Socrate non è Elisa, però...
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Francesco Tampoia
Socrate non Elisa, per...
Firenze Atheneum1994
2a Ed. riveduta e corretta 2011
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Indice
Cultura materiale e logos in Grecia
Oralit, manoscritti, stampa
Dalla Seinfrage alla Frage nach der Technik
Socrate non Elisa, per...
Verso una societ delle menti
Postfazione
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PREFAZIONE
We are well on the way to see conversation as the ultimate
contest within which knowledge is to be understood. R.
Rorty.
Quando si avverte in modo chiaro e diffuso il tramonto di schemi mentali, di
ideologie, di saperi, la crisi di contenuti e aree semantiche, giusto il logorio
inarrestabile del tempo, d'obbligo cambiare i dizionari, mutare il lessico e collocare
determinata produzione intellettuale in altre collane o schede dall'etichetta non
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ancora stampata come "insiemi discorsivi", "materiali per la conversazione del XXI
secolo", produzione di cui non si conosce con precisione n il percorso n l'approdo.
il modo, forse non del tutto nuovo, d'industriarsi alla ricerca di labili contenitori,
di ri-trovare, ai margini dell'universo babelico dei saperi, delle frasi, dei linguaggi,
dei nessi, dei codici che abbiamo dinanzi, alla ricerca di un appoggio qualsiasi, senza
impegno, di una direzione, di un senso.
A volte con maggiore, a volte con minore energia e fortuna fu questo il ruolo della
filosofia, prima confusa nel vasto orizzonte del conoscibile, poi emer sa nella
classificazione enciclopedica, composta per contenuto e metodo in modo specifico,infine travolta dalla rottura di argini e steccati, costretta a fluttuare tra
antropologia, sociologia, storia delle idee, mito, religione, arte, scienza, tecnica,
morale, politica, letteratura, sempre pi oggetto di spinte centrifughe, cui non
furono o sono estranee la frequenza delle reti informative, la sovrabbondanza della
divulgazione.
Con piena consapevolezza, accurata analisi, poetico sentire, I. Calvino nei suoi
ultimi scritti ha rappresentato la condizione dell'intellettuale del nostro tempo come
uomo "senza qualit", "senza direzione", che avverte di essere parte infinitesima di
un moto ondulatorio tra una precaria unit (senso di inclusione) e la sfuggente
parzialit (senso di esclusione), tra il pezzo, la parte, il dettaglio e l'ipotetica
globalit. La regola del signor Palomar a poco a poco era andata cambiando; adesso
gli ci voleva una gran variet di modelli, magari trasformabili l'uno nell'altro
secondo un procedimento combinatorio, per trovare quello che calzasse meglio su
una realt che a sua volta era sempre fatta di tante realt diverse, nel tempo e nello
spazio.1.
In tempi andati, di positivistica o neopositivistica memoria, il quadro culturale
appariva meno smembrato. Per orientarsi "nel mondo degli uomini e della vita" si
poteva ricorrere all'antropologia culturale, ad alcune definizioni di cultura come, ad
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esempio, quella di C. A. Elwood [la cultura comprende]da un lato, la totalit della
civilt materiale dell'uomo: utensili, armi, abbigliamento, ripari, macchine, e persino
sistemi di produzione e, dall'altro tutto quello che civilt non materiale o spirituale:
linguaggio, letteratura, arte, religione, rituale, morale, legge e governo. 2Chiara o se
si vuole schematica messa a punto di un concetto e di una disciplina che poi ha dovuto
rendere pi deboli e labili gli scomparti con il mutamento dei campi disciplinari e
delle tecniche di ricerca. O quella dell'ormai lontano 1948 di A. L. Kroeber la cultura
potrebbe definirsi come l'insieme di tutte le attivit e i prodotti non fisiologici delle
personalit umane che non siano automaticamente riflessi o istintivi. Il che a sua
volta significa, in linguaggio biologico e fisiologico, che la cultura consiste di attivit
condizionate o apprese (pi gli artefatti da loro prodotti); e l'idea dell'apprendimento
ci riporta a ci che si trasmette socialmente, a ci che si riceve dalla tradizione: a ci
che acquisito dall'uomo come membro della societ 3, definizione che, dettata dalle
teorie prevalenti al momento, va almeno rivista per la cesura tra il fisiologico e il non
fisiologico, tra il materiale e l'immaginario, tra il culturale e il naturale.
Oggi la dicotomia natura/cultura sembra una querelle d'altri tempi, completamente
svanita per la pi accreditata, probabile ipotesi che non l'evoluzione del cervello che
ha sviluppato l'abilit culturale e tecnica, ma, al contrario, l'evoluzione del nostro
sistema nervoso deve molto ai processi di adattamento dell'apparato locomotorio e/o al
precoce uso di prolungamenti artificiali del corpo, ossia di manufatti e di tecniche.
Detto altrimenti, cervello e corpo, motilit e intelligenza, corpo, ambiente e manufattisi sarebbero sviluppati seguendo un intreccio inestricabile.
Qualche anno fa, con tratti si direbbe conclusivi, G. Prodi scriveva su "Intersezioni":
Si propone un'analisi (con gli strumenti culturali oggi a disposizione) della
struttura umana, per dimostrare che il dissidio non sussiste, che non mai esistito
nella realt e che quanto stato nella storia fu frutto di un equivoco culturale,peraltro inevitabile.4 Senza l'intreccio di natura e cultura, uomo e ambiente, del
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resto, non ci dato di capire il decisivo passaggio e l'acquisizione di una pi evoluta
competenza linguistica; non saremmo in grado di valutare le condizioni che hanno
portato alla regolarit del linguaggio e allo sviluppo formale, non comprenderemmo la
funzione comunicativa, comune ad altre specie animali, non saremmo in grado di
intendere, infine, la funzione astrattiva e la trattazione, su un piano mentale, di
oggetti di cui l'uomo non ha esperienza diretta o che non esistono. Non potremmo
immaginare quella vera e propria mutazione della specie dalla quale l'uomo ha potuto
instaurare nessi reali o irreali tra mondo e societ, intessere speciali relazioni con i
suoi simili, differenziare e unificare l'esperienza, la natura delle cose. Accanto alle
difficolt dell'antropologia, per linee interne, oggi vanno registrate quelle di ordine
teoretico e fondazionale o se vogliamo dall'esterno, i cui rappresentanti sull'onda
lunga del pensiero di Nietzsche e Heidegger praticano il metodo della decostruzione e
del sospetto, metodo che ha portato all'estinzione del cogito, alla negazione della
centralit dell'uomo, alla fine dell'umanesimo.
Alcuni messaggi provenienti dagli ultimi scritti di R. Rorty, alcuni stimoli dallalettura di M. Foucault, l'ascolto del complesso, intricato dibattito ermeneutico non
potevano non farsi sentire, certo molto liberamente, durante la stesura di questo libro,
nato come tentativo di riscrittura o raffigurazione archeologica di segmenti di storia e
di pensiero, tecniche linguistiche, stati metamorfici, istanze di ieri e di oggi per finire
con il tentativo di prefigurare la futuribile societ delle menti, umana e artificiale.
