale. .......................................................................................................... 141

§5. La persistente inappellabilità della sentenza di proscioglimento pronunciata dal

Giudice di pace. ........................................................................................................ 147

§6. L’appello e il “giusto processo”: la giurisprudenza della C. E. D. U. ................ 150

§7. Il futuro dell’appello: necessità di un intervento legislativo e proposte di riforma.

.................................................................................................................................. 164

Conclusione ....................................................................................... 170

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BIBLIOGRAFIA .............................................................................. 173

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Introduzione

Il presente lavoro effettua un esame approfondito della Legge 20 febbraio 2006,

n. 46 e dei rilevati profili di illegittimità costituzionale della stessa: com’è noto,

l’impianto della riforma è stato destrutturato in tempi brevi dalle declaratorie di

illegittimità della Corte Costituzionale, che hanno di fatto sancito un ritorno allo

status quo ante.

In particolare, l’intervento più importante e discusso della riforma ha riguardato

l’esclusione del potere d’appello dell’ imputato e, soprattutto, del pubblico

ministero avverso le sentenze di proscioglimento emesse in esito a rito ordinario,

abbreviato, ovvero quelle pronunciate dal Giudice di Pace.

La novella si proponeva di impedire che un soggetto prosciolto in primo grado

fosse condannato per la prima volta in appello, sulla base della rivalutazione del

materiale probatorio acquisito in primo grado e senza la possibilità di difendersi

nuovamente nel merito, ma potendo esclusivamente ricorrere per Cassazione.

A quasi un decennio di distanza, è stato utile ripercorre le tappe di questo

percorso normativo e giurisprudenziale, compiendo un’analisi scientifica scevra

da contaminazioni legate al contingente dibattito politico dell’epoca, e ponendosi

come obiettivo quello di stimolare la discussione, individuando soluzioni capaci

di ridurre i tempi del processo e rafforzare le garanzie dell’imputato,

uniformandosi al diritto sovranazionale.

Nel primo capitolo, è stato esaminato il ruolo dell’appello all’interno del

processo penale, concentrandosi sui profili di incongruenza esistenti tra

dibattimento in primo grado e giudizio di seconde cure, a causa della mancata

uniformazione di quest’ultimo al modello processuale accusatorio, cui tende il

codice vigente, e ai principi del “giusto processo”, introdotti dalla Legge

costituzionale n. 2. Stabilito se l’appello abbia o meno un riconoscimento in

Costituzione, si sono quindi analizzate le criticità del giudizio di secondo grado,

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alla luce della generale appellabilità delle sentenze di proscioglimento, come

previsto dalla disposizione antecedente alla riforma.

Nel secondo capitolo, dedicato alle novità normative introdotte dalla Legge 20

febbraio 2006, n. 46, descrivendo principalmente il nucleo fondante

dell’intervento normativo, ossia la regola dell’inappellabilità delle sentenze di

proscioglimento e la relativa eccezione. La trattazione ha riguardato, inoltre,

l’inappellabilità della sentenza di non luogo a procedere e l’ampliamento dei

motivi di ricorso per Cassazione ex art. 606 comma 1 lett. d, lett. e c. p. p.

operati dalla novella, assieme alla modifica della disciplina inerente

l’impugnazione della parte civile.

Nel terzo capitolo, si è passati ad analizzare le declaratorie di illegittimità

costituzionale che hanno investito gli artt. 1, 2 e 10 della Legge 20 febbraio 2006,

n. 46: con le sentenze 2. 26/2007, n. 320/2007, n. 85/2008 la Corte Costituzionale

ha cancellato la nuova regola dell’inappellabilità della sentenza di

proscioglimento dibattimentali e conclusive di rito abbreviato, reintroducendo -

prima per il solo pubblico ministero, poi anche per l’imputato - la generale

appellabilità di queste decisioni. La trattazione ha riguardato inoltre i recenti e

decisivi sviluppi della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,

che ha sancito la necessaria rinnovazione dell’istruttoria della prova orale in

appello, qualora il giudice volesse ribaltare la sentenza di proscioglimento di

primo grado.

Infine, a fronte dei principi sostenuti dalla Corte E. D. U., e della necessità di un

loro recepimento sul piano interno, sono state messe in luce le possibili

prospettive di riforma che si pongono al legislatore, in materia di appello e

sistema delle impugnazioni in generale.

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CAPITOLO PRIMO

L’appello nel processo penale.

§1. Linee generali del sistema delle impugnazioni. §2. L’appello e il sistema accusatorio. §3. Il diritto dell’imputato ad un “doppio

grado di giurisdizione nel merito”. §4. Profili critici dell’appello disciplinato dal nuovo codice di procedura penale. §5. Appellabilità

della sentenza di proscioglimento.

§1. Linee generali del sistema delle impugnazioni.

Il sistema delle impugnazioni rappresenta uno dei microcosmi normativi più

complessi e più vetusti del diritto processuale penale, stante l’importanza

storicamente attribuita al suddetto, che è considerato pacificamente uno degli

indici del grado di civiltà di un Paese1. La materia è racchiusa nel Libro IX del

codice di procedura penale, mancando tuttavia una generale delimitazione del

concetto di impugnazione; l’assenza di una norma definitoria, d’altronde, è

ascrivibile alla natura mutevole che i controlli e i rimedi impugnativi assumono

all’interno di ogni ordinamento. Date tali premesse, si può, in via approssimativa

definire l’impugnazione come “quel rimedio esperibile da una parte al fine di

rimuovere un provvedimento giurisdizionale svantaggioso, che si assume errato,

mediante il controllo operato da un giudice differente da quello che ha emesso il

provvedimento medesimo”2. Le impugnazioni, dunque, rientrano nel genus dei

rimedi giuridici, in particolare nella species dei rimedi processuali, attraverso cui

una parte, promuovendo il controllo dell’autorità giudiziaria, persegue la riforma

o la rimozione di un provvedimento giudiziario (sia esso una sentenza, un’

ordinanza o un decreto) che ritiene ingiusto, in quanto difforme dal diritto

oggettivo.

1A. GAITO, Le impugnazioni in generale, in AA. VV., Procedura Penale, Giappichelli, 2014, p. 813.

2 P. TONINI, Le impugnazioni, in P. TONINI, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2014, p. 901.

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Basandosi su tale descrizione, autorevole dottrina sostiene da tempo che sia

configurabile un mezzo di impugnazione, quando si riscontrino a prescindere dal

nomen iuris i predetti requisiti: il controllo sul provvedimento da parte del

giudice e l’aspirazione del ricorrente ad ottenerne la modifica3.

D’altra parte, il Libro IX del codice annovera espressamente tra i mezzi di

impugnazione delle sentenze l’appello, il ricorso in Cassazione, la revisione, il

ricorso straordinario in Cassazione e la rescissione del giudicato.

Le impugnazioni si inseriscono nell’insieme degli istituti del processo, non solo

penale, che sono posti in essere per giungere ad una decisione giusta, tramite la

quale lo Stato attua il proprio diritto obiettivo: la giustizia del provvedimento

decisorio è fine ultimo di tutta l’attività processuale, cui è strumentale anche

l’attività di impugnazione. Gli stessi giudizi successivi al primo grado sarebbero

vani in assenza del rispetto, ad esempio, delle regole di rito sulla competenza del

giudice o sul procedimento probatorio. Con un’efficace espressione, si può

affermare che la previsione di rimedi impugnatori declina le idee di giustizia,

come descritto in precedenza, ma anche di tempestività e certezza: il concetto di

giustizia avvalora e sostiene il tentativo di perfezionare la prima decisione,

potenzialmente errata, con un secondo giudizio, mentre la tempestività implica la

riduzione del numero di ricorsi attraverso il rispetto di termini prestabiliti,

arginando così il rischio di allungamento dei tempi di durata del processo. In

ultimo, la certezza si fonda sull’autorità assegnata convenzionalmente all’ultimo

grado di giudizio, considerato definitivo ed irripetibile4.

Oltre alle disposizioni generali e alla disciplina dei singoli mezzi sopra elencati,

affrontando il tema delle impugnazioni non si può prescindere dalle

3 G. TRANCHINA, Impugnazione (dir. proc. pen.), in AA.Vv., Enciclopedia del diritto,XX, Giuffrè, 7 ,

p. 746: qualunque istituto che si concretizzi nella denunzia di un ingiusto provvedimento del giudice o,

talora, del pubblico ministero, può essere inquadrato tra i mezzi di impugnazione, ancorch non venga

cos espressamente definito dal codice di procedura penale, la cui sistematica in materia appare, peraltro,

ispirata a criteri decisamente criticabili», potendo ricondurre, secondo tale tesi, nell’alveo delle

impugnazioni, ad esempio, l’opposizione al decreto penale di condanna e la richiesta di revoca della

sentenza di non luogo a procedere. 4 A. GAITO, Le impugnazioni e altri controlli: verso una decisione giusta, in A. GAITO (a cura di), Le

impugnazioni penali, Giappichelli, 1998.

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classificazioni dei mezzi di controllo, emerse negli anni da studi della dottrina e

funzionali ad una migliore comprensione del sistema.

Una prima distinzione è quella tra mezzi di gravame e impugnazioni in senso

stretto: nella categoria del gravame rientrano quei rimedi attraverso cui si

devolve l’intera decisione, considerata ingiusta, ad un’altra autorità giudiziaria;

questa, nel medesimo procedimento, si pronuncerà con un nuovo giudizio, che

sostituirà in toto la decisione impugnata. Sono impugnazioni in senso stretto,

invece, quei controlli che denunciano uno specifico vizio dell’atto e mirano,

semplicemente, alla rimozione di questo, senza ambire ad una pronuncia

completamente nuova5. Pur non mancando gli esempi puri di mezzo di gravame

o impugnazione in senso stretto6, questa differenziazione, utile come modello

teorico di riferimento ed euristico, si è esposta ad una contaminazione

nell’evoluzione degli istituti normativi7.

Ulteriore distinzione tra i rimedi concerne la portata della devoluzione, termine

con cui si individua l’ampiezza del deferimento cognitivo al giudice

dell’impugnazione: nel nostro ordinamento esistono mezzi totalmente devolutivi,

con cui l’intero ambito decisorio è rimesso al secondo giudice,

indipendentemente dalle argomentazioni della parte; sono presenti, inoltre, mezzi

parzialmente devolutivi, che determinano l’ambito della cognizione dell’organo

giudicante sulla base dei capi e dei punti della decisione richiamati nell’atto di

impugnazione proposto: su tali capi e punti interverrà la decisione, potendo

dunque discostarsi dai motivi proposti dalla parte.

Sull’intervenuta irrevocabilità del provvedimento ex art. 648 c. p. p. si fonda la

classificazione che vede da un lato i mezzi di impugnazione ordinari e dall’altro

quelli straordinari. Le impugnazioni ammesse prima che il provvedimento

diventi definitivo sono ordinarie: la parte può proporle esclusivamente nei

5 Storicamente la distinzione risale al diritto romano, dove l’appellatio conduceva ad un nuovo giudizio

sostitutivo della decisione precedente, mentre la querela nullitatis rappresentava la classica azione di

annullamento atta a rescindere in tutto o in parte la sentenza viziata. In tema: F. CORDERO, Procedura

penale, Giuffrè, 2012. 6 Ad esempio è mezzo di gravame la richiesta di riesame ex art. 309 c.p.p. avverso le misure cautelari.

7 O. LUPACCHINI, Profili sistematici delle impugnazioni penali, in A. GAITO (a cura di), Le impugnazioni

penali, Giappichelli, 1998.

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termini previsti e prima che l’irrevocabilità della decisione cristallizzi gli effetti

della stessa; tra queste rientrano per le sentenze l’appello e il ricorso in

Cassazione, per i provvedimenti cautelari coercitivi il riesame e l’appello. Sono

straordinari quei mezzi che possono esperirsi anche dopo il passaggio in

giudicato della sentenza, come, per le sentenze, la revisione, il ricorso

straordinario in Cassazione e la remissione del giudicato.

Volgendo lo sguardo al codice, il Libro IX contiene in primis alcune disposizioni

generali che si estendono, salvo specificità dei singoli rimedi, a tutti i mezzi di

impugnazione, compresi quei mezzi che non rientrano nel libro di riferimento.

Tra queste, il principio di tassatività, contenuto nell’art. 568 c.p.p., sancisce che è

la legge a stabilire i casi in cui un determinato provvedimento sia impugnabile o

meno, prevedendo anche lo specifico mezzo di impugnazione; l’ultimo comma

stabilisce, inoltre, che è sempre la legge a individuare i soggetti legittimati ad

impugnare. Il comma secondo, d’altro canto, afferma che sono sempre soggetti

a ricorso per cassazione, quando non sono altrimenti impugnabili, i

provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale e le sentenze

… », conformandosi alla garanzia costituzionale dell’art. comma 7 Cost.

Principio inderogabile, la tassatività è mitigata dall’introduzione della categoria

dell’ abnormità degli atti: alcuni provvedimenti, infatti, seppur non impugnabili

con i mezzi canonici, sono afflitti da anomalie radicali e l’ordinamento prevede

che avverso questi si possa ricorrere in Cassazione. La nozione di abnormità

degli atti funge da temperamento al principio di tassatività, ma non è codificata,

essendo dunque in mano alla giurisprudenza la sua formulazione; oggetto di

numerosi dibattiti, emersi già in seno al codice Rocco, l’abnormità ad oggi

colpisce un atto secondo due profili: è abnorme il provvedimento che, per

singolarità o stranezza, sia avulso dall’intero ordinamento ovvero quello che,

nonostante esprima un potere legittimo, superi ogni ragionevole limite

esplicandosi fuori dai casi previsti e consentiti. Dunque, sebbene sia impossibile

tipizzare modi e tempi di impugnazione del provvedimento abnorme, la

giurisprudenza della Suprema Corte ha ritenuto indispensabile estendere il

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ricorso in Cassazione ai provvedimenti affetti da questo vizio, che rappresenta un

pieno sviamento della funzione giurisdizionale, laddove i suddetti non siano

impugnabili con gli strumenti previsti dal codice8.

Se l’abnormità rappresenta un temperamento del principio di tassatività, il

principio di conservazione dei mezzi di impugnazione esclude la rilevanza

processuale di erronee valutazioni della parte nella scelta del rimedio: l’art 568

comma 5 c.p.p. sancisce l’ammissibilità dell’impugnazione indipendentemente

da come sia qualificata dalla parte, disponendo anche che il giudice

incompetente, a cui erroneamente abbia fatto ricorso la parte, trasferisca gli atti

all’autorità competente.

Le impugnazioni penali hanno di regola effetto sospensivo: l’art. 588 del codice

di rito prevede infatti che l’esecutività del provvedimento giurisdizionale sia

sospesa finché non siano decorsi i termini per impugnare e non si esauriscano

tutti i gradi di giudizio, nel rispetto del principio di non colpevolezza espresso

nell’art. 27 comma 2 Cost. Tale regola non è, però, esente da eccezioni:

l’impugnazione avverso ordinanze che abbiano disposto in materia di libertà

personale adottate in sede cautelare- cosiddetta impugnazione de libertate ex artt.

309, 310, 311 c. p. p.- non ha infatti effetto sospensivo; inoltre, le pronunce di

proscioglimento o non luogo a procedere avranno immediata esecuzione per la

parte che dispone la revoca di misure cautelari personali. Per concludere,

ulteriore eccezione concerne l’impugnazione per i soli capi civili della sentenza:

questa non coinvolge la statuizione del giudice sulla responsabilità penale, che

sarà irrevocabile ex 573 comma 1 c. p. p. e quindi immediatamente eseguibile

agli effetti penali.

Tra le disposizioni generali, assume importanza decisiva ai fini della trattazione

il concetto di legittimazione soggettiva: grazie al principio di tassatività, infatti, è

la legge a stabilire espressamente quando una parte possa impugnare, prevedendo

che in assenza di specificazioni l’azione d’impugnativa spetti ad ognuna delle

parti.

8 A. GAITO, Le impugnazioni in generale, in AA. Vv., Procedura Penale, Giappichelli, 2014 p. 822.

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Ulteriore requisito, necessario per la parte ai fini dell’impugnazione, è l’interesse

ad impugnare, come riportato dall’art. 568 comma 4 c.p.p.: questo, in linea

generale, rappresenta la possibilità per il ricorrente di eliminare un

provvedimento pregiudizievole e ottenerne uno più favorevole di quello emesso

al termine del primo giudizio9.

I soggetti che possono proporre impugnazione sono, dunque, il pubblico

ministero e l’imputato col suo difensore: l’impugnazione della parte pubblica può

essere promossa sia dal pubblico ministero presso il giudice di primo grado che

dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, che può promuovere azione

d’impugnativa nonostante l’impugnazione o l’acquiescenza del pubblico

ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento. Si rileva inoltre che

la disciplina codicistica annovera tra i soggetti legittimati anche il rappresentante

dell’organo d’accusa che abbia formulato le conclusioni durante il primo grado:

lo stesso art. 570 comma 3 c. p. p. stabilisce inoltre che «il pubblico ministero

che ha presentato le conclusioni e ne faccia richiesta nell’atto di appello, può

partecipare al successivo grado di giudizio quale sostituto del procuratore

generale presso la Corte di appello, quando quest’ultimo lo ritenga opportuno».

Relativamente all’interesse ad impugnare, il ruolo di garante dell’osservanza

delle leggi, proprio dell’organo della pubblica accusa nel processo, prevede che

questi possa avere interesse ad impugnare anche pro reo, qualora la condanna sia

stata ingiusta nell’an o nel quantum.

Per quanto riguarda l’imputato, egli può impugnare, in presenza di un interesse, o

direttamente o tramite procuratore speciale, nominato anche prima

dell’emanazione del provvedimento avverso cui ricorrere; è inoltre legittimato ad

impugnare il difensore dell’imputato (sia del grado precedente che all’uopo

nominato), qualora questo non lo faccia, al fine di garantire che un soggetto

dotato di competenza tecnica possa sopperire alle mancanze del protagonista del

processo. In caso di impugnazione di entrambi prevale quella dell’imputato, visto

9 P. TONINI, Le impugnazioni, op. cit.

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che l’imputato, nei modi previsti per la rinuncia, può togliere effetto

all’impugnazione proposta dal suo difensore».

Vi sono anche altri soggetti legittimati ad impugnare la sentenza di primo grado,

le cosiddette “parti eventuali”: parte civile, responsabile civile, persona

civilmente obbligata al pagamento della pena pecuniaria e, infine, il querelante.

Questi soggetti sono legittimati da specifiche disposizioni del codice di rito: la

parte civile, laddove conservi tale posizione fino al termine del dibattimento e

abbia presentato le sue conclusioni scritte, è legittimata dall’art. 576 c. p. p. ad

impugnare la sentenza relativamente ai propri interessi civili, ossia la sentenza di

condanna per la parte riguardante l’azione civile esercitata e la sentenza di

proscioglimento per la parte relativa ai soli effetti della responsabilità civile.

Come si vedrà nel corso del presente lavoro la legittimazione ad impugnare della

parte civile ha dato luogo ad un acceso dibattito interpretativo, venutosi a creare

a seguito dell’entrata in vigore della Legge 2 febbraio 2 6, n. 46.

In base al quadro normativo appena delineato si può evincere come la riforma del

1988 abbia lasciato pressoché invariata la parte normativa riferita al sistema delle

impugnazioni: le poche direttive della legge-delega del 1987 hanno portato ad

una mera “razionalizzazione” del sistema, concretatasi con l’adozione, in ipotesi

tassative, del procedimento in camera di consiglio in luogo del più gravoso

dibattimento.

È palese, dunque, l’incongruenza tra il nuovo codice, improntato ad un sistema

processuale di tipo accusatorio, e gli strumenti predisposti per impugnare una

decisione, previsti originariamente per un sistema di tipo inquisitorio. In

particolare, nel processo penale di tradizione continentale le impugnazioni sono

riconducibili all’impianto gerarchico e burocratico del potere giurisdizionale:

originariamente esercitato dal sovrano assoluto per controllare i suoi funzionari,

oggi il riesame della decisione è appannaggio di giudici superiori ed impone

sempre all’autorità giudiziaria di primo grado di motivare la sentenza, spiegando

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le ragioni di fatto e di diritto che hanno condotto ad una determinata decisione10

.

La previsione di questo controllo tutela l’individuo sottoposto alla giurisdizione,

mosso da una generale sfiducia verso l’autorità11

e preoccupato che il giudice

possa eludere le regole processuali, vista la sovrapposizione tipica dei

procedimenti di stampo inquisitorio tra l’organo inquirente e giudicante, e l’

assenza del contradditorio nella formazione della prova. Al contrario, il sistema

accusatorio puro prevede un verdetto della giuria, da cui il giudice è estraneo, che

è privo di motivazione ed immediatamente esecutivo: ciò discende da una diversa

conformazione dell’intero processo, che, in sintesi, è caratterizzato da un giudice-

spettatore e da un monopolio della prova in capo alle parti, da cui discende un

bisogno di controllo meno pregnante e, dunque, un sistema di impugnazioni

meno gravoso di quello inquisitorio12

.

Infatti, non bisogna pensare alle impugnazioni come ad un elemento

imprescindibile di un determinato sistema processuale13

; in linea teorica, non è

escluso che il legislatore decida di rendere definitiva la decisione di primo grado,

riducendo o totalmente escludendo ogni tipo di rimedio impugnativo. D’altronde,

se le impugnazioni sono, oltre che declinazione, espressione del bisogno di

giustizia, certezza ed efficienza della giurisdizione, è ben possibile che siano i

principi politici ed il periodo storico di riferimento a misurare la portata di questo

bisogno, rinforzando o depotenziando questo sistema laddove l’intera macchina

processuale lo richieda.

10

V. ZINCANI, Uno strano connubio: impugnazioni inquisitorie nel processo accusatorio, in C.

NUNZIATA (a cura di), Principio accusatorio, impugnazioni,ragionevole durata del processo, in Diritto e

giustizia, Supplemento al fascicolo n.29, 2004, p. 122. 11

R. ORLANDI, Sono davvero troppi tre gradi di giurisdizione penale?, op. cit. 12

G. ILLUMINATI, Appello e processo accusatorio. Uno sguardo ai sistemi di common law, op. cit. 13

O. LUPACCHINI, Profili sistematici delle impugnazioni penale, op. cit.

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§2. Appello e sistema accusatorio: l’eccezionalità della rinnovazione

istruttoria ex art. 603 c. p. p.

L’appello è il mezzo di impugnazione disciplinato dagli artt. 5 3-605 del codice

di procedura penale, con cui si sottopone al riesame di un giudice collegiale, di

grado superiore rispetto al primo, la sentenza di primo grado impugnata da una

parte che, come visto in precedenza, ne abbia l’interesse e la legittimazione.

Rientra nella stessa idea di giustizia la predisposizione di uno strumento

attraverso cui un soggetto possa contestare la decisione a lui sfavorevole,

sottoponendo la questione ad un organo giudicante diversamente formato, di

grado più elevato e con magistrati più anziani, più esperti o più numerosi del

primo14

. Non è, peraltro, la superiorità gerarchica dei giudici a garantire un

giudizio migliore e più giusto, altrimenti sarebbe inutile in ogni caso qualsiasi

giudizio di primo grado: con l’appello non si ottiene una completa devoluzione

ad un secondo giudice di una causa già decisa, ma si consegue un ulteriore

giudizio che, grazie alla rielaborazione critica del materiale processuale, riduca lo

scarto fisiologico esistente tra verità processuale e vero storico15

.

La storia insegna che l’appello fu per secoli lo strumento con cui il sovrano,

fosse un princeps dell’età augustea o un monarca assoluto dell’ancien régime,

interveniva nell’amministrazione della giustizia, controllando l’operato dei suoi

funzionari. Alla luce di questa riflessione, è ancor più manifesto il legame

d’origine sussistente tra il sistema processuale inquisitorio, cui sono o erano

orientati i maggiori ordinamenti continentali, e l’appello stesso16

: in questo

sistema, l’effettivo rispetto delle regole processuali e delle garanzie difensive si

assicura tramite il controllo sull’osservanza delle stesse da parte di un secondo

giudice. Sebbene sia dibattuta l’esistenza di una norma costituzionale che

garantisca il giudizio d’appello e quindi il cosiddetto “doppio grado di merito”,

14

A.GAITO, L’appello, op. cit., p. 835. 15

Si veda il riferimento alla nota che precede. 16

G. TRANCHINA, Il secondo grado di giudizio: ambiti e limiti, in AA. VV., Le impugnazioni penali:

evoluzione o involuzione? Controlli di merito e controlli di legittimità (Atti del Convegno, Palermo, 1-2

Dicembre 2006), Giuffrè, 2008, p. 172.

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15

questo mezzo di controllo di eventuali errori giudiziari non è mai stato messo in

discussione dalle legislazioni che si sono susseguite negli anni, essendo già

previsto nell’attuale configurazione non solo nel codice del 3 , ma anche in

quelli del 1913 e del 1865, finanche ai codici preunitari17. L’appello è, dunque,

rimasto pressoché invariato anche a seguito dell’entrata in vigore del codice

vigente, che ha in parte avvicinato l’ordinamento italiano ai sistemi accusatori di

esperienza angloamericana, relativamente alle altre fasi del procedimento, ossia

indagini e dibattimento.

Il titolo II del Libro IX del codice è dedicato all’appello e si apre con l’art. 5 3,

rubricato «Casi di appello»: attorno alla modifica di questa disposizione ruota la

Legge 2 febbraio 2 6, n. 46 che ha modificato l’appellabilità oggettiva delle

sentenze da parte dell’imputato, ma soprattutto del pubblico ministero, recependo

quelle istanze di riforma, propugnate sin dall’entrata in vigore del codice del

1989 prima e della legge costituzionale sul giusto processo poi. Sul contenuto, il

fondamento e l’opportunità della riforma di questa disposizione si tratterà a lungo

in seguito. Si è detto in precedenza che il giudice dell’appello è un giudice di

grado superiore rispetto a quello del primo grado; nel nostro ordinamento per le

sentenze pronunciate dal tribunale e dalla corte d’assise decidono,

rispettivamente, corte d’appello e corte d’assise d’appello, invece nel caso di

sentenza conclusiva del rito abbreviato pronunciata dal giudice dell’udienza

preliminare si pronunceranno la corte d’appello o la corte d’assise d’appello, a

seconda che il reato oggetto della pronuncia rientri tra quelli di competenza,

rispettivamente, del tribunale o della corte d’assise. Infine, se si propone appello

avverso una sentenza del giudice di pace, sarà competente per il secondo grado di

giudizio il tribunale in composizione monocratica del circondario in cui ha sede

il giudice di pace.

17

G. CIANI, Il secondo grado di giudizio: ambiti e limiti, in AA. VV., Le impugnazioni penali: evoluzione

o involuzione? Controlli di merito e controlli di legittimità (Atti del Convegno, Palermo, 1-2 Dicembre

2006), Giuffrè, 2008, p. 175.

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16

L’appello è un mezzo d’impugnazione ordinario a struttura ibrida»18

, in quanto,

pur essendo modellato sul mezzo di gravame, ha natura parzialmente devolutiva:

la cognizione del giudice di appello, infatti, si limita ai punti della decisione ai

quali si riferiscono i motivi proposti dalla parte appellante. È punto della

decisione ogni statuizione della sentenza- o del capo di essa- che può essere

considerata in modo autonomo19

: ogni punto contiene più questioni e su ognuna

di esse può intervenire la decisione del giudice d’appello. L’ambito di cognizione

del giudice d’appello è ben riassunto dal brocardo tantum devolutum quantum

appellatum: è la domanda contenuta nell’impugnazione ad esprimere l’esigenza

di controllo e, congiuntamente, a circoscrivere l’ambito decisorio, definendo

l’oggetto della decisione e modellando i poteri del giudice20

. In base a tali

considerazioni, la cognizione del giudice di secondo grado può essere la stessa

del giudice del primo, non essendovi alcuna limitazione per il giudice rispetto

alle argomentazioni proposte dall’appellante; oggetto del giudizio d’appello,

infatti, non sono i motivi- come avviene per il ricorso in Cassazione- ma i punti e

i capi del provvedimento impugnato21

.

Il principio del tantum devolutum quantum appellatum è temperato da una serie

di eccezioni, le cui origini e finalità sono eterogenee: vi sono, in primo luogo,

una serie di questioni che possono essere decise dal giudice ex officio in ogni

stato e grado del processo e, dunque, anche nei gradi d’impugnazione22. L’ultimo

comma dell’ art. 5 7 c.p.p., d’altro canto, prevede che il giudice d’appello

18

M. BARGIS, Impugnazioni, in CONSO-GREVI-BARGIS (a cura di), Compendio di procedura penale,

Cedam, 2012, p. 939. 19

P. TONINI, Le impugnazioni, op. cit. 20

A. DE CARO-V. MAFFEO, Appello, op. cit., pag. 59 21

D. CHINNICI, Giudizio penale di seconda istanza e giusto processo, Giappichelli, 2 : … talchè

quella che appariva una cognizione circoscritta si mostra dilatata fino a sovrapporsi all’area cognitiva del

giudice di primo grado, sicuramente quanto al tipo di attività del secondo giudice, ma anche riguardo alla

potenziale ampiezza del thema decidendum, dal momento che potrebbe essere la medesima di quella della

decisione impugnata.» 22

Il giudice potrà d’ufficio, indipendentemente dai punti impugnati, rilevare il difetto di giurisdizione,

l’incompetenza per materia per eccesso, le nullità assolute ex art. 7 c.p.p.- e quelle a regime intermedio

nel rispetto dei limiti dell’art 8 c.p.p., l’inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione dei divieti

stabiliti dalla legge, dichiarare le cause di non punibilità ex art 129 c.p.p., emettere la sentenza di

proscioglimento in caso di preclusione correlata al ne bis in idem, sollevare questione di legittimità

costituzionale sulla norma da applicare.

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17

riconosca ex officio i benefici della sospensione condizionale della pena e della

non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, potendo

inoltre applicare una circostanza attenuante ritenuta esistente, operando il

giudizio di comparazione ex art. 69 c.p. Chiara espressione del principio del

favor rei, questa disposizione è stata introdotta nel codice del 1989, auspicata

dalla direttiva n. 91 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81.

L’art. 5 7 c.p.p. orienta e definisce i poteri decisori del giudice d’appello a

seconda che la parte impugnate sia il pubblico ministero o l’imputato, e che la

sentenza sia di condanna o di proscioglimento. Nell’ipotesi di impugnazione del

pubblico ministero, dinanzi ad una sentenza di condanna il giudice potrà

riformarla prendendo i seguenti provvedimenti: dare al fatto una definizione

giuridica più grave; modificare specie e quantità della pena irrogata; revocare i

benefici; applicare, se occorre, misure di sicurezza e prendere qualsiasi altro

provvedimento necessario consentito dalla legge. Se invece la sentenza

impugnata dalla parte pubblica è di proscioglimento, il giudice potrà pronunciare

la condanna o prosciogliere l’imputato con formula diversa da quella indicata nel

primo provvedimento. In ultimo, in caso di conferma della decisione appellata, il

giudice potrà applicare, modificare o escludere pene accessorie e misure di

sicurezza. Questo è il contenuto del comma 2 dell’art. 597 del c. p. p., che d’altro

canto non impone alcun divieto in capo al giudice di migliorare la condizione

dell’imputato, anche se unico appellante è il pubblico ministero.

Contrariamente, il comma seguente sancisce il cosiddetto divieto di reformatio in

peius: quando unico appellante è l’imputato, il giudice non potrà aumentare la

pena per specie o quantità, revocare i benefici né applicare nuove e più gravi

misure di sicurezza; non potrà nemmeno proscioglierlo per una causa meno

favorevole. Il divieto non tocca né la qualificazione giuridica del fatto, che potrà

essere aggravata nei limiti della competenza del giudice di primo grado, né la

motivazione della sentenza, essendo destinato esclusivamente al dispositivo.

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18

Il divieto di reformatio in peius è giustificato del cosiddetto favor rei, principio

informatore del nostro ordinamento23

, la cui applicazione può comportare una

deroga di principi fondamentali della materia penale, come ad esempio il

principio di legalità contenuto nell’art. del codice penale24

.

Il comma 4 dell’art. 5 7 prevede, infine, che il giudice che abbia accolto

l’appello dell’imputato, relativo a circostanze attenuanti o aggravanti o a reati

concorrenti (anche in continuazione), diminuisca la pena irrogata in primo grado

in maniera corrispondente. È la stessa Relazione al codice di rito a chiarire la

finalità di questa disposizione: evitare l’elusione da parte del giudice del divieto

di reformatio in peius, accogliendo l’appello del solo imputato relativo a

circostanze o reati concorrenti, senza diminuirne la pena in maniera

corrispondente25. Bisogna, d’altro canto, aggiungere che, secondo la Suprema

Corte, questo principio non è esclusivamente applicabile alle ipotesi di appello

del solo imputato, ma varrà anche in presenza di appello del pubblico

ministero26: cos l’impugnazione del pubblico ministero potrà comportare un

peggioramento della decisione appellata, ma non escluderà la diminuzione di

pena conseguente all’accoglimento dell’appello dell’imputato.

Il divieto sancito dall’art. 5 7 comma 3 c.p.p. viene meno laddove il pubblico

ministero proponga appello incidentale, ossia impugni entro quindici giorni dalla

comunicazione o notificazione dell’avvenuta proposizione dell’appello da parte

dell’imputato, sebbene siano decorsi i termini per proporre, da parte del pubblico

ministero stesso, impugnazione principale . L’istituto dell’appello incidentale è

disciplinato dall’art 5 5 del codice di rito e rientra tra le facoltà di entrambe le

23

G. LOZZI, Favor rei e processo penale, Giuffrè, 1968, distingue tra principi normativi e principi

informatori: i primi trovano applicazione relativamente a situazioni concrete non previste dalla legge e

hanno la funzione di integrare le singole disposizioni; i secondi, tra cui il favor rei, fungono solo da criteri

direttivi dell’ordinamento. 24

A. GAITO, L’appello, op. cit., p. 848, ci ricorda che se il giudice d’appello qualifica in maniera più

grave il fatto, dovrà comunque applicare la pena più mite prevista per il reato individuato dal giudice di

primo grado, derogando il principio di legalità, per cui non possono applicarsi pene non previste dalla

legge. 25

Relazione al testo definitivo del codice di procedura penale, GU Serie Generale, n.250, 24-10-1988,

Suppl. Ordinario n. 93:«Esso [il divieto di reformatio in peius] viene rafforzato rispetto al codice vigente,

con la previsione dell'obbligatoria diminuzione della pena complessiva,in caso di accoglimento

dell'appello in ordine alle circostanze o al concorso di reati.» 26

Cass. Sez. un., 12 maggio 1995, n. 5978, in Cassazione penale, 1995, p. 3329

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19

parti27

; è necessario che la parte che appella incidentalmente fosse legittimata ad

appellare in via principale, non potendo eludersi il principio di tassatività dei

mezzi d’impugnazione. L’appello incidentale, tuttavia, segue le sorti dell’appello

principale, perdendo efficacia in caso di inammissibilità o rinuncia a

quest’ultimo. In sostanza, con questo strumento l’ordinamento permette di

realizzare un contraddittorio pieno sul thema decidendum, come devoluto

dall’appellante principale e non oltre, consentendo a chi appella in via incidentale

di sollevare esclusivamente questioni relative ai capi e ai punti della decisione

interessati dall’appello principale28. Come già osservato, l’appello incidentale del

pubblico ministero neutralizza gli effetti del divieto di reformatio in peius, con

l’intento di disincentivare impugnazioni pretestuose. Va precisato, però, che

laddove non operi il divieto di reformatio in peius, l’eventuale aggravio della

nuova pronuncia rispetto a quella appellata non dispiega alcun effetto nei

confronti del coimputato che non abbia né proposto appello né partecipato al

giudizio.

Per ciò che concerne la celebrazione del giudizio d’appello, nonostante il codice

abbia introdotto, con chiaro intendo deflattivo relativamente alla durata del

processo di secondo grado, alcune ipotesi di celebrazione dell’appello in camera

di consiglio, l’udienza rimane dibattimentale, sulla scorta del primo grado e fatte

salve le specificazioni degli art. 601-605 c.p.p.

Una delle norme più importanti e controverse tra quelle che disciplinano il

giudizio di seconde cure è l’art 6 3 c. p. p., che si occupa dei casi di

rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello.

In origine erano quattro le ipotesi di rinnovazione individuate dall’articolo

sopracitato, rispettivamente per i primi quattro commi, ridottesi recentemente a

tre: nella prima ipotesi, la parte chiede la riassunzione di prove già assunte, al

fine di ottenere una migliore valutazione del giudice, o l’assunzione di prove

nuove, ossia prove non esistenti in atti ma che si sarebbe potuto acquisire già

27Il codice previgente prevedeva che l’appello incidentale fosse esclusivo appannaggio del pubblico

ministero. 28

A. DE CARO-V. MAFFEO, Appello, op. cit. pag. 59

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20

durante il primo grado di giudizio. Il giudice valuterà la richiesta, accogliendola

solo qualora non sia «in grado di decidere allo stato degli atti». La seconda

ipotesi invece riguarda le nuove prove, sopravvenute o scoperte dopo il giudizio

di primo grado, per cui il vaglio del giudice non è sottoposto al criterio restrittivo

della impossibilità di decidere allo stato degli atti, ma riguarda esclusivamente la

manifesta superfluità o irrilevanze delle prove di cui si chiede l’assunzione;

infine il terzo comma attribuisce al giudice la facoltà di richiedere ex officio la

rinnovazione laddove la ritenga assolutamente necessaria. L’ultimo caso

concerneva la richiesta di riassunzione delle prove da parte dell’imputato rimasto

contumace in primo grado, purché costui provasse di non aver avuto conoscenza

della citazione e che il fatto non dipendesse da sua colpa: il comma 4 dell’art.

603 c. p. p. è stato però abrogato dalla Legge n. 67/2 4, che ha introdotto all’art.

625 ter c. p. p. il nuovo mezzo straordinario di impugnazione, denominato

rescissione del giudicato. Questo istituto ha modificato il processo in absentia,

prevedendo che l’imputato processato e condannato a sua insaputa, possa

presentare istanza entro trenta giorni dalla conoscenza del procedimento: se

proverà che tale inconsapevolezza non era dovuta a colpa propria, il soggetto

otterrà la revoca della sentenza da parte della Cassazione, che trasmetterà gli atti

al giudice di primo grado, affinché il processo venga nuovamente celebrato. Per

tali ragioni, la rinnovazione istruttoria in caso di imputato contumace non ha più

ragion d’essere nel nostro ordinamento ed è stata coerentemente espunta con la

medesima legge che ha introdotto la rescissione del giudicato.

L’indicazione tassativa delle ipotesi di assunzione di prove nel dibattimento

d’appello delinea in maniera decisiva alcune fondamentali caratteristiche di

questo grado di giudizio: in prim’ordine, parte della dottrina ha evidenziato come

questa norma delinei la natura dell’appello, in bilico tra la revisio prioris

istantiae e il novum iudicium, facendo pendere l’ago della bilancia verso la prima

categoria. L’udienza prende le mosse della relazione della causa, quindi

dall’andamento del grado precedente, e il giudice opera il riesame (revisio prioris

istantiae) delle medesime questioni, senza riacquisire necessariamente le prove:

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21

infatti «la presunzione (pur se solo relativa) di completezza del materiale

probatorio acquisito in primo grado costituisce l’asse attorno a cui ruota l’intera

disciplina … »29

. In secondo ordine, il giudizio d’appello è un giudizio

sostanzialmente cartolare, in quanto il risultato processuale è basato sulla rilettura

delle carte del processo da parte del giudice di secondo grado: sottoponendo ai

requisiti della «decidibilità allo stato degli atti» e della «assoluta necessità» la

rinnovazione dell’istruttoria, la disciplina codicistica impedisce che in seconde

cure il giudice possa decidere nuovamente alla luce delle prove escusse in sua

presenza. Pur essendo consolidata nella giurisprudenza di legittimità

l’eccezionalità della rinnovazione istruttoria30

, la Corte di Cassazione ha negli

anni tentato di temperare la perentorietà dei requisiti dell’art. 6 3 c. p. p., in

modo tale da ampliare il ricorso a tale istituto, sempre più necessario per

realizzare un accertamento processuale che, in ogni grado di giudizio, sia

rispettoso dei principi del “giusto processo”. Un’apertura verso l'attività

probatoria è emerse rispetto all’art. 6 3, commi e 3, c. p. p. - che prevede la

rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in grado di appello quando il giudice

non può decidere allo stato degli atti e ritiene assolutamente necessaria la prova

richiesta) - : questa norma, interpretata alla luce dell'art. 111 Cost., consente al

giudice - nel caso in cui la situazione processuale presenti effettivamente un

significato incerto - di ammettere la prova richiesta che venga ritenuta decisiva

ed indispensabile, ossia che possa apportare un contributo considerevole ed utile

al processo, risolvendo i dubbi o prospettando una soluzione differente31

.

Questi rilievi, però, non consentono di negare il carattere limitato ed eccezionale

del ricorso alla rinnovazione istruttoria, cos come intesa dall’immutato art. 6 3

c. p. p.: se questo istituto è la «chiave di lettura privilegiata per chi si proponga

di ricostruire la vocazione funzionale del giudizio di secondo grado nell'ambito di

29

G. TRANCHINA-DI CHIARA, Appello (dir. proc. pen.), in AA.Vv., Enciclopedia del diritto,III agg, G

iuffrè, 1999 30

Cass. Sez. II, 26 aprile 2000, in C.E.D. Cass., n. 216532; Cass. Sez., V, 21 aprile 1999, Jovino, in

Cassazione Penale, 2001, p. 891. 31

Cass. Sez. III, 7 aprile 2004, n. 21687, in C.E.D. Cass., n. 228920.

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un determinato sistema»32

, dal suo esame emerge la conformazione

“inquisitoria” del giudizio d’appello, che fisiologicamente si propone di

effettuare un controllo ex actis dell’operato del giudice di primo grado. Spetterà,

dunque, alla giurisprudenza estendere la portata dell’istituto ex art. 603 c. p. p.

per colmare in via interpretativa il pericoloso deficit probatorio cui è esposto il

giudizio d’appello, in quanto giudizio meramente cartolare in cui si rivaluta il

materiale probatorio assunto in una fase precedente33

.

Passando alle pronunce con cui si conclude il secondo grado, l’esito fisiologico

del giudico di appello è l’emanazione di una sentenza che, confermando o

riformando gli esiti, si sostituisce a quella del grado precedente - fatta eccezione

per le «Questioni di nullità» dall’art. 6 4 c. p. p. - .

Enunciati i caratteri principali del giudizio di secondo grado, il dato di maggior

interesse ai fini della trattazione risiede, come accennato in precedenza, nella

sostanziale assenza di modifiche tra l’appello del codice del 3 e quello del

codice attuale. Il cambio di rotta annunciato nella Legge delega 16 febbraio 1987

n. 8 ha condotto l’ordinamento processuale penale italiano da un sistema a

carattere inquisitorio verso un sistema accusatorio: se il primo ha caratterizzato

per secoli gli ordinamenti continentali, quello accusatorio è stato principalmente

appannaggio dei sistemi di common law. Il paradigma astratto del modello

inquisitorio è riassumibile «nella concentrazione delle funzioni inquirenti e

decisorie in capo allo medesimo organo, nell’iniziativa ufficiosa del giudice nella

ricerca della prova, nella segretezza e nella scrittura … »34

. Quanto al secondo

modello, l’art. 2 comma della Legge delega n. 8 / 87 afferma espressamente

che la riforma codicistica è volta ad «attuare i caratteri del sistema accusatorio»:

esso prevede la distinzione tra organo d’accusa e di decisione della causa, la

limitazione dell’attività del giudice alla sola decisione della causa, senza poteri

32

F. PERONI, Nuove deduzioni probatorie in fase di discussione finale: tra logica dei gravami e diritto

alla prova, in Cassazione Penale, 1997, p. 2105. 33

Ex pluris cfr. capitolo terzo §5., in cui si analizza la recente giurisprudenza C. E. D. U. (Corte eur. dir.

uomo, 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia), che ha statuito la necessaria rinnovazione della prova orale in

appello, quando il giudice di seconde cure voglia ribaltare la sentenza di proscioglimento emessa in primo

grado. 34

V. ZINCANI, Uno strano connubio: impugnazioni inquisitorie nel processo accusatorio, op. cit., p. 119.

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sulla prova, l’affermazione dei principi di parità delle parti e di oralità e

immediatezza. A rafforzare gli intenti della novella codicistica, è intervenuta la

Legge Costituzionale 23 novembre n. 2, che ha riformato l’art. Cost.,

inserendovi i principi del cosiddetto “giusto processo”: parità delle parti in ogni

processo, formazione della prova nel contraddittorio delle parti nel processo

penale, ragionevole durata del processo sono i principi fondamentali che trovano

espressione in questa norma, alla cui attuazione mira la Legge 1 marzo 2001 n.

63, diretta a modificare il giudizio in maniera sostanziale, specialmente i rapporti

tra fase delle indagini e dibattimento. Quest’ultimo è caratterizzato dalla

formazione della prova nel contraddittorio tra le parti, che attraverso

l’elaborazione dialettica assurge non solo a fondamentale garanzia individuale,

ma anche a valido ed efficiente canone epistemologico, visto che l’accertamento

giudiziale dei fatti con il contributo dialettico di tutte le parti garantisce una

migliore ricerca della verità35

. Le novità legislative e costituzionali hanno

disegnato i caratteri di un nuovo sistema processuale, che tende al modello

accusatorio, ma ha, in concreto, una natura mista: non può infatti parlarsi di

autentico processo di parti36, stante l’obbligatorietà dell’azione penale sancita

costituzionalmente dall’art. 2 Cost. e garantita dal costante controllo del

giudice sull’operato del pubblico ministero37

; norme come quelle contenute

all’art. 5 7 c. p. p., che forniscono al giudice ampi poteri d’iniziativa in materia

probatoria, allontanano il processo penale italiano dal generale modello

accusatorio, in cui la materia della prova è impermeabile a qualsiasi intervento

del giudice; in ultimo, l’esito del giudizio: nel modello accusatorio puro il

verdetto è immotivato ed emesso dalla giuria, mentre nel nostro sistema questo

rimane comunque motivato ed espresso da giudici professionali.

Come già segnalato in avvio, la scelta del doppio grado di merito è risalente nel

sistema processuale italiano ed è riconducibile alla natura inquisitoria del

35

G. CIANI, Il secondo grado di giudizio: ambiti e limiti, op. cit., p.185 36

Il processo di parti (o modello adversarial) è tipico dei sistemi di common law ed è caratterizzato dalla

negoziabilità e retrattabilità dell’azione penale, fondata quindi sull’esercizio discrezionale della stessa. 37

G. ILLUMINATI, Giudizio, op. cit., p. 768

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procedimento: l’esistenza di un grado di giudizio deputato al riesame

complessivo del risultato processuale ha piena ragion d’essere in un processo di

natura inquisitoria, dove è la rivedibilità del provvedimento finale a garantire il

risultato giusto, non il tipo di cognizione o l’epistemologia della decisione38

.

Nonostante la riforma del 88 abbia spostato l’asse del processo verso il sistema

accusatorio, il giudizio di secondo grado, dunque, ha mantenuto intatte le sue

peculiarità: una certa dottrina, ha parlato di impugnazioni inquisitorie in un

processo accusatorio39

. In particolare, taluni autori40

hanno sottolineato come la

stessa Costituzione continui a prevedere, anche dopo la riforma introduttiva dei

principi del “giusto processo”, una serie di garanzie costituzionali calibrate su di

un sistema processuale di stampo inquisitorio: queste garanzie avevano

originariamente la funzione di incidere, in chiave correttiva, sugli squilibri del

predetto sistema. La presunzione di innocenza dell’art. 27 comma 2 Cost. tutela

l’imputato, impedendo di eseguire provvisoriamente la sentenza di condanna

finchè non diventi definitiva; l’obbligo di motivazione del provvedimento- di cui

all’art. comma 6 Cost.- e l’indefettibilità del ricorso in Cassazione per

violazione di legge- oggi previsto all’art. comma 7 Cost.- garantiscono la

correzione degli errori giudiziari. Sovente si è individuata nella compresenza di

dette garanzie l’eccessiva lentezza e le disfunzioni del processo penale, in

particolare attraverso l’impiego esclusivamente strumentale di alcune di queste;

nonostante ciò, la Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 non mise in

discussione nessuno di questi principi, nemmeno l’indefettibilità del ricorso in

Cassazione, unica garanzia in materia di impugnazioni già esistente nella norma

costituzionale, contenuta proprio in quell’articolo Cost., che la legge sul

“giusto processo” avrebbe modificato41. È evidente che l’odierno art. Cost.

38

R. OLIVIERI DEL CASTILLO, Teologia del processo e delle impugnazioni: l’emergenza continua tra

scopi di difesa sociale e scopi garantisti, op. cit., p. 61 39

V. ZINCANI, Uno strano connubio: impugnazioni inquisitorie nel processo accusatorio, op. cit. 40

V. GREVI, Alla ricerca di un processo penale «giusto», Giuffrè, 2000, p. 322 ss. 41

L. COMOGLIO, Il doppio grado di giudizio nelle prospettive di riforma costituzionale, in Rivista di

diritto processuale, 1999, analizza il progetto di revisione costituzionale della Commissione Bicamerale

del 1997, che- al contrario della riforma costituzionale del 1999- prevedeva l’esclusione dalle garanzie

costituzionali del ricorso in Cassazione per violazione di legge rispetto alle sentenze. L’art. 131 del

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contenga una serie di principi derivanti dalla stratificazione di culture giuridiche

diverse, che, però, sono semplicemente giustapposti e non perfettamente

coordinati, rischiando così di incidere negativamente sulla ragionevole durata del

processo, anch’essa costituzionalmente garantita.

Alla luce di tali considerazioni, la conformazione dei due gradi di giudizio

successivi al primo (in particolare il secondo di merito) è stata messa in

discussione, sebbene l’ipotesi di sopprimere l’appello sia ad oggi un vero e

proprio tabù42; l’introduzione del principio del contraddittorio nella formazione

della prova e delle altre disposizioni sul giusto processo stridono con l’attuale

conformazione dell’appello: questo giudizio si riduce ad una rilettura degli atti e

vede la rinnovazione dell’istruttoria come ipotesi eccezionale, rischiando così di

vanificare tutto il sistema di garanzie procedurali approntate per la fase

dibattimentale di primo grado. Le maggiori incongruenze dell’appello

afferiscono, dunque, alla natura cartolare del giudizio e alla sua compatibilità coi

principi di oralità e immediatezza, oltre che all’incidenza di questo secondo

grado di merito sulla ragionevole durata del processo; prima di esaminarle in

maniera approfondita e di analizzare le prospettive di riforma, è tuttavia

imprescindibile per il prosieguo della trattazione valutare l’indispensabilità del

secondo grado di giudizio cos strutturato e accertare l’esistenza o meno di una

garanzia costituzionale del doppio grado di giurisdizione nel merito.

progetto- cfr. www.camera.it- sanciva infatti: « 1.Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere

motivati. 2.Contro le sentenze è ammesso il ricorso in cassazione nei casi previsti dalla legge, che

assicura comunque un doppio grado di giudizio. 3.Contro i provvedimenti sulla libertà personale,

pronunciati dagli organi-giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per

violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari». Oltre ad

escludere l’indefettibilità del ricorso in Cassazione per violazione di legge avverso le sentenze, tale norma

inseriva espressamente la garanzia minima di un doppio grado di giurisdizione nel merito. 42

Così D.CHINNICI, Verso il “giusto processo” d’appello: se non ora, quando?, in Archivio Penale, n. 3,

2012 che richiama M. MASSA, Contributo allo studio dell’appello, Giuffrè, 1969, p. 57, per cui il

legislatore sarebbe «obbligato a prevedere un procedimento di secondo grado, perché il giudizio senza

controllo contraddice per definizione la stessa profonda idea del processo inteso non come strumento di

persecuzione ma come il mezzo attraverso il quale, nella garanzia dei diritti e delle aspettative legittime

delle parti, si tenta di perseguire una decisione di verità».

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§3. Il diritto dell’imputato ad un “doppio grado di giurisdizione nel merito”.

Il principio del doppio grado di giurisdizione si sostanzia nella possibilità di

ottenere, sul merito di una determinata vicenda contenziosa, una seconda

pronuncia da parte di un giudice diverso, destinata a prevalere sulla prima43

.

Concetto elaborato dalla dottrina processualistica, il doppio grado non trova

formulazione espressa in alcun enunciato normativo, ma si è affermato nel diritto

positivo tramite l’istituto dell’appello44

. È pertanto un principi frutto di

un’astrazione ed una generalizzazione del dato positivo, ma non dotato di alcuna

funzione prescrittiva, che stabilisca in quali termini ed entro quali limiti la

disciplina normativa debba conformarsi45

. È dunque un paradigma metagiuridico,

capace però di influenzare lo sviluppo normativo del sistema delle impugnazioni

e dei controlli; riportando l’efficace espressione di un illustre autore si registra

«qualcosa di paradossale» nel termine doppio grado: «sembra, infatti, trattarsi di

un (supposto) principio che tale non è; di una nozione diffusa ed accreditata che

peraltro non è normativizzata; di un elemento spesso valutato negativamente per

gli alti costi cui induce e ciò nonostante difficilmente comprimibile; di un dato

che non ha compiutamente una giustificazione logica, eppure dotato di una forza

dirompente.»46

Le predette considerazioni rimandano ad una serie di

problematiche connesse col principio del doppio grado di giurisdizione: in

primis, l’esistenza o meno di una norma costituzionale sotto la cui egida

ricondurre questo principio; in secondo luogo, il riconoscimento del doppio

grado nelle convenzioni internazionali e il rapporto con la normativa interna; in

ultimo, la natura di questa garanzia rispetto alle parti del processo penale. Per ciò

che concerne il riconoscimento costituzionale del doppio grado di merito, ad oggi

43

G. SPANGHER, Il doppio grado di giurisdizione, in AA. VV., Presunzione di non colpevolezza e

disciplina delle impugnazioni (Associazione tra gli studiosi del processo penale, 10), Giuffrè, 2000, p.

