Socrate Lo Stregone

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PICCOLA BIBLIOTHIKI 2

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SOCRATE

,LO

STREGONE

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Nicolas Grimaldi

Socrate, lo stregone

Traduzione di Alessandro Sfrecola

 Asterios EditoreTrieste

 Il primo guaritore di anime

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PROPRIETÀ LETTERARIA R ISERVATA

PRIMA EDIZIONE: OTTOBRE 2008ASTERIOS EDITORE

© Servizi Editoriali srlvia Donizetti, 3/a - 34133 Trieste

tel: 0403403342 - fax: [email protected]

www.asterios.it

Titolo originale:

Socrate, le sorcier © Presses Universitaires de France, 2004

ISBN: 978-88-86969-96-3

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Indice

Nota all’edizione italiana, 11Prefazione, 13

L’uomo dagli occhi di toro, 19L’anima dolente, 43I sortilegi della logica, 63

La scommessa, 101

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Nota all’edizione italiana

Nell’edizione francese di quest’opera l’Autore ha talvoltapreferito, per scelta stilistica o letteraria, riportare ver-sioni adattate o difformi degli originali dialoghi platoni-ci. Nella traduzione italiana, per quanto riguarda questecitazioni, si è invece preferito offrire al lettore un testo in

maggior misura aderente all’originale greco. Si è decisocosì di ricorrere a traduzioni che per attendibilità e pre-stigio si fossero ormai consolidate all’interno del panora-ma letterario italiano. Per il Corpus Platonicum sonostate quindi usate le seguenti opere: per i  Dialoghi:Platone: Opere, 2 voll., Laterza, Roma-Bari, 1974; per le

 Lettere: Platone,  Dialoghi politici. Lettere, vol. II, UTET,Torino 1988. Per Diogene Laerzio: Diogene Laerzio, Vite

dei filosofi, 2 voll., Laterza, Roma-Bari 1983. PerSenofonte: Senofonte, Le opere socratiche: Memorabili,Convito, Apologia di Socrate, Economico, CEDAM,Padova 1961. [Nelle note tutti i riferimenti, escluso quan-do indicato, si riferiscono a opere di Platone. N.d.T .]

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Prefazione

Sciamanesimo e stregoneria come origine delpensiero filosofico occidentale: se in effetti,soltanto per un po’, ci addentriamo nell’uni- verso argomentativo di Nicolas Grimaldi edammettiamo con lui che Socrate fu il “primo”grande stregone dell’Occidente, ci dobbiamoanche necessariamente abituare ad un’idea difilosofia completamente nuova, più tangente

alle religioni iraniche ed orfiche che ad unmodello speculativo basato sulla scienza.Quindi si profilerebbe innanzi al nostro sguar-do un mondo composto da guaritori, maghi,sciamani, alchimisti, anziché il consueto pul-lulare di geometri, fisici, scienziati, matemati-

ci, moralisti.Come spesso accade, quello che potrebbe

d’acchito sembrare un sovvertimento alla“moda” (è di questi giorni ad esempio una rac-colta di interviste di Martin Heidegger intito-lata significativamente  Heidegger, L’ultimo

sciamano) si caratterizza invece come una Stimmung più decisiva che ci invita ad unariflessione meno pregiudiziale sull’annosa edirrisolvibile interrogazione che s’erano posti,tra l’altro, Gilles Deleuze e Félix Guattari: Che

cos’è la filosofia?  E, soprattutto, sembra

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adombrare una prospettazione differente suldestino stesso della filosofia, prospettazioneche oggi ci pare di intravvedere ad esempionella cosiddetta pratica di “consulenza filosofi-ca” e, quindi, nell’entrata di fatto della filosofianell’ambito delle pratiche.

