L'Apprendista Stregone: viaggio nei misteri alchemici di un comunicatore d'impresa

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Dalla prefazione del Prof. Mario Morcellini al volume: "...Pochi hanno ritenuto opportuno parlare della professione del comunicatore, di cosa implichi al livello pratico, di quale sia il suo ruolo strategico all’interno di ogni tipo di organizzazione moderna che abbia come obiettivo principale quello di riuscire a ritagliarsi uno spazio nell’universo simbolico che la circonda. Finalmente un libro che parla di questo. In modo ironico, divertente, anche un po’ beffardo..."."Questo libro dà uno spaccato del ruolo pratico di un comunicatore d’impresa all’interno della suaorganizzazione. Cosa fa un comunicatore d’impresa? Quali sono isoggetti conci entra in contatto? Quali le tecniche che usa per svolgere il suo lavoro, per raggiungere i suoi obiettivi? Quali gli strumenti? Quali le strategie?Questo libro spiega tutto questo: la comunicazione vissuta, la comunicazione praticata, la comunicazione applicata. Lasciando da parte per una volta la teoria edando la giusta importanza alla pratica, troppo spesso ingiustamente declassata e considerata poco aulica ed intellettuale.Questo libro racconta tutto questo: con ironia e umorismo, che sono in fondo il sale della vita".Pensieri di Alessandro Bagagli: "forse un po' datato (ultimo aggiornamento 2003) ma ancora apprezzabile e ricco di spunti per chi si accinga alla professione del comunicatore di impresa. Tutti i diritti riservati - Alessandro Bagagli - SIAE Olaf 2003".

Transcript of L'Apprendista Stregone: viaggio nei misteri alchemici di un comunicatore d'impresa

  • Alessandro Bagagli

    LAPPRENDISTASTREGONE

    Viaggio nei misteri alchemici di uncomunicatore dimpresa

  • A Gianni e Giusi, cari amici di sempre e veri mecenati di un nuovo, dina-mico Rinascimento, quello del terzo Millennio

  • Prefazione

    Ormai da molti anni la comunicazione gioca un ruolostrategico sul bancone dell'offerta formativa italiana:sempre di pi, infatti, sono coloro che si avvicinano aquesto mondo, nuovo ma nello stesso tempo vecchiocome l'uomo. Possiamo lasciarci alle spalle il concettodella scienza che fa moda: la comunicazione si ormaiaffermata come campo di studi autonomo, con uni-dentit accademica assolutamente definita e precisa.

    Perch, allora, il ruolo del comunicatore nonrisulta ancora seriamente legittimato, riconosciutocome ruolo professionale a tutti gli effetti, caricato di tuttalimportanza che ricopre in una societ come la nostra?Come mai quando si parla di questa professione sipensa sempre a qualcosa di aleatorio, estremamentecongetturale e teorico?

    V

  • Forse perch pochi hanno ritenuto opportuno parla-re della professione del comunicatore, di cosa implichi allivello pratico, di quale sia il suo ruolo strategico allin-terno di ogni tipo di organizzazione moderna che abbiacome obiettivo principale quello di riuscire a ritagliarsiuno spazio nelluniverso simbolico che la circonda.

    Finalmente un libro che parla di questo. In modoironico, divertente, anche un po beffardo.

    Ma questo anche uno dei tanti pregi dei comuni-catori: il non prendersi sul serio, o meglio, farlo crede-re agli altri. Chiunque pratichi questa professionesa che corre il rischio di non essere capito, di nonessere ritenuto un professionista a tutti gli effetti dallo-ceanica folla che si ritiene tale. A base di questo c lamancanza di alfabetizzazione comunicativa che carat-terizza la nostra societ. La societ dellinformazione edella comunicazione, certo, ma piena di analfabeti. Unasociet intelligibile solo a pochi eletti, ai pochiapprendisti stregoni che hanno deciso di imparareuna nuova lingua, o meglio un nuovo codice, per poterguardare oltre levidente e il reale.

    Negli ultimi venti anni la comunicazione dimpresaha acquistato unimportanza notevole nel campo deglistudi sulla comunicazione. A partire dagli anni 80,infatti, questa disciplina ha cominciato a conquistare

    VI

  • spazi che in precedenza le erano stati negati, causa lasua considerazione di puro mezzo di persuasione neiconfronti di un pubblico inerme, indifeso nei confron-ti degli espedienti utilizzati dalle imprese per indurloallacquisto.

    Una lunga sequela di novit e trasformazioni allivello sociale, che potremmo definire epocali, hannoindotto un netto mutamento di tendenza: laumentodella produzione, la maggiore disponibilit di canali dicomunicazione (proprio in quegli anni prender avvio lariforma del sistema radiotelevisivo), la maggiore visibili-t offerta dalle imprese dalla pubblicit, porteranno benpresto ad un cambiamento netto negli stili di vita, nelleabitudini, nellorganizzazione cognitiva degli italiani.

    Il pubblico, sottoposto ad unondata di comunica-zione senza precedenti, comincia da questo momentoad acquistare una capacit critica di selezione nei con-fronti dei messaggi che da ogni parte gli vengono invia-ti. Il grande numero di fonti e di informazioni disponi-bili e circolanti in modo autonomo determina un pro-cesso di scelta molto pi lungo, impegnativo, ragiona-to. Non pi il pubblico passivo di qualche annoprima. Ora partecipa attivamente ad ogni processocomunicativo, decidendo se acquistare o no e soprat-tutto cosa acquistare e da chi.

    Improvvisamente le imprese si ritrovano a dover farfronte a nuove richieste, a nuove esigenze, a nuovi desi-deri: il passaggio da una societ di massa, dai grandi

    VII

  • numeri, dai bisogni standardizzati e comuni ad unasociet frastagliata in una moltitudine di gruppi convalori diversi e fluidi pone le aziende di fronte allanecessit di creare nuovi prodotti, inventare marchedifferenziate, convivere con laccelerato, mutamentodei gusti. Questo cambiamento si tramuta in unostraordinario potenziamento dei flussi di comunicazio-ne e in una vertiginosa crescita delle aziende comefonte cognitiva.

    Lorientamento alla produzione e la staticit cui siera abituati hanno fatto il loro tempo. La flessibilit checomincia a prendere corpo nella societ impone ilsuperamento del vecchio ruolo di produttore di benimateriali e linvenzione di un nuovo ruolo.

    Il prodotto diventa qualcosa di pi di un semplicemezzo di soddisfazione dei bisogni. Nella societ del-limmagine degli anni 80, il prodotto diventa simbo-lo, unicona, un oggetto che rimanda a qualcosa dal-tro: diventa veicolo di valori, di credenze, di apparte-nenza. E le imprese diventano qualcosa di pi di sem-plici macchine da produzione: diventano produttori diconoscenza.

    Nelle realt aziendali prende corpo limportanza delsettore comunicazione, un settore che cerca di trasmet-tere allesterno unimmagine coordinata dei valori edella mission aziendale.

    Perch in questo modo che le aziende possonoriuscire a fare la differenza: costruendo di se stesse

    VIII

  • unimmagine forte, unimmagine che permetta al pub-blico di immedesimarsi e di calarsi in un mondo che gliappartiene, un mondo che condivide con lazienda, coni suoi prodotti, con i suoi principi.

    Il marketing, lorganizzazione aziendale, la comuni-cazione esterna: tutte discipline che cominciano a fareadepti, a coinvolgere forze nuove. Fondamentalediventa il ruolo dei comunicatori dimpresa, quali pro-fessionisti impegnati a trasformare dei sempliciimpianti di produzione di beni in storie, mondi, valori,persone.

    Gli anni 90, con Internet, la globalizzazione, inuovi temi di interesse pubblico, consolidano il ruolodella comunicazione nelle imprese, come nella societ.

    Il mercato si allarga a dismisura, diventando globa-le. Internet ci connette con il mondo. chiaro che oracome mai la lotta delle aziende per la conquista di unospazio cognitivo diventa pressante: i confini sconfina-no, i pubblici si differenziano ancora di pi e la con-correnza diventa la legge assoluta di sopravvivenza.

    Non basta pi avere unimmagine, unidentit. Oradiventa importante instaurare un rapporto con il con-sumatore. Un rapporto ad personam, che dia lillusionead ogni consumatore di essere lunico. Nascono il mar-keting one-to-one, il direct marketing, si concentra lattenzio-

    IX

  • ne sulla customer satisfaction, perch un consumatore sod-disfatto un consumatore conquistato, a volte persempre.

    La comunicazione dimpresa, dunque, aumenta ilsuo raggio dazione e, in conseguenza, il suo ruolo stra-tegico nellimpresa. Non pi solo creazione dimmagi-ne; non pi solo strategia di vendita e di mercato.

    La comunicazione dimpresa si appropria delcampo che le pi congeniale: la creazione di rapporti.Con il consumatore, certo, ma anche con lambienteche la circonda.

    I temi di interesse pubblico tornati alla ribalta neglianni 90 (linquinamento, la protezione e la salvaguar-dia dellambiente, le sperimentazioni sugli animali, losviluppo sostenibile, ecc.), hanno indotto le imprese adassumersi delle responsabilit nei confronti dellasociet. Nasce il social marketing, limpegno sociale delleaziende a contribuire al miglioramento della societ incui viviamo per il raggiungimento della soddisfazionedellinteresse generale.

    La comunicazione dimpresa si impegna, quindi, adintrattenere rapporti con le istituzioni governative, conle associazioni onlus, con lassociazionismo civico.Ancora pi che in passato diventa uno strumento stra-tegico per la pianificazione, la conduzione e il raggiun-gimento degli obiettivi aziendali.

    Si parla di comunicazione integrata. Oggi limpre-sa stessa comunicazione. Qualsiasi cosa fa, dice o

    X

  • pensa, qualsiasi azione intraprende, lancia un messag-gio. Per gestire questa mole enorme di informazioni,questo reticolo di output verso i consumatori, verso ilmercato, verso la societ e verso il proprio personaleinterno (per non dimenticare la tanto predicata comu-nicazione interna) c bisogno di professionisti prepa-rati e coscienti, completamente, del proprio ruolo edella responsabilit che hanno di fronte ogni loro sin-golo destinatario.

    I professionisti della comunicazione dimpresa, permolto tempo non capiti, sottovalutati. Oggi definitiva-mente accettati come soggetti strategici dellazioneaziendale. Il loro compito, il loro mondo comunica-re. Ma la comunicazione non retorica, non persua-sione. La comunicazione larte di dare valore, visibili-t, vita ad un insieme di oggetti e segni che senza que-sta linfa resterebbero fini a se stessi, racchiusi nel limbodel visibile. La comunicazione la chiave di accesso alnon visibile, al mondo altro che c ma che rimane bennascosto. Pochi coloro che possono accedervi.Apprendisti stregoni. Quale definizione migliore?

    Questo libro, o volumetto, come lo definisce conmodestia il suo autore, d uno spaccato del ruolo pra-tico di un comunicatore dimpresa allinterno della suaorganizzazione. Rispettando gli intenti, ovvero non

    XI

  • avere velleit didattiche finalizzate alla spiegazione eal supporto di alcuna delle molte teorie riguardantiquesta materia meravigliosa ma spiegare il miomestiere alla grande schiera di amici, conoscenti cherimangono inebetiti quando, che professione svolga,rispondo sorridendo: il comunicatore dimpresa, que-sto volumetto aggiunge una nota di realt e di esperienzavissuta (con aneddoti personali molto sentiti e vicinialla nostra vita) alla mole di letteratura sul tema dellacomunicazione, rendendo giustizia allesistenza con-creta di una professione troppo professata mapoco raccontata per quello che .