104, che richiama espressamente E. RICCI, Doppio grado di giurisdizione: principio di diritto processuale

civile, in Enciclopedia Giuridica, vol. XII, 1990. 44

G. SERGES, Il principio del « doppio grado di giurisdizione » nel sistema costituzionale italiano,

Giuffrè, 1993, p. 14. 45

T. PADOVANI, Il doppio grado di giurisdizione: appello dell’imputato, appello del P. m., principio del

contraddittorio, in Cassazione Penale, fasc. 12, 2003, p. 4023 ss. 46

G. SPANGHER, Il doppio grado di giurisdizione, op. cit., pag. 106.

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si ritiene che non esista una norma della nostra Carta fondamentale che ne

fornisca copertura: la giurisprudenza costituzionale è stata sempre coerente nel

negare il rango costituzionale di questo principio, con una serie di pronunce che

spaziano in un arco temporale di oltre trent’anni47

. D’altronde, che questo

principio non rientrasse nelle maglie della Costituzione può essere ulteriormente

desunto, secondo un’accorta dottrina48

, dal progetto di revisione costituzionale

della Commissione Bicamerale del 199749

, che all’art. 3 comma 3 sanciva

espressamente la garanzia del doppio grado di giurisdizione nel merito. È

necessario, inoltre, far chiarezza sul rapporto tra doppio grado e garanzia dell’art.

111 comma 7 Cost.: la stessa relazione al progetto dell’attuale codice di

procedura penale riteneva che la garanzia del ricorso in Cassazione per

violazione di legge fosse idonea e sufficiente a ricomprendere anche il doppio

grado di giurisdizione50

. Tuttavia, la garanzia del ricorso in Cassazione per

violazione di legge assolve alla funzione di nomofilachia, tutelando l’osservanza

e la corretta applicazione del diritto; al contrario, il controllo sul merito afferisce

alla ricostruzione fattuale, al convincimento del giudice nella valutazione delle

prove e degli indizi, ponendosi su un piano parallelo e complementare al

controllo di legittimità ex 111 comma 7 Cost. Una certa dottrina51

ha cercato di

ricondurre il doppio grado nell’alveo di talune disposizioni di rango

ultraprimario, conferendo al principio in parola valore costituzionale; si è

ritenuto, infatti, che la clausola aperta del catalogo di diritti inviolabili dell’art. 2

47

Da C. Cost., 22-6-1963, n.110 in Giustizia Costituzionale, 1963, 875 fino a C.Cost. (ord.) 4-7-2002, n.

316 48

T. PADOVANI, op. cit. 49

L. COMOGLIO, op. cit., per il testo dell’art. 3 del progetto di revisione cfr. nota 37. 50

Così il testo della Relazione: «La legge delega non si è posta neppure, in maniera consistente il

problema dell’opportunità politica di mantenere il generale criterio dell’appellabilità delle decisioni,

anche se è stato talvolta ricordato che alla stregua della costante interpretazione della Corte

Costituzionale, il principio del doppio grado di giudizio … può ritenersi soddisfatto mediante la sola

previsione del ricorso per Cassazione, dettata dall’art. Cost.”, escludendo un’autonoma rilevanza

costituzionale dell’appello.» 51

Si vedano: A. DE CARO, Filosofia della riforma e doppio grado di giurisdizione di merito, in A. GAITO

(a cura di) La nuova disciplina delle impugnazioni dopo la legge Pecorella, Utet, 2006; G. L. VERRINA,

Doppio grado di giurisdizione, convenzioni internazionali e costituzione, in A. GAITO (a cura di), Le

impugnazioni panali, Utet, 1998; CERESA-GASTALDO, I limiti dell’appellabilità delle sentenze di

proscioglimento: discutibili giustificazioni e gravi problemi di costituzionalità, in Cassazione Penale,

2007, n. 277.

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Cost. potesse ricomprendere il diritto ad una “sentenza giusta”, cardine

indiscutibile della giurisdizione: tra le declinazioni di questo principio, rientra di

conseguenza il diritto al controllo della decisione, attività capace di rimuovere

quegli errori nella ricostruzione del fatto o nell’applicazione del diritto compiuti

dal giudice, che possono minarne la giustizia della decisione52

. Anche il diritto di

difesa all’art. 24 comma 2 Cost. è stato invocato per assegnare all’appello il ruolo

di insopprimibile garanzia difensiva53

, senza la quale verrebbe irrimediabilmente

minato tale principio: difatti, il diritto di ottenere la modifica della decisione

tramite la censura rientra nella latitudine dell’art. 24 Cost., che racchiude e

protegge tutte le situazioni soggettive dell’imputato e le esigenze che ne

derivano54

. Taluni autori, hanno inoltre sottolineato l’importanza del legame

esistente tra sistema delle impugnazioni e presunzione di non colpevolezza

dell’art. 27 comma 2 Cost.55

: tale presunzione rappresenta il necessario ed

«insopprimibile» contrappeso alla «presunzione di liceità e correttezza»

dell’operato dell’organo di pubblica accusa, che trova nell’esercizio dell’azione

penale un vero e proprio obbligo. La verifica, in sede di impugnazione, della

correttezza di una decisione premette di accertare il «logico e reale superamento

dell’opposizione dialettica tra accusa e difesa», sincerandosi cos che il giudice

abbia deciso senza alcun pregiudizio e che la presunzione d’innocenza, quale

requisito indefettibile del processo penale, sia stata pienamente rispettata56

.

L’osservanza della presunzione di non colpevolezza, dunque, implica il

riconoscimento di un doppio grado di giudizio, e viceversa57

. Si è inoltre

considerato che dall’obbligo di motivazione previsto dall’art. comma 6 Cost.

52

A. DE CARO, Filosofia della riforma e doppio grado di giurisdizione di merito, op. cit., p. 11 ss. 53

G. SPANGHER, Il doppio grado di giurisdizione, op. cit., notando nel diritto di difesa la norma che

legittima l’appello dell’imputato. 54

A. DE CARO, op. cit., p. 11 ss. 55

M. L. DI BITONTO, Effettività della presunzione d’innocenza e sistema delle impugnazioni, op. cit. 56

M. L. DI BITONTO, op. cit. 57

M. L. DI BITONTO, op. cit. smentisce l’opinione di chi riteneva sacrificabile la presunzione d’innocenza

nel giudizio d’impugnazione. Infatti, prevedere un secondo grado di giudizio in cui non fosse rispettata la

presunzione d’innocenza, realizzerebbe una mortificazione del giudizio stesso: sarebbe paradossale

escludere l’applicazione dell’art. 27 comma 2 Cost. proprio nel giudizio che, tra le altre cose, deve

accertare l’osservanza della presunzione di non colpevolezza durante il primo grado di giudizio. Esiste

dunque un «nesso di necessaria e reciproca dipendenza che lega la presunzione di innocenza con il

sistema delle impugnazioni».

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discendesse la controllabilità del percorso logico giuridico che ha orientato la

determinazione conclusiva dell’organo giudicante, legittimando sempre la

ricorribilità in appello58

. Tuttavia, la giurisprudenza della Corte Costituzionale

sembra avere escluso puntualmente l’esistenza di una garanzia oggettiva

dell’appello derivante dall’art. 24 Cost., ritenendo che la tutela del diritto di

difesa in ogni stato e grado del procedimento non fosse sufficientemente

garantita in caso di soppressione di un grado del processo: infatti, secondo la

Corte il legislatore non è tenuto a prevedere un doppio grado di giurisdizione,

potendo sopprimere l’appello senza che la disposizione sia viziata da illegittimità

costituzionale.59

Ad arricchire il quadro normativo, si inseriscono la previsione

contenuta all’art. 2 del VII Protocollo della Convenzione Europea per la

salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali60

. Tale norma

riconosce all’individuo condannato da un’autorità giudiziaria il diritto di far

riesaminare la decisione da un’autorità di giurisdizione superiore, secondo le

modalità stabilite dalla legge; la norma elenca inoltre una serie di eccezioni al

suddetto principio (condanna per reati minori, condanna emessa dal giudice di

rango più elevato), tra cui ha particolare rilievo l’ipotesi di condanna a seguito di

ricorso avverso una sentenza di proscioglimento: in questo caso il condannato

non ha diritto ad un ulteriore grado di merito. Una certa letteratura ha visto in

questa previsione eccezionale il chiaro riferimento dell’ art. 2 VII Protocollo

58

A. DE CARO, op. cit., p. 14: L’ambito razionale della valutazione del giudice, esplicitato proprio

dall’obbligo di motivazione del provvedimento giurisdizionale, si coniuga inscindibilmente all’idea di

controllo in una progressione garantista che si sviluppa secondo scansioni precise: il metodo di

formazione del dato da valutare (il contraddittorio) e la partecipazione dialettica (ugualmente espressa dal

contraddittorio), la valutazione legale (relativa ai soli dati legittimamente acquisiti) e razionale (cioè

motivata) dei dati probatori informata al principio del libero convincimento del giudice, il controllo della

decisione. L’ultimo tassello della richiamata progressione costituisce un importante referente dell’intera

dinamica in quanto consente di rimuovere l’errore nella ricostruzione del fatto … » 59

A. A. DALIA, Il doppio grado di giurisdizione ed il ruolo delle parti nel processo penale, in G. CONSO

(a cura di), Il diritto processuale penale nella giurisprudenza costituzionale, ESI, 2006, pagg.900-901 che

riporta le pronunce in materia della Consulta: Corte Cost. 1981 n. 62; Corte Cost. 26-29/3/1984 n.78;

Corte Cost. 14-26/1/1988 n.80; Corte Cost. 16-23/12/1994 n.438 60

L’articolo è entrato in vigore il 1º novembre 1988 con la rubrica “Diritto ad un doppio grado di giudizio

in materia penale” ed è ricollegato all’art. 4 comma 5 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici,

adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 66 e recepito in Italia con la Legge n.

881/1977.

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C.E.D.U. ad un controllo di merito della decisione61

; di contro, la Corte

Costituzionale ha ritenuto che tale previsione di matrice europea non legittimi

l’interpretazione secondo cui il diritto al doppio grado debba coincidere con il

diritto ad un altro giudizio di merito, e pertanto l’ordinamento può assolvere a

tale principio anche solo tramite il ricorso in Cassazione, che è un giudizio di

legittimità62

. Peraltro, il Patto Internazionale sui diritti civili e politici del 1966

prevede la stessa garanzia, approntandone un rispetto più rigoroso e

onnicomprensivo, vista l’assenza delle eccezioni inerenti la minore gravità del

reato e l’esclusione della garanzia in caso di condanna pronunciata direttamente

in appello. Alcuni autori avevano parlato, relativamente a quest’ultima ipotesi, di

vera e propria iniquità dell’art. 2 VII Protocollo aggiuntivo C.E.D.U.,

sottraendosi la seconda pronuncia (di condanna), nei casi di travisamento del

fatto o di omessa valutazione di controprova, anche ad un sindacato di

legittimità: questi due vizi, infatti, con un'accorta motivazione potevano essere

agevolmente sottratti al vaglio della Cassazione63

. Sin dalla rubrica di queste

norme internazionali, si palesa la declinazione soggettiva della garanzia del

doppio grado, nell’ottica esclusiva del soggetto imputato: quello al doppio grado

di merito è un diritto del condannato ad impugnare la sentenza di condanna. La

conformazione soggettiva del doppio grado è propria di un principio che è per

definizione rimesso ad una scelta di ogni parte e, dunque, dispositivo. Sebbene,

infatti, in dottrina il dibattito sulla copertura costituzionale oggettiva, ancorché

61

T. PADOVANI, op. cit. secondo cui «se la garanzia non opera quando la condanna sia seguita ad un «

ricorso contro il proscioglimento dell'imputato», è evidente che si ipotizza una condanna in grado di

appello; ciò che autorizza allora a ritenere che la regola assuma una portata congruente rispetto

all'eccezione, e riguardi per l'appunto il doppio grado di merito». 62

C. Cost. 30/7/1997 n. 288, in in www.cortecostituzionale.it . 63

T. PADOVANI, op. cit.; P. FERRUA, Studi sul processo penale, vol. II, Anamorfosi del processo

accusatorio, Utet, 1992, p. 151 s. Questa argomentazione è oggi superata alla luce dell’ art. 8 della legge

2 febbraio 2 6 n. 46, che ha modificato l’art. 6 6 comma lett. e c. p. p., sancendo la ricorribilità in

Cassazione del provvedimento per «mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione,

quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo

specificamente indicati nei motivi di gravame». Con l’eliminazione della regola preclusiva dell’esame

degli atti processuali la norma permette di vagliare la conformità allo specifico atto del processo,

rilevante e decisivo, della rappresentazione che di esso fornisce la motivazione del provvedimento

impugnato; così si supera il rischio che la “prova omessa o travisata, rilevante e decisiva” non venga

sindacata in sede di ricorso innanzi alla Suprema Corte.

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mediata e indiretta, del suddetto principio non trovi una soluzione univoca64

,

risulta più proficuo analizzare il doppio grado non in veste di garanzia

impersonale, ma come rimedio offerto alle parti, cioè pubblico ministero ed

imputato65

. Sia la dottrina che la giurisprudenza sembrano dunque incerte sul

valore da attribuire al principio del doppio grado di giurisdizione, sebbene il

problema nella realtà normativa sia temperato dalla costante previsione nel

nostro ordinamento del giudizio d’appello, che non è mai stato realmente messo

in discussione. La stessa Corte Costituzionale, pur negando costantemente la sua

rilevanza costituzionale, è intervenuta per ravvisare e correggere nella disciplina

predisposta dal legislatore in materia di appello, aberrazioni del principio di

inviolabilità del diritto di difesa dell’imputato (art. 24 comma 2 Cost.), anche alla

luce dell’intervento in materia da parte delle Convenzioni internazionali. Ne è un

esempio la pronuncia di illegittimità costituzionale in materia di appellabilità

delle sentenze di condanna pronunciate in giudizio abbreviato: la Corte ha

escluso che potesse negarsi l’appello per quei soggetti condannati col rito

speciale, anche laddove la condanna fosse destinata a non essere eseguita66

. La

Consulta evidenzia come la norma censurata ponesse una distinzione

ingiustificata tra i soggetti imputati sulla base del procedimento adottato per

giudicare tali soggetti, esponendo ad una effettiva compressione l’ineludibile

garanzia del diritto di difesa, propria di ogni imputato: al contrario, non sono

previste per la pubblica accusa garanzie della medesime intensità, rientrando nel

diritto all’impugnazione, infatti, l’aspirazione al riconoscimento della completa

innocenza, che rappresenta l’ultimo e vero oggetto del diritto di difesa67

.

L’appello del pubblico ministero, invece, è stato oggetto di un vivace dibattito in

seno alla Corte Costituzionale, relativamente alla sua natura: dopo una serie di

64

Per una dottrina contraria al riconoscimento costituzionale del doppio grado di giurisdizione si vedano:

M. CHIAVARIO, Processo e garanzie della persona, II, in Le garanzie fondamentali, Giuffrè, 1984; P.

FERRUA, Appello, II) Diritto processuale penale, in Enciclopedia giuridica, II, Roma, 1988; G.

SPANGHER, Il doppio grado di giurisdizione, op. cit.; per quest’ultimo l’assenza della previsione

costituzionale consente anche di evitare che per ogni provvedimento giurisdizionale, a prescindere dal

tipo di decisione e dalla pena, sia previsto un appello obbligatorio. 65 T. PADOVANI, op. cit. 66

Corte Cost. n. 363/1991, in www.cortecostituzionale.it . 67

T. PADOVANI, op. cit.

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pronunce contrastanti, la Corte ha escluso che l’appello della parte pubblica

rientrasse nell’alveo dell’art. 2 Cost., quindi nell’inviolabilità del principio di

obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale. Il dibattito trae origine dalla

previsione nel codice previgente dell’appello incidentale del solo pubblico

ministero, volto a limitare l’abuso del divieto di reformatio in peius. La Corte

inizialmente dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’appello incidentale

dell’organo d’accusa, riscontrando la violazione dell’art. 2 Cost.68

: il principio

di obbligatorietà nell’esercizio dell’azione penale non poteva tollerare

l’atteggiamento contraddittorio del pubblico ministero, che prima lasciava

decorrere il termine per appellare in via principale e poi impugnava in via

incidentale. Tale orientamento fu successivamente disatteso dalla stessa Corte69

:

il giudice delle leggi giunse alla conclusione che l’impugnazione dell’organo

d’accusa, per le sue caratteristiche, non avesse i caratteri di doverosità propri

dell’art. 2 Cost.; la previsione, tra gli altri, di istituti come l’acquiescenza e la

rinuncia all’impugnazione rimarcano, infatti, una “disponibilità”

dell’impugnazione che ne esclude la riconducibilità al principio di obbligatorietà

di esercizio dell’azione penale. Sebbene la pronuncia della Corte non abbia

lasciato dubbi in merito, alcuni autori non condividono questa “privatizzazione”

dell’attività del pubblico ministero in sede di impugnazione70: l’argomentazione

non convince, soprattutto se la conclusione è quella di ritenere perduto dopo il

primo grado il carattere di obbligatorietà dell’azione, nonostante l’esercizio della

stessa non si estingua al termine del primo grado di giudizio. Sulla base di questa

tesi dottrinaria, la discrezionalità del pubblico ministero si eserciterebbe

nell’accertamento, di volta in volta, dell’esistenza dei presupposti di merito, in

presenza dei quali vige comunque l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione: ciò

è valido sia per la richiesta di archiviazione che per la proponibilità dell’appello.

Inoltre, la sentenza n. 280/1995 adduce a sostegno della propria tesi un ulteriore

rilievo: il potere d’appello spetta anche al procuratore generale presso la Corte

68

Corte Cost. n.177/1971, in www.cortecostituzionale.it. 69

Corte Cost. n. 280/1995, in www.cortecostituzionale.it. 70

M. CERESA-GASTALDO, Il secondo grado di giudizio: ambiti e limiti, op. cit., p. 242 ss.

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d’appello, che non ha il potere di esercizio dell’azione penale. Può considerarsi

altra argomentazione decisiva ai fini dell’esclusione dell’impugnazione dalla

copertura dell’art. 112 Cost.? Una certa dottrina non ritiene tale rilievo

determinante, «poiché il procuratore generale agisce quale massima autorità del

pubblico ministero nell'ambito del distretto di corte d'appello e nell'esplicazione

dei suoi poteri di controllo» e, dunque, il suo potere d’appello si giustifica

esclusivamente con l’esercizio del controllo demandatogli71

. Per concludere, il

doppio grado di merito non è una garanzia obiettiva: gli accordi internazionali e

la tutela mediata dell’art. 24 comma 2 Cost. ne sanciscono il fondamento e

affermano l’esistenza di un diritto dell’imputato al “doppio grado di giurisdizione

nel merito” ; al contrario, la posizione del p.m. è più incerta: l’appello della parte

pubblica è sicuramente previsto dalla legge- almeno fino alla riforma del 2006,

ma rimane in dubbio la sua copertura costituzionale.

71

F. NUZZO, De profundis per l’appello del pubblico ministero contro le sentenze di assoluzione?, in

Cassazione Penale, 2004(10), p. 3910 ss.

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§4. Profili critici dell’appello disciplinato dal nuovo codice di procedura

penale.

È dato incontrovertibile che il processo d’appello non sia mai stato messo

seriamente in discussione dal legislatore penale, in tutte le versioni del codice di

rito: pur in assenza di una garanzia costituzionale espressa, l’esigenza politica e

sociale di un grado di giudizio a cui ricorrere per rivedere un provvedimento72

sembra essere insuperabile per il nostro ordinamento, alla stregua di «qualcosa

che si percepisce come legato alla democrazia»73

. Eppure, riflettendo sul

fondamento logico razionale del secondo grado di merito e delle sue variabili

contenutistiche (devoluzione parziale e divieto di reformatio in peius) risulta

difficile dare pieno credito all’idea che due decisioni siano meglio di una sola,

visto che se queste fossero conformi la seconda sarebbe inutile; mentre in caso di

difformità, non si vede perché dovrebbe prevalere la seconda. A conforto

dell’idea per cui la decisione del secondo giudice sia migliore di quella emessa

dal primo si potrebbe sostenere che riesaminare è più agevole di valutare, oppure

che la collegialità dell’organo di secondo grado offra maggiori garanzie; tuttavia

è vero però che sono appellabili anche le decisioni delle Corti d’assise, anzi

proprio queste riguardano reati di particolare gravità (al contrario dei giudici

monocratici, cui sono demandati reati minori), che abbisognano maggiormente di

un altro grado di giudizio. In ultimo, si rileva come il protrarsi nel tempo del

processo penale, anche a causa dei gradi successivi al primo, metta a repentaglio

il corretto accertamento della verità, riconoscendosi tuttavia che il tempo e

l’efficienza non siano valori assoluti, ma da considerare nel contesto di tutte le

garanzie del processo penale74

.

72

Così D.CHINNICI, op. cit., pag. 1: «La cultura della nostra giurisdizione sembra permeata dalla “legge

della gradualità”, secondo la quale, in estrema sintesi, l’apprensione della conoscenza è possibile solo per

approssimazione graduale.» 73

G. SPANGHER, Il doppio grado di giurisdizione, op. cit., dove aggiunge «Il processo penale di un paese

è inevitabilmente specchio della sua società.» Nella stessa richiama la tesi di Elia, che vede nel doppio

grado una traslazione in ambito giudiziario della doppia lettura dei disegni di legge in seno alle Camere. 74

G. SPANGHER, Il doppio grado di giurisdizione, op. cit., p.114 s..

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Ulteriori considerazioni attengono allo stravolgimento del sistema processuale

derivante dall’eliminazione del grado d’appello: l’approccio delle parti al primo

grado di giudizio sarebbe totalmente differente, sapendo queste di non poter

contare su un altro grado di merito; inoltre, numerosi appelli defluirebbero nel

fiume dei ricorsi in Cassazione, appesantendo l’attività della Suprema Corte e

rischiando di paralizzare le sue precipue funzioni75

. Nonostante il nuovo codice

di procedura penale abbia spostato l’asse processuale verso il sistema

accusatorio, la tradizione italiana e la generale sfiducia, di matrice storico-

politica, dei suoi cittadini nell’istituzione giudiziaria e nella magistratura

impedisce al nostro ordinamento di rinunciare al riesame delle decisioni;

d’altronde, l’ opinione di un illustre giurista come Mortara76

ben descrive questo

radicato sostrato storico-culturale: il giudizio di seconda istanza, non solo penale,

garantisce i cittadini dalla fallibilità dei magistrati e dai loro stessi errori in

qualità di litiganti; per potervi rinunciare, è necessario che l’ordinamento

perfezioni gli istituti processuali (e le istituzioni giudiziarie) a tal punto da

ritenere l’appello irragionevole, dunque superfluo: che fosse di gran lunga

lontana l’idea di abolire l’appello era convincimento già dello stesso Mortara

che, descrivendo i pregi del secondo grado, affermava che l’appello, oltre a

rispondere all’istintivo bisogno dell’uomo di avere un mezzo con cui lamentarsi

delle ingiustizie che si consumano nei suoi confronti, fosse altresì necessitato

dalla fallibilità e fragilità umana: la magistratura può sbagliare o, peggio, essere

corrotta e queste potenziali storture sono connaturate nell’uomo a tal punto da

rendere utopica l’idea di rimuovere l’appello. D’altro canto, egli stesso parlava

dei difetti dell’appello, riferendosi all’assenza di garanzie rispetto ad una

maggiore capacità o virtuosità del giudice di secondo grado, così come

all’impossibilità di assicurare che errore o corruzione non inficino anche

75

G. SPANGHER, Il doppio grado di giurisdizione, op. cit.; R. ORLANDI, Sono davvero troppi tre gradi di

giurisdizione penale?, op. cit., pag. 129, ricordando che le parti escogiterebbero qualsiasi astuzia per

sindacare la quaestio facti in sede di legittimità; M. CERESA-GASTALDO, Il secondo grado di giudizio:

ambiti e limiti, op. cit., p. 233. 76

L. MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, Giuffrè, 1916, richiamato da

R. ORLANDI , op. cit.

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l’operato del giudice di seconda istanza77

. Queste risalenti riflessioni sono ad

oggi decisamente attuali78. Assodata l’irrinunciabilità della seconda istanza, è

altrettanto evidente che vi sia un difetto di coordinamento tra il nuovo Codice e

l’appello del “vecchio” sistema delle impugnazioni del Codice del 3 , da cui

derivano una serie di incongruenze tra il nuovo giudizio di primo grado,

permeato dai principi del “giusto processo” e la precedente architettura del

giudizio d’appello, di matrice inquisitoria. Si è già descritta per grandi linee la

portata dei due sistemi e il cambio di rotta realizzatosi nel processo penale

italiano con l’introduzione del nuovo codice, ma soprattutto con la

costituzionalizzazione dei principi del giusto processo all’art. Cost. - L. cost.

23 Novembre 1999, n. 2 - e con la susseguente legge di attuazione - L. 1 Marzo

2001, n. 63 - . L’abbandono del sistema inquisitorio ha ridotto il rischio di errori

giudiziari che compromettessero gli esiti del primo grado di giudizio79

: con

l’adozione dei principi di oralità, immediatezza e formazione della prova in

contraddittorio, non solo si è escluso che l’attività d’indagine potesse valere

come prova, aumentando le garanzie difensive per l’imputato, ma si è introdotto

un nuovo canone epistemologico oggettivo, atto a fondare la decisione del

giudice. Tuttavia i principi di oralità e immediatezza non trovano riscontro nella

celebrazione del giudizio d’appello: le criticità principali riguardano, infatti, il

rispetto di queste garanzie ed il principio di ragionevole durata del processo. In

che misura può tollerarsi che il giudice del grado successivo, totalmente estraneo

alla formazione del quadro probatorio che ha fondato il convincimento del primo

giudice, possa ex actis decidere della medesima causa ed eventualmente

ribaltarne il verdetto? Si è già evidenziato come l’appello abbia sostanzialmente

natura cartolare e sia un giudizio in cui la rinnovazione dell’istruzione

dibattimentale ha caratteri di eccezionalità- incapacità del giudice di decidere allo

stato degli atti, in caso di richieste di parte; assoluta necessità, in caso di

disposizione d’ufficio- o è legata a prove sopravvenute o scoperte dopo il primo

77

L. MORTARA, Voce Appello civile, in Digesto italiano, Utet, 1898, p. 447 ss. 78

G. CIANI, Il secondo grado di giudizio: ambiti e limiti, op. cit., p. 182. 79

C. NUNZIATA, Durata ed esiti della fase d’appello, op. cit., p. 7.

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grado80

; non sembra coerente che il sistema consenta ad un giudice diverso da

quello che ha assistito all’assunzione della prova, secondo i canoni di oralità e

immediatezza, di ribaltare la decisione sulla base della mera rivalutazione

cartolare: quello che in primo grado è un processo di «ricerca dialogica della

verità», in appello diventa per il giudice un’attività solitaria, affidata

esclusivamente al suo acume81

. Eccezion fatta per le ipotesi del 603 c. p. p., il

secondo grado si configura come critica alla decisione del primo organo

giudicante, dati gli istituti su cui si fonda: la relazione della causa ex 602 comma

1 c.p.p., la trasmissione degli atti del procedimento quali patrimonio di

conoscenze del giudice di secondo grado, passando per la conformazione

dell’esito del processo come conferma o riforma della precedente sentenza82

.

L’appello, dunque, è un controllo della decisione di primo grado e non prevede

generalmente l’assunzione di nuove prove: se il giudice del secondo grado ribalta

la pronuncia del giudizio precedente, ad esempio prosciogliendo un soggetto

condannato in primo grado, potrà parlarsi di decisione presa in un processo

regolato dal principio del «contraddittorio nella formazione della prova»? Pur

ammettendo che in primo grado la prova sia stata assunta nel rispetto del predetto

principio, può dirsi allo stesso modo rispettato se il secondo giudice capovolge la

ricostruzione e quindi l’esito del processo? Ecco palesarsi la discrasia. Una certa

dottrina ha sottolineato come questa critica non tenga conto dell’importanza,

rispetto alla valutazione probatoria, che assume il momento di

persuasione/confutazione: tramite anche una semplice rivalutazione ex actis del

fatto, il secondo giudice può giungere ad una ricostruzione opposta a quella

espressa nella motivazione della pronuncia di primo grado, ma comunque

corretta e convincente83. Secondo questa tesi l’appello funge da critica alla

valutazione del quadro probatorio precedentemente formata: le parti si

80

Per completezza si veda il paragrafo §2. 81

G. CIANI, Il secondo grado di giudizio: ambiti e limiti, op. cit., p.185, richiamando tra gli altri T.

PADOVANI, op. cit. 82

F. PERONI, Giusto processo e doppio grado di giurisdizione nel merito, in Rivista di diritto processuale,

n.3, Cedam, 2001, p.725. 83

D. SIRACUSANO, Ragionevole durata del processo e giudizi d’impugnazione, Rivista italiana di diritto

processuale penale, 2006, p. 18.

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confronteranno sul terreno della persuasione/confutazione, ad armi pari; il

contraddittorio non opera sul quadro probatorio, ma sul controllo dello stesso. Il

punctum dolens riguarda però sempre l’ipotesi di difformità della sentenza di

primo grado da quella d’appello: su quale fondamento il giudice di seconde cure

ha adottato parametri di persuasione migliori di quello di primo grado84? D’altro

canto, tale spiegazione non è sufficiente: si è accennato in precedenza come il

contraddittorio sia caratterizzato dalla duplice natura di garanzia individuale

soggettiva e canone epistemologico obiettivo; l’affermazione di entrambi si

realizza esclusivamente col rispetto dei principi di oralità e immediatezza, e

dunque se le parti possono «intervenire, contrastare e discutere ogni fase del

procedimento di acquisizione probatoria di fronte allo stesso giudice per il quale

il contraddittorio diviene metodo esclusivo di conoscenza della vicenda

processuale e fonte degli elementi di giudizio».85

A questo metodo di conoscenza

si contrappone la rilettura degli atti in appello, a partire dalla relazione della

causa, che svilisce il ruolo delle parti processuali, le quali già conoscono gli atti

della causa- e dunque non necessitano di questa per esserne informati- né hanno

modo di censurare eventuali vizi della stessa, data l’assenza di parametri di

riferimento su questa attività di relazione; per il giudice di secondo grado questo

è invece il momento della conoscenza della causa, anche solo tramite l’ascolto.

La critica di taluni autori all’appello, divenuto mero esercizio retorico, appare

piuttosto fondata: giudici impossibilitati (o svogliati) a leggere l’ingente mole di

atti, estranei alla formazione della prova e parti con le “mani legate”86

. Che i

predetti principi e l’appello siano in contrasto è evidente: il problema, però, non è

84

G. CIANI, Il secondo grado di giudizio: ambiti e limiti, op. cit., p.188. 85

T. PADOVANI, op. cit. che, citando F. Peroni afferma: « … sarà bene ricordare che il principio del

contraddittorio si atteggia, ad un tempo, come garanzia individuale soggettiva e come canone

epistemologico obiettivo. Per il primo aspetto, il contraddittorio implica l'iniziativa probatoria delle parti,

la loro attivazione nella fase di assunzione della prova, il loro intervento nella valutazione critica del

risultato raggiunto. Il secondo aspetto postula la contestualità tra acquisizione dei dati di conoscenza e

organo della decisione; acquisizione che a sua volta esige modalità conformi a schemi di oralità-

immediatezza.» 86

F. COPPI, No all'appello del PM dopo la sentenza di assoluzione, in Il giusto processo, 2003 (5), p. 6 s.

che chiosa sul tema «Coloro che hanno l'esperienza di avvocati hanno vissuto la tristezza di giudizi,

specialmente avanti le corti di assise d'appello, nelle quali alcuni dei giudici apparivano convitati di pietra

poco o punto interessati alle discussioni che si svolgevano nelle aule».

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stato, negli anni, tanto quello di introdurre il contraddittorio nel grado d’appello,

ma stabilire quale spazio riconoscere al grado d’appello nel nuovo processo

penale fondato sul principio del contraddittorio87

. A questo primo ordine di

incongruenze si assommano quelle relative al rapporto tra giudizio di secondo

grado e ragionevole durata del processo; quest’ultimo principio è anch’esso

garantito dall’articolo Cost. ed è stato oggetto di un acceso dibattito in

dottrina, rispetto alla sua configurabilità come garanzia oggettiva o soggettiva,

col portato di conseguenze che ne discendono. La formulazione generica della

norma- «La legge ne assicura la ragionevole durata», riferendosi ovviamente al

processo- non ha impedito di riconoscere al principio una forte valenza

sistematica, ritenendo la ragionevole durata una garanzia oggettiva, un vero e

proprio connotato strutturale del processo, attraverso cui l’ordinamento persegue

le esigenze di economia ed efficienza88

. Parte della dottrina ha ravvisato nella

scelta del legislatore di discostarsi dalla prospettiva assunta nella C. E. D. U., ove

è invece sancito il diritto ad essere giudicati in un tempo ragionevole, la volontà

di intendere la ragionevole durata come principio che stabilisse in maniera

oggettiva un equilibrio tra garanzie ed efficienza del processo penale89

. Con la

87

F. PERONI, op. cit., pag. 722. 88

Così G. CIANI, Il secondo grado di giudizio: ambiti e limiti, op. cit., p. 190, che richiama F. PERONI,

op. cit., e aggiunge: «Un processo è efficiente quando raggiunge in tempi ragionevoli il suo scopo

istituzionale: accertare i fatti e le connesse eventuali responsabilità … ; e ciò sia per addivenire al più

presto alla condanna del colpevole e dunque alla sua punizione, sia per soddisfare l’esigenza del corpo

sociale di conoscere la verità e ripristinare il diritto; ripristino che può consistere anche nella liberazione

di dell’innocente da un’accusa che genera sofferenza e discredito.» 89

V. GREVI, Il principio della ragionevole durata come garanzia oggettiva del giusto processo, in

Cassazione Penale, n.10, 2003, p. 4204 in cui sconfessa la tesi di E. AMODIO, La procedura penale dal

rito inquisitorio al giusto processo, ivi, 2 3, p. 4 , secondo cui l’abbandono del sistema inquisitorio e

l’approdo a quello accusatorio impedivano la formazione di garanzie oggettive e per tale ordine di ragioni

la ragionevole durata dovesse essere considerata soggettivamente, nell’ottica dell’imputato.

L’autore, a tal proposito, ricorda che non sembra potersi dubitare che i valori del «contraddittorio tra le

parti», delle «condizioni di parità», della presenza di un «giudice terzo e imparziale» nonché, infine, della

«ragionevole durata» del processo corrispondano ad altrettante «garanzie oggettive» del «giusto

processo», logicamente antecedenti e strutturalmente autonome- sul piano del sistema- rispetto alle

«garanzie soggettive» che ad esse dovessero in vario modo raccordarsi, sia nello stesso contesto

costituzionale, sia nel tessuto codicistico. Sicché, alla luce di questo innegabile dato normativo, suona

davvero sorprendente che si possa ritenere «erronea» la qualificazione del principio della «ragionevole

durata» del processo come garanzia oggettiva.», spiegando come non sempre la previsione di matrice

illuministica, di determinate garanzie come diritti fondamentali sia la scelta di sistema più indicata.

Infatti, «è difficile negare che la tutela di determinati valori, considerati imprescindibili nella struttura del

«giusto processo», possa venire meglio assicurata attraverso una previsione normativa che, enunciandoli

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ragionevole durata non si riducono le garanzie processuali della parte

giustamente approntate, ma si potrebbe eliminare dall’ordinamento quell’abuso

di diritti che estendono tali garanzie oltre i limiti costituzionali, tramite

l’adozione di condotte puramente dilatorie. Il giudizio d’appello incide in

maniera determinante sulla durata della vicenda processuale - circa un terzo

dell’intero procedimento - ed è, perciò, considerato uno dei grandi ostacoli al

rispetto del principio di ragionevole durata; tuttavia si respinge con forza, anche

per via delle considerazioni socio-politiche già svolte, l’idea che il perseguimento

del predetto principio debba necessariamente condurre ad una soppressione

dell’appello: questo, ritenendosi possa rientrare nella tutela del diritto di difesa ex

art. 24 Cost.90

, non sarà soverchiato dalle esigenze di economia ed efficienza

processuale e, pur negandone la copertura costituzionale, il secondo grado di

merito non è necessariamente refrattario alla ragionevole durata, stante il suo

valore pratico e la sua opportunità politica nell’ordinamento italiano91

. Il nodo

gordiano della questione sembra dunque essere la conformazione del giudizio

d’appello che, risalente al sistema processuale inquisitorio, prevede una serie di

garanzie e scansioni procedimentali ormai inutili, data la struttura del nuovo

dibattimento. L’irrazionalità del sistema è palese, visto che il codice prevede due

sistemi di garanzie- quello del primo grado e quello in grado d’appello- proprie

di due modelli processuali diversi che, assieme alla previsione insensata di alcuni

termini, appesantiscono le tempistiche processuali. L’appello, dunque, non può

essere «un valore assoluto, ma da modulare nel tempo e con il tempo»92

stando

al passo coi mutamenti della realtà giudiziaria e rispettando la ragionevole durata

senza intaccare le garanzie, ma evitando che esso diventi un vuoto strumento per

rituali inutili.93

in termini di canoni generali di corretto esercizio della giurisdizione penale, li renda impermeabili ad

eventuali interferenze riconducibili ai poteri dispositivi delle parti.» 90

Per completezza si veda il paragrafo §3. 91

R. ORLANDI, Sono davvero troppi tre gradi di giurisdizione penale?, op. cit. 92

A. MITTONE, Il secondo grado di giudizio: ambiti e limiti, op. cit., p. 210. 93

A. MITTONE, op. cit., p. 210.

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§5. L’appellabilità della sentenza di proscioglimento.

Alla luce dell’analisi finora svolta, il giudizio d’appello è stato al centro di

numerose polemiche sin dall’entrata in vigore del nuovo codice, acuitesi con la

riforma costituzionale del 1999 e le susseguenti leggi di attuazione. Sebbene il

secondo grado di giudizio sia ritenuto intoccabile, non solo la dottrina, ma anche

la giurisprudenza94

ha avanzato negli anni istanze riformatrici volte a temperare

le irrazionalità e le discrasie precedentemente denunciate; tra queste idee di

riforma, di cui alcune ancora molto attuali, è diventato legge il progetto teso a

riformare, tra le altre disposizioni, l’art. 5 3 del codice di rito, rubricato Casi di

appello»: la Legge 2 febbraio 2 6, n.46 ha modificato l’appellabilità oggettiva

delle sentenze di primo grado, escludendo, o meglio fortemente limitando,

l’appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento.

Riservando ai prossimi capitoli la trattazione della legge di riforma 46/2006 e

della sua parziale incostituzionalità, è il momento di focalizzare l’attenzione sul

contenuto ante riforma della norma succitata.

Nel sistema previgente alla riforma del 2006, il codice di rito sanciva la generale

appellabilità da parte di imputato e pubblico ministero delle sentenze emesse dal

giudice di primo grado, siano queste di proscioglimento o di condanna, con unico

limite l’esistenza dell’interesse ad impugnare .

Più specificamente, l’imputato poteva proporre appello contro tutte le sentenze di

condanna e di proscioglimento, con l’esclusione di quelle che prosciolgono

attraverso le formule ampiamente liberatorie, come sono quelle «perché il fatto

non sussiste» o «non aver commesso il fatto» (art. abr. 593 comma 2 c. p. p.); a

dire il vero, questa disposizione sembra sancire un divieto superfluo, vista in ogni

caso l’assenza di interesse ad impugnare tale sentenza da parte dell’imputato.

Fanno eccezione rispetto a tale previsione le sentenze di condanna relative a

contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda e quelle di

94

Cass. Sez. Un., 30 Ottobre 2003, n. 20, Andreotti, in Cassazione Penale, 2004 p. 838, con nota di D.

CARCANO, Brevi note sulle regole che governano il processo penale, di cui seguirà un’analisi più

approfondita nel capitolo terzo.

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proscioglimento o non luogo a procedere relative a contravvenzioni punite con la

sola ammenda o con pena alternativa (art. abr. 593 comma c. p. p.).

La posizione del pubblico ministero era pressoché speculare a quella

dell’imputato: la pubblica accusa poteva appellare indistintamente le sentenze di

condanna e di proscioglimento, fatta eccezione per le sentenze emesse all’esito di

giudizio abbreviato (art. 443 c. p. p.), quelle di applicazione della pena su

richiesta delle parti in esito a dibattimento (art. 448 comma 2 c. p. p.) e quelle di

proscioglimento predibattimentale (art. 469 c. p. p.). Inoltre, anche alla pubblica

accusa si applica l’eccezione prevista dall’art. abr. 5 3 comma 3 del codice di

rito.

L’inappellabilità, dunque, riguardava vari tipi di pronunce: sentenze di

proscioglimento o non luogo a procedere, nel caso di contravvenzioni punite con

la sola ammenda o pena alternativa per ambo le parti; sentenze di

proscioglimento con formule ampiamente liberatorie, per il solo imputato;

sentenza di condanna per contravvenzioni punite con la sola ammenda sia per

imputato che per pubblico ministero; sentenze predibattimentali per entrambe le

parti. A queste previsioni si aggiungevano i casi di inappellabilità di sentenze

conclusive dei riti speciali: era inappellabile la sentenza di proscioglimento,

conclusiva di rito abbreviato, con appello proposto solo per ottenere una formula

più favorevole; era inappellabile anche la sentenza di condanna al termine del rito

abbreviato- escluso il caso di sentenza modificativa del titolo di reato, appellabile

per il p.m. ex art 443 c. p. p.; in ultimo, era inappellabile la sentenza di

patteggiamento, salvo il caso di dissenso espresso dalla parte pubblica95

.

L’art. 5 3 c. p. p. abr. prevedeva cos una più o meno indiscriminata appellabilità

delle sentenze da parte di entrambi i principali attori del processo penale; se non

si è mai messa in discussione questa prerogativa rispetto all’imputato, la generale

facoltà di appellare tutte le sentenze in capo al pubblico ministero è stata oggetto

95

V. MAFFEO, Appello, in AA. Vv., Digesto delle discipline penalistiche, UTET, 1987.

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43

di critiche da parte di svariati autori96

. In particolare, vista la nuova struttura del

primo grado e l’insieme di garanzie approntate, si contestava l’opportunità e la

fondatezza costituzionale dell’appello del pubblico ministero avverso le sentenze

di proscioglimento: difatti, se un individuo è stato prosciolto in primo grado- nel

rispetto dei principi di contraddittorio, oralità, immediatezza- può il giudice

dell’appello ribaltarne l’esito, in assenza delle predette garanzie e solo sulla base

di una diversa ricostruzione ex actis del fatto? E ancora, è ammissibile la

menomazione del controllo nel merito della decisione da parte dell’imputato che,

condannato direttamente in appello, potrà esclusivamente ricorrere in

Cassazione, quindi palesare solo vizi di legittimità?

Relativamente a tali quesiti pareva lecito dubitare della costituzionalità

dell’appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento, per

contrasto con l’art. 24 Cost. e l’art. comma 4 Cost97

.

Una certa dottrina parlava di «amputazione del diritto di difesa»98

dell’imputato

nel caso di appello della sentenza di proscioglimento- ad esempio, perché il fatto

non sussiste o perch l’imputato non l’ha commesso- da parte del pubblico

ministero: era costui infatti a stabilire i limiti della devoluzione, essendo preclusa

all’imputato, da un lato, la riproposizione di questioni di nullità e competenza già

sollevate e respinte in primo grado99; dall’altro, l’imputato è impossibilitato a

96

Si vedano G. SPANGHER, Il doppio grado di giurisdizione, op. cit.; F. COPPI, No all'appello del PM

dopo la sentenza di assoluzione, in Il giusto processo, 2003 (5); T. PADOVANI, op. cit., F. NUZZO, De

profundis per l’appello del pubblico ministero contro le sentenze di assoluzione?, in Cassazione Penale,

2004(10), p. 3910 ss.; F. STELLA, Sul divieto per il pubblico ministero di proporre appello contro le

sentenze di assoluzione, in Cassazione Penale, 2004, p. 756. 97

La copertura costituzionale dell’appello del pubblico ministero in riferimento all’art. 2 Cost. era già

stata esclusa dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 280/1995, cfr. §3. 98

T. PADOVANI, op. cit. 99

Ancora T. PADOVANI, op. cit., secondo cui «Rispetto alle questioni di nullità e di competenza, l'imputato

può tuttavia - si obietterà - riproporle come questioni preliminari in grado di appello: l'art. 598 c.p.p.

estende infatti al giudizio di appello le norme sul giudizio di primo grado … . In questo modo, tuttavia,

l'imputato è messo di fronte alla tipica alternativa del diavolo (che - com'è noto - non ha esito diverso

dalla dannazione). Eccependo la nullità (ad es. del decreto che dispone il giudizio) o l'incompetenza (ad

es. per territorio), egli corre l'alea di vedere travolto « preliminarmente » il giudizio di primo grado che si

è pur concluso con il pieno riconoscimento della sua incolpevolezza. Rinunciando a far valere nullità o

incompetenza, egli abbandona per sempre l'eccezione, e corre l'alea del giudizio di appello che potrà

travolgere il giudizio assolutorio di primo grado e infliggergli una pesante condanna. In buona sostanza,

l'imputato deve scegliere se rinunciare al procedimento corretto, e puntare le sue risorse sulla difesa della

sentenza di primo grado; o se invocare l'osservanza delle regole processuali, affossando la pronuncia che

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chiedere nuovamente l’ammissione, già negata in primo grado, di prove a

discarico ulteriori e diverse da quelle che già rientrano nelle carte processuali.

L’imputato è limitato dalla devoluzione imposta dal pubblico ministero e,

rispetto al quadro probatorio, deve sperare che il giudice ritenga sussistente

quella “assoluta necessità” (art. 6 3 comma 3c. p. p.) cos da ordinare ex officio

l’istruzione probatoria in appello: si contestava quest'aberrazione del diritto di

difesa in ogni stato e grado del procedimento, anche alla luce della natura di

diritto potestativo riconosciuta all’appello del pubblico ministero.

Se, dunque, la celebrazione del secondo grado non avviene con l’assunzione

delle prove nel rispetto del contraddittorio, l’ipotesi di appello dell’imputato

rientra tra le generali eccezioni al medesimo principio, individuate dal 5 comma-

consenso dell’imputato, accertata impossibilità di natura oggettiva, provata

condotta illecita: l’imputato acconsente ad escludere in appello il contraddittorio

nella formazione della prova- come avviene per il giudizio abbreviato- ed è

ulteriormente garantito dal divieto di reformatio in peius, essendo lui

l’appellante.

Al contrario, se appellante era il pubblico ministero, la cui impugnazione ha di

regola come fine proprio la reformatio in peius, la garanzia dell’art. comma

4 e 5 Cost. è vanificata; se l’appello di una sentenza di proscioglimento

conduceva ad una pronuncia di condanna, l’imputato poteva esclusivamente

ricorrere in Cassazione, rischiando, perlomeno prima della riforma del 2006, che

una solida motivazione in secondo grado impedisse comunque la censura dei vizi

nella ricostruzione del fatto o in materia di prove richieste e non ammesse100

.

lo ha assolto. Difendersi nel rito o difendersi nel merito: occorre operare - piaccia o non piaccia

(senz'altro non piace) - una selezione drastica e definitiva delle difese possibili e giuridicamente fondate». 100

F. NUZZO, op. cit., è dello stesso avviso: «Il giudizio di appello normalmente ha natura documentale, e

in esso non ha modo di esplicarsi il contraddittorio, che rappresenta una garanzia attribuita all'imputato: il

che appare in maniera inequivoca dalla lettura dell'art. 111 comma 5 Cost., secondo il quale «la legge

regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo per consenso dell'imputato». A tale garanzia

può rinunciare soltanto quest'ultimo, come avviene nel giudizio abbreviato, ma la stessa risulta del tutto

vanificata se il giudice di appello, al di fuori e a prescindere dalla volontà dell'interessato, in virtù

dell'impugnazione del pubblico ministero contro una sentenza di assoluzione capovolge, sulla scorta di un

semplice controllo cartolare, i risultati della prova narrativa raccolta nella dinamica dell' esame dialettico,

annullando la valenza dei risultati raggiunti mediante quel privilegiato metodo cognitivo. Analogo

problema non sorge nel caso di appello dell'imputato avverso una sentenza di condanna, giacché «il

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A tale riflessione si aggiungeva un ordine di considerazioni in materia di

opportunità per lo Stato, rappresentato nel caso dalla pubblica accusa, di

perseguire ulteriormente un soggetto già dichiarato assolto in primo grado:

realizza quel giusto equilibrio tra libertà e sicurezza lo Stato che persegue un

imputato già dichiarato prosciolto, nel rispetto della presunzione di non

colpevolezza costituzionalmente assicurata- art 27 comma 2 Cost.- e nella

generale regola dell’ in dubio pro reo?

Non può infatti che condividersi l’opinione di chi ha sostenuto che «la sentenza

di assoluzione è già lì a denunciare una ferita ingiustificata ai più grandi valori e

ai diritti individuali: con l'esercizio dell'azione penale, lo Stato ha già determinato

una cesura improvvisa e brutale nella vita di un cittadino, facendogli perdere il

buon nome e la reputazione nell'ambito della comunità in cui vive, impedendogli

di sfruttare le opportunità di lavoro e di vivere serenamente la vita con i propri

cari»101

.

All’inaugurazione dell’anno giudiziario 2 4, l’allora Procuratore Generale di

Cassazione aveva anch’egli criticato la ricorribilità in appello del pubblico

ministero avverso il proscioglimento, poiché questa «crea disorientamento nella

coscienza sociale, mina la prevedibilità del giudizio e la credibilità della

condanna: un giudice ritiene colpevole un uomo che un altro giudice ha prima

ritenuto innocente»102

. Inoltre, la giurisprudenza della Suprema Corte aveva

evidenziato come un soggetto, per essere condannato, deve essere ritenuto

contraddittorio non è una "risorsa" dispensata alle parti allo stesso modo e con la stessa intensità», come

si ricava dal vincolo dell'art. 111 comma 5 Cost.». Questa diatriba è oggi superata alla luce dell’ art. 8

della legge 2 febbraio 2 6 n. 46, che ha modificato l’art. 6 6 comma lett. e c. p. p., sancendo la

ricorribilità in Cassazione del provvedimento per «mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della

motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del

processo specificamente indicati nei motivi di gravame»; cfr. nota 59. 101

F. STELLA, op. cit. spiega come lo Stato democratico debba privilegiare l’affermazione dei diritti

individuali, non il potere dell’autorità: da qui discende che uno Stato attendo a queste garanzie deve

demordere, rinunciando alla afflittiva e gravosa celebrazione di un secondo giudizio in cui accertare la

responsabilità penale di un soggetto già dichiarato innocente. Secondo l’autore, un paese democratico non

può che abolire l’appello delle sentenze di proscioglimento. 102

F. FAVARA, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2003.

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colpevole «al di là di ogni ragionevole dubbio»103

: questo principio diventerà

regola di giudizio codificata con la riforma del 2006, recependo il legislatore gli

orientamenti della giurisprudenza di legittimità e della dottrina maggioritaria. Se

così è, può apparire paradossale che una condanna pronunciata ex actis, tramite

una ricostruzione diversa del materiale probatorio su cui in primo grado il

giudice aveva fondato la decisione assolutoria, possa considerarsi emessa «al di

là di ogni ragionevole dubbio». Le Sezioni Unite, con la sentenza “Andreotti” del

3 Ottobre 2 3 n. 45276, hanno preso posizione rispetto all’opportunità di una

riforma dell’appello, proprio nell’ipotesi di impugnazione del proscioglimento da

parte del pubblico ministero: «principi costituzionali, norme di diritto

internazionale convenzionale ed autorevole dottrina suggeriscono [...] di

ristrutturare sapientemente il giudizio di appello secondo cadenze e modalità tali

da precludere a quel giudice (che di regola rimane estraneo alla formazione

dialettica della prova) di ribaltare il costrutto logico della decisione di

proscioglimento dell'imputato, all'esito di una mera rilettura delle carte del

processo e di un contraddittorio dibattimentale ex actis.»104

Bisogna tuttavia sottolineare come lo stesso collegio esteso105

ha dichiarato

manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’ art. 5 3

comma 1 c. p.p. abr. per contrasto con l’art. 24 comma 2 Cost. e l’art. Cost.,

che consentiva all’organo di accusa di appellare le sentenze di proscioglimento:

la Suprema Corte ha ritenuto, «molto discutibilmente»106, che l’ampia natura

devolutiva del giudizio d’appello offre la possibilità all’imputato di riproporre

tutte le questioni- sostanziali e processuali- già poste e disattese nel precedente

grado, tramite il deposito di memorie. Dunque, la Cassazione potrà e dovrà

sindacare la legittimità della sentenza di condanna pronunciata in appello, in

merito al vizio previsto dall’articolo 6 6 comma lett. e- mancanza o manifesta

103

Cass. Sez. Un., 10 Luglio 2002, n. 30328, Franzese; Cass. Sez. Un., 30 Ottobre 2003, n. 45276

Andreotti, in Cassazione Penale, 2004 p. 838, con nota di D. CARCANO, Brevi note sulle regole che

governano il processo penale. 104

Cass. Sez. Un., 30 Ottobre 2003, n. 45276, Andreotti, in Cassazione Penale, 2004 p. 838, con nota di

D. CARCANO, Brevi note sulle regole che governano il processo penale. 105

Cass. Sez. Un., 12 Luglio 2005, n. 33784, Mannino. 106

P. GUALTIERI, Il secondo grado di giudizio: ambito e limiti, op. cit.

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illogicità della motivazione della sentenza di condanna per omessa valutazione di

prove decisive, secondo la formulazione ante riforma del 2006, in base alla

pronuncia sopracitata, facendo riferimento «non solo alla sentenza assolutoria di

primo grado, ma anche alle memorie ed agli atti con i quali la difesa, nel

contestare il gravame del pubblico ministero, abbia prospettato al giudice di

appello l’avvenuta acquisizione dibattimentale di altre e diverse prove, favorevoli

e nel contempo decisive, pretermesse dal giudice di primo grado nell’economia

di quel giudizio, oltre quelle apprezzate ed utilizzate per fondare la decisione

assolutoria.»107

In questo clima, si affacciava il progetto di riforma che avrebbe portato alla

Legge 20 febbraio 2006, n. 46: oltre si dirà dei pregi e dei difetti di tale riforma; è

stato finora sufficiente ricordare in quale contesto dottrinario e giurisprudenziale

gravitava il giudizio di secondo grado, in particolare l’appello del p. m. avverso

la sentenza di proscioglimento. Per concludere, ci affidiamo alle sagge parole di

chi, in anticipo di qualche anno, aveva segnato la rotta da seguire nei futuri

dibattiti in tema di riforma dell’appello: È certo che il sistema deve recuperare

efficienza ma è altrettanto certo che non può, per questa ragione, pagare un

deficit di garanzie. Se si deve agire in modo deflattivo, si agisca sull’azione

(art.112 Cost.) e non sul diritto di difesa (art. 24 Cost.).»108

107

Così prosegue la Cassazione: «Con il lineare corollario che la mancata risposta del giudice di appello

alle argomentazioni svolte dalla difesa nel contraddittorio dibattimentale circa la portata di decisive

risultanze probatorie, conducente all’illegittimo esercizio del potere demolitorio della sentenza di

assoluzione di primo grado ad opera di un giudice che ha valutato solo il carteggio processuale, inficia la

tenuta "informativa" e "logico-argomentativa" della sentenza di condanna e, a causa della negativa

verifica di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, la rende suscettibile di annullamento.» cfr. Cass.