Il libro stato scritto in parte utilizzando il registro narrativo e argomentativo, in
parte la tecnica del dialogo, arte antica e moderna, usata anche dagli studiosi di I. A.,
last but not least, nelle pi clamorose e fortunate sperimentazioni. una tecnica di
comunicazione, quella dialogica, un modo di vivere e di essere che ha contrassegnato
lo svolgimento della civilt occidentale, cui si richiamava L. Pareyson: la filosofia
crea il dialogo, perch nell'atto stesso che moltiplica senza fine le interpretazionipersonali della verit, le unisce tutte nella consapevolezza di possedere la verit senza
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esaurirla, ma anzi alimentandosene continuamente.5 stata suggerita da G.
Gadamer quando ha evidenziato le "ragioni pratiche" che ne sarebbero alla radice,
come il parlare umano comporti un rapporto bipolare con l'altro, un rapporto di
amicizia, sorretto da volont buona per essere compresi e comprendere, un rapporto di
solidariet che si consegue appunto con il dialogo. Il fatto nuovo che tra i dialoganti
abbiamo per la prima volta la macchina, il computer, uno dei personaggi pi
problematici e ambigui del nostro tempo.
Alle origini della civilt greca, ispirata dalla religione, dal mito, da forme di cultura e
apprendimento empirico ma anche razionale, regnava una visione dell'universo come
insieme di elementi fisici e psichici, di vita e di morte, di essere e non essere, alternarsi
di un'incerta unit nella molteplicit, unione di elementi simili e anche dissimili,
proporzionata, ma anche mostruosa. La narrazione mitologica, i sapienti avevano
parlato di bovina prole con volto umano, di esseri umani con volto bovino, di esseri
con caratteri a un tempo di maschio e femmina. L'umanit greca viveva in uno stato
di ambivalenza, di paura, nella consapevolezza di essere oggetto di trasformazioni, di
incarnazioni diverse, ma percepiva anche la funzione agta, in questi scambi o
interscambi dei vari elementi naturali, dalla cultura e dalla tecnica. Scopr ancora
tra fusis e abilit tecniche il valore operativo del logos, come in sua presenza operano
i sensi, si producono modi, azioni, come per mezzo della sua funzione mediatrice si
manifesta la conoscenza, la volont, il fare. Il sapiente sa che le tecniche non vannoconfuse con l'empiria, sa che hanno un valore conoscitivo oltre che strumentale, sa
che spesso come nel volo di Icaro o nel caso del Minotauro s impongono con
ardimento, ai confini della mostruosit, con artifizi che sostituiscono la natura e la
modificano, sa che comportano dei rischi, mettono l'uomo di fronte all'ignoto. Nella
Repubblica di Platone spesso affiora la dicotomia tra tecnici e filosofi e l'implicito
interrogativo: possono i tecnici pensare? Possono i filosofi essere tecnici? I sofistihanno esaltato la propria tecnica, l'arte retorica ma Platone ha reagito convinto di
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dover assegnare dignit e valore solo a tecniche che si praticano con spirito
epistemico e con finalit etiche. Nel Gorgia dice che la retorica agisce a livello di
pistis, mentre ci che rende valida un'arte o tecnica il piano oggettivo, quello del
sapere, la sua base logica. L'analogia fatta da alcuni tra l'opera del retore e il medico
da lui contestata per il semplice motivo che l'arte medica, per essere tale, non pu
che avere un fine buono e positivo mentre la persuasione retorica non soddisfa i
requisiti di una vera techn. quanto si comprende leggendo il Filebo, laddove
Platone si riferisce al mito di Prometeo e al fuoco, la metafora del fuoco, che vuol
significare luce, capacit di vedere le parti nel tutto, tecnica di scoprire il molteplice
nell'unit. O quanto si pu intendere, per altri versi, nel Fedro ove al dio Theuth
sono attribuite numerose invenzioni e tra queste la discussa tecnica della scrittura.
Theuth pubblicizza il prodotto, ma non convince perch la scrittura appare un
rimedio che potrebbe sortire effetto inverso al beneficio, essere un farmakon nefasto
perch estraneo alla natura dell'uomo che pretende soccorrere. La scrittura, parlare
silenzioso, muto e morto, rimedio e tecnica, artificio, apparenza di logos
ingannevole protesi. Per quanto riguarda il posto e la funzione della scrittura
nell'opera e nel pensiero di Platone, secondo l'interpretazione derridiana Platone
avrebbe voluto evitarsi l'uso della scrittura, ma non ha potuto, perch la scrittura
non solo tecnica, la condizione della dialetticit dell'essere platonico, il
raddoppiamento del logos, la scrittura ha un valore epistemologico, ontologico,
tecnologico; la possibilit di parlare e di tacere, di venire alla luce e di nascondersi,
evidenzia "la differenza originaria" del tutto. Forse pi attendibile l'ipotesi che la
scrittura, veicolo del logos, forma del sapere, strumento del pensiero post- parmenideo
metaforizzato con la grammatik, rientri nel gioco dialettico dei misti. Platone,
diversamente da Parmenide, ha posto la dicotomia oralit/scrittura in un quadro pi
ampio, il quadro delle scienze e delle tecniche, della dialettica e della morale, dell'uomo e
dell'universo, del sapere e della virt, un aggregato in cui si snoda la molteplicit.