    Una testimonianza degna di una osservazione parteci-pante, quella tecnica di ricerca euristica utilizzata nellescienze sociali che ci racconta loggetto di studio dal-linterno, nel suo vissuto quotidiano, nelle sue abitudini.

    Cosa fa un comunicatore dimpresa? Quali sono isoggetti conci entra in contatto? Quali le tecniche cheusa per svolgere il suo lavoro, per raggiungere i suoiobiettivi? Quali gli strumenti? Quali le strategie?

    Come un artigiano che lavora materialmente unoggetto trasformandolo in qualcosa daltro, cos ilcomunicatore dimpresa plasma il suo oggetto, limpre-sa fisica, trasformandolo in valori, idee, oggetti, simbo-li. E nello stesso tempo deve rendere visibili, tangibiliquesti concetti astratti con qualcosa di materiale, diimmediato.

    Alchimia? Qualcuno potrebbe rispondere di s.

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  • Questa arte antica cercava di rendere visibile linvisibi-le e astratto il tangibile. Ma non questo il caso.

    Lautore ci racconta come questa magia sia in realtsolo la professionalit di chi, ogni giorno, mette in pra-tica le sue conoscenze per svolgere il suo lavoro.Attraverso delle testimonianze concrete, riportate condovizia di particolari e un umorismo che rende la lettu-ra piacevole e divertente, ci racconta la pratica dellateoria che in molti hanno gi raccontato.

    Ecco, allora, i rapporti con gli altri settori aziendali,dal marketing allorganizzazione del personale, del set-tore amministrativo a quello dirigenziale; ecco la rela-zione speciale con lagenzia di pubblicit, una specie dimatrimonio sempre minacciato dallombra della sepa-razione; ecco le strategie messe in campo, le risorse uti-lizzate, i servizi da offrire, i piani da implementare.

    Perch fare il comunicatore dimpresa non vuol direscaldare la poltrona come molti pensano. Vuol diresvolgere un lavoro che in pochi sono in grado di capi-re. Un lavoro che richiede impegno e che necessita laconoscenza approfondita di ogni singola parte dellim-presa. Perch la comunicazione ha un ruolo trasversaleallinterno di essa, un ruolo che funziona da raccordoe da collante per la creazione di unidentit aziendaleforte e vincente. Comunicazione esterna, quindi, einterna.

    Una comunicazione che funziona meglio dove rico-pre ruoli dirigenziali, dove pensata e creduta come

    XIII

  • elemento strategico e di valore.Questo libro spiega tutto questo: la comunicazione

    vissuta, la comunicazione praticata, la comunicazioneapplicata. Lasciando da parte per una volta la teoria edando la giusta importanza alla pratica, troppo spessoingiustamente declassata e considerata poco aulica edintellettuale.

    Questo libro racconta tutto questo: con ironia eumorismo, che sono in fondo il sale della vita

    Mario MorcelliniDirettore del dipartimento di Sociologia allUniversit di Roma La Sapienza

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  • Nota dellAutore

    Questo volume non ha velleit didattiche finalizza-te alla spiegazione e al supporto di alcuna delle molteteorie riguardanti questa materia meravigliosa - ormaielevata ai ranghi di una vera e propria scienza - chiama-ta comunicazione. Scienza che ormai sempre di pi affol-la - rispetto alle sue problematiche, ai suoi attualimezzi a disposizione ma soprattutto ai suoi possibilisviluppi futuri - pubblicazioni non pi soltanto di set-tore ma anche molta stampa periodica.

    Una scienza, allora; anche se, personalmente, nellamia seppur breve professione di comunicatore non misono mai sentito uno scienziato.

    Un apprendista stregone, piuttosto. Una sorta diMickey Mouse che nel disneyano, geniale Fantasia non

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  • resiste alla tentazione di cimentarsi nella scienza alche-mica dello stregone, di cui assistente... Con il risulta-to, disastroso ma estremaemente divertente, di riuscirea far ballare ramazze e secchi dacqua al ritmo diTchaikovsky.

    Un apprendista stregone, come Mickey Mouse,destinato a rimanere tale nel tentativo di imparare unascienza per la quale forse non basta una vita di lavoro,soddisfazioni e perch no?, anche molte delusioni.

    Il comunicatore da sempre considerato il deposi-tario del segreto della persuasione; il misterioso artefi-ce che fa della pubblicit la serva padrona tanto acu-tamente descritta da Falabrino.

    evidente che n io n nessun altro operi nel set-tore della comunicazione con la giusta dose di sana fol-lia, si senta il depositario di alcun mistero esoterico datenere nascosto dietro i dogmi di una scienza per pochieletti, a loro volta sorta di setta satanica dedita al cultodella persuasione occulta; una scienza mai tanto vitu-perata e tanto innalzata alle pi alte vette del sapereumano, incensandola di meriti che ovviamente non hae non pu avere.

    Un obiettivo, questo volumetto, per ce lo ha e velo svelo.

    Vorrei poter finalmente uscire dallimbarazzo dispiegare - riuscendoci raramente - il mio mestiere allagrande schiera di amici, conoscenti che rimangono ine-betiti quando, chiedendomi che professione svolga,

    16

  • rispondo sorridendo: il comunicatore dimpresa!.S, perch il mestiere del comunicatore dimpresa

    tanto affascinante quanto difficile da spiegare a perso-ne normali e non affette da pur sana follia; personeche, bene che vada, alla fine delle tue chiacchiere tirispondono: Ho capito... In buona sostanza scaldi lasedia della tua scrivania, non vero?.

    il tentativo, questo, di dare una risposta divulgati-va, lasciando eventuali approfondimenti alla personalecuriosit e ad una discreta nota bibliografica.

    Da circa dieci anni opero nel campo della comuni-cazione dimpresa. In buona sostanza mi occupo disviluppare strategie di comunicazione, supportate damarketing plan aziendali, preoccupandomi di far s cheunidea, un prodotto vengano comunicati nel migliormodo possibile, con i criteri ed i codici pi efficienti econ lefficacia che unazienda di beni o servizi si aspet-ta da un professionista della comunicazione. Il migliorrisultato al minor costo possibile.

    Sembra facile ed evidentemente non lo . Per farequesto esistono metodi sempre nuovi che possono aiu-tare ma non certo risolvere le criticit che unattivitprofessionale del genere comporta.

    Soprattutto, esiste un rapporto con le agenzie dicomunicazione integrata che si occupano di trasforma-re unazienda, un prodotto o un servizio in un marchio,in quello che i marketing manager chiamano brandequity. E poi in ritorni sugli investimenti.

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  • Questo rapporto tra azienda ed agenzia ha moltostimolato alcune mie riflessioni.

    Lo scopo del volumetto stato quello di scriverequalcosa sullorganizzazione di un ufficio di comunica-zione nellesperienza concreta di unazienda. Partirecio dalla sua struttura, dai ruoli funzionali per arriva-re alla descrizione dei rapporti con le altre funzioniinterne e con le agenzie.

    Lo stimolo nato dalle mie riflessioni era s molto sfi-dante ma, temevo, anche un po troppo ambizioso.

    Parlando per con alcuni studenti delle facolt diScienze della Comunicazione dellUniversit LaSapienza e LUMSA di Roma ho compreso quanto sen-tita sia lesigenza di questi giovani di conoscere quellocui concretamente andranno incontro una volta inseri-ti nelle strutture di comunicazione di una grande azien-da o di una piccola agenzia, al di l dei loro pur moltoimportanti corsi di studio. E allora ho corredato que-sto volumetto di una breve introduzione riguardantelazienda, la sua struttura organizzativa ed il ruolo delmarketing.

    Confrontandomi con questi giovani ho compresodunque la validit dellidea e mi sono deciso ad accet-tare la sfida, senza alcuna pretesa accademica se nonquella - di tipo pragmatico, per - di fornire degli stru-menti che portino quegli studenti - decisi ad immolarele loro vite al sacro fuoco della comunicazione dim-presa - ad orientarsi in questo magico mondo in cui,

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  • appena nati, dovranno imparare prima a camminarecon le proprie gambe e solo dopo, forse, a vagire.

    Questo libro per loro, ben conscio di quello cheun giorno mi disse Anna Scotti, durante un corso allaScuola di Direzione Aziendale, SDA Bocconi: Lapubblicit, per non perdere quello che ha e che rappre-senta davvero, ha bisogno di giovani sognatori come te,sia che decidiate di esercitare la vostra professione inazienda sia che lo facciate in agenzia. Sia lei, la pubbli-cit, sia voi ne avete solo da guadagnare....

    Non so se le parole fossero proprio queste ma ilsenso di certo s. Il bello di questa esperienza questo:ho scoperto che ci sono tanti giovanissimi sognatorialimentati da sana follia come me.

    Ecco: dedico a loro questo ironico saggio.E a tutti gli appassionati di stregoneria.

    Alessandro BagagliApprendista Stregone

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  • Indice

    Prefazione.............................................................................................V

    Nota dellAutore ................................................................................15

    Indice....................................................................................................20

    Premessa.................................................................................................24

    Unintroduzione necessaria...............................................................31

    Capitolo 1: Lazienda: funzionale o processiva?...................34

    1.1. Lorganizzazione di una azienda1.2. La mission aziendale1.3. Obiettivi per funzioni e per processi: il senso di

    una struttura divisionale1.4. Anticipiamo le conclusioni?

    Capitolo 2: Il ruolo del marketing in unazienda...........................50

    2.1. Limportanza di un reale orientamento al cliente2.2. Il marketing: ci che e ci che ci dobbiamo aspettare da esso

    20

  • 2.3. Il marketing come sonda: convincere o essere convintidal cliente? Il ruolo del market research

    2.4. Il prodotto/servizio: limportanza di avere gli attributi2.5. Leterno dissidio: il trade marketing2.6. Come vendere? Una bella domanda

    Capitolo 3: Il ruolo della comunicazione........................................81

    3.1. Ci volevano due capitoli?3.2. I concetti di comunicazione e di comunicazione dim-

    presa: solo cenni, lo giuro!3.3. La comunicazione integrata: giuro anche stavolta!3.4. La comunicazione interna: cenni 3.5. La comunicazione esterna: cenni3.6. Come si struttura un settore comunicazione

    3.6.1. Il servizio Relazioni con la Stampa3.6.2. Il servizio Rapporti con le Associazioni dei

    Consumatori e di Categoria3.6.3. Il servizio Comunicazione interna3.6.4. Il servizio Pubblicit e Promozione3.6.5. Il servizio Ricerche e sondaggi di comunicazione

    3.7. Non ho parlato del reparto media: scelta consapevole3.8. Signore e SignoriConsigli per gli acquisti!

    3.8.1. I ruoli del Servizio Pubblicit e Promozione:cenni generali

    3.8.2. Ladvertising manager e gli altri attori dellapubblicit

    Capitolo 4: La comunicazione e le altre funzioni aziendali........................................................114

    4.1. Amore o odio? Dipende dai casi4.2. La Comunicazione: area di staff o schiava del marketing?4.3. Cosa si aspettano gli altri poli aziendali dalla comunica-

    zione:4.3.1. Obiettivi aziendali

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  • 4.3.2. Obiettivi di marketing e commerciali4.4. Cosa (non?) si aspetta la Comunicazione dagli altri poli

    aziendali4.5. Conflitti tra marketing e comunicazione? S, ci sono ma

    anche le possibili soluzioni

    Capitolo 5: Ladvertising manager e lagenzia di pubblicit..................................133

    5.1. La scelta: matrimonio damore o dinteresse?5.2. Come impostare la pacifica convivenza (s: possi-

    bile)5.3. Partnership e fedelt: come vivere a lungo felici e

    contenti 5.4. Ma com fatta unagenzia? Cenni generali sui

    ruoli5.5. Il piano di marketing 5.6. Le ricerche: lo so, costano ma ne vale la pena (se poi

    lo dice Ogilvy ci si deve credere, no?)5.7. La psicolinguistica5.8. Il brief5.9. La strategia di comunicazione5.10. La strategia Media 5.11. Guardiamo in faccia la realt: Il budget, leterna

    coperta troppo corta5.12. The man in the Hathaway shirt: Facile, no? 5.13. Larte della diplomazia in pubblicit: c un nesso

    logico, in fondo5.14. La campagna pubblicitaria: il travaglio infinito5.15. Copy-test, pre-test, post-test: la campagna non

    finisce con la campagna5.16. Misurare e valutare gli ef fetti della pubblicit?

