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1 DIOGENE LAERZIO LIBRO II SOCRATE ( 469 - 399 a. C.) [D.L.II,18] Socrate era figlio di Sofronisco, uno scalpellino, e di Fenarete, una mammana, come afferma Platone nel ‘Teeteto’. Era Ateniese, del demo Alopece. Pare che abbia collaborato con Euripide, ragion per cui Mnesimaco dice così: ‘Questo è ‘I Frigi’, il nuovo dramma di Euripide <cucinato dentro un pentolone> sotto il quale anche Socrate mette di suo della legna secca’ e ancora: ‘Euripide incavicchiato da Socrate’. E Callia nei suoi ‘Prigionieri in ceppi’ dice: ‘A. Perché hai un’aria così solenne e così orgogliosa? B. Ne ho ben donde: Socrate è il mio autore’. E Aristofane nelle ‘Nuvole’: ‘È questo qui che fa le tragedie per Euripide, quelle storie piene di ciarle sapienti’. [D.L.II,19] Secondo alcuni egli fu uditore di Anassagora; ma anche di Damone, come afferma Alessan- dro nelle sue ‘Successioni dei filosofi’. Dopo la condanna di Anassagora divenne discepolo del fisico Archelao del quale, secondo Aristosseno, diventò pure l’amasio. Duride riferisce che egli fece il mano- vale e che lavorava la pietra; e taluni affermano che sono opera sua le Grazie con i drappeggi che si tro- vano sull’Acropoli. Perciò Timone nei suoi ‘Silli’ dice: ‘Altra strada rispetto ai quali prese <Socrate>, lo scalpellino, il ciarlone di leggi, l’ammaliatore dei Greci, l’inventore di sottili argomentazioni, il motteggiatore derisore dei retori, l’ironizzatore Attico a metà’. Come riferisce Idomeneo, Socrate era infatti un abilissimo oratore; [D.L.II,20] ma i Trenta, secondo quanto racconta Senofonte, gli vietarono di insegnare l’arte della parola. Aristofane gli fa fare in com- media la parte di colui che è capace di trasformare il torto in ragione. Secondo quanto afferma Favorino nella sua ‘Storia varia’, Socrate fu il primo, insieme al suo allievo Eschine, ad insegnare la retorica. An- che Idomeneo dice la stessa cosa nella sua opera ‘Sui Socratici’. Egli fu anche il primo a discutere sulla condotta della vita umana e morì, primo tra tutti i filosofi, in seguito a una condanna a morte. Aristos- seno, figlio di Spintaro, afferma che egli si occupò di finanza, giacché soleva investire un certo capitale, ricavarne un interesse, spendere l’interesse e reinvestire il capitale. Demetrio di Bisanzio riferisce che Critone, innamoratosi della grazia del suo animo, lo tirò fuori dall’officina nella quale lavorava e lo fece educare. [D.L.II,21] Una volta riconosciuto che la speculazione naturalistica non ha per noi alcun valo- re, Socrate discuteva di questioni etiche sia nelle officine che nella piazza del mercato, ripetendo che a lui interessava ricercare: ‘quel che di cattivo e di buono c’è nella magione’.

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DIOGENE LAERZIO LIBRO II

SOCRATE (469 - 399 a. C.) [D.L.II,18] Socrate era figlio di Sofronisco, uno scalpellino, e di Fenarete, una mammana, come afferma Platone nel ‘Teeteto’. Era Ateniese, del demo Alopece. Pare che abbia collaborato con Euripide, ragion per cui Mnesimaco dice così:

‘Questo è ‘I Frigi’, il nuovo dramma di Euripide <cucinato dentro un pentolone> sotto il quale anche Socrate

mette di suo della legna secca’ e ancora:

‘Euripide incavicchiato da Socrate’. E Callia nei suoi ‘Prigionieri in ceppi’ dice:

‘A. Perché hai un’aria così solenne e così orgogliosa? B. Ne ho ben donde: Socrate è il mio autore’.