Dobbiamo però a questo punto far attenzio-

ne a non lasciarci irretire dall’allettante frain-tendimento che identificherebbe gli aspetti percosì dire “extrateoretici” del filosofare con il“carisma” del filosofo, cioè con la sua capacitàdi poter convincere e persuadere uno stuolo diadepti e discepoli: il ruolo della filosofia nella

Grecia classica era certamente di tipo sociale,nella misura in cui essa si fondava su un’origi-naria  philía e certamente assumeva un ruolopedagogico nell’ambito di taluni strati dellapopolazione, sia nell’esercizio dell’insegna-mento del Maestro, sia nella medesima esem-plarità del suo comportamento.

In questo senso gli studi di Michel Foucaultsulla “cura di sé” dei Greci e sulla costituzionedi una soggettività di tipo “estetico” sembranoesaustivi: rimane tuttavia — e questo è forsel’orizzonte entro il quale ci cattura Grimaldi —una lignée filosofica che percorre tutta la sto-

ria del nostro pensiero, con apici talora rile- vanti, così come con periodi di latenza edostracismo. Se pensiamo infatti al filo rossoche lega tra di loro l’epicureismo, la teurgia diProclo, lo stoicismo, per arrivare a GiordanoBruno, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola,

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Heidegger stesso, ci rendiamo conto di come ilpotere carismatico del Maestro, oppure l’a-spetto esoterico come cifra intrinseca dellafilosofia non siano sufficientemente esplicati- vi. S’affaccia sullo sfondo una sorta di ecce-denza, per nulla laterale ed ininfluente, macapace di assumere un ruolo di tipo fondativo:

insomma, il carattere costitutivo della filosofiainsisterebbe principalmente nel suo carattereterapeutico.

Grimaldi azzarda ancora di più: Socrate — ilprimo stregone — non soltanto “curava”, masoprattutto “guariva”. E ovviamente non gua-

riva tutto, cioè non era in grado di compiere“miracoli”, campo terapeutico più specificodella religione. Guariva soltanto una particola-re categoria di affezioni, come avviene oggicon le varie specializzazioni in medicina. Ciimbattiamo allora in una “schisi” fondamenta-le che finisce per essere quella caratterizzante

il pensiero greco e l’Occidente in genere, schi-si tuttavia paradossalmente interna all’idea diguarigione e quindi consentanea in origine allascienza, alla religione ed alla filosofia. Socratesi occupava di “anime” e guariva le “anime”,mentre il medico si occupava dei “corpi” e gua-

riva i “corpi”. Corpo ed anima divennero cosìentità “differenti” non per una ragione ontolo-gica e tantomeno teologica, ma per una ragio-ne di opportunità terapeutica.

Da questa schisi Grimaldi ne deduce un’al-tra, sulla quale non concordiamo del tutto,

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quantomeno sul piano euristico (poiché taletesi crea a nostro avviso meno effetti di sensoe risulta quindi teoreticamente meno produtti- va): da Socrate in poi la scienza si sarebbealleata con la tecnica e si sarebbe rivolta sol-tanto al materiale ed al corporeo; la filosofiainvece si sarebbe occupata prettamente di cose

spirituali e morali.Proprio sul piano della guarigione e del suo

campo applicativo, dunque, la pratica e la teo-ria rimangono ambiguamente separate edintrecciate l’una all’altra, tracciando così ulte-riori due possibilità di classificazione della

filosofia sulla base del suo potenziale terapeu-tico: ritroviamo le filosofie della speranza didiretta origine socratica da un lato; e le filoso-fie descrittive dell’esperienza dall’altro, deri- vanti dall’ultimo Platone e dalle cosiddettedottrine “non-scritte” fatte emergere dallaScuola di Tubinga.

Ma come guariva Socrate? Come pensava dialleviare le afflizioni dell’anima senza ricorre-re a mezzi tecnici materiali o a particolari pre-scrizioni di “dieta” (nel senso etimologico deltermine)?