Sez. Un., 12 Luglio 2005, n. 33784, Mannino. Questa tesi della Suprema Corte è stata poi accolta dalla

Legge 2 febbraio 2 6, n. 46 che all’art. 8 della legge 20 febbraio 2006 n. 46, ha sancito la modifica

dell’art. 6 6 comma lett. e c. p. p., permettendo di ricorrere in Cassazione avverso un provvedimento

per «mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo

del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di

gravame». Cfr. note 59, 96. 108

G. SPANGHER, Il doppio grado di giurisdizione, in AA. VV., Presunzione di non colpevolezza e

disciplina delle impugnazioni (Associazione tra gli studiosi del processo penale, 10), Giuffrè, 2000,

p.122.

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CAPITOLO SECONDO

La riforma dell’appello nella Legge 20 febbraio 2006, n. 46.

§1. Il travagliato iter normativo della riforma e il dibattito politico. §2. La regola dell’inappellabilità della

sentenza di proscioglimento. §3. La limitata appellabilità della sentenza di proscioglimento per il

Pubblico Ministero. §4. L’inappellabilità della sentenza di non luogo a procedere. §5. La modifica

dell’art. 6 6 comma lett. e: come cambia il ricorso in Cassazione per vizio di motivazione. §6. La

disciplina intertemporale. §7. L’impugnazione della parte civile.

§1. Il travagliato iter normativo della riforma e il dibattito politico.

La legge 20 febbraio 2006, n. 46 ha rappresentato il primo tentativo deciso di

riforma del sistema delle impugnazioni, in particolare del giudizio d’appello;

rubricata «Modifiche al codice di procedura penale, in tema di inappellabilità

delle sentenze di proscioglimento», la legge in esame non ha esclusivamente

affrontato il tema della appellabilità oggettiva della sentenza di proscioglimento,

sebbene la modifica dell’art. 5 3 c. p. p. - Casi d’appello» - sia senza dubbio

alcuno il fulcro dell’intervento riformatore. In materia di inappellabilità delle

sentenze di proscioglimento la novella ha inoltre escluso l’appello avverso le

pronunce emesse a conclusione del rito abbreviato e quelle conclusive dei

procedimenti celebrati innanzi al giudice di pace. La riforma ha inciso, poi, sui

motivi di ricorso in Cassazione, tramite la modifica dell’art. 6 6 comma lett. d

ed e, sull’appellabilità della sentenza di non luogo a procedere - art. 428 c. p. p. –

e anche sull’impugnazione della parte civile, disciplinata dall’art. 576 c. p. p. ;

ulteriori interventi hanno riguardato l’introduzione della regola di giudizio

dell’ oltre ogni ragionevole dubbio» all’art. 533 c. p. p., la parziale modifica

dell’art. 58 c. p. p. in tema di conversione dell’impugnazione e l’introduzione

della cosiddetta richiesta di archiviazione “coatta” da parte del pubblico

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ministero, al comma 1 bis all’art. 4 5 c. p. p. Questa panoramica pone in risalto

la sostanziale eterogeneità della riforma, nonostante la specificità della rubrica

della legge stessa: il percorso legislativo e la discussione parlamentare che hanno

condotto alla legge in esame sono stati piuttosto tortuosi, vista la pluralità di

modifiche promosse dai sostenitori e, soprattutto il clima politico particolarmente

teso in cui si discuteva il provvedimento. Portata avanti dai promotori in

parlamento con forte sollecitudine, tale riforma è stata oggetto di numerose

critiche, condivise con diversi provvedimenti della XIV legislatura, introdotti a

detta di alcuni solo per incidere su determinati processi in corso: « sulla recente

legge in materia di impugnazioni penali grava lo stesso infamante sospetto che ha

accompagnato le più importanti modifiche alla disciplina del codice di rito

intervenute nel corso della passata legislatura. L’opinione di molti è che il

legislatore avrebbe agito ancora una volta con l’intenzione di condizionare l’esito

di un processo penale in corso di svolgimento»109

.

Tuttavia, la volontà modificatrice della maggioranza raccoglieva numerose

istanze di quella dottrina, che ripetutamente aveva sollevato dubbi inerenti alla

coerenza del sistema delle impugnazioni rispetto ai principi del “giusto

processo”, sostenendo sia la tesi dell’inappellabilità della sentenza di

proscioglimento da parte del pubblico ministero, che l’introduzione della regola

dell’ oltre ogni ragionevole dubbio» e la modifica del ricorso in Cassazione per

vizio di motivazione110

. Questo contesto ha condotto taluni ad affermare che «la

problematica concernente l’appellabilità delle sentenze di proscioglimento ha

109

F. CAPRIOLI, I nuovi limiti all’appellabilità delle sentenze di proscioglimento tra diritti dell’individuo

e «parità delle armi», in Giurisprudenza Italiana, 2007 (1), secondo cui questa legge sarebbe «da

collocare a pieno titolo accanto ad altri provvedimenti legislativi del recente passato (rogatorie

internazionali, rimessione del processo, immunità per le alte cariche dello Stato) animati dalla stessa

affannosa volontà di soccorrere qualche imputato illustre e dalla stessa colpevole indifferenza per gli

equilibri complessivi del sistema processuale»109

. 110

Si rimanda alle considerazioni svolte nel capitolo primo; si veda in particolare F. COPPI, No all'appello

del PM dopo la sentenza di assoluzione, in Il giusto processo, 2003 (5) p. 6 s., T. PADOVANI, Doppio

grado di giurisdizione: appello dell’imputato, appello del PM, principio del contraddittorio, in Cass.

Pen., 2003, p. 4023; F. STELLA, Sul divieto per il pubblico ministero di proporre appello contro le

sentenze di assoluzione, in Cassazione Penale, 2004, p. 756; G. SPANGHER, Sistema delle impugnazioni

penali e durata ragionevole del processo, in Corriere Giuridico, 2002, 1262; anche F. FAVARA,

Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2003 , in qualità di Procuratore Generale presso

la Corte di Cassazione criticò l’appello del proscioglimento da parte del pubblico ministero (cfr. nota 8).

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formato oggetto di discussione e di dibattito già da qualche anno e la scelta el

legislatore del 2006 non è legata ad una specifica vicenda giudiziaria»111

.

Anche in sede di discussione parlamentare entrambi gli schieramenti avevano

preso coscienza della necessità di una rivisitazione del sistema delle

impugnazioni, salvo poi discostarsi da tale comunione di intenti: l’applicazione

della nuova regola di inappellabilità del proscioglimento dell’art. 5 3 c. p. p. era

considerata imprescindibile e necessaria nell’immediato da parte della

maggioranza112

, sebbene l’intervento riformatore difettasse dell’organicità

auspicata; al contrario, la minoranza riteneva controproducente l’asistematicità di

un provvedimento settoriale come quello in esame113

. Il contesto politico ha

segnato in maniera significativa la genesi di questa riforma, il cui iter può

riassumersi in tre tappe fondamentali: in principio, il primo passaggio alla

Camera e al Senato; poi, il rinvio del testo di legge alle Camere da parte del Capo

dello Stato, che ne ha imposto il ripensamento; infine, l’ultimo esame

parlamentare114

.

È ad ogni modo necessario prendere le mosse dall’originaria proposta, risalente

al 13 gennaio 2004 e sottoscritta dal deputato On. Pecorella: oggetto del

provvedimento era unicamente l’introduzione dell’inappellabilità del

proscioglimento, con la modifica dell’art. 5 3 c. p. p., accompagnata da ulteriori

111

A. GIARDA, Rimodellato il sistema delle impugnazioni penali tra presunzione di innocenza e

ragionevole durata del processo, op. cit., p. 16. 112

Proprio questa sollecitudine è correlata nello specifico, secondo alcuni, alla necessità di evitare al

Premier dell’epoca un processo d’appello dagli esiti tutt’altro che scontati», come afferma F. CAPRIOLI,

op. cit., impedendo con la nuova legge la proposizione dell’appello anche per i processi in corso, tramite

l’applicazione della disciplina intertemporale. Particolarmente duro in materia F. CORDERO, L'allegra

barbarie, in La Repubblica, 13 gennaio 2006, 21 F. CORDERO, La legge nelle mani di B., in La

Repubblica, 27 Gennaio 2 6, che definisce l’inappellabilità del proscioglimento una norma

grossolanamente incostituzionale». 113

E. VALENTINI, L’iter parlamentare della riforma, in M. BARGIS, F. CAPRIOLI (a cura di), Impugnazioni

e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006, Giappichelli, 2007, p. 4. 114

E. VALENTINI, L’iter parlamentare della riforma, op. cit., che riporta le tappe dell’ iter parlamentare:

«prima approvazione della Camera in data 21 Settembre 2005; prima approvazione del Senato in data 12

Gennaio 2006. Il 20 Gennaio 2006 il Presidente della Repubblica rinvia alle camere il testo di legge

sottopostogli per la promulgazione. Ne consegue un nuovo esame da parte della Commissione giustizia

della Camera, che apporta al testo alcune modifiche conseguenti ai rilievi del Capo dello Stato. La

successiva approvazione ad opera dei due rami del Parlamento avviene rispettivamente in data 1 Febbraio

2 6 (Camera) e 4 Febbraio 2 6 (Senato)». L’ autrice sottolinea inoltre lo scarso approfondimento

della discussione parlamentare nei contenuti della riforma e come questo non abbia fornito direttive per

l’interpretazione teleologica del testo definitivo.

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accorgimenti normativi, corollari del fulcro della riforma. Dalla relazione di

accompagnamento all’originaria proposta si evince la finalità dell’intervento:

volontà del firmatario era quella di conformare il sistema delle impugnazioni del

codice vigente al VII Protocollo aggiuntivo C. E. D. U. , che sancisce all’art. 2 il

doppio grado di giurisdizione per l’imputato in materia penale. I promotori

ritenevano necessario a tale scopo eliminare l’appello di una sentenza di

proscioglimento da parte del pubblico ministero, che avrebbe potenzialmente

condotto ad una condanna per l’imputato, ricorribile esclusivamente in

Cassazione e dunque insindacabile nel merito.

Su questo punto il dibattito politico è stato particolarmente acceso: quello che per

alcuni è un vero e proprio «principio di civiltà giuridica»115

, da altri è considerato

un provvedimento ingiustificato: lo stesso comma 2 dell’art. 2 VII Protocollo

aggiuntivo della C. E. D. U. riporta, come eccezione al succitato principio del

doppio grado, il caso in cui l’imputato sia dichiarato colpevole e condannato a

seguito di un ricorso avverso il suo proscioglimento», e implicitamente legittima

l’appello della sentenza di proscioglimento da parte del pubblico ministero. Al

contrario, chi era contrario al provvedimento sosteneva che questa riforma

sarebbe stata lesiva del principio di parità delle parti, sancito dall’art. comma

2 Cost., e dunque incostituzionale; inoltre, taluni segnalavano la contraddizione

di un nuovo quadro normativo, che garantiva al pubblico ministero l’appello in

caso di condanna - quindi di pronuncia almeno parzialmente satisfattoria delle

sue richieste - ed escludeva lo stesso mezzo di impugnazione nell’ipotesi di

sentenza di proscioglimento116

. Queste critiche, peraltro, non riguardano solo la

posizione dell’organo della pubblica accusa: anche l’imputato è limitato nel suo

potere d’appello, nel caso in cui fosse stato destinatario di una pronuncia che lo

prosciogliesse con formula non ampiamente liberatoria117

.

115

F. COPPI, op. cit. 116

E. VALENTINI, L’iter parlamentare della riforma, op. cit., p. 9, nota 13, che rimanda agli interventi dei

senatori Cavallaro e Fassone durante la seduta della Commissione giustizia del Senato del 26 ottobre

2005. 117

E. VALENTINI, L’iter parlamentare della riforma, op. cit., p. 10, nota 17, che riporta la posizione del

senatore Pisapia alla seduta della Camera del 15 settembre 2005, il qual affermava: «impedire anche

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Nonostante queste critiche, l’art. della Legge 2 febbraio 2 6, n. 46

originariamente approvato dalle Camere cos recitava: Art. 5 3. Casi d’appello-

1. Salvo quanto previsto dagli articoli 443 comma 3, 448 comma 2, 579 e 680, il

pubblico ministero e l’imputato possono appellare contro le sentenze di

condanna. 2. Sono inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata

applicata la sola pena dell’ammenda.»

L’altro intervento fondamentale della proposta di legge concerneva il ricorso in

Cassazione, che avrebbe modificato due dei cinque motivi di ricorso previsti

dall’art. 6 6 c. p. p.; il testo originariamente varato prevedeva per la lett. d,

infatti, l’eliminazione del riferimento all’art. 4 5 comma 2 c. p. p.: il ricorrente

avrebbe potuto, così, lamentare la mancata assunzione di qualunque prova

decisiva, indipendentemente dalla sua natura di prova contraria, ossia di prova a

discarico sui fatti a carico dell’imputato e viceversa. La dottrina non ha nascosto

la difficoltà a comprendere l’intento di questa disposizione, sebbene la tesi

sostenuta dai promotori inerisse all’ampliamento dei motivi di ricorso come

bilanciamento dei nuovi limiti introdotti in materia di appello118

.

La modifica dell’art. 6 6 comma lett. e c. p. p. ha preoccupato in maniera

ancora maggiore sia gli scettici verso la riforma in sede di dibattito parlamentare

che, come si vedrà, il Presidente della Repubblica: secondo il testo

originariamente approvato dalle Camere, non sarebbe più stato necessario il

riferimento al testo del provvedimento impugnato per sindacare la mancanza, la

contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione della sentenza,

delineandosi un ritorno sostanziale alla disciplina del codice del 1930119

.

all’imputato assolto ai sensi dell’art. 53 , secondo comma, cioè con la formula del dubbio, o assolto

perché il fatto non costituisce reato, di impugnare quelle sentenze … avrebbe conseguenze

estremamente negative sotto il profilo sia disciplinare sia economico che civilistico». 118

E. VALENTINI, L’iter parlamentare della riforma, op. cit., p. 25 evidenzia l’esiguità del dibattito,

rimandando alle brevi considerazioni in merito della relatrice Bertolini nella seduta del 26 gennaio 2006

in Commissione giustizia, a sostegno del proponimento originario. 119

Questo il testo risultato dalla prima discussione parlamentare e sottoposto al Presidente della

Repubblica: « Art. 7. - . Al comma dell’art. 6 6 del codice di procedura penale sono apportate le

seguenti modificazioni:

a) la lettera d) è sostituita dalla seguente: «d) mancata assunzione di una prova decisiva quando la parte

ne ha fatto richiesta, sempre che la stessa fosse ammissibile»;

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Sul tema, di particolare rilievo sono alcuni emendamenti promossi da Camera e

Senato: due le proposte della camera, entrambe respinte, di cui una totalmente

soppressiva della novità, mentre l’altra era orientata a confinare il sindacato sulla

motivazione, come innovato, solo ai casi in cui l’illegittimità della stessa avesse

investito un punto decisivo della pronuncia120

. Particolarmente interessante, tra le

altre, la proposta di emendamento avanzata in Senato: l’introduzione di una

lettera e-bis all’art. 6 6 comma c. p. p. che, lasciando inalterata la lettera e,

avrebbe introdotto l’estensione del sindacato di motivazione solo quando il

ricorso è stato proposto dal pubblico ministero avverso una sentenza

inappellabile».121

Questa proposta, già discussa e scartata dalla stessa

maggioranza122

, avrebbe coordinato in maniera diretta la riduzione del potere

d’appello dell’organo di pubblica accusa all’estensione dei vizi di ricorso in

Cassazione.

Il contributo decisivo al dibattito sulla riforma e al tenore del testo di legge lo ha

indubbiamente fornito l’intervento del Presidente della Repubblica, che ha

rinviato alle Camere, ai sensi dell’art. 74 comma Cost., il primo testo di legge

approvato dal Parlamento, evidenziando dubbi sulla costituzionalità - e quindi

sull’opportunità- della stessa, in particolare rispetto all’art. 5 3 c. p. p. e alla

modifica del ricorso in Cassazione123

.

b) la lettera e è sostituita dalla seguente: «e) se manca, è contraddittoria o manifestamente illogica la

motivazione.» (Proposta di legge C. 4604-B/ S. 3600, approvata dalla Camera il 21 Settembre 2005 e dal

senato il 12 Gennaio 2006, rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica per una nuova

deliberazione). 120

Si tratta degli emendamenti n. 9.11 e n. 9.12 (primo firmatario: deputato Bonito). 121

Emendamento n. 7.5 presentato dal deputato Fassone durante la seduta della Commissione Giustizia

del 14 Dicemebre 2005. 122

E. VALENTINI, L’iter parlamentare della riforma, op. cit., p. 26. 123

Messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica, in www.senato.it. È altresì opportuno

segnalare che anche altre disposizioni sono state al centro di dubbi da parte del Capo dello Stato: così

l’art. 428 c. p. p. in materia di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere e le disposizioni

relative all’impugnazione della parte civile; i rilievi del Presidente della Repubblica hanno inoltre

riguardato alcune norme la cui sopravvivenza era considerata in contrasto con la riforma: l’art. 577 c. p.

p., che continuava a prevedere l’impugnazione delle sentenze di proscioglimento per i reati di

diffamazione e ingiuria, senza specificare se riguardasse anche l’appello; l’art. 5 7 comma 2 lett. b) c. p.

p., che prevedeva ancora i poteri del pubblico ministero appellante una sentenza di proscioglimento,

sebbene questa ipotesi fosse stata soppressa dal nuovo art. 593 c. p. p.; in ultimo, il Capo dello Stato

metteva in guardia le Camere rispetto all’art. 36 del decreto legislativo 28 agosto 2 , n. 274, sulla

competenza penale del giudice di pace, che prevedeva l’appello dell’organo di pubblica accusa avverso le

sentenze di proscioglimento pronunciate per reati puniti con pena alternativa. Le uniche disposizioni che

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Il messaggio presidenziale che ha accompagnato il rinvio della legge alle Camere

ha condotto ad un ripensamento significativo della riforma, sebbene, com’è noto,

queste modifiche non siano state sufficienti per far superare al nuovo

provvedimento il vaglio del Giudice delle leggi: argomento centrale è la critica

verso il nuovo ruolo ritagliato dalla riforma alla Corte di Cassazione, non più

giudice di legittimità ma sostanzialmente anche giudice di merito, a causa

dell’ampliamento dei motivi di ricorso con la modifica delle lettere d e

soprattutto della lettera e dell’art. 6 6 comma . Questa scelta legislativa avrebbe

reso sindacabile dalla Cassazione qualsiasi atto del processo celebrato, e non più

solo la motivazione del provvedimento impugnato, estendendo in maniera

incontrollata il sindacato della Suprema Corte e svilendo la sua funzione di

giudice di legittimità e lo stesso disposto dell’art. comma 7 Cost.124

Inoltre, l’applicazione della disciplina intertemporale - sia per l’estensione anche

ai processi in itinere degli innovati motivi di ricorso, che per la conversione di

ogni appello avverso la sentenza di proscioglimento già proposto in ricorso in

Cassazione125

, visto il nuovo art. 593 c. p. p.- avrebbero condotto la Suprema

Corte a gestire un esorbitante numero di ricorsi, in aperto contrasto con la

politica di risparmio delle risorse, perseguita, ad esempio, con il nuovo art. 610

comma 1 c. p. p., che ha istituito il meccanismo di selezione dei ricorsi,

conosciuto anche come “sezione-filtro”126

.

non sono state oggetto delle critiche presidenziali sono l’innovato art. 405 comma 1-bis c. p. p. e l’art.

533 c. p. p., che introduce la regola di giudizio dell’ oltre ogni ragionevole dubbio». 124

Messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica, in www.senato.it, in cui si afferma che «nei

limiti indicati nella precedente formulazione dell’articolo 6 6 del codice di procedura penale, la

valutazione della motivazione demandata alla Corte di Cassazione atteneva al controllo della legalità della

sentenza. Oggi, dalla seconda modificazione introdotta, inevitabilmente discende che la Corte di

Cassazione debba procedere al controllo della legalità dell’intero processo, riconsiderandone ogni singolo

atto». 125

Basti ricordare che in sede di seconda discussione parlamentare il meccanismo di conversione

automatica dell’appello in ricorso per Cassazione è stato cos sostituito: Art. .- 1. La presente legge si

applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima. 2. L’appello proposto

contro una sentenza di proscioglimento dall’imputato o dal pubblico ministero prima della data di entrata

in vigore della presente legge viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile. 3. Entro

quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilità di cui al comma 2 può essere

proposto ricorso per cassazione contro le sentenze di primo grado. … ». 126

Messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica, in www.senato.it, che riporta la posizione

dell’allora Primo presidente della Corte di Cassazione, per cui la finalità perseguita con lo strumento

dell’art. 6 comma sarebbe stata svilita dall’applicazione della riforma.

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Il timore presidenziale era quello di un sovraccarico della Corte, già avanzato

dall’opposizione in sede di prima approvazione, che avrebbe compromesso il

bene costituzionale dell’efficienza del processo, previsto dall’art. 7 Cost.127

. A

tale accumulo di lavoro non avrebbe in alcun modo posto rimedio l’innovato art.

593 c. p. p. che, al contrario, è stato ritenuto dalla massima carica dello Stato

lesivo del principio di parità delle parti», sancito all’art. comma 2 Cost.128

.

Il Presidente della Repubblica evidenzia, inoltre, la contraddittorietà del nuovo

art. 593 c. p. p. - già segnalata dall’opposizione durante i lavori parlamentari-

nella parte in cui permette al pubblico ministero di appellare la sentenza di

condanna, impedendogli di agire allo stesso modo avverso una sentenza di

proscioglimento129

.

Le osservazioni del Capo dello Stato non hanno minato le convinzioni della

maggioranza relativamente alla regola dell’inappellabilità, anche se la nuova

discussione parlamentare ha effettivamente prodotto una modifica dell’art. 5 3 c.

p. p.: il nuovo art. 1 della Legge 20 Febbraio 2006, n. 46 contiene, infatti, un

secondo comma che garantisce ad entrambe le parti la possibilità di appellare una

sentenza di proscioglimento nell’ipotesi prevista dall’art. 6 3 comma 2 c. p. p.,

ossia al caso in cui sopravvengano o siano scoperte nuove prove, purché queste

siano decisive; la richiesta di nuova istruzione dibattimentale sarà vagliata poi dal

127

Messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica, in www.senato.it, secondo cui tale riforma

andrebbe «a recare un vulnus al precetto costituzionale del buon andamento dell’amministrazione –

articolo 97 della Costituzione – applicabile, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, anche

agli organi dell’amministrazione della giustizia (cfr. le sentenze della Corte costituzionale n. 86 del 82

e n. 18 del 1989)». 128

Messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica, in www.senato.it, così afferma: «La funzione

compensativa attribuita all’ampliamento delle ipotesi del ricorso per cassazione ha un effetto inflattivo

superiore di gran lunga a quello deflattivo derivante dalla soppressione dell’appello delle sentenze di

proscioglimento. Soppressione che, a causa della disorganicità della riforma, fa sì che la stessa posizione

delle parti nel processo venga ad assumere una condizione di disparità che supera quella compatibile con

la diversità delle funzioni svolte dalle parti stesse nel processo». 129

F. CAPRIOLI, op. cit., considera a tal proposito disarmante» la risposta dell’ on. Bertolini: «Il

Presidente della Repubblica ha sottolineato l'incongruenza che al pubblico ministero sia consentito di

proporre appello in caso di soccombenza parziale. Proprio su questo punto, ricordo che l'onorevole

Fanfani aveva presentato un emendamento volto a circoscrivere ai casi più rilevanti l'appello del pubblico

ministero contro le sentenze di condanna. Dopo un approfondito esame anche in Comitato ristretto si

decise di limitare l'intervento normativo alle sole sentenze di proscioglimento, rinviando ad un secondo

momento la questione delle sentenze di condanna. Si tratta, comunque, di situazioni diverse, che possono

essere trattate in maniera non identica».

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giudice che, laddove non la disponga, dichiarerà inammissibile l’appello e da tale

dichiarazione decorrerà il termine di quarantacinque giorni entro cui la parte

potrà proporre ricorso in Cassazione.

Modifica non contemplata dal messaggio presidenziale, è stata inoltre criticata

dall’opposizione per la ridotta applicabilità nella pratica, stante il breve lasso di

tempo utile - intercorrente tra emissione della sentenza di primo grado e decorso

dei termini per proporre appello - per la sopravvenienza o la scoperta di nuove

prove. In sostanza, dunque, la maggioranza non si è dimostrata recettiva rispetto

agli input del Capo dello Stato, in materia di art. 593 c. p. p.; al contrario, per il

ricorso in Cassazione alcuni autori hanno parlato di «revirement solo parziale»130

:

la lett. d dell’articolo 6 6 comma subisce un vero e proprio ritorno al passato,

ricomprendendo il nuovo testo il riferimento all’art. 4 5 comma 2 c. p. p. Cos , la

mancata assunzione di una prova decisiva è tornata censurabile solo nel caso in

cui si tratti di prova contraria, fatta salva l’unica novità della riforma: ai fini della

ricorribilità in Cassazione ex 606 comma 1 lett. d diventa rilevante la richiesta di

ammissione di prova contraria effettuata anche nel corso dell’istruzione

dibattimentale».

Se la riforma della lett. d è praticamente cancellata dalla seconda discussione

parlamentare, la lett. e presenta anche al termine del nuovo iter un carattere di

novità molto significativo; raccogliendo le istanze del Presidente della

Repubblica, la maggioranza reintroduce l’indicazione del provvedimento

impugnato come riferimento testuale per sindacare la legittimità della

motivazione. A questo però si accompagna la possibilità di ricorrere contro la

motivazione anche sulla base di «altri atti del processo specificamente indicati

nei motivi di gravame»131

: questa scelta normativa permette di estendere il

sindacato della Suprema Corte ad un numero potenzialmente indeterminato di

atti, come sottolinea l’opposizione, inerente in particolare agli atti probatori. La

risposta dei promotori, d’altronde, si limita ad affermare che il nuovo vizio di

130

E. VALENTINI, L’iter parlamentare della riforma, op. cit., p. 37. 131

L’utilizzo del termine gravame in riferimento al ricorso in Cassazione pare essere una semplice

imprecisione terminologica.

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motivazione rimane comunque un vizio di legittimità e tranquillizza opposizione

e Capo dello Stato stesso sul rischio di “paralisi” della Corte: per la maggioranza

l’indicazione della parte nei motivi di ricorso degli atti specifici da esaminare

ridurrà il rischio di aggravio del lavoro della Cassazione132

.

Queste sono, dunque, le principali innovazioni introdotte durante la terza tappa

dei lavori parlamentari della Legge 20 febbraio 2006, n. 46; in particolare, è

sensibile il distacco tra la posizione dei promotori della riforma e quella di

Presidente della Repubblica e opposizione relativamente all’art. 5 3 c. p. p.: la

maggioranza non pare assolutamente curarsi della lesione dell’art. comma 2

Cost., rispetto al profilo di parità delle parti, che è invece il principale dubbio di

legittimità attorno a cui ruota lo scetticismo degli oppositori.

Il lungo lavoro delle Camere termina il 4 febbraio 2 6, con l’approvazione del

testo da parte del Senato: nonostante questo non accolga tutte le richieste

precedentemente formulate, il Presidente della Repubblica promulga in data 20

febbraio 2006 la Legge n. 46, che entrerà in vigore il successivo 9 marzo.

Alla luce delle considerazioni sinora svolte e tenendo a mente che la presente

analisi non abbraccia ogni disposizione contenuta nella Legge 20 febbraio 2006,

n. 46, sembra corretto esprimere un giudizio complessivamente non positivo

rispetto alla tecnica normativa adottata, probabilmente frutto della necessità di

ottenere in massima fretta l’introduzione dell’inappellabilità della sentenza di

proscioglimento. Autorevole dottrina si è espressa a tal proposito in questi

termini: La legge n. 46 del 2 6 è il frutto di un’iniziativa parlamentare

estemporanea in materia di impugnazioni, che si dice ispirata da interessi

personali, portata avanti disinvoltamente, senza dare alcun peso alle osservazioni

critiche formulate … nel messaggio del 2 gennaio 2 6 con il quale il

presidente della Repubblica ha chiesto alle camere duna nuova deliberazione

sulla legge»133

. Il risultato di questa redazione discutibile è emerso sia

132

Atti Camera, XIV legislatura, Commissione Giustizia, 30 gennaio 2006, così il deputato Bertolini nella

relazione svolta durante la seduta. 133

G. LATTANZI, Una legge improvvida, in M. BARGIS, F. CAPRIOLI (a cura di), Impugnazioni e regole di

giudizio nella legge di riforma del 2006, Giappichelli, 2007, p. 4.

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relativamente ai numerosi dubbi interpretativi che, successivamente, in sede di

censura di costituzionalità degli art. 1 e 10 della legge con la sentenza n. 26 del

2 7 della Corte Costituzionale: il pericolo maggiore per i riformatori, d’altro

canto, è stato quello di porre a repentaglio l’intera struttura della riforma,

rischiando di pregiudicare anche quelle disposizioni che avevano incontrato il

favore degli interlocutori, come ad esempio il nuovo art. 533 c. p. p. 134

.

134

E. VALENTINI, L’iter parlamentare della riforma, op. cit., p. 47.

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§2. La regola dell’inappellabilità della sentenza di proscioglimento.

La versione riformata dell’art. 5 3 c. p. p. è la principale innovazione della legge

in commento e realizza una sostanziale biforcazione dell’appellabilità oggettiva

delle sentenze di primo grado, a seconda che queste siano pronunce di condanna

o di proscioglimento135

. Ad essa si aggiunge l’esclusione dell’appellabilità delle

sentenze pronunciate all’esito del rito abbreviato e della sentenza di non luogo a

procedere, conclusiva dell’udienza preliminare.

La riconosciuta necessità di modificare il sistema delle impugnazioni136

ha

costituito la base di opportunità dell’intervento, apprezzabile nell’intento di

ristabilire un equilibrio complessivo tra sistema dei controlli delle decisioni e

innovato giudizio di primo grado, calibrato sui principi del “giusto processo” e

sul modello accusatorio; in particolare, obiettivo principale della riforma era la

risoluzione del problema relativo al caso di condanna pronunciata in appello, a

seguito di una sentenza di proscioglimento in primo grado, contro cui l’imputato

non avrebbe potuto esperire un ulteriore grado di merito137

.

Si delineano cos la direttrice e l’intento della riforma, l’una protesa verso un

ripensamento generale ed unitario del sistema, l’altra indirizzata verso la

soluzione di un problema specifico, la cui divaricazione ha comportato alcuni dei

paradossi di questa riforma138; essa, d’altro canto, ha subito gli influssi negativi

del contesto politico, che ha condotto ad una scarsa meditazione sulle

disposizioni da parte dei compilatori, foriera di «vere e proprie distonie tra

intentio legis e prodotto finito»139

.

135

G. SPANGHER, Tra resistenze applicative ed istanze restauratrici, op. cit., p. 244 ss., A. MARANDOLA,

Nuovo regime dei casi d’appello, in A. SCALFATI (a cura di), Novità su impugnazioni penali e regole di

giudizio, Ipsoa, 2 6, p. 2 , in cui si definisce la riforma significativa e “dirompente”» poich

«introduce due distinti percorsi per il rito di seconde cure, a seconda che il giudizio di primo grado si sia

concluso con una pronuncia di condanna o con una decisione di proscioglimento». Dello stesso avviso G.

GARUTI- G. DEAN, I nuovi ambiti soggettivi della facoltà di impugnare, in A. GAITO, La nuova disciplina

delle impugnazioni dopo la legge Pecorella, Utet, 2006, p. 133. 136

Ex pluris, capitolo primo §4, §5. 137

A. PRESUTTI, L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento tra regola ed eccezione, op. cit., p. 52

ss. 138

A. PRESUTTI, L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento tra regola ed eccezione, op. cit., p.

54. 139

A. SCALFATI, Bilancio preventivo di una riforma: principi buoni e norme da ritoccare, in A. SCALFATI

(a cura di), Novità su impugnazioni penali e regole di giudizio, Ipsoa, 2006, p. 26.

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È imprescindibile, d’altronde, operare un esame attento del nuovo art. 5 3 c. p.

p.: il primo comma della norma sancisce la piena appellabilità delle sentenze di

condanna, e per l’imputato e per il pubblico ministero, escludendone al comma 3

della stessa disposizione l’appellabilità nei casi di condanna alla sola pena

dell’ammenda140

.

Il primo comma del 5 3 c. p. p. estromette l’applicazione della generale

appellabilità per la sentenza di condanna pronunciata all’esito del giudizio

abbreviato, ex art. 443 comma 3 c. p. p., essendo appellabile solo la sentenza

modificativa del titolo di reato - e per la sentenza pronunciata in applicazione

della pena su richiesta delle parti, ex art. 448 comma 2, appellabile

esclusivamente se il pubblico ministero si sia opposto alle richieste dell’imputato.

Oltre a queste due deroghe la norma fa salva l’applicazione degli art. 57 c. p. p.

e 680 c. p. p.: questo «inedito richiamo» è risultato particolarmente difficile da

interpretare141

, essendo introdotto nel comma relativo all’appellabilità oggettiva

delle sentenze di condanna, ma riferendosi queste norme a sentenze che

dispongono misure di sicurezza, tanto di condanna quanto di proscioglimento.

Sebbene dai lavori parlamentari emerga come il riferimento a queste due norme

dovesse essere finalizzato a ridurre l’estensione della regola dell’inappellabilità

della sentenza di proscioglimento142

, sia la sua collocazione nella parte della

norma riferita alle sentenze di condanna, sia il rinvio al particolare regime dei

casi di appello per le misure di sicurezza, proprio degli art. 579 c. p. p. e 680 c. p.

p. porta a dubitare che questo fine sia stato effettivamente raggiunto.

Al contrario, interpretare tale clausola in funzione di una limitazione dell’appello

- per pubblico ministero e imputato - avverso le sentenze di proscioglimento

(recanti l’applicazione di una misura di sicurezza) ai soli casi di limitata

140

G. GARUTI- G. DEAN, I nuovi ambiti soggettivi della facoltà di impugnare, op. cit., p. 134 e A.

MARANDOLA, Nuovo regime dei casi d’appello, op. cit., p. 126, hanno ravvisato una certa

approssimazione della tecnica legislativa relativamente all’interposizione del comma secondo, in materia

di proscioglimento, tra il comma primo e terzo entrambi riferiti alle sentenze di condanna. 141

A. PRESUTTI, L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento tra regola ed eccezione, op. cit., p.

64, definisce il rimando agli art. 579 e 680 c. p. p. «enigmatico». 142

A. PRESUTTI, L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento tra regola ed eccezione, op. cit., p.

64, rimanda all’intervento dell’On. Mantini, in Atti Camera, XIV legislatura; Assemblea, seduta 14

settembre 2005, 670 p. 21.

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appellabilità previsti dall’art. 5 3 comma 2 c. p. p., sarebbe con tutta probabilità

costituzionalmente illegittimo, vista la compressione del diritto di difesa

dell’imputato143

.

È altresì palese che gli art. 579 c. p. p. e 680 c. p. p. non delineano una diversa

disciplina per l’impugnativa, in caso di sentenza di proscioglimento o di

condanna; la dicotomia descritta da questi articoli attiene piuttosto ad una duplice

scelta: la parte può appellare anche i capi penali della sentenza oppure

esclusivamente la parte relativa alla misura di sicurezza. Nel primo caso,

rispettando il simultaneus processus, si impiegherà la stessa impugnazione

prevista per i capi penali anche rispetto alle misure di sicurezza; nell’ipotesi

contraria, viene meno il cumulo di giudizi e, a norma dell’art. 57 comma 2 c. p.

p., si adirà il tribunale di sorveglianza, «giudice naturale della materia» - art. 680

comma 2 c. p. p. Un’interpretazione autorevolmente sostenuta in dottrina144

ritiene dunque che il riferimento normativo sia una esclusiva declinazione delle

competenze tra organi giudicanti diversi e non una modifica dell’appellabilità

oggettiva delle sentenze di proscioglimento o condanna: fatta salva l’applicabilità

del 593 c. p. p. ai casi di appello comprensivo dei profili di responsabilità penale

- ammissibile nei casi di condanna e nei casi particolari di proscioglimento ex art.

593 comma 2 seconda parte-, rimangono comunque sempre appellabili, nella

propria sede, i presupposti di applicazione della misura di sicurezza.

Accanto a questa esegesi, un’altra corrente145

sostiene, sulla scorta dei succitati

lavori parlamentari, che l’inserimento nel comma degli articoli in commento

sia teso ad equiparare la sentenza di proscioglimento che applichi una misura di

sicurezza ad una sentenza di condanna, in quanto comunque restrittiva della

libertà: questa interpretazione, «più ardita, ma più rassicurante in chiave

143

F. CAPRIOLI, op. cit., A. SCALFATI, Salvo eccezioni appellabile la sola condanna, in Guida al diritto,

2006(10), p. 56. 144

G. SPANGHER, Legge Pecorella, l’appello si sdoppia, in Diritto e Giustizia, 2006(9), p. 70; A.

PRESUTTI, L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento tra regola ed eccezione, op. cit., p. 65; A.

MARANDOLA, Nuovo regime dei casi d’appello, op. cit., p. 128 ss. 145

A. SCALFATI, op. cit., p. 56.

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62

garantistica»146

, consente alla parte di decidere quale strada percorrere per

appellare la pronuncia, senza la limitazione del nuovo art. 593 c. p. p.

La modifica principale dell’art. della Legge 2 febbraio 2 6, n. 46 concerne

l’introduzione all’art. 5 3 comma 2 c. p. p. della generale regola di

inappellabilità della sentenza di proscioglimento, tanto per l’imputato quanto per

il pubblico ministero; l’unica eccezione è prevista per il caso in cui in appello sia

richiesta la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ex art. 603 comma 2,

sempre che tali prove nuove siano decisive. Un sorprendente profilo di

incongruenza e scarso coordinamento normativo risiede nel rapporto tra comma

2 e comma 3 dell’art. 5 3 c. p. p.: non si comprende perch la sentenza di

proscioglimento relativa a contravvenzioni punite con la sola ammenda o con

pena alternativa rimanga, seppur limitatamente, appellabile, mentre la sentenza di

condanna che effettivamente applichi queste pene sia sempre inappellabile.

L’art. 2 della legge in commento, invece, modifica il primo comma dell’art. 443

c. p. p., statuendo che l’imputato e il pubblico ministero non possono proporre

appello». La perentorietà del testo, l’applicazione del principio di tassatività

dell’art. 568 comma 3 c. p. p. e la specialità della previsione fanno s che gran

parte della dottrina ritenga inapplicabile a queste pronunce la limitata ipotesi di

appellabilità del proscioglimento di cui all’art. 593 comma 2 c. p. p. 147

L’estromissione dell’appello da parte del pubblico ministero per le sentenze

pronunciate dal Giudice di pace si pone in piena coerenza col sistema finora

delineato ed è, inoltre, tesa a bilanciare i poteri di entrambe le parti principali del

processo penale, visto che l’art. 37 comma 2 del D. Lgs. 28 agosto 2 , n. 274

già escludeva tale mezzo di impugnazione per l’imputato. Visto l’art. comma 2

della Legge 2 Febbraio 2 6, n. 46, che modifica l’art. 36 comma 1 del D. Lgs.

28 agosto 200, n. 274, pubblico ministero e imputato possono ricorrere

esclusivamente in Cassazione, posto che, anche in questo caso, il principio di

146

F. CAPRIOLI, op. cit. 147

G. SPANGHER, op. cit., p. 72; A. PRESUTTI, L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento tra

regola ed eccezione, op. cit., p. 86; A. MARANDOLA, Nuovo regime dei casi d’appello, op. cit., p. 128, G.

GARUTI- G. DEAN, I nuovi ambiti soggettivi della facoltà di impugnare, op. cit., p. 135.

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tassatività e la regola della lex specialis escludono l’estensibilità a tali ipotesi

dell’eccezione di cui all’art. 5 3 comma 2 c. p. p.

Alla luce del quadro normativo finora analizzato, si impone una valutazione

critica degli scopi perseguiti dalla riforma- ed eventualmente raggiunti- assieme

alla prospettazione di taluni dubbi di costituzionalità della stessa. All’indomani

dell’entrata in vigore della riforma il dibattito coinvolse tutti gli operatori

giuridici e interessò non solo la regola dell’inappellabilità di cui all’art. 5 3 c. p.

p., ma anche le nuove norme in materia di impugnazione del rito abbreviato.

Nonostante una parte della critica si sia concentrata sulla contingenza storico-

politica per contestare l’intera impalcatura della riforma148

, è considerazione

assennata quella di chi ritiene riduttiva l’analisi del provvedimento solo alla luce

di tale contesto: i dibattiti e gli interventi dottrinari, in merito alla limitazione del

potere d’appello del pubblico ministero, sono, per tempistica e autorevole

provenienza, sicuramente slegati rispetto alle vicende giudiziarie e politiche

contingenti149

. Prima di analizzare la figura del pubblico ministero e il suo potere

d’appello alla luce dell’innovato art. 5 3 c. p. p., è doveroso prestare attenzione

anche all’altra parte principale del giudizio penale, ossia l’imputato: la generale

regola dell’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento - limitata anche qui

al solo caso di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ex art. 603 comma 2 c.

p. p. - riduce infatti in maniera piuttosto considerevole anche il potere del

soggetto sottoposto a giudizio, che non potrà più fare affidamento sul giudizio di

seconde cure per contestare le pronunce non completamente “liberatorie”, quindi

non assimilabili ad un’assoluzione. La precedente formulazione della norma

sanciva, all’opposto, la generale appellabilità della sentenza di proscioglimento

per l’imputato- art. abr. 593 comma 1 c. p. p., cui faceva seguito la specifica

preclusione relativa alle sentenze pronunciate perché il fatto non sussiste o per

non averlo commesso- art. abr. 593 comma 1 c. p. p. : dato il quadro variegato

148

V. GREVI, Una legge palesemente incostituzionale che aggraverà le disfunzioni dei processi, in

Corriere della Sera, 12 gennaio 2006, p. 13 e F. CORDERO, L'allegra barbarie, in La Repubblica, 13

gennaio 2006, F. CORDERO, La legge nelle mani di B., in La Repubblica, 27 Gennaio 2006. 149

A. GIARDA, Processo penale: sussulti di una legislatura al tramonto, in Corriere Merito, 2006 (2), p.

213 ss., il quale richiama quella autorevole dottrina che si era occupata del tema (cfr. nota 107).

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delle pronunce di assoluzione e proscioglimento - art. 529 c. p. p., 530 c. p. p.,

531 c. p. p. - questo rapporto tra regola ed eccezione rafforzava ancor più il

principio secondo cui il diritto di appello dell’imputato dovesse rimanere intatto

in tutti i casi in cui la pronuncia potesse essergli sfavorevole - o meglio, non

pienamente favorevole150

. A fronte della disciplina previgente, la dottrina ha

avanzato dubbi di costituzionalità riguardo alla nuova formulazione, per

contrasto con l’art. 24 Cost.151

: taluni pronosticavano un intervento immediato

del Giudice delle Leggi152

, mentre tal altri - seppur condividendo la necessità

dell’intervento- ipotizzavano un’attenuazione delle implicazioni della riforma,

per via del corrispondente ampliamento dei motivi di ricorso153

.

Un ulteriore profilo di incongruenza rispetto alla posizione dell’imputato

riguarda l’esclusione dell’appello avverso le sentenze di assoluzione:

precedentemente, lo stesso art. 5 3 c. p. p. vietava l’appello nei casi di

assoluzione per insussistenza del fatto o perch l’imputato non l’ha commesso; al

contrario, il nuovo dettato normativo consente di appellare anche queste

pronunce, sebbene limitatamente alle nuove prove decisive, rilevando

eventualmente solo l’assenza di interesse ad impugnare come profilo idoneo ad

impedire l’appello: per molti, un’apertura in contrasto con l’intera architettura

normativa della riforma.

Sebbene anche il potere di appello dell’imputato subisca delle consistenti

limitazioni, è stata la corrispondente riduzione per il pubblico ministero ad

accendere il dibattito dottrinario: sostenitori e detrattori della riforma, nonostante

150

A. PRESUTTI, L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento tra regola ed eccezione, op. cit., p.

69. 151

F. CAPRIOLI, op. cit., V. GREVI, op. cit., p. 13 V. GREVI, Processi, danni agli imputati anche se assolti,

in Corriere della sera, 17 Gennaio 2006, p. 42; per il dibattito durante i lavori parlamentari sulla norma in

esame cfr. nota 114. 152

F. CAPRIOLI, op. cit., che richiama a tal proposito gli interventi della Corte Costituzionale già operati

sugli art. 512 c. p. p. e 513 c. p. p. del previgente codice di rito, dichiarati illegittimi per contrasto con

l’articolo 24 Cost. in quanto limitativi dell’appello avverso talune pronunce di proscioglimento. Per tutti,

si veda la più recente, Corte cost., n.140/1989, in www.cortecostituzionale.it (cfr. F. CAPRIOLI, op. cit.,

nota 35: tale sentenza aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 387, 3° comma, 3 , °

comma, 5 2, n. 2 e 5 3, n. 2, c. p. p. nella parte in cui riconoscevano all’imputato il diritto di proporre

appello contro le sentenze di proscioglimento «perché trattasi di persona non imputabile» limitatamente

alle ipotesi nelle quali fosse stata applicata o potesse, con provvedimento successivo, essere applicata una

misura di sicurezza.»). 153

G. SPANGHER, op. cit., p. 70.

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abbiano entrambi riconosciuto l’approssimativa tecnica redazionale della Legge

20 Febbraio 2006 n. 46, si sono confrontati su due temi fondamentali, inerenti

l’opportunità dell’intervento in esame. Da un lato, l’effettiva- o meno- necessità

della limitazione del potere di appello del pubblico ministero, a fronte di una

attuazione piena dei principi e delle garanzie costituzionali e delle convenzioni

sovranazionali per l’imputato; dall’altro, la rilevanza - o meno - dei dubbi di

costituzionalità sull’intervento riformatore, relativamente alla violazione del

principio di parità delle parti, sancito dall’art. comma 2 Cost.

Nell’esaminare il fondamento costituzionale e sovranazionale della nuova

formulazione dell’art. 5 3 c. p. p., giova rammentare che sullo sfondo

costituzionale e pattizio relativo all’appello nel processo penale - in particolare

quello del pubblico ministero - si è detto ampiamente nel capitolo precedente:

anche alla luce di tali considerazioni, si valuterà complessivamente la riforma154

.

Secondo il parere dei sostenitori di quest’ultima, il fondamento della limitazione

del potere d’appello del pubblico ministero è da ricondursi alla necessaria

uniformazione della disciplina interna ai già richiamati art. 2 del VII Protocollo

aggiuntivo C. E. D. U. e art. 14 comma 5 del Patto sui diritti civili e politici: per

la lettera di tali norme l’imputato condannato ha diritto ad un ulteriore grado di

giudizio in cui ridiscutere la pronuncia. Tuttavia, lo stesso art. 2 comma 2

prevede un’ipotesi eccezionale proprio nel caso di prima pronuncia di condanna

in appello a seguito di impugnazione di un proscioglimento, mentre l’art. 4

comma 5 non sancisce espressamente che il secondo giudizio debba avvenire nel

merito: questo limita fortemente la correlazione tra la riforma dell’art. 5 3 c. p. p.

e l’uniformazione alla regola sovranazionale del “diritto per l’imputato ad un

doppio grado di giudizio sul merito”155

.

154

Per un’ampia trattazione delle tematiche relative al diritto al doppio grado di giurisdizione nel merito e

alle criticità del giudizio d’appello rispetto al “giusto processo” e al sistema accusatorio cfr. par. §3., §4.,

§5. Capitolo primo. 155

F. CAPRIOLI, op. cit., secondo cui per applicare il principio del doppio grado di giurisdizione nel merito

«sarebbe sufficiente ricondurre tutti gli epiloghi decisori del giudizio di secondo grado all’alternativa

conferma/annullamento, quale che sia il contenuto della sentenza appellata. Assunti i connotati

della revisio prioris instantiae, il nuovo processo d’appello ne guadagnerebbe anche in termini di

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È opportuno peraltro rammentare che la nostra Corte Costituzionale non

considera questo diritto dell’imputato come sancito in Costituzione.

Ciononostante, i tentativi della dottrina di ricondurre l’appello, in via mediata,

nell’alveo di altre disposizioni costituzionali sono stati numerosi156

: in questo

senso, pur non essendo funzionale alla concreta applicazione delle disposizioni

pattizie sopra richiamate, la regola dell’inappellabilità del proscioglimento da

parte del pubblico ministero coinvolge altri principi costituzionali.

In particolare, l’estromissione di questo potere del pubblico ministero rafforza la

presunzione di non colpevolezza dell’art. 27 comma 2 Cost. (riconosciuta come

“presunzione di innocenza” dall’art. 6 della C. E. D. U. ), su cui non si fonda solo

il primo grado di giudizio, ma anche l’intero sistema delle impugnazioni157

.

Conviene affidarsi ad autorevoli parole per descrivere il rapporto tra

impugnazioni e principio di non colpevolezza: Invero, se l’imputato è già

presunto non colpevole prima della decisione definitiva, come non ritenere che la

sua posizione non esca rafforzata a seguito d’una decisione di assoluzione o di

proscioglimento da parte del suo giudice naturale, a seguito d’un processo

svoltosi nel rispetto delle regole procedurali- cioè, del principio di legalità-

comunque verificabile in cassazione a seguito del ricorso da parte della

molteplicità degli uffici del p. m. legittimati (art. 570 c. p. p.)?»158

Si consideri inoltre che l’appello stesso è una estrinsecazione del diritto di difesa

ex art. 24 comma 2 Cost., inteso come «inviolabile in ogni stato e grado del

procedimento», ed è rafforzato dalla previsione di condizioni e modi per la

riparazione dell’errore giudiziario ex art. 24 comma 4 Cost.159

.

Alcuni autori hanno anche evidenziato come la novità della legge di riforma

rappresentasse la coerente realizzazione degli obiettivi della direttiva n. 2 della

complessiva fedeltà ai canoni del modello accusatorio». Esplicito il richiamo a G. ILLUMINATI, Appello e

processo accusatorio. Uno sguardo ai sistemi di common law, op. cit., p. 114. 156

Ex pluris cfr. capitolo primo §3, per tutti A. DE CARO, Filosofia della riforma e doppio grado di

giurisdizione di merito, op. cit., p. 21 ss. 157

A. GIARDA, Rimodellato il sistema delle impugnazioni penali tra presunzione di innocenza e

ragionevole durata del processo, op. cit., p. 15 ss.; ex pluris cfr.§3. capitolo primo. 158

G. SPANGHER, Tra resistenze applicative ed istanze restauratrici, op. cit., p. 244. 159

Ex pluris cfr. capitolo primo §3.

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legge-delega del nuovo codice di procedura penale160

e la piena conformazione

del giudizio di seconde cure ai caratteri del sistema accusatorio: non sarebbe

stata, infatti, tollerabile una cristallizzazione dei giudizi di impugnazione a fronte

dell’evoluzione del primo grado di giudizio, secondo i principi del “giusto

processo”161

.

Privilegiando le differenze inerenti le situazioni soggettive di difesa e accusa,

relativamente al diverso grado di tutela assegnato loro in Costituzione e nelle

convenzioni internazionali, si costruisce un nuovo controllo di legalità e giustizia

delle decisioni, che alcuni considerano più adeguato alle esigenze di

semplificazione e speditezza del modello accusatorio162

. Si ritiene infatti che non

sia irragionevole ridurre al minimo le possibilità della pubblica accusa di

capovolgere una sentenza di proscioglimento in appello, sebbene l’imputato

conservi intatto l’integrale controllo di merito sulla sentenza di condanna163

.