E Aristofane nelle ‘Nuvole’:

‘È questo qui che fa le tragedie per Euripide, quelle storie piene di ciarle sapienti’.

[D.L.II,19] Secondo alcuni egli fu uditore di Anassagora; ma anche di Damone, come afferma Alessan-dro nelle sue ‘Successioni dei filosofi’. Dopo la condanna di Anassagora divenne discepolo del fisico Archelao del quale, secondo Aristosseno, diventò pure l’amasio. Duride riferisce che egli fece il mano-vale e che lavorava la pietra; e taluni affermano che sono opera sua le Grazie con i drappeggi che si tro-vano sull’Acropoli. Perciò Timone nei suoi ‘Silli’ dice:

‘Altra strada rispetto ai quali prese <Socrate>, lo scalpellino, il ciarlone di leggi, l’ammaliatore dei Greci, l’inventore di sottili argomentazioni,

il motteggiatore derisore dei retori, l’ironizzatore Attico a metà’. Come riferisce Idomeneo, Socrate era infatti un abilissimo oratore; [D.L.II,20] ma i Trenta, secondo quanto racconta Senofonte, gli vietarono di insegnare l’arte della parola. Aristofane gli fa fare in com-media la parte di colui che è capace di trasformare il torto in ragione. Secondo quanto afferma Favorino nella sua ‘Storia varia’, Socrate fu il primo, insieme al suo allievo Eschine, ad insegnare la retorica. An-che Idomeneo dice la stessa cosa nella sua opera ‘Sui Socratici’. Egli fu anche il primo a discutere sulla condotta della vita umana e morì, primo tra tutti i filosofi, in seguito a una condanna a morte. Aristos-seno, figlio di Spintaro, afferma che egli si occupò di finanza, giacché soleva investire un certo capitale, ricavarne un interesse, spendere l’interesse e reinvestire il capitale. Demetrio di Bisanzio riferisce che Critone, innamoratosi della grazia del suo animo, lo tirò fuori dall’officina nella quale lavorava e lo fece educare. [D.L.II,21] Una volta riconosciuto che la speculazione naturalistica non ha per noi alcun valo-re, Socrate discuteva di questioni etiche sia nelle officine che nella piazza del mercato, ripetendo che a lui interessava ricercare:

‘quel che di cattivo e di buono c’è nella magione’.