    S, ma non sparate sul pianista5.17. ... Lasciatelo suonare! Come suonare in un bordel-

    lo e rimanere sobri: unindagine che pu far

    22

  • riflettere

    Capitolo 6: Conclusioni...................................................................204

    6.1. Gli scenari futuri per lazienda: impresa multicellulare eimpresa globale

    6.2. Lagenzia nel mirino: quanto incider (o gi incide) la nuova azienda sullagenzia

    6.3. Leggere, vedere, toccare, ascoltare, assaporare: ladvertising manager come antenna

    6.4. Questa casa non un albergo! Ma cosa ho dovuto leggere per meritarmi tutto questo?

    Ringraziamenti..................................................................................223

    Qui la diplomazia non centra. Un atto doveroso e sincero.

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  • Premessa

    Ognuno cerca il suo gatto. Mi pare fosse questoil titolo di un road movie francese di qualche anno fache mia madre mi consigli di vedere assolutamente.Non ricordo il regista ed il nome degli attori (probabil-mente sconosciuti) ma ne ricordo la trama.

    Parigi, quartiere di vecchie case del centro, una pro-tagonista un po svampita ma simpatica ed un gatto:il gatto che non c! sparito sui tetti della citt cercan-do forse qualcosa. La protagonista comincia a cercarlo;lo cerca, continua a cercarlo e (insieme con lo spettato-re) comincia a rendersi conto che il gatto diventa pianpiano il pretesto per cercare qualcosa di diverso, di piprofondo, probabilmente qualcosa che, sente, le mancao che forse soltanto nascosto (molto bene) dentro di

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  • s. Alla fine il gatto fa spontaneamente ritorno a casa:da solo.

    Ho 37 anni e sto cercando anchio quel gatto! Una premessa per parlare di me? Di un perfetto

    sconosciuto? Ritengo proprio per questo doverososcrivere due righe autobiografiche, per farmi conosce-re un po meglio.

    Tutto inizi Avevo tre anni e lunica frase degnadi memoria che ricordo di aver sentito da una suora delmio asilo, mentre passava tra i banchi per vedere come(o pi probabilmente cosa) disegnavamo, fu: Macosa fai? Quella che usi la mano del diavolo! Non telo ha detto la mamma?.

    Me la legarono dietro la sedia (proprio cos, ed era-vamo nel 1970 ma daltronde non potevano certamen-te amputarmela), mi torturarono, ma niente! Resistetti.Ero e sono tuttora mancino!

    Imparai subito, mio malgrado, che avrei dovutocombattere per ci in cui credevo ma soprattutto con-tro i pregiudizi. E non solo quelli cosiddetti religiosi.

    La frase della mia infanzia che ricorre maggiormen-te nella mia mente per quella di mia madre che, ogniqualvolta le portassi un disegno, uno schizzo, orgoglio-sa di me ma altrettanto severa ed esigente, mi diceva:Bravoma puoi fare di meglio!.

    Allora (come oggi, daltronde) ero appassionato didisegno, pittura e scultura. Allora (non come oggi) avevomolto tempo per disegnare e dipingere: volevo diventare

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  • un artista. Leggevo, studiavo e mi piaceva. Non avevomolti amici e non giocavo molto (a parte il Lego: grangioco, quello!): dovevo diventare un artista.

    Mi perfezionai in varie tecniche e lessi molto a riguar-do: olio, affresco e china

    Un mio affresco fin addirittura in dono del vescovodi Madrid che lo fece collocare nella chiesa di SanPantaleo a Roma. Un crocefisso che scolpii verso i dicias-sette anni venne donato al Gran Ciambellano di SuaMaest la Regina dInghilterra Lo ammetto: sono cosedi cui vado orgoglioso.

    Dopo aver letto un bellissimo scritto del Secco-Suardo sulle tecniche di restauro degli affreschi, miappassionai moltissimo a questa materia. Ebbi lopportu-nit di effettuare anche qualche restauro ad affreschi dellascuola romana presenti nella chiesa della Madonna deiMonti a Roma, una bellissima chiesa di Giacomo DellaPorta, nella cui sacrestia credo sia ancora visibile una miachina su pergamena, rappresentante la planimetria delrione Monti nel XVIII secolo e le facciate di quattro trale pi importanti basiliche presenti nel rione.

    Nel frattempo avevo scoperto Bob Dylan e la musicaper me stava cambiando. Verso i quindici anni cominciaia comporre le mie prime canzoni e a suonare in varieband rock e blues.

    A diciotto anni decisi che dovevo diventare una rock-star e sostenni gli esami di ammissione alla SIAE comeautore e compositore. Sono ancora iscritto, scrivo e

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  • suono ancora (non solo nei locali per: anche per gliamici, davanti a una buona bottiglia, e per me stesso).

    Cominciai a studiare archeologia a Roma e, oltre allapossibilit di conoscere il Prof. Moretti (il pap del pipopolare Nanni), docente appassionato e appassionan-te di epigrafia greca ed il Prof. Colonna, esperto dietruscologia, materia che mi appassion talmente cheancora conservo un mio trattatello (ovviamente maipubblicato) sulla lingua e la cultura etrusche. Ebbi alcontempo lopportunit di seguire alcuni scavi delProf. Andrea Carandini presso larco di Tito al ForoRomano, proprio alle pendici del Palatino: unesperien-za esaltante. Imparai le tecniche dello scavo stratigrafi-co (Carandini fu il primo archeologo in Italia ad appli-care questo tipo di metodo ad uno scavo) ed i nuovimetodi di rilevazione stratigrafica e catalogazione deireperti. Daltronde adoravo talmente larte e larcheo-logia che avrei voluto diventare un archeologo. Vabene, direte: avevo troppi interessi ed idee poco chiare!

    Per non continuare a dipendere da mia madre (alivello economico, intendo) cominciai a lavorare inunemittente televisiva nazionale come assistente diproduzione al TG della notte.

    Da assistente divenni assistito e nel frattempomi dilettavo da redattore come giornalista praticante.

    In seguito a varie vicissitudini (tra cui una rubricaquotidiana che tenevo su unemittente privata romana),entrai in una piccola agenzia di comunicazione integra-

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  • ta e servizi con il ruolo di factotum.Il factotum un ruolo molto importante in una

    piccola agenzia. Che significa? Occuparsi di tutto.Facevo fotocopie, scrivevo redazionali per house organaziendali, seguivo sponsorizzazioni, gestivo alcuniclienti Insomma: venni gettato nella mischia!

    Non mollai, per. Fu una bella lezione di vita.Scoprii in seguito che se vieni gettato in mare e non sainuotare hai due opzioni: a) affoghi; b) impari a nuota-re allistante; c) impari a nuotare allistante e continui anuotare perch scopri che in fin dei conti ti piace e vuoimigliorare il tuo stile.

    Avete ragione: le opzioni erano tre.Daltronde volevo fare lartista! Ma che centra, direte voi, ancora questa storia del-

    lartista?Centra, perch nel frattempo, qualcuno aveva nota-

    to me e le mie canzoni e ne venne fuori un disco chenel 1994 fu distribuito addirittura dalla PolyGram. Ilmio nome darte? Alex Baggi e lalbum si chiamavaUn po di sentimento (no, non sto facendo pubblici-t: il disco non pi in vendita da tempo ma chifosse interessato ad averne una copia anche solo percuriosit basta che me lo faccia sapere).

    Venni anche recensito (ottimamente) da quotidianie testate di settore importanti. Conservo ancora i rita-gli per i miei figli che ancora non ho. La mia musica eradefinita rock post-metropolitano.

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  • Per il mio destino era un altro. Infatti il caso volleche la piccola agenzia per cui lavoravo avesse tra i pro-pri clienti una grande azienda che, notatomi, mi offruna possibilit nel campo della comunicazione.

    Accettai, ovviamente, che domanda!Il disco? Fu il primo e lultimo. A malincuore,

    comunque.Cinque anni di azienda, passando dal marketing alla

    comunicazione di prodotto e poi la sfida.Fui contattato dal Direttore Comunicazione di

    unaltra grande azienda in piena ristrutturazione. Ilpiano dimpresa prevedeva (e prevede) il risanamentodi un bilancio in passivo ed il rilancio sia a livello diimmagine sia a livello di prodotti. Leva importante eraed la comunicazione. Tutto da fare, da creare.Accettai, anche stavolta ovviamente. Mi occupai dicomunicare i prodotti finanziari dellazienda in que-stione.

    Quasi due anni alla Direzione Comunicazione e poile circostanze vollero che mi rimettessi ancora in giocoper organizzare e gestire le attivit promocomunicazio-nali della Direzione Commerciale a supporto della retevendita dellazienda stessa.

    Ora sono tornato allovile pronto per una nuovasfida, dedicandomi - nel frattempo - ad un altra miagrande passione: la scrittura.

    In conclusione: non sono diventato un pittore, nun archeologo, n un cantautore rock. Eppure sono

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  • ancora convinto che quelli fossero i passi che la fortu-na - potrei chiamarla diversamente - mi ha dato dicompiere per formarmi una base che con la comunica-zione ha, a mio avviso, molto a che vedere.

    Non forse vero che in comunicazione immagini,suoni, parole e memoria sono fondamentali?

    Non avr fatto laiuto cuoco in un hotel comeOgilvy. Non avr suonato il piano in un bordello comeSgula (sono un chitarrista!).

    Ho per un sogno, come tutti, che non sveler perscaramanzia. Posso solo confermare le parole che miripete spesso la mia cara amica Giusi: le cose accadonoquando devono accadere ma mai per caso. Ho scoper-to che davvero cos.

    Mi chiedete se ho trovato il mio gatto?Ancora lo sto cercando e spero francamente di non

    trovarlo mai.Daltronde il segreto della creativit, della curiosit

    e delleterna giovinezza forse proprio questo: conti-nuare a cercare e non arrendersi mai, anche quando sicrede di aver trovato quello che si stava cercando.

    Come dice il Poeta, c sempre quella siepe, che datanta parte, allultimo orizzonte il guardo esclude.

    Quellorizzonte ci si pu accontentare di immagi-narlo o di scoprirlo. Personalmente preferirei viverlo.

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  • Unintroduzione necessaria

    Sar breve, come mi ha insegnato a sforzarmi diessere sempre un uomo che ha aperto in me nuoviorizzonti su questo affascinante mondo che la comu-nicazione, Franco Bellino.