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Il rimando metaforico, simbolico, archeologico, epistemologico tra oralit e scrittura
s'impoverisce ma anche si arricchisce durante il Medioevo, quando la ripresa culturale
recupera la scrittura, la esalta, la considera una tecnica intellettuale che pu essere
designata con la metafora, vivace e popolaresca, dell'arare dei campi. La tecnica della
scrittura, i suoi strumenti, possono significare proprio questo, in contrasto e affinit con
la parentela semantica dell'arare e l'exarare, gi proposta da alcuni autori classici,
coltivare i campi del sapere. Il Basso Medioevo vede migliorarsi la tecnica della scrittura,
vede crescere la produzione di libri fino alla rivoluzione inavvertita della stampa che si
realizza mediante un transfert tecnologico, utilizzando, cio, tecniche incrociate
dell'oreficeria e dell'industria vinicola dei torchi. Gutemberg ne l'inventore tecno-logo,
Koberger, Manuzio e altri gli industriali che la perfezionano e la diffondono in tutta
Europa. Ma qual il rapporto tra i filosofi e le macchine? La tecnica della stampa, certo,
ha valore non solo estrinseco, va situata in uno spettro concettuale altro, dal grafismo
alla parola, dalla parola al grafismo, perch il linguaggio in natura, negli animali, nelle
piante, nell'universo, di cui la forma ultima. Galileo, parlando del gran libro della
natura, lo interpreta come libro prodotto meccanicamente a stampa e pensa che lo scritto,
come pi esplicitamente dir M. Foucault, ha preceduto il parlato, nelle cose,
costituisce oggetto di episteme archeologica. Se tra Platone e Socrate emersa la
divergenza scrittura-oralit, nel Cinquecento affiora la dicotomia scrittura a mano-
stampa. I diversi partiti hanno proprie argomentazioni, il dibattito in alcune sedi
acceso, mentre per alcuni decenni la rivoluzione della stampa passa quasi inosservata. Il
successo non pu mancare perch la stampa in armonia con il tempo, la civilt del
tempo, conforta la razionalit matematica e meccanica trionfante, illustra meglio la realt
che la nuova scienza va indagando, offre la possibilit di manipolare gli oggetti, di
spostarli con estrema facilit. Una riflessione pi radicale sulla stampa o su altre
invenzioni tecniche richiede, tuttavia, approfondimenti, analisi di ben diversa fattura, un
riesame dell'intera civilt occidentale. quanto ha fatto M. Heidegger giudicando lanostra epoca come epoca della tecnica, estremo esito della storia, ultimo atto della scena
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metafisica. Per Heidegger pensare la tecnica, oggi, l'unico modo di riportare l'umanit
a prendere coscienza del proprio destino, di intendere il senso della vita e della morte, di
aprirsi all'Essere e alla Verit. Heidegger scopre o riscopre il nesso, la compresenza di
fusis-logos-techn, il valore intrinseco della tecnica, ignorato da molti suoi
contemporanei, quando dice che la via regia per capire l'essenza della tecnica quella
di pensare ad essa, riflettere su di essa in modo radicale: Non possiamo esperire
veramente il rapporto con l'essenza della tecnica finch ci limitiamo a rappresentarci
la tecnica e a praticarla, a rassegnarci ad essa o a fuggirla. Restiamo sempre
prigionieri della tecnica e incatenati ad essa, sia che la accettiamo con entusiasmo, sia
che la neghiamo con veemenza. Ma siamo ancora pi gravemente in suo potere
quando la consideriamo qualcosa di neutrale. E tuttavia la sua impostazione non
soddisfa, sa di conservatorismo, venata di nihilismo. Nelle fasi di storia dell'umanit
ad economia primitiva la tecnica e la natura si armonizzano, la tecnica asseconda la
natura; nella civilt contemporanea la tecnica consiste soprattutto nell'accumulo di
energia, nella traduzione delle fonti naturali in fondo energetico disponibile. Ma, la
tecnica del nostro tempo va ricondotta a quella arcaica, perch anch'essa un modo
del disvelamento, il suo produrre, il suo tirar fuori il nascosto aletheia. E comunque
il disvelamento non pu essere opera della tecnica da sola, la macchina fino alla
modernit ferraglia e resta tale, il disvelamento accade nell'uomo e con l'uomo.
All'ipotesi che l'uomo non faccia pi parte del Bestand e quindi all' ipotesi della
strumentalizzazione dell'uomo stesso, divenuto artificio o macchina, all'ipotesi della
sua fine Heidegger ritiene di poter affiancare l'altra per cui ogni disvelamento viene
dal libero, va verso il libero e porta nel libero.
Qualche anno dopo la comparsa del computer, con lo sviluppo abbastanza sostenuto
di studi sull'I. A. abbiamo assistito a un acceso dibattito, ancora in corso, tra
rappresentanti dell'orientamento forte dell'I. A. e rappresentanti di un'ipotesi deboledell'I. A. nel ridurre o accentuare lo hiatus esistente tra mente e macchina, tra
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linguaggio naturale e artificiale. Il procedimento comparativo per analogia e
diversificazione applicato su due dialoghi, il Menone di Platone e il Programma Elisa
di J. Weizembaum, evidenzia la differenza tra Socrate ed Elisa, ma solleva una serie di
problemi perch dietro la macchina, tra macchina e uomo si nascondono sensi,
significati, rapporti, il valore del computer come raddoppiamento umano, differimento
dell'uomo, la concorrenzialit dell'I. A. verso l'uomo.
I pi recenti risultati della ricerca, il dibattito filosofico che ruota intorno, hanno
riproposto in termini nuovi i problemi, quello che soprattutto un problema lessicale
per l'irruzione di nuovi termini, la definiz ione di intelligenza, i concetti di
informazione e comunicazione. E tuttavia il progresso della tecnica, la migliore
comprensione dell'I. A, il fatto che essa avvicina il computer all'uomo non potranno
mettere in ombra o escludere i limiti e dell'uomo e delle macchine, l'eventualit della
fine e dell'uno e delle altre.
L'ipotesi della convivenza, avanzata in questo saggio, prefigura empiricamente unasociet delle menti o metamorfosi delle menti, che comporta una societ in cui l'uomo,
novello Hermes, l'uomo tecno-logo del dialogo e dei dialoghi accetta e vive un contesto
di partecipazione o compartecipazione , si rende conto che con la macchina, con il
computer si instaura una relazione informativa ma anche comunicativa, si realizza una
nuova oralit, un nuovo tipo di dialogo o conversazione.
l'ipotesi, sorretta da convincimenti ermeneutici, che svolge un discorso anormale dal
punto di vista del discorso normale e viceversa un discorso normale da un punto di
vista anormale, meno filosofica e scientifica e pi letteraria. Discorso e conversazione
cui hanno offerto materiali, tra i tanti, Dedalo, Gorgia e Platone, Petrarca e
Malpaghini, Gutemberg e Trithemius, Heidegger e Adorno, Minsky e Bateson,
Hofstaedter e Searle. Si tratta di un discorso, ha suggerito Jacques Derrida, peraffrontare la questione della tecnica come caso particolare della scrittura.
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NOTE
1)I. Calvino, Palomar, Einaudi, Torino 1983, p.112.
2)C. Kluckholm, A. L. Kroeber, Il concetto di cultura, Il Mulino, Bologna 1982, p.
177.
3)Ivi, p. 112.
4) G. Prodi, La cultura come ermeneutica naturale, in "Intersezioni", primo aprile
1988, p. 27.
5) L. Pareyson, Verit e interpretazione, Mursia, Milano 1971, p. 209.
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Cultura materiale e logos in Grecia
Vuoi tu che io, quasi come portinaio spinto e costretto
dalla folla, spalancate le porte, lasci entrare tutte le scienze,
lasci mescolarsi insieme alla pura quella pi impura di
esse? e Protarco: Io non so proprio, Socrate, quale danno
patirebbe uno che avendo le scienze superiori, acquistasse
pure tutte le altre. Platone, Filebo.