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Nel corso delle sue ricerche discuteva spesso con grande veemenza, sicché gli interlocutori lo prende-vano a pugni oppure gli strappavano i capelli; la maggior parte delle volte, però, lo deridevano con di-sprezzo. Ma egli sopportava pazientemente tutte queste offese. Ragion per cui anche quando fu preso a calci, poiché un tale era meravigliato della sua sopportazione Socrate gli disse: “Se mi avesse dato un calcio un asino, forse che gli farei intentare un processo?”. Queste sono le cose che racconta Demetrio. [D.L.II,22] Come accade ai più, non ebbe mai bisogno di andare all’estero fuorché quando ci fu biso-gno di partecipare ad una spedizione militare. Per il resto del tempo se ne stava ad Atene e qui la sua maggiore ambizione era di poter fare dibattiti, non per far cambiare opinione agli interlocutori bensì nel tentativo di imparare da loro la verità. Si racconta che Euripide gli diede una copia dell’opera di Eraclito e gli chiese: “Cosa ti sembra?”. La risposta di Socrate fu: “Le cose che ho capito mi sembrano davvero eccellenti, e credo che lo siano anche quelle che non ho capito, eccetto che per arrivare al loro fondo c’è bisogno di un palombaro di Delo”. Usava darsi gran cura degli esercizi fisici ed era di corporatura forte e vigorosa. Prese parte alla spedizione militare contro Amfipoli, e nella battaglia di Delio raccolse e salvò la vita a Senofonte che era caduto da cavallo. [D.L.II,23] In quell’occasione, mentre tutti gli Ateniesi s’erano dati ad una fuga precipitosa, Socrate arretrava invece senza fretta, volgendosi conti-nuamente qua e là e pronto a difendersi se mai qualcuno lo assalisse. Partecipò anche alla spedizione militare contro Potidea: città che fu raggiunta per via di mare in quanto, a causa della guerra in corso, era impossibile arrivarvi per via di terra. Si racconta che in quest’occasione Socrate tenne per una notte intera una certa posizione militare chiave. Si meritò così sul campo il primo premio del valore, che egli però cedette ad Alcibiade del quale, come afferma Aristippo nel quarto libro della sua opera ‘Sulla dis-solutezza degli antichi’, egli era l’amante. Ione di Chio afferma che da giovane Socrate viaggiò fino a Samo in compagnia di Archelao, ed Aristotele che andò a Delfi. Nel primo libro dei suoi ‘Memorabili’ Favorino riferisce poi che egli raggiunse anche l’Istmo di Corinto. [D.L.II,24] Era un uomo di solide convinzioni e favorevole al partito popolare. Ciò è manifesto dal fatto che non cedette agli ordini dei membri del partito di Crizia, i quali gli intimarono di portare dinanzi a loro Leonte di Salamina, un uo-mo assai ricco, per mandarlo a morte; e che fu il solo a votare contro la condanna dei dieci generali. Al-trettanto manifesto ciò è dal fatto che quando gli fu possibile evadere dalla prigione, egli non volle far-lo; che censurò coloro che erompevano in alti lamenti per la sua sorte; e che fece quei famosi, bellissimi discorsi mentre era in catene. Era un uomo di carattere indipendente e che ispirava rispetto. Nel setti-mo libro dei suoi ‘Appunti’, Panfilo ricorda che una volta Alcibiade gli offrì un grande pezzo di terreno affinché potesse costruirvi sopra una casa, e che lui gli disse: “Se io avessi bisogno di calzari e tu mi of-frissi del cuoio col quale farmeli io stesso, sarei ridicolo se lo accettassi”. [D.L.II,25] Spesso, guardando la moltitudine di merci che erano poste in vendita, diceva a se stesso: “Di quante cose non ho biso-gno!”. Di continuo poi recitava ad alta voce questi versi giambici:

‘Le argenterie o le vesti di porpora son buone per le tragedie, non per la vita’.

Trattò con profondo disprezzo Archelao di Macedonia, Scopa di Crannone ed Euriloco di Larissa, non accettando soldi da loro e non recandosi alle loro corti. Il suo tenore di vita era disciplinatissimo, tanto che quando ad Atene vi erano delle pestilenze, spesso lui era il solo a non ammalarsi. [D.L.II,26] Aristo-tele dice che egli sposò due donne. La prima fu Santippe, dalla quale ebbe il figlio Lamprocle. La se-conda fu Mirto, figlia di Aristide detto ‘il Giusto’, che egli prese in sposa pur se priva di dote e dalla quale nacquero i figli Sofronisco e Menesseno. Altri affermano però che egli sposò per prima Mirto. Al-tri ancora, tra i quali sono Satiro e Ieronimo di Rodi, riferiscono che egli le ebbe contemporaneamente entrambi come mogli. Essi raccontano infatti che gli Ateniesi avevano deliberato di accrescere di nume-ro la popolazione e che, a causa della scarsezza di individui maschi, avevano votato di concedere il dirit-to di sposare una donna cittadina e però di avere figli anche da un’altra: il che è ciò che anche Socrate fece. [D.L.II,27] Era capace di guardare dall’alto in basso coloro che lo schernivano; andava fiero della sua parsimonia e non riscosse mai alcuno stipendio. Poiché mangiava con sommo piacere, soleva dire di non avere affatto bisogno di cibi squisiti; e poiché beveva con sommo piacere, diceva di non aspet-tarsi altra bevanda che quella che era a disposizione; e poiché aveva bisogno di pochissime cose, di es-

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sere vicinissimo agli dei. Queste sue affermazioni si possono apprendere anche dai testi dei commedio-grafi, i quali non si rendono conto di stare lodandolo proprio attraverso ciò che dicono di lui per scher-nirlo. Aristofane parla di lui in questi termini:

‘O uomo giustamente smanioso della grande sapienza, come te la passerai felice tra gli Ateniesi ed i Greci!