La finalità del nuovo art. 5 3 c. p. p. consiste nell’impedire, dunque, che l’organo

di pubblica accusa, non essendo riuscito a superare il limite costituzionale

dell’art. 27 comma 2 Cost. con gli specifici strumenti investigativi a lui

demandati, perseveri nel tentativo di far accertare al giudice la responsabilità del

soggetto sottoposto a giudizio, sulla base del medesimo quadro probatorio164

.

160

Legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, direttiva n. 2: «[il codice di procedura penale] deve attuare i

principi della Costituzione e adeguarsi alle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai

diritti della persona e al processo penale». 161

A. BARGI, I nuovi ambiti oggettivi delle impugnazioni, op. cit., p. 152 162

A. BARGI, I nuovi ambiti oggettivi delle impugnazioni, op. cit., p. 155, secondo il quale «la struttura

dei mezzi di impugnazione contro un’ingiusta decisione, sul piano sistematico, deve essere speculare alla

concezione dialettica della prova e del contraddittorio, quale metodo gnoseologico per la ricostruzione del

fatto storico, che caratterizza principalmente il giudizio di primo grado … ». Egli evidenzia come

l’ordinamento sia stia progressivamente orientando verso rimedi impugnatori meno dogmatici,

propendendo a privilegiare esigenze di giustizia sostanziale e di necessario rimedio dell’errore

giudiziario, nel rispetto del favor innocentiae. 163

A. SCALFATI, Bilancio preventivo di una riforma: principi buoni e norme da ritoccare, op. cit., p. 23,

per cui all’imputato non si può “rimproverare” di aver ottenuto una condanna per non aver provato a

fondo la sua innocenza; mentre, niente esclude che sia così per il pubblico ministero, laddove non abbia

saputo sfruttare le proprie forze (art. 27 comma 2 Cost.)». 164

C. CONTI, Al di là del ragionevole dubbio, op. cit., G. SPANGHER, Ma la legge è necessaria, G. FRIGO,

Un intervento coerente con il sistema, in Guida al diritto, 2006 (10), pag 100 ss., sostenendo tali autori

che la conformazione della garanzia costituzionale giustifichi lo squilibrio tra le parti in materia di

impugnazioni. Per C. FIORIO, Profili sovranazionali e costituzionalità della facoltà di impugnare, op. cit.,

in particolare, la previsione dell’inappellabilità del proscioglimento a garanzia della presunzione di

innocenza ha favorito il bilanciamento di questa garanzia con il principio di obbligatorietà dell’azione

penale.

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È altres manifesto che la rimozione dell’errore giudiziario cui tende ogni

impugnazione non è differentemente graduata a seconda che questo coinvolga

l’imputato o la collettività: la censura di un errore che ha impedito al giudice di

condannare un omicida, un capo mafioso o un grosso trafficante di stupefacenti

non vale meno della tutela dell’errore ricadente nella sfera soggettiva

dell’individuo sottoposto a giudizio. È solo la regola del favor innocentiae,

peculiare in molti aspetti del rito penale - e rafforzata dall’introduzione della

regola dell’ oltre ogni ragionevole dubbio» da parte della norma in commento -

che fa assumere al controllo della condanna una «dimensione etica» diversa

rispetto al controllo dell’assoluzione: tra le due, nel dubbio, «prevale

ontologicamente la seconda», ricostruendo così la condanna come certezza della

responsabilità. Per queste ragioni, si suppone che una vicenda, approdata in

prima istanza ad un esito assolutorio, rechi con sé «un nocciolo di incertezza che

mal configura una futura eventuale condanna»165

.

Su questa linea di pensiero si colloca l’opinione di chi sosteneva che la riforma

avesse cos “responsabilizzato” la figura del pubblico ministero, rimarcandone il

suo ruolo accusatorio: stante il cospicuo arsenale di strumenti investigativi di cui

egli dispone, è altresì opportuno segnare il limite entro cui può utilizzarli e

stabilire quando il «potere investigativo probatorio male impiegato ricade su di

lui»166

; questa considerazione si pone in stretta correlazione con la già citata idea

che il processo penale in sé sia una considerevole compressione della libertà

personale, e che si debba in qualche maniera evitare che lo Stato si accanisca sul

cittadino, specialmente se già giudicato non colpevole167

.

165

Così A. DE CARO, Filosofia della riforma e doppio grado di giurisdizione di merito, op. cit., p. 24 ss.

D’altra parte, avveduta dottrina- per tutti A. GIARDA, Rimodellato il sistema delle impugnazioni penali tra

presunzione di innocenza e ragionevole durata del processo, op. cit., p. 15 ss.- ha posto un problema

pratico significativo: nell’ipotesi di quadro probatorio insufficiente, contraddittorio o comunque non

idoneo a sostenere l’accusa in giudizio ex art. 530 comma 2 c. p. p. il giudice, anziché prosciogliere come

la norma impone, avrebbe forzato l’interpretazione di taluni elementi probatori e pronunciato sentenza di

condanna; questo perché la pronuncia di proscioglimento ex art. 530 comma 2 c. p. p. avrebbe fortemente

limitato l’appello del pubblico ministero avverso la sentenza. 166

A. SCALFATI, Bilancio preventivo di una riforma: principi buoni e norme da ritoccare, op. cit., p. 21. 167

F. STELLA, op. cit., secondo cui Lo Stato «che non demorde, dopo essersi sbagliato una volta

nell’esercitare l’azione penale contro un innocente, è [...] uno Stato in cui a primeggiare non sono i diritti

individuali, ma i poteri dell’autorità». È opportuno tuttavia segnalare come non tutta la dottrina sia dello

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Dall’analisi complessiva di questo quadro di garanzie per l’imputato, pare

giustificato sia dal punto di vista costituzionale che “ideologico” un intervento

correttivo dell’appello. È il momento di rovesciare la prospettiva: si deve

verificare se la normativa ordinaria e la disciplina costituzionale non

contenessero oggettive controindicazioni all’approvazione di questa specifica

riforma dell’appello168

. La critica maggiore mossa al nuovo art. 593 c. p. p.

riguarda la sua illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. comma 2

Cost.

La generale inappellabilità delle sentenze di proscioglimento da parte del

pubblico ministero lascia infatti alcuni dubbi: se è vero che per l’ipotesi di

mutato quadro probatorio - prove nuove decisive - l’appello è ancora garantito,

quid iuris in caso di errori grossolani nella pronuncia favorevole all’imputato? È

sufficiente per la parte pubblica ricorrere in Cassazione, anche alla luce dei

motivi di ricorso in Cassazione, specie del vizio di motivazione, nel senso di un

“bilanciamento verticale”169

dei poteri dell’organo di pubblica accusa? E ancora:

è rispettato il principio di parità delle parti sancito dall’art. comma 2 Cost.?

In altre parole: una riforma dell’appello era s necessaria, ma lo era questa

specifica riforma?

Occorre delimitare innanzitutto il concetto di parità delle parti nel contraddittorio

davanti al giudice: qui il contraddittorio non riguarda la formazione della prova,

ma è riferibile alla «partecipazione dialettica delle parti a tutti i diversi momenti

del processo davanti al giudice terzo e imparziale e, dunque, pure al giudizio di

appello; non solo, ma, anche e soprattutto, preliminarmente mediante la

possibilità di introdurlo»170

.

stesso parere, rintracciando, ad es., A. PRESUTTI, L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento tra

regola ed eccezione, op. cit., p. 101, in diversi istituti del processo penale la possibilità per il pubblico

ministero di “perseverare”, nel tentativo di far accertare la responsabilità penale dell’indagato/imputato: il

riferimento è alla riapertura delle indagini- art 414 c. p. p.- e alla revoca della sentenza di non luogo a

procedere- art. 434 c. p. p.

168 F. CAPRIOLI, op. cit.

169 A. SCALFATI, Bilancio preventivo di una riforma: principi buoni e norme da ritoccare, op. cit., p. 23.

170Così Corte di Appello di Brescia, Sez. II, ordinanza 14 marzo 2006, n. 655/2005. Contra E.

MARZADURI, Così nell’assetto degli istituti il legislatore ricerca nuovi equilibri, in Guida al diritto, 2006

(10), p. 52, per cui la condizione di parità delle parti riguarda la posizione delle stesse innanzi al giudice e

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Il rischio che la novella fosse lesiva del principio così definito fu già paventato

dalla minoranza in sede di lavori parlamentari ed era anche tra i principali dubbi

del Presidente della Repubblica, che nel messaggio di rinvio della legge alle

Camere parlava di «una disparità che supera quella compatibile con la diversità

delle funzioni svolte dalle parti stesse nel processo»171

.

I promotori della legge, in sede di nuova approvazione del testo, non si curarono

del rilievo, avendo aderito ad una lettura del principio di parità delle parti diversa

da quella del messaggio presidenziale. Questa tesi, già espressa durante la prima

discussione della legge, si fondava su una pronuncia della Corte Costituzionale,

che aveva ritenuto legittima la disposizione dell’art. 443 comma 3 c. p. p., volta

ad escludere per il pubblico ministero l’appello della sentenza di condanna

pronunciata all’esito di rito abbreviato172

; da qui discendeva la piena legittimità

dell’esclusione di un mezzo di impugnazione per la parte pubblica. Tuttavia,

diversi autori hanno smentito la decisività di tale orientamento, in quanto nel

caso specifico l’appello della parte pubblica può s essere limitato, ma solo in

quanto nel rito abbreviato il pubblico ministero è in una posizione più favorevole

rispetto all’imputato173

.

In realtà, lo stesso messaggio presidenziale ha sottolineato come la parità non

implichi la totale simmetria dei poteri e gli esempi sono numerosi; anche la

dottrina ha sostenuto questa tesi174

: le differenze tra imputato e pubblico

ministero emergono già in sede di indagini preliminari, posto che non si può

ritenere lesiva del principio di parità la disposizione della polizia giudiziaria da

non gli strumenti per adire lo stesso. Della stessa opinione G. SPANGHER, Tra resistenze applicative ed

istanze restauratrici, op. cit., p. 247. 171

Ex pluris cfr. nota 125. 172

Corte cost., n. 98/1994, in www.cortecostituzionale.it. Questa pronuncia precede l’ingresso in

Costituzione del principio di parità delle parti. tuttavia la legittimità dell’art. 443 comma 3 c. p. p. è stata

ribadita anche in seguito: Corte cost. n. 421/2001, Corte Cost. 347/2002; Corte Cost. 165/2003, in

www.cortecostituzionale.it. 173

F. CAPRIOLI, op. cit., secondo cui la Corte Costituzionale «ha ritenuto che i limiti all’appello del

pubblico ministero previsti dalla norma codicistica si giustificassero solo in termini compensativi della

posizione di privilegio occupata dall’organo dell’accusa nell’ambito del giudizio abbreviato: un rito — ha

puntualizzato la Corte — “che, sia pure, oggi, per scelta esclusiva dell’imputato, implica una decisione

fondata, in primis, sul materiale probatorio raccolto dalla parte che subisce la limitazione censurata, fuori

delle garanzie del contraddittorio”.» 174

P. FERRUA, Il giusto processo, Zanichelli, 2012, pag. 242 ss.

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parte del solo pubblico ministero, oppure, al contrario, l’istituto della revisione,

visto che permette la riapertura del giudicato solo in ipotesi favorevoli

all’imputato condannato.

Come già ampiamente esposto, una certa dottrina175

ha ravvisato il fondamento

della riforma nel rafforzamento della presunzione di non colpevolezza e

nell’inviolabilità del diritto di difesa; sebbene l’appello del pubblico ministero

non possa avere lo stesso appiglio costituzionale, è ammissibile una limitazione

così forte, qual è quella dell’innovato art. 5 3 c. p. p.?176

Il fatto che la pubblica accusa possa esercitare determinati poteri autoritativi e lo

stesso favor innocentiae sono argomenti sicuramente validi ad escludere che la

preponderanza probabilistica della tesi accusatoria conduca ad una sentenza di

condanna, ma è legittimo chiedersi se queste ragioni siano sufficienti a

giustificare la sottrazione del potere d’appello del pubblico ministero. Infatti, se è

vero che la condanna ingiusta e il proscioglimento ingiusto non sono esiti

processuali assolutamente paragonabili, è necessario appurare con certezza che i

costi umani ed economici del processo penale siano condizione necessaria e

sufficiente a legittimare la specifica limitazione dell’appello verso un solo

soggetto177

.

Di questi ed altri quesiti è stata investita la Corte Costituzionale, che con la

sentenza n. 26 del 2 7 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 e 10

della Legge 20 febbraio 2006, n.46; in particolare, la norma in commento è stata

dichiarata illegittima per violazione del principio di parità delle parti ex art. 111

175

Cfr. note 162, 163, 164. 176

M. CERESA- GASTALDO, Il secondo grado di giudizio: ambiti e limiti, in AA. VV., Le impugnazioni

penali: evoluzione o involuzione? Controlli di merito e controlli di legittimità (Atti del Convegno,

Palermo, 1-2 Dicembre 2006), Giuffrè, 2008, p. 236, in cui afferma a tal proposito che «La presunzione di

non colpevolezza, quale regola di giudizio, impone all’organo di accusa di dimostrare la fondatezza

dell’imputazione e libera l’accusato dal peso di dover provare la sua innocenza; nel dubbio,

nell’insufficienza dell’impegno dimostrativo dell’accusatore, sarà assolto. Ma possiamo andare oltre e

pensare che la garanzia costituzionale imponga anche limitazioni delle chances del pubblico ministero?

Che al rischio della mancata prova che lo Stato sconta nel processo penale posse legittimamente, o

addirittura debba essere sommato anche quello dell’erroneo apprezzamento della prova fornita, davanti al

quale non andrebbe data la possibilità di reazione?» 177

F. CAPRIOLI, op. cit., riassume le obiezioni di tutta quella parte della dottrina che ravvisava la

violazione del principio costituzionale di parità delle parti.

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comma 2 Cost.: per un esame approfondito dei rilievi del Giudice delle Leggi si

rimanda al commento della sentenza nel capitolo seguente.

Ciò che è lampante rispetto alla nuova disciplina dell’appello è la sua parzialità e

unilateralità: non è stato rimodulato l’appello per renderlo omogeneo rispetto

alla nuova struttura del giudizio di primo grado, ma ci si è limitati, in una visione

unilaterale del processo ed in un’ottica esclusivamente garantista, ad eliminare

l’appello del pubblico ministero»178

.

178

G. CIANI, Il secondo grado di giudizio: ambiti e limiti, in AA. VV., Le impugnazioni penali: evoluzione

o involuzione? Controlli di merito e controlli di legittimità (Atti del Convegno, Palermo, 1-2 Dicembre

2006), Giuffrè, 2008, p. 197.

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§3. Profili critici del nuovo art. 593 c. p. p.: la limitata appellabilità della

sentenza di proscioglimento.

L’art. della Legge 2 febbraio 2 6, n. 46 è intervenuto in via diretta sui casi di

appellabilità oggettiva delle sentenze, riducendo sostanzialmente il potere di

appello da parte dell’organo della pubblica accusa in maniera considerevole:

questa scelta ha trovato principale fondamento nella necessità di impedire che un

soggetto sottoposto a giudizio e dichiarato prosciolto, possa essere condannato in

secondo grado, senza avere accesso ad un grado di giudizio che gli consenta di

difendersi nel merito. Per quanto ammirevole nello scopo, il provvedimento non

è rimasto esente da incongruenze, aporie e criticità che ne hanno compromesso la

totale operatività, successivamente all’intervento del Giudice delle Leggi.

Tra questi profili critici, una asimmetria prescrittiva di difficile comprensione

riguarda la scelta del legislatore del 2006 di mantenere intatto il potere del

pubblico ministero di appellare le sentenze di condanna: si stenta a cogliere la

logica di una riforma che impedisce alla parte pubblica di appellare la sentenza di

proscioglimento, per cui risulta totalmente soccombente, mentre le consente di

proporre appello avverso quella sentenza che abbia visto, almeno in parte, accolte

le sue richieste. Parte della dottrina179

ha censurato immediatamente tale

paradosso, avverso cui già il Presidente della Repubblica aveva avanzato

consistenti dubbi nel messaggio di rinvio della legge alle Camere180

; questa scelta

normativa appare effettivamente discriminatoria, se si appoggia la tesi di chi

sostiene che la novella in commento fosse mirata a «preservare l’imputato dagli

eccessi persecutori del pubblico ministero»181

: di conseguenza, anche

un’impugnazione che si limiti a richiedere un aumento della pena irrogata in

primo grado può essere un mezzo per realizzare il medesimo intento persecutorio

sopra richiamato182

.

179

F. CORDERO, Se la destra cancella il processo d’appello, in La Repubblica, 19 dicembre 2005, p. 1; V.

GREVI, Processi, danni agli imputati anche se assolti, in Corriere della Sera, 17 gennaio 2006, p. 42. 180

Ex pluris cfr. §1. capitolo secondo. 181

F. CAPRIOLI, op. cit., di cui il virgolettato. Relativamente alla tesi in commento si veda §2. nota 163. 182

F. CAPRIOLI, op. cit.; Contra A. SCALFATI, Salvo eccezioni appellabile la sola condanna, in Guida al

diritto, 2 6( ), p. 55, che ritiene l’esclusiva inappellabilità del proscioglimento perfettamente coerente

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Affrontato tale rilievo, è opportuno ora analizzare il caso di limitata appellabilità

delle sentenze di proscioglimento: infatti, la nuova norma non ha completamente

rimosso il potere di appello di imputato e pubblico ministero avverso la

pronuncia proscioglitiva, potendo le parti proporre appello nell’ipotesi prevista

ex art. 603 comma 2, «se la prova nuova è decisiva». La norma stabilisce, poi,

che è il giudice in via preliminare a decidere se disporre o meno la rinnovazione

istruttoria e, se la sua delibazione è negativa, a pronunciare con ordinanza

l’inammissibilità dell’appello; entro 45 giorni dalla notifica dell’ordinanza, le

parti potranno proporre ricorso in Cassazione contro tale provvedimento o

avverso la sentenza di primo grado.

Tre le criticità da analizzare di questo nuovo comma 2 dell’art. 5 3 del codice di

rito: il concetto di “novità” della prova; il requisito della “decisività” della stessa;

l’esatta procedura che deve preliminarmente eseguire l’organo giudicante.

In primo luogo, l’espresso riferimento normativo all’art. 6 3 comma 2 c. p. p.

sembra non lasciare dubbi in merito alla natura delle prove nuove, che sono tali

solo se sopravvenute o scoperte: per la giurisprudenza di legittimità, questa

novità è da determinarsi su base esclusivamente “cronologica”, essendo nuove le

prove di cui le parti abbiano avuto conoscenza solo dopo «la pronuncia della

sentenza di primo grado»183. C’è chi non ha mancato di sottolineare come questa

disposizione accentui l’onere per il pubblico ministero di svolgere altre indagini

complete ed in un termine ragionevole184

. Si è inoltre discusso in dottrina in

merito all’ampiezza del concetto di prova nuova: ci si è chiesti se fossero

ricomprese anche quelle prove che non fossero state assunte per mancata

allegazione o perché il giudice di primo grado le avesse ritenute irrilevanti o

col nuovo sistema, per cui è impossibile ritenere che una condanna pronunciata per la prima volta in

appello possa essere «al di là di ogni ragionevole dubbio». 183

A. MARANDOLA, Nuovo regime dei casi d’appello, op. cit., p. 132, dove richiama Cass. Sez III, 21

ottobre 1993, Bavagnoli, in Archivio della nuova procedura penale, 1944, 244. La norma parla

genericamente di giudizio di primo grado come estremo temporale, la giurisprudenza fa coincidere il

momento con la pronuncia della relativa sentenza. 184

A. BARGI, I nuovi ambiti oggettivi delle impugnazioni, op. cit., p. 162, che però aggiunge: «in tal modo

risultano scongiurati pretestuosi appelli volti a mantenere in vita processi di per sé afflittivi, affidati alla

casualità di un’eventuale riforma, a seguito della rivisitazione meramente cartolare di una decisione di

proscioglimento assunta anche dopo lunghissimi tempi di acquisizione della prova nel contraddittorio

delle parti e nel rispetto del principio di oralità e immediatezza.»

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inammissibili. Infatti, la disciplina del novum probatorio nell’ art. 5 3 comma 2

c. p. p non ha come scopo la esclusiva tutela del diritto alla prova- così invece

tutte le ipotesi del 603 c. p. p.- ma è da associare maggiormente a quei casi in cui

la prova sopravvenuta provoca una nuova pronuncia nel merito, dopo un

precedente decisum: è simile, in sostanza, ad istituti quali la revoca della

sentenza di non luogo a procedere o la revisione185

. In rapporto alla revisione ex

art. 630 c. p. p. la giurisprudenza di legittimità ha inteso il requisito di novità in

maniera estensiva, facendovi addirittura rientrare le prove acquisite e non

valutate186

. Se questo ampliamento della nozione ha lo scopo di aumentare le

garanzie per l’imputato, al medesimo scopo il requisito di novità dovrà essere

interpretato in maniera speculare e restrittiva per l’art. 5 3 comma 2 c. p. p.;

infatti, l’intento della riforma era proprio quello di aumentare le garanzie per

l’imputato, rafforzando la presunzione di non colpevolezza: dovrà così aderirsi

all’interpretazione che assegna rilevanza solo agli elementi rimasti effettivamente

ignoti fino alla sentenza di primo grado187

. In definitiva, si è esclusa qualsiasi

rilevanza di un recupero postumo della prova, considerando il concetto di novità

in senso esclusivamente oggettivo: se al contrario sarà avanzata una di queste

richieste, saranno le parti a dover sollevare la relativa eccezione188

.

L’esistenza del requisito di novità deve accompagnarsi alla decisività della

prova: questo concetto è noto nel processo penale, in quanto richiamato da altri

importanti norme, come l’art. 422 c. p. p. in materia di udienza preliminare e

l’art. 6 6 comma lett. d. Per interpretare il concetto di decisività si deve

185

A. PRESUTTI, L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento tra regola ed eccezione, op. cit., p.73.

Gli artt. 434 e 630 c. p. p. perseguono esiti ben precisi: rispettivamente, rinvio a giudizio e al

proscioglimento. Al contrario, la limitata appellabilità del proscioglimento in caso di prove nuove

decisive non tende ad uno specifico risultato: per questa ragione non si può uniformare la stessa nozione

di novum probatorio a tutti e tre gli istituti. 186

Cass. Sez. Un., 26 settembre 2001, Pisano in Cassazione Penale, 2002, p. 1979. 187

A. PRESUTTI, L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento tra regola ed eccezione, op. cit.,

p.73ss., per cui avvalora questa interpretazione il dato letterale dell’art. 5 3 comma 2 c. p. p. che non

richiami espressamente all’art. 6 3 comma c. p. p., che si riferisce alle prove preesistenti e note alle

parti. 188

A. MARANDOLA, Nuovo regime dei casi d’appello, op. cit., p. 132, che però mette in guardia da taluni

problemi di natura “pratica” in materia di assunzione probatoria: ad esempio, è da considerare nuova la

prova già assunta in primo grado ma dal contenuto totalmente diverso a quello già offerto? Sarà

l’esperienza pratica associata al rispetto dell’”ideologia” della riforma a fungere da criterio dirimente per

il giudice.

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76

confrontare l’interpretazione dello stesso in tali istituti: ai fini del ricorso in

Cassazione, è considerata decisiva la prova capace di «incidere in modo

significativo sul procedimento decisionale seguito dal giudice e di determinare,

di conseguenza, una differente valutazione complessiva dei fatti e portare in

concreto ad una decisione diversa»189

.

Inoltre, in questo caso - come per il requisito della novità - lo scopo del 606

comma 1 lett. d c. p. p. è quello di garantire il diritto alla prova, mentre quello

dell’art. 422 c. p. p. è garantire l’efficienza del processo e la sua ragionevole

durata: entrambe finalità diverse da quelle dell’innovato art. 5 3 comma 2 c. p. p.

È dunque più giusto considerare il requisito della decisività alla stregua della già

richiamata finalità della riforma: si pone in discussione una sentenza di

proscioglimento, nel rispetto dell’art. 27 comma 2 - anche alla luce del nuovo art.

533 c. p. p. - solo eccezionalmente, quindi solo se sussiste una elevata probabilità

di pervenire ad una decisione diversa190

. Stante la sua collocazione, successiva

all’assunzione delle prove in primo grado e anteriore alla concreta istruzione nel

giudizio di seconde cure, la nozione di decisività richiede un quid pluris rispetto

ai consueti canoni di rilevanza e non superfluità, consistente nella “prova di

resistenza” cui il giudice sottopone la sentenza di primo grado: se l’ordito del

mosaico giudiziale rimane immutato», respinge la richiesta; se invece la prova è

in grado di sovvertire il valore degli elementi probatori precedentemente

acquisiti, la verifica della decisività sarà positiva191

.

Il vaglio di ammissibilità che il giudice è chiamato a compiere rispetto alla nuova

prova decisiva rappresenta un modulo procedurale particolare, in quanto non è

specificamente descritto dalla norma né rientra in maniera piena e definita nelle

189

Cass. Sez. VI, 24 Giugno 2003, Sangalli in C. E. D., n. 226326. 190

A. PRESUTTI, L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento tra regola ed eccezione, op. cit.,

p.76. 191

A. MARANDOLA, Nuovo regime dei casi d’appello, op. cit., p. 134, F. CAPRIOLI, op. cit.. che afferma:

«Nel valutare la decisività del novum probatorio, la corte d’appello dovrà necessariamente adottare il

punto di vista del primo giudice (se cos non fosse, l’istanza di rinnovazione potrebbe essere

paradossalmente rigettata, per assenza di «decisività», anche laddove le prove acquisite in primo

grado fossero già sufficienti, a giudizio della corte, per la pronuncia di una sentenza di condanna); ma una

volta dichiarato ammissibile l’appello, il giudice di secondo grado, nel decidere se confermare o annullare

la sentenza impugnata, dovrebbe senz’altro recuperare la pienezza dei suoi poteri valutativi e decisionali.»

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maglie di tutti gli altri requisiti di ammissibilità. La stessa proposizione

dell’appello deve avvenire nei tempi e nei modi previsti dall’art. 585 c. p. p.,

realizzando due conseguenze fondamentali: da una parte, l’appellante dovrà

addurre il novum nell’iniziale richiesta di appello, visto che la regola del 5 3

comma 2 c. p. p. non rappresenta un’ulteriore ipotesi di nuova istruzione in

dibattimento ex 603 c. p. p., ma un vero e proprio presupposto d’introduzione del

rito; egli potrà devolvere al giudice il vaglio preliminare della nuova prova

decisiva solo con la richiesta d’appello e non coi motivi nuovi ex 585 comma 4 c.

p. p., potendo con questi esclusivamente integrare quanto già richiesto. Dall’altra,

si riduce di molto la rilevanza di questa eccezionale appellabilità, visti i termini

brevi entro cui potrà essere scoperta o sopravvenire la nuova prova, ossia nel

termine previsto per proporre appello ex 585 c. p. p.

Il vaglio di ammissibilità dell’appello della sentenza di proscioglimento consiste

nella delibazione del giudice di seconde cure, inteso come organo collegiale: la

legge non descrive quale protocollo l’organo giudicante debba adottare per

giungere a tale decisione «in via preliminare». In questi termini, si ritiene che

tale valutazione sia antecedente a tutte le altre, intervenendo in maniera

“pregiudiziale” ed inserendosi come condizione speciale di ammissibilità

dell’appello della sentenza di proscioglimento, a cui seguirà la valutazione di

tutti gli altri presupposti individuati dall’art. 5 c. p. p.192

Sebbene le modalità del vaglio e la sua collocazione temporale facciano

propendere per un giudizio de plano che si concluda con un’ordinanza, la

dottrina ritiene che le peculiarità dell’accertamento preliminare e la sua

importanza “meritino” un’udienza nel contraddittorio tra le parti193

.

192

A. PRESUTTI , L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento tra regola ed eccezione, op. cit., p.81,

per cui questa speciale ammissibilità potrà essere dichiarata solo in via preliminare e non in ogni stato e

grado del processo. Contra A. MARANDOLA, Nuovo regime dei casi d’appello, op. cit., p. 137, per cui

valgono i principi generali. 193

A. MARANDOLA, Nuovo regime dei casi d’appello, op. cit., p. 134; A. PRESUTTI, L’inappellabilità delle

sentenze di proscioglimento tra regola ed eccezione, op. cit., p.82, A. SCALFATI, op. cit., . G. GARUTI- G.

DEAN, I nuovi ambiti soggettivi della facoltà di impugnare, op. cit., p. 138; G. FRIGO, Un intervento

coerente con il sistema, op. cit.

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Dichiarata l’inammissibilità, l’appellante potrà ricorrere in Cassazione entro 45

giorni dalla pronuncia dell’ordinanza motivata, impugnando quest’ultima o,

contestualmente, la sentenza di primo grado: questa previsione rappresenta un

unicum nel nostro ordinamento.

Come accennato in precedenza, questa parziale appellabilità non si estende

all’art. 443 comma c. p. p. in materia di giudizio abbreviato, né alle sentenze

pronunciate dal Giudice di pace, art. 36 del D. Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, in

applicazione dei principi di lex specialis e di tassatività dei mezzi di

impugnazione ex art. 568 comma 3 c. p. p.194

La limitata appellabilità della sentenza di proscioglimento sembra dunque essere

un’eccezione dall’applicazione piuttosto risicata, dato il limite stringente

rappresentato dai brevi estremi temporali; tuttavia, una certa dottrina ha

evidenziato come tale previsione sconfessi uno degli obiettivi fondamentali che

la novella del 2006 si era prefissato: evitare che il proscioglimento pronunciato in

primo grado si trasformi in sentenza di condanna nel giudizio di seconde cure,

senza dare all’imputato la possibilità di difendersi nel merito195

. Sebbene solo in

presenza di prova nuova decisiva, il pubblico ministero potrà appellare la

sentenza proscioglitiva ed ottenere una condanna, senza che sia garantito

all’imputato il diritto al doppio grado di giudizio nel merito196

: infatti, nel

momento in cui non si esclude il patrimonio conoscitivo ottenuto dal giudice di

primo grado, ma si ritiene la prova nuova solo un quid pluris, non si possono

considerare pienamente rispettati nella rinnovata istruzione i principi di oralità e

immediatezza e, mediatamente, del contraddittorio197

.

Alla luce di ciò, ci si è ancor più interrogati sull’opportunità di un provvedimento

che, non solo si sta dimostrando frettoloso e “squilibrato”, ma anche inadatto a

raggiungere i suoi scopi precisi.

194

Cfr. nota 144. 195

R. E. KOSTORIS, Le modifiche al codice di procedura penale in tema di appello e di ricorso per

cassazione introdotte dalla c. d. “legge Pecorella”, in Rivista di diritto e processo, 2006, p. 637. 196

A. PRESUTTI, L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento tra regola ed eccezione, op. cit., p. 197

C. CONTI, Al di là del ragionevole dubbio, op. cit., p. 108.

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79

§3. Segue: Il meccanismo di conversione del ricorso per Cassazione in

appello ex art. 580 c. p. p.

L’istituto della conversione in appello del ricorso in Cassazione è strumento

giuridico collaudato all’interno del nostro ordinamento: prevedendo sin dal

Codice del 1930 la possibilità di riunire in un unico giudizio le differenti

impugnazioni proposte avverso la medesima pronuncia, il legislatore ha mirato a

ridurre la proliferazione dei giudizi di controllo. In questo modo si sarebbe

garantita l’unità del procedimento in ogni grado di giudizio, evitando in tal modo

eventuali contrasti di giudicato e, soprattutto, contenendo i costi di

amministrazione della giustizia e rispettando il principio di ragionevole durata

del processo, entrato nelle maglie costituzionali ex art. 111 comma 2 Cost.198

.

Un esame di tale meccanismo, di cui oggi all’art. 58 c. p. p., è opportuno sotto

due diversi aspetti, legati tra loro: da un lato, si devono approfondire le ricadute

che la conversione del ricorso in appello ha sul principale scopo della novella del

2006, cioè evitare che un soggetto prosciolto sia condannato per la prima volta in

appello; dall’altro, occorre stabilire in che modo ha influito la contemporanea

modifica dello stesso art. 58 c. p. p., operata dall’art. 7 della Legge 20 febbraio

2006, n. 46.

In prima istanza, si rammenti che l’originario disposto dell’art. 58 c. p. p.

prevedeva in via generica che quando «contro la stessa sentenza sono proposti

mezzi di impugnazione diversi, il ricorso per cassazione si converte

nell’appello»199

: questa formulazione consente di ritenere che la conversione

operasse, prima della novella del 2006, sia in caso di sentenza cumulativa – unico

procedimento con più imputati, unico processo con un solo imputato ma accusato

di più reati – sia pin caso di sentenza con unico capo di imputazione impugnata

198

F. M. IACOVIELLO, Conversione anche per i ricorsi del pubblico ministero, in Guida al diritto, 2006

(10), p. 83, per cui se alla duplicazione dei giudizi e al rischio di contrasto di giudicati può in ogni caso

porre riparo la Suprema Corte, sarebbe irrimediabile lo spreco di energie processuali impiegate per

svolgere separatamente due giudizi di impugnazione inerenti la stessa decisione. 199

D. CENCI, La conversione dei mezzi di impugnazione, in A. GAITO, Le impugnazioni penali,

Giappichelli, 1998, p. 271 spiega come la scelta di convertire i diversi mezzi proposti in appello sia

dipesa dalla volontà di assegnare il giudizio ad un giudice «funzionalmente superiore», in grado di

conoscere sia delle questioni di fatto che di diritto e dalla «preferenza ordina mentale per lo strumento a

critica libera piuttosto che quello a critica vincolata».

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80

con mezzi eterogenei dalle diverse parti200

. Inoltre, il disposto dell’art. 58 c. p.

p. aveva importanti ricadute anche nella materia dei procedimenti speciali, le cui

impugnazioni sono ampiamente ridotte, con chiaro intento deflativo, per le parti

del procedimento: si veda, prima della riforma del 2006, la riduzione del potere

d’appello del pubblico ministero avverso la sentenza di condanna pronunciata

all’esito del rito abbreviato, appellabile ex art. 443 comma 3 c. p. p. per la parte

pubblica solo nell’ipotesi di modifica del titolo di reato; oppure l’esclusione del

potere d’appello dell’imputato nel caso di applicazione della pena su richiesta

delle parti, appellabile ex art. 448 comma 2 solo dal pubblico ministero

“dissenziente”. Nei rispettivi casi, il pubblico ministero e l’imputato non

potevano che proporre ricorso per Cassazione, a fronte del diritto ad appellare

dell’altra parte, rimasto intatto: la Corte di Cassazione si è pronunciata in materia

riconoscendo la generale operatività dell’art. 58 c. p. p. rispetto alla norma

speciale dell’art. 443 c. p. p., nel caso del ricorso in Cassazione del pubblico

ministero avverso la sentenza di condanna pronunciata all’esito del rito

abbreviato201

; al contrario, nel rapporto tra impugnazione del patteggiamento ex

art. 448 c. p. p. e conversione del ricorso in appello, la Corte ha ritenuto che

prevalesse la speciale disposizione in materia di applicazione della pena su

richiesta delle parti, piuttosto che l’art. 58 c. p. p.202

Questo differente trattamento di situazioni similari – ossia il rapporto tra norma

generale sulle impugnazioni e disciplina dei riti speciali – è stato un valido

argomento per la tesi, ad oggi minoritaria, di quella parte della dottrina che

considerava lesivo del principio di tassatività delle impugnazioni, di cui all’art.

568 c. p. p., l’indiscriminata conversione dei ricorsi in appello: laddove l’appello

fosse precluso dalla legge - come nel caso dell’appello del pubblico ministero

avverso la sentenza di condanna in rito abbreviato ex art. 443 c. p. p. – si riteneva

200

C. SANTORIELLO, La conversione dei mezzi di impugnazione, in A. GAITO (a cura di) La nuova

disciplina delle impugnazioni dopo la legge Pecorella, Utet, 2006, p. 186, che in questo senso ricorda

come l’originaria versione dell’art. 58 c. p. p. operasse anche nel caso di imputati giudicati

congiuntamente, senza che tra le loro connessioni vi fosse alcuna connessione o collegamento. 201

Cass. Sez. I, 1 Aprile 2003, Evangelista in Guida al diritto, 2003(43), p. 68. 202

Cass. Sez. V, 21 Febbraio 1992, in Giurisprudenza italiana, 1993(2), p. 372.

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81

che non potesse essere ammessa la conversione. Secondo questa tesi l’unica

conversione possibile era quella operante in caso di scelta autonoma della parte

che, legittimata a proporre entrambi i rimedi, avesse scelto di presentare ricorso

in Cassazione e si vedesse convertito lo stesso in appello203

.

Bisogna d’altro canto sottolineare come le Sezioni Unite avessero sancito che il

meccanismo di conversione, destinato esclusivamente ad evitare una

proliferazione dei giudizi di impugnazione, non permettesse di estendere

nuovamente il potere d’appello ai soggetti che ne sono privi, poich i contenuti

del ricorso convertito rimanevano ancorati ai motivi di legittimità204

. Unica

differenza con lo schema ordinario è che il giudice investito dell’appello e del

ricorso convertito debba decidere secondo le regole tipiche del giudizio di

secondo grado, non limitandosi al solo iudicium rescindens – proprio della

decisione della Corte di Cassazione verso un ricorso, cui poteva seguire il rinvio

al giudice di merito – ma operando anche il iudicium rescissorium, secondo le

disposizioni in materia d’appello205

: così, qualora il giudice riconoscesse

sussistente uno dei motivi presentati col ricorso convertito dovrebbe limitarsi ad

annullare la sentenza rinviandola al giudice di primo grado, ma deciderebbe

nuovamente nel merito, eccezion fatta per le ipotesi tassative dell’art. 6 4 c. p.

p.206

La tesi dottrinaria della conversione per le sole impugnazioni discrezionali è

dunque di difficile comprensione poiché, sulla base di tale pronuncia, il ricorso,

anche se convertito, continua ad essere preso in esame esclusivamente sulla base

dei motivi di legittimità; inoltre, se l’oggettiva inappellabilità della sentenza

impedisse di convertire un ricorso in appello, l’art. 58 c. p. p. non avrebbe

203 A. GAITO, Condanna a seguito di giudizio abbreviato e limiti all’appello del p. m., in Giurisprudenza

italiana, 1993 (2), p. 631 s., D. CENCI, La conversione dei mezzi di impugnazione, in A. GAITO, Le

impugnazioni penali, Giappichelli, 1998, p. 294, richiamata e sostenuta da C. SANTORIELLO, La

conversione dei mezzi di impugnazione, in A. GAITO (a cura di) La nuova disciplina delle impugnazioni

dopo la legge Pecorella, Utet, 2006, p. 193 s. 204

Cass. Sez. Un., 18 Giugno 1993, Rabiti, in Cassazione penale, 1994, p. 558. 205

Cass. Sez. VI, 4 Ottobre, 1999, Artuso, in C. E. D., n. 214893. 206

Cass. Sez. III, 18 Febbraio 2000, Naco in C. E. D., n. 216046.

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82

ragione d’esistere, in quanto svuotato di significato207

e privato di fatto della

finalità che ispirava la ratio della norma, ossia la riduzione della proliferazione

dei giudizi nella fase di impugnazione208

.

Alla luce di questi approdi giurisprudenziali e dottrinari, i promotori della

riforma avrebbero certamente dovuto calibrare la stessa con l’art. 58 c. p. p.: la

conversione in appello del ricorso in Cassazione, proposto dal pubblico ministero

avverso la sentenza di proscioglimento, avrebbe esposto in ogni caso l’imputato

al rischio di essere condannato per la prima volta in appello – rischio che la

regola dell’inappellabilità della sentenza di proscioglimento voleva evitare209

.

Cos , il legislatore del 2 6 ha deciso di introdurre nell’art. 7 della legge in

commento un «ritocco»210

dell’art. 58 c. p. p., per impedire la conversione

indiscriminata di tutti i ricorsi in appello: la nuova norma avrebbe previsto

l’impiego di tale meccanismo solo nel caso di connessione ex art. 12 c. p. p. tra i

reati oggetto del procedimento. Tale sbarramento, tuttavia, aveva una minima

incisione sulla mole di procedimenti oggettivamente e soggettivamente

cumulativi, considerato che la parte maggiore di essi si fonda su una delle tre

ipotesi di connessione di cui all’art. 2 c. p. p. – lett. a: concorso di persone nel

reato o cooperazione; lett. b: concorso formale di reati o “reato continuato”; lett.

c: reati diversi uniti dal c. d. “nesso teleologico” –; inoltre, nelle ipotesi espunte

attraverso tale novella si poteva comunque riscontrare la finalità originaria

dell’art. 58 c. p. p. - ossia evitare la proliferazione dei giudizi - come i casi in

cui la prova di un reato o di una sua circostanza influisce su un altro reato o

207

Secondo tale teoria, l’art. 58 c. p. p. sarebbe applicabile solo in caso di ricorso per saltum ex art. 569

c. p. p. Tale norma prevede infatti che un soggetto possa direttamente ricorrere in Cassazione, nonostante

sia legittimato anche ad appellare; l’art. 56 comma 2 c. p. p. stabilisce che il ricorso per saltum sia

convertito in appello ex art. 580 c. p. p., laddove un altro soggetto legittimato abbia proposto appello, a

meno che nel termine di 5 giorni dalla notificazione del ricorso l’appellante non vi rinunci per proporre

anch’egli ricorso in Cassazione. Se la conversione dovesse operare esclusivamente nell’ipotesi predetta,

non si spiegherebbe la previsione di tale meccanismo in una norma specifica, quale l’art. 58 c. p. p., e

non nell’art. 56 c. p. p. 208

M. BARGIS, Il “ritocco” all’art. 580 c. p. p. e le sue poliformi ricadute, in M. BARGIS – H. BELLUTA,

Impugnazioni penali. Assestamenti del sistema e prospettive di riforma, Giappichelli, 2013, p. 41. 209

M. BARGIS, Il “ritocco” all’art. 580 c. p. p. e le sue poliformi ricadute, in M. BARGIS – H. BELLUTA,

Impugnazioni penali. Assestamenti del sistema e prospettive di riforma, Giappichelli, 2013, p. 42. 210 Termine utilizzato da M. BARGIS, Il “ritocco” all’art. 580 c. p. p. e le sue poliformi ricadute, op. cit.,

p. 29 ss.

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circostanza oppure i casi di reati commessi da più persone in danno reciproco gli

uni degli altri211

.

Così, a fronte di un procedimento con un solo imputato condannato per più reati

connessi ex art. 12 lett. b o lett. c, l’eterogeneità delle pronunce sui diversi capi –

proscioglimento per un reato, condanna per l’altro – consentirebbe al pubblico

ministero, in caso di appello del capo di condanna da parte dello stesso o

dell’imputato, di ricorrere contro il capo che abbia disposto il proscioglimento,

ottenendone poi la conversione. Lo stesso escamotage sarebbe percorribile in

caso di sentenza soggettivamente cumulativa, che si fosse pronunciata nei

confronti di più soggetti imputati per reati connessi ex art. 12 lett. a o lett. c.: il

pubblico ministero potrebbe ricorrere nei confronti del soggetto prosciolto,

ottenendo la conversione sia quando l’altro soggetto condannato avesse proposto

appello, che proponendo egli stesso appello nei confronti di quest’ultimo.

È dunque manifesto come nemmeno la modifica del 580 c. p. p. sia riuscita ad

impedire che un soggetto sottoposto a giudizio rischi di essere condannato per la

prima volta in appello, senza avere accesso ad un ulteriore grado di merito per

difendersi212

: che la condanna derivi dall’accoglimento di uno dei motivi di

ricorso o dall’impiego dello strumento “a critica libera” dell’appello, il risultato è

il medesimo. Infatti, per poter mantenere intatta la portata del nuovo art. 593 c. p.

p. – art. 443 comma 1 c. p. p. - , bisognerebbe considerare “convertibile” solo il

ricorso frutto della scelta discrezionale della parte, aderendo alla tesi che esclude

l’applicazione dell’art. 58 c. p. p. per le ipotesi di inappellabilità oggettiva della

sentenza, in quanto lesiva del principio di tassatività delle impugnazioni213

.

L’adesione a tale tesi minoritaria soprarichiamata avrebbe però causato le

incongruenze e le aporie descritte in precedenza.

211

M. BARGIS, Il “ritocco” all’art. 580 c. p. p. e le sue poliformi ricadute, op. cit., p. 44 , F. CAPRIOLI, I

nuovi limiti all’appellabilità delle sentenze di proscioglimento tra diritti dell’individuo e «parità delle

armi», in Giurisprudenza Italiana, 2007 (1). 212

R. E. KOSTORIS, Le modifiche al codice di procedura penale in tema di appello e di ricorso per

cassazione introdotte dalla c. d. “legge Pecorella”, in Rivista di diritto e processo, 2006, p. 637 213

Cfr. nota 199.

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84

In conclusione, si palesa anche in tale ambito il difetto di coerenza e, in questo

caso, di funzionalità della riforma della Legge 20 febbraio 2006, n. 46, che, pur

nel perseguimento di finalità garantistiche, non solo ha eccessivamente

sbilanciato i poteri processuali delle parti214

, ma non è altresì stata in grado di

realizzare appieno i propri propositi.

214

Come ha accertato la sentenza Corte Cost. 26/2007; ex pluris cfr. capitolo terzo §1.

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85

§4. L’inappellabilità della sentenza di non luogo a procedere.

Il terzo istituto ad essere colpito dalla nuova regola dell’inappellabilità della

sentenza di proscioglimento è stato quello della sentenza di non luogo a

procedere, pronunciata ex art. 425 c. p. p. all’esito dell’udienza preliminare, nel

momento di verifica dell’idoneità degli elementi probatori a sostenere l’accusa in

giudizio: dopo la pronuncia di primo grado all’esito del dibattimento- art. 593

comma 2- e il provvedimento giudiziale conclusivo del rito abbreviato- art. 443

comma 1-, è il momento di analizzare la riforma dell’art. 428 c. p. p., come

operata dall’art. 4 della Legge 2 febbraio 2 6, n. 46.

Anch’esso è stato oggetto delle considerazioni da parte del Presidente della

Repubblica in sede di rinvio del primo testo di legge approvato dalle Camere,

avendone il Capo dello Stato censurato il rischio di allungamento dei tempi

processuali- lesione della ragionevole durata del processo- e il sovraccarico di

lavoro per la Corte di Cassazione. Tuttavia, la versione definitiva non ha previsto

modifica alcuna a fronte di questi rilievi.

È opportuno analizzare la disciplina previgente alla riforma, prima di descrivere

il contenuto di quest’ultima: il legislatore del 88 aveva originariamente

previsto, accanto alla revoca, l’istituto dell’appello e del ricorso in Cassazione

anche per la sentenza di non luogo a procedere. Soggetti legittimati erano il

Procuratore Generale, il Procuratore della Repubblica e l’imputato, essendo a

quest’ultimo impedito di proporre appello esclusivamente perch il fatto non

sussiste o per non averlo commesso. Parte civile eventualmente costituita,

persona offesa ed ente rappresentativo di interessi lesi dal reato non erano

legittimati ad impugnare autonomamente, ma potevano esclusivamente

sollecitare l’organo di pubblica accusa ad impugnare la sentenza ad ogni effetto

penale, come previsto dall’art. 572 c. p. p. in via generale. Solo la persona offesa

era legittimata a ricorrere in Cassazione nel caso di omessa o tardiva

notificazione dell’avviso di ora, giorno e luogo dell’udienza preliminare e alla

richiesta di rinvio a giudizio, ex art. 419 comma 7 c. p. p.

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Si estendeva la regola dell’inappellabilità delle sentenze di condanna

all’ammenda o a pena alternativa ex art. 593 comma 3 c. p. p. - che potevano

sempre essere oggetto di ricorso in Cassazione da parte dei medesimi soggetti

legittimati; era invece discussa l’applicazione dell’appello incidentale: alcuni

ritenevano l’art. 5 5 c. p. p. una norma generale, quindi estensibile anche

all’impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, altri invece

consideravano il rimando dell’art. 5 5 comma 3 c. p. p. all’art. 5 7 comma 2 c.

p. p., che fa riferimento ai poteri decisori del giudice d’appello solo rispetto alle

sentenze pronunciate in giudizio, ostativo all’applicazione della norma anche

all’ipotesi specifica. Relativamente al protocollo procedurale, l’appello della

sentenza di non luogo a procedere, pur rimanendo appannaggio del medesimo

giudice d’appello individuato per le sentenze dibattimentali, si celebrava secondo

la procedura in camera di consiglio nel contradditorio delle parti, come sancito

dall’art. 27 c. p. p. Gli esiti del giudizio erano diversi a seconda dell’appellante:

nel caso del pubblico ministero, il giudice poteva eventualmente pronunciare

sentenza di non luogo a procedere che proscioglieva con formula meno

favorevole oppure decreto che dispone il giudizio. Al contrario, in applicazione

del divieto di reformatio in peius, all’appello dell’imputato seguiva o la conferma

della pronuncia o una nuova sentenza di non luogo con formula proscioglitiva

più favorevole. Terminato il grado d’appello, proposto ricorso per Cassazione la

Corte decideva in camera di consiglio non partecipata ex art. 611 c. p. p.215

Tracciato questo quadro riassuntivo della disciplina previgente, si può concludere

che il sistema antecedente alla riforma fosse orientato ad un’ ampia giustiziabilità

della pronuncia conclusiva dell’udienza preliminare216

.

La nuova disciplina dell’art. 428 c. p. p., invece, prevede esclusivamente il

ricorso in Cassazione avverso la sentenza che chiude l’udienza preliminare:

215

G. GARUTI, Mezzi di critica e strumenti di controllo della sentenza di non luogo a procedere, in A.

SCALFATI, Novità su impugnazioni penali e regole di giudizio, Ipsoa, 2006, p. 65 ss., cui si deve

quest’excursus riassuntivo. 216

H. BELLUTA, Ripensamenti sulla “giustiziabilità” della sentenza di non luogo a procedere, in M.

BARGIS- F. CAPRIOLI (a cura di), Impugnazioni e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006, p.

118.

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87

soggetti legittimati sono il Procuratore Generale, il Procuratore della Repubblica

e l’imputato. Quest’ultimo, in particolare, subisce una incomprensibile esclusione

del suo diritto d’appello avverso la sentenza di non luogo a procedere: in dottrina

si è evidenziato come l’istituto in esame fornisse all’imputato talune importanti

garanzie, come quella di ottenere una pronuncia proscioglitiva più favorevole

oppure la possibilità di vedere revocata, per l’imputato, la confisca disposta ex

art. 425 comma 4 c. p. p.217

.

La novità più importante inerente la legittimazione soggettiva riguarda, però, la

parte civile: la nuova norma, da una parte, riporta il diritto di ricorrere in

Cassazione per la persona offesa nell’ipotesi di mancata notificazione ex art. 419

comma 7 c. p. p.; dall’altra, legittima ad impugnare anche la persona offesa che

si sia costituita parte civile, la quale non deve esclusivamente sollecitare la parte

pubblica ex art. 572 c. p. p., come nella disciplina previgente.

Bisogna, quindi, indagare le ragioni di una novella mirata ad escludere l’appello

avverso la pronuncia di non luogo a procedere: sebbene l’istituto disciplinato dal

previgente art. 428 c. p. p. risultasse scarsamente applicato, pare più opportuno

ritenere che l’intento della riforma fosse il medesimo dell’esclusione dell’appello

della parte pubblica per le altre pronunce di proscioglimento; tuttavia l’identità

tra sentenza di non luogo a procedere e sentenza di proscioglimento

dibattimentale o all’esito del rito abbreviato è puramente formale218

.

Infatti, la giurisprudenza di legittimità è stata sempre chiara nell’assegnare alla

sentenza di non luogo a procedere un accertamento di natura esclusivamente

processuale e non di merito: non essendo - nel modello processuale di

“investigazione preliminare” - i risultati delle indagini tendenzialmente in grado

di fungere da prova per accertare la colpevolezza dell’imputato, l’udienza

preliminare non può consentire di decidere nel merito sul thema decidendum, ma

217

M. DANIELE, Profili sistematici della sentenza di non luogo a procedere, Giappichelli , 2005, p. 133

ss.; G. GARUTI, Mezzi di critica e strumenti di controllo della sentenza di non luogo a procedere, op. cit.,

p. 72, il quale ritiene, inoltre, che l’appello della sentenza di non luogo a procedere previsto per

l’imputato riequilibrasse la sua posizione rispetto al pubblico ministero, visto che la revoca della

pronuncia ex art. 434 c. p. p. può essere esclusivamente richiesta da quest’ultimo. 218

H. BELLUTA, Ripensamenti sulla “giustiziabilità” della sentenza di non luogo a procedere, op. cit., p.

128

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88

al più può fungere da filtro per le imputazioni “deboli”219

. Bisogna altresì rilevare

che la riforma dell’udienza preliminare attuata con la Legge 6 dicembre ,

n. 479 ha modificato lo schema procedurale di tale fase, estendendo i poteri del

giudice in materia di istruzione probatoria e ampliando la portata del materiale

cognitivo a sua disposizione: l’introduzione dell’art. 42 bis c. p. p. attribuisce al

giudice dell’udienza preliminare il potere di richiedere un’integrazione delle

indagini, in maniera tale da avere un quadro investigativo più completo su cui

fondare la propria decisione; inoltre, l’art. 422 c. p. p. consente al medesimo

giudice di assumere d’ufficio determinate prove, laddove siano decisive per

pronunciare una sentenza di non luogo a procedere; in ultimo, la novella relativa

all’introduzione delle investigazioni difensive arricchisce il materiale a

disposizione del giudice, di cui fanno parte anche gli elementi probatori prodotti

dalle difese delle parti ai sensi dell’art. 3 - octies c. p. p.