Ci che si avverte nella concezione naturalistica di Empedocle, fiorito in un
momento gi evoluto della civilt greca, quando come prima forma di vita sulla
terra si pone, sulla scorta degli altri presocratici, l'acqua, l'aria, la terra, il fuoco e
poi gli alberi, gli animali, e con questi il perenne modificarsi della vitadall'indistinto al distinto, il passaggio e la metamorfosi da forma a forma riguarda
l'uomo, la sua definizione, la comprensione, cio, della vita tra mito e logos, in un
fluido aggregato, incerto al suo interno che non consente partizioni sicure, che
oscilla tra instabilit biologica e anatomica, tra divino e umano, animalesco,
bestiale, razionale. Empedocle, tra i sapienti presocratici, appare il pi suggestivo
perch si presenta come medico e come dio, uomo speciale cui tutti corrono per
chiedere oracoli, cure mediche, rimedi ai mali della vita. Di lui L. Gernet ha
scritto: II complesso di questi tratti ricorda curiosamente una figura che
l'etnologia ci ha reso familiare: uno dei soggetti principali del Ramo d'oro quello
della regalit il cui detentore responsabile della prosperit materiale del gruppo
perch ha il potere di comandare agli elementi, perch depositario di unapotenza magica e infine perch , egli stesso, un dio.1 il sapiente che parla di
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incarnazioni privilegiate che spetterebbero a indovini, poeti, medici, principi, che
si atteggia a re e mago, che domina il volgo perch capace di controllare le forze
della natura. Questo non deve meravigliare perch la credenza arcaica secondo
cui determinati uomini avessero poteri fuori del comune fu diffusa in parecchie
societ affini, quale pi quale meno, alla Grecia preistorica e che sono societ
indoeuropee: analizzando la rappresentazione mitica delle diverse attivit sociali
dei latini, degli ind, degli iraniani, e di altri popoli ancora, si sono trovati i tre tipi
del guerriero, del mago, di colui che d nutrimento dove i primi due sono ad un
tempo in un rapporto di opposizione e di collaborazione.2Empedocle incarna un
po' i tre tipi o almeno il secondo e il terzo con l'aggiunta di quello del filosofo, di
un uomo-dio che sente la "mescolanza" della materialit e della cultura, la forza e
il mistero del logos. La mescolanza che scopre insieme di elementi fisici e
psichici, di vita e di morte, di essere e non essere, alternarsi di un'incerta unit
nella molteplicit, unione di elementi simili e anche dissimili e alternativi,
proporzionata, ma anche mostruosa: capitava cos che nascessero molti esseribifronti e con due petti opposti, bovina prole con volto umano, e al contrario
capitava che venissero fuori esseri umani con volto bovino, e altri esseri ancora
con caratteri di maschio e femmina a un tempo, forniti di entrambe le parti che si
celano (B 61). Questi casi noti alla narrazione mitologica fanno testo nelle
spiegazioni e argomentazioni di Empedocle e pongono interrogativi cui il filosofo
sa dare risposte, anche in prima persona Io fui gi un tempo giovane e ragazza ed
anche pianta e uccello e muto pesce che salta fuori del mare (B 117), laddove si
immagina soggetto di trasformazioni, di incarnazioni diverse, memore
dell'originaria bisessualit dei viventi, soggetto consapevole che in questi scambi
o interscambi, governati dalla natura, si frappone anche l'attivit tecnica, come
osserva il Vegetti: Allandirivieni tra uomo e animale, animale e uomo non si
attribuisce razionalit fuori la sola possibilit naturale di scambio prevista in un
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universo coeso le cui parti sono sempre in comunicazione, s'interpone la tecnica
che non materiale inerte, bens patrimonio secolare di conoscenze da riportare
nell'enciclopedia del sapere.3
Ma, la posizione dell'uomo nella natura, il posto che occupa o pu occupare
diverso quando il sapere abilita il sapiente a sospendere le leggi naturali, a
eseguire miracoli. Il sapiente esplorando la natura ne scopre le forze nascoste e
pu produrre effetti apparentemente ad essa contrari, non nel senso di
soprannaturali bens nel senso di straordinari conoscerai quanti sono i rimedi dei
mali e il riparo della vecchiaia: per te solo, infatti, compir tutte queste cose.
Placherai l'impeto dei venti infaticabili che, levandosi sulla terra, con i loro soffi
inaridiscono i coltivati e di nuovo sol che tu lo voglia, potrai chiamare indietro i
loro soffi; dopo la nera pioggia agli uomini propizia siccit darai, e dopo l'arsura
estiva piogge che fanno prosperare le piante, abitatrici delle plaghe celesti. Il
vigore di un uomo morto saprai richiamare dall'Ade (B 111, Sulla natura).
ancora il saggio, lo sciamano che parla, l'uomo che era mago e sapiente, pensatore
ed esperto di tecniche. La scuola eleatica arroccata sull'immobilit dell'essere,
muovendo da forti istanze ontologiche aveva sferrato il pi potente attacco alla
trasformazione, al divenire e ovviamente alle tecniche che la trasformazione
assecondano e accelerano. Queste rientravano nei divieti del terribile Parmenide.
Il medico Empedocle, invece, non pu rinunciare a strumenti che, se non riesconoa debellare del tutto l'infelicit umana, congiunti a requisiti mistici e filosofici,
perdono la loro presunta innaturalit e provvisoriet e rendono migliore
l'esistenza, la scoperta del giusto senso della vita. La complessit e totalit della
fusis confermata in altri frammenti ove si afferma che ogni essere esperto per
natura nelle attivit che riguardano la parte o organo del suo corpo in cui la
mescolanza degli elementi fondamentali (le radici) che costituiscono l'universo,
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dato che proprio la complessit degli elementi e la loro presenza destina e ordina
la diversit e la validit delle capacit umane.
Democrito in modo pi consapevole avvicina le tecniche alla natura, le unisce adessa e pu giudicarle legittime, dignitose, "naturali", allo stesso modo si
pronuncia, stemperando i miti, Anassagora. Per Anassagora l'uomo debole e
indifeso verso i fenomeni naturali e verso gli animali, meno veloce, morde e
lacera meno profondamente, ha meno forza di altri animali; ma grazie al sapere e
alle tecniche riesce a sopravvivere, capovolgendo gli svantaggi iniziali, e supera
tutti gli altri esseri. L'uomo fornito di mani; sono queste che gli permettono di
essere il pi intelligente degli animali: Ci significa che il modello di uomo che
Anassagora ha di fronte l'uomo che ha le mani e le usa, cio l'uomo tecnico che
proprio in quegli anni in Atene si imponeva a pieno titolo nel contesto sociale. In
tal modo con questa concezione anassagorea il lavoro manuale era non soltanto
rivalutato, contro una tradizione aristocratica che lo disprezzava, e collocato su un
piano di uguale dignit con le altre attivit lavorative, ma era addirittura posto in
primo piano come contrassegno costante dell'umanit.4
II mito racconta che la natura volle proteggere l'uomo per il mantenimento della
specie e lo forn, tra l'altro, di metis, insieme di varie e molteplici abilit, di
intelligenza tecnica e di astuzia: la scienza di Atena e di Efesto, di Ermes e di
Afrodite, di Zeus e di Prometeo, una trappola per la caccia, una rete per la pesca,
l'arte del panieraio, del tessitore, del carpentiere, l'abilit del navigatore, l'intuito
del politico, il colpo d'occhio esperto del medico, le astuzie di un personaggio
scaltro come Ulisse, il capovolgimento della volpe e la polimorfa del polipo, il
gioco degli enigmi e degli indovinelli, l'illusionismo retorico dei sofisti.5 la
natura, quindi, che ha conferito all'uomo la capacit di reagire a situazioni
disparate e imprevedibili, di comportarsi ed esprimersi in modo ambiguo,
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impreciso, ma anche esatto e rigoroso, unico mezzo per operare e vivere in un
mondo illimitato e vario, governato dall'inesorabile legge del divenire e dal caso.