Tu sei uno di memoria tenace, e pensatore, e la sopportazione è dentro l’animo tuo, e non ti stanchi né stando fermo né camminando,

e non soffri troppo quando hai freddo, e non dai in smanie per la colazione, e ti astieni dal vino, dalla voracità e dalle altre stupidaggini’.

[D.L.II,28] Amipsia, mettendolo in scena con indosso una mantellina, dice così:

‘O Socrate, di un pugno d’uomini il migliore, certo di gran lunga il più stravagante, anche tu

sei giunto tra di noi. Forte lo sei davvero. Ma da dove potrebbe venire per te una mantella di cuoio?

B. Questa mancanza è diventata un’offesa per i cuoiai! A. Costui, pur affamato non s’è mai piegato ad adulare!

Il suo sguardo superiore e la sua grandezza d’animo, la rende palese Aristofane quando dice:

‘Perché tu ti pavoneggi per le strade, e torci gli occhi, e scalzo molti mali sopporti, e guardi a noi con aria grave’.

Eppure, a volte e nelle opportune occasioni Socrate sapeva adattarsi ed indossare splendide vesti: come quando, nel ‘Simposio’ di Platone, sta camminando verso la casa di Agatone. [D.L.II,29] Socrate era abile tanto nello spronare gli altri quanto nel trattenerli. Infatti, dopo avere discusso con lui su cosa sia la ‘scienza’, congedò Teeteto pieno di entusiasmo, come ci riferisce Platone. Invece, facendo con lui una serie di considerazioni su cosa sia il ‘sacro’, distolse dal suo proposito Eutifrone, il quale voleva in-tentare un processo contro suo padre per l’omicidio di un servo di casa. E con lo spronarlo alla virtù, fece di Liside una persona di grande moralità. Socrate era infatti abilissimo a trovare le proprie argo-mentazioni traendole dai fatti. Fece rinsavire anche suo figlio Lamprocle, il quale era oltremodo infuria-to contro la madre Santippe; come racconta, se non erro, Senofonte. Distornò Glaucone, il fratello di Platone che voleva interessarsi di affari cittadini, da un simile progetto in quanto del tutto inesperto di politica, come dice Senofonte. Al contrario, invece, assistette Carmide in tale progetto in quanto posse-deva le qualità adatte allo scopo. [D.L.II,30] Risollevò lo spirito di Ificrate, il generale, mostrandogli i galli da combattimento del barbiere Midia, che sbattendo le ali sfidavano quelli di Callia. E Carmide, il figlio di Glaucone, era del parere che Socrate procacciasse alla città il prestigio che procaccia il possesso di un fagiano o di un pavone. Soleva ripetere che è stupefacente la facilità con la quale ciascuno di noi saprebbe dire il numero delle pecore che ha, e invece non saprebbe dire né il nome né il numero degli amici che possiede: a tal punto li tiene in poco conto. Vedendo che Euclide s’industriava assai sui di-scorsi eristici, gli disse: “Euclide, potrai adoperarli con i sofisti, ma con gli uomini mai”; giacché credeva del tutto inutile, come afferma Platone nel suo ‘Eutidemo’, darsi da fare su ragionamenti frivoli e cavil-losi. [D.L.II,31] Quando Carmide gli offrì dei servi affinché potesse dal loro lavoro ricavare delle entra-te, Socrate declinò l’offerta; e secondo alcuni ebbe anche in disdegno la bellezza fisica di Alcibiade. Se-condo quanto afferma Senofonte nel suo ‘Simposio’, lodava invece il tempo libero dedicato all’educazione come il più meraviglioso dei possessi. Ripeteva perciò che vi è un solo bene: la scienza; e un solo male: l’ignoranza; e che la ricchezza di denaro e la nobiltà di natali non incorporano in se stessi alcunché di buono e solenne bensì, tutt’al contrario, ogni male. Quando dunque un tale gli disse che Antistene aveva una madre originaria della Tracia, Socrate gli rispose: “E tu crederesti che da due Ate-niesi possa nascere una persona di tale nobiltà d’animo?”. Ingiunse poi a Critone di pagare il riscatto di