    Parlare dellorganizzazione di un ufficio comunica-zione aziendale (potrebbe altres trattarsi di unaDirezione Centrale vera e propria, come nei casi cheho sinora vissuto) significa parlare di varie tematiche enon soltanto di advertising puro.

    Non solo: lorganizzazione di un settore che sioccupa di comunicazione non pu prescindere, a miomodo di vedere, dal contesto aziendale in cui esso sicolloca.

    La comunicazione infatti uno dei tanti strumenti

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  • di cui unazienda dispone e parlare di unorganizzazio-ne di un settore del genere significa tenere conto dimolteplici fattori:

    a) a quale tipo di azienda si faccia riferimento (diprodotto - brand o multibrand - , di servizi ecc.);

    b) la struttura organizzativa dellazienda in questio-ne (per funzioni, per processi, per aree di business);

    c) il tipo di cultura presente nellazienda (non poicos scontato che tutte le aziende siano realmente orien-tate al marketing e questo incide profondamente sullastruttura stessa che un settore, come quello della comu-nicazione, ha di fatto o pu avere potenzialmente).

    Soprattutto questo ultimo fattore incide moltissimosullintera organizzazione del processo di comunica-zione e quindi anche sui ruoli in esso coinvolti.

    Potrei cominciare a trattare il tema che mi sono pro-posto partendo gi dal terzo capitolo ma trovo sia piopportuno affrontarlo gradualmente con due capitoliche partono certamente un po da lontano e che nonpretendono in alcun modo di essere esaustivi (la biblio-grafia a riguardo estremamente vasta e molto com-pleta). Essi sono piuttosto un pretesto, per me e per chilegge, per cominciare da quelle che ritengo le giustebasi per affrontare il cammino: fornire un flash dicome lorganizzazione, la mission, il ruolo del marke-ting (strategico e operativo), i prodotti/servizi e gliobiettivi di unazienda siano estremamente importantinon solo per descrivere un settore funzionale allimpre-

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  • sa stessa, come quello della comunicazione ma ancorpi per giustificarne il suo ruolo, che - come vedremo- considero (in buona compagnia) strategico se corret-tamente impostato.

    La speranza forse quella di poter nel tempo arri-vare ad una nuova concezione di organizzazione eruolo della comunicazione dimpresa e non certa-mente un caso che gi oggi vi siano segnali in tal senso.

    Sempre pi spesso infatti scuole di direzione azien-dale si stanno concentrando sul ruolo (o meglionuovo ruolo) del comunicatore dazienda. Lo fannoorganizzando sempre di pi corsi e seminari orientati aformare manager della comunicazione (communication eadvertising manager) con ruoli e responsabilit nuove,sempre pi integrate con quelle del marketing.

    Il fatto che queste necessit di razionalizzare unafigura, quella dellesperto di comunicazione dimpresa,provengano da ambienti marketing (e chi fa parte delsettore mi capir senzaltro) quindi significativo. , amio modo di vedere, il segnale che le aziende stannochiedendo aiuto proprio a quel settore che in genereveniva visto (in modo forse un po miope) come funzio-nale ad altre realt aziendali tra cui il marketing stesso.

    Maggiore attenzione, dunque, verso un settore fino adoggi considerato solo in parte per le potenzialit ancorainespresse e che pu invece esplicitare con vantaggi pertutta lazienda? Forse e francamente io mi auguro che siacos. Spero, in queste pagine, di riuscire a spiegare il perch.

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  • Capitolo 1Lazienda: funzionale o processiva?

    1.1. Lorganizzazione di una azienda

    Unazienda va vista come se fosse un camaleonte. Ilcamaleonte si adatta e si trasforma a seconda dellam-biente circostante. molto difficile infatti (o perlome-no lo stato per me nella mia seppur breve esperien-za) che unazienda si dia una determinata struttura chenon venga poi cambiata nel tempo; o concorra al rag-giungimento dei propri obiettivi seguendo sempre ilmedesimo approccio.

    Daltronde una situazione stagnante sarebbe perlimpresa stessa un assurdo ed un controsenso. Di pi:il suicidio.

    La societ, nella sua globalit, in continuo cambia-mento e la gente cambia con essa. Le mode e le abitu-

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  • dini, i valori e le percezioni, gli stimoli e i governi: tutto in costante cambiamento.

    Unazienda che volesse dunque sopravvivere (oqualcosa di pi che sopravvivere) in questa costanterivoluzione non pu non tenere conto dei trend socia-li, economici, culturali e tecnologici che condizionanoe trasformano ci che ad unazienda sta pi a cuore: ilsuo cliente.

    Per questo tutte le aziende, sia che offrano un pro-dotto o una serie di prodotti sia che propongano unservizio o una serie di servizi, si strutturano (o perlo-meno dovrebbero) continuamente per non rimanereindietro con la finalit di presidiare il cliente, possibil-mente per prevenire il cliente, ormai soggetto attivoe selettivo nelle proprie scelte. Dunque soggetto discri-minante per le aziende.

    Come? Anzitutto, a mio parere, dandosi una mission.

    1.2. La mission aziendale

    La mission sostanzialmente una dichiarazionedi intenti che lazienda si d e d al mondo esterno: chisono, cosa faccio, perch lo faccio, dove voglio arriva-re, dove mi voglio posizionare.

    Mi sembra per che ormai anche la mission non

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  • possa pi essere considerata come una coperta diLinus (sempre quella, per intenderci), immutabile edinviolabile e pertanto ritenuta cos rassicurante. Ha sun suo valore ma al breve, medio termine.

    Basta osservare i payoff delle campagne pubblicita-rie Omnitel, oggi Vodafone(1), dalla sua nascita fino adoggi: Quello che facciamo oggi gli altri lo farannodomani (per acquisire un nuovo spazio attaccandodichiaratamente il monopolio dellallora Telecom ItaliaMobile); Persone in grado di cambiare il mondo (percomunicare, facendo un passo ulteriore, la capacitdellazienda di dare una spinta in avanti al settorecreando al contempo un rapporto di partnership con ilcliente che egli stesso una persona in grado di cam-biare il mondo e quindi di identificarsi negli obiettividellazienda); Idee in grado di cambiare il mondo(questo lultimo payoff di una campagna corporate incui Megan Gale, scalando una torre moderna, comuni-ca metaforicamente una scalata verso la ricerca di solu-zioni nuove per la propria clientela ed - in generale - peril nostro mondo con limplicito assunto di migliorarlo).

    Sono tutte dichiarazioni di intenti, sempre nuovirispetto ai nuovi contesti di riferimento e necessariquindi ai fini di un riposizionamento stesso dellazien-da nei confronti di quei contesti.

    La mission per anche una dichiarazione di inten-ti di cui rendere partecipi le risorse umane coinvolte nelconseguimento degli obiettivi.

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  • Chi svolge unattivit in IBM sa perch ci lavora econosce il senso del suo ruolo, qualsiasi esso sia, dallo-peraio fino al top manager. Il mito della giacca blu e dellacravatta legato a quellazienda ne un risultato, costritti-vo se vogliamo, ma pur sempre identificativo di uno stile,una mentalit, un approccio non solo al mondo internoma anche nei confronti di quello esterno.

    Anche se lesempio pu non essere perfettamenteappropriato rende, spero, lidea di quanto sia importan-te che il vertice di unazienda, sia essa di piccole dimen-sioni od una multinazionale, identifichi il senso per cuisi sul mercato (e di come ci si pone nei suoi confron-ti) e lo trasmetta, attraverso vari strumenti (vedremopi avanti quali), quanto pi possibile a tutte le funzio-ni aziendali, fino a quelle di territorio (se lazienda dicui si parla nazionale e con una diffusa capillarit ter-ritoriale). Tale senso o scopo deve essere quanto pipossibile condiviso e condivisibile da tutte le risorsecoinvolte: la produzione, il marketing, le vendite, lacomunicazione di prodotto, lamministrazione, il setto-re che gestisce le risorse umane: solo cos si pu gene-rare consenso e motivazione nel personale.

    Bisogna ricordare infatti che unazienda fatta dipersone non sempre facilmente capaci o disposte adadeguarsi e ad adeguare il proprio ruolo alle nuove esi-genze imposte da un mercato in costante pulsazione, incontinuo cambiamento, ormai rapido almeno quanto imezzi di trasporto e i media informativi; non sempre

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  • facile rimettersi totalmente in discussione e ricomincia-re daccapo con altri obiettivi, altri mezzi, altre struttu-re.

    In sostanza unazienda pu cambiare pi facilmen-te rotta se il capitano della nave spiega il perch ai sot-tufficiali e ai marinai, fino allultimo mozzo.

    Le mission: dichiarazioni di intenti che si evolvono,che devono cambiare con il cambiare della societ, delmercato, del target di riferimento, sempre pi segmen-tato e sempre pi di nicchia(2), fenomeno generatoanche dalle nuove tecnologie (Internet ed i suoi mailingad personam; le TV via satellite che trasmettono per tar-get sempre pi specifici; il nuovo sistema digitale terre-stre, che tante polemiche sta generando in questi mesi maconcretamente una vera rivoluzione nel mondo dellin-formazione se adeguatamente supportato da idee davve-ro nuove, coraggiose e pertanto vincenti).

    Non una mancanza di coerenza, come si direbbefacilmente ed un po superficialmente se si stesse par-lando di uomini politici: in realt la capacit, almenonegli intenti, di saper correggere il tiro, di cambiarestrategie al momento giusto con il buon senso di chi -consapevolmente - sa che anche la coerenza va guida-ta nella giusta direzione.

    (1) Lesempio di Vodafone/Omnitel non nasce a caso.Questa azienda opera in un mercato, quello delle telecomu-

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  • nicazioni, in profonda e costante trasformazione. Un merca-to che nato proprio dalle ceneri di un assetto monopolistache lo rendeva, come vedremo, un non - mercato.

    (2) La cosiddetta microsegmentazione cui facevano riferimentoR. Varaldo e P. Legrenzi in un articolo tratto da Micro & MacroMarketing n.1 apr. 1992

    1.3. Obiettivi per funzioni e per processi: il senso di una struttura divisionale

    Se lazienda viene considerata un soggetto al centrodi una galassia composta da altrettanti soggetti interagen-ti tra loro, questa ricever da questi soggetti dei segnali.

    Tali segnali genereranno (o dovrebbero generare)nel soggetto centrale (lazienda) dei segnali di reazione:le risposte.

    Per generare queste risposte non sempre sono suf-ficienti gli strumenti operativi quali il marketing o, pia monte, la produzione secondo le esigenze che, dalcliente, ci pervengono in merito a beni e servizi.

    Bisogna risalire spesso pi sulla cima di quel montee poter mettere in discussione la stessa organizzazioneche il soggetto si dato.

    Unorganizzazione strutturata per funzioni, adesempio, costitu una risposta valida trentanni fa ma

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  • oggi necessariamente del tutto obsoleta per guidare egestire nel giusto senso gli strumenti di cui abbiamofatto cenno sopra.

    Lazienda per la quale ho lavorato cinque anni,prima che sentisse la necessit di riorganizzarsi, erastrutturata per funzioni. In buona sostanza e forzandoun poco il concetto un dirigente aveva il suo obiettivo edoveva raggiungerlo utilizzando soltanto la sua funzione.

    Il rischio pi grande di tale organizzazione era quelfenomeno derivato da una degenerazione sistemica che inItalia viene chiamata coltivazione del proprio orticello.