Grimaldi pare ravvisare in un pensiero

socratico pur filtrato dalla dottrina di Platoneuna sorta di grande anticipazione della svoltalinguistica del Novecento e di quella che sareb- be stata la riflessione freudiano-lacaniana: ilcampo terapeutico di Socrate, lo spazio in cuiegli poteva effettivamente agire ed avere qual-

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che successo era quello della Parola. La paro-la — come osserva Derrida commetandoPlatone — è phármakon, cioè veleno e medici-na nello stesso tempo: essa è la causa delnostro “avvelenamento” e della nostra soffe-renza, ma è pure la fonte della nostra salvezza,il Verbo come creazione ma anche come con-

danna.Siamo in altri termini dinanzi ad un altro

grande sovvertimento: non esiste un vettorespecifico che passa dalla realtà alla logica perdelinearsi in tecnica dialettica, ma è propriodal lógos (nel doppio significato di ratio,

ragione, razionalità; e discorso, linguaggio,parola) che si parte per poi fondare attraversol’esercizio dialettico un’ontologia vera e pro-pria: insomma l’ontologia (almeno quellasocratico-platonica) non rappresenterebbeche un tassello di un processo molto piùampio il cui nucleo non sarebbero tanto la

“Verità” o le “Idee” quanto il benessere spiri-tuale e la guarigione ad esse correlate.

Le assonanze con la riflessione lacanianasull’etica e sul ruolo della religione sono a que-sto punto notevoli: Grimaldi stesso intravvedenella filosofia un análogon della psicanalisi

(cosa che Lacan ha d’altronde sempre recisa-mente rifiutato), poiché entrambe pratichedella guarigione articolate nel linguaggio edentrambe caratterizzate da un particolare rap-porto con il Reale. L’uomo soffre, per Lacan, acausa del significante che lo intacca, ma è

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sempre attraverso il significante che egli puòguarire, può uscire dalla condizione afflittivadell’impasse simbolica. Ciò viene tradotto dalSocrate di Grimaldi come un’impasse costitu-tiva del desiderio, da un lato fondato su unamancanza e quindi destinato all’eterno inap-pagamento, dall’altro aspirazione umana al

miglioramento e all’accrescimento della pro-pria essenza. In sostanza, scienza, religione efilosofia non sono che costruzioni di senso volte a lenire le nostre sofferenze: i discriminiche poniamo tra una disciplina e l’altra (o traun métarécit e l’altro, come direbbe Lyotard)possono essere riletti in vario modo. Grimaldipone l’accento sulla funzione terapeutica;Lacan, invece, chiama in gioco la sua nozionedi Reale, fondamentale sia nella scienza chenella filosofia e nella psicanalisi. E allora, radi-calizzando ulteriormente tale tesi, potremmoaffermare che anche il concetto in se stesso, ad

esempio il Begriff hegeliano nella sua valenza“ritornellizzante” (cioè di ripetizione, addome-sticamento, rassicurazione, similmente allanenia che tranquillizza il bambino), è tale in virtù della sua capacità terapeutica, cioè di riu-scire ad incavare all’interno del non-senso e

del Reale osceno e traumatico spazi di fami-gliarità e di dipendenza (fede).

Emiliano Bazzanella

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L’uomo dagli occhi di toro

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“Quando il servo gli ebbe portato la tazza di velenoche aveva finito di preparare,

Socrate, così, come soleva, guardò l’uomodi sotto in su con quei suoi occhi da toro,

- Che dici, disse, se ne può libare a qualche Iddio, ono?”

 Fedone, 117b.

Socrate era uno stregone. Lo stesso Platone ce

ne dà testimonianza. “Mi affascini, mi dài beveraggi, m’incanti,” gli dice Menone dopoaverlo ascoltato. “Sono veramente intorpidito

nell’anima e nella bocca, e non so più cosarisponderti.”1 Era questa magia a creare ilfascino di Socrate. Socrate ammaliava. Si veni-

 va così sconvolti dalle sue parole come capitadi esserlo dalla musica. Si rimaneva posseduti,come fosse sopravvenuta una trance dionisia-ca. Anche Alcibiade confessava di non poterloascoltare senza venirne soggiogato2. Accusarlodunque di stregoneria: che fosse lui a ricono-scere apertamente il suo potere, proprio comefaceva chi lo ammirava. D’altro canto, additan-dolo nelle Nuvole come il più celebre dei sofi-sti, Aristofane non ci presenta un Socrate

1. Menone, 80a.2. Simposio, 215c-216a.

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capace di persuadere non importa chi a nonimporta cosa?