Zeus il dio della metis per eccellenza perch dopo aver sposato la dea, per non
esserne vittima l'ha ingoiata. Dotati di metis e concorrenti antagonisti di Zeus,
sono Efesto e Prometeo. Questo nemico/alleato di Zeus il dio che insegna ai
mortali le tecniche, le arti per vincere e sottomettere la natura, il dio presentato
nel Prometeo incatenato di Eschilo che cos parla:
Ma udite la miseria dei mortali prima indifesi e muti come infanti, e a cui diedi il
pensiero e la coscienza. Essi... ignoravano le case di mattoni, le opere del legno:
vivevano sotterra come labili formiche, in grotte fonde, senza il sole; ignari dei
certi segni dell'inverno o della primavera che fioriva o dell'estate che portava i
frutti, operavano sempre e non sapevano finch indicai come sottilmente si
conoscono il sorgere e il calare degli astri, e infine per loro scoprii il numero, la
prima conoscenza, e i segni scritti che si compongono, la memoria di tutto ...
Sappilo in breve; tutto ci che gli uomini conoscono, proviene da Prometeo.6
La metis, quindi, un genere di intelligenza primordiale e indeterminata che
scaturisce e promana dalle viscere della natura, deriva dai quattro elementi
contraddittori acqua, aria, terra, fuoco, elementi che modellano il cosmo, gli
animali, l'uomo.
Come le abilit tecniche anche il logos interagisce con la fusis, provoca sensi,
modi, azioni e comprende un'ampia e diversa validit cui si aggiunge la funzione
mediatrice di mettere in relazione la conoscenza, la volont e il fare, trae alimento
dal mito, come questo a sua volta dalla fusis e da tutta la sua fenomenologia, ma
anche se ne distacca. Originariamente il logos discorso, specifica capacit
umana, strumento di comunicazione e di persuasione, espressione di pensieroche, al pari di tutte le capacit umane, ambigua, diversa, pu dare esiti positivi e
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desiderati ma anche risultati spiacevoli e negativi. Si distingue per l'esigenza di
disciplina, si sottopone a norme, leggi e anche divieti la cui forza si fa sentire in
diversi campi del pensiero, della civilt, della vita. Nelle matematiche impone
all'applicazione e al sapere intuitivo una strutturazione logica, chiusa, metafsica.
Lo straniamento del logos dal mondo empirico, tuttavia, non potr mai darsi
come definitivo e assoluto, non prescinder dalle abilit tecniche perch dalla
techn il sapiente, l'esponente greco del logos, apprende aspetti metodologici,
concettuali e teorici per la sua attivit, come confermato del resto dal valore
semantico della voce techn, dall'affinit alla fusis, dall'equivalenza fino a Platone
con episteme.7 Nella civilt greca la tecnica occupa una funzione che possiamo
chiamare mediana e interna tra il sapere logico-scientifico e le finalit dell'azione
pratica, tra scienza e vita, cultura e societ. Nella complessit e variet delle
operazioni manuali, meccaniche e strumentali, viene a situarsi su fondamentali
basi fisiche, materiali, energetiche ed proiettata nel vasto campo della cultura
materiale.
Chiarisce meglio il valore delle tecniche tra mitologia, simbologia, vita quotidiana
J. P. Vernant quando scrive: Pare invece saldamente stabilito, almeno nell'et
classica, il legame fra tre divinit associate, Athena Hephaistos e Prometeo, e le
arti del fuoco. Questo raggruppamento di dei qual stato attestato dal culto, nel
mito e nella rappresentazione figurata, tende a simboleggiare ad Atene unafunzione generale che si potrebbe chiamare la funzione tecnica e una categoria
sociale, quella degli artigiani;8nel mito del fuoco viene a spiegarsi l'importanza
del fuoco e la necessit per gli uomini di procurarselo. Prometeo ruba il fuoco, ma
soprattutto lo rende alla portata dell'uomo con i suoi artifici, con l'astuzia della
tecnica.
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L'esplicazione mitologica su cui ci siamo soffermati, comunque, non basta; con
essa il valore e il senso delle tecniche non ancora chiaro e definito: senza dubbio
per un piccolo contadino beota del VII secolo il lavoro deve essenzialmente restar
limitato all'agricoltura, ancora non sono nettamente chiarite l'idea di un'attivit
tecnica e l'idea d'una funzione tecnica, e neppure s' delineato il personaggio di
Prometeo come padre di tutte le arti.9L'attivit agricola, principale occupazione
dell'uomo, si svolge senza determinante ausilio delle tecniche, praticata
affiancando e assecondando la natura. Il Prometeo di Eschilo un po' diverso da
una certa tradizione, il suo Prometeo non specialmente metallurgo, n vasaio;
nella lunga lista delle 'tecniche di cui si vanta di aver fatto dono agli uomini la
ceramica e la metallurgia non figurano neppure.10Non molto diverso da quello di
Platone il padre di tutte le tecniche e di tutti i saperi, tanto che il fuoco ha ben
altro significato, il fuoco che ha sottratto maestro di tutte le arti, didascalos
tchnes pases.
ci che dimostra B. Gille, seguendo un originale programma di ricerca quando
dice che l'insieme delle tecniche appare come elemento primario di mediazione
tra cultura e societ, tra oggetto della conoscenza teorica e finalit dell'azione
pratica, tra bisogni materiali, esigenze economiche e condizioni naturali. Per le
origini della civilt greca aggiunge che tra gli dei e gli uomini si creato un
intermediario indispensabile: non potendo ammettere l'origine unicamenteumana delle tecniche, almeno di quelle pi essenziali stato necessario
immaginare Prometeo. Dedalo ci conduce a una terza tappa, quella definitiva, una
sorta di laicizzazione delle tecniche.11 Con Dedalo come se la tecnica si
specifichi, si scomponga in dettagli, con Dedalo si pervenuti alla
strumentazione. Con essa un fatto altrettanto importante: Dedalo un uomo, un
personaggio che ha un sostrato storico, che pu essere situato storicamente nel VIIsecolo. E ancora pi avanti Eroe il cui nome, trasferito nel vocabolario corrente,
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suggerisce ogni oggetto di fabbricazione artigianale, eroe legato alla dinastia reale
di Atene, legata a sua volta a Efesto e ad Atena. Dedalo appare proprio come il
prototipo dell'artista e dell'artigiano [...] Incarna il genio inventivo e il talento
artistico. E appunto il rappresentante della techn.12 Dedalo un grande
inventore; con la sua perizia arrivato al punto di dare la vita alle sue statue,
stato capace di imitare il vivente, ha creato delle macchine viventi. Solo da questo
momento e nei limiti della concezione greca della vita, entro paradigmi che sono
indubbiamente diversi dai nostri, per i greci si pu parlare di un insieme
strutturato di tecniche o di complessit della tecnica, di un'arte, insomma, gi
evoluta. Lo dimostra, per fare un esempio tra tanti, il caso della leva, una
macchina complessa che risolve l'aporia di una piccola forza che solleva un
grande peso e rappresenta la vittoria della techn sulla fusis, macchina la cui
tecnologia sar spiegata in epoca matura da Aristotele e meglio ancora dal grande
Archimede.