    Ognuno era portato oramai, proprio per la immobi-lit del sistema aziendale e a fronte dei cambiamentiesterni, a considerare i propri obiettivi, le proprie infor-mazioni come oneri e patrimonio personale, non con-dividendo pertanto con le altre funzioni alcunch.

    Non un giudizio di merito: era semplicemente unmetodo organizzativo che funzionava e poteva funzio-nare fino a quando le societ di consulenza aziendale ele stesse aziende non si resero conto che i tempi eranocambiati, che esistevano altre realt - spesso in concor-renza tra loro - che potevano minare le fondamentastesse dellazienda.

    Era necessario effettuare un re-engineering finaliz-zato ad una pi solida interazione tra realt aziendaliinterne che a malapena comunicavano tra loro e proba-bilmente non riuscivano a comunicare pi efficace-mente con lesterno.

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  • Questo problema port ad una riorganizzazione dimolte aziende in un ottica processiva in luogo diquella, ormai logora, funzionale.

    Gli obiettivi aziendali (non necessariamente quellidi marketing, commerciali ecc.) devono in sostanzaessere raggiunti attraverso processi che coinvolganotutte le risorse dedicate e necessarie, anche trasversal-mente alle varie realt di una stessa azienda.

    La nascita del cosiddetto team work parte da que-sto: i gruppi di lavoro, i project manager (solo per cita-re due esempi) sono fenomeni, se cos possiamo defi-nirli, originati dalla necessit di un comune concorrereal raggiungimento di obiettivi (micro e macro) possibi-le solo attraverso una riorganizzazione per processidellazienda.

    Unazienda organizzata per processi forse, almomento attuale - salvo nuovi cambiamenti che il mer-cato sta ancora apportando - pi capace di risponderea quei mutamenti cui abbiamo fatto riferimento in pre-cedenza e pi in grado quindi di rimettersi ancora indiscussione (come vedremo quando si parler diimprese multicellulari e globali).

    Pensiamo ad esempio ad una squadra di calcio. Cun allenatore, ci sono undici calciatori e (ormai) altret-tante riserve: una vera e propria piccola azienda che haun obiettivo, vincere.

    Ovviamente non facciamo in questa sede alcun rife-rimento alla societ che gestisce la squadra ma sempli-

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  • cemente a quel team di persone che concorrono tutti,per le proprie attitudini, ruoli e competenze, al rag-giungimento di un obiettivo (tu guarda il caso! In ingle-se si dice goal).

    Ci sono i ruoli: il portiere, i difensori, il mediano, icentrocampisti e gli attaccanti: lallenatore d unaimpostazione alla squadra, facendo una dichiarazionedi intenti (mission), di cui rende partecipi i giocatori elopinione pubblica nonch unorganizzazione di gioco(struttura).

    Noto che quanto pi mi addentro nellesempiotanto pi ne riscontro la possibile rispondenza conquanto detto sinora: anche in questo caso (la storia delcalcio ce lo insegna) sempre di pi le squadre sono pas-sate da unorganizzazione basata sulla marcatura auomo (funzione) ad una organizzazione che punta sullamarcatura a zona (processo).

    Sembra un fatto irrilevante ma anche questo tipo difenomeno rappresenta unevoluzione nata dalla neces-sit di fronteggiare squadre sempre pi competitive. Ilgioco a zona consente dunque alle squadre di far con-correre meglio tutti i calciatori, secondo una logicaprocessiva, al raggiungimento dellobiettivo (non sol-tanto il gol, quanto piuttosto il contenimento delleoffensive avversarie, limpossessamento di zone strate-giche del campo e via dicendo): tutto questo senzadistogliere una o pi risorse delegandole al conteni-mento di un solo avversario.

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  • Salvo riorganizzarsi a seconda della squadra avver-saria, per meglio adattarsi e rispondere pi efficace-mente agli attacchi della stessa (magari con una zonamista).

    Perdonerete questo esempio, blasfemo se volete main fondo utile a capire la differenza tra organizzazionefunzionale e organizzazione processiva.

    Da azienda processiva a struttura divisionale ilpasso breve e cercher di renderlo ancora pi breve.

    In sostanza, unazienda pu strutturarsi in varimodi, come abbiamo accennato allinizio del capitolo:basandosi sul prodotto, sui target di riferimento, sullearee di business e potremo continuare.

    La struttura divisionale consiste nel suddividere la-zienda in (pi o meno) tante ulteriori aziende pi pic-cole (divisioni) in cui si concentrano strutture quali ilmarketing, le vendite, la gestione delle risorse umane,lamministrazione, la programmazione ed il controllodi gestione e talvolta anche gli uffici di comunicazione.

    questo il caso delle aziende in cui le Divisionisono strutturate per prodotto o per target di riferimen-to (o mercato).

    Le varie strutture divisionali che abbiamo descrittoconcorrono a conseguire gli obiettivi di Divisioneattraverso leve interne o comunque gestite allinterno.Il rischio che si pu correre con questo tipo di struttu-ra che gli obiettivi non sempre rispondano agli inputstrategici aziendali; ovvero che ogni Divisione comuni-

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  • chi allinterno dellazienda o (fatto ancor pi grave)allesterno seguendo criteri, usando linguaggi distonicicon le altre realt aziendali o con la totalit dellazien-da stessa.

    Tale rischio reale ed per questo che, quasi nellatotalit delle aziende che si strutturano nel mododescritto, sono state individuate cosiddette aree di staffche, facendo spesso capo direttamente allAmministratoreDelegato (o Direttore Generale) hanno una funzionestrategica di controllo, supervisione, coordinamento ditutte le attivit dellazienda stessa.

    Queste aree (o Direzioni) seguono in modo trasver-sale ed interdivisionale le strutture di business aiutan-dole - attraverso strumenti univoci - a raggiungere gliobiettivi divisionali e al contempo aziendali. Essehanno anche il compito di dare dellazienda comunqueunimmagine unica, coordinata e omogenea.

    Vedremo come spesso la nascita di conflitti tra mar-keting e comunicazione nascano in aziende in cui nonesiste questo approccio della comunicazione comestaff aziendale (cfr. Collesei ne: I conflitti tra marketing ecomunicazione).

    Daltronde, come ci ricorda Renato Fiocca, limpor-tanza del brand fondamentale anche per questo: ilcliente non riconosce di sicuro come soggetto le singo-le strutture aziendali; spesso neanche lazienda. Ilbrand per, per il cliente, esso stesso valore o non valo-re. Il brand, quindi, nellimmagine che il cliente perce-

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  • pisce di esso, impatta sicuramente, a livello di associa-zione sullimmagine complessiva di unazienda.Determinandola.

    Il cliente non sa (o non vuole sapere perch noninteressato), nel momento in cui sceglie e/o acquistaun prodotto, se lo stesso sia della Divisione x o dellaDivisione y: egli acquista il prodotto dellazienda z. Dipi: acquista il brand w.

    Di fatto egli sceglie e acquista il prodotto percepen-dolo esso stesso come brand aziendale.

    Ancora una volta era opportuno avere una panora-mica di certe tematiche, ben lungi dal pretendere des-sere esaustivo. Lo scopo, spero riuscito, di questo capi-tolo era quello di dimostrare come tutti gli strumentiche unazienda utilizza per raggiungere i propri obietti-vi (e noi dovremo parlare soltanto di uno solo di que-sti strumenti) siano strettamente correlati alla propriastruttura organizzativa e siano descrivibili soltanto allaluce del tipo di azienda cui si fa riferimento.

    A questo proposito, nellultimo paragrafo, si evince- a questo punto ritengo abbastanza chiaramente - che,se parliamo di comunicazione, le possibili strade daseguire, per unazienda organizzata per Divisioni, siano(almeno al momento attuale) sostanzialmente due:

    a) Il settore comunicazione come ununica real-t aziendale di staff che raccoglie in s le esigenze dicomunicazione di prodotto e quelle di comunicazionecorporate rispondendo a tali esigenze con un determina-

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  • to tipo di organizzazione;b) Ogni Divisione di prodotto ha un proprio set-

    tore di comunicazione che risponde alle sole esigenzeriguardanti la comunicazione di prodotto; esister pernecessariamente una struttura comunicazione di staffche, omogeneizzando i messaggi diretti allesterno, sioccupi in prima persona della comunicazione corporate.

    Nel quarto capitolo, quando accenner ai conflittitra marketing e comunicazione, capiremo perch laprima delle due opzioni funzioni pi efficacemente.

    Non ho ancora fatto riferimento a ci che si inten-de comunemente quando si parla di comunicazione. evidente, per chi opera nel settore (sia lato azienda,sia lato agenzia), che non ci si riferisce al solo advertisingma a molte altre realt.

    Lorganizzazione di una struttura del genere com-plessa e pu variare, come abbiamo visto, da aziendaad azienda. Dal terzo capitolo cercher di descrivere,per quanto mi sar possibile, lorganizzazione di unastruttura centrale di staff fino alle sue varie funzioniaziendali (che dora in avanti preferirei definire poli) .

    Dal prossimo capitolo in poi cercher di entrare unpoco pi nello specifico di ci che la comunicazionepu fare per lazienda (focalizzando la mia attenzionesempre di pi sulladvertising management) e di ci chelazienda pu aspettarsi dalla comunicazione(1).

    per questo che ritengo opportuno chiacchierareun po sul ruolo del marketing, delle ricerche, del pro-

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  • dotto e di quanto esso sia importante per chi fa comu-nicazione (ma anche per chi vende).

    Far qualche accenno anche al trade marketing,sempre in bilico tra due realt, il marketing e le vendi-te, e allimportanza che esso riveste anche e soprattut-to per la comunicazione e per il sell-out dellazienda.

    (1) Troppo spesso - e chi si occupa di comunicazione lo sabene - le aziende ritengono generalmente che se un prodottonon vende le responsabilit siano da attribuire semplicistica-mente alla pubblicit.Pu anche essere vero, talvolta, che chi fa comunicazioneabbia effettivamente una pagliuzza nellocchio che gli duole unpo(cercher di spiegare il perch nel capitolo riguardante ilrapporto con lagenzia). anche molto probabile per che altri settori, nellocchio,abbiano travi di cui non si accorgono.Quante volte un prodotto un flop in partenza e si chiede achi fa comunicazione di renderlo quello che non e non sarmai?Quante volte, ancora oggi, si propone un prodotto al clientesenza dargli il giusto posizionamento, senza un target specifi-co a cui offrirlo, senza dargli in sostanza ci di cui ha bisognonon solo per essere comunicato ma per essere venduto? Salvoscoprire poi che il prodotto non frutto di ricerche su targetspecifici e che nasce da altre logiche che poco hanno a chevedere con lanalisi del contesto di riferimento esterno Valga adire creare prodotti che alimentino un mercato piuttosto checreare un mercato attraverso lanalisi di reali bisogni (purelatenti e ancorch inespressi).Il ruolo del trade marketing, poi, sufficientemente presidia-

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  • to in tutte le sue potenzialit? Il ruolo di chi fa pubblicit importante sia dal lato dellazien-da sia dal lato dellagenzia. Credo sempre di pi, a tale propo-sito, chela sfida da raccogliere per il futuro per chi opera nellacomunicazione dimpresa sia quella di riuscire ad indirizzare esensibilizzare, quasi alla stregua di consulenti, sempre mag-giormente quei settori come il marketing (ma non soltanto), adun approfondimento di alcune delle problematiche sollevatein questa sede e a proporre soluzioni a conflitti tra marketinge comunicazione (cfr. U. Collesei - Conflitti tra marketing ecomunicazione- op. cit. nei riferimenti bibliografici) derivantidai cambiamenti in atto. Soluzioni che consentano alladverti-sing manager e pi in generale al communication manager dipoter fornire allazienda e allagenzia ogni supporto ritenutoutile per ottenere strategie di comunicazione davvero efficaci.Lazienda non potr che trarne beneficio con risultati davve-ro soddisfacenti, sia esterni sia interni.Se poi si riuscisse anche ad arrivare a Cannes e vincere Ma questa unaltra storia.Una storia che forse un giorno prover a raccontare.