E così, vantandosi di poter far perdere achiunque il senso della realtà, di mostrargli ilfalso più evidente del vero e il reale più incon-sistente persino dell’irreale, la sofistica nonera che una stregoneria3. Anche quei discepo-

li che vedevano in Socrate il più caustico fusti-gatore dei sofisti, nondimeno lo considerava-no – pure loro – una specie di stregone, dimago o sciamano. Quando a Socrate nonrimane che qualche ora di vita, se non propriopochi istanti, Fedone si sente più afflitto dallaperdita dell’incantatore che dalla scomparsadell’amico: “Ma dove l’andremo a trovare un buon incantatore di paure come questa, se tuci abbandoni?”4.

È pertanto a questo sciamano, a questo stre-gone, che dobbiamo incessantemente far rife-rimento come all’esempio stesso di quello che

deve essere un filosofo. Non solo consideriamoSocrate la perfetta incarnazione del modelloumano di filosofo, ma al suo modo di pensaree di argomentare riconduciamo altresì l’origi-ne della filosofia. Quanto va capito è che ilprimo dei logici, l’inventore della dialettica,

abbia praticato la filosofia come una stregone-ria. Quale connivenza furtiva ha però potutostringersi fin dal principio tra razionale e irra-zionale, tra ordine della verità e ordine della

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3. Sofista, 235a, 241b.4. Fedone, 78a.

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credenza, e, ancora, tra concatenamento logi-co e sortilegio terapeutico?

Perché ciò che in primo luogo fa di Socrateuno stregone è l’essere un guaritore. Quasitutti i mali che affliggono il corpo, spiegaSocrate a Carmide, hanno origine nell’anima5;ma “l’anima si cura con certi carmi magici che

sono poi i discorsi belli”6

. Così, come le levatri-ci, che ricorrono alle droghe per lenire i doloridelle partorienti, Socrate pretende di liberarele anime dagli affanni con la sola magia dellesue parole7. Per possedere quest’efficacia tera-peutica era indispensabile che le sue paroleavessero un effetto anestetizzante, analgesico,oppiaceo. Fedone se ne meraviglia, e con gra-titudine: “Come bene seppe guarirci!”8

In diverse ricerche Mircea Eliade ha definito

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5. Carmide, 156e-157a.6. In parecchie circostanze, Platone impiega sempre lostesso termine per indicare la parola guaritrice, il discor-

so terapeutico che attribuisce a Socrate: η επωδη. Che losi traduca con “incantesimo”, “fascino”, “incanto”, “sorti-legio” o “malia”, si tratta nondimeno di parole magicheche ogni stregone utilizza come fossero un filtro. Cfr. peresempio Carmide, 155e, 156b, 157a, 157b, 157d, 158b,176b; Menone, 80a; Gorgia, 484a; Fedone, 77e, 78a,114d ;  Simposio, 203a; Teeteto, 157c. Nella  Repubblica(X, 608a) il termine è impiegato per descrivere la sedu-

zione poetica. Per indicare lo stesso effetto, Baudelaireparla di “stregoneria evocatrice”. Evidenzieremo le volteche il termine ricorre soltanto per mostrare il carattereossessivo della malia socratica nei primi dialoghi diPlatone.7. Teeteto, 149c-d.8. Fedone, 89a.