Anche rispetto alle pronunce conclusive dell’udienza preliminare, la novella

sopracitata ha esteso la portata delle valutazioni del giudice: l’art. 425 comma 3

c. p. p. permette al giudice di pronunciare sentenza di non luogo a procedere

«anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o

comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio», ponendosi in stretta

correlazione con le norma relativa agli esiti assolutori del dibattimento, di cui

all’art. 53 comma 2 c. p. p., e alla disposizione dell’art. 25 disp. att. in materia

di archiviazione220

. La modifica dell’art. 425 comma 3 c. p. p. ha generato un

acceso dibattito, che ha diviso la dottrina in due schieramenti: da un lato, chi

ritiene che la possibilità di pronunciare sentenza di non luogo a procedere per

insufficienza, contraddittorietà o non idoneità degli elementi probatori equipari

questa decisione al medesimo vaglio operato dal giudice del dibattimento,

219

H. BELLUTA, Ripensamenti sulla “giustiziabilità” della sentenza di non luogo a procedere, op. cit., p.

120. 220

A. P. CASATI, L’udienza preliminare come giudizio «di» merito, in Cassazione Penale, 2003(11), p.

3368 ss.

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89

inerente il merito della causa221

. Dall’altro, l’interpretazione più accreditata della

norma in commento considera la valutazione di cui all’art. 425 comma 3 c. p. p.

un vero e proprio giudizio prognostico, che il giudice dell’udienza preliminare

deve compiere per stabilire se il dibattimento possa rivelarsi utile a diradare i

dubbi emersi in sede di udienza preliminare – disponendo in questo caso il rinvio

a giudizio – oppure no – pronunciando in tal caso sentenza di non luogo a

procedere - 222

.

Sulla base di questa innovata architettura dell’udienza preliminare e dei

sopracitati rilievi, dottrina e giurisprudenza – con l’intervento della Corte

Costituzionale – si sono interrogate sull’effettiva evoluzione della natura di

questa udienza: secondo un primo orientamento, l’udienza preliminare aveva

perso la mera funzione di controllo sull’idoneità dell’accusa a essere sostenuta in

giudizio, mutando in un accertamento sul merito, ossia diretto a vagliare la

colpevolezza o l’innocenza dell’imputato223

.

221

E. AMODIO, Lineamenti delle riforma, in AA. VV., Giudice unico e garanzie difensive, Giuffrè, 2000,

p. 24; N. GALANTINI, La nuova udienza preliminare, in AA. VV., Giudice unico e garanzie difensive,

Giuffrè, 2000, p. 101, L. CUOMO, Udienza preliminare, Cedam, 2001, p. 136. 222

A. NAPPI, Guida al codice di procedura penale, Giuffrè, 2001, p. 353, L. BRICHETTI, Chiusura delle

indagini preliminari e udienza preliminare, in AA. VV., Il nuovo processo penale davanti al giudice

unico, Giuffrè, 2000, p. 134. A. P. CASATI, L’udienza preliminare come giudizio «di» merito, in

Cassazione Penale, 2003(11), p. 3368 ss. afferma inoltre che il nuovo art. 425 comma 3 c. p. p. sembra

essersi limitato a recepire l’orientamento giurisprudenziale (emerso dopo l’eliminazione del termine

“evidente” dall’art. 425 c. p. p. ad opera della L. 1993, n. 105) di Cass. Sez. I, 18 novembre 1998,

Gabriele e altro, in Cassazione Penale, 1999, p. 3544, secondo cui l'arresto del processo sarebbe

consentito non solo in presenza di prove di innocenza o in assoluta mancanza di prove a carico, ma anche

nell'ipotesi di « insufficienza o contraddittorietà della prova di colpevolezza, a condizione che essa non

appaia integrabile nella successiva fase del dibattimento ». D’altro canto, in Cass. Sez. III, 8 novembre

1996, Tani, in Cassazione Penale, 1998, p. 610, la Corte afferma che il rinvio a giudizio sarebbe

ammesso in presenza « di fonti o elementi di prova, pur se contraddittori o insufficienti, che si prestino,

secondo una valutazione prognostica, a “soluzioni aperte”, cioè ad integrazioni probatorie ovvero ad

ulteriori chiarimenti in sede dibattimentale». 223

Corte Cost. n. 335/2002 con nota di A. M. CAPITTA, Nuova fisionomia dell’udienza preliminare e

tutela dell’imparzialità del g. u. p., in Cassazione penale, 2003(11), p. 3357 ss. La Corte Costituzionale

ha affrontato la questione dell’incompatibilità - ex art. 34 c. p. p. - a tenere l’udienza preliminare da parte

del giudice che, nel medesimo procedimento, sugli stessi fatti e avverso gli stessi imputati, avesse già

disposto decreto di rinvio a giudizio, poi annullato in sede dibattimentale. Occorre rilevare in questa sede

che la Corte Costituzionale ha fondato le proprie determinazioni sul presupposto che l’udienza

preliminare avesse mutato la propria natura: per il Giudice delle Leggi, in tale fase si opera una

«valutazione di merito sulla consistenza dell'accusa », realizzando il giudice «un apprezzamento del

merito, ormai privo di quei caratteri di 'sommarietà' che prima della riforma [...] erano tipici di una

decisione orientata soltanto, secondo la sua natura, allo svolgimento del processo». In questo senso, anche

l’udienza preliminare rientra tra quei giudizi che possono influenzarne altri successivi ed essere

influenzati da altri anteriori: «ne scaturisce così il consolidamento di un indirizzo interpretativo in forza

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Nonostante gli approdi giurisprudenziali non siano univoci, sembra condivisibile

sul piano logico e sistematico l’altro parallelo orientamento, sostenuto da chi

ritiene eccessivo assegnare alla nuova udienza preliminare la natura di giudizio di

merito, nonostante l’ampliamento del quadro probatorio e della cognizione del

giudice224

; per poter affermare pienamente che in questa fase si realizzi un

giudizio sul merito, la decisione dovrebbe sciogliere l’alternativa tra assoluzione

e condanna: decisione che, in questi senso, rimane preclusa225

. Infatti, «la natura

di rito o di merito di una decisione giurisdizionale non dipende dall'estensione

dei poteri istruttori o cognitivi del giudice, ma dall'oggetto del giudizio»226

: si

può al più sostenere che le modifiche introdotte dalla Legge 16 dicembre 1999, n.

del quale le decisioni che concludono l'udienza preliminare, per la pregnanza dei loro contenuti, sono

ormai equiparabili alle valutazioni proprie di altri momenti processuali che il legislatore, nel redigere l'art.

34 c. p. p., ha ritenuto idonei a configurare una situazione di incompatibilità». 224

Corte Cost. ord. n. 185/2001 in www.cortecostituzionale.it, continuando tale filone giurisprudenziale a

ritenere che la pronuncia conclusiva dell’udienza preliminare sia unicamente tesa a regolare l’iter del

processo e non ad incidere sul merito della regiudicanda. A. M. CAPITTA, Nuova fisionomia dell’udienza

preliminare e tutela dell’imparzialità del g. u. p., in Cassazione penale, 2003(11), p. 3357 ss., segnala

rispetto a questa pronuncia che se «si tratta di definire in via generale il ruolo del g.u.p. e la portata della

regola di giudizio per la sentenza di non luogo a procedere, la giurisprudenza è ancora molto restia ad

affermare che la nuova formula di proscioglimento in udienza preliminare sia assimilabile a quella

prevista dall'art. 530 comma 2 c.p.p. per la fase del giudizio». 225

L. BRICHETTI- R. PISTORELLI, La sentenza liberatoria va in Cassazione, in Guida al diritto, 2006(10),

p. 67 ss., per i quali «la sentenza di non luogo a procedere è una sentenza meramente processuale che

accerta soltanto la necessità o meno di passare alla fase dibattimentale», gli autori sostengono tale

posizione richiamando espressamente Cass. Sez. Un. 26 Novemebre 2002, Vottari in Guida al diritto,

2003(5), p. 91, secondo cui: «l'obiettivo arricchimento, qualitativo e quantitativo, dell'orizzonte

prospettico del giudice dell'udienza preliminare [...] non attribuisce [...] allo stesso il potere di giudicare in

termini di anticipata verifica della innocenza/colpevolezza dell'imputato, poiché la valutazione critica di

sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità degli elementi probatori [...] è sempre e

comunque diretta a determinare, all'esito di una delibazione di tipo prognostico, divenuta oggi più stabile

per la tendenziale completezza delle indagini, la sostenibilità dell'accusa in giudizio e, con essa,

l'effettiva, potenziale, utilità del dibattimento in ordine alla regiudicanda». A. P. CASATI, L’udienza

preliminare come giudizio «di» merito, in Cassazione Penale, 2003(11), p. 3368 ss., spiega inoltre:

«[…]se l'udienza preliminare si configurasse come un vero e proprio giudizio di merito, oltre a perdere

l'originaria funzione di garanzia che le è propria, l'emissione del decreto che dispone il giudizio verrebbe

a connotarsi come una « predelibazione di responsabilità penale, atta ad ipotecare pesantemente la

successiva fase dibattimentale »(cit. P. P. RIVELLO, La Corte Costituzionale amplia l’area

dell’incompatibilità in relazione alla fase dell’udienza preliminare, in Giurisprudenza Costituzionale,

2001, p. 63 ss.)». L’autore continua affermando che in tale ipotesi, l'appello diverrebbe un terzo

ingiustificato giudizio di merito in contrasto col principio, sancito dall'art. 111 comma 2 Cost., che

assicura la durata ragionevole di ogni processo». 226

A. NAPPI, Guida al codice di procedura penale, Giuffrè, 2001, p. 357.

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479 rendano l’udienza preliminare un giudizio non sul» merito, ma di» merito,

inteso come valutazione contenutistica del fondamento dell’ipotesi accusatoria227

.

Alla luce di questo sintetico excursus, si può notare come l’esclusione

dell’appello avverso la sentenza di non luogo a procedere non è misura

equiparabile all’introduzione dell’inappellabilità delle sentenze dibattimentali o

conclusive del rito abbreviato, poich l’accertamento del giudice dell’udienza

preliminare si staglia in una prospettiva processuale e non inerente al merito. Di

conseguenza, l’appello del pubblico ministero avverso la sentenza di non luogo a

procedere, laddove accolto, non avrebbe assolutamente limitato il “diritto al

doppio grado di giurisdizione nel merito”, con tutte le implicazioni già descritte,

ma, al più, condotto alla celebrazione del dibattimento attraverso il rinvio a

giudizio. Sembra, dunque, che il legislatore volesse eliminare qualsiasi traccia

dell’appello avverso il proscioglimento, anche laddove questo non potesse

implicare la pronuncia di una sentenza di condanna228

.

Una certa dottrina ha, peraltro, posto l’accento sull’assenza di interesse ad

appellare la sentenza di non luogo a procedere, da parte del pubblico ministero;

questa pronuncia, infatti, non ha quell’irrevocabilità propria delle sentenze

dibattimentali in caso di mancata proposizione dell’impugnazione: la parte

pubblica può sempre ottenere, grazie ai risultati di altre investigazioni, la revoca

della stessa ex art. 434 c. p. p. Proprio questo rilievo potrebbe aver condotto il

legislatore a limitare il ventaglio di strumenti che il pubblico ministero poteva

impiegare avverso la sentenza di non luogo a procedere229

.

D’altra parte, cos facendo, la riforma riequilibra perfettamente le posizioni di

pubblico ministero e imputato rispetto all’esito dell’udienza preliminare, non

potendo in questo modo né il soggetto sottoposto a procedimento impugnare il

227

A. P. CASATI, L’udienza preliminare come giudizio «di» merito, in Cassazione Penale, 2003(11), p.

3368 ss. 228

G. GARUTI, Mezzi di critica e strumenti di controllo della sentenza di non luogo a procedere, op. cit., p.

71. 229

M. DANIELE, Profili sistematici della sentenza di non luogo a procedere, Giappichelli , 2005, p. 120

ss.

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92

decreto che dispone il giudizio, né tantomeno il pubblico ministero appellare la

sentenza di non luogo a procedere230

.

Viste le diverse argomentazioni finora esposte, pare opportuno affermare che la

finalità razionale e giustificabile della riforma fosse quella di ridurre la durata del

processo penale, per farlo rientrare nella ragionevolezza costituzionalmente

sancita. Sebbene sembri dunque sufficiente il ricorso in Cassazione per

controllare la pronuncia conclusiva dell’udienza preliminare- e la revoca per

riaprire il procedimento penale- occorre verificare che la concreta disciplina

abbia raggiunto lo scopo prefissatosi, oppure abbia aggravato lo status quo231

.

È necessario, inoltre, un accenno ai motivi per cui può essere proposto ricorso

per Cassazione: può escludersi la proponibilità del rimedio nei casi previsti dalla

lettera d dell’art. 6 6 comma c. p. p., stante la natura dell’accertamento in

udienza preliminare; infatti, la mancata assunzione della controprova è

censurabile solo per le sentenze emesse al termine del dibattimento, vista la

natura “processuale” dell’accertamento in udienza preliminare, che non impone

la garanzia dialettica della prova contraria e prevede un’istruzione probatoria di

struttura inquisitoria- art. 422 c. p. p.232

Il nuovo vizio di motivazione, invece, ha ampliato la portata dell’accertamento

della Corte anche rispetto alla sentenza di non luogo a procedere: questa

modifica ha altres ridotto l’operatività della cosiddetta “sezione-filtro”,

risultando difficile sancire la preliminare inammissibilità di un ricorso tutte le

volte che si vada a sindacare la motivazione relativamente agli altri atti del

processo. Ciò potrebbe ulteriormente aumentare il carico di lavoro della Corte,

già accresciuto dall’eliminazione dell’appello.

230

G. GARUTI, Mezzi di critica e strumenti di controllo della sentenza di non luogo a procedere, op. cit., p.

71, che considera quest’osservazione particolarmente cara ai fautori del principio di parità della parti

processuali come simmetria di poteri. Egli tuttavia segnala come se l’intenzione del legislatore fosse

stata veramente quella di iniziare a creare una sostanziale parità di poteri tra accusa e difesa, altri

avrebbero dovuto essere i ponti di partenza». 231

H. BELLUTA, Ripensamenti sulla “giustiziabilità” della sentenza di non luogo a procedere, op. cit., p.

132. 232

G. GARUTI, Mezzi di critica e strumenti di controllo della sentenza di non luogo a procedere, op. cit., p.

77, A. BARGI, I nuovi ambiti oggettivi delle impugnazioni, op. cit., p. 164 ss., G. SPANGHER, Tra

resistenze applicative ed istanze restauratrici, op. cit., p. 248 ss.

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Il nuovo comma 3 dell’art. 428 c. p. p. sembra riprodurre, quanto alle forme

procedimentali, la disciplina della norma previgente, sostituendovi alla corte

d’appello la corte di Cassazione: tuttavia, l’espunzione del comma dell’art. 428

abr. c. p. p., fa si che ora non si applichi il rito camerale “speciale”, previsto per il

giudizio in Cassazione dall’art. 6 del codice di rito, ma quello proprio del 27

c. p. p. Pur favorendo il contraddittorio anche nel procedimento in questione-

l’art. 27 comma 3 c. p. p. consente alle parti di essere sentite se compaiono, a

differenza dell’art. 6 c. p. p. che prevede solo la presentazione di memorie- la

novella non tiene presente che «un vero confronto tra i contraddittori non esista

neppure nel segmento del rito del quale si critica l’epilogo, cioè l’udienza

preliminare, e come la partecipazione del pubblico ministero e dei difensori al

giudizio di legittimità resti soltanto eventuale»233. Ciò detto, l’eliminazione del

contraddittorio cartolare dell’art. 6 c. p. p. pare collidere con quella celerità

processuale, che si è detto essere al centro degli scopi del legislatore del 2006 in

materia di inappellabilità della sentenza di non luogo a procedere.

A proposito di aporie, il quadro degli esiti del ricorso in Cassazione avverso la

succitata sentenza ha suscitato particolari perplessità rispetto al suo

coordinamento con il principio di ragionevole durata del processo: profilo già

censurato nel messaggio di rinvio del presidente della Repubblica234

, riguarda i

casi di accoglimento del ricorso da parte della Suprema Corte e di annullamento

con rinvio della sentenza di non luogo a procedere. Infatti, nel caso di

accoglimento del ricorso i giudici di legittimità annulleranno senza rinvio se il

fatto non costituisce reato, il reato è estinto ovvero l’azione penale non doveva

essere iniziata o proseguita; al contrario, il ricorso proposto dalla parte civile

oppure dal pubblico ministero con l’intento di criticare la decisione liberatoria

233

H. BELLUTA, Ripensamenti sulla “giustiziabilità” della sentenza di non luogo a procedere, op. cit., p.

144. 234

Messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica, in www.senato.it, in cui si segnala: « Un altro

problema strettamente collegato ai precedenti … è quello che deriva dall'articolo 4 della legge, che

modifica l'articolo 428 del codice di procedura penale, trasferendo dalla Corte d'Appello alla Corte di

Cassazione l'impugnazione della sentenza di non luogo a procedere. Ne deriverà non soltanto un ulteriore

aumento di lavoro per la Corte di Cassazione, ma anche, in caso di mancata conferma della sentenza di

non luogo a procedere, una regressione del procedimento, che ne allungherà inevitabilmente i tempi di

definizione.»

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dell’udienza preliminare, qualora accolto, impone l’annullamento della sentenza

di non luogo a procedere e il rinvio degli atti ad un nuovo giudice dell’udienza

preliminare, che decida nuovamente sul caso di specie uniformandosi a quanto

disposto dalla Corte di Cassazione relativamente alle questioni di diritto. Sebbene

questa regressione del procedimento sembri collidere con la ragionevole durata

del processo, è necessario per la Corte operare il rinvio ad un altro giudice di

merito, dovendosi rielaborare gli elementi su cui si fondava il precedente

giudizio di non luogo a procedere235

.

Per concludere, è escluso che con la novella si siano compiuti passi decisivi

verso la riduzione dei tempi del processo; inoltre, si può negare con tutta certezza

che il nuovo impianto dell’impugnazione avverso la sentenza di non luogo a

procedere trovi la propria matrice nel «background culturale» della Legge 20

febbraio 2006, n. 46: richiamando i due rilievi già svolti, la sentenza di non luogo

a procedere non può mai trasformarsi in una condanna né tantomeno è necessario

equilibrare la fase di impugnazione in maniera inversamente proporzionale al

contraddittorio in primo grado, stante la distanza considerevole tra i metodi

probatori dell’udienza preliminare e quelli delle pronunce dibattimentali236

. Per

queste ragioni, taluni hanno definito la novella in materia «sconcertante»:

mentre la soppressione dell’appello contro le sentenze di proscioglimento …] è

criticabile ma non senza giustificazioni, l’eliminazione contro il non luogo a

procedere appare priva di senso»237

.

235

G. GARUTI, Mezzi di critica e strumenti di controllo della sentenza di non luogo a procedere, op. cit., p.

81. per cui in questo caso ci si trova di fronte ad una «valutazione discrezionale di merito»; H. BELLUTA,

Ripensamenti sulla “giustiziabilità” della sentenza di non luogo a procedere, op. cit., p. 146, il quale

richiama un’ordinanza della Corte d’appello di Verona (App. Verona, ord. 6 Marzo 2 6, Di Fiore, p.

47) in cui l’organo giudicante esclude che il giudice di legittimità possa pronunciare rinvio a giudizio.

Così anche G. LATTANZI, Cassazione o terza istanza?, in AA. VV., Le impugnazioni penali: evoluzione o

involuzione? Controlli di merito e controlli di legittimità (Atti del Convegno, Palermo, 1-2 Dicembre

2006), Giuffrè, 2008, p. 288. 236

H. BELLUTA, Ripensamenti sulla “giustiziabilità” della sentenza di non luogo a procedere, op. cit., p.

150. 237

G. LATTANZI, Cassazione o terza istanza?, op. cit., p. 287, che così prosegue: «La decisione nel

giudizio di appello contro le sentenze di non luogo a procedere non presenta alcuna sfasatura rispetto alla

decisione di primo grado. Non ci sono infatti un metodo istruttorio e una base cognitiva diversi (orale per

la seconda e cartolare per la prima): entrambe le decisioni si basano sugli atti delle indagini preliminari e

quindi ben si può vedere in quella del giudice di appello sulla richiesta di rinvio a giudizio una logica

riconsiderazione degli elementi valutati dal G. u. p. Inoltre la sentenza di non luogo a procedere può avere

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§5. La modifica del 606.1 lett. e: come cambia il ricorso in Cassazione per

vizio di motivazione.

L’art. 8 della Legge 2 febbraio 2 6, n. 46 ha modificato il testo dell’art. 6 6

comma 1 lett. d, introducendo la ricorribilità in Cassazione per mancata

valutazione di una controprova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta

anche nel corso dell’istruzione dibattimentale. La modifica, dunque, non è stata

così importante come i promotori della riforma prospettavano nel disegno di

legge originariamente approvato e ne ha semplicemente ampliato l’orizzonte

temporale. Molto più significativo e discusso è stato l’intervento sul vizio di

motivazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. e: nonostante le già analizzate

perplessità di opposizione, Capo di Stato e della stessa Suprema Corte- che aveva

stigmatizzato in un documento molto severo l’originario progetto di riforma a

causa dei sui «devastanti effetti» relativi alla mutazione della natura del giudizio

di Cassazione238

- il testo definitivo della novella mantenne pressoché intatti sia la

reintroduzione del vizio di contraddittorietà della motivazione, che il riferimento,

quale termine di confronto per sindacare la mancanza, la contraddittorietà o la

manifesta illogicità della motivazione, al provvedimento impugnato «ovvero» ad

ulteriori atti del processo specificamente indicati tra i «motivi di gravame».

È opportuno segnalare in prima battuta la ormai nota approssimazione nella

tecnica redazionale del legislatore del 2006, che in questo caso ha impiegato il

termine “gravame” per riferirsi ad un giudizio che si staglia nell’opposta

categoria delle azioni di annullamento239

: una certa dottrina ha parlato a tal

proposito di «lessico puramente curiale», ritenendo che si facesse in realtà un

generico riferimento al termine impugnazione o ricorso240

.

un forte contenuto valutativo, relativo alla idoneità degli elementi acquisiti a sostenere l’accusa in

giudizio», e dunque richiedere un controllo di merito più che un controllo di legittimità.» 238

Le osservazioni critiche furono formulate dal Gruppo consultivo presso la Corte di Cassazione nella

seduta del 28 settembre 2005. 239

Sulla distinzione cfr. capitolo primo par. §1. 240

C. VALENTINI, La riforma del ricorso per Cassazione, in A. SCALFATI, Novità su impugnazioni penali

e regole di giudizio, Ipsoa, 2006, p. 221. G. ILLUMINATI, Cassazione o terza istanza?, in AA. VV., Le

impugnazioni penali: evoluzione o involuzione? Controlli di merito e controlli di legittimità (Atti del

Convegno, Palermo, 1-2 Dicembre 2006), Giuffrè, 2008, p. 357; G. DI CHIARA, Le modifiche dello

spettro della ricorribilità in Cassazione, op. cit., p. 213, che evidenzia un altro profilo di «atecnicismo»

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Ciò detto, le questioni problematiche della nuova normativa attengono alla

delimitazione dei confini di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità

della motivazione e alla necessità di delimitare l’area di rilevanza degli altri atti

processuali. Tuttavia, per comprendere la portata di questo intervento nella

legislazione in materia di vizio di motivazione, bisogna analizzarne

prioritariamente le retrospettive giurisprudenziali e dottrinarie.

La Relazione al progetto preliminare del Codice chiarisce come il legislatore del

1988 abbia voluto porre un freno alla tendenza invalsa nella prassi, «se non

contra legem, certo praeter legem»241

, che stava trasformando il giudizio di

legittimità nella sede in cui la Cassazione sovrapponeva le proprie valutazioni a

quelle dei giudici di merito: così si spiega la pretesa che la motivazione risultasse

dal testo del provvedimento impugnato, riportando il vizio di motivazione

nell’alveo dei requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità, senza

straripamenti nel campo dell’apprezzamento del giudice di merito242

.

La giurisprudenza di legittimità aveva interpretato, nel suo più ampio consesso,

la struttura del sindacato di motivazione in maniera decisamente restrittiva,

rispetto a tre profili: in primo luogo, la Suprema Corte non avrebbe potuto

operare una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione,

spettando questa esclusivamente al giudice di merito; la Cassazione non avrebbe

quindi potuto prospettare una differente e maggiormente adeguata ricostruzione e

valutazione delle risultanze processuali, non essendo giustificata né la

sostituzione di criteri e massime di esperienza adottati dal giudice di merito con

altri adottati da quello di legittimità243

.

normativo: il ricorso alla particella «ovvero» per disgiungere le fonti di riferimento rispetto al sindacato

del vizio di motivazione, è improprio e non dovrebbe comunque permettere al ricorrente addurre tale

vizio solo rispetto agli atti del processo, ma sempre riferendo questi al provvedimento impugnato, visto

che da quest’ultimo scaturisce il testo motivo da censurare. 241

G. LATTANZI, Cassazione o terza istanza?, in AA. VV., Le impugnazioni penali: evoluzione o

involuzione? Controlli di merito e controlli di legittimità (Atti del Convegno, Palermo, 1-2 Dicembre

2006), Giuffrè, 2008, p. 289. 242

Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, GU Serie Generale, n.250, 24-10-

1988, Suppl. Ordinario n. 93. 243

Cass. Sez. Un., 30 Aprile 1997, Dessimone, in Cassazione Penale, 1997, p. 3339 ss.

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In secondo luogo, l’illogicità della motivazione era limitata ai soli casi di

«macroscopica evidenza»; in ultima istanza, si escludeva qualsiasi sindacato del

giudice di legittimità sul cosiddetto travisamento del fatto: questo era ammesso

solo nel caso in cui emergesse dal provvedimento impugnato che la parte aveva

rappresentato senza esito al giudice di seconde cure la corretta ricostruzione del

fatto244

. Per concludere, il sindacato di motivazione della Corte non avrebbe mai

potuto estrinsecarsi in un contrasto tra realtà emersa dal processo e

provvedimento impugnato245

.

Le stesse Sezioni Unite avevano poi, in una celebre pronuncia, mitigato in vai

interpretativa il limite della testualità: affiancando alla lettura del testo della

sentenza anche quella dei motivi di appello e dei motivi del ricorso in sede di

legittimità proposto dalla parte, la Corte avrebbe potuto riequilibrare il controllo

sulla motivazione, apprezzabile così in riferimento al mancato esame delle

richieste della parte, ed evitare uno sconfinamento nell’area di valutazione della

prova246

.

Il cosiddetto dogma della testualità aveva, d’altro canto, subito critiche anche in

dottrina: il codice del 1989 aveva superato il precedente vaglio motivazionale,

che poteva indurre la corte ad annullare anche i risultati inerenti alla quaestio

facti, tutelando così lo ius litigatoris oltre allo ius constitutionis247

. La nuova

versione, invece, rendeva possibile qualsiasi travisamento dei fatti, purché

fondato su una motivazione plausibile: l’estensore poteva, addirittura, essere

indotto a scegliere quel materiale probatorio in funzione della tesi che doveva

244

Cass. Sez. Un., 30 Aprile 1997, Dessimone, in Cassazione Penale, 1997, p. 3339 ss. 245

C. VALENTINI, La riforma del ricorso per Cassazione, op. cit. 246

Cass. Sez. Un., 30 Ottobre 2003, n. 20, Andreotti, in Cassazione Penale, 2004 p. 838, con nota di D.

CARCANO, Brevi note sulle regole che governano il processo penale, per cui «la mancata risposta alle

prospettazioni della difesa circa la portata di decisive risultanze probatorie inficerebbe la completezza e la

coerenza logica della sentenza di condanna e, a causa della negativa verifica di corrispondenza tra chiesto

e pronunciato, la renderebbe suscettibile di annullamento». Così la Corte «senza necessità di accedere agli

atti dell’istruzione probatoria, prendendo in esame ancora una volta il testo della sentenza impugnata e

confrontandola con quella di primo grado e con gli apporti difensivi nel giudizio di appello, è chiamata a

saggiarne la tenuta, sia “informativa” che “logico-argometativa”». 247

F. CORDERO, Procedura Penale, VIII ed., Giuffrè, 2006, p. 1167 ss. che spiega come per questa norma

«il mondo stia nei fogli delle sentenze» e il resto è come se «tamquam non esset».

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dimostrare, realizzando argomentazioni motive carenti sul piano probatorio, ma

«di granitica coerenza»248

.

A fronte di questi rilievi, l’introduzione della nozione di contraddittorietà e del

riferimento agli altri atti del processo nella riforma del 2006, sembrano due

tessere del medesimo mosaico, che raffigura il nuovo sindacato sulla

motivazione249

. Infatti, per comprendere il significato della reintrodotta

contraddittorietà è necessario rammentare che questa ha sempre rappresentato, in

linea teorica, una specificazione della illogicità della motivazione: l’illogicità è

vizio di logica formale di natura prettamente testuale; per illogicità si intende il

contrasto tra le premesse della decisione o tra le premesse e la conclusione della

stessa250, che il legislatore del 88 ha voluto “manifesta” nel senso di rilevabile

«ictu oculi»251

: la contraddittorietà logica realizza una frattura logico-formale che

pregiudica l’integrità della sentenza ed è, in quanto sub specie della illogicità,

anch’essa per definizione testuale252

.

Tuttavia, nonostante numerosi dubbi e opinioni contrarie253

, una certa dottrina ha

considerato questa contraddittorietà di tipo “processuale”254

: la contraddittorietà

della motivazione è relativa al contrasto tra risultanze del quadro probatorio

emergente dagli atti e motivazione della sentenza. In questa maniera la Corte

avrebbe recuperato il suo sindacato anche sul travisamento delle prove, essendo

il vizio individuabile nel contrasto tra discorso giustificativo della sentenza e

prove legittimamente acquisite. Il richiamo agli altri atti del processo

specificamente individuati completa la nuova nozione di contraddittorietà

extratestuale: così si sussume nel vizio di motivazione anche il travisamento della

248

F. M. IACOVIELLO, La motivazione della sentenza penale e il suo contributo in Cassazione, Giuffrè,

1997, p. 317. 249

G. DI CHIARA, Le modifiche dello spettro della ricorribilità in Cassazione, op. cit., p. 216 ss. 250

G. DI CHIARA, Le modifiche dello spettro della ricorribilità in Cassazione, op. cit., p. 216 ss. 251

Cass. Sez. Un., 30 Aprile 1997, Dessimone, in Cassazione Penale, 1997, p. 3339 ss. 252

G. DI CHIARA, Le modifiche dello spettro della ricorribilità in Cassazione, op. cit., p. 217 ss. 253

G. LATTANZI, Cassazione o terza istanza?, op. cit., p. 295.G. ILLUMINATI, Cassazione o terza istanza?,

op. cit., p. 356 ss. 254

C. VALENTINI, La riforma del ricorso per Cassazione, op. cit., p. 216 ss., G. DI CHIARA, Le modifiche

dello spettro della ricorribilità in Cassazione, op. cit., p. 216 ss., A. BARGI, I nuovi ambiti oggettivi delle

impugnazioni, op. cit., p. 166 ss.

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prova per omessa valutazione della stessa o per errore percettivo255

, considerando

altri atti del processo individuabili anche gli atti probatori.

Su questi presupposti, la giurisprudenza della Suprema Corte si è divisa

nell’interpretazione della novella: in talune sentenze ha ritenuto di dover

considerare gli altri atti del processo come atti dai quali derivi un obbligo di

pronuncia che si ritiene violato dal giudice di merito, «come ad esempio la

richiesta di una circostanza attenuante o della sostituzione di pena detentiva»256

:

in questo senso risultano esclusi gli atti probatori e sarebbe ricalcato il modello di

sindacato della motivazione, come descritto dalla succitata sentenza Andreotti.

Al contrario, altre pronunce della stessa Corte hanno ritenuto che anche le prove

potessero essere prese in esame per denunciare un vizio di motivazione257

.

Autorevole dottrina ha aderito a questo orientamento: «Gli "atti del processo", a

cui ora allude l'articolo 606 lettera e c. p. p., includono necessariamente quelli

probatori; e nulla nel tenore di questa o di altre norme del codice di rito lascia

spazio ad una contraria conclusione. Estromettere le prove dalla categoria degli

"atti processuali", più che ad un'interpretazione, equivale alla parziale

abrogazione del dettato codicistico»258

.

Questa nuova estensione del vizio di cui alla lett. e, seppur escludendo una

sovrapposizione del giudice di Cassazione al giudice di merito relativamente al

travisamento del fatto, ha destato non poche perplessità in sede interpretativa: si

temeva un indiscriminato e fisiologico ritorno al vizio di motivazione precedente

alla riforma del codice del 1989, stante il labile confine che sussiste tra

l’accertare il contrasto tra ciò che il giudice ha ritenuto provato e il significato

effettivo della prova- travisamento della prova- e l’accertare che il giudice abbia

255

Il travisamento per invenzione rientra invece nel vizio previsto dall’art. 6 6 comma lett. c , stante la

generale inosservanza di norme processuali poste a pena di nullità, come gli artt. 526 comma 1 e 191

comma 1 c. p. p. 256

Cass. Sez. V, 12 aprile 2006, Mangion, in Foro italiano, 2006 (2). 257

Cass. Sez. I, 14 luglio 2006, Stojanovic, in Diritto e giustizia, 2006 (32), p. 46 ss. 258

P. FERRUA, Atti processuali, addio divieto d'accesso. La Pecorella dà più spazio agli ermellini, in

Diritto e giustizia, 2006 (32), p. 44 ss., per cui «affermare il divieto di accesso agli atti probatori …

rappresenta un'arbitraria forzatura delle formule legislative, in nome dell'idea, senza dubbio coerente con

l'originaria versione dell'articolo 606 c. p. p., di un controllo della Cassazione limitato al solo testo della

sentenza».

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frainteso il contenuto della prova attribuendogli un significato diverso da quello

effettivo- travisamento del fatto259

. Questa seconda opzione avrebbe assegnato al

giudice di legittimità un troppo esteso potere di incisione sull’accertamento

compiuto dal giudice di merito. In questo contesto si è sviluppato un grande

dibattito che ha coinvolto i più noti studiosi del processo penale, i quali si sono

interrogati nuovamente, alla luce di questa novella e di questi ed altri interventi,

sul vero ruolo della Cassazione, sempre più in bilico tra la funzione di giudice di

legittimità e quella di terza istanza di merito.

I problemi e le perplessità a ciò inerenti hanno una rilevanza fondamentale

rispetto all’intera architettura del nostro sistema giudiziario, sia in termini di

certezza del diritto che di efficienza nell’amministrazione della giustizia: tali

rilievi, d’altronde, coinvolgono valutazioni di sistema e soluzioni argomentative

talmente vaste e articolate da non trovare il giusto approfondimento in questa

trattazione, che si propone di esaminare l’appello nel processo penale, prima e

dopo la riforma del 2006 e la sua incostituzionalità.

Per queste ragioni, utile ai fini della presente opera è porre in risalto come i

promotori della riforma del 2006 abbiano, sin dal principio della discussione

parlamentare, giustificato la scelta di modificare la disciplina dei motivi di

ricorso in Cassazione - tramite l’introduzione dell’art. 8 della Legge 2 febbraio

2006, n. 46 - con la necessità di controbilanciare la riduzione del potere d’appello

per le parti del processo260

. Ad un’analisi più lucida, però, può notarsi come

l’ampliamento del vizio di motivazione di cui all’art. 6 6 comma lett. e c. p. p.,

sia solo occasionato dalla risagomatura dell’appello», procedendo invece su

percorsi argomentativi autonomi e scevri da «sbandierate logiche di scambio»261

.

259

G. LATTANZI, Cassazione o terza istanza?, op. cit., p. 294. C. VALENTINI, La riforma del ricorso per

Cassazione, op. cit., p. 2 ,distingue invece in maniera netta le due categorie. Cos afferma: se l’esame

della censura di travisamento del fatto implica una critica portata avverso il giudizio espresso dal giudice

del merito su una quaestio facti e così, dunque, la necessità inevitabile (quanto inammissibile, per un

giudice di legittimità) di una rivalutazione del compendio probatorio da cui emerge il fatto asseritamente

travisato, la censura del travisamento della prova, invece, null’altro comporta se non il confronto tra il

singolo atto probatorio contenuto nel fascicolo processuale e quella parte della motivazione in cui il

risultato di prova appare riprodotto a conforto della decisione assunta» 260

A tal proposito, cfr. par. §1. per una panoramica sui lavori parlamentari in materia. 261

G. DI CHIARA, Le modifiche dello spettro della ricorribilità in Cassazione, op. cit., p. 211.

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Liberandosi da questa ratio bilanciatrice, risulta maggiormente fondato ritenere

che la riforma del vizio di motivazione si ponga in termini di continuità culturale

rispetto alla tendenza di fondo di tutta la novella a voler assicurare alla parte il

raggiungimento di una decisione giusta, in quanto fedele alle risultante

probatorie262

. Questo aspetto è strettamente connesso all’esercizio del diritto

della parte alla formazione della prova in contraddittorio ed è quindi teso ad

assicurare il concreto perseguimento di tutte le garanzie del giusto processo,

scopo condiviso anche dai fautori della riforma dell’appello (e in generale del

sistema delle impugnazioni).

262

A. BARGI, I nuovi ambiti oggettivi delle impugnazioni, op. cit. p. 166 ss.

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§6. L’impugnazione della parte civile.

Uno degli interventi meno chiari della Legge 20 febbraio 2006, n. 46 è stato

quello concernente la modifica del potere di impugnazione della parte civile. Tre

le novità che hanno interessato questa parte eventuale del processo penale: in

primis, l’art. 4 della presente legge ha modificato l’art. 428 comma 2 c. p. p.,

introducendo un generalizzato diritto a ricorrere in Cassazione per la persona

offesa costituitasi parte civile avverso le sentenze di non luogo a procedere; in

secundis, la novella ha abrogato l’art. 577 c. p. p., che prevedeva l’impugnazione

agli effetti penali da parte della persona offesa per i reati di ingiuria e

diffamazione; infine, la modifica più importante: l’art. 6 della legge in commento

ha ricalibrato il potere di impugnazione della parte civile ai soli effetti della

responsabilità civile derivante da reato. Per poter pienamente comprendere la

portata della riforma sarà, anche stavolta, necessario inscrivere la specifica

modifica all’interno del quadro completo della riforma e dei suoi lavori

parlamentari, così da verificarne «presupposti, effetti e paradossali

contraddizioni»263

.

Anche per la parte civile, è stato il dissennato impiego della tecnica redazionale

in sede di formulazione della norma a creare numerosi dubbi e disguidi

interpretativi, causando una frattura evidente tra intentio legis e litera legis264

: ciò

è facilmente desumibile dall’esame dei lavori parlamentari. In sede di prima

approvazione, la riforma prevedeva per la parte civile una sorta di “paracadute”,

che evitasse alla parte privata di vedere ridotte le proprie prerogative, stante il

legame sancito dall’art. 576 c. p. p. tra il mezzo di impugnazione della persona

offesa (o danneggiato) e quello del pubblico ministero. Infatti, i promotori erano

consapevoli che la riduzione del diritto d’appello per il pubblico ministero

avverso le sentenze di proscioglimento avrebbe parallelamente ridotto lo stesso

diritto della parte civile, relativo chiaramente ai capi della sentenza inerenti la

263

E. M. MANCUSO, La modifica delle norme in materia di impugnazione della parte civile, in A.

SCALFATI (a cura di), Novità su impugnazioni penali e regole di giudizio, Ipsoa, 2006, p. 147. 264

M. G. AIMONETTO, Disfunzioni ed incongruenze in tema di impugnazione della parte civile, in M.

BARGIS, F. CAPRIOLI (a cura di), Impugnazioni e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006,

Giappichelli, 2007, p. 155 ss.

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responsabilità civile: per evitare che la parte civile ne fosse pregiudicata per i

propri interessi, in sede di prima approvazione si promosse la modifica dell’art.

652 c. p. p., prevedendo che la sentenza di proscioglimento, anche se

irrevocabile, non potesse avere effetto nei giudizi civili e amministrativi se la

parte civile, pur essendo costituita, non avesse formulato le conclusioni265

.

Il messaggio di rinvio della legge alle camere da parte del presidente della

Repubblica aveva d’altro canto criticato la disposizione, ricordando

all’Assemblea che «è parte del processo anche la vittima costituitasi parte civile,

che vede compromessa dalla legge approvata la possibilità di far valere la sua

pretesa risarcitoria all’interno del processo penale»266

.

Recettivo rispetto a questa osservazione, il legislatore agì in sede di

riformulazione sull’art. 576 c. p. p., con l’intento di slegare l’appello della parte

civile da quello del pubblico ministero: questo avrebbe stabilito, anche in sede

penale, quel doppio grado di giudizio di cui la parte privata avrebbe beneficiato

proponendo azione nella precipua sedes materiae267

. Di fatto, però, lo scarso

dibattito assembleare e la frettolosa approvazione della legge condussero ad

effetti pressoché opposti, perlomeno riferendosi esclusivamente alla lettera della

nuova norma: il legislatore con l’art. 7 della Legge 2 febbraio 2 6, n. 46

eliminò dall’art. 576 c. p. p. l’inciso con il mezzo previsto dal pubblico

ministero»268

. Questa modifica sortì però effetti opposti rispetto a quelli attesi.

265

Questo il progetto originario: «Art. 8- . All’art. 652 del codice di procedura penale, il comma 1 è

sostituito dal seguente: «1. La sentenza penale di assoluzione, anche se irrevocabile, non ha effetto nei

giudizi civili e amministrativi, salvo che la parte civile sia costituita nel processo penale ed abbia

presentato le conclusioni. In questo caso la sentenza ha effetto solo quanto all’accertamento che il fatto

non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compito nell’adempimento di un

dovere e nell’esercizio di una facoltà legittima.» (Proposta di legge C. 4604-C) 266

Messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica, in www.senato.it. 267

La proposta di eliminare il sopracitato inciso fu raccolta in sede di riscrittura della legge dalla

Commissione giustizia della Camera e poi recepita acriticamente in Assemblea. Il relatore alla Camera,

on. Bertolini, così si esprimeva:«la Commissione giustizia ha ritenuto di tutelare maggiormente la parte

civile, modificando la disposizione generale di cui all’art. 576 del codice di procedura penale relativa agli

atti di impugnazione della parte civile contro i capi della sentenza di proscioglimento pronunciata nel

giudizio penale, stabilendo che tale impugnazione limitata ai soli effetti civili possa essere effettuata in

via diretta e non più con il mezzo previsto per il pubblico ministero»( Atti Camera, XIV leg., Assemblea,

seduta 30 Gennaio 2006, n. 739, p. 7). 268

Solo in Senato fu avanzata una proposta di emendamento con cui si tentò di attribuire in maniera più

chiara e diretta il potere d’appello alla parte civile. L’emendamento 6. fu presentato dal senatore on.

Zancan e cos modificava l’art. 576 comma1 c. p. p.:«La parte civile può proporre appello contro i capi

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Il nuovo art. 576 c. p. p., infatti, pur prevedendo una generica facoltà di

impugnazione per la parte civile, non individua specificamente alcun diritto

d’appello: il principio di tassatività oggettiva e soggettiva espresso dall’art. 568

comma 3 c. p. p. impone dunque di dover escludere che tale parte privata possa

impiegare tale mezzo di controllo, a fronte dell’ulteriore silenzio della legge

all’art. 5 3 c. p. p., che in materia di appellabilità oggettiva si rivolge solo

all’imputato e al pubblico ministero. L’inappellabilità, inoltre, si estende con

questo intervento anche alle sentenze di condanna e non solo alle pronunce di

proscioglimento: nel complesso, si può definire dunque “schizofrenico”

l’andamento di questa riforma, che aspirava in principio a non coinvolgere la

posizione della parte civile nella modifica dell’appellabilità delle sentenze per il

pubblico ministero, ma ha finito, negli esiti, per pregiudicarla totalmente a causa

di un «cattivo uso della tecnica legislativa» 269

.

Nonostante l’intenzione del legislatore di rendere autonomo l’appello della parte

civile fosse desumibile anche dal precedente progetto di modifica dell’art. 652 c.

p. p., la lettera della norma non pare consentire di interpretare diversamente

questa disposizione : la dottrina si è schierata pressoché unanimemente

nell’escludere la titolarità dell’appello per la parte civile270

, nonostante contro

questa «sconcertante eterogenesi dei fini»271

siano state prospettate talune

argomentazioni “di sistema”, tese ad arginare la portata di questa norma.

Tra queste, avvalorerebbero la tesi della immutata appellabilità delle sentenze per

la parte civile sia il disposto dell’art. 6 c. p. p. che il disposto dell’art. della

della sentenza di condanna che riguardano l’azione civile e, ai soli effetti della responsabilità civile,

contro la sentenza di proscioglimento pronunziata nel giudizio, anche abbreviato, qualora abbia

acconsentito all’abbreviazione del rito» Atti Senato, XIV leg., Commissione giustizia, seduta 7 febbraio

2006, n. 556). 269

M. G. AIMONETTO, Disfunzioni ed incongruenze in tema di impugnazione della parte civile, op. cit., p.

156. 270

F. CAPRIOLI, I nuovi limiti all’appellabilità delle sentenze di proscioglimento tra diritti dell’individuo

e «parità delle armi», in Giurisprudenza Italiana, 2007 (1); A. DE CARO, Filosofia della riforma e doppio

grado di giurisdizione di merito, op. cit., p. 6; G. FRIGO, Un intervento coerente con il sistema, op. cit., p.

104; G. GARUTI- G. DEAN, I nuovi ambiti soggettivi della facoltà di impugnare, op. cit. p. 141; F.

CORDERO, Un’arma contro due, in Rivista di diritto processuale, 2006, p. 811; R. E. KOSTORIS, Le

modifiche al codice di procedura penale in tema di appello e ricorso per cassazione introdotte dalla cd.

«Legge Pecorella», in Rivista di diritto processuale, 2006, p. 638. 271

F. CAPRIOLI, op. cit.

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105

Legge 2 febbraio 2 6, n. 46 in tema di disciplina intertemporale: se l’art. 6

c. p. p. consente a tale parte di appellare avverso la provvisoria esecutorietà delle

condanne in materia risarcitoria pronunciate in primo grado, non si comprende

perché debba considerarsi escluso il diritto di appello delle sole disposizioni

civili. Molto lucidamente, è stato rilevato come nel caso dell’art. 6 comma c.

p. p. la parte civile può proporre appello solo a fronte della previa impugnazione

di imputato, pubblico ministero o responsabile civile, sconfessando la precedente

lettura.

In secondo luogo, la norma intertemporale è muta rispetto all’appello della parte

civile proposto prima dell’entrata in vigore della riforma: ritenendo estesa la

previsione dell’art. comma 2 della legge di riforma, l’appello proposto dalla

parte civile sarebbe inammissibile come quelli di imputato e pubblico ministero,

causando effetti deleteri per il danneggiato che si sia costituito nel processo

penale, che si vedrebbe imposto un giudicato avverso cui poteva promuovere un

controllo, adesso impeditogli. Sulla base di questo rilievo si riteneva ancora

sussistente il potere d’appello della parte civile.

È opportuno esaminare meglio il contenuto della disciplina intertemporale alla

luce dei principi di successione di leggi penali nel tempo, che sebbene resti muta

in tema di appello promosso dalla parte civile, può fornire ulteriori e diversi

elementi in base a cui stabilire l’effettiva disciplina da applicare al danneggiato

che si sia costituito. Infatti, ritenere inammissibile l’appello della parte civile per

preservare l’unitarietà del giudizio di impugnazione confligge col generale

principio del tempus regit actum272

: mancando una specifica disposizione per la

parte civile, non si può estendere la norma dell’art. comma 2 in via analogica

272 F. CAPRIOLI, op. cit., che rispetto all’art. della legge in commento afferma: « Quanto alla disciplina

transitoria, l’omesso riferimento all’impugnazione della parte civile induce in realtà a ritenere, in ossequio

al principio tempus regit actum, che tale impugnazione sia ammissibile anziché inammissibile: soluzione

normativa tutt’altro che irragionevole anche se si ritiene che il legislatore abbia inteso privare la parte

civile, per il futuro, del potere di appello, essendosi voluto tutelare, almeno in una certa misura, proprio

l’affidamento riposto dal danneggiato nella disciplina processuale vigente al momento dell’esercizio

dell’azione civile».

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106

a questo soggetto, essendo questa disposizione di carattere eccezionale. Così,

«la carenza di una specifica norma di transizione dal vecchio al nuovo regime

impone la separazione del petitum civile dalla res iudicanda penale»: tale

soluzione, però, si espone al rischio di un contrasto tra giudicato penale e

giudicato sulla responsabilità civile273

.

Le precisazioni finora svolte escludono l’interpretazione sistematica tesa a

mitigare il principio di tassatività in materia di impugnazione della parte civile e

a recuperarne cos il suo diritto all’appello. Pare dunque incontrovertibile che

l’unico mezzo di impugnazione rimasto in mano al danneggiato sia il ricorso in

Cassazione- riferendosi al disposto dell’art. 568 comma 2 c. p. p. : si tratta,

però, di un sindacato che non consente la medesima ampiezza di giudizio

riconosciuta al giudice di merito e che mira, semmai, a tamponare le violazioni di

legge penale e processuale; non certo a valutare l’an e il quantum del danno

subito in conseguenza del reato»274

.

Alcuni autori hanno parlato di una perfetta coerenza della nuova disposizione

dell’art. 576 c. p. p. con le finalità della riforma complessiva del 2006: forte

limitazione del potere d’appello che riduce il peso del giudizio di seconde cure

sull’organo giudicante275

. Inoltre, ulteriori considerazioni hanno riguardato la

tendenza generale del codice del 1988276

a promuovere una separazione del

giudizio civile da quello penale, orientando ogni regiudicanda nella propria sede:

ridurre il potere di impugnazione della parte civile non è da ritenere totalmente

273

E. M. MANCUSO, La modifica delle norme in materia di impugnazione della parte civile, op. cit., p.

157. Per evitare il medesimo rischio appena paventato una parte della dottrina ha provato ad estendere

l’applicazione del nuovo art. 58 c. p. p., in tema di conversione dell’appello in ricorso per Cassazione,

anche al ricorso promosso dalla parte civile, in caso di appello del pubblico ministero o dell’imputato. Pur

ritenendola ammissibile, tale conversione non riequilibra la posizione della parte civile, visto che i motivi

di ricorso rimarranno gli stessi promossi innanzi alla Suprema Corte, come ricorda M. G. AIMONETTO,

Disfunzioni ed incongruenze in tema di impugnazione della parte civile, op. cit., p. 173. 274

E. M. MANCUSO, La modifica delle norme in materia di impugnazione della parte civile, op. cit., p.

152. 275

E. M. MANCUSO, La modifica delle norme in materia di impugnazione della parte civile, op. cit., p.

152. G. GARUTI- G. DEAN, I nuovi ambiti soggettivi della facoltà di impugnare, op. cit. p. 141 ss. 276

Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, GU Serie Generale, n.250, 24-10-

1988, Suppl. Ordinario n. 93, secondo cui il nuovo codice deve perseguire «il preciso intento di non

incoraggiare … la costituzione di parte civile e di incentivare la possibilità di un suo volontario esodo

dal processo penale».

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irragionevole, soprattutto nell’ottica della rinuncia dell’ordinamento all’unitarietà

del giudizio277

.

Tuttavia, il dato emergente dalla riforma è l’assenza di un coerente ed uniforme

«disegno di politica penale relativo alla vittima», verso cui questa novella pare

anzi nutrire un atteggiamento di sfavore tale da far emergere in dottrina dubbi di

costituzionalità278

. L’incertezza del nuovo quadro normativo ha investito,

conseguentemente, anche l’operato delle corti che hanno palesato in maniera

unitaria l’esigenza di un intervento delle Sezioni Unite, che facesse chiarezza

sull’interpretazione della norma; inoltre, sono stati paventati anche in

giurisprudenza profili di incostituzionalità della disposizione relativamente alla

disparità tra imputato e danneggiato- art. 111 comma 2 Cost., lesione del diritto

di difesa di quest’ultimo- art. 24 Cost. - e ulteriore disparità di trattamento tra il

danneggiato che si costituisce parte civile nel processo penale e quello che

avanza le proprie richieste di tutela in sede civile- art. 3 Cost. -. La questione di

legittimità così sollevata è stata dichiarata manifestamente infondata dalla Corte

costituzionale con l’ordinanza n. 32/2 7: il Giudice delle Leggi ha registrato

l’assenza di un diritto vivente» che avallasse la ricostruzione sostenuta dai

giudici a quibus, ciò che l’appello della parte civile fosse stato soppresso dalla

riforma del 2006. La Corte, infatti, ricorda come in seno alle Sezioni semplici

fosse stata, in un caso, riconosciuta la persistenza dell’appello della parte civile –

sulla base della voluntas legis desumibile dai lavori parlamentari279

- e, in un

altro, rimesso alle Sezioni Unite un intervento chiarificatore sul tema280

. La

manifesta inammissibilità della questione è, dunque, inevitabile «giacché,

secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la mancata utilizzazione dei

poteri argomentativi che la legge riconosce, in via esclusiva, al giudice rimettente

277

P. TONINI, L’inappellabilità lascia alla parte civile solo la Suprema Corte, in Il Sole 24 Ore, 3 marzo

2006, p. 27. 278

, F. CAPRIOLI, op. cit., P. FERRUA, Riforma disorganica: era meglio rinviare, in Diritto e Gustizia, 2006

(9), p. 83ss., M. G. AIMONETTO, Disfunzioni ed incongruenze in tema di impugnazione della parte civile,

op. cit., p. 170. 279

Cass. Sez. III, 11 maggio 2006, Scialpi ed altro, in Diritto e giustizia, 2006 (33), p. 61. 280 Cass. Sez. I, 16 novembre 2006, in M. BARGIS, F. CAPRIOLI (a cura di), Impugnazioni e regole di

giudizio nella legge di riforma del 2006, Giappichelli, 2007, p. 579 s.