    1.4. Anticipiamo le conclusioni?

    No. Non vorrei assolutamente che abbiate limpres-sione che stia per svelarvi il finale del libro giallo,dicendovi chi sia il colpevole, prima ancora che abbia-te letto il libro stesso e che abbiate provato a fare dellecongetture, delle ipotesi o magari gi tratto le vostreconclusioni.

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  • giusto per dire che lazienda intesa in senso pro-cessivo sta trasformandosi ancora, proprio nellotticadi quanto detto sino ad ora.

    Il continuo cambiamento in atto del contesto sociale,politico ed economico del mondo industrializzato stagenerando una crisi (potremo definirla di identit), genera-lizzata che sta minando (o meglio ha minato) anche le cer-tezze di una organizzazione per processi.

    Questo fenomeno, pi che mettere in discussione lastruttura organizzativa per processi, risolta con soluzionidivisionali da parte delle aziende di grandi dimensioni, staportando le aziende stesse (o almeno ce lo auguriamo) ariflettere sul ruolo stesso che tali processi dovrebberoassumere nei nuovi scenari che si stanno delineando.

    Anche le divisioni - nel senso che abbiamo spiegato -potrebbero (e personalmente credo che lo saranno) esseremesse in discussione e rivisitate ovvero stravolte o cancel-late, sostituite da nuove soluzioni che per eviter di anti-cipare in questo paragrafo.

    E le strutture di staff? Chiss. Forse ancora di pidiverranno elementi di raccordo e acquisiranno sempremaggiore importanza. In una forma pi snella, per.

    In ogni caso, per tentare delle risposte possibili, riman-do i lettori allultimo capitolo di questo volumetto in cuiprover ad affrontare - approfondendolo per quanto pos-sibile - il tema dei nuovi scenari previsti o probabili in cuiaziende ed agenzie, pi o meno volentieri, dovranno muo-versi per riadattarsi alle nuove realt socio-economiche.

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  • Capitolo 2:Il ruolo del marketing in unazienda

    2.1. Limportanza di un reale orientamento al cliente

    Inizier con il dire, e con il rischio di ripetermi,quale non sia lobiettivo di questo secondo capitolo.

    Questo volumetto non ha in alcun modo lambizio-ne o la pretesa di arricchire una gi vastissima bibliogra-fia a riguardo, descrivendo gli strumenti per la compren-sione di ci che il marketing sia o faccia in unazienda.

    Non parler n di marketing strategico o operativo,n di marketing globale. Non spiegher in cosa consistail marketing di terza generazione n parler in generaledella nascita e dellevoluzione di questo argomento.

    Sul marketing infatti, esiste - e lo ribadisco - unavastissima bibliografia. Chi fosse interessato ad appro-fondire certe tematiche cui potr fare riferimento per

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  • indubitabile deformazione professionale potr trovareun valido riferimento (e risposte sufficientementeesaustive) in studiosi quali Kotler, Lambin, Corigliano,Eiglier (solo per fare qualche nome, le cui opere - alme-no quelle che ho letto - sono comunque riportate nellanota bibliografica).

    I miei dunque saranno soltanto accenni a volo duc-cello su cosa consista il marketing e - soprattutto - sucosa si debba ad esso richiedere o quantomeno da essoaspettarsi.

    Parler adesso degli obiettivi di questo capitolo.Lobiettivo fondamentale quello di far comprenderequale sia limportanza, in unazienda, di una reale cul-tura improntata ed orientata al marketing, ai fini di unaefficace comunicazione dei prodotti e dei servizi stu-diati per fare fatturato.

    Ci si accorger poi, nella pratica quotidiana in unaazienda, di quanto spesso anche un orientamento almarketing non sia pi condizione necessaria e suffi-ciente per contribuire al successo dellazienda stessa.Ma andiamo per gradi.

    Il fatturato importantissimo, fondamentale direi.Esso, per, non pu prescindere da un processo chetenga conto di un orientamento davvero finalizzato araccogliere i messaggi che pervengono dallesterno ingenerale e dal nostro target di riferimento in particola-re. Anche se tutto ci sembra scontato, non semprequesto - purtroppo - lo spirito che aleggia in alcune,

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  • spesso troppe, aziende.La comunicazione (in tutte le sue forme: parleremo

    a suo tempo anche di cosa si intenda per comunicazio-ne integrata) una delle leve che il marketing utilizzaper conseguire i propri obiettivi. Non certamente lu-nica, per.

    Se unazienda non veramente orientata al cliente (equesto orientamento, oggi nel 2004, potrebbe gi nonessere pi sufficiente a farci dormire sonni tranquilli:basti pensare al one-to-one marketing che spadroneggianegli Stati Uniti, criticato peraltro gi dopo pochi annidalla sua nascita), difficilmente latteggiamento delcliente nei confronti del nostro prodotto, del nostroservizio, della nostra azienda (s, anche lazienda evedremo perch), pur intervenendo su tutte le fasi chegenerano il processo di acquisto, potr essere influen-zato o addirittura modificato.

    N attraverso loggetto dellacquisto (il bene tangi-bile o intangibile che sia), n attraverso il prezzo dellostesso, n attraverso la sua distribuzione.

    Non si potranno lasciare per tutte le responsabili-t di un eventuale flop alla comunicazione.

    Essa s schiava del marketing ma anche il marke-ting, se gestito con buon senso, schiavo della comu-nicazione. Un rapporto di mutua assistenza e recipro-ca necessit.

    La comunicazione, se correttamente gestita oltre lafase di realizzazione della campagna pubblicitaria,

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  • deve poter generare infatti un feedback, un ritorno diinformazioni da parte del cliente: un feedback che, seletto ed interpretato risulta vitale per il marketing.

    Questo feedback deve poter generare nel marketing- per s e per la sopravvivenza stessa dellazienda in cuiesso opera - nuove domande da porre e da porsi; chegeneranno a loro volta nuove risposte. Il marketingdeve poter utilizzare sempre di pi la comunicazione edi integrarsi con essa non solo per finalizzare i propriobiettivi ma anche per verificare lefficacia degli stessio la effettiva rispondenza con quanto il cliente si aspet-ta o non si aspetta. Confrontarsi con questo feedbacksignifica avere la forza di rimettersi in discussione ericominciare lintero processo. Un processo che defini-rei circolare e variabile nel tempo, influenzato com daagenti esterni che - non mi dimenticher di ripeterlo -sono in continuo cambiamento.

    In sintesi, cosa vuol dire orientamento al cliente? Significa in sostanza affermare:a) che lazienda aperta a guardarsi allesterno e

    quindi ad assorbire, allinterno dei suoi processi dimarketing (ma non solo), i segnali captati. Ebbene s,sembra strano ma quando si studiano i grandi testisacri doltreoceano si tende a dare per scontato che ilmarketing consista nellorientarsi al cliente, salvo sco-prire - ancora in molte realt aziendali soprattutto ita-liane - che si continua a pianificare, produrre, comuni-care, vendere secondo il vecchissimo concetto di

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  • orientamento al prodotto;b) che lazienda conosce il proprio mercato di rife-

    rimento, i propri concorrenti, il proprio posizionamen-to nei confronti del mercato, le proprie quote di merca-to rispetto a quelle della concorrenza, i propri vantaggicompetitivi e i propri punti di forza e di debolezza;

    c) che lazienda produce in funzione delle infor-mazioni che provengono dal cliente, secondo le neces-sit dello stesso;

    d) che lazienda, attraverso linterpretazione dibisogni latenti non ancora esplicitati, anticipi addirit-tura le esigenze del suo cliente o lo induca a sviluppa-re nuove esigenze.

    In tre parole tutto ci che abbiamo detto consistein: conosci il tuo cliente.

    Ma chi il cliente? Cosa significa questa misteriosaparola? Provate a chiedere in giro.

    Probabili risposte? Eccole: acquirente, consumatore, com-pratore

    C chi - soprattutto nelle aziende di servizi - ancoraama definire il cliente chiamandolo con letimo che deri-va dal verbo latino utor (= usare): utente, utilizzatore!

    Non si tratta di disquisire di lana caprina: la diffe-renza tra i due termini (e, ovviamente, i due ruoli svol-ti nei confronti dellazienda) fondamentale.

    Lutente infatti generalmente inteso come fruitoredi beni o servizi. Questo ruolo - lo dice la parola stes-sa - un ruolo generalmente visto come passivo.

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  • Le variabili decisionale, dinamica e proattiva nonsono generalmente prese in considerazione.

    Forse, per capire la differenza tra utente e clientebaster citare lesempio di una grande azienda italianadi telecomunicazioni la quale, operando in regime dimonopolio, considerava (concettualmente) e chiamava(di conseguenza) utenti i propri abbonati.

    Bast che - prima con la telefonia mobile, poi conla telefonia fissa - cambiasse il mercato di riferimento(che solo allora divent mercato) con larrivo di aziendeconcorrenti che, voil, il vecchio e bistrattato utenteera diventato (forse non ancora, allepoca in senso con-cettuale, il Cliente (con la c maiuscola, beninteso).

    Credo che lesempio riportato (niente affatto polemi-co ma che intende anzi dimostrare come unaziendadebba rimettersi in discussione fin dalla propria cultura infunzione dei cambiamenti esterni sempre pi imprevedi-bili che generano scenari sempre pi competitivi) rendaa questo punto pi semplice capire chi sia effettivamen-te il cliente e quale sia, presumibilmente, il ruolo - impor-tantissimo - che egli ha nei confronti di unazienda.

    Se, come abbiamo detto, quello dellutente unruolo in prevalenza passivo ed quindi caratterizzatoda una mancanza di interazione con lazienda di riferi-mento, per il cliente vale un altro discorso.

    Egli intanto soggetto e non oggetto di un rappor-to con lazienda, con il prodotto, con il mercato.

    Il cliente attivo, dinamico ma soprattutto ha una

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  • capacit che croce e delizia per le aziende: pu scegliere! Sembra poco? Basta provare ad aggirarsi tra i ban-

    chi di un mercato. S, proprio uno di quei mercati alla-perto (a Roma c ad esempio il mercato di Campo deFiori, per qualsiasi marketing manager o advertisingmanager visita che si rivelerebbe estremamente istrut-tiva). Prendiamo ad esempio un prodotto generico.Come dite? Il pesce? Va bene: vada per il pesce.

    Ci sono molti banchi che vendono pesce, tutti inconcorrenza tra loro. Provate a vedere come si conten-dono la massaia che sta facendo la spesa. Guardatela:non certamente una sprovveduta.

    Il banchista usa tutte le leve di marketing necessarie,forse neanche lo sa ma cos: il pesce pi fresco, ilprezzo pi competitivo, la maggior scelta, gli arrivigiornalieri, lesperienza e la presenza nel mercato dagenerazioni, la conoscenza personale della massaia, deisuoi gusti e delle sue personali preferenze.