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con precisione i caratteri dello sciamano. Fraquesti, non ce n’è di fatto uno che in qualchemodo non si adatti a Socrate. Se andiamo ascorrerli, vediamo che il primo è essere unguaritore9. Il secondo è riconsegnare ognuno ase stesso ristabilendo il senso della sua identi-tà. È ciò che fa Socrate tanto con Alcibiade

quanto con coloro di cui ricorda i tormenti nelTeeteto. Il terzo è essere dimorato da spiriti oprescelto dalla divinità10. E, in effetti, dei numiapparivano in sogno a Socrate per annunciar-gli l’avvenire11 o per incitarlo alla composizionepoetica12. Sentendosi investito dagli dei13 di

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9. M. Eliade,  Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi,Edizioni Mediterranee, Roma 1974, p. 206.10. Ibid ., pp. 89, 106 e 110.11. Critone, 44a-b.12. Fedone, 60e-61b.13. Apologia di Socrate, 29d : “Obbedirò piuttosto al dio che avoi; e finché io abbia respiro, e finché io ne sia capace, noncesserò mai di filosofare e di esortarvi e di ammonirvi, chiun-

que io incontri di voi.” Cfr. anche 30a; 30e: “Non sarà faciletroviate un altro al pari di me il quale – non vi sembri risibileil paragone – realmente sia stato posto dal dio ai fianchi dellacittà come ai fianchi di un cavallo grande e di buona razza, ma

 per la sua stessa grandezza un poco tardo e bisognoso di esse-re stimolato, un tafano.” 31a-b: “E che sia proprio io personasiffatta che il dio abbia scelta per dare in dono alla città, potre-te riconoscerlo anche da questo: che non pare umano io abbia

trascurato tutti gli affari miei e […] le cose di casa mia, e sem- pre invece io badi alle vostre.” 33c: “Hanno piacere di starmia sentire quando metto alla prova quei tali che credono di esse-re sapienti e non sono. […] E a me di far questo, ve lo ripeto,fu ordinato dal dio, con vaticinii e con sogni, e insomma conaltro qualunque di quei modi onde la provvidenza divina ordi-na talora all’uomo di fare alcunché”.

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una missione di giustizia, Socrate interroga,interpella e sonda l’autorità di cui si fregiano inotabili ateniesi. Allo stesso tempo, è sempreuno spirito divino, un demone, una vocesovrannaturale14 a trattenerlo al momento dipotersi sottrarre al destino assegnatogli daglidei. Restare in cella e qui attendere la morte,

anziché evadere, non è solo ciò cui lo obbliga-no le Leggi in una celebre prosopopea, ma èquello che il dio stesso gli impone15. Vi è infineun quarto carattere da cui si riconosce il pote-re soprannaturale di uno sciamano: la capaci-tà di elevarsi dall’esistenza corporale, di aver

persino sperimentato l’estasi, di aver appreso“per propria esperienza mistica gli itineraridelle regioni extraterrestri”16. Non ci potrebbe-ro essere argomenti più ricorrenti nei discorsisocratici. Prepararsi con ogni sorta d’esercizioascetico a sciogliere i legami che tengono l’ani-

ma unita al corpo per giungere gradatamentesino all’insostenibile visione dell’infinito: nonè questo l’insegnamento fondamentale del Fedone17 e della  Repubblica18? La metafora

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14. Apologia di Socrate, 31c-d . Anche Bergson riconoscenell’impresa socratica una “ragione di ordine religioso emistico” ( Le due fonti della morale e della religione,

Laterza, Roma-Bari 1995, p. 43).15. Queste sono del resto le ultime parole del Critone(54d ): “E allora lascia, o Critone; e andiamo per questa

 via; ché questa è la via per cui ci conduce Iddio.”16. M. Eliade, op. cit ., p. 206.17. Fedone, 64c-68b, 82e-84b.18. Repubblica, VI, 509b-c; VII, 517b-c.

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ascensionale, l’opposizione delle apparenze in basso alle realtà in alto non sarebbero statederise da Aristofane nelle Nuvole se non fosse-ro state note al pubblico e così frequenti neidiscorsi di Socrate19.