Su questa linea interpretativa, con altre argomentazioni A. Ferrari che lamenta
come gran parte della produzione tecnica dei greci non ci sia pervenuta,
soprattutto se ci riferiamo a catapulte, baliste, strumenti musicali, gnomoni e
orologi astronomici. Gli oggetti artificiali giunti fino a noi sono, comunque,
bastevole testimonianza di un mondo, simbologia di una concezione della vita:
Gi Pausania (9,3,2) sapeva che Dedalo deriva da daidalon e non viceversa;daidalon a sua volta viene da daidalto, il verbo che indica la giunzione di
materiali diversi, soprattutto legno e metallo, nello stesso oggetto. Il daidalon
dunque il limite estremo, quanto a perizia, raggiungibile dal tekton omerico e
Dedalo ne diviene l'eroe eponimo.13
Assemblare elementi diversi e incongrui come nel caso del volo di Icaro o del
Minotauro un fare fin troppo ardito, ai confini della mostruosit, significa dar
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vita a fatti ed esseri intermedi, promiscui, operare ai limiti dell'invalicabile con il
brivido dell'eccellenza ma anche del gravissimo rischio. Questo perch l'oggetto
artificiale diventa prima raffigurativo del vivente, poi un suo sostituto
ingannevole e infine si estrania completamente dal suo autore acquistando una
vita propria.14 Comporta la coscienza di un esito voluto e desiderato ma anche
temuto, gravido di pericolo perch in concorrenza con la natura.
J. P. Vernant, tratteggiando la temperie storico-sociale del secolo di Eschilo e di
Platone, scrive: la riflessione sulle teknai era diventata cosa corrente
particolarmente presso i sofisti. In Platone stesso l'interesse per la tecnologia si
manifesta nel frequente ricorso che nei dialoghi si fa ad esempi tolti dalle
tecniche.15 Non possiamo seguirlo fino in fondo, per, quando implicitamente
accenna alla conversione dell'interesse in disprezzo e scrive: si trova in lui la cura
di separare e d'opporre l'intelligenza tecnica e l'intelligenza, l'uomo tecnico e il
suo ideale d'uomo cos come egli separa e oppone nella citt la funzione tecnica e
le altre due. questo partito preso che spiega la distorsione che Platone fa subire
nel IV libro della Repubblica alla sua teoria tripartita della societ,16 laddove
sottace la cura a unire, a evidenziare casi e situazioni miste come la classe dei
guerrieri, affiancata a quella dei filosofi che deve essere esperta di tecniche, di
tecniche militari, per poter difendere lo stato, o le tesi assunte in altri dialoghi.
Parla di dissimmetria tra le classi e i rispettivi compiti o attivit: Questasorprendente dissimmetria non si spiega altrimenti che col rifiuto d'accordare una
virt positiva a quelli la cui funzione sociale costituita dal lavoro,17 tesi (di
Vernant) non condivisibile perch la distinzione nelle tre classi va riportata a
motivi di funzionalit e, peraltro, Platone attribuisce a tutte insieme, unendole, la
sophrosyne. Quando Platone parla dell'ipotetica nascita della citt, riconosce che
essa deve soddisfare i bisogni primari dei cittadini: Ora il primo e maggiorebisogno quello di provvedersi il nutrimento per sussistere e vivere. Senz'altro il
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secondo quello di provvedersi l'abitazione, il terzo il vestito e simili cose. Qui
nessuno pu bastare a se stesso (Rep. 369d).18 E questo pu aversi con
un'armoniosa e organica comunit in cui agricoltori, costruttori, tessitori, calzolai
e altri tecnici hanno un giusto e insostituibile posto in una comunit fondata sulla
divisione del lavoro.
Nel Protagora si presenta il mito di Prometeo, spesso ricordato nei dialoghi e
ricorrente nella letteratura, lipotesi sulle origini delle tecniche. Il mito narra di un
compito assegnato dagli dei a Epimeteo e Prometeo, quello di distribuire a tutti gli
esseri viventi, e con regolarit, le forze naturali o requisiti istintuali prima che
vengano al mondo. Epimeteo chiede e ottiene di assolvere da solo il compito,
salvo la revisione di Prometeo. La distribuzione equa, appropriata al fine di
assicurare la sopravvivenza di ogni specie; quando Epimeteo giunge all'uomo,
per, si accorge di aver esaurito "i doni naturali". Prometeo, scoperto l'errore e
vedendo l'uomo nudo, scalzo, inerme mentre il giorno della comparsa sulla terra
era giunto, decide di rubare il fuoco e donarglielo. Cos l'uomo fu partecipe di
divina sorte e in seguito usando l'arte, articol ben presto la voce in parole e
invent case, vesti, calzari, giacigli e il nutrimento che ci d la terra {Prot. 322ab).
Con Epime-teo l'uomo ancora terra; fango, materiato dei quattro elementi, vive
in uno stato selvaggio, belluino, con Prometeo nato, invece, l'uomo vero, un
essere che si giova della sapienza tecnica, di poteri artificiali e divini, ricomponenella sua natura anfibia animalit, arte, divinit. Non possiede, tuttavia, l'arte
politica e Zeus, perch gli uomini potessero vivere raggruppati e quindi pi sicuri,
per mezzo di Hermes fa loro apprendere la virt politica e il senso del giusto, arte
che si pratica con il possesso del logos, ossia della parola. Le tre fasi, quella di
Epimeteo, quella d Prometeo, quella di Zeus e Hermes rappresentano
rispettivamente phu-sis, technai, nomos o arte politica. Questo dice la tradizionesulle tecniche, mescolanza di mito, realt, religione, logos.
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In altri dialoghi esposta la metodologia dei tecnici: essi usano modelli eristici,
adottano il procedimento per tentativi ed errori nella soluzione di problemi, nella
realizzazione di artefatti. NellApologia si dice della loro notevole superiorit
nelle conoscenze specifiche: Alla fine mi rivolsi agli artisti; tanto pi che dell'arte
loro sapevo benissimo di non intendermi affatto, e quelli sapevo che gli avrei
trovati intendenti di molte e belle cose. E non m'ingannai: che essi sapevano cose
che io non sapevo, e in questo erano pi sapienti di me. Se non che, o cittadini di
Atene, anche i bravi artefici notai che avevano lo stesso difetto dei poeti (Apol.
22cd) ignoranza e debolezza quando si occupavano d'altro. Per Platone questo
sapere, particolare, specialistico, simile a quello del medico o del geometra ha,
quindi, una sua efficace metodologia, ma ha bisogno di essere orientato perch
non autosufficiente e autoriflessivo, fatto per esprimersi su oggetti, su altro da s,
su altre cose, come leggiamo nel Carmide io non posso neppure affermare per
certo che esista una scienza della scienza, n, nel caso che esista, posso ammettere
che quella scienza sia la saggezza (Car. 169ab). La tecnica persegue fini pratici ese la conoscenza tecnica, incalza Socrate verso la fine del dialogo, non si coordina
e indirizza alla ricerca del bene rischia di perdere ogni valore, o meglio resta
ancorata a disvalori, a obiettivi parziali, si attesta su un piano di neutralit piatta e
cieca.
NellEutidemo trattato il problema dell'uso e non uso di strumenti, beni etecniche. Chi possiede un bene e non lo usa come se non lo avesse; l'uso,
comunque, deve essere corretto e pu esserlo solo a condizione che si realizzi
l'unit di virt e scienza. Le tecniche sotto l'aspetto della produzione sono neutre,
n buone, n cattive; sotto l'aspetto dell'uso devono dare "veri" vantaggi all'uomo.