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e la carenza di una verifica di altre e diverse soluzioni interpretative …

integrano, nel modello del giudizio incidentale di costituzionalità, omissioni

significative e tali da non abilitare il giudice a sollevare la questione di legittimità

costituzionale»281

.

L’auspicato intervento delle Sezioni Unite non si è fatto attendere ed ha stabilito

che l’appello esperibile dalla parte civile rimane intatto nel nostro ordinamento:

la Suprema Corte ha, in questo senso, riconosciuto valenza interpretativa alla

stessa ordinanza n. 32/2007, da cui è emersa implicitamente la posizione della

Corte Costituzionale282

. Questa aveva lasciato intendere che il consolidamento

eventuale della posizione contraria alla persistenza dell’appello della parte civile

non avrebbe resistito alla verifica di conformità al testo della Costituzione283

.

Le Sezioni Unite hanno ricostruito l’iter legislativo della novella del 2006 e

hanno escluso che l’intento della riforma potesse essere quello di limitare in via

peggiorativa la posizione della vittima all’interno del procedimento penale; al

contrario, proprio i rilievi del Presidente della Repubblica nel messaggio di

rinvio del primo testo di legge approvato dalle Camere hanno sottolineato il

rischio di esclusione del potere d’appello per la parte civile, qualora questo

rimanesse legato al mezzo di impugnazione proposto dal pubblico ministero.

Tramite un’interpretazione meno rigida e restrittiva» del principio di tassatività,

le Sezioni Unite hanno offerto una lettura «sistematica e costituzionalmente

orientata» dell’art. 576 c. p. p., che non limita in alcun modo l’utilizzo dei mezzi

di impugnazione ordinari per la parte civile284

. Il difetto di tecnica legislativa non

può condurre alla totale eliminazione dello strumento di controllo e tutela della

posizione della parte civile. Le Sezioni Unite infatti rilevano che l’interpretazione

della norma in termini di esclusione dell’appello della parte civile sarebbe lesiva

del principio di parità delle parti, proprio a fronte del persistente diritto d’appello

281

Corte Cost. ord. 32/2007, in www.cortecostituzionale.it. 282

Cass. Sez. Un., 29 marzo 2007, p. c. Poggiali in c. Lista, in Cassazione Penale, 2007, p. 4451 ss. 283

M. BARGIS, Il persistente potere d’appello della parte civile, in M. BARGIS – H. BELLUTA,

Impugnazioni penali. Assestamenti del sistema e prospettive di riforma, Giappichelli, 2013, p. 115. 284

Cass. Sez. Un., 29 marzo 2007, p. c. Poggiali in c. Lista, in Cassazione Penale, 2007, p. 4451 ss.

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dell’imputato e del responsabile civile, i quali possono appellare il capo della

sentenza di condanna relativo al risarcimento del danno285

.

Si è a lungo trattato dei dubbi nutriti in materia da parte della dottrina, schieratasi

in maniera piuttosto netta a sostegno dell’interpretazione del nuovo art. 576 c. p.

p. che tende ad escludere il potere d’appello della parte civile: tuttavia, taluni

autori hanno riconosciuto il carattere «necessitato» della sentenza delle Sezioni

Unite, che pur operando una “forzatura” applicativa rispetto alla comune lettura

del principio di tassatività», offre un’esegesi costituzionalmente orientata di

questa problematica disposizione286

.

A sostegno di questa tesi si pone l’ordinanza n. 3/2 8 della Corte

Costituzionale, con cui quest’ultima ha dichiarato la manifesta inammissibilità

delle questioni di illegittimità relative all’art. 576 c. p. p. nuovamente prospettate

dai giudici a quibus287

. La consonanza di vedute tra Corte di Cassazione e Corte

Costituzionale rafforza la stabilità della disposizione in esame, sebbene la

dottrina sostenga comunque la necessità di un intervento legislativo: a fronte

della ricostituzione del potere d’appello per il pubblico ministero – grazie

all’intervento della Corte Costituzionale – sarebbe auspicabile reintrodurre la

precedente disposizione, ricollegando il mezzo di impugnazione della parte civile

a quello previsto per il pubblico ministero288

.

285

Cass. Sez. Un., 29 marzo 2007, p. c. Poggiali in c. Lista, in Cassazione Penale, 2007, p. 4451 ss. 286

M. BARGIS, Il persistente potere d’appello della parte civile, op. cit., p. 120. 287

Corte Cost. ord. 3/2008, in www.cortecostituzionale.it 288 M. BARGIS, Il persistente potere d’appello della parte civile, op. cit., p. 121.

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110

CAPITOLO TERZO

L’illegittimità costituzionale della Legge 20 febbraio 2006, n. 46.

§1. La sentenza n. 26/2007 della Corte Costituzionale. §2. La sentenza n. 320/2007 della Corte

Costituzionale. §3. La sentenza n. 85/2 8 della Corte Costituzionale. §4. L’inappellabilità della sentenza

di non luogo a procedere al vaglio della Corte Costituzionale. §5. Il futuro dell’appello: la giurisprudenza

della C. E. D. U. §6. Il dibattito in dottrina dopo la “controriforma”: necessità di un intervento legislativo

e proposte di riforma.

§1. La sentenza n. 26/ 2007 della Corte Costituzionale.

La pronuncia della Corte Costituzionale, a circa dieci mesi dall’entrata in vigore

di uno dei più discussi interventi novellistici289

operati sul Codice di procedura

penale, appare come «una controriforma di sistema», che sconfessa gli intenti

riformatori, ritenuti irragionevoli a fronte della sperequazione creata dalla legge

tra le due parti principali del processo penale290

.

Il commento alla Legge 20 febbraio 2006, n. 46, infatti, ha posto ripetutamente in

risalto svariate anomalie dell’intervento riformatore, che hanno sollecitato la

critica della dottrina e della giurisprudenza di merito; quest’ultima ha sollevato in

particolare dubbi di legittimità costituzionale relativi alla regola

dell’inappellabilità della sentenza di proscioglimento, ossia il vero cardine della

riforma, su cui il Giudice delle Leggi si è pronunciato con la celebre sentenza n.

26/2 7, sancendo l’incostituzionalità degli artt. 1 e 10 della legge in esame per

violazione del principio costituzionale di parità delle parti di cui all’art.

289

F. CAPRIOLI, Inappellabilità delle sentenze di proscioglimento e “parità delle armi” nel processo

penale, in Giurisprudenza costituzionale, 2007(1), p. 250 ss. 290

G. FRIGO, Una parità che consolida diseguaglianze, in Guida al diritto, 2007(8), p. 87 ss., secondo cui

tale pronuncia non è esente da considerazioni politiche ed è « fondata su una valutazione di

irragionevolezza del diverso trattamento che la legge avrebbe instaurato tra le due parti processuali con

riguardo all'appello delle sentenze».

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comma 2 Cost.291

. Ciò che è emerso in maniera manifesta è stata la disorganicità

dell’intervento: seppur nel nobile intento di garantire la “doppia conforme” ad

ogni soggetto sottoposto a giudizio, il legislatore avrebbe potuto e dovuto

accompagnare la limitazione del potere d’appello con una nuova generale

calibratura dell’intero sistema delle impugnazioni, che avrebbe meglio perseguito

anche il principio di ragionevole durata del processo292

. Tuttavia, la disorganicità

non implica necessariamente l’incostituzionalità, considerato che non esiste una

disposizione costituzionale che imponga al sistema processuale penale di

prevedere il mezzo d’impugnazione dell’appello293

: sotto quali profili, dunque, e

in base a quali norme la Corte ha ravvisato l’incostituzionalità della Legge 20

febbraio 2006, n. 46?

Secondo la Corte, l’incostituzionalità si fonda sulla violazione del principio di

parità delle parti ex art. 111 comma 2 Cost.; il percorso argomentativo del

Giudice delle Leggi prende le mosse dalla delimitazione dei contorni definitori di

tale principio: questa regola, diventata autonoma grazie alle Legge costituzionale

23 novembre 1999, n. 2, è espressione di un principio «pacificamente già insito

nel pregresso sistema dei valori costituzionali»294

e non può essere soggetta ad

interpretazioni riduttive. Infatti, stabilendo che «il processo si svolge nel

contraddittorio tra le parti, in condizione di parità», l’art. comma 2 Cost. non

riferisce la parità esclusivamente al procedimento probatorio, ma essa «è

291

L. TRUCCO, L’insostenibile ragionevolezza della «Legge Pecorella», in Diritto Costituzionale, p. 2152,

così riassume le vicende processuali che ha condotto alla pronuncia della Corte: « I giudizi di legittimità

costituzionale sono stati promossi con ordinanze emesse il 16 marzo 2006 dalla Corte d’appello di Roma

nel procedimento penale a carico di E. F. ed altri, iscritta al n. 130 del registro ordinanze 2006 e

pubblicata in Gazz. Uff. n. 19, I Serie speciale, dell’anno 2 6 e il 16 marzo 2006 dalla Corte d’appello di

Milano nel procedimento penale a carico di A. M. ed altri, iscritta al n. 155 del registro ordinanze 2006 e

pubblicata in Gazz. Uff. n. 22, I Serie speciale, dell’anno 2 6 . All’origine della questione, in entrambi i

casi, vi è stata l’impugnazione di una pronuncia di primo grado di assoluzione risultata successivamente

inammissibile, essendo nel frattempo entrata in vigore L. 20 febbraio 2006, n. 46.» 292

P. FERRUA, La sentenza costituzionale sull’inappellabilità del proscioglimento e il diritto al riesame

dell’imputato, in Diritto penale e processo, 2007 (5), p. 605 ss., il quale come profili di rinnovazione del

sistema impugnatorio individua: la trasformazione dell’appello in azione d’impugnativa, con decisione

del giudice limitata ai motivi e non più estesa a tutti i punti della decisione; limitazione delle possibilità di

ricorso in Cassazione per il soggetto che abbia visto confermata la propria condanna in primo grado, in

modo tale da limitare il sindacato della Suprema Corte sul vizio di motivazione e, così, su profili inerenti

al fatto; maggiore tutela per il danneggiato costituito parte civile. 293

P. FERRUA, op. cit. 294

Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it.

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enunciata come regola generalissima, riferita indistintamente ad ogni processo e

senza alcuna limitazione a determinati momenti o aspetti dell’iter processuale»,

ricomprendendo a pieno titolo il sistema delle impugnazioni295

. La dottrina ha

accolto con favore tale precisazione concettuale296

, sebbene non siano mancate

delle puntualizzazioni di alcuni autori: in particolare, taluni hanno sottolineato

come la Corte abbia talvolta fatto ricorso ad una «variabile estensione» dello

stesso principio di parità297

. Il riferimento è ad un’ordinanza con cui la Corte

Costituzionale aveva dichiarato manifestamente infondata la questione di

legittimità costituzionale relativa all’accollo non paritario delle spese processuali

tra il soggetto sottoposto a giudizio e lo Stato, rispettivamente, in caso di

condanna e di proscioglimento ex art. 649 comma 2 c. p. p. – che in questo caso

non pendevano sullo Stato – : il Giudice delle Leggi aveva sconfessato la

ricostruzione del giudice a quo – che riteneva non rispettato il principio di parità

se l’imputato ingiustamente sottoposto a giudizio fosse gravato di tutti gli oneri

processuali – stabilendo come la ricostruzione del remittente non avesse riscontro

nei lavori preparatori, dove il concetto di parità risulta nettamente riferito

all’eguale diritto alla prova e alla formazione della stessa in contraddittorio, non

comportando «che i poteri e i mezzi di cui le parti sono dotate debbano essere gli

stessi, essendovi invece, a questo riguardo, nel processo penale una naturale

asimmetria che può essere bensì attenuata ma non eliminata, collegata, come è,

allo ius puniendi che solo allo Stato può spettare»298

. Questa ricostruzione

effettivamente stride con la «regola generalissima» propugnata nella sentenza n.

26/2007; essa ha spinto taluni autori a sostenere che il principio di parità fra

accusa e difesa sia riferito ai singoli gradi di giudizio, se non al solo

295

Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it, in cui la Corte respinge argomentazioni come

«quella che - facendo leva, in particolare, sulla connessione proposta dall'art. 111, comma 2, Cost. tra

parità delle parti, contraddittorio, imparzialità e terzietà del giudice - intendesse negare alla parità delle

parti il ruolo di connotato essenziale dell'intero processo, per concepirla invece come garanzia riferita al

solo procedimento probatorio», desumendo in tal modo che l’unico mezzo di impugnazione di cui le parti

dovrebbero fruire in modo paritario è solo il ricorso in Cassazione, come stabilito dall’art. comma 7

Cost. 296

M. CERESA GASTALDO, Non è costituzionalmente tollerabile la menomazione del potere d’appello del

pubblico ministero, in Cassazione Penale, 2007 (5), p. 1894 ss., F. CAPRIOLI, op. cit., p. 250 ss. 297

P. FERRUA, Il giusto processo, Zanichelli, Cap. VI, p. 242 ss. 298

Corte Cost. ord., n. 286/2003, in P. FERRUA, Il giusto processo, Zanichelli, Cap. VI, p. 243.

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procedimento probatorio299

.

Tuttavia, «entrambi gli assunti suonano … come una petizione di principio a

fronte del tenore letterale della norma costituzionale» ed è, inoltre, da dimostrare

che l’asimmetria tra i poteri delle parti in materia di impugnazioni non incida

anche sul procedimento probatorio300

.

Recentemente, la Corte Costituzionale si è ulteriormente espressa relativamente

al principio di parità delle parti ex art. 111 comma 2 Cost., con la sentenza n.

184/2008. Il Giudice delle Leggi ha rigettato la questione di legittimità

costituzionale inerente all’art. 442 comma - bis, che richiama l’art. 556 comma

1 c. p. p., in materia di utilizzabilità nel rito abbreviato di atti d’indagine

unilateralmente formati dall’imputato301

. L’ordinanza di rimessione del giudice a

quo aveva sollevato dubbi sulla legittimità della norma rispetto all’art.

commi 4 e 2 e all’art. 3 Cost.: la Corte ha respinto tali rilievi, ravvisando nella

possibilità di attivare un giudizio abbreviato, il cui quadro probatorio fosse

fondato su atti prodotti unilateralmente dal soggetto sottoposto a giudizio, la

realizzazione dell’eccezione di cui all’art. comma 5 Cost., ossia il ricorso al

consenso dell’imputato.

La Corte Costituzionale ha così fornito una nuova e discussa interpretazione del

principio del contraddittorio nella formazione della prova ex art. 111 comma 4

Cost.: tal principio è, stando all’opinione espressa in sentenza, previsto nel

299

A. BARGI – A. GAITO, Il ricorrente ritorno della Consulta alla cultura processuale inquisitoria, in A.

GAITO (a cura di), La disciplina delle impugnazioni tra riforma e controriforma, Utet, 2007, p. 7, E.

MARZADURI, Sistema da riscrivere dopo ampie riflessioni, in Guida al diritto, 2007, p. 84 ss. 300

F. CAPRIOLI, op. cit., p. 250 ss., che spiega come «il divieto di appellare le decisioni di

proscioglimento impedisce alla parte pubblica di contestare nel merito anche le ordinanze reiettive delle

sue richieste istruttorie». Egli prosegue: «Si immagini un sistema processuale che riconoscesse

l'appellabilità immediata delle ordinanze dibattimentali emanate a norma dell'art. 190 c.p.p. (con relativa

sospensione del giudizio di primo grado), ma attribuisse al solo imputato la legittimazione a proporre

appello. Nessuno, probabilmente, dubiterebbe dell'esistenza di una grave lesione del principio di parità

delle armi: eppure un simile assetto normativo non sarebbe maggiormente discriminatorio, quanto a tutela

del diritto alla prova, di quello risultante dalla soppressione dello ius appellandi nei confronti delle

sentenze di proscioglimento». 301

Corte Cost. n. 184/2008, in V. GREVI, Basta il solo “consenso dell’imputato” per utilizzare come

prova le investigazioni difensive nel giudizio abbreviato?, in Cassazione Penale, 2009, p. 3671 ss., G.

LOZZI, Il contraddittorio in senso oggettivo e il giudizio abbreviato, in Giurisprudenza Costituzionale,

2009(3), p. 2055ss., G. SPANGHER, Indagini difensive e giudizio abbreviato, in Giurisprudenza

Costituzionale, 2009(3), p. 2062 ss.

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precipuo interesse della parte privata, cos che talvolta l’imputato stesso può

rinunciarvi.302

Questa lettura ha imposto ai giudici di valutare se fosse rispettato il principio di

parità delle parti: infatti, è la stessa Corte ad osservare che la questione non

riguarda tanto il principio del contraddittorio, quanto il rispetto della parità delle

armi tra accusa e difesa non già nell’acquisizione, ma nell’introduzione del

materiale probatorio303

.

È in linea con tale regola prevedere che l’imputato possa fare richiesta di essere

giudicato in forma abbreviata – dunque rinunciando alla formazione

dibattimentale in contraddittorio della prova – senza che il pubblico ministero

possa opporsi alla richiesta né avere un potere speculare?

Bisogna tenere presente che la stessa Corte, nella sentenza n. 26/2007, ha

temperato tale regola stabilendo che «nel processo penale, il principio di parità

tra accusa e difesa non comporta necessariamente l'identità tra i poteri

processuali del pubblico ministero e quelli dell'imputato»304

; nel caso di specie,

la Corte ha considerato la privilegiata posizione dell’imputato non lesiva del

principio di parità tra accusa e difesa, in quanto la disposizione è tesa a

riequilibrare la condizione sfavorevole che la parte privata sopporta durante

l’intera fase investigativa, rimasta saldamente in mano all’organo d’accusa e solo

di recente parzialmente estesa all’imputato con la Legge 7 dicembre 2000, n. 397

in materia di investigazioni difensive. Autorevole dottrina ha respinto tale

posizione, sottolineando anzitutto come ad oggi non possa rilevarsi sussistente

questo squilibrio strutturale a sfavore dell’imputato in sede di atti da produrre

durante il rito abbreviato, proprio per via dell’introduzione delle investigazioni

302

V. GREVI, op. cit., p. 3671 ss., sottolinea come nella pronuncia si sia considerato «fuorviante» la

distinzione del principio del contraddittorio nella formazione della prova quale garanzia oggettiva e

soggettiva. La Corte considera « la previsione del "consenso dell'imputato" (all'interno dell'art. 111,

comma 5, Cost.), tra le ipotesi di possibile deroga legislativa al principio del contraddittorio, quale

sintomo della configurabilità di un vero e proprio potere dispositivo rispetto al suddetto principio in capo

all'imputato stesso». 303

G. LOZZI, op. cit., p. 2055 ss. 304

Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it, ribadendo un concetto già espresso dal

Presidente della Repubblica nel messaggio di rinvio alle Camere del primo testo della legge.

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115

difensive305

; inoltre, questa ha evidenziato come il rispetto della garanzia del

contraddittorio come regola aurea dell’accertamento processuale penale non

possa essere cos fortemente derogato in favore dell’imputato, soprattutto alla

luce della sua realizzazione in condizione di parità tra le parti306

.

Tornando alla sentenza n. 26/2007, il Giudice delle Leggi riconosce che parità

non è identità di poteri: la differenza tra imputato e pubblico ministero non può

che «risultare giustificata, nei limiti della ragionevolezza, sia dalla peculiare

posizione istituzionale del pubblico ministero, sia dalla funzione allo stesso

affidata, sia da esigenze connesse alla corretta amministrazione della

giustizia»307

. Si è già evidenziato nel capitolo precedente come la dottrina e la

giurisprudenza abbiano escluso l’identità delle posizioni processuali di pubblico

ministero e imputato: dalla previsione di standard probatori differenti per la

dimostrazione delle tesi di accusa e di difesa, passando per i poteri autoritativi

che in sede di investigazioni può vantare la parte pubblica, sino al sempre attuale

principio del «meglio un colpevole assolto che un innocente condannato»308

,

talvolta risulta addirittura intuitivo esigere uno squilibrio – o meglio, un

riequilibrio – che riduca quello sbilanciamento fisiologico dovuto alla

compresenza di una parte in causa avente natura pubblica ed una privata309

.

305

G. LOZZI, op. cit., p. 2055 ss., secondo cui «il rilievo della Corte costituzionale, per cui i poteri del

pubblico ministero «largamente superiori» a quelli della difesa spiegano e giustificano l'utilizzazione

delle indagini difensive appare sorprendente. I maggiori poteri conferiti alla parte pubblica nell'interesse

della amministrazione della giustizia non possono minimamente giustificare una manovra difensiva

furbesca non certo ispirata alla lealtà processuale, in virtù della quale si presentano indagini difensive in

un momento in cui il pubblico ministero non può più né indagare né contraddire». 306

V. GREVI, op. cit.,p. 3671 ss., G. LOZZI, op. cit., p. 2055 ss., «non è ragionevole il fatto che la parte

privata imputato, che conosce le indagini effettuate dal pubblico ministero, possa contemporaneamente

presentare le indagini difensive e chiedere il giudizio abbreviato senza che il pubblico ministero abbia

alcuna possibilità né di opporsi alla richiesta di giudizio abbreviato né di effettuare altre indagini né di

rendere possibile l'attuazione del contraddittorio in senso oggettivo sulle indagini dell'imputato». 307

Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it, ex pluris §2. capitolo secondo. A. SCALFATI,

Restituito il potere d’impugnazione senza un riequilibrio complessivo, in Guida al diritto, 2007(8), p. 78

ss., evidenzia come il principio di parità precedentemente tratteggiato dalla Corte «sarebbe stato

dirompente se non si fosse precisato che l'eguaglianza delle armi può senz'altro trovare cedimenti in base

ad altre esigenze, a loro volta ispirate a diversi parametri costituzionali, capaci di giustificare un

trattamento differenziato dei poteri». 308

F. STELLA, op. cit., p. 756. 309

F. CAPRIOLI, op. cit., p. 250 ss., secondo cui la parità non deve essere perseguita dal legislatore tramite

la ricerca di improbabili simmetrie, ma perseguendo un sistema di «equilibrio, compensazione e

contrappeso».

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La Corte, inoltre, precisa che «il potere di impugnazione nel merito della

sentenza di primo grado da parte del pubblico ministero present[a] margini di

“cedevolezza” più ampi, a fronte di esigenze contrapposte, rispetto a quelli che

connotano il simmetrico potere dell'imputato»: questo poiché «il potere di

impugnazione della parte pubblica trova copertura costituzionale unicamente

entro i limiti di operatività del principio di parità delle parti», al contrario del

potere di impugnazione dell’imputato, che trova maggiore solidità nel suo

rimando al generale diritto di difesa previsto dall’art. 24 Cost. Ciononostante,

tale maggiore cedevolezza non legittima qualsivoglia compressione del potere

d’impugnativa previsto per la parte pubblica, altrimenti si sottrarrebbero «di

fatto, in radice, le soluzioni normative in subiecta materia allo scrutinio di

costituzionalità»310

.

Il Giudice delle Leggi prosegue nel suo percorso argomentativo affermando che

il trattamento differenziato è sì ammissibile - se non talvolta necessario - purché

sia compatibile col principio di parità alla luce di due condizioni: in prima

istanza, le alterazioni dell’equivalenza di poteri e facoltà devono trovare

«un'adeguata ratio giustificatrice nel ruolo istituzionale del pubblico ministero,

ovvero in esigenze di funzionale e corretta esplicazione della giustizia penale,

anche in vista del completo sviluppo di finalità esse pure costituzionalmente

rilevanti»; in seconda battuta, tali alterazioni devono essere proporzionate, nei

limiti della ragionevolezza, « anche in un'ottica di complessivo riequilibrio dei

poteri, avuto riguardo alle disparità di segno opposto riscontrabili in fasi del

procedimento distinte da quelle in cui s'innesta la singola norma discriminatrice

avuta di mira»311

. Perch l’asimmetria tra i poteri e le facoltà delle parti sia

inscritta nei confini del principio di parità è necessario non solo accertare

l’adeguatezza della ratio giustificatrice di tale norma, ma che questa sia anche

proporzionale al cosiddetto «scalino» di disparità che la norma stessa è venuta a

creare.

310

Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it. 311

Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it.

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La Corte ricorre a questa metafora dello «scalino» per spiegare come, sebbene si

debba perseguire la parità tra le parti nel processo penale, possa accadere che la

fisiologica diversità di ruoli e finalità perseguite dalle stesse generi un gap:

idealmente lo scalino rappresenta un rettangolo alle cui estremità sono poste, alla

stessa altezza, le parti del processo; tuttavia, è possibile che questo si trasformi in

un trapezio, poich la misura dei “lati dello scalino” può variare per quelle

«fisiologiche differenze» tra posizione dell’imputato e del pubblico ministero, di

cui si è già detto in precedenza312

. Il ricorso al canone della ragionevolezza, nei

termini di adeguatezza e proporzionalità, consente di valutare quanto questa

figura possa essere effettivamente distorta, senza che sia violata la posizione di

parità riconosciuta dalla Costituzione313

.

Di fondamentale importanza è stabilire come il Giudice delle Leggi debba

valutare ed eventualmente giustificare, sul piano della ragionevolezza, l’esistenza

di una differenza tra i poteri delle parti; la Corte pare escludere che questa

valutazione possa fondarsi sulla mera esistenza di altre asimmetrie

nell’ordinamento rispetto al rapporto tra le parti processuali: non è possibile,

infatti, ritenere che la presenza di uno sbilanciamento di poteri a favore

dell’organo della pubblica accusa in materia di strumenti investigativi – dovuta al

suo ruolo istituzionale, tenendo in conto anche il carattere invasivo e coercitivo

di determinati strumenti – possa, per se stessa, consentire al legislatore di

rompere l’equilibrio tra pubblico ministero e imputato, a favore di quest’ultimo,

in tutte le altre fasi processuali. Secondo la Corte ciò negherebbe «di fatto,

l'esistenza di limiti di compatibilità costituzionale alla distribuzione asimmetrica

delle facoltà processuali tra i contendenti», e porterebbe a privare «di ogni

concreta valenza la clausola di parità: risultato, questo, tanto meno accettabile a

fronte della sua attuale assunzione ad espresso ed autonomo precetto

costituzionale»314

. Tracciata tale «griglia decisoria», la Corte si occupa

312

L. TRUCCO, op. cit., p. 2153. 313

L. TRUCCO, op. cit., p. 2154. 314

Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it. Aderisce a tale tesi M. CERESA GASTALDO, op.

cit., p. 1894 ss.

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specificamente dell’intervento riformatore della Legge 2 febbraio 2 6, n. 46,

stabilendo che tale novella realizza una «disimmetria radicale» rispetto

all’auspicata posizione paritaria di imputato e pubblico ministero: sebbene tutte

le sentenze di condanna possano essere appellate da entrambe le parti, la

limitazione dell’appellabilità del proscioglimento alla sola ipotesi eccezionale

della prova nuova decisiva impedisce al pubblico ministero di impugnare in

secondo grado la sentenza che lo vede «totalmente soccombente»315

. Il Giudice

delle Leggi ritiene decisivo ai fini della valutazione sfavorevole della novella il

carattere di generalità ed unilateralità dell’intervento. La rimozione del potere

d’appello, infatti, è generalizzata poiché «non è riferita a talune categorie di reati,

ma è estesa indistintamente a tutti i processi, di modo che la riforma, mentre

lascia intatto il potere di appello dell'imputato, in caso di soccombenza, anche

quando si tratti di illeciti bagatellari [...], fa invece cadere quello della pubblica

accusa anche quando si discuta dei delitti più severamente puniti e di maggiore

allarme sociale, che coinvolgono valori di primario rilievo costituzionale»316

.

Rispetto all’unilateralità, la Corte sottolinea come l’eliminazione del potere

d’appello per il pubblico ministero non sia giustificata da alcun meccanismo di

315

Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it., che afferma: «il pubblico ministero viene

privato del potere di proporre doglianze di merito avverso la sentenza che lo veda totalmente

soccombente, negando per integrum la realizzazione della pretesa punitiva fatta valere con l'azione

intrapresa, in rapporto a qualsiasi categoria di reati». A. DE CARO, L’illegittimità costituzionale del divieto

d’appello del pubblico ministero tra parità delle parti e diritto al controllo di merito della decisione, in

Diritto penale e processo, 2007, p. 625 ss., E. MARZADURI, op. cit., p. 85, ha avanzato dubbi

relativamente al ricorso della Corte al sopra richiamato concetto di soccombenza, ritenuto improprio e a

tratti fuorviante nella materia penalistica: ci si chiede se si possa effettivamente operare un raffronto di tal

genere tra un organo pubblico, che deve garantire il rispetto della legge, e l’imputato che, invece, vede il

coinvolgimento dei suoi diritti fondamentali, per appurare l’esistenza di una sperequazione derivante dal

fatto che solo una di queste due parti – quella privata – possa impugnare la pronuncia a sé completamente

sfavorevole. Così anche A. BARGI – A. GAITO, op. cit., p. 7-8, che ha richiamato Corte Cost. ord. n.

286/2003, in cui la Corte costituzionale aveva dichiarato il concetto di soccombenza estraneo al processo

penale, a causa degli ineliminabili squilibri esistenti tra le parti principali di tale processo. Recentemente

R. ORLANDI, La riforma del processo penale fra correzioni strutturali e tutela “progressiva” del diritto

penale, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 2014(3), pag. 1133 ss. ha espresso ulteriori

dubbi sul concetto di soccombenza: «Principio che ha un robusto ancoraggio nel processo civile, dove le

parti sono effettivamente sullo stesso piano, ma che è invece privo di fondamento nel diverso contesto del

processo penale, dove la posizione dell'accusa è del tutto asimmetrica rispetto a quella della difesa».

Secondo l’autore l’espressione “pubblico ministero” più che individuare una parte designa una

“funzione”, considerato che durante lo stesso processo possono avvicendarsi diversi magistrati, come

persone fisiche. 316

Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it.

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compensazione: il riferimento è alla già richiamata giurisprudenza costituzionale

in materia di inappellabilità per il pubblico ministero della sentenza di condanna

conclusiva del rito abbreviato, pronunciata ex art. 443 comma 3 c. p. p.; in questa

ipotesi la Corte aveva ripetutamente riconosciuto la legittimità della disposizione,

poiché lo squilibrio tra imputato e parte pubblica era compensato dalla posizione,

nel rito speciale, del pubblico ministero, considerata maggiormente favorevole317

.

Invece, rispetto all’impugnazione delle sentenze dibattimentali di

proscioglimento, non è funzionale al riequilibrio delle posizioni di pubblico

ministero e imputato escludere che anche quest’ultimo possa generalmente

impugnare la sentenza liberatoria: al contrario, anche questa disposizione solleva

consistenti dubbi di costituzionalità. Infatti, l’imputato mantiene intatta la sua

facoltà di impugnare qualsivoglia pronuncia che l’abbia visto condannato e,

quindi, soccombente; possibilità che è, specularmente, preclusa al pubblico

ministero, il quale si vede negata la possibilità di ottenere la modifica nel merito

della sentenza che abbia completamente disatteso il suo impianto accusatorio318

:

palese, secondo la Corte, la «disimmetria radicale», accentuata inoltre dalla

possibilità riconosciuta alla parte pubblica di appellare le decisioni di condanna,

rispetto a cui può dirsi parzialmente soddisfatto. Nemmeno la previsione

dell’ipotesi eccezionale di appello in caso di sopravvenienza o scoperta di prova

nuova decisiva – inserita a seguito del rinvio del primo testo della Legge alle

Camere da parte del Presidente della Repubblica – soddisfa l’esigenza di

compensazione, essendo norma rivolta ad entrambe le parti, che presenta

«connotati di eccezionalità tali da relegarla a priori ai margini dell'esperienza

applicativa (oltre a non coprire, ovviamente, l'errore di valutazione nel merito)»;

stesse considerazioni per l’ampliamento dei motivi di ricorso in Cassazione,

caratterizzato anch’esso dalla destinazione ad entrambe le parti del processo –

definito «contrappeso neutro»319

: il ricorso in Cassazione è comunque inidoneo a

317

Corte Cost., 24 marzo 1994, n. 98, Corte cost. n. 421/2001, Corte Cost. 347/2002; Corte Cost.

165/2003, in www.cortecostituzionale.it. Ex pluris cfr. note 168, 169. 318

Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it. 319

M. CERESA GASTALDO, op. cit., p. 1894 ss.

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riequilibrare i poteri delle parti «soprattutto perché - quale che sia l'effettiva

portata dei nuovi e più ampi casi di ricorso - il rimedio non attinge comunque alla

pienezza del riesame di merito, consentito dall'appello»320

.

Se l’argomento dell’unilateralità è ampiamente condivisibile321

, desta perplessità

il riferimento al carattere generalizzato della limitazione dell’appello: infatti,

secondo una certa dottrina, considerare ammissibile la nuova regola

dell’inappellabilità se riferita a determinati reati puniti meno severamente o di

ridotto allarme sociale sarebbe ammissibile solo quando, in linea generale, fosse

stata riconosciuta una ragione giustificatrice della differenza di trattamento –

ossia il rispetto del canone di “adeguatezza”; nel caso di specie tale

giustificazione è stata esclusa alla radice322

.

Alla luce di questi rilievi, la Corte si è occupata di accertare se l’intervento

riformatore potesse essere considerato legittimo, in base ai canoni di adeguatezza

e proporzionalità, a fronte di altri valori costituzionali di cui il legislatore si

faceva promotore tramite l’introduzione dell’inappellabilità delle sentenze

dibattimentali di proscioglimento. Vengono così passati in rassegna gli argomenti

principali su cui si fonda la riforma del 2006, già ampiamente espressi nella

precedente trattazione323

. La Corte procede alla confutazione di tre argomenti

fondamentali: in primis, esclude che la novella abbia rafforzato il principio di

320 Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it. 321

Contra P. FERRUA, La sentenza costituzionale sull’inappellabilità del proscioglimento e il diritto al

riesame dell’imputato, in Diritto penale e processo, 2007 (5), p. 605 ss., secondo cui ai rilievi

sull’unilateralità si può eccepire che La contropartita - nei termini di uno speculare "sacrificio"

dell'imputato volto a compensare la perdita del diritto di appello del pubblico ministero - avrebbe un

senso se gli interessi in gioco fossero equipollenti, vale a dire se la posizione del pubblico ministero

davanti all'assoluzione fosse omogenea a quella dell'imputato davanti alla condanna». Equipollenza che,

secondo l’autore, è stata negata dalla stessa Corte, per cui il potere di impugnazione nel merito della

sentenza di primo grado da parte del pubblico ministero present[a] margini di "cedevolezza" più ampi, a

fronte di esigenze contrapposte, rispetto a quelli che connotano il simmetrico potere dell'imputato». «Non

si vede allora perché questa maggiore "cedevolezza" non possa direttamente realizzarsi attraverso un più

ristretto potere di impugnazione del pubblico ministero, ma debba necessariamente implicare un sacrificio

di garanzie difensive». Anche R. ORLANDI, op. cit., p. 1133 ss., riconosce come non vi sia una

compressione dell’esercizio della funzione del pubblico ministero e dunque una disimmetria: «Il pubblico

ministero che sa di non poter contare sul mezzo dell'appello, dovrà sforzarsi di sfruttare al meglio il

procedimento di primo grado, cominciando con l'effettuare indagini complete. In ciò non vi sarebbe nulla

di patologico e, men che meno, di incostituzionale». Questo impedirebbe, peraltro, il perpetrarsi dello

squilibrio dovuto alla preponderanza della posizione del pubblico ministero nella fase di indagine. 322

F. CAPRIOLI, op. cit., p. 250 ss. 323

Ex pluris cfr. capitolo secondo §2.

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non colpevolezza ex art. 27 comma 2 Cost., anche alla luce dell’introdotta regola

di giudizio dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”; infatti, vi era chi riteneva

impossibile che un giudice potesse dichiarare colpevole “oltre ogni ragionevole

dubbio” colui che un altro giudice avesse dichiarato innocente. La Corte

sconfessa tale approdo, affermando che, da una parte, un soggetto prosciolto in

primo grado può essere condannato in appello sulla base di un quadro probatorio

differente, a causa di una rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ex art. 603

c. p. p. oppure a causa dell’intervenuta valutazione o utilizzabilità di prove non

valutate o considerate inutilizzabili nel grado precedente; inoltre, la Corte

riconosce che il giudice d’appello può ben ribaltare la sentenza proscioglitiva

pronunciata in primo grado, in quanto il convincimento del precedente organo

giudiziario non può entrare a far parte del patrimonio cognitivo del secondo

giudice, poiché si svilirebbe qualsiasi funzione di controllo del giudizio

d’appello324

: «il vero controsenso è immaginare un organo controllante obbligato,

in qualche misura, a ritenere che l'operato dell'organo assoggettato al controllo

sia stato corretto»325

.

Nemmeno la volontà di adeguarsi alle disposizioni internazionali in materia di

“diritto dell’imputato ad un doppio grado di giurisdizione nel merito” sono

ritenute dalla Corte sufficienti a giustificare la menomazione dell’appello del

pubblico ministero: il Giudice delle Leggi ribadisce la propria posizione,

escludendo innanzitutto che l’art. 14 comma 5 del Patto dei diritti civili e politici

e l’art. 2 del VII Protocollo aggiuntivo C. E. D. U. siano norme riconosciute in

Costituzione326

. Questa ribadisce, inoltre, che, da una parte, l’art. 4 comma 5 del

Patto sui diritti civili e politici non prevede che l’ulteriore giudizio da fornire

all’imputato sia necessariamente di merito – essendo così sufficiente il giudizio

324

Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it, con le stesse argomentazioni di F. CAPRIOLI, I

nuovi limiti all’appellabilità delle sentenze di proscioglimento tra diritti dell’individuo e «parità delle

armi», in Giurisprudenza Italiana, 2007 (1), R. E. KOSTORIS, Le modifiche al codice di procedura penale

in tema di appello e di ricorso per cassazione introdotte dalla c. d. “legge Pecorella”, in Rivista di diritto

e processo, 2006, p. 637. 325

F. CAPRIOLI, op. cit., p. 250 ss. 326

Corte cost. n. 316/ 2002, in Giurisprudenza Costituzionale, 2002, p. 2454; Corte Cost., n. 280/1995, in

Giurisprudenza costituzionale, 1995, p.1973, quali precedenti della posizione della Corte in materia.

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di legittimità in Cassazione garantito dall’art. comma 7 Cost. - ; dall’altra,

rammenta che l’art. 2 del VII Protocollo aggiuntivo C. E. D. U. prevede proprio

come eccezione alla regola l’ipotesi di condanna pronunciata per la prima volta

in appello327

. La Corte, pur riconoscendo come nobile l’intento di perseguire la

piena realizzazione del diritto alla “doppia conforme” per l’imputato, non ritiene

che sia soluzione idonea quella di ricorrere alla mutilazione del potere di appello

del pubblico ministero328

.

Infine, la Corte costituzionale affronta il problema relativo al rapporto tra

giudizio d’appello e nuovi principi del giusto processo: possono dirsi rispettati i

principi di oralità- immediatezza, concentrazione e contraddittorio in un giudizio

che si fonda sulla rivalutazione cartolare del quadro probatorio? Rimandando

un’analisi dettagliata della problematica ai paragrafi seguenti – anche alla luce

delle recenti sentenze della Corte E. D. U. sul tema – basti al momento segnalare

che la Corte Costituzionale ha dimostrato l’inconferenza del rilievo rispetto alla

riforma promossa, in quanto lo stesso problema restava attuale rispetto alle

sentenze di condanna, che il pubblico ministero poteva e può tuttora appellare.

Secondo la Corte, un eventuale rimedio andrebbe semmai «rinvenuto - in via

preliminare - in soluzioni che escludano quel difetto, e non già in una

eliminazione dei poteri della parte contrapposta che generi un radicale squilibrio

nelle rispettive posizioni»329

.

Alla luce di questo complesso percorso argomentativo la Corte

«dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n.

46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle

sentenze di proscioglimento), nella parte in cui, sostituendo l'art. 593 del codice

di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le

sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall'art. 603,

comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova è decisiva» e «l'illegittimità

costituzione dell'art. 10, comma 2, della citata legge 20 febbraio 2006, n. 46,

327

Sul tema ex pluris cfr. capitolo primo §3. 328 Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it. 329

Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it.

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nella parte in cui prevede che l'appello proposto contro una sentenza di

proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della

medesima legge è dichiarato inammissibile»330

.

La giurisprudenza costituzionale ha cos “smontato” il fulcro dell’intera

architettura della riforma del 2006, avallando tutti quei dubbi che avevano, sin

dalla sua genesi, contornato la disciplina novellistica: questa sentenza ha,

ovviamente, ingenerato delle conseguenze sistematiche e, altrettanto

inevitabilmente, si è esposta ad alcune osservazioni critiche. In prima istanza, la

dottrina ha riconosciuto che la modifica della sentenza n. 26/2007, ristabilendo il

potere d’impugnativa solo per il pubblico ministero, ha creato ulteriori squilibri

tra le parti, poich l’impugnazione della sentenza di proscioglimento risultava

ancora preclusa al soggetto sottoposto a giudizio331

.

Tale innegabile scompenso è stato escluso dalla sentenza Corte Cost. n. 85/ 2008,

che ha ristabilito tale potere in capo all’imputato332

. Ulteriori squilibri si sono

riscontrati rispetto all’appellabilità da parte dell’imputato delle sentenze di

condanna: la pronuncia in commento ha ristabilito in via generale il potere

d’appello delle sentenze di proscioglimento per l’imputato, risultando così

«lesivo della par condicio partium, questa volta in danno dell'imputato, il

sopravvissuto divieto di appello nei confronti delle sentenze di condanna per le

quali sia stata applicata la sola pena dell'ammenda»333

. Anche di questo profilo si

è parzialmente occupata la sentenza Corte Cost. n. 85/2008.

Una certa dottrina ha criticato alcuni pilastri dell’argomentazione della Corte,

come il ricorso al canone di ragionevolezza: posto che la parità delle parti non è

identità di poteri e che il potere di impugnazione del pubblico ministero ha una

330

Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it. 331

F. CAPRIOLI, op. cit., p. 250 ss., M. CERESA GASTALDO, op. cit., p. 1894 ss., A. SCALFATI, Restituito il

potere d’impugnazione senza un riequilibrio complessivo, in Guida al diritto, 2007(8), p. 78 ss., A.

PRESUTTI, L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento tra regola ed eccezione, op. cit., p. 111, E.

MARZADURI, Sistema da riscrivere dopo ampie riflessioni, in Guida al diritto, 2007, p. 84 ss, G. FRIGO,

Una parità che consolida diseguaglianze, in Guida al diritto, 2007(8), p. 87 ss., V. GREVI, op. cit. p. 1418

ss., A. DE CARO, L’illegittimità costituzionale del divieto d’appello del pubblico ministero tra parità delle

parti e diritto al controllo di merito della decisione, in Diritto penale e processo, 2007, p. 621 ss. 332

Cfr. capitolo terzo §3. 333

F. CAPRIOLI, op. cit., p. 250 ss.

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maggiore cedevolezza» di quello dell’imputato, tutelato dall’inderogabilità del

diritto di difesa, la Corte non ha valutato come ragionevole lo squilibrio creato

dal nuovo art. 593 c. p. p.

Tale irragionevolezza, però, non può considerarsi “manifesta”, in quanto già

l’introduzione dell’appellabilità per prove nuove sopravvenute e l’estensione del

vizio di motivazione in caso di ricorso per Cassazione avevano escluso che al

pubblico ministero fosse impedito di impugnare il proscioglimento “ingiusto”:

l’ampiezza di questo sindacato di ragionevolezza, dunque, genererebbe secondo

tale dottrina un’eccessiva ingerenza sull’operato del legislatore da parte della

Corte, che sottopone ai suoi canoni decisori la discrezionalità legislativa in tema

di norme processuali334

. Il rischio paventato è quello di passare dalla sovranità

delle Costituzione alla, meno democratica a causa del difetto di rappresentanza e

di responsabilità politica, sovranità della Corte Costituzionale335

.

Pur temperando i toni eccessivamente preoccupati di tale indirizzo, anche la

dottrina favorevole al nucleo motivazionale della sentenza ha rilevato un

importante incongruenza della pronuncia336

: riconoscendo il diritto d’appello

come tutelato in via esclusiva dal principio di parità di cui all’art. comma 2

Cost., la Corte ha negato che il potere d’impugnazione fosse estrinsecazione del

principio di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale ex art. 112 Cost.

Questo assunto della Corte si pone in continuità con la precedente giurisprudenza

costituzionale – di cui è sentenza cardine Corte Cost. n. 280/1995, che aveva

ribaltato la Corte Cost. n. 177/1971 – che ha escluso in maniera netta la

ricomprensione del potere d’appello nell’alveo dell’art. 2 Cost.; la dottrina ha

334

A. BARGI – A. GAITO, op. cit., p. 4-5, P. FERRUA, La sentenza costituzionale sull’inappellabilità del

proscioglimento e il diritto al riesame dell’imputato, in Diritto penale e processo, 2007 (5), p. 605 ss.,

secondo cui «irragionevoli, di fatto, sono le scelte che non coincidono con quelle predilette dalla Corte (o

meglio dalla maggioranza del collegio giudicante); le quali, a loro volta, non essendo anticipatamente

decifrabili con un previo parere di costituzionalità, risultano spesso oscure ed imprevedibili in sede di

formazione della legge». Così, «la Corte immette o demolisce norme processuali sulla base di ciò che

ritiene conforme al proprio modello ideale di giustizia; modello che diventa vincolante per il legislatore,

dato che i principi fissati dai giudici costituzionali, salvo improbabili ripensamenti, restano immutabili.» 335

P. FERRUA, La sentenza costituzionale sull’inappellabilità del proscioglimento e il diritto al riesame

dell’imputato, in Diritto penale e processo, 2007 (5), p. 605 ss. 336

V. GREVI, Appello del pubblico ministero e obbligatorietà dell’azione penale, in Cassazione Penale,

2007(4), p. 1414 ss., F. CAPRIOLI, op. cit., p. 250 ss. M. CERESA GASTALDO, op. cit., p. 1894 ss., A.

PRESUTTI, L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento tra regola ed eccezione, op. cit., p. 108 ss.

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nuovamente espresso gli stessi dubbi enunciati in merito alle precedenti sentenze

– e già riportati nei capitoli precedenti337

.

Ritenere, infatti, che l’obbligo di agire sussista solo nella fase di promozione

dell’azione, mutando tale posizione in diritto soggettivo qualora ci si affacci ai

gradi di giudizio successivo, non è giustificabile in base al ricorso ai concetti di

acquiescenza e rinuncia all’impugnazione: tali norme codicistiche non possono,

da un lato, imporsi quale canone interpretativo costituzionale338

; dall’altro, pur

ammettendo tale riferimento, queste non sono incompatibili col dovere di agire,

dovere che, così ritenendo, sarebbe altrettanto svilito in primo grado dalla

previsione della richiesta di archiviazione, dall’assenso al proscioglimento

predibattimentale e dalla formulazione di conclusioni favorevoli all’imputato339

.

Detto ciò, la Corte riconosce la sussistenza del dovere di controllo del pubblico

ministero sulla decisione del primo giudice, escludendone qualsiasi “intento

persecutorio”: se questa avesse coerentemente stabilito che il diritto all’appello si

fonda, come per l’imputato sul diritto di difesa ex art. 24 Cost. , così anche per il

pubblico ministero sull’obbligo di agire ex art. 112 Cost. – e non solo sul

principio di parità delle parti – avrebbe meglio perseguito il pieno

riconoscimento di tale potere per la parte pubblica e il riequilibrio dello

scompenso causato dalla riforma340

. L’appello, infatti, non è costituzionalmente

garantito come il ricorso in Cassazione e potrebbe essere “sacrificato”

dall’ordinamento: tuttavia, alla luce di questa interpretazione, l’esclusione

dell’appello dovrebbe essere giustificata sul piano della tutela di altri beni

costituzionali, rispetto a cui ammettere un depotenziamento dell’obbligo di

337

Ex pluris cfr. capitolo primo §3. p. 26 ss., note 64, 65, 66, 67. 338

V. GREVI, op. cit., p. 1414 ss. 339

M. CERESA GASTALDO, op. cit., p. 1894 ss., nota 26, in cui richiama la pronuncia Corte Cost. n.

177/1971: «il potere di impugnazione ... è un'estrinsecazione ed un aspetto dell'azione penale, un atto

conseguente - obbligatorio e non discrezionale - al promovimento dell'azione penale (beninteso, con gli

stessi limiti di comportamento che il pubblico ministero ha rispetto alla notitia criminis, dopo la quale

può convincersi a proporre al giudice istruttore il decreto di non promovimento, oppure, in istruttoria o in

udienza, l'assoluzione o una pronuncia più favorevole a fronte della contestazione dell'accusa): vale a dire

un atto dovuto, che si concreta nella richiesta al giudice superiore di emettere una diversa decisione, più

conforme alla pretesa punitiva, e di rimuovere il pregiudizio che, a criterio dell'organo dell'accusa, la

precedente statuizione abbia arrecato alla realizzazione di essa». 340

V. GREVI, op. cit., p. 1414 ss.

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azione ex art. 112 Cost. Così la sentenza: «l'iniziativa del pubblico ministero

volta alla verifica dei possibili (ed eventualmente, anche evidenti) errori

commessi dal primo giudice, nel negare la responsabilità dell'imputato» ha

«come scopo istituzionale quello di assicurare la corretta applicazione della legge

penale nel caso concreto» e quindi, in ultima analisi, la «effettiva attuazione dei

princìpi di legalità e di eguaglianza, nella prospettiva della tutela dei molteplici

interessi, connessi anche a diritti fondamentali, a cui presidio sono poste le

norme incriminatrici»341

. Questa ricostruzione pare sufficiente a che il Giudice

delle Leggi riconosca la doverosità dell’impugnazione; tuttavia, a questa

statuizione non è seguito il revirement rispetto alla sentenza Corte Cost. n.

280/1995342

.

L’analisi finora svolta ha evidenziato un impianto argomentativo solido nel suo

nucleo centrale, sebbene carente rispetto ad alcuni profili di incongruenza con

altre disposizioni della stessa riforma – su cui la Corte costituzionale interverrà

con le pronunce n. 320/2007 e n. 85/2008 - : si può affermare che la Corte abbia,

nel complesso, voluto segnare il passo con questa prima pronuncia, minando le

fondamenta della riforma del 2006 e al contempo offrendo al legislatore la

possibilità di provare a riformare l’intero sistema delle impugnazioni penali343

.

341

Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it. 342

M. CERESA GASTALDO, op. cit., p. 1894 ss. 343

L. TRUCCO, op. cit., p. 2155.

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§2. La sentenza n. 320/ 2007 della Corte Costituzionale.

Il Giudice delle Leggi torna nuovamente a pronunciarsi in merito alla Legge 20

febbraio 2006, n. 46 e sancisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della citata

novella, che aveva modificato l’art. 443 comma c. p. p., rendendo alle parti

totalmente inappellabili tali sentenze di proscioglimento – a fronte della

precedente formulazione che prevedeva l’inappellabilità di quest’ultime solo

quando fosse preordinata ad ottenere una diversa formula proscioglitiva - . La

Corte fa ricorso allo stesso percorso interpretativo che ha portato al

riconoscimento della violazione del principio di parità delle parti, nell’ipotesi di

inappellabilità per il pubblico ministero delle sentenze dibattimentali: in questo

ulteriore caso, essa è chiamata a stabilire se l’inappellabilità delle sentenze di

proscioglimento conclusive di rito abbreviato, sempre nell’ottica del solo

pubblico ministero, sia altrettanto lesiva dell’art. comma 2 Cost. e, perciò,

incostituzionale. Stante il breve lasso di tempo intercorrente tra la sentenza del 24

gennaio 2007, n. 26 e quella del 20 luglio 2007, n. 320, la dottrina ha evidenziato

come la Corte ricorresse per larghi tratti allo schema della motivazione per

relationem: nella sentenza, infatti, non era né riportata la statuizione in merito

alla natura “generalissima” della regola di parità tra le parti, n si descrivevano

nuovamente i canoni di valutazione della ragionevolezza di un’eventuale

asimmetria, consistenti, come noto, in proporzionalità e adeguatezza344

.

La Corte ha, dunque, riconosciuto anche per l’innovato art. 443 comma c. p. p.

la medesima ratio legis sussistente per il nuovo art. 593 c. p. p.: questa assegna

alla modifica dell’impugnazione delle sentenze proscioglitive di rito abbreviato

una semplice funzione «di raccordo o di coordinamento»345

, equiparando in tal

344

F. CAPRIOLI, Limiti all’appello del pubblico ministero e parità delle parti nel giudizio abbreviato, in

Giurisprudenza costituzionale, 2007(4), p. 3112 ss., D. VICOLI, Parità delle parti e giudizio abbreviato:

cade per il pubblico ministero il divieto d’appello delle sentenze di proscioglimento, in Cassazione

Penale, 2 7( 2), p. 442 ss., in cui l’autore afferma che l'adesione ai capisaldi della precedente

declaratoria di illegittimità è giudicata a tal punto ovvia che alcuni di essi - sebbene di importanza

centrale - sono dati per impliciti». Il riferimento è, ovviamente, a Corte Cost. n. 26/2007, in

www.cortecostituzionale.it 345

Corte Cost. n. 320/2007, in www.cortecostituzionale.it.