Nonostante si debba quindi riconoscere lacondizione sciamanica di Socrate e la sua fun-

zione di mago o stregone, è lui stesso ad averimposto alla coscienza occidentale l’immaginedi cos’è un filosofo. Ancora oggi si potrebbe direche un filosofo è tale per quanto ha in comunecon Socrate. Guardiamo dunque quei tratti cosìdistintivi che fanno di Socrate sia il primo deifilosofi, sia il modello di quanti sono venutidopo di lui. Il primo è che un filosofo insegnatanto attraverso la vita quanto attraverso la dot-trina; il secondo è che, facendocela comprende-re, la verità è sufficiente a cambiare la nostra vita; il terzo è che questa verità appare stretta-mente riflessiva, con un carattere quindi pura-

mente logico e mai empirico. Proprio su questacondizione della verità si impegna e si giocatutta l’impresa socratica. Al contrario dei fisici,la verità stante a cuore al filosofo non consistein alcun genere di conformità al reale, ma uni-camente in un accordo del pensiero con se stes-

so. È così persino potuto sembrare che essaquasi si riassumesse nel sapere ciò che si dice:“Ma proprio questo risulta da quanto è statodetto!”20 risponde spesso Socrate al suo interlo-

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19. Cfr. ibid ., VII, 517a, 517d , 521c, 529a-b, 533d .20. Ippia minore, 375d , 376b.

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cutore. Ne consegue che per la verità non puòesservi un criterio esteriore. S’impone da sé,come una cosa che non si può evitare di pensa-re non appena si pensa. Di fronte a quanto siscopre non c’è quindi né testimonianza, néautorità, né maggioranza che valga. Ma poichési può giungere alla verità unicamente con un’e-

sperienza del pensiero, solo chi ha provato que-st’ultima potrà riconoscerla. Si può così inse-gnare la filosofia soltanto a chi già la conosce. Ilparadosso del filosofo sta nel fatto che egli nonpuò sottrarsi al destino di essere un maestrosenza discepoli21. In realtà, il meglio che possa

fare è non lasciar loro tregua, finché non abbia-no scoperto in se stessi quell’irrecusabile affini-tà o incompatibilità tra le idee che è la dialetticadella verità.

Quest’inerenza della verità al pensiero è lastessa riflessione. Questa riflessione, o manife-stazione del pensiero a se medesimo, è chia-

mata da Platone lógos22 e da noi tradotta con“ragione”. Dal momento che Socrate potevaopporre la verità dell’anima all’appropriazionedel mondo, si comprende perché, a differenzadi ogni scienza e tecnica, la filosofia può esse-re definita come un chiarimento della sogget-

tività. Poiché l’anima ha la sua verità nel desi-derio, e poiché il desiderio ha la sua verità in“ciò che non lascerebbe più nulla da desidera-

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21. Apologia di Socrate, 33a: “Io non sono stato maestromai di nessuno.”22. Cfr. per esempio Critone, 46b.

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re”, già s’intuisce come l’anima abbia la sua verità oltre ogni temporalità, di là da questomondo, in un’aspirazione e una destinazionemetafisica. Cosa mi aspetto da me e dall’esi-stenza? Cosa desidero? A cosa aspira la mia volontà? Mentre un’indagine sui mezzi nonpuò essere che tecnica e scientifica, la riflessio-

ne sui fini non può essere che morale. Poiché aSocrate importava solo “ciò che è umano”, giàSenofonte23 aveva osservato che le scienze nonerano in grado di fornire alcuna risposta agliinterrogativi che egli si poneva. AncheDiogene Laerzio24 riferisce che Socrate smise

rapidamente di interessarsi alla fisica peroccuparsi unicamente di questioni morali.Nonostante il mondo sia il grande robivecchidei mezzi di cui si può disporre e degli ostaco-li che si possono incontrare, alcuni oggetti nonsi trasformano mai in ostacoli o mezzi se nonin rapporto a fini che dipendono dal desiderio

o dalla volontà, e che l’anima ha innanzituttodovuto assegnarsi.