Di qui il motivo per cui Platone distingue due livelli di considerazione di una
tecnica. Ogni tecnica da una parte tecnica di produzione o di acquisizione e hacome esito un oggetto prodotto o acquisito; d'altra parte essa anche tecnica di
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uso di determinati strumenti per la produzione o acquisizione di un oggetto.19
Per Platone decisivo il secondo aspetto, quello dellarte, l'uso dell'oggetto
prodotto. Come la geometria, l'astronomia, l'aritmetica non producono niente dal
nulla, bens scoprono realt gi esistenti e come i geometri, gli astronomi, i
matematici in genere, nella concezione platonica, offrono ai dialettici le loro
scoperte perch le usino, cos i tecnici devono ispirarsi alla dialettica per la
migliore utilizzazione dei prodotti tecnici. La distinzione, il diverso valore delle
tecniche d'uso da quelle di produzione ripreso anche nella Repubblica chi
produce inferiore a chi usa il prodotto, per due motivi soprattutto: 1) perch i
pregi dell'oggetto prodotto sono funzionali all'uso del prodotto stesso; 2) perch
l'uso presuppone la conoscenza degli effetti possibili di un determinato prodotto e
in tal senso condiziona la stessa produzione. L'uso, dunque, il parametro che
istituisce una gerarchia fra le tecniche [...] vero che il primato dell'uso sulla
produzione corrisponde, a un livello generalissimo, all'orizzonte schiavistico della
cultura antica; ma occorre precisare la posizione specifica di Platone all'interno ditale orizzonte. Al riscontro della legittimazione dell'uso nel possesso Platone
apporta una correzione fondamentale: l'uso legittimato non dal possesso, ma dal
sapere. Chi usa deve disporre di un sapere maggiore di chi produce.20Verso la
conclusione della sua interpretazione Cambiano: Platone pi che richiamare i
tecnici alla considerazione di queste zone di valori e disvalori, intende sottolineare
che le tecniche artigianali da sole non risolvono la totalit dei problemi umani,
perch richiedono l'integrazione di un'attivit che eserciti funzione normativa
sulle aree che sfuggono alla loro competenza diretta.
Possono i tecnici pensare? A Platone sembra quanto mai problematico che i tecnici
diventino filosofi o che i filosofi diventino tecnici. L'attivit tecnica e specialistica
distoglie necessariamente dal pensare, cos come il filosofare pu rendere estraneialla tecnica, al fare; ma non c' dubbio che il tecnico, nel momento in cui usa una
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tecnica e non la produce, simile all'altro uomo, simile al filosofo. La
confutazione, procedura discorsiva usata da Socrate in altri dialoghi, anche nel
Gorgia mira a conseguire il transito dal piano della doxa al piano dell'episteme.
Nella prima parte del dialogo, Gorgia presenta una definizione della retorica
come arte del parlare, arte superiore a tutte le altre compresa la medicina; ma
incalzato da Socrate perch ne dia una pi esauriente e chiara e dica
esplicitamente qual la materia dei discorsi del retore, afferma che il bene pi
grande per l'uomo la capacit di persuadere mediante discorsi in tribunale i
giudici, nel bulenterio i consiglieri, nell'assemblea i cittadini riuniti, e cos in ogni
altra riunione che abbia un carattere politico {Gor. 452c). Socrate replica che la
retorica si muove a livello di pistis, e invece ci che rende valida un'arte o una
tecnica il suo valore oggettivo, cio la sua base logica, la possibilit di mandare a
effetto un progetto mentale in modo misurato e perfetto, allo stesso modo in cui il
demiurgo plasma il mondo. La matematica e con essa la medicina e le altre arti
sono scientifiche perch possono essere dimostrate e falsificate. La retorica vuoleottenere risultati provvisori ed emotivi, cerca soltanto di persuadere, non si
espone o sottopone alla falsificazione. Per Gorgia il retore ha una posizione
egemone rispetto agli altri tecnici; pur non possedendo una specifica competenza,
mediante il linguaggio pu orientare il consenso. Per Socrate, invece, va
accentuata la distinzione tra sapere e credere: E chiaro, dunque, che credenza e
scienza non sono la stessa cosa (Gor. 454d) e la retorica artefice di una
persuasione, atta a farci credere, ma non a istruirci sul giusto e l'ingiusto. La
retorica non arte, bens pratica poich non ha nessuna razionale comprensione
della natura delle cose cui si riferisce, in virt della qual comprensione possa,
appunto, riferirsi; ecco perch non sa di ciascuna cosa indicare la causa (Gor.
465a). C' un'importante differenza tra arte e pratica dicevo che tra i sistemi che
preparano alla vita, ve ne sono alcuni che non hanno altro fine se non il piacere, e
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solo a questo inteso ogni loro sforzo, senza conoscere affatto ci che sia meglio e
ci che sia peggio, e altri che, invece, riconoscono il bene e il male (Gor. 500ab). Le
arti, insomma, hanno maggiore consapevolezza della pratica. Per esempio Io
dicevo che la culinaria non mi pare un'arte, ma una pratica, mentre la medicina s;
giacch questa, la medicina, dei corpi che prende a curare ha gi studiato la
natura, e sa il perch di ci che fa, e pu render conto d'ognuno dei suoi atti;
laddove l'altra, che mira soltanto al piacere, va incontro a questo senza
nessunissima arte; senza averne studiato n la natura n la causa, procedendo, per
dir cos, addirittura alla cieca (Gor. 500e-501a). I tecnici, quindi, possono elevarsi,
superare la materialit e meccanicit della loro pratica a condizione che la loro
opera realizzi un ideale, muovendosi quasi in parallelo con la pi difficile e
problematica cura dell'anima, perch l'anima umana, pur distinta dal corpo, ne
segue in parte il destino, pu anch'essa macchiarsi o purificarsi. A Callide, che
intende esaltare i meriti della retorica, definirli superiori alle altre arti, cos Socrate
risponde:di regola il pilota non si da arie, sia pur salvandoci. E neppure,stupefacente amico, grandi arie si d il costruttore di macchine belliche, il quale
pu talvolta salvare, non solo quanto il pilota, ma non meno dello stratega, non
meno di qualunque altro; egli salva a volte intere comunit. E a te non sembra che
sia al livello dell'oratore forense? Eppure, Callide, s'egli volesse magnifcare
l'opera sua, come fate voi, vi sommergerebbe di parole [...] Ma tu disprezzi lui e
la sua arte, e oltraggiosamente lo chiameresti 'costruttore di macchine' (Gor,
512bc) passo in cui pare che Platone voglia accennare al significato dispregiativo
che si dava, si da ancora oggi, a ci che macchina, ossia macchinazione, artificio
contro natura, ma per ribaltarlo, fare, invece, proprio della retorica una
macchinazione, una pratica dell'artificio. Di qui l'insistenza sulla distinzione tra le
arti, il voler separare empiria e tecnica, la prima esperienza incontrollata,
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ammasso di episodi e casi non sorretti dal logos, la seconda (le tecniche) fornita di
procedure mentali precise, regolate.