    E la massaia sceglie tra lofferta disponibile. Non detto che acquisti e comunque il suo processo di acqui-sto non finisce con lacquisto stesso.

    Se il pesce non fresco, se il prezzo non favore-vole, se lofferta limitata, se il venditore stato cioingannevole nelle leve di persuasione (e tanti altri seche risparmio per pura pietas cristiana nei confronti dichi legge) la massaia non far la cosa pi importante:riacquistare. Passer probabilmente al banco concor-rente, non mancando di far notare il suo disappunto al

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  • precedente venditore (e probabilmente anche al nuovo,che lo sfrutter a proprio favore per conquistarsi ifavori della nostra signora Maria). Cercando di genera-re un processo di fidelizzazione.

    Mi rendo conto che lapproccio apparentementenon tecnico dato al volumetto pu suscitare ilarit macorrer il rischio. Personalmente sono convinto che lescienze vadano divulgate in modo che diventino realepatrimonio, piuttosto che descritte con intenti settariche fanno - attraverso luso di americanismi e lemmicriptici - di concetti in fondo logici, di buon senso e per-tanto semplici elucubrazioni pseudoscientifiche chepoco per hanno a che vedere con la realt. Il che miporta ad una forma di autoindulgenza e a giustificarepertanto luso di esempi apparentemente ingenui (eforse un po lo sono: la squadra di calcio, il mercato... enon ho ancora finito).

    So anche per che molti processi socio-psicologici,ricondotti a teorie scientifiche e spiegati utilizzandoformule, equazioni e quantaltro necessario a confon-dere le idee a chi vorrebbe capire davvero possonoessere esplicitati utilizzando esempi presi in prestito dalvivere quotidiano che gi di per s ci familiare e dicui dunque riconosciamo odori e sapori.

    Basta osservare un po pi in profondit quello cheaccade intorno a noi e riuscire ad interpretarlo. O per-lomeno tentare. Lesempio del mercato, a mio avviso,spiega abbastanza realisticamente - anche se semplici-

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  • sticamente - cosa sia, in fondo, il marketing (al di ldegli enunciati che si possono leggere nei testi sacri).

    Rende abbastanza bene anche lidea di chi sia ilcliente e del ruolo paritetico di questi con lazienda.

    Il cliente nato nel momento in cui nato il merca-to inteso come molteplici realt in concorrenza traloro. Il concetto di cliente in senso aziendale nascedunque, a mio modo di vedere, da unevoluzione delconcetto di utente, evoluzione dovuta allo sviluppo diun mercato concorrenziale e al nuovo ruolo che ildestinatario di beni e servizi ha rappresentato e rappre-senta oggi per le aziende stesse.

    un ruolo, quello del cliente, che d per assuntoun regime di libera concorrenza in cui pi soggettihanno qualcosa da offrire.

    Il problema che levoluzione cui siamo andatiincontro non consiste solo nel nuovo tipo di interpre-tazione della legge economica che si basa sul vecchiobinomio domanda/offerta. necessario generarenuove leve che inducano a produrre non solo in fun-zione della domanda ma anche in funzione del feed-back creato dalle risposte produttive a questa doman-da. Con lbiettivo di anticipare nuove domande.

    Insomma: il binomio produrre secondo domandao domandare in funzione dellofferta non basta piperch non pi vero. Gli economisti devono trovarenuove strade pi rispondenti al nuovo mercato. A que-sto punto per necessario porsi nuovamente la doman-

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  • da: chi il cliente? Focalizzandoci sul chi, stavolta.Questo importante non solo per capire quale sia

    la domanda richiesta dal cliente ma per riuscire a pre-venire, come dicevo inizialmente, la domanda stessa.

    Per meglio dire: non necessario conoscere il clientesolo per rispondere meglio alle sue esigenze con prodot-ti specifici; dobbiamo poter riuscire ad interpretare -prima della concorrenza - i bisogni latenti o inespressi.

    Qualcuno accusa il marketing di essere cinico, digenerare cio bisogni spesso superflui; e con esso,ovviamente, la pubblicit.

    Lo pensavo anchio, in verit, molto tempo fa.Oggi invece questa mia convinzione rimane valida

    solo quando penso ad un marketing cattivo, fatto malecio e applicato peggio.

    Credo che un buon marketing ed una buona comu-nicazione possano in realt prevedere di cosa il clienteavr bisogno domani o in un futuro pi lontano.

    mia convinzione che bisogna credere in una fun-zione sociale del marketing e della pubblicit: linter-pretazione di bisogni latenti e inespressi pu - se gene-ra risposte adeguate - migliorare la nostra vita(1).

    Si tratta di saper ascoltare, di saper leggere i segnaliche il cliente ci manda. Credo quindi nella totale cen-tralit del cliente, anche in fase di generazione di nuovibisogni. La sfida , come sempre, tentare un processodi fidelizzazione, a mio avviso gi insita nel concettostesso di cliente.

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  • Nellaccezione latina il cliente era etimologicamenteil protetto dal dominus (2).

    Proteggere significa a mio avviso generare fiducia.Se si ha fiducia, si fedeli: alla persona, certo. Ma mi sipermetta di estendere questo processo anche al pro-dotto, al brand e di conseguenza allazienda. Se lacomunicazione pu contribuire - e sono fermamenteconvinto che possa contribuire - a generare una fortebrand loyalty avremo fatto almeno met del lavoro cheunazienda ci richieder nel nostro mandato.

    Ecco perch apprezzo molto la definizione di clien-te che danno gli avvocati. Provate a chiederlo al vostroamico avvocato: Chi , per te, un cliente?. Sono certoche vi risponder: Che domanda: il mio assistito!

    (1) Il rischio che per spesso si corre, e bisogna rico-noscerlo, che - soprattutto nel campo del fashion - il mar-keting generi e trasmetta, attraverso la leva comunicaziona-le, modelli e valori comportamentali, estetici/somatici,semiologici e concettuali che possono ingenerare nel clien-te un senso di inadeguatezza e di disagio. Egli percepisceinfatti tali modelli come inarrivabili, considerandoli per alcontempo come accettati e condivisi dalla comunit e per-tanto necessari allautoaffermazione e allaccettazionepresso la comunit stessa cui si fa riferimento. Questo pugenerare una reazione che si concretizza nellaccettazionee nel conseguente adattamento a quei determinati modelli,acquisendoli attraverso i beni che vengono ritenuti (omeglio che facciamo credere siano, proprio per venderli) isimboli identificanti (ed identificabili dallesterno) lo status

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  • e la conseguente appartenenza alla comunit/status.Pi spesso per si genera nel cliente, proprio per que-

    sta irrangiungibilit che provoca inadeguatezza e disagio,un processo di stress psicologico che pu portare - in alcu-ni casi - a vera e propria alienazione o a forme patologi-che riscontrabili nella realt.

    Pensiamo soltanto al nuovo concetto di donna rappresen-tato dalla moda e dalla musica (videoclip) attraverso luso dimodelle sempre pi bambine e sempre pi magre e la realiz-zazione di abiti ed accessori nati per questo tipo di donne.

    Sappiamo bene (in generale) cosa stia scatenando que-sto nuovo modello nella reazione psicologica negativa:depressione, anoressia solo per citare due esempi; nellareazione apparentemente positiva: ricerca della forma este-tica a tutti i costi, attraverso palestre (fitness), cure esteti-che, liposuzioni e lifting (anche in casi obiettivamente nonnecessari). Uninadeguatezza forse generata da valori sem-pre pi legati allapparire ma che debbono far riflettereanche chi opera nel marketing e nella comunicazione.

    (2) S, daccordo. Eravate curiosi, siete andati a verifi-care su un dizionario di latino (magari il Castiglioni eMariotti?) se fosse rispondente la traduzione che faccio dicliente e avete scoperto che questo termine poteva starea significare (per Cesare ed in senso spregiativo) sudditoo vassallo riferito alle popolazioni germaniche. Allora,dato che siete ancora pi curiosi siete andati a consultareun vocabolario della lingua italiana (lo Zingarelli, forse)che ci parla di cliente come colui che si avvale di beni oservizi generalmente dallo stesso professionista (in unrapporto continuativo, cio; tanto che si precisa subitodopo che il rapporto abituale). Sarete poi tornati suldizionario di latino e avrete constatato che per clientela siparla addirittura di alleanza. Ma allora, forse questo studio

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  • sul significato storico ed etimologico di cliente ci ha por-tato a qualcosa di ancora pi chiaro!

    2.2. Il marketing: ci che e ci che dobbiamo aspettarci da esso

    Analizzare i comportamenti di un figlio senza cono-scere il contesto in cui vive (ambiente ma soprattuttogenitori) per uno psicologo abbastanza difficile.

    Io non sono uno psicologo ma mi rendo conto cheparlare di comunicazione senza fare riferimento alnostro pap, impresa altrettanto difficile poich ilmarketing integrato fortemente con le decisioni stra-tegiche ed operative di comunicazione.

    La prima descrizione fatta formalmente di ci che siintende per marketing fu attribuita allAmericanMarketing Association in un periodo in cui il mondooccidentale industrializzato stava sprofondando in unbaratro (crollo della borsa a Wall Street del 1929) da cuisi sarebbe definitivamente ripreso parecchi anni dopo.

    Il marketing comprende la realizzazione delle attivi-t economiche che dirigono il flusso dei beni dal produt-tore al consumatore. Realizzare cio una serie di attivi-t che hanno lo scopo di rendere efficiente e rapido ilpassaggio del prodotto dalla fabbrica al consumatore.

    Una descrizione evidentemente lacunosa e abba-

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  • stanza fumosa, non certamente utile a spiegare cosa ilmarketing sia o dovrebbe essere in realt. Sta di fattoche c ancora qualcuno che crede che le attivit dimarketing siano prettamente operative e logistiche.

    La seconda descrizione formale sempre dellA.M.A.:Il marketing lesecuzione di unattivit economicache dirige il flusso dei beni, dal produttore al consuma-tore, cos da soddisfare nel miglior modo possibile ilconsumatore e raggiungere gli obiettivi.

    Entrano dunque in gioco soddisfazione del cliente eredditivit aziendale. Questa definizione costituiscedunque un passo avanti rispetto alla precedente.

    Negli anni 40, negli Stati Uniti il marketing diventail coordinamento di tutte le funzioni aziendali finaliz-zate al raggiungimento degli obiettivi. Le aziendecominciano a definirsi marketing oriented e questo provo-c i primi contrasti negli ambienti interni alle impresein quanto le altre funzioni fraintendevano in questadefinizione il concetto di marketing, sovrapponendoloalla funzione aziendale omonima.

    Sempre negli Stati Uniti (ma siamo ormai negli anni50) il marketing si propone di conoscere, diventandosempre di pi scienza specialistica.

    Esso diviene il metodo scientifico di analisi deifenomeni di mercato, intendendo per mercato ilcomplesso dei consumatori, della concorrenza e delladistribuzione.

    Lobiettivo delle aziende negli anni 60 era sempre

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  • di pi quello di garantirsi una sopravvivenza e possibil-mente uno sviluppo.

    Il marketing assunse sempre di pi una valenza stra-tegica divenendo analisi, organizzazione, pianifi-cazione e controllo delle risorse e delle attivit azien-dali rivolte ai consumatori con lobiettivo di ottenere imigliori risultati economici.

    Questo fu un momento molto importante in quan-to ci si rese conto di come la vita dellazienda fosselegata al mercato e quindi di quanto fosse ormai indi-spensabile confrontarsi con esso.