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Fedone il quale, essendo un prigioniero di guerra era costretto a prostituirsi, e ne fece un filosofo. [D.L.II,32] Quand’era ormai vecchio imparò a suonare la lira, affermando che nulla c’è di assurdo nell’imparare le cose che uno non sa. Danzava inoltre regolarmente, ritenendo che simile ginnastica fos-se vantaggiosa per la buona complessione fisica, come anche Senofonte afferma nel suo ‘Simposio’. So-leva ripetere che il suo démone gli segnalava in anticipo quel che gli sarebbe accaduto; che l’essere da esso ben comandati, anche se per poco tempo, non è piccola cosa; e di nulla sapere se non sapere che c’è questo demone. Diceva anche che quanti comperano a caro prezzo frutti precoci, rinunciano con ciò a farli giungere a maturazione. Interrogato una volta su quale fosse la virtù di un giovane, rispose: “Nulla di troppo”. Era dell’avviso che si debba imparare la geometria fino al punto da essere capaci di misurare la terra che si acquisisce o si cede. [D.L.II,33] Quando nella sua ‘Auge’ Euripide afferma della virtù che:

‘la miglior cosa è lasciar queste cose andare come capita’, Socrate si alzò e uscì dal teatro, dicendo che è ridicolo ritenere cosa degna l’andare in cerca di un servo fuggitivo che non si trova, e invece lasciar andare in malora a questo modo la virtù. Richiesto da un tale se sia il caso di sposarsi oppure no, rispose: “Qualunque delle due cose tu faccia, te ne pentirai”. Diceva anche di stupirsi assai del fatto che quanti scolpiscono statue di marmo, d’altro non si diano pensiero se non che la pietra sia il più possibile simile al modello umano; e che invece non si diano alcun pensiero di non apparire essi stessi simili a pezzi di marmo. Soleva sollecitare i giovani a guardarsi di continuo nello specchio, allo scopo, nel caso fossero belli, di diventarne degni; e nel caso fossero brutti, di na-scondere la loro bruttezza sotto la buona educazione. [D.L.II,34] Una volta Socrate invitò a pranzo del-le persone ricche, e poiché Santippe temeva di non essere all’altezza della situazione, lui le disse: “Fatti coraggio: se fossero persone a modo, si comporterebbero con compiacenza; se saranno degli sciocchi, di loro a noi non importerà nulla”. Soleva ripetere che mentre gli altri uomini vivono per mangiare, lui invece mangiava per vivere. Circa la folla indistinta, era dell’avviso che è come se uno, mentre rifiuta di accettare per buona una tetradracma, accettasse invece come buone simili monete se sono in mucchio. Quando Eschine gli disse: “Sono povero e non ho altro, ecco ti do me stesso”, Socrate gli rispose: “Non ti accorgi che mi stai offrendo la cosa più grande di tutte?”. Un tale esprimeva il suo disappunto perché quando i Trenta misero in piedi il loro governo non lo tennero in considerazione, e Socrate gli disse: “E non te ne penti?”. [D.L.II,35] A chi gli diceva: “Gli Ateniesi ti hanno condannato a morte”, egli rispose: “E la natura ha condannato a morte gli Ateniesi”. Altri tuttavia attribuiscono questo detto ad Anassagora. Quando sua moglie gli disse: “Tu muori ingiustamente”, Socrate le rispose: “E tu vorre-sti che io morissi colpevole?”. Quando in sogno gli sembrò che un tale gli dicesse:

‘Al terzo giorno verrai a Ftia fertile zolla’, disse ad Eschine: “Fra tre giorni morirò”. Poco prima che bevesse la cicuta, Apollodoro gli offrì un mantello bello ed elegante affinché potesse morire con esso addosso. Ma Socrate gli disse: “E perché? Se il mio mantello era idoneo a rivestirmi da vivo, non lo sarà anche per morirci dentro?”. A chi gli an-nunciava: “Il tale parla male di te!”, egli rispose: “Già, non ha mai imparato a parlar bene”. [D.L.II,36] Poiché Antistene aveva rivoltato e messo in vista la parte lacera della sua mantellina, Socrate gli disse: “Attraverso la mantellina vedo la tua vanagloria”. A chi gli diceva: “Ma il tale non ti sta ingiuriando?”, Socrate rispose: “No, queste sue ingiurie nulla hanno a che fare con me”. Soleva poi affermare che bi-sogna offrirsi a bella posta alle facezie dei poeti comici, giacché se queste cogliessero qualcuno dei no-stri difetti, ci correggeranno; se no, i loro lazzi non ci riguarderanno”. Quando Santippe prima lo coprì d’ingiurie e poi gli rovesciò addosso dell’acqua, Socrate disse: “Non dicevo io che quando Santippe tuona, poi fa anche piovere?”. Ad Alcibiade il quale diceva che Santippe è insopportabile quando si mette ad ingiuriare, Socrate rispose: “Ma io c’ho fatto l’abitudine. È come se sentissi di continuo lo stri-dore di una carrucola. [D.L.II,37] E tu” soggiunse quindi “non sopporti forse il chiasso delle oche star-nazzanti?”. “Sì, ma quelle mi danno uova e pure dei paperi!”. “E pure a me Santippe genera dei figli!”. Nella piazza del mercato una volta Santippe gli strappò addirittura di dosso il mantello, e mentre i co-

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noscenti che aveva intorno gli suggerivano di difendersi mettendole le mani addosso, Socrate disse: “Sì, per Zeus, di modo che mentre noi facciamo a pugni, ciascuno di voi possa poi mettersi a gridare ‘Forza Socrate!’ e ‘Dai Santippe!’ ”. Soleva ripetere di montare una moglie riottosa come i cavalieri cavalcano i cavalli focosi, e diceva: “Come i cavalieri, una volta domati questi, riescono poi facilmente a spuntarla con gli altri; così anch’io, abituato alla relazione con Santippe, saprò convivere con gli altri uomini”. Questi ed altri simili sono le parole ed i fatti che trovarono testimonianza da parte della Pizia, quando essa diede a Cherefonte il famoso responso:

‘Di tutti gli uomini Socrate è il più sapiente’. [D.L.II,38] Da quel momento in poi, Socrate diventò oggetto di somma invidia; anche perché confutò come dissennati coloro che avevano un gran concetto di se stessi: ad esempio Anito, come si legge nel ‘Menone’ di Platone. Infatti costui, incapace di sopportare la sbeffeggiatura da parte di Socrate, dappri-ma gli sollevò contro i poeti della cerchia di Aristofane, e poi persuase Meleto a presentare contro di lui una denuncia per empietà e per corruzione dei giovani. Meleto presentò dunque la denuncia; l’arringa davanti al tribunale fu pronunciata da Polieucto, come afferma Favorino nella sua ‘Storia varia’. Il di-scorso fu redatto dal retore Policrate, secondo quanto riferisce Ermippo; oppure, secondo altri, da Ani-to. A tutti gli altri preparativi provvide il demagogo Licone. [D.L.II,39] Antistene nelle sue ‘Successioni dei filosofi’ e Platone nella sua ‘Apologia’ affermano che gli accusatori di Socrate furono tre: Anito, Li-cone e Meleto. Anito dava voce all’ira degli artigiani e dei politici, Licone a quella dei retori e Meleto a quella dei poeti: tutta gente che Socrate aveva fatto a pezzi. Nel primo libro dei suoi ‘Memorabili’, Fa-vorino afferma che il discorso di Policrate contro Socrate è spurio, giacché in esso è citata la ricostru-zione delle mura della città ad opera di Conone, cosa che avvenne soltanto sei anni dopo la morte di Socrate. Ed in effetti la faccenda sta proprio così. [D.L.II,40] La dichiarazione giurata dell’accusa che, come riferisce Favorino nel suo ‘Metroo’ è ancor oggi disponibile, era di questo tenore: ‘Meleto, figlio di Meleto, del demo Pito, presenta e giura le seguenti accuse contro Socrate, figlio di Sofronisco, del demo Alopece: Socrate è colpevole di non legittimare gli dei che la città legittima, poiché introduce altre e nuove divinità; ed è anche colpevole di corrompere i giovani. La pena richiesta è la morte’. Quando Lisia redasse per lui la difesa, il nostro filosofo dopo averla letta, disse: “Il tuo discorso, Lisia, è bello ma non è acconcio a me”. Si trattava, cioè, di un discorso di carattere molto più forense che filosofico. [D.L.II,41] E poiché Lisia ribatté: “Ma come? Se il discorso è bello come fa a non esserti acconcio?”; Socrate gli spiegò: “Così come non mi sarebbero acconci i bei mantelli e i bei calzari”. Nella sua opera ‘La Corona’ Giusto di Tiberiade racconta che nel corso del processo Platone salì alla tribuna ed ebbe appena il tempo di dire: “Cittadini Ateniesi, io sono qui il più giovane di coloro che salgono alla tribu-na…” che i giudici gli gridarono: “Scendi giù! Scendi giù!”. Tolti i voti favorevoli all’assoluzione, Socra-te fu condannato a maggioranza semplice, con duecento ottantuno voti. E quando i giudici valutarono a quale pena o a quale multa egli dovesse essere condannato, Socrate si offrì di pagare una multa di venti-cinque dracme. Eubulide afferma però che egli convenne di pagarne cento. [D.L.II,42] Poiché i giudici si misero a rumoreggiare, a questo punto Socrate disse: “Ebbene, allora in considerazione dei servizi da me resi alla città, io dico che la giusta pena per me è quella di essere mantenuto nel Pritaneo a spese pubbliche”. Ma i giudici lo condannarono a morte, aggiungendo ai precedenti altri ottanta voti. Messo in prigione, non molti giorni dopo bevve la cicuta, dopo avere tenuto i nobilissimi discorsi che Platone riferisce nel suo ‘Fedone’. Secondo alcuni Socrate compose allora un peana, il cui inizio è:

‘Delio Apollo salve, e tu Artemide, inclita prole’. Dionisodoro afferma però che il peana non è suo. Compose anche una favola al modo di Esopo, inve-ro non tanto ben riuscita, il cui inizio è:

‘Una volta Esopo disse agli abitanti di Corinto di non far giudicare la virtù dalla sapienza dei giudici popolari’.