È quindi esatto riconoscere che, con la defi-nizione – e di conseguenza la limitazione –delle competenze della filosofia, Socrate stabi-lisce anche il suo metodo e i suoi obiettivi.

L’unico oggetto della sua riflessione è l’animaumana, il suo desiderio e la conoscenza di ciòa cui essa aspira. In effetti, il primo paradossodell’anima umana è che essa si conosce come

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23. Senofonte, Memorabili, I, 1, 16; IV, 7, 8.24. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, II, 21.

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desiderio, ma senza sapere ciò che desidera:poiché l’anima è essa stessa, in una volta, enig-ma e tormento. Ciò che la chiama, la attira, ladirige, la governa e la muove sono i valori. La

 virtù consiste nella capacità di ognuno di rea-lizzare in sé questo o quel valore. Giustizia,amore, pietà, coraggio…, i dialoghi socratici

presentano altrettanti motivi quante sono lediverse virtù. Ciò che indica la misura di ogni valore è però il bene che se ne irradia e se nericeve. Principe di tutti i valori, il bene è quin-di il valore assoluto. Tra scienze e filosofia, è ladifferenza dell’oggetto a originare la differenza

del metodo e del fine. Né la condizione dellaconoscenza, né quella della verità hanno nullain comune: le scienze cercano di conoscere ifenomeni della natura, e li considerano chiari-ti quando giungono a saperli riprodurre e con-trollare. Per le scienze, conoscere significaquindi saper gestire. Esse sono per costituzio-

ne apparentate alla tecnica. Come ogni tecni-ca, non affrontano che cose reali e osservabilinei fatti, manipolabili e misurabili di diritto. Illoro fine è l’utilità: conoscere per controllare.La scienza costituisce il governo e l’ammini-strazione teorica del mondo. Al contrario, la

filosofia tende a spiegare quei valori mai rea-lizzati e di conseguenza mai osservabili, aiquali nondimeno ogni anima aspira come pro-pria verità. È alla stessa anima che la filosofiadeve così domandare ragione. L’anima nonpuò replicare che in modo riflessivo, interro-

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7/25/2019 Socrate Lo Stregone

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gandosi su se stessa per comprendere il sensodelle proprie aspettative e, pertanto, il fine alquale anela. La famosa formula delfica “cono-sci te stesso” va dunque intesa come un moni-to a non aspettarsi dalla fisica nulla di propria-mente metafisico: “L’esteriore non t’insegneràniente su quanto vi è di più interiore in te.

Smetti pertanto di cercare nel mondo una veri-tà che sta dentro a te.” Se, come potremmodire, la verità della fame è il pane, la verità deldesiderio è il suo fine. La filosofia cerca di sco-prire o di caratterizzare questa verità. Lascienza trova il suo oggetto nella natura; anche

quando lo fabbrica, questo è sempre imma-nente al mondo. Ancorché pure l’uomo si trovinel mondo, come coscienza se ne sente sempreseparato, e come anima sempre estraneo. Non vi si riconosce. All’interno di tale trascendenzanon vi sono esperienze più innate dell’attesa edel desiderio. Propria dell’attesa e del deside-

rio è un’aspirazione a qualcosa di mancanteche li ossessiona e li attrae. La filosofia sidistingue perciò da tutte le scienze quanto unsoggetto si distingue da un oggetto, quanto l’e-sperienza dell’assenza si distingue da quella diogni presenza, quanto la pura riflessività si

distingue dall’ingegnosità di ogni realizzazioneo costruzione, quanto ciò che si desidera non sidistingue da quanto si osserva. Vi fu così unmomento in cui Socrate disse che la geometriaandava studiata sino al punto di saper misura-re la propria terra25.

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