    Si comprese inoltre come, partendo dallottimizzazio-ne delle risorse interne, si potesse incrementare la capa-cit di raggiungere gli obiettivi e di gestire il successo.

    Questi sviluppi del concetto stesso di marketing edel suo ruolo hanno ovviamente inciso notevolmentesu quanto ad esso correlato. Hanno inciso sullorganiz-zazione aziendale ma anche sul processo strategico edoperativo del communication mix.

    Il marketing ha ormai un ruolo strategico ed un ruolooperativo. Il ruolo operativo gestisce la relazione prodot-to-cliente, mettendo in campo tutte le attivit che sirendono necessarie per ottimizzare il percorso che ilprodotto compie nei confronti del consumatore. Ilruolo strategico si occupa della relazione cliente-pro-dotto, regolando i fattori indicatori del prodotto infunzione delle esigenze, necessit, richieste del consu-matore. Questo schema si applica anche alla strategia di

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  • comunicazione. per questo che la ricerca sul target, sui mezzi, sul

    prodotto pre e post produzione, sul messaggio, sulfeedback che esso genera ormai fondamentale.

    Per concludere questo breve paragrafo su ci chedobbiamo cercare nel marketing sintetizzer dicendoche esso:

    a) Analizza il mercato;b) Definisce gli obiettivi;c) Individua le risorse;d) Realizza le attivit;e) Verifica i risultati.

    2.3. Il marketing come sonda: convincere od essere convinti dal cliente? Il ruolo del market research

    Come la penso personalmente nei riguardi del clien-te credo sia ormai piuttosto chiaro. Limportanza delsuo ruolo , direi, strategica ai fini di una corretta atti-vit di marketing e di una conseguente attivit di comu-nicazione. Mi ero ripromesso di passare su questi temia volo duccello e anche piuttosto velocemente, senzaentrare troppo nei dettagli tecnici delle questioni tratta-te. Pur nella lunghezza dei precedenti paragrafi credo

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  • di avere mantenuto la promessa.La domanda cui per non ho ancora dato una rispo-

    sta : Chi il cliente?Questa domanda , ovviamente, di carattere provo-

    catorio e serve da stimolo a guardare sempre fuoridalle mura delledificio in cui lavoriamo.

    Potrei rispondere pirandellianamente: Uno, nessu-no e centomila. un concetto comunque, al di ldella facezia, che ha un suo senso e in cui sostanzial-mente credo.

    Il marketing ha gi a disposizione qualche rispostafornita dallo studio di modelli comportamentali chehanno generato standard quali i quattro stili di vita diSinottica, divisi nei cinque macro raggruppamenti (perintenderci i famosi delfini, massaie, studenti, colleghe, arriva-ticitati in ordine sparso).

    evidente che questi standard possono avere unvalore culturale per chi opera nel settore nonch unvalore importante come base di partenza o, meglio, diorientamento (rientrano nel discorso anche le ricerchesociali condotte da ISTAT, Eurisko).

    Non possono per assolutamente essere pi conside-rati strumenti sufficienti a fornire le risposte che unazien-da cerca e di cui (diamo per scontato) senta il bisogno.

    Una sonda. Il marketing deve sempre di pi diven-tare una sonda che scava in profondit, alla ricerca dielementi nuovi che possano essere interpretati e utiliz-zati per i propri fini.

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  • Non ho mai lavorato alla Gallup ma, come il gran-de maestro Ogilvy che invece lo ha fatto, sono ferma-mente convinto che non bisogna mai stancarsi di effet-tuare ricerche. Prima e dopo la realizzazione di un pro-dotto o di una campagna pubblicitaria. Soprattutto prima.

    Indagini motivazionali, quantitative, analisi: tuttistrumenti che gli statistici conoscono a menadito ma dicui devono servirsi sempre di pi gli uomini del mar-keting (e della comunicazione: vedremo in che modo).Senza dimenticare, per chi opera nella comunicazionemirate indagini antropologiche avvalendosi della scien-za della psicolinguistica (che analizzeremo pi avanti).

    Come diceva sempre quellex aiuto cuoco dhotel, isoldi spesi per una ricerca sono sempre un ottimo inve-stimento. Ne fanno risparmiare, se ben utilizzata,molti, ma molti di pi.

    Non conoscere approfonditamente il proprio tar-get; non cercare di avere suggerimenti da quel target;buttare via un prodotto perch non funziona; buttarevia una campagna pubblicitaria perch non compren-sibile, fuori obiettivo, fuori target: sono tutte cose checostano, in termini di budget ed in termini di tempoche poi, per unazienda, vogliono dire la stessa cosa.

    Perch gli altri invece si muovono, si posizionano, siriposizionano, creano nuovi prodotti, fanno comunica-zione, vendono e soprattutto fanno tesoro dei nostrierrori facendo bench-marking.

    Per rispondere alla domanda iniziale del paragrafo:

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  • convincere o essere convinti dal cliente? Dir usandounantinomia: convincere si pu solo se siamo convin-ti di essere stati convinti.

    Vale a dire: per riuscire a convincere il cliente dellabont, della convenienza, di quantaltro riguardi il pro-prio prodotto/servizio inducendo il cliente stessoallacquisto, bisogna essere certi di avere utilizzato tuttele informazioni che il cliente pu darci, di averle inter-pretate nel modo giusto. Ecco spiegato il senso diessere convinti dal cliente. Banale? Chiss.

    La ricerca non la panacea ma ci fornisce utili indi-cazioni su dove vada il mercato, il cliente, le sue abitu-dini, i suoi gusti.

    Ci dice:a) in quale contesto operiamo;b) se il nostro target di riferimento sempre tale;c) se si rende necessario segmentare la nostra clien-

    tela in nuovi modi;d) quale percezione abbia di noi, del nostro prodot-

    to il cliente potenziale;e) quali leve individuare per aggredire la concorrenza;f) quali leve individuare per difenderci dalla concor-

    renza;g) in quale contesto si muovano le altre aziende con-

    correnti (e quelle che non lo sono ancora ma potrebberodiventarlo nel momento in cui si rendessero conto che ilbusiness si fa in casa nostra);

    h) in quale direzione si muovano;

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  • i) perch (previsionalmente) si muovano in unacerta direzione e non in unaltra;

    l) in che modo intendano muoversi o si stiano muo-vendo;

    m) quali potenzialit inespresse possiede il mercato

    Ma quali ricerche effettuare? Rimando alla lettura diG. Corigliano nel suo Le 4 sfide, tratto da Media Key118 del 1992.

    Egli traccia una distinzione tra marketing strategicoaziendale, marketing strategico di prodotto e marketingoperativo di prodotto. Ognuno di essi ha determinatiobiettivi ed esigenze: per conseguire tali obiettivi erispondere a tali esigenze il ricercatore ha a disposizionedeterminati strumenti che lautore descrive nel dettaglio.

    Signori, si potrebbe allungare questo argomentoallinfinito perch infinite sono le possibilit, le oppor-tunit e pericolosi, soprattutto, i rischi cui potremmoandare incontro. La nostra, potremmo considerarlacome una vera e propria partita a scacchi.

    Non a caso, in questo gioco che amo e che consigliodi praticare a tutti i futuri marketing manager (dopoaver fatto una capatina al mercato, non dimenticatelo)si fa spesso riferimento a strategie. Pensate che duran-te la partita si proceda con una strategia soltanto? Non possibile, a meno che lavversario che avete di frontenon sappia giocare a scacchi!

    Egli avr le sue strategie e voi dovrete capirle e pos-sibilmente prevenirle.

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  • Avete una serie di pezzi a disposizione e un grannumero di variabili di cui tenere conto prima di muo-verne uno. Le variabili (le vostre e quelle dellavversa-rio) sono le informazioni fornite dalla ricerca; i pezzisono gli strumenti per conseguire i vostri obiettivi.

    Attenzione: le variabili ve le fornisce la ricerca. Sta avoi scegliere, per la mossa giusta.

    Non affatto detto che la regina sia il pezzo piimportante. Ho visto giocatori esperti vincere con unpedone(1). Evidentemente avevano unottima strategiadi gioco.

    Non forse vero, come affermavano Al rice e JackTrout, che il marketing guerra? Anche se personal-mente credo in un approccio diplomatico al cliente,ebbene: la storia insegna che una grande strategia puportare un manipolo di uomini alla vittoria su grandieserciti. Basta pensare a come le trib arabe conquista-rono il potente impero bizantino: 18.000 combattenticontro 150.000 soldati addestrati. Talvolta sarebbeopportuno che anche quei politici troppo convinti nel-luso della guerra con la finalit di risolvere conflittipolitici e sociali ricordassero i vichiani corsi e ricorsistorici.

    Tornando al nostro tema, quante piccole aziende,adeguatamente guidate, hanno avuto la meglio susociet elefantiache negli ultimi ventanni?

    Sono sicuro che ognuno avr in mente parecchiesempi a riguardo.

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  • (1) Questo discorso vale anche per la scelta del giustomedia mix di campagna. Non sempre detto infatti che chi pispende meglio spende. Si possono ottenere ottimi risultati (nonsolo in termini di memorabilit ma anche di vendita) ancheavendo a disposizione una limitata disponibilit di budget.

    2.4. Il prodotto/servizio: limportanza di avere gli attributi

    S, avete letto e compreso bene: attributi! Chesenso ha parlare di prodotto con gli attributi in unlibriccino sulla comunicazione? Presto detto.

    Quante volte vi capiter che, laddove un prodottopresenti delle debolezze, vi verr richiesto pi o menoconsapevolmente di sopperire con la comunicazione?

    Come? Esaltando con messaggi punti di forza che ilprodotto non ha.

    Ma capita davvero che un prodotto sia debole? Eccome. Tutto si riconduce, a mio parere, ad una

    mancata o poco efficace ricerca sulle variabili di cuiabbiamo parlato, indispensabili non solo per conseguiregli obiettivi di marketing ma, a monte, per realizzare unprodotto che abbia una sua forza intrinseca a prescinde-re da come verr comunicato e se verr comunicato.

    Il marketing strategico di prodotto, che ha qualiobiettivi lo sviluppo di nuovi prodotti ed il loro posi-zionamento, deve utilizzare correttamente gli strumen-

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  • ti a sua disposizione (ricerche creative o ideative, pro-duct test ecc.). Lo stesso discorso vale a cascata ancheper il marketing operativo.

    Il concetto di USP, Unique Selling Proposition di ree-vesiana memoria partiva, a mio avviso, da questopunto: individuare un motivo (uno solo, non barate!)per cui quel prodotto non pu che essere il prodotto.

    Oggi forse lUSP un poco superata ma un suosenso ce lo ha avuto e ancora ne ha, per correggererisultati di reparti di produzione troppo autoindulgentio mal supportati. La comunicazione (tra cui ladverti-sing) pu fare molto a riguardo tranne che mentire.Sarebbe troppo controproducente barare.

    Ricordiamoci del feedback generato dalla comuni-cazione ma soprattutto da un processo di fidelizzazio-ne che pu interrompersi sul nascere proprio perchchi comunica (lazienda, non un reparto di pubblicit!),agli occhi del cliente, mente.

    Non stiamo parlando in questa sede propriamentedi pubblicit ingannevole nel senso che conosciamo ea cui molte compagnie telefoniche ci hanno negli ulti-mi tempi abituato. Parliamo pi specificamente di arti-fici creati, su richiesta, dalla comunicazione tali per cuiil prodotto appaia per quello che in realt non .