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[D.L.II,43] Dunque egli così si dipartì dal consorzio degli uomini. E gli Ateniesi ben presto se ne penti-rono, tanto da chiudere palestre e ginnasi, da esiliare gli altri accusatori e da condannare a morte Mele-to. Onorarono poi Socrate con una statua di bronzo lavorata da Lisippo, che posero nel Pompeio. Quando Anito fece ritorno ad Eraclea, sua patria, il giorno stesso i suoi abitanti lo bandirono. Gli Ate-niesi hanno avuto di che pentirsi non soltanto nel caso di Socrate ma anche di moltissimi altri. Infatti, secondo quanto riferisce Eraclide, multarono Omero di cinquanta dracme per manifesta pazzia; diceva-no che Tirteo delirava; ed onorarono con una statua di bronzo Astidamante a preferenza dei poeti della cerchia di Eschilo. [D.L.II,44] Nel suo ‘Palamede’, Euripide vitupera gli Ateniesi dicendo:

‘Voi uccideste, uccideste l’onnisapiente che nessuna sofferenza mai causò, l’usignolo delle Muse’.

E così è. Filocoro afferma però che Euripide morì prima di Socrate. Secondo quanto riferisce Apollo-doro nella sua ‘Cronologia’, Socrate nacque sotto l’arcontato di Apsefione nel quarto anno della LXXVII Olimpiade, il sesto giorno del mese Targelione, quando gli Ateniesi purificano la città e gli abi-tanti di Delo dicono che sia nata Artemide. Morì nel primo anno della XCV Olimpiade, all’età di settan-ta anni. Questo riferisce anche Demetrio Falereo. Taluni però affermano che egli morì all’età di sessanta anni. [D.L.II,45] Sia Socrate che Euripide furono entrambi uditori di Anassagora; ed Euripide nacque nel primo anno della LXXV Olimpiade, sotto l’arcontato di Calliade. È mia opinione che laddove, stando alle parole di Senofonte, Socrate fa alcune considerazioni sulla Prònoia, egli stia discutendo an-che di Fisica, seppure lo stesso Senofonte affermi però che Socrate parlasse soltanto di Etica. Anche Platone quando nella sua ‘Apologia’ menziona Anassagora ed alcuni altri filosofi della natura, parla in realtà a nome proprio di argomenti che Socrate nega di conoscere e che tuttavia egli gli attribuisce. Ari-stotele riferisce poi che un certo Mago venuto ad Atene dalla Siria predisse a Socrate, tra altre cose, che la sua morte sarebbe stata una morte violenta. [D.L.II,46] Ci sono anche dei nostri versi scritti per lui, che suonano così:

‘Bevi, o Socrate, ora che sei nella casa di Zeus: perché davvero eri sapiente e tale ti disse il dio: e il dio è sapienza. Tu dagli Ateniesi ricevesti semplicemente la cicuta,

ma furono essi a tracannarla attraverso la tua bocca’. Secondo quanto afferma Aristotele nel terzo libro della sua ‘Poetica’, erano suoi acerrimi critici un certo Antiloco di Lemno e l’indovino Antifonte, come Cilone ed Onata lo erano di Pitagora; Siagro lo era di Omero vivente e Senofane di Colofone lo era di Omero morto; Cercope di Esiodo vivente e il predetto Senofane di Esiodo morto; Anfimene di Coo lo era di Pindaro; Ferecide di Talete; Salaro di Priene lo era di Biante; Antimenida e Alceo lo erano di Pittaco; Sosibio di Anassagora e Timocreonte di Simoni-de. [D.L.II,47] Dei suoi successori i più in vista furono Platone, Senofonte e Antistene; e dei dieci ri-portati quali suoi seguaci, i più distinti furono quattro: Eschine, Fedone, Euclide e Aristippo. Bisogna che io parli per primo di Senofonte, poi di Antistene tra i Cinici, poi dei Socratici e ancora dopo di Pla-tone, poiché Platone dà inizio alle dieci scuole filosofiche e istituisce la prima Accademia. Questo è l’ordine di successione che io seguirò. Ci fu anche un altro Socrate, uno storico che scrisse una periegési di Argo. Un altro fu un Peripatetico, originario della Bitinia. Un altro fu un poeta epigrammatico. Infine un Socrate di Coo scrisse una epiclési degli dei.