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maniera la discplina del rito ordinario a quella del rito abbreviato346

. È vero che

l’esclusione dell’appello della sentenza di proscioglimento conclusiva di rito

abbreviato non può avere lo scopo di ristabilire il corretto rapporto tra primo e

secondo grado di giudizio, in applicazione dei principi del giusto processo: il rito

abbreviato stesso è infatti un giudizio cartolare347

. Tuttavia, altri erano gli aspetti

per cui la ratio che ispirava il divieto, per la parte pubblica, di appellare il

proscioglimento era la medesima, indipendentemente dalle forme del giudizio di

primo grado, come la volontà di impedire gli “intenti persecutori” della parte

pubblica o di evitare che l’imputato fosse condannato per la prima volta in

appello. Alla luce di ciò, è condivisibile l’affermazione della Corte, per cui l'art. 2

l. n. 46 del 2007 non risponde a «finalità "proprie", distinte da quelle addotte a

sostegno dell'intervento nella sua globalità»348

.

Se dunque il fondamento della riforma è il medesimo sia rispetto all’art. che

all’art. 2 della Legge 20 febbraio 2006, n. 46, anche l’esito del vaglio della Corte

sarebbe dovuto essere identico, poiché questa aveva già considerato le finalità

che muovevano le scelte legislative inadeguate a giustificare l’asimmetria dei

poteri tra accusa e difesa. In questo senso, la Corte ha ripercorso, anche se più

superficialmente, il medesimo iter argomentativo, inerente alle confutate ragioni

giustificatrici della riforma: il Giudice delle Leggi si è esposto, così, agli stessi

rilievi critici della dottrina – già ampiamente descritti nel corso della trattazione :

da una parte, i sostenitori della scelta operata dalla riforma criticavano la mancata

omologazione dell’ordinamento alle disposizioni pattizie sopranazionali349

;

dall’altra, chi si opponeva alla limitazione del potere d’impugnazione dell’organo

d’accusa ravvisava il mancato impiego dell’art. 2 Cost., come principio su cui

346

D. VICOLI, op. cit., p. 4429 ss., E. VALENTINI, L’iter parlamentare della riforma, in M. BARGIS, F.

CAPRIOLI (a cura di), Impugnazioni e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006, Giappichelli,

2007, p. 8. 347

E. MARZADURI, Così nell'assetto degli istituti il legislatore ricerca nuovi equilibri, in Guida al diritto,

2 6( ), p. 53, riteneva per tale ragione intollerabile la limitazione dell’appello del pubblico ministero in

caso di ricorso al rito abbreviato. 348

Corte Cost. n. 320/2007, in www.cortecostituzionale.it. 349

Ex pluris cfr. capitolo primo §1., capitolo terzo §1.

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fondare l’appello del pubblico ministero350

.

Inoltre, è stato anche criticato il ricorso al concetto di “soccombenza”: bisogna

altresì registrare come in questo caso la sentenza non faccia menzione di questo

termine “ambiguo”, ma adotti una formula più neutra»351

, parlando di decisione

che «disattenda in modo integrale la pretesa punitiva»352

.

Il quadro finora descritto porta a ritenere che la sentenza n. 320/2007 fosse in

qualche modo una sentenza annunciata, quasi implicita negli approdi raggiunti

dalla precedente declaratoria di illegittimità; ciò che interessa è capire in che

modo questi argomenti abbiano resistito di fronte ai caratteri di specialità che il

giudizio abbreviato porta in nuce, specialmente in relazione alla posizione di

vantaggio di cui il pubblico ministero pare giovarsi all’interno del processo

celebrato secondo il rito abbreviato. Infatti, la rimozione del potere d’appello era

stata definita nella sentenza n. 26/2007 come radicale, generalizzata e unilaterale:

rispetto a questa unilateralità, non si può escludere in radice che la rinuncia alla

discussione dibattimentale da parte dell’imputato potesse essere considerata una

idonea contropartita per il sacrificio del pubblico ministero, situazione

evidentemente assente nel caso dell’inappellabilità delle sentenze proscioglitive

dibattimentali353

.

La Corte ha dovuto affrontare la questione alla luce di una sua precedente

pronuncia, che aveva riconosciuto come legittima l’esclusione, per il pubblico

350 Ex pluris cfr. capitolo terzo §1., nota 298, D. VICOLI, op. cit., p. 4429 ss., ritiene, sul tema, «che

l'opzione di sganciare il profilo attinente all'appellabilità delle sentenze assolutorie dall'art. 112 Cost.

finisca per generare antinomie»; infatti, «se «l'iniziativa del pubblico ministero volta alla verifica dei

possibili [...] errori commessi dal primo giudice [...] ha come scopo istituzionale quello di assicurare la

corretta applicazione della legge penale e [...] l'effettiva attuazione dei principi di legalità e di

uguaglianza», sembra contraddittorio affidarla alle scelte discrezionali dell'accusatore, secondo una logica

finisca per generare antinomie»; infatti, «se «l'iniziativa del pubblico ministero volta alla verifica dei

possibili [...] errori commessi dal primo giudice [...] ha come scopo istituzionale quello di assicurare la

corretta applicazione della legge penale e [...] l'effettiva attuazione dei principi di legalità e di

uguaglianza», sembra contraddittorio affidarla alle scelte discrezionali dell'accusatore, secondo una logica

- quella del potere disponibile - che non è in sintonia con i valori richiamati dalla Corte». 351

D. VICOLI, op. cit., p. 4429 ss. 352 Corte Cost. n. 320/2007, in www.cortecostituzionale.it, D. VICOLI, op. cit., p. 4429 ss., afferma in

merito che, nonostante le differenti parole impiegate, « gli effetti sono i medesimi: annullare il divario che

separa, sul piano della tutela costituzionale, le parti del processo, per stabilire una piena equipollenza tra

la posizione dell'imputato davanti alla condanna e quella del pubblico ministero rispetto all'esito

assolutorio». 353

V. GREVI, op. cit., p. 1419.

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ministero, del potere d’appello delle sentenze di condanna non modificative del

titolo di reato: proprio su questa giurisprudenza della Corte i promotori della

riforma avevano, peraltro erroneamente, ritenuto infondati i rilievi del Presidente

della Repubblica inerenti ad una possibile violazione del principio di parità delle

parti da parte della riforma del 2006354

. La Corte aveva, in quel caso,

riconosciuto che il rito abbreviato «sia pure, oggi, per scelta esclusiva

dell’imputato, implica una decisione fondata, in primis, sul materiale probatorio

raccolto dalla parte che subisce la limitazione censurata, fuori delle garanzie del

contraddittorio»355

. La stessa sentenza n. 26/2007 aveva riconosciuto che, nel

caso dell’art. 443 comma 3 c. p. p. e differenza delle sentenze dibattimentali, la

disimmetria era ammissibile a fronte della particolare posizione rivestita dal

pubblico ministero nel giudizio abbreviato.

In realtà, quest’architettura argomentativa della giurisprudenza costituzionale in

merito all’art. 443 comma 3 c. p. p., pare ammissibile relativamente alla

premessa maggiore, che riconosce il principio di parità delle parti come principio

“forte”, derogabile solo quando si dovesse controbilanciare un vantaggio

riconosciuto in capo ad una delle parti; al contrario, non sembra fondata la

premessa minore, che trascura l’effettiva evoluzione del rito abbreviato – anche a

seguito della riforma della Legge 16 dicembre 1999, n. 479 – da cui è discesa la

forte limitazione, o meglio l’esclusione, di questo vantaggio riconosciuto in

precedenza al pubblico ministero356

. Infatti, la novella del 1999 aveva escluso

che il pubblico ministero potesse opporsi alla richiesta di esperire il giudizio

abbreviato; inoltre, la decisione del giudice poggia attualmente, nell'ipotesi base

di richiesta "semplice", sugli atti compiuti dal pubblico ministero durante la fase

investigativa, che ormai sono guidate dal criterio della doverosa completezza;

inoltre, l’organo d’accusa non può vantare più, in tale sede, il monopolio di

predisposizione dei materiali cognitivi, in quanto questi possono essere integrati

354

Ex pluris cfr. capitolo secondo §1. 355

Corte cost., 24 marzo 1994, n. 98, Corte cost. n. 421/2001, Corte Cost. 347/2002; Corte Cost.

165/2003, in www.cortecostituzionale.it. Ex pluris cfr. note 168, 169. 356

F. CAPRIOLI, p. 3112 ss., D. VICOLI, op. cit., p. 4429 ss., A. SCALFATI, Restituito il potere

d’impugnazione senza un riequilibrio complessivo, in Guida al diritto, 2007(8), p. 81.

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sia tramite le investigazioni difensive che tramite le richieste d’ufficio o quelle

avanzate dalla parte357

.

Date tali premesse, con la sentenza n. 320/2007 la Corte ha ritenuto ingiustificata

la limitazione del potere d’appello del pubblico ministero verso le sentenze

proscioglitive di rito abbreviato, ex art. 443 comma 1 c. p. p.: infatti, il Giudice

delle Leggi tollerava la menomazione del potere d’appello della parte pubblica

solo quando l’esito del giudizio consisteva in una mera difformità di ordine

"quantitativo" rispetto alle richieste dell'accusa»358

, come nel caso di appello

verso la sentenza di condanna non modificativa del titolo di reato. Al contrario,

rispetto all’art. 443 comma c. p. p. l’appello è estromesso per le pronunce che

disattendono totalmente la pretesa punitiva, quindi decisamente più gravoso359

.

La Corte, peraltro, ha negato che il privilegio riconosciuto alla parte privata

dall’art. 443 comma c. p. p. trovasse una contropartita nella posizione del

pubblico ministero durante il rito abbreviato: «la fisionomia assunta dal rito

alternativo dopo le riforme del 1999- 2000 renderebbe obsoleta una simile

analisi»360

.

Infatti, la parte pubblica vedrebbe «attualmente circoscritto il suo ruolo, quale

parte processuale nel giudizio abbreviato [...] al semplice contributo dialettico in

sede di discussione»; viceversa, il “sacrificio” insito nella rinuncia al

contraddittorio nella formazione della prova, ad opera dell'imputato»,

assumerebbe ormai «una valenza significativamente attenuata rispetto all'assetto

d'origine»361

. A fronte di tali rilievi, il Giudice delle Leggi ritiene che l’assetto

complessivo del rito abbreviato non consenta di giustificare tale scompenso in

sede di impugnazione, quale riequilibrio dei poteri esercitati dalle parti nel

complesso del rito speciale in esame.

357

Ex pluris cfr. capitolo secondo §4. 358

Corte Cost. n. 320/2007, in www.cortecostituzionale.it. 359

F. CAPRIOLI, p. 3 2 ss., in cui l’autore richiama Corte cost. n. 363/1991, in

www.cortecostituzionale.it., Il sacrificio dei poteri della parte pubblica sull'altare delle esigenze di

economia processuale era ammissibile in ragione del carattere meramente «quantitativo» dello scarto tra

le richieste dell'accusa e la pronuncia del giudice di primo grado 360

F. CAPRIOLI, p. 3112 ss. 361 Corte Cost. n. 320/2007, in www.cortecostituzionale.it.

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Sulla base di tali argomentazioni, con la sentenza 20 Luglio 2007, n. 320 la Corte

Costituzionale «dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 20

febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di

inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui, modificando

l'art. 443, comma 1, del codice di procedura penale, esclude che il pubblico

ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento emesse a seguito

di giudizio abbreviato»362

.

362

Corte Cost. n. 320/2007, in www.cortecostituzionale.it.

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§3. La sentenza n. 85/2008 della Corte Costituzionale.

La sentenza della Corte Costituzionale 4 Aprile 2008, n. 85 conclude, in un certo

senso, l’opera di “smantellamento” della novella del 2006 avviata con la sentenza

24 gennaio 2 7, n. 26: quest’ultima aveva infatti restituito il potere di appello

verso le sentenze dibattimentali di proscioglimento da parte del pubblico

ministero, senza occuparsi della posizione dell’imputato; scelta che, a detta della

dottrina, favoriva la permanenza di ulteriori disparità tra gli attori principali del

processo penale363

. Infatti, a differenza del pubblico ministero che può ormai

appellare qualsivoglia sentenza di proscioglimento, il soggetto sottoposto a

giudizio era ancora limitato a proporre appello verso tali pronunce solo nei casi

di prova nuova decisiva: ciò impediva all’imputato di chiedere ed ottenere il

controllo della decisione proscioglitiva, anche laddove quest’ultima portasse con

se un accertamento di responsabilità o comunque conseguenze a lui sfavorevoli.

La dottrina si è chiesta, a tal proposito, se la responsabilità di tale scompenso

fosse da riconoscere esclusivamente in capo al legislatore, oppure se la Corte

Costituzionale ne avesse favorito la permanenza, avendo potuto già rimuoverla

con la sentenza n. 26/2007: secondo taluni, il Giudice delle Leggi avrebbe potuto

sollevare ex officio la questione di legittimità costituzionale della stessa

disposizione nei confronti dell’imputato364

o, secondo tal altri, ricorrere allo

strumento della declaratoria di illegittimità in consequenziale365

.

Un’altra corrente ravvisa la piena correttezza dell’operato della Corte: infatti,

prevedere che l’imputato possa generalmente appellare le sentenze di condanna e

363

Opinione condivisa da diversi autori: F. CAPRIOLI, op. cit., p. 250 ss., M. CERESA GASTALDO, op. cit.,

p. 1894 ss., A. SCALFATI, Restituito il potere d’impugnazione senza un riequilibrio complessivo, in Guida

al diritto, 2007(8), p. 78 ss., A. PRESUTTI, L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento tra regola

ed eccezione, op. cit., p. 111, A. BARGI – A. GAITO, op. cit., p. 1 ss., E. MARZADURI, Sistema da riscrivere

dopo ampie riflessioni, in Guida al diritto, 2007, p. 84 ss, G. FRIGO, Una parità che consolida

diseguaglianze, in Guida al diritto, 2007(8), p. 87 ss., V. GREVI, op. cit. p. 1418 ss., A. DE CARO,

L’illegittimità costituzionale del divieto d’appello del pubblico ministero tra parità delle parti e diritto al

controllo di merito della decisione, in Diritto penale e processo, 2007, p. 621 ss. (cfr. nota 312) 364

CERESA GASTALDO, op. cit., p. 1894 ss. 365 A. PRESUTTI, L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento tra regola ed eccezione, op. cit., p. 12

ss., A. BARGI – A. GAITO, op. cit., p. 2. Il meccanismo è previsto dall’art. 27 della Legge marzo 53,

n. 87: «La Corte costituzionale, quando accoglie una istanza o un ricorso relativo a questione di

legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, dichiara, nei limiti

dell'impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime. Essa dichiara, altresì, quali sono le

altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata».

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non quelle di proscioglimento «che contengano un implicito riconoscimento della

sua responsabilità», è di per sé lesivo del diritto di difesa, indipendentemente dai

poteri che sono attribuiti all’organo di pubblica accusa – in questo senso non

poteva nemmeno prospettarsi un l’illegittimità di tipo consequenziale - 366

.

Volgendo lo sguardo al contenuto della sentenza 24 gennaio 2007, n. 26, si può

altresì appurare che la Corte avesse già ravvisato tale disequilibrio,

considerandolo quasi un effetto collaterale dell’operato del legislatore del 2 6:

sollevandosi da qualsiasi responsabilità, la Corte sembrava aprire alla

declaratoria di incostituzionalità di tale disposizione, attendendo di essere

investita della specifica questione367

.

Date tali premesse, l’iter argomentativo della pronuncia in esame prende le

mosse dalla constatazione di un’asimmetria a svantaggio dell’imputato: egli può

impugnare le sentenze di condanna, ma non quelle di proscioglimento che non

siano per lui integralmente satisfattive. Questo stesso squilibrio era ravvisabile,

anche se a termini invertiti, nella posizione del pubblico ministero, che secondo

l’innovato art. 5 3 c. p. p., poteva appellare le sentenze che avessero soddisfatto

la sua pretesa e non quelle pronunce che, invece, avessero per integrum disatteso

la medesima pretesa punitiva avanzata al momento dell’esercizio dell’azione

penale: se la Corte aveva già eliminato questo scompenso per il pubblico

ministero, lo stesso destino sarebbe toccato alla disposizione relativa

all’imputato368

.

Rispetto a tale argomento, si rilevi come l’impiego del termine “soccombenza”

scompaia in questa pronuncia369

, sebbene in sostanza tale riferimento continui a

costituire il fulcro del ragionamento370

.

366

F. CAPRIOLI, op. cit., p. 268 ss. 367

M. BARGIS, L’imputato può nuovamente appellare (con un limite) le sentenze dibattimentali di

proscioglimento: la Corte Costituzionale elimina (e nel contempo crea) asimmetrie, in M. BARGIS – H.

BELLUTA, Impugnazioni penali. Assestamenti del sistema e prospettive di riforma, Giappichelli, 2013, p.

126. 368

Corte Cost. n. 85/2008, in www.cortecostituzionale.it. 369

Per una critica all’impiego di tale concetto cfr. nota 2 6. 370 M. BARGIS, L’imputato può nuovamente appellare (con un limite) le sentenze dibattimentali di

proscioglimento: la Corte Costituzionale elimina (e nel contempo crea) asimmetrie, in M. BARGIS – H.

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Il Giudice delle Leggi, prima di argomentare ulteriormente la declaratoria di

illegittimità costituzionale, critica aspramente l’operato del legislatore del 2 6,

autore di un anacronistico ritorno alla disciplina vigente ai tempi del codice

abrogato, in cui all’imputato non era consentito l’appello avverso tutte le

sentenze di proscioglimento. In quegli anni, proprio la Corte Costituzionale si era

occupata, con una serie di pronunce, di rendere appellabili quelle sentenze che,

seppur formalmente di proscioglimento, fossero lesive «degli interessi morali e

giuridici del prosciolto»371. D’altra parte, anche la dottrina aveva

immediatamente contestato la scelta del legislatore del 2006, poiché in aperto

contrasto con l’inderogabilità del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.372

.

Appare superfluo, infatti, sottolineare come la varietà di formule proscioglitive

imponga di non considerare tale categoria come unitaria: accanto a pronunce

ampiamente liberatorie come il fatto non sussiste» o l’imputato non lo ha

commesso», ne esistono altre che recano evidenti pregiudizi in capo all’imputato,

come il proscioglimento per estinzione del reato che presupponga un sostanziale

riconoscimento della colpevolezza, o il proscioglimento perché il fatto non

costituisce reato o per cause di non punibilità.

Richiamando la propria risalente giurisprudenza373

, la Corte precisa che il

pregiudizio morale derivante da una sentenza di proscioglimento può, alle volte,

superare quello derivante da una sentenza di condanna: è il caso del

proscioglimento per totale infermità di mente o per intossicazione cronica da

alcol o stupefacenti – anche in assenza dell’applicazione di una misura di

sicurezza. Rispetto al pregiudizio giuridico, questo può essere indiretto, qualora il

proscioglimento incida, seppur senza essere vincolante, sui giudizi civili,

amministrativi o disciplinari legati al medesimo accadimento: sul punto ha fatto

BELLUTA, Impugnazioni penali. Assestamenti del sistema e prospettive di riforma, Giappichelli, 2013, p.

127. 371

Corte cost., n. 70/1975. Corte cost., n. 73/1978. Corte cost., n. 200/1986 in www.cortecostituzionale.it. 372

F. CAPRIOLI, I nuovi limiti all’appellabilità delle sentenze di proscioglimento tra diritti dell’individuo

e «parità delle armi», in Giurisprudenza Italiana, 2007 (1), p. 256, A. DE CARO, Filosofia della riforma e

doppio grado di giurisdizione di merito, in A. GAITO (a cura di) La nuova disciplina delle impugnazioni

dopo la legge Pecorella, Utet, 2006, p. 3 ss., V. GREVI, Una legge palesemente incostituzionale che

aggraverà le disfunzioni dei processi, in Corriere della Sera, 12 gennaio 2006, p. 13. 373

Cfr. nota 352.

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chiarezza una recente pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che

ha risolto un conflitto giurisprudenziale in materia. Infatti, Le Sezioni Unite

concludono per l'efficacia vincolante in sede non penale delle sole sentenze

dibattimentali di assoluzione; la pronuncia nega efficacia extrapenale alle

sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per

amnistia. La Corte nel suo più ampio consesso stabilisce ciò, sebbene il giudice

che ha emesso il proscioglimento “in rito” abbia accertato e valutato il fatto: ne

discende che, nell’ipotesi di sentenza di non doversi procedere, il giudice civile,

pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, deve

interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione374

.

Vi sono anche ipotesi di pregiudizio giuridico diretto discendente dalla pronuncia

proscioglitiva: è il caso della sentenza di proscioglimento per estinzione del reato

da cui discende l’applicazione della confisca dei beni dell’imputato375

.

La Corte, a ben guardare, riconosce la necessità di questa declaratoria di

incostituzionalità: essa ribadisce che la posizione dell’imputato rispetto alle

sentenze “parzialmente sfavorevoli” è squilibrata rispetto a quella del pubblico

ministero – che invece può impugnare le sentenze di condanna parzialmente non

satisfattorie – a causa del legislatore. Tuttavia, anche la pronuncia n. 26/2007 ha

ampliato tale divario: il Giudice delle Leggi ammette, infatti, che tale sentenza è

venuta a creare una globale asimmetria tra imputato e pubblico ministero, che, a

fronte di tale pronuncia, può impugnare qualsivoglia sentenza, sia essa di

proscioglimento o di condanna376

.

La Corte evidenzia, inoltre, come il “diritto vivente” abbia riconosciuto il pieno

potere della parte civile di appellare le sentenze di proscioglimento: si rimanda

all’interpretazione offerta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e,

374

Cass. Sez. Un. 26 gennaio 2011, n. 1768, in G. VANACORE, Efficacia extrapenale del giudicato di

assoluzione: il punto delle Sezioni Unite, in La Responsabilità civile, 2011(5), p. 380 ss., A. HENKE, Le

Sezioni unite escludono l’efficacia extra-penale delle sentenze di non doversi procedere per estinzione del

reato, in Rivista di diritto processuale, 2012(6), 1659 ss. 375

Corte Cost. n. 85/2008, in www.cortecostituzionale.it. A tal proposito l’art. 57 comma 3 c. p. p.

impone che l’impugnazione inerente tale confisca venga promossa con i mezzi previsti per gli stessi capi

penali; questo esclude l’operatività della clausola di salvezza degli artt. 57 e 68 c. p. p. contenuta nella

nuova versione dell’art. 5 3 comma c. p.p. 376

Corte Cost. n. 85/2008, in www.cortecostituzionale.it.

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indirettamente, all’avallo fornito dalla Corte costituzionale stessa in origine con

l’ordinanza n. 32/2 7, poi ribadito con l’ordinanza n. 3/2 8. Questo ulteriore

rilievo è impiegato per sottolineare il forte svantaggio e squilibrio cui è esposto

l’imputato, sia nei confronti del pubblico ministero che della parte civile.

Tutte le asimmetrie finora riportate hanno portato il Giudice delle Leggi a

dichiarare la regola dell’inappellabilità delle sentenze dibattimentali per

l’imputato lesiva dei seguenti beni costituzionali: in primis, il principio di parità

delle parti ex art. comma 2 Cost., poich l’impianto asimmetrico dei poteri di

imputato e organo d’accusa «alcuna razionale giustificazione, correlata al ruolo

istituzionale del pubblico ministero o ad esigenze di corretta e funzionale

esplicazione della giustizia»377

; il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. che,

nella sua dimensione di ragionevolezza, risulta violato da una disciplina che

prevede lo stesso regime di impugnabilità per sentenze, quali quelle di

proscioglimento, che possono condurre ad esiti molto diversi tra loro378

; infine,

anche il diritto di difesa ex art. 24 Cost. risulta violato, posto che il potere di

appello dell’imputato si ritiene essere strumento di esercizio» di questo

diritto379

.

Compiuto l’iter argomentativo che ha condotto alla declaratoria di illegittimità, la

Corte si è premurata di escludere da tale declaratoria «le sentenze di

proscioglimento relative a contravvenzioni per le quali potrebbe essere inflitta la

sola pena dell’ammenda». Per comprendere appieno questa precisazione bisogna

prendere le mosse dal testo legislativo della riforma del 2006: la Legge 20

febbraio 2006, n. 46 aveva, nella versione originaria, escluso in toto il potere

d’appello di pubblico ministero e imputato avverso le sentenze dibattimentali di

proscioglimento; questa previsione risultava perfettamente coerente con la

disciplina dell’appello delle sentenze di condanna, generalmente previsto per

377

Corte Cost. n. 85/2008, in www.cortecostituzionale.it. Ex pluris cfr. Corte Cost. n. 26/2007, in

www.cortecostituzionale.it. 378

Corte Cost. n. 85/2008, in www.cortecostituzionale.it. 379 Corte Cost. n. 85/2008, in www.cortecostituzionale.it. Ex pluris cfr. Corte Cost. n. 26/2007, Corte

Cost. n. 98/1994, in www.cortecostituzionale.it.

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138

entrambe le parti ed escluso per quelle pronunce che avessero, in concreto,

condannato al pagamento della sola ammenda380

. Quando, a seguito

dell’intervento del Presidente della Repubblica, la nuova versione della Legge 2

febbraio 2 6, n. 46 ha previsto l’introduzione della limitata appellabilità delle

sentenze proscioglitive in caso di prova nuova decisiva, il legislatore ha omesso

di stabilire che questa “eccezione” non operasse per le sentenze relative a reati

puniti con l’ammenda o con pena alternativa381

: tale difetto di coordinamento

normativo aveva creato un’ulteriore disparità in seno alla riforma stessa ed è

stato prontamente censurato dalla dottrina382

.

Chiamata a pronunciarsi sull’illegittimità del nuovo art. 5 3 c. p. p. in

riferimento alla posizione del pubblico ministero, la Corte non ha censurato nella

sentenza n. 26/2007 tale anomalia, avendo così giustificato questa disparità:

rispetto all’organo di pubblica accusa, il proscioglimento rappresenta un esito

maggiormente sfavorevole della condanna, per cui si può tollerare che tale

soggetto appelli qualsivoglia sentenza proscioglitiva, senza che incorra

nell’esclusione dell’art. 5 3 comma 3 c. p. p., sancita per le sentenze di

condanna. Se questa pronuncia della Corte aveva esclusivamente considerato la

posizione della parte pubblica, con la sentenza n. 85/2008 il Giudice delle Leggi

non ha potuto esimersi dal prendere atto di tale inaccettabile incongruenza

rispetto all’imputato; oltretutto, se prima tale “falla” era contenuta nel caso

eccezionale di appello per prova nuova decisiva, la declaratoria di

incostituzionalità in esame avrebbe ristabilito per l’imputato l’appello

indiscriminato verso tutte le pronunce proscioglitive, acuendo la sproporzione

con l’appello avverso le sentenze di condanna, limitato in caso di reato punito in

concreto con la sola pena dell’ammenda.

Così, la Corte ha deciso di dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 l. 20

380

E. VALENTINI, L’iter parlamentare della riforma, in M. BARGIS, F. CAPRIOLI (a cura di), Impugnazioni

e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006, Giappichelli, 2007, p. 7 ss. 381

E. VALENTINI, L’iter parlamentare della riforma, in M. BARGIS, F. CAPRIOLI (a cura di), Impugnazioni

e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006, Giappichelli, 2007, p. 32 ss. 382

A. PRESUTTI, L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento tra regola ed eccezione, op. cit., p.

70.

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febbraio 2006, n. 46, «nella parte in cui, sostituendo l'art. 593 c. p. p., esclude che

l'imputato possa appellare contro le sentenze di proscioglimento relative a reati

diversi dalle contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa,

fatta eccezione per le ipotesi previste dall'art. 603 comma 2 del medesimo codice,

se la nuova prova è decisiva»383

. La Corte costituzionale ha preferito equiparare

il tal senso la posizione dell’imputato rispetto a entrambi gli esiti –

proscioglimento e condanna – del dibattimento, escludendo il ricorso alla

soluzione opposta, che avrebbe invece condotto alla consequenziale rimozione

dell’art. 5 3 comma 3 c. p. p., cos da rendere appellabili tutte le sentenze di

condanna384

. D’altro canto, la scelta operata ha realizzato «una nuova asimmetria

tra pubblico ministero e imputato, a svantaggio di quest’ultimo»385

: infatti, grazie

alla sentenza n. 26/2007, il pubblico ministero può impugnare

indiscriminatamente tutte le sentenze di proscioglimento, mentre a fronte della

sentenza n. 85/2 8, l’imputato può appellare le sentenze di proscioglimento

diverse da quelle relative a reati puniti con la pena dell’ammenda o con pena

alternativa. La Corte ha ravvisato tale distonia, sottolineando al legislatore l’

opportunità» di intervenire, riducendo parallelamente anche il potere d’appello

del pubblico ministero in caso di reato punito con ammenda o pena alternativa.

Chiuso il cerchio relativamente alle sentenze dibattimentali, bisogna accennare al

destino che la disciplina dell’appello per l’imputato ha avuto in materia di riti

speciali, in particolare di giudizio abbreviato: dopo che la sentenza 320/2007

aveva sancito l’incostituzionalità dell’art. 2 della Legge 2 febbraio 2 6, n. 46

che prevedeva l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento conclusive di

rito abbreviato per il pubblico ministero, la dottrina aveva sollevato analoghe

383

Corte Cost. n. 85/2008, in www.cortecostituzionale.it. 384

Corte Cost. n. 85/2008, in www.cortecostituzionale.it, che ritiene tale soluzione «in astratto

ipotizzabile, ma a carattere marcatamente creativo», come riportato da M. BARGIS, L’imputato può

nuovamente appellare (con un limite) le sentenze dibattimentali di proscioglimento: la Corte

Costituzionale elimina (e nel contempo crea) asimmetrie, op. cit., p. 136. 385

M. BARGIS, L’imputato può nuovamente appellare (con un limite) le sentenze dibattimentali di

proscioglimento: la Corte Costituzionale elimina (e nel contempo crea) asimmetrie, op. cit., p. 136.

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osservazioni in riferimento alla posizione dell’imputato386

. Infatti, la sua

posizione può considerarsi squilibrata rispetto a quella dell’organo d’accusa: in

base alle argomentazioni già riportate in precedenza, infatti, non sempre il

proscioglimento è favorevole all’imputato, anzi spesso è foriero di pregiudizi

piuttosto gravosi.

La Corte costituzionale ha, perciò, parzialmente accolto questi argomenti,

dichiarando con la sentenza 2 ottobre 2 , n. 274 l’illegittimità costituzionale,

per contrasto con gli artt. 3 e 24 comma 2 Cost., dell’art. 2 della Legge 2

febbraio 2006, n. 46 nella parte in cui escludeva che l’imputato potesse appellare

le sentenze di assoluzione per difetto di imputabilità, derivante da vizio totale di

mente387. L’esame dettagliato di questa ulteriore pronuncia richiederebbe una

trattazione altrettanto ampia, che tuttavia esula dal tema principale e dagli

obiettivi del presente lavoro: ciò detto, basti ricordare che le qui riportate

sentenze della Corte Costituzionale sono legate dal medesimo filo conduttore,

ossia lo smantellamento dell’intervento riformatore del 2 6, come già affermato

all’inizio del paragrafo. Sebbene si possa discutere dell’opportunità di una

riforma dell’intera architettura del giudizio d’appello, anche nel rispetto di taluni

obiettivi perseguiti dal legislatore del 2006 – ad esempio, impedire che

l’imputato sia condannato per la prima volta in appello, senza avere acceso ad un

ulteriore grado di merito e sulla base di un giudizio cartolare - il Giudice delle

Leggi ha preso posizione e ha escluso che tali finalità potessero perseguirsi

semplicemente recidendo il potere d’appello del pubblico ministero.

386

F. CAPRIOLI, Limiti all’appello del pubblico ministero e parità delle parti nel giudizio abbreviato, in

Giurisprudenza costituzionale, 2007(4), p. 3124, nota 51., sul disequilibrio a danno della difesa a seguito

della sentenza Corte Cost. n. 320/2007 . 387

Corte Cost. n. 274/2009, in www.cortecostituzionale.it.

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§4. L’inappellabilità della sentenza di non luogo a procedere al vaglio della

Corte Costituzionale.

Nella modifica della disciplina dell’impugnazione della sentenza di non luogo a

procedere, operata dall’art. 4 della Legge 20 febbraio 2006, n. 46, non sono

riscontrabili le medesime finalità che hanno condotto all’introduzione

dell’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento. Dottrina e giurisprudenza,

infatti, paiono concordare sul fatto che l’intervento sull’art. 428 c. p. p. sia stato

per cos dire, trainato da quello relativo alla soppressione dell’appello delle

sentenze di proscioglimento da parte del pubblico ministero, e motivato infatti

come necessario coordinamento di disciplina»388

.

Come già riportato389

, sia la natura dell’accertamento operato durante l’udienza

preliminare – in cui si esclude la formazione della prova ne contraddittorio delle

parti – sia la portata della sentenza di non luogo a procedere – che compie solo

un vaglio prognostico sull’utilità del giudizio, non operando accertamenti sulla

colpevolezza dell’imputato – non consentono di estendere a tale novità la ratio

dell’intera riforma: eliminando l’appello per il pubblico ministero avverso la

sentenza di non luogo a procedere, non si persegue n l’obiettivo di impedire che

un soggetto venga condannato per la prima volta in appello, né si impedisce che

ciò avvenga sulla base di un giudizio cartolare, in contrasto con i principi del

giusto processo.

Partendo da tale presupposto, la Corte Costituzionale ha respinto i profili di

illegittimità del nuovo art. 428 c. p. p., calibrati sulle stesse doglianze avanzate

rispetto all’inappellabilità delle sentenze proscioglitive dibattimentali e

conclusive di rito abbreviato, e parzialmente accolte dalle sentenze n.26/2007 e

388

M. BARGIS, La Corte Costituzionale salva l’inappellabilità della sentenza di non luogo procedere, in

M. BARGIS – H. BELLUTA, Impugnazioni penali. Assestamenti del sistema e prospettive di riforma,

Giappichelli, 2013, p. 150. H. BELLUTA, Ripensamenti sulla “giustiziabilità” della sentenza di non luogo

a procedere, in M. BARGIS- F. CAPRIOLI (a cura di), Impugnazioni e regole di giudizio nella legge di

riforma del 2006, p. 127, nota 27. 389

H. BELLUTA, Ripensamenti sulla “giustiziabilità” della sentenza di non luogo a procedere, in M.

BARGIS- F. CAPRIOLI (a cura di), Impugnazioni e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006, p.

149, G. GARUTI, Mezzi di critica e strumenti di controllo della sentenza di non luogo a procedere, in A.

SCALFATI, Novità su impugnazioni penali e regole di giudizio, Ipsoa, 2007, p. 71 ss., G. GARUTI- G.

DEAN, I nuovi ambiti soggettivi della facoltà di impugnare, in A. GAITO, La nuova disciplina delle

impugnazioni dopo la legge Pecorella, Utet, 2006, p. 140. Ex pluris cfr. capitolo secondo §4.

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32 /2 7; infatti, nel caso di specie, la Corte ha fatto rientrare l’operato del

giudice nell’orbita dell’esercizio della discrezionalità legislativa»390

.

Con la sentenza 24 luglio 2009, n. 242, la Corte, dunque, ha respinto le censure

di costituzionalità rispetto all’inappellabilità della sentenza di non luogo a

procedere da parte del pubblico ministero: in primis, il Giudice delle Leggi ha

escluso che vi fosse una lesione del principio di parità delle parti, ex art. 111

comma 2 Cost., in quanto non è riscontrabile la stessa «disimmetria radicale» che

eccedesse i limiti di tollerabilità, al contrario accertata per le sentenze

dibattimentali e conclusive di rito abbreviato391

.

Ciò premesso, la Corte si è occupata di rimarcare le sopra richiamate differenze

tra sentenza di non luogo a procedere e sentenza di proscioglimento: quest’ultima

rappresenta l’alternativa alla condanna, mentre la prima lo è rispetto al rinvio a

giudizio. Nonostante la Legge 16 dicembre 1999, n. 479 abbia mutato la

fisionomia dell’udienza preliminare, la Corte continua a ritenere che quest’ultima

abbia la funzione di valutare prognosticamente la stabilità dell’accusa in

giudizio: senza ribaltare gli approdi recenti della propria giurisprudenza – che

qualificava tale udienza come «momento di giudizio, di natura non meramente

processuale»392

, la Corte precisa che tale considerazione non è sufficiente a

cancellare le «marcate differenze contenutistiche rispetto alla fase

dibattimentale»393

.

Il Giudice delle Leggi prosegue nel suo percorso argomentativo, ricalibrando il

concetto di simmetria precedentemente espresso nella già analizzata

giurisprudenza: in questo contesto, taluni hanno considerato simmetrica la

posizione di imputato e pubblico ministero, poiché, come il soggetto sottoposto a

giudizio non può impugnare in nessun modo il decreto che dispone il giudizio,

cos è stato precluso al pubblico ministero l’appello della sentenza di non luogo a

390

M. BARGIS, La Corte Costituzionale salva l’inappellabilità della sentenza di non luogo procedere, in

M. BARGIS – H. BELLUTA, Impugnazioni penali. Assestamenti del sistema e prospettive di riforma,

Giappichelli, 2013, p. 151. 391

Corte Cost. n. 242/2009, in www.cortecostituzionale.it. 392

Così si esprimeva Corte Cost. n. 384/2006, in www.cortecostituzionale.it. Per un esame della

giurisprudenza costituzionale in materia si rimanda a capitolo secondo §4., note 219, 220, 221. 393

Corte Cost. n. 384/2006, in www.cortecostituzionale.it.

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procedere394

. A ben guardare, però, la non ricorribilità avverso il decreto che

dispone il giudizio non è argomento sufficiente, in quanto ipotesi da sempre

prevista e dunque insufficiente a fungere da termine di paragone; allo stesso

modo, non può valutarsi l’esistenza di un’asimmetria sulla base della globalità

dei provvedimenti conclusivi del giudizio (siano essi totalmente o parzialmente

sfavorevoli): infatti, non può istituirsi un parallelo tra decisioni parzialmente

sfavorevoli, in quanto per la sentenza di non luogo a procedere non è ammesso

un accoglimento parziale delle richieste dell’organo d’accusa.

Ciò detto, la Corte deve stabilire se l’esclusione dell’appello della sentenza di

non luogo a procedere causi o meno una violazione del principio di parità delle

parti: essa esclude tale lesione, poiché il pubblico ministero può in ogni

momento, nei limiti della prescrizione, ottenere la revoca ex art. 434 c. p. p. della

sentenza di non luogo a procedere, evitando che in questo modo l’assenza

dell’appello paralizzi la sua facoltà di intervento su quanto stabilito dalla

sentenza di non luogo a procedere395

.

Se non è pregiudicata la posizione del pubblico ministero, la corrispondente

esclusione del potere d’appello della sentenza di non luogo a procedere per

l’imputato ha portato con s alcuni dubbi di legittimità costituzionale: costui,

infatti, non può ricorrere all’istituto della revoca e può vantare un effettivo

interesse ad impugnare tale pronuncia, quando sia nei suoi confronti parzialmente

sfavorevole – formula in facto meno favorevole, formula di rito, ecc.396

La Corte però ha considerato inconferente tale rilievo, operato tramite il richiamo

394

V. GREVI, Appello del pubblico ministero e obbligatorietà dell’azione penale, in Cassazione Penale,

2007(4), p. 1419 ss., G. LATTANZI, Una legge improvvida, in M. BARGIS, F. CAPRIOLI (a cura di),

Impugnazioni e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006, Giappichelli, 2007, p. 4. 395

Corte Cost. n. 242/2009, in www.cortecostituzionale.it. Contra V. GREVI, op. cit., p. 1420, che ritiene

la revoca equiparabile all’eccezione prevista dall’art. 5 3 comma 2 coma riformato nel 2 6, che

consente di appellare in caso di prova nuova decisiva; in questo senso, non si vede perché la Corte non

abbia salvato l’art. 5 3 c. p. p. sulla base dello stesso argomento. Tuttavia M. BARGIS, La Corte

Costituzionale salva l’inappellabilità della sentenza di non luogo procedere, in M. BARGIS – H. BELLUTA,

Impugnazioni penali. Assestamenti del sistema e prospettive di riforma, Giappichelli, 2013, p. 155, nota

20, sottolinea come la differenza sostanziale tra i due istituti sussista relativamente ai tempi di richiesta

della revoca, che può intervenire in ogni tempo, e quelli della richiesta di cui all’art. 6 3 comma 2 c. p. p.,

esperibile solo nel termine previsto per appellare. 396

V. GREVI, op. cit., p. 42 , secondo cui dovrebbe ritenersi lesivo dell’art. 24 comma 2 Cost. e dell’art.

27 comma 2 Cost. l’esclusione del potere d’appello per l’imputato, quando la sentenza di non luogo a

procedere sia di contenuto pregiudizievole nei suoi confronti.

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alla sentenza n. 85/2008 da parte di una delle ordinanze di rimessione, in quanto

la sua pronuncia aveva ad oggetto esclusivamente la posizione del pubblico

ministero397

.

Esclusa la violazione del principio di parità, la Corte ha dissipato i dubbi di

legittimità relativamente ad altri valori costituzionali, quali il principio di

eguaglianza, il principio di ragionevole durata del processo e il principio di

obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale.

In riferimento alla paventata violazione del principio di eguaglianza ex art. 3

Cost., relativamente alla disparità di trattamento tra sentenze dibattimentali e

conclusive di rito abbreviato da una parte, e sentenze di non luogo a procedere

dall’altra – a seguito delle pronunce 26/2007 e 320/2007 – la Corte ha facilmente

respinto tale ricostruzione, facendo leva sulla già ampiamente richiamata

eterogeneità tra le categorie di sentenze398

.

Rispetto, invece, alla disparità di trattamento denunciata dal giudice rimettente

tra procedimenti che prevedono l’udienza preliminare – quindi inerenti reati più

gravi e di maggiore allarme sociale – e procedimenti a citazione diretta, il giudice

costituzionale ha respinto la tesi che vedrebbe pregiudicata la posizione del

pubblico ministero nel primo caso, poiché costui potrebbe vedere respinto il

proprio impianto accusatorio con la sentenza di non luogo a procedere, senza che

questa potesse essere dallo stesso sindacata nel merito. Escludendo la lesione del

principio di eguaglianza, la Corte ha riconosciuto che la differenza «rappresenta

solo una conseguenza del diverso modulo processuale»399

; questo argomento, che

pare liquidare il dubbio del giudice rimettente, presuppone in realtà una decisa

presa di posizione della Corte, relativamente alla sufficienza del ricorso in

Cassazione quale mezzo di controllo delle sentenze di non luogo a procedere.

Infatti, il Giudice delle Leggi riconduce anche questa scelta alla mera

discrezionalità del legislatore, riportando come non siano «assenti, né

assolutamente eccezionali, le ipotesi di accoglimento del ricorso del pubblico

397

Corte Cost. n. 242/2009, in www.cortecostituzionale.it. 398

Corte Cost. n. 242/2009, in www.cortecostituzionale.it. 399

Corte Cost. n. 242/2009, in www.cortecostituzionale.it.

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145

ministero contro le sentenze [di non luogo a procedere]», ancor più a seguito

dell’ampliamento del vizio di motivazione ex art. 606 comma 1 lett. e.400

Prescindendo dalle critiche in merito della dottrina401

, ciò che pare

particolarmente stridente con la propria recente giurisprudenza, è il richiamo

della Corte costituzionale al “bilanciamento verticale” – sub specie delle

sentenze di non luogo a procedere - che si sarebbe ottenuto con l’ampliamento

dei motivi di ricorso, a fronte della forte riduzione dell’appello: infatti, nella

sentenza n. 26/2007 la Corte aveva decisamente negato tale effetto, per via della

differente portata di accertamento in caso di appello o di ricorso in Cassazione402

.

Ulteriore censura di legittimità ha riguardato la violazione del principio di

ragionevole durata del processo: già nel messaggio di rinvio alle Camere della

prima versione del testo della Legge 20 febbraio 2006, n. 46, il Presidente della

Repubblica aveva espresso tali dubbi rispetto all’art. 4 della legge, affermando

che l’esclusione dell’appello della sentenza di non luogo a procedere avrebbe

causato un allungamento dei tempi processuali, poiché la mancata conferma della

decisione da parte del giudice di legittimità avrebbe causato la regressione del

procedimento403

. Infatti, se il giudice d’appello poteva ribaltare la sentenza,

pronunciando decreto che dispone il giudizio, la Corte di Cassazione può al più

annullare la sentenza con rinvio, destinando la decisione sulla causa ad un

giudice diverso, il qual avrebbe potuto nuovamente propendere per la sentenza di

non luogo, innescando così un circolo vizioso404

.

400

Corte Cost. n. 242/2009, in www.cortecostituzionale.it. 401

V. GREVI, Appello del pubblico ministero e obbligatorietà dell’azione penale, in Cassazione Penale,

2007(4), p. 1420., G. LATTANZI, Una legge improvvida, in M. BARGIS, F. CAPRIOLI (a cura di),

Impugnazioni e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006, Giappichelli, 2007, p. 4, i quali

sostengono che il ricorso per Cassazione non sia idoneo a censurare il contenuto della sentenza di non

luogo a procedere: questo, da un lato, per via dell’evoluzione dell’accertamento operato in udienza

preliminare e in essa contenuto (cfr. ex pluris capitolo secondo §4., note 2 , 22 , 22 ); dall’altro, poich

la sentenza di non luogo a procedere, se inficiata da errori di fatto, non può essere riesaminata nel merito

e quindi impedisce il corretto esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero. 402

Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it. 403

Messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica, in www.senato.it. Ex pluris cfr. capitolo

secondo §1., §4. 404

M. BARGIS, La Corte Costituzionale salva l’inappellabilità della sentenza di non luogo procedere, in

M. BARGIS – H. BELLUTA, Impugnazioni penali. Assestamenti del sistema e prospettive di riforma,

Giappichelli, 2013, p. 160.

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Stanti tali rilievi, il Giudice delle Leggi ricorre anche in questo caso al canone

della discrezionalità legislativa: la Corte, infatti, non esclude il potenziale

allungamento dell’iter processuale al verificarsi di tali condizioni, ma ritiene

questa eventualità pienamente controbilanciata dal risparmio di risorse e tempo,

ottenuto con la soppressione del giudizio di secondo grado – «specie nel caso in

cui le doglianze del pubblico ministero risultassero infondate» - 405

.

In quest’ottica, il legislatore ha operato una semplice valutazione di costi e

benefici, rientrante a pieno titolo nelle maglie della propria discrezionalità406

.

In ultima analisi, la Corte costituzionale ha respinto la censura di illegittimità del

nuovo art. 428 c. p. p., per la lesione del principio di obbligatorietà dell’azione

penale: si è detto ampiamente sul tema, evidenziando i dubbi della dottrina in

merito al mancato riconoscimento di tale principio nella fase d’impugnazione407

;

rispetto alla sentenza in commento, basti sottolineare come la Corte abbia

facilmente fatto ricorso al proprio risalente orientamento – sentenza n. 280/1995

– per escludere che il principio di obbligatorietà dell’azione penale ricopra anche

il potere di impugnazione dell’organo di pubblica accusa, non solo in riferimento

alle sentenze conclusive di rito abbreviato, ma anche dibattimentali e di non

luogo a procedere. L’inappellabilità della sentenza di non luogo a procedere è

così sopravvissuta al vaglio della Corte costituzionale, che ha ravvisato nella

riforma del 2006 in materia una scelta discrezionale, ma pienamente legittima da

parte del legislatore: ciò, tuttavia, non esclude che altrettanto fondate valutazioni

di opportunità possano condurre alla reintroduzione del potere d’appello della

sentenza di non luogo a procedere.

405

Corte Cost. n. 242/2009, in www.cortecostituzionale.it. In dottrina contra V. GREVI, op. cit., p. 1420.,

G. LATTANZI, Una legge improvvida, op. cit., p. 4, R. E. KOSTORIS, Le modifiche al codice di procedura

penale in tema di appello e di ricorso per cassazione introdotte dalla c. d. “legge Pecorella”, in Rivista

di diritto e processo, 2 6, p. 63 , che sostenevano l’opinione del giudice rimettente. 406

M. BARGIS, La Corte Costituzionale salva l’inappellabilità della sentenza di non luogo procedere, in

M. BARGIS – H. BELLUTA, Impugnazioni penali. Assestamenti del sistema e prospettive di riforma,

Giappichelli, 2013, p. 161. 407

Ex pluris cfr. capitolo terzo §1. e capitolo primo §3. p. 26 ss., note 64, 65, 66, 67.

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§5. La persistente inappellabilità della sentenza di proscioglimento

pronunciata dal Giudice di pace.

Un ulteriore caso di inappellabilità sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale

concerne la sentenza di proscioglimento pronunciata durante il procedimento

innanzi al Giudice di pace: l’art. comma 2 della Legge 2 Febbraio 2 6, n. 46,

che modifica l’art. 36 comma del D. Lgs. 28 agosto 2 , n. 274, ha eliminato il

potere d’appello del pubblico ministero avverso tale sentenza, anche nei casi di

prove nuove o sopravvenute. Lungo la scia delle svariate declaratorie di

incostituzionalità in materia, la Corte Costituzionale è stata chiamata a

pronunciarsi anche rispetto alla disposizione sopra citata, in quanto lesiva del

principio di parità delle parti ex art. 111 comma 2 Cost. Con la pronuncia n.

298/2008, il Giudice delle Leggi ha dichiarato non fondata la relativa questione

di legittimità costituzionale, non riscontrando la lesione del principio di parità tra

accusa e difesa.

L’ordinanza di rimessione proveniva dalla Corte di Cassazione, che aveva

osservato - quanto alla non manifesta infondatezza della questione - come le

sentenze n. 26 e n. 320 del 2007 avessero dichiarato l'illegittimità costituzionale

degli artt. 1 e2 della Legge 20 febbraio 2006, n. 46, nella parte in cui non

consentivano al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di

proscioglimento emesse a seguito di giudizio ordinario o di giudizio

abbreviato408

. Sebbene la Corte Costituzionale avesse riconosciuto che parità

delle parti non significa identità di poteri e che l’asimmetria di questi ultimi può

essere giustificata se tesa ad un riequilibrio complessivo409

, il giudice rimettente

riteneva anche in questo caso ingiustificata la limitazione del potere d’appello

della parte pubblica, proprio come per le sentenze dibattimentali e di rito

abbreviato410

. Stanti tali rilievi, il Giudice delle Leggi ha escluso le conclusioni

avanzate dalla Cassazione in sede di rimessione, ripercorrendo le tappe del

proprio precedente iter argomentativo: la differente modulazione del potere

408

Cass. ord., 21 gennaio 2008, n. 85 in Gazzetta Ufficiale, serie speciale, 2 aprile 2008, n. 15. 409

Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it. 410

Cass. ord., 21 gennaio 2008, n. 85 in Gazzetta Ufficiale, serie speciale, 2 aprile 2008, n. 15.

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d’impugnazione delle parti, infatti, è ammissibile laddove sia sorretta da

un’adeguata ratio giustificatrice e sia rispettosa del canone di ragionevolezza411

.

Se per le sentenze dibattimentali e di rito abbreviato, la generalizzata e

unilaterale eliminazione del potere d’appello ha portato ad escluderne la

legittimità, gli stessi profili non sono emersi rispetto alle sentenze di

proscioglimento pronunciate dal Giudice di pace.

In questo caso, l’esclusione dell’appello per il pubblico ministero non è

generalizzata, in quanto concerne «i soli reati di competenza del giudice di pace,

ossia un circoscritto gruppo di figure criminose di minore gravità e di ridotto

allarme sociale: figure espressive, in buona parte, di conflitti a carattere

interpersonale e per le quali è comunque esclusa l'applicabilità di pene

detentive»412

: la Corte costituzionale ha così riconosciuto che i reati su cui si

pronuncia il Giudice di pace sono «reati bagatellari»413

.

In secondo luogo, il Giudice delle Leggi sottolinea, facendo riferimento alla

propria precedente giurisprudenza414

, che il procedimento innanzi al Giudice di

pace rappresenta un modulo procedimentale peculiare: «esso risulta improntato a

finalità di snellezza, semplificazione e rapidità, che lo rendono non comparabile

con il procedimento davanti al tribunale, e comunque tali da giustificare sensibili

deviazioni rispetto al modello ordinario»415

.

In ultima istanza, la Corte riconosce come la previgente struttura delle

impugnazioni in questo particolare procedimento fosse sfavorevole all’imputato:

il pubblico ministero poteva infatti appellare sia la sentenza di condanna che

applica una pena diversa da quella pecuniaria, che la sentenza di proscioglimento

per reati puniti con pena alternativa; d’altra parte, l’imputato poteva e può

appellare esclusivamente la sentenza di condanna a pena diversa da quella

411

Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it. 412

Corte Cost. n. 298/2008, in www.cortecostituzionale.it. 413

P. TONINI, I procedimenti penali differenziati e speciali, in P. TONINI, Manuale di procedura penale,

Giuffrè, 2014, p. 828. 414

Corte Cost. ord., n. 28/2007, Corte Cost. ord., n. 85/ 2005, Corte Cost. ord., n. 415/2005, Corte Cost.

ord., n. 349/2004 in www.cortecostituzionale.it. 415

Corte Cost. n. 298/2008, in www.cortecostituzionale.it.

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pecuniaria, oppure la sentenza di condanna a questa pena solo se contestualmente

impugna la condanna, anche generica, al risarcimento del danno.

A fronte di queste argomentazioni, la Corte costituzionale esclude che la norma

in esame possa aver violato il principio di parità delle parti: da un lato,

utilizzando le parole della pronuncia, si riscontra «una sufficiente ratio

giustificatrice nella ritenuta opportunità di evitare un secondo giudizio di merito,

ad iniziativa della parte pubblica, nei confronti di soggetti già prosciolti per

determinati reati "di fascia bassa", all'esito di un procedimento improntato a

marcata rapidità e semplificazione di forme»; dall’altro, la nuova disciplina

sembra avere riequilibrato l’assetto di poteri, in precedenza svantaggioso per la

parte privata, che è «proprio la parte il cui diritto d'appello ha una maggiore

"forza di resistenza" rispetto a spinte di segno soppressivo»416

.

In conclusione, anche l’inappellabilità della sentenza di proscioglimento

pronunciata dal Giudice di pace ha superato il vaglio di legittimità della Corte

costituzionale, che ha colto l’occasione di rafforzare la propria lettura del

principio di parità delle parti, dando dimostrazione “concreta” di come la portata

di questo principio debba essere calibrata secondo i canoni di proporzionalità e

ragionevolezza.

416 Corte Cost. n. 298/2008, in www.cortecostituzionale.it, il riferimento è all’intangibilità del diritto di

difesa ex art. 24 comma 2 Cost., sotto la cui tutela si fa rientrare il diritto d’appello dell’imputato.

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§6. L’appello e il “giusto processo”: la giurisprudenza della C. E. D. U.

Uno degli argomenti più forti su cui si fonda la critica di un’autorevole dottrina

alla conformazione del giudizio d’appello, concerne la struttura di quest’ultimo

in rapporto al rinnovato quadro di principi in cui si inserisce il dibattimento, dopo

la Legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 e la Legge 22 marzo 2001, n. 63.

Le incongruenze esistenti tra principi attuativi del giusto processo e giudizio

d’appello riguardano, in sintesi, l’opportunità e la legittimità di operare un

controllo della sentenza di primo grado tramite un giudizio meramente cartolare;

la rivalutazione – che può potenzialmente ribaltare l’esito decisorio – di un

quadro probatorio, formatosi nel rispetto dell’oralità-immediatezza e del

contraddittorio, può considerarsi ammissibile, ancor più quando su questa si

fondi la condanna di un soggetto precedentemente prosciolto? In sintesi, la

dottrina critica la conformazione del giudizio di secondo grado, che non favoriva

la posizione del soggetto non appellante417

. Superare tale empasse rientrava tra le

finalità della riforma del 2006, sebbene la Corte Costituzionale abbia escluso che

tale proposito fosse sufficiente a ritenere giustificato il sacrificio del principio di

parità delle parti, realizzata dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 46418

.

Nonostante la scelta del legislatore del 2006 fosse, secondo taluni, peggiore del

male che si proponeva di debellare, quello della conformazione del giudizio

d’appello rispetto ai principi del giusto processo rimaneva un problema da

417

Ex pluris cfr. capitolo primo §5., pag 36 ss., note 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98. F. CAPRIOLI,

Inappellabilità delle sentenze di proscioglimento e “parità delle armi” nel processo penale, in

Giurisprudenza costituzionale, 2007(1), p. 250 ss., ben riassume tali argomenti: «Il problema …

concerneva gli spazi normativi concessi al non impugnante per riproporre in appello le istanze difensive

disattese dal giudice di primo grado. Il principio tantum devolutum quantum appellatum, la

giurisprudenza in tema di limiti soggettivi dell'appello incidentale e la disciplina della rinnovazione del

dibattimento d'appello rendevano tali spazi, a giudizio di molti, eccessivamente angusti. Si faceva notare,

ad esempio, come, nel processo d'appello instaurato a seguito dell'impugnazione del pubblico ministero,

l'imputato prosciolto non potesse vantare alcun autentico diritto a ottenere l'assunzione delle prove già

ritenute manifestamente superflue o irrilevanti dal primo giudice. Anche quando la rivalutazione del

materiale probatorio conseguente all'accoglimento delle doglianze del pubblico ministero rendesse

palesemente inattuale quella diagnosi di manifesta superfluità o irrilevanza, l'assunzione di tali prove

restava subordinata alle severe valutazioni di “non decidibilità allo stato degli atti” o di “assoluta

necessità” imposte al giudice dal primo e dal terzo comma dell'art. 603 c.p.p». 418

Corte Cost. n. 26/2007, in www.cortecostituzionale.it. Ex pluris cfr. capitolo terzo §1.

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risolvere419

: la giurisprudenza interna ha, così, nuovamente affrontato il

problema, sollecitata dalle sentenze in materia della Corte E. D. U.

Prioritariamente, è opportuno però tracciare i contorni definitori di quel ventaglio

di principi, legati saldamente tra loro, che informano la nuova struttura del codice

di procedura penale e la cui applicazione è volta a garantire la piena realizzazione

del sistema accusatorio e del giusto processo: si tratta dei principi di oralità-

immediatezza, concentrazione e contraddittorio.

In primis, il principio di oralità è sancito dall’art. 2 n. 2 della Legge delega 6

febbraio 87, n. 8 e impone l’impiego della viva voce nell’assunzione delle

dichiarazioni delle parti e dei testimoni: esso è volto ad attuare i lineamenti del

sistema accusatorio e, pur non trovando espressa menzione nel tessuto

codicistico, riveste un ruolo di primaria importanza quale tipica caratteristica di

comunicazione su cui si modella la stessa architettura del processo e della

formazione della prova420. L’oralità, nonostante persista anche autonomamente in

determinati istituti processuali, come l’incidente probatorio, realizza un suo pieno

completamento quando si accompagna al principio di immediatezza: sancita

anch’esso dalla Legge delega 6 febbraio 87, n. 8 all’art. 2, n. 66, questa

regola processuale tende ad applicare pienamente il sistema accusatorio,

limitando se non escludendo qualunque intermediazione tra la fase di assunzione

della prova e la decisione dibattimentale. La pronuncia deve essere espressa dal

giudice entro un breve lasso di tempo dall’acquisizione delle prove, in maniera

tale che il ricordo dei fatti, di cui il giudice abbia avuto conoscenza nel corso

dell’istruttoria, sia nitido, preciso e vivido; questo principio implica l’identità tra

giudice innanzi a cui si realizza il dibattimento e giudice che prende la decisione-

il cosiddetto principio di immutabilità del giudice- e sottintende che la decisione

419

F. CAPRIOLI, op. cit., p. 250 ss., A. SCALFATI, Restituito il potere d’impugnazione senza un riequilibrio

complessivo, in Guida al diritto, 2007(8), p. 80. 420

G. GARUTI, Il giudizio ordinario, in AA. VV., Procedura Penale, Giappichelli, 2014, p. 621 ss., cfr.

anche P. TONINI, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2014, e G. CONSO, V. GREVI, M. BARGIS,

Compendio di procedura penale, Cedam, 2014.

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152

di quest’ultimo si fondi su prove legittimamente acquisite in dibattimento421

. Lo

stretto legame intercorrente tra oralità e immediatezza ha dato adito ad una

interpretazione che veda riuniti i due concetti in un unicum concettuale, proprio a

sancirne la complementarietà: in questi termini, si parla di oralità-

immediatezza422

.

Contribuisce alla piena realizzazione del sistema accusatorio anche il principio di

concentrazione - art. 2 n. 66 della Legge delega 16 febbraio 1987, n. 81- con cui

si vuole impedire che le fasi di assunzione delle prove, discussione finale e

deliberazione del giudice siano interrotte da un lasso di tempo eccessivo: questa

rottura della continuità rischierebbe infatti di alterare la percezione del quadro

probatorio da parte del giudice, la cui memoria potrebbe essere ingannata da

elementi esterni. Massima realizzazione del principio di concentrazione si

avrebbe nella realizzazione del processo in un’unica udienza- o più udienze

contigue- che garantisse un esito decisorio fedele all’intero quadro di risultanze

processuali: in questa accezione, tale principio è pienamente funzionale ad oralità

e immediatezza, visto che un processo caratterizzato dalla discontinuità

impedisce al giudice di serbare il ricordo degli esiti processuali acquisiti423

.

Ultimo principio da definire è quello del contraddittorio, che è riportato nella

rinnovata versione dell’art. comma 2 Cost., per cui il processo deve svolgersi

nel contraddittorio tra le parti, in condizione di parità, innanzi ad un giudice terzo

e imparziale: in questa accezione “generica”, il contraddittorio si definisce per

una struttura base a tre soggetti – accusa, imputato e giudice – con i primi due

posti in rapporto dialettico e in condizione di parità e il terzo in posizione

imparziale. Ulteriore accezione è quella del “contraddittorio specifico”: sancito

dall’art. comma 4 Cost. e riportato in numerose disposizioni codicistiche,

421

G. GARUTI, Il giudizio ordinario, in AA. VV., Procedura Penale, Giappichelli, 2014, p. 621 ss., cfr.

anche P. TONINI, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2014, e G. CONSO, V. GREVI, M. BARGIS,

Compendio di procedura penale, Cedam, 2014. 422

P. FERRUA, Oralità e contraddittorio nel quadro delle garanzie costituzionali: giurisprudenza delle

Corti europee e fraintendimenti della Corte Costituzionale, in AA. VV., Il rito accusatorio a vent’anni

dalla grande riforma (Atti del convegno, Lecce 23- 25 Ottobre 2009), Giuffrè, 2012, p. 161 ss. 423 G. GARUTI, Il giudizio ordinario, in AA. VV., Procedura Penale, Giappichelli, 2014, p. 621 ss., cfr.

anche P. TONINI, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2014, e G. CONSO, V. GREVI, M. BARGIS,

Compendio di procedura penale, Cedam, 2014.

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esso si definisce come contraddittorio nella formazione della prova e altro non è

che il metodo dialogico attraverso cui le parti formano la prova e, quindi,

ricostruiscono la verità. Questo funge da canone epistemologico per il giudice,

stante la maggiore affidabilità della ricostruzione dialettica del vero storico

rispetto alla vecchia istruzione probatoria del modello inquisitorio424

; inoltre, si

declina come diritto dell’imputato a trovare il confronto con il proprio

accusatore. Tale contradditorio in senso specifico, tuttavia, ha visto mitigata la

propria perentorietà, che avrebbe altrimenti compromesso l’introduzione di

un’ingente mole di sapere cognitivo nel processo penale: il consenso

dell’imputato, l’accertata impossibilità di natura oggettiva e la provata condotta

illecita sono le eccezioni costituzionalmente previste – art. 111 comma 5 Cost. –

che il legislatore ha poi specificamente sviluppato nella lettera del codice425

.

Bisogna dunque appurare quali di questi principi – e in che maniera – siano

compromessi nell’odierno giudizio d’appello e, soprattutto, se la loro stretta

interdipendenza implichi che la diretta lesione di uno causi la sostanziale

compressione dell’altro.

Innanzitutto, è necessario e utile, anche a titolo esemplificativo, esaminare la tesi

dell’incostituzionalità dell’appello del pubblico ministero, sostenuta da una certa

dottrina: i fautori di questo orientamento affermano che, essendo l’appello un

giudizio meramente cartolare, il mancato rispetto del principio di immediatezza

svilisce l’applicazione del principio del contraddittorio quale nuovo canone

epistemologico e rende, in particolare, l’appello del pubblico ministero

incostituzionale426

. I sostenitori dell’incostituzionalità dell’appello del pubblico

ministero ritengono che il principio di immediatezza sia strettamente connesso al

principio del contraddittorio: per quanto una prova sia stata ammessa in primo

grado nel pieno rispetto del contraddittorio nella formazione della prova, il fatto

424

Ex pluris cfr. §4 e §5 Capitolo primo. 425 G. GARUTI, Il giudizio ordinario, in AA. VV., Procedura Penale, Giappichelli, 2014, p. 621 ss., cfr.

anche P. TONINI, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2014, e G. CONSO, V. GREVI, M. BARGIS,

Compendio di procedura penale, Cedam, 2014. 426 Tesi di T. PADOVANI, op. cit., parzialmente sostenuta anche da F. STELLA, op. cit.; ex pluris cfr. par. §4

e §5 capitolo primo.

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che a decidere sulla base di tali risultanze sia un giudice diverso, il cui compito è

esclusivamente quello di rileggere i verbali del precedente grado, pregiudica

irrimediabilmente il rapporto che deve intercorrere tra dialettica delle parti nella

ricostruzione del vero – contraddittorio – e diretta apprensione dei risultati da

parte del soggetto che decide – immediatezza. Così, se al contraddittorio

l’imputato può rinunciarvi ex art. 111 comma 5 Cost., lo stesso non è consentito

alla pubblica accusa: in questo senso, eliminare l’appello del pubblico ministero

sarebbe una necessità costituzionale427

.

Alla luce di queste considerazioni, è opportuno chiedersi se anche

l’immediatezza assurga in via autonoma a principio di rango costituzionale e se

in appello il contraddittorio può dirsi effettivamente violato. La rilevanza

costituzionale del principio di immediatezza non è confortata dal dato letterale

dell’art. 111 Cost.; è essenziale, infatti, che la prova si formi in contradditorio: se

poi la valutazione non riesce ad intervenire in un tempo ragionevole - e ad

assicurare l’operatività del principio di immediatezza - ci sarà sì una riduzione

anomala del contraddittorio in senso sostanziale, ma non potrà desumersene

un’illegittimità costituzionale428

. Tuttavia, una certa dottrina ha ravvisato nella

lettera dell’art. comma 3 Cost. la copertura costituzionale del principio di

immediatezza: stabilendo che l’imputato «abbia la facoltà, davanti al giudice, di

interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico,

di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse

condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore»,

a quale giudice si riferisce la norma? Secondo tale tesi, si tratta del giudice

investito nel merito della decisione, quindi anche il giudice d’appello429

. D’altro

427

Vedi nota precedente. 428

A. DE CARO, Filosofia della riforma e doppio grado di giurisdizione di merito, in A. GAITO (a cura di)

La nuova disciplina delle impugnazioni dopo la legge Pecorella, Utet, 2006, pag. 26, secondo cui

l’immediatezza, intesa come relazione temporale privilegiata tra formazione dialogica della prova e

decisione, non va mitizzata dal momento che , nella realtà, spesso, questa relazione è sostanzialmente

pretermessa dal modo con cui il processo evolve e dal tempo intercorso tra la formazione delle singole

prove e la decisione». 429

P. FERRUA, Oralità e contraddittorio nel quadro delle garanzie costituzionali: giurisprudenza delle

Corti europee e fraintendimenti della Corte Costituzionale, in AA. VV., Il rito accusatorio a vent’anni

dalla grande riforma (Atti del convegno, Lecce 23- 25 Ottobre 2009), Giuffrè, 2012, p. 161 ss., per cui

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canto, argomento a favore dell’irrilevanza costituzionale del principio di oralità e

immediatezza è il fatto che il Progetto della Commissione Bicamerale per le

riforme costituzionali (C/3 3 ) all’art. 3 comma prevedesse: La

giurisdizione si attua mediante giusti processi regolati dalla legge, ispirati ai

principi di oralità, della concentrazione e dell’immediatezza»430

; in sintesi, se

attraverso tale norma si è pensato di inscrivere in Costituzione il principio di

immediatezza, si può ritenere che ad oggi questo non possa vantare tale

rilevanza.

Sotto un secondo profilo, per cui sarebbe illegittimo solo l’appello del pubblico

ministero, in quanto l’imputato potrebbe rinunciare a tale principio secondo il

dettato costituzionale, pare eccessivo far ricadere nell’ambito della disponibilità

soggettiva dell’imputato, di cui all’art. comma 5 Cost., il principio di

oralità-immediatezza: infatti, il diritto dell’imputato al confronto con il proprio

accusatore è un diritto soggettivo intrinsecamente disponibile (anche perché

incoercibile nel suo esercizio: di qui la deroga contenuta nel quinto comma

dell’art. Cost.), oralità e immediatezza sono principi la cui appartenenza

esclusiva alla dimensione oggettivo-metodologica del contraddittorio e il cui

asservimento alla tutela di indisponibili esigenze euristiche appaiono fuori

discussione»431. Considerato ciò, l’imputato non potrebbe mai derogare ex 111

comma 5 Cost. al succitato principio e dunque anche un suo appello, ad estreme

conseguenze, sarebbe incostituzionale.

In sostanza, si ribadisce la stessa osservazione svolta in precedenza: il problema

della corretta applicazione dei principi del gusto processo va affrontato, ma in

riferimento ad entrambe le parti e senza ricorrere alla totale recisione dell’appello

da parte del pubblico ministero.

sarebbe sufficiente l’utilizzo della locuzione “al” e non “a giudice terzo e imparziale” per avallare tale

interpretazione. 430

L. COMOGLIO, Il doppio grado di giudizio nelle prospettive di riforma costituzionale, in Rivista di

diritto processuale, 1999. 431

F. CAPRIOLI, I nuovi limiti all’appellabilità delle sentenze di proscioglimento tra diritti dell’individuo e

«parità delle armi», in Giurisprudenza Italiana, 2007 (1), ribadito in F. CAPRIOLI, Inappellabilità delle

sentenze di proscioglimento e “parità delle armi” nel processo penale, in Giurisprudenza costituzionale,

2007(1), p. 250 ss.

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Contributo fondamentale alla tematica in esame è stato fornito dalla

giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’ Uomo, che, citando

autorevole dottrina, con la sentenza 5 luglio 2011, Dan contro Moldavia «sembra

avere imposto di rendere generalizzata, nei giudizi di appello a seguito di

impugnazione del p.m. contro le sentenze di assoluzione, la pratica della ce-

lebrazione del secondo grado di giudizio di merito con rinnovazione integrale

delle prove in pienezza di contraddittorio e con il metodo della oralità nel rispetto

del principio di immediatezza.»432

Il principio sancito nella sentenza in commento è l’akmè di una giurisprudenza

costruita dalla Corte Europea nell’arco di un ventennio tramite una graduale

evoluzione433

, che ha riguardato, specificamente, il tema dell’oralità nei giudizi

di impugnazione relativamente al problema del ribaltamento delle sentenze di

proscioglimento. In primis, la Corte ha stabilito che «qualora un giudice

d’appello sia chiamato ad esaminare un caso in relazione ai fatti di causa e alla

legge, e a fare una valutazione completa della questione relativa alla

colpevolezza o all’innocenza del ricorrente, non può, per una questione di giusto

processo, adeguatamente stabilire questi problemi senza una valutazione diretta

delle prove»434. Infatti, all’organo giudicante investito della decisione sulla

colpevolezza o innocenza di un soggetto dovrebbe, in linea di massima, essere

garantito di udire i testimoni personalmente, cos da accertarne l’effettiva

attendibilità435

: proprio la possibilità per l’imputato di potersi direttamente

confrontare col proprio accusatore, in presenza del giudice che emetterà la

432

A. GAITO, Verso una crisi evolutiva per il giudizio d’appello, in Archivio penale, 2012(2), p. 1., il

quale prosegue: «la elaborazione del materiale decisorio nella dialettica delle parti ed al cospetto del

giudice funzionalmente investito del giudizio è uno dei requisiti fondamentali e irrinunciabili del giusto

processo». 433

Corte eur. dir. uomo, 27 novembre 2007, Popovici c. Moldavia, §§ 68 e 72; Corte eur. dir. uomo, 27

giugno 2000, Costantinescu c. Romania, § 55 e 58; Corte eur. dir. uomo, 26 maggio 1988, Ekbatani c.

Svezia. 434

Corte eur. dir. uomo, 26 maggio 1988, Ekbatani c. Svezia, come riportato da P. BRONZO, Condanna in

appello e rinnovazione della prova dichiarativa, in Archivio penale, 2014(3) p. 2 ss. 435 Corte eur. dir. uomo, 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia, come riportato da L. PARLATO, Ribaltamento

della sentenza in appello: occorre rinnovare la prova anche per la riforma di una condanna?, in Archivio

penale, 2015(1) p. 4 ss. La Corte afferma a tal proposito che la valutazione dell’attendibilità di un

testimone è un compito complesso», infatti «generalmente non può essere eseguito mediante una

semplice lettura delle sue parole verbalizzate».

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decisione, è infatti garanzia di un processo equo, come tutelato dall’art. 6 della

Convenzione E. D. U.

È opportuno enucleare due considerazioni preliminari, prima di passare ad

esaminare l’adeguamento della giurisprudenza interna – secondo i principi delle

sentenze Corte Cost. n. 348/2007 e n. 349/2007 – al presente orientamento.

Su un primo versante, si può pacificamente riconoscere come la Corte Europea

abbia stabilito che «la celebrazione di giudizi di secondo grado con controllo

esclusivamente o prevalentemente cartolare … non può più essere intesa quale

modulo standardizzato immodificabile»436: impedendo di relegare l’istituto della

rinnovazione istruttoria in appello ex art. 603 c. p. p. ad ipotesi marginali e

calibrate sulla discrezionalità del giudice d’appello, la Corte Europea ha

recuperato uno degli effetti, o perlomeno degli obiettivi, della Legge 20 febbraio

2006, n. 46, che la Corte costituzionale aveva travolto con la declaratoria di

illegittimità – Corte Cost. n. 26/2007 -437

. Infatti, poich l’applicazione del

principio di oralità al giudizio di secondo grado deve essere effettiva, sono

«ovvie le ricadute in termini di non ulteriore praticabilità sulla prassi oramai

invalsa di celebrare le udienze d’appello in maniera esclusivamente cartolare» 438

:

è evidente che la Corte, stabilendo che la mancanza di rinnovazione istruttoria in

appello lede l’equo processo di cui all’art. 6 § C. E. D. U., supporta

l’affermazione, in seno agli ordinamenti nazionali, della regola generale che

preveda la nuova assunzione delle prove testimoniali anche innanzi al giudice di

secondo grado439

.

In seconda istanza, è doveroso ricordare come nell’originario orientamento della

Corte il canone dell’immediatezza probatoria assuma una dimensione

garantistica di natura soggettiva, come mezzo del soggetto sottoposto a giudizio

436

A. GAITO, op. cit., p. 3. 437

A. GAITO, op. cit., p. 4. 438

A. GAITO, op. cit., p. 3-4, in cui sottolinea inoltre: «ove, tuttavia, il diritto delle Corti avesse a

manifestare resistenza all’apertura nei termini segnalati, si imporrebbe un adeguato intervento legislativo,

magari anche per via di decretazione d’urgenza (o, perch no, questione di legittimità costituzionale

dell’art. 6 3 c. p. p.)». 439

L. PARLATO, Ribaltamento della sentenza in appello: occorre rinnovare la prova anche per la riforma

di una condanna?, in Archivio penale, 2015(1) p. 4 ss.

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per partecipare attivamente alla formazione del convincimento del giudice:

infatti, la Corte, con la sentenza Dan contro Moldavia, limita il confine del

problema al caso di appello dell’assoluzione da parte della pubblica accusa,

escludendo che il giudice potesse fondare il ribaltamento in condanna di

dell’esito decisorio sulla mera rivalutazione delle prove orali assunte in prime

cure. Prima di trattare l’ipotesi speculare – appello dell’imputato avverso la

condanna – si può comunque riscontrare nella sentenza in commento un

insegnamento più profondo della Corte Europea: offrire al giudice di secondo

grado la possibilità di valutare, ex actis e senza una nuova escussione, come

attendibile una prova che l’organo giudicante precedente aveva valutato

inattendibile, espone la sentenza ad un aumento del rischio di errore giudiziario,

anziché, perseguendo il vero scopo del controllo di merito, ridurre tale

possibilità440

.

L’adattamento dell’ordinamento italiano al principio enunciato dalla Corte è stato

attuato tramite una serie di pronunce della Corte di Cassazione – che ne hanno, in

parte, contenuto la portata - senza la necessità, per il momento, di ricorrere ad un

intervento legislativo. Infatti, le larghe maglie dell’art. 6 3 c. p. p., norma

deputata a descrivere i casi di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in

appello, hanno favorito un’interpretazione convenzionalmente orientata441

.

Com’è noto, l’istituto nasce per prevedere ipotesi eccezionali di rinnovazione

istruttoria, in ragione del fatto che l’appello, nell’ordinamento italiano è stato

sempre concepito come revisio prioris istantiae, ossia controllo - con esiti

rescissori ma generalmente di natura cartolare - sull’operato del primo

giudice442

.

440

P. BRONZO, Condanna in appello e rinnovazione della prova dichiarativa, in Archivio penale, 2014(3)

p. 2. 441

L. PARLATO, Ribaltamento della sentenza in appello: occorre rinnovare la prova anche per la riforma

di una condanna?, in Archivio penale, 2015(1) p. 10. 442

P. BRONZO, Condanna in appello e rinnovazione della prova dichiarativa, in Archivio penale, 2014(3)

p. 4, per cui l’appello per tradizione segue la logica del controllo più che quella del novum iudicium» e

si svolge regolarmente sulla base della relazione della causa e all’esito della mera lettura dell’istruttoria

del grado precedente, con possibilità di rinnovazione probatoria relegate in ambiti decisamente

marginali.»

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Quando, però, la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità

costituzionale dell’art. 6 3 c. p. p. rispetto all’art. 7 comma Cost. e all’art. 6

§1 C. E. D. U., questa ha respinto tale questione: da un lato, ha realizzato

un’interpretazione dell’art. 6 3 c. p. p. che fosse conforme alla Convenzione

Europea; infatti, i criteri dell’ “indecidibilità allo stato degli atti” ex art. 603

comma c. p. p. e dell’ “assoluta necessità” ex art. 603 comma 3 c. p. p.

consentono, data la loro generalità, di essere letti in modo tale da permettere al

giudice d’appello, su richiesta di parte o d’ufficio, di escutere nuovamente la

prova quando questo sia necessario secondo i canoni della Corte Europea443

.

Dall’altro lato, ha ricavato dalle varie sentenze della Corte Europea la massima

secondo cui la riassunzione della prova orale è necessaria nell’ipotesi di

ribaltamento della decisione assolutoria, in presenza di due condizioni: che la

prova sia decisiva per la condanna e che occorra riesaminarne l’attendibilità444

.

Rispetto al primo canone, la dottrina ha ritenuto conforme all’orientamento della

Corte Europea considerare decisiva qualsiasi prova che permetta di pronunciare

una condanna, cambiando la stessa orientamento a seguito della sua riassunzione.

Si è evidenziato come l’apposizione di questo requisito sia, nella sostanza,

estensibile pressoché alla totalità di prove assunte in primo grado, visto che non

si possono considerare decisive solo quelle prove, assunte e valutate, che siano

risultate superflue nell’economia dell’accertamento operato dal primo giudice,

quindi trascurabili senza che il ribaltamento della decisione assolutoria in

condanna perda la sua giustificazione445

.

La rivalutazione dell’attendibilità della prova, invece, è andata incontro ad

un’interpretazione riduttiva, in quanto originariamente modellata sul requisito di

inattendibilità “oggettiva intrinseca” – cioè relativa solo al contenuto della

dichiarazione. Sul tema si è dibattuto copiosamente e l’esame di tutti gli

443

Cass., Sez. II, 27 novembre 2012, Consagra, C. E. D., n. 254726; Cass., Sez. VI, 26 febbraio 2013,

Caboni,C. E. D., n. 254623. 444

Cass., Sez. V, 5 luglio 2012, Luperi, in Cassazione Penale, 2013, p. 2195; Cass., Sez. V, 25 settembre

2013, Donato, C. E. D., n. 257585. 445

P. BRONZO, Condanna in appello e rinnovazione della prova dichiarativa, in Archivio penale, 2014(3)

p. 8, che sottolinea come la complessità delle odierne ricostruzioni probatorie e il grande numero di prove

dichiarative assunte consentano di considerare necessaria la riassunzione di ognuna di esse.

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orientamenti esulerebbe dal tema principale della trattazione: basti, dunque,

ricordare che l’attuale orientamento della Suprema Corte446

ha ribaltato tale

originaria prospettiva: ad oggi, la valutazione sull’inattendibilità della prova può

fondarsi sulla dichiarazione in sé – inattendibilità oggettiva intrinseca - ,

sull’autore della dichiarazione – inattendibilità soggettiva intrinseca –«oppure

inquadrando differentemente la dichiarazione nel contesto probatorio, in modo

che l’insincerità o l’inesattezza della testimonianza risultino dal raffronto con

altri elementi istruttori» - attendibilità estrinseca - 447

.

Alla luce di tale disamina, si può affermare che l’ordinamento interno abbia

reagito positivamente al principio di necessaria escussione orale della prova

dichiarativa anche da parte del giudice d’appello, in caso di ribaltamento della

sentenza di assoluzione: ad ulteriore dimostrazione, si noti come una lettura di

tale istituto in chiave convenzionale abbia ispirato un recente progetto di riforma

da parte del Governo, destinato a introdurre il nuovo comma 4-bis nell’art. 6 3 c.

p. p.448

Questa nuova disposizione è riferita al caso di appello del pubblico

ministero avverso le sentenze di proscioglimento: se l’appello fosse proposto per

motivi inerenti alla valutazione di attendibilità di una prova dichiarativa, il

giudice, non ritenendo manifestamente infondata l’impugnazione, dovrebbe

disporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. Senza valutare pro e

contra della riforma prospettata449

, si può registrare la chiara «volontà del

legislatore di armonizzare il ribaltamento della sentenza assolutoria in appello

446

Cass., Sez. III, 7 febbraio 2014, Gentile, in Archivio penale, 2014(3). 447

P. BRONZO, Condanna in appello e rinnovazione della prova dichiarativa, in Archivio penale, 2014(3)

p. 8, che prosegue così: « Non viola invece la norma convenzionale la condanna pronunciata in appello

all’esito della riconsiderazione in chiave logica della testimonianza acquisita e valutata in primo grado,

ossia ove – fermo ed incontestato il risultato informativo scaturito dall’escussione avvenuta nel giudizio

di primo grado – muti il ruolo che quell’informazione ha avuto nelle complesse sequenze induttive che

dalle prove guidano il giudice alla decisione». 448

Art. 18, disegno di legge n. 2789, presentato alla Camera dei Deputati il 23 dicembre 2014, recante «Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive

e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto del fenomeno corruttivo, oltre che

all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena». 449

M. BARGIS, Primi rilievi sulle proposte di modifica in materia di impugnazioni nel recente d.d.l.

governativo, in Diritto penale contemporaneo, 2015(1).

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con le garanzie del giusto processo, secondo l’interpretazione della Corte

Europea»450

.

Peraltro, la giurisprudenza interna ha tentato con una recente pronuncia451

di

estendere la disciplina relativa alla necessaria rinnovazione istruttoria in appello

della prova orale in caso di ribaltamento del proscioglimento all’ipotesi

speculare, ossia di capovolgimento della condanna. Questa operazione

giurisprudenziale, pur denotando un concreto passo in avanti dei giudici di

legittimità, non trova conforto nella portata del principio, stanti i confini tracciati

dalla giurisprudenza europea: come già ricordato, la rinnovazione della prova è,

secondo la Corte E. D. U., una forma di tutela dell’imputato e del suo diritto ad

un processo equo, qualora si veda condannato per la prima volta in seconde cure.

A sostegno di ciò, lo stesso disegno di legge prima riportato è orientato ad

introdurre una norma relativa esclusivamente al caso di appello della sentenza di

proscioglimento da parte del pubblico ministero452

.

Una certa dottrina sostiene che, più che fondarsi sul principio di parità delle parti,

l’estensione della rinnovazione anche alla sentenza di condanna, operata della

Suprema Corte, è dovuta alla diversa accezione che il principio di immediatezza

assume nell’ordinamento interno, rispetto a quello sovranazionale. Se per

quest’ultimo tale principio è piuttosto una declinazione del diritto dell’imputato

all’equo processo ex art. 6 C. E. D. U., l’ordinamento italiano riscontra nel

rispetto dello stesso talune ragioni oggettive»: nell’ ottica del pubblico

ministero, infatti, il principio di immediatezza tende ad ottenere «un compiuto

accertamento giudiziario»453

.

Tuttavia, per un’interpretazione conforme alla sentenza Dan contro Moldavia,

bisogna tenere in conto che la Corte E. D. U. tutela tale immediatezza come

presupposto dell’effettivo rispetto delle garanzie dell’imputato, quindi in chiave

450 L. PARLATO, Ribaltamento della sentenza in appello: occorre rinnovare la prova anche per la riforma

di una condanna?, in Archivio penale, 2015(1) p. 10. 451

Cass., Sez. II, 23 luglio 20014, Fiandese, in Archivio Penale, 2015(1). 452

Cfr. nota 419. 453

L. PARLATO, Ribaltamento della sentenza in appello: occorre rinnovare la prova anche per la riforma

di una condanna?, in Archivio penale, 2015(1) p. 13. Cfr. p. 138, note 391-392.

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soggettiva. La Corte di Cassazione ha così operato tale estensione riconoscendo

come significativa alla rinnovazione la necessità di tutelare la posizione

soggettiva speculare a quella dell’imputato, ossia gli interessi della persona

offesa dal reato454

. Nonostante le discussioni dottrinarie inerenti agli argomenti

impiegati455

, con questa sentenza la Corte di Cassazione si è recentemente

pronunciata per l’estensione del principio anche alle ipotesi di ribaltamento della

condanna: un ulteriore e sensibile passo in avanti verso la modifica del regime

del giudizio d’appello.

La disamina della giurisprudenza della Corte Europea e l’adattamento ad essa da

parte della Corte di Cassazione rappresenta, ricorrendo alle parole di autorevole

dottrina, «una forte accelerazione impressa alle prospettive evolutive delle

impugnazioni penali e dell’appello in particolare, in un ambito dove il legislatore

delegato del 1988 aveva erroneamente creduto di poter lasciare le cose

sostanzialmente invariate, determinando l’assurdo di processi orali in primo

grado ma ancora imperniati sulla scrittura nelle fasi successive»456

.

In quest’ottica, la Legge 2 febbraio 2 6, n. 46 aveva già tentato di realizzare

questo mutamento di prospettiva, col fine di adeguare il giudizio d’impugnazione

dell’ordinamento interno agli standars riconosciuti nelle convenzioni

internazionali, relativamente al diritto al doppio grado di giurisdizione nel merito

– art. 14 comma 5 del Patto sui diritti civili e politici e art. 2 del VII Protocollo

aggiuntivo C. E. D. U. – e ai principi fondanti del sistema accusatorio:

l’intervenuta censura della Corte Costituzionale ha rammentato come il

perseguimento di tali obiettivi non possa passare dall’esclusione del potere

d’appello del pubblico ministero. Tuttavia, sebbene la riforma dell’appello non

possa esclusivamente passare dalla recisione del corrispettivo potere del pubblico

ministero, almeno nei casi di potenziale prima condanna in appello deve essere

454 Cass., Sez. II, 23 luglio 20014, Fiandese, in Archivio Penale, 2015(1). 455

Ex pluris cfr. L. PARLATO, Ribaltamento della sentenza in appello: occorre rinnovare la prova anche

per la riforma di una condanna?, in Archivio penale, 2015(1) p. 14 ss. 456

A. GAITO, op. cit., p. 5.

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garantita all’imputato la riassunzione della prova innanzi allo stesso giudice che

si dovrà convincere di ribaltare il precedente giudizio di proscioglimento.

Il recente orientamento ha stabilito, infatti, che l’insistenza accusatoria del p.m.

può anche trovare una qualche giustificazione all’interno del sistema, ma a

condizione che non si riduca solo ad una diversa “lettura” dei protocolli di

causa»457

.

457

A. GAITO, op. cit., p. 6, il quale cos prosegue: È destinato a riproporsi, per l’effetto, il problema

perenne della piena matu-razione del processo accusatorio “all’italiana”, che accusatorio non può di certo

essere considerato, almeno fino a quando l’appello rimane, tendenzialmente, solo cartolare, con

l’integrazione probatoria relegata a livello di eccezione».

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§7. Il futuro dell’appello: necessità di un intervento legislativo e proposte di

riforma.

A fronte degli interventi della Corte Costituzionale sulla riforma del 2006 e delle

sentenze C. E. D. U. in materia di rinnovazione istruttoria in appello, si è

sviluppato un corposo dibattito in merito al futuro dell’appello e agli eventuali

interventi del legislatore in materia.

Bisogna tuttavia tenere presente, sin dall’entrata in vigore del vigente codice, la

scarsa propensione del legislatore ad intervenire compiutamente sulla materia,

nonostante la dottrina si sia costantemente impegnata ad evidenziare aporie ed

incongruenze dell’attuale sistema458

; si rammentino, a tal proposito, le parole

della stessa relazione al progetto preliminare del codice del 1988, secondo cui la

delega «non si è posta neppure, in maniera consistente, il problema

dell’opportunità politica di mantenere il generale criterio dell’appellabilità delle

decisioni»459

: in questo senso, era perlomeno auspicabile un successivo

intervento relativo alla morfologia di tale giudizio e dell’intero sistema dei

controlli.

A ben guardare, la riforma del 2006 è stato il primo tentativo di modifica del

sistema delle impugnazioni e la sua esperienza può fornire importanti indicazioni

al futuro legislatore, che decida di intervenire sulla materia. Innanzitutto, «gli

equilibri processuali non sono funambolici equilibrismi, ma ricerca di soluzioni

ponderate e di respiro sistematico»460

. A tal proposito, è opportuno tenere

presente che il processo penale è un fenomeno, per quanto imprevedibile e

complesso, caratterizzato da una serie di atti e sequenze che acquisiscono un

senso poiché finalizzati al raggiungimento di una decisione finale. Tenendo a

mente tale nozione, si comprende come anche la più settoriale delle riforme

produca effetti sostanziali e potenzialmente “rivoluzionari” su altri aspetti del

458

H. BELLUTA, Prospettive di riforma dell’appello penale, in M. BARGIS – H. BELLUTA, Impugnazioni

penali. Assestamenti del sistema e prospettive di riforma, Giappichelli, 2013, p. 235 ss., il quale parla di

un «granitico immobilismo legislativo che, a parte recenti (e maldestri) interventi, ha costretto le

impugnazioni ad un’irreale staticità». 459

Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, G.U. Serie Generale, n.250, 24-10-

1988, Suppl. Ordinario n. 93. 460

H. BELLUTA, Prospettive di riforma dell’appello penale, op. cit., p. 250.

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processo, apparentemente slegati dal settore su cui incide l’intervento, e in

generale sull’intero processo. Nel caso della Legge 20 febbraio 2006, n. 46, il

pubblico ministero, conscio di non poter appellare la decisione di

proscioglimento, si impegnava, in sede di indagine, a fornire un quadro

investigativo il più completo possibile; allo stesso modo, il giudice di primo

grado propendeva per una condanna – anziché per il proscioglimento - nelle

ipotesi dubbie, lasciando al giudice del grado successivo la possibilità di

pronunciarsi in senso contrario. Si può notare, dunque, che, pur essendosi

occupata dello specifico ambito delle impugnazioni, la riforma ha irradiato i suoi

effetti sulle altre fasi processuali, dimostrando come «i soggetti processuali

elaborano le loro strategie (accusatoria o difensiva) o (nel caso dei giudici) si

apprestano ad assolvere i rispettivi doveri decisori, alla luce dei pronosticabili

sviluppi dell'intera vicenda giudiziaria»461

.

Inoltre, la Legge 20 febbraio 2006, n. 46, tramite la sua declaratoria di

incostituzionalità, ha consentito al legislatore di «“ripassare” le coordinate

interpretative sovra ordinarie il cui rispetto diviene condizione essenziale per

ogni ripensamento sul macrocosmo dei rimedi processuali»462

. A tal proposito,

l’orientamento costituzionale del processo penale ai principi del “giusto

processo” può rappresentare la spinta decisiva verso una riforma della

morfologia delle impugnazioni, purché questa sia improntata, sia in chiave

difensiva che epistemologica, al rispetto pieno di tutte le garanzie tanto in primo

grado quanto in appello e alla riduzione dei tempi processuali463

.

L’idea di riforma che da tempo si fa avanti in dottrina concerne la modifica

generale del giudizio d’appello, volta a ripensare l’effetto parzialmente

devolutivo di tale mezzo di impugnazione. La conformazione dell’appello lo

rende, di fatto, più una revisio prioris istantiae che un novum iudicium464

,

461

R. ORLANDI, La riforma del processo penale fra correzioni strutturali e tutela “progressiva” del

diritto penale, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 2014(3), pag. 1133 ss. 462

H. BELLUTA, Prospettive di riforma dell’appello penale, op. cit., p. 250. 463

H. BELLUTA, Prospettive di riforma dell’appello penale, op. cit., p. 250. 464

M. BARGIS, Impugnazioni, in CONSO-GREVI-BARGIS (a cura di), Compendio di procedura penale,

Cedam, 2012, p. 939.

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consentendo tuttavia all’impugnante di delineare l’ambito di cognizione del

giudice di secondo grado in maniera talmente ampia – ambito che corrisponde

infatti ai punti della decisione, cui ineriscono i motivi censurati dalla parte – da

spaziare tra l’azione di annullamento e il mezzo di gravame465

.

Il controllo “universale” svolto dal giudice di secondo grado non solo impedisce

una puntuale e specifica realizzazione della funzione di controllo, ma esclude,

inoltre, che si rispettino dei tempi ragionevoli per la conclusione del

procedimento: sembrerebbe auspicabile, dunque, introdurre dei motivi specifici

per cui la parte possa proporre appello, cos da renderlo più simile ad un’azione

d’impugnativa466

.

In tale maniera si eviterebbe di disperdere l’energie dell’organo giudicante

nell’intera rilettura di una vicenda processuale, concentrando il sindacato del

secondo giudice sulla risoluzione di specifici errori giudiziari, come denunciati

dalla parte467

; un ulteriore pregio riguarderebbe la fisiologica concentrazione

delle parti sul giudizio di primo grado, che in questo senso rappresenterebbe

pienamente il fulcro dell’intero iter processuale468

.

I primi dubbi emersi in materia concernono la corretta elencazione dei motivi per

cui possa essere presentato appello: tra le proposte, si individua la previsione dei

motivi previsti dall’art. 6 6 comma lett. a, b, c, d c. p. p. e le «Questioni di

nullità» di cui all’art. 6 4 c. p. p.; a questi è necessario aggiungere specifica

disposizione relativa al caso di travisamento dei fatti che hanno influenzato la

decisione e di estensione del vizio di motivazione, che permetta un riscontro tra

tutte le risultanze processuali e l’argomentazione del giudice di prime cure469

.

La realizzazione di una modifica dell’appello che lo rendesse più simile al

giudizio di Cassazione dovrebbe essere accompagnata dalla configurazione del

giudizio di secondo grado in chiave esclusivamente rescindente, rimettendo ad

465

P. GAETA- A. MACCHIA, L’appello, in G. SPANGHER (a cura di), Trattato di procedura penale, vol. V,

Utet, 2009, p. 273. 466

P. GAETA- A. MACCHIA, op. cit., p. 289. 467

D. CARCANO, Impungazioni e prescrizione, in Questione giustizia, 2007(1), p. 17 ss. 468

F. PERONI, Giusto processo e doppio grado di giurisdizione nel merito, in Rivista di diritto

processuale, n.3, Cedam, 2001, p.728. 469

D. CARCANO, Impungazioni e prescrizione, in Questione giustizia, 2007(1), p. 21.

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altro organo giudicante la fase rescissoria: in questo senso, si supererebbe la

dicotomia conferma-riforma, risolvendosi gli esiti in annullamento, in caso di

rilevazione dei vizi da parte del giudice d’appello, o conferma della decisione,

nel caso contrario di mancato accoglimento delle censure della parte.

In verità, l’idea di ricorrere, anche solo parzialmente, ad una struttura rescindente

del giudizio d’appello aveva già incontrato il favore della giurisprudenza di

legittimità e di una parte della dottrina.

Infatti, con la già richiamata pronuncia “Andreotti” del 3 Ottobre 2 3 n.

45276, le Sezioni Unite avevano rilevato sia l’opportunità di una riforma del

giudizio d’appello, che suggerito la possibilità di rivedere l’architettura di tale

giudizio di seconde cure secondo lo schema esclusivamente rescindente470

.

Inoltre, in seno alla discussione parlamentare che condusse alla riforma del 2006,

nell’ambito dei lavori del Senato furono avanzate delle proposte di

emendamento, poi respinte, che avevano lo scopo di conciliare la necessità di

non precludere l’appello del proscioglimento al pubblico ministero con il diritto

dell’imputato ad un secondo esame nel merito della condanna471

. Tra queste, fu

avanzata la proposta di attribuire carattere solo rescindente all’appello verso la

sentenza di proscioglimento, con la conseguente trasmissione di tali atti al

giudice di primo grado, anche se in diversa composizione472

.

In ultimo, la stessa dottrina - già in sede di commento della Legge 20 febbraio

2006, n. 46 - aveva espresso la propria opinione favorevole alla previsione di un

appello rescindente, in tutti i casi in cui il giudice d’appello volesse riformare la

sentenza di proscioglimento: questa sarebbe stata una valida alternativa alla

totale recisione del potere d’appello della pubblica accusa, poiché avrebbe

permesso di evitare che l’imputato fosse condannato per la prima volta in

470

Cass. Sez. Un., 30 Ottobre 2003, n. 45276 Andreotti, in Cassazione Penale, 2004 p. 838, con nota di

D. CARCANO, Brevi note sulle regole che governano il processo penale. Ex pluris cfr. capitolo primo §5.,

nota 100. 471

E. VALENTINI, L’iter parlamentare della riforma, in M. BARGIS, F. CAPRIOLI (a cura di), Impugnazioni

e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006, Giappichelli, 2007, p. 10-11. 472 Atti Senato, XIV leg., Commissione giustizia, seduta 13 dicembre 2005, n. 533).

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seconde cure473

.

Nella previsione di un appello esclusivamente rescindente e limitato a motivi

specifici vi è un problema di difficile soluzione, ossia l’allungamento della durata

dei processi: la previsione del controllo, dell’annullamento e la sua

impugnazione, la decisione del giudice di rinvio e la critica della stessa paiono

come una ineludibile moltiplicazione di giudizi. Una certa dottrina ha così

proposto di introdurre un vaglio di ammissibilità dell’appello, simile a quello

operato dalla sezione-filtro in Cassazione474

: seppur confacente alla struttura di

un giudizio a critica vincolata, questo strumento potrebbe effettivamente

collidere con l’accertamento di merito da “controllare” in appello, cui è difficile

applicare un generico e incontrovertibile canone di fondatezza.

Questa proposta di modifica, anche se rispettosa dei principi del giusto processo

e dell’intera architettura del processo penale, pare effettivamente confliggere con

la ragionevole durata del processo: sulla patologica eccessiva durata dei processi,

d’altronde, si potrebbe agire limitando l’uso pretestuoso degli strumenti di

impugnazione; in questo modo, si recupererebbe il tempo per rivalutare nel

merito la decisione tramite la «trattazione rescindente»475

.

Questo tipo d’intervento trova le sue direttrici in due questioni fondamentali:

l’esecutività della prima sentenza e la prescrizione. Se il principio costituzionale

della presunzione di non colpevolezza ex art. 27 coma 2 Cost. osta all’immediata

esecutività della sentenza penale, sorreggendo l’effetto sospensivo

dell’impugnazione476

, il tema della prescrizione fornisce maggiori «margini di

manovra»477

, a fronte di un tessuto costituzionale a maglie più larghe. È

473

In questo senso F. CORDERO, Un’arma contro due, in Rivista di diritto processuale, 2006, p. 812; R. E.

KOSTORIS, Le modifiche al codice di procedura penale in tema di appello e ricorso per cassazione

introdotte dalla cd. «Legge Pecorella», in Rivista di diritto processuale, 2006, p. 635. 474

D. CARCANO, Impungazioni e prescrizione, in Questione giustizia, 2007(1), p. 21, secondo il quale una

camera-filtro delle Corti d’appello avrebbe vagliato le impugnazioni, dichiarandole inammissibili quando

i motivi fossero manifestamente infondati o non specifici. 475

F. PERONI, Giusto processo e doppio grado di giurisdizione nel merito, in Rivista di diritto

processuale, n.3, Cedam, 2001, p.731. 476

G. ILLUMINATI, Appello e processo accusatorio. Uno sguardo ai sistemi di common law, op. cit., p.

115, secondo cui, pur essendo maturi i tempi per modificare tale norma costituzionale, la sua esistenza

impedisce di comprimere tale principio. 477

H. BELLUTA, Prospettive di riforma dell’appello penale, op. cit., p. 259.

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indubbio che la prescrizione rappresenti un «traguardo concreto» per il soggetto

condannato: sebbene questa maturi nella maggior parte dei casi prima di giungere

alla sentenza di primo grado, anche le impugnazioni fanno la loro parte, in

quanto mezzo idoneo allo strumentale prolungamento dei tempi processuali478

.

Legare un effetto sospensivo della prescrizione alla presentazione dell’appello o

del ricorso per Cassazione potrebbe avere quell’effetto deterrente sperato, che

fosse idoneo ad impedire l’esperimento di mezzi di impugnazione con esclusivi

intenti dilatori.

In conclusione, questo sintetico riferimento ad alcune idee di riforma dell’appello

ha posto in evidenza un problema fondamentale: la più generale mancanza di

proposte unitarie di modifica sembra proprio essere «dovuta alla difficoltà di

soddisfare congiuntamente le esigenze di coerenza sistematica e di durata

ragionevole del nostro rito penale»479

. È doveroso prendere atto, infatti, che un

efficace contingentamento della durata dei processi si potrebbe realizzare

pienamente solo tramite interventi legislativi che coinvolgano l’intero

procedimento penale.

478

M. BARGIS, La prescrizione del reato e i “tempi” della giustizia penale, in Rivista Italiana di Diritto e

Procedura Penale, 2006, p. 1402. 479

H. BELLUTA, Prospettive di riforma dell’appello penale, op. cit., p. 256.

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Conclusione

La trattazione finora svolta consente di operare una serie di considerazioni sul

giudizio di secondo grado, necessarie quali presupposti di un corretto dibattito in

merito al futuro dell’appello e alla conformazione di questo grado di giudizio nel

processo penale che verrà.

In prima istanza, si deve riconoscere che l’appello continua ad essere considerato

un mezzo di controllo della decisione imprescindibile nell’ordinamento italiano,

sia per motivi storici che giuridici, sebbene la giurisprudenza costituzionale

abbia escluso che questo sia garantito dalla lettera della Costituzione.

D’altra parte, l’attuale rapporto tra giudizio di primo grado, costruito secondo i

principi del “giusto processo”, e sistema delle impugnazioni, ad oggi calibrato

sugli schemi del modello processuale inquisitorio, è difficilmente tollerabile per

un ordinamento che vuole perseguire la ragionevole durata dei processi e

garantire il totale impiego del metodo del contraddittorio.

In merito alla riforma in commento, bisogna riconoscere che la Legge 20

febbraio 2006, n. 46, nonostante la piena bocciatura del Giudice delle Leggi, ha

estrinsecato in un provvedimento legislativo molti dei dubbi avanzati dagli

studiosi del processo penale in riferimento al giudizio d’appello ed in generale al

sistema delle impugnazioni.

È altresì innegabile che la novella del 2006 abbia palesato dei limiti strutturali

importanti, di due ordini principali: in primis, una tecnica redazionale del testo di

legge approssimativa e talvolta contraddittoria, che ha posto non pochi problemi

interpretativi alla giurisprudenza; in merito, basti pensare alla riforma dell’art.

576 c. p. p., in cui è emersa una incomprensibile frattura tra la volontà del

legislatore e la lettera della legge, ricomposta dall’operato delle Sezioni Unite e

della Corte Costituzionale. In secundis, l’estemporanea recisione del potere

d’appello del pubblico ministero, seppur mossa da nobili finalità, non poteva che

incontrare la declaratoria di illegittimità costituzionale, in quanto priva di un

coerente e generalizzato ripensamento dell’intero sistema delle impugnazioni.

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Il recente intervento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha fornito nuova

linfa alle argomentazioni di coloro che denunciavano l’inopportunità, se non

addirittura l’incostituzionalità, di un giudizio d’appello che permettesse di

condannare l’imputato per la prima volta in seconde cure, sulla base di una

semplice rivalutazione cartolare del quadro probatorio. Sebbene il diritto interno

debba adeguarsi a questi rilievi, la presunta irrinunciabilità all’appello ha per il

momento condotto ad una interpretazione correttiva dell’art. 6 3 c. p. p.,

impedendo che si ricorresse all’eliminazione di tale strumento per una delle parti.

A fronte di ciò, permane comunque la necessità di riformare il giudizio d’appello

rendendolo pienamente conforme ai principi del “giusto processo” espressi in

Costituzione. Tuttavia, eliminare tout court il potere d’appello del pubblico

ministero avverso le sentenze di proscioglimento è stata una scelta prematura per

quella che è la storia del nostro Paese e la tradizione del nostro ordinamento.

Questo non esclude che tale via possa e debba essere percorsa: infatti, l’appello

del pubblico ministero non riceve alcuna copertura costituzionale, avendo lo

stesso Giudice delle Leggi escluso che rientri nel principio di obbligatorietà

dell’esercizio dell’azione penale, ex art. 112 Cost.; inoltre, la stessa Corte

Costituzionale ha negato che il principio di parità tra accusa e difesa ex art. 111

comma 2 Cost. debba essere inteso come identità delle armi a loro disposizione.

In assenza di insuperabili e stringenti limiti costituzionali all’esclusione del

potere d’appello del pubblico ministero verso la sentenza di proscioglimento, si

auspica che tale opportunità possa essere colta dal futuro legislatore, il quale, col

fine di realizzare una piena tutela dell’imputato, nel rispetto del principio di non

colpevolezza, di cui all’art. 27 comma 2 Cost., e di perseguire una diminuzione

della durata dei processi, elimini o quantomeno riduca tale facoltà dell’organo

d’accusa. In questa maniera, si attribuirebbe maggiore rilevanza al metodo del

contraddittorio impiegato in primo grado e il nostro sistema processuale penale

aderirebbe in maniera ancor più significativa al modello accusatorio; bisogna

riconoscere, però, che il perseguimento di tali scopi non può passare dalla sola

riforma delle impugnazioni, se è vero che «nella strategia delle riforme bisogna

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172

partire non dal tetto dell’edificio processuale, le impugnazioni, ma dalle

fondamenta»480

.

480

E. AMODIO, Riformare le impugnazioni dopo il ripristino di un primo grado deflazionato e garantito,

in Cassazione Penale, 1999, p. 3621.

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