concorde opinione che Platone, in questo dialogo, abbia cercato soprattutto direplicare al Gorgia sofista e scrittore che accomunava l'arte retorica alla medicina:
Per Platone l'arte retorica di un Gorgia non un'arte genuina come la medicina,
ma una pseudoarte, una sua contraffazione come lo la culinaria [...] L'analogia
fra la persuasione esercitata dal retore e l'azione del medico quindi contestata
per il fatto che l'arte medica, per essere tale non pu che avere un fine buono o
positivo (il ristabilimento della salute) e lo ottiene con l'accettazione della verit,
anche quando questa sia sgradevole al paziente (pu essere necessario assorbire
una medicina amara o peggio); la persuasione retorica non soddisfa a questi
requisiti della vera techn [...].22
Nel FileboPlatone si spinge avanti nella critica della teoria delle idee a vantaggio
del mondo sensibile e della materialit, come elementi ineliminabili della ricercascientifica, e nella difesa delle tecniche. Giunto ormai alla maturit ha
abbandonato le tentazioni utopiche della Repubblica tanto da far dire a Socrate
del sapiente privo di cognizioni pratiche Avr quest'uomo una scienza
sufficiente, conoscendo il discorso che definisce il cerchio e la sfera in quanto tale
divina, e non conoscendo la sfera della nostra conoscenza umana e questi cerchi
qui e usando anche, nella costruzione delle case e nelle altre arti, di simili regoli e
cerchi perfetti? (Fil. 62ab). Quest'uomo, ignorando le approssimazioni del sapere
di cui fatta tutta la scienza umana e le tecniche, si troverebbe come colui che non
sa trovare la strada di casa. Il filosofo non pu essere e non deve essere del tutto
avulso dal mondo delle cose. L'ideale del sapere della Repubblica va, quindi,
inteso in senso regolativo. A un'attenta lettura del Filebo, non sarebbe sfuggito che
gi dalla fase iniziale del dialogo l'asse del discorso stato spostato su un diverso
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registro: Un dono gli dei agli uomini, cos almeno mi pare, da un punto del cielo
divino, un giorno sulla terra fu gettato, per mezzo di un Prometeo, insieme a un
fuoco d'una chiarezza abbagliante e gli antichi (che erano pi valenti di noi e
vivevano pi vicini agli dei) l'hanno tramandata questa rivelazione e cio che
risultando dall'unit e dalla molteplicit le cose che sono, le cose che sempre sono
state dette e saranno dette 'cose che sono', esse portano in s connaturato finito ed
infinito (Fil.16 ab). Qui il fuoco, la metafora del fuoco ha un diverso peso, vuol
significare luce, capacit di vedere, tecnica del vedere le parti nel tutto, il
molteplice nell'unit. Molteplice costituito da quattro principi fondamentali:
l'illimitato, il limite, la mescolanza, la causa della mescolanza.
L'uomo fatto per vivere una vita composita di senso e intelletto, di materia e
spirito, di tecniche e dialettica. Le forme di conoscenza vanno classificate in
funzione della loro fedelt ai modelli, quelle che hanno a che fare con la
produzione delle cose, quelle che hanno a che fare con la cura dello spirito. Tra
queste in una posizione mediana le matematiche, per esempio, come sostenuto in
Rep. 526b, sono utili a tutti gli uomini, verso il basso e verso l'alto, ai tecnici e ai
filosofi. La medicina, l'architettura, l'agricoltura, la nautica, la strategia, sono
tecniche molto importanti e rispettabili. La tecnica delle costruzioni superiore
perch si vale di parecchie misurazioni e di parecchi strumenti, resa la pi
tecnica della maggior parte delle scienze da quelle cose che le procurano grandeprecisione, come? Riguardo alla costruzione di navi e a quella di edifici e in molte
altre costruzioni di falegnameria. Infatti, credo, essa si serve di squadra, tornio,
compasso, filo a piombo e di una morsa abilmente costruita.
A sua volta, la matematica (Rep. 521-22) va suddivisa in matematica pratica o
applicata e matematica pura, quella che usano i filosofi. Tra le arti e le tecniche,
insomma, bisogna distinguere quelle pi rozze da quelle pi rigorose e pure; ma
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come la molteplicit d vita all'uno cos le tecniche, le conoscenze inferiori hanno
valore in un molteplice e unitario mondo culturale. Le tecniche se non possiedono
o danno la somma verit, da sole possiedono adeguatamente verit parziali,
saperi limitati. L'uomo ha bisogno anche di questi, della mescolanza, insieme di
cognizioni, esperienze pure e impure, materiali e immateriali. Le argomentazioni
sono tanto sentite che spingono Platone a riportare una delle pi complete
classificazioni delle scienze in cui naturalmente hanno un posto rilevante le
tecniche. Per quanto diversa da quella della Repubblica con essa non contrasta,
solo chiarisce il pensiero platonico degli ultimi dialoghi. opportuno fare delle
distinzioni, come spesso ha raccomandato durante tutta la sua opera. Nel caso
della matematica, gi ricordato, E dici molto bene che non piccola la differenza
tra coloro che si occupano del numero, cosicch logico che ci siano due
aritmetiche. L'arte di misurare e calcolare dei tecnici non pu essere paragonata
alla geometria dei filosofi, al calcolare astratto; anche in altre discipline sar
opportuno distinguere la parte applicativa da quella teorica. E tuttavia tra le duenon si pu tracciare una separazione invalicabile; le tecniche sono, pur nella
distinzione, in linea di continuit con l'episteme, con i modelli, i valori. il
dissidio tra divenire ed essere, tra la natura, l'universo e il logos che riappare. Ed
ci che si avverte verso la fine del dialogo, laddove Socrate 'Vuoi tu che io, quasi
come portinaio spinto e costretto dalla folla, vinto, spalancate le porte, lasci
entrare tutte le scienze, lasci mescolarsi insieme alla pura quella pi impura di
esse?' e Protarco che rappresenta la contraddizione dialettica di Socrate 'Io non so
proprio, Socrate, quale danno patirebbe uno che, avendo le scienze superiori,
acquistasse pure tutte le altre'. Al quale Socrate replica dicendo 'Devo permettere
dunque che tutte corrano gi nel ricettacolo del "vallone della mescolanza" come
molto poeticamente dice Omero? (Fil. 62).
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G. Colli, nella sua ormai classica rivisitazione della sapienza greca, ha riportato
una testimonianza che ben si addice al nostro discorso: Anche se la nascita della
ragione improvvisa, pure quando si alza il velo del silenzio che nascondeva
l'uomo misterico, il logos appare dapprima disarticolato. un sapiente, Eraclito di
Efeso, che si proclama scopritore e possessore di una legge divina che incatena gli
oggetti mutevoli dell'apparenza e lui stesso per primo assegna il nome di logos a
questa legge. Esso la trama nascosta del dio che regge e sferza tutte le cose, ma
coincide al tempo stesso con ildiscorso' di Eraclito, con le sue parole23 fugace
descrizione della estraniazione da un sapere disarticolato alla legge. E poco pi
avanti: Gli Efesii non vollero ascoltare il sapiente. Se gli uomini non prestano
attenzione, bisogna rendere accessibile il 'discorso' agli dei. Viene usato un mezzo
particolare di comunicazione, inconsueto nella sfera dei sapienti, la scrittura, e il
logos, reso in tal modo visibile, viene dedicato ad Artemis, nel tempio di Efeso.
Origine nobile di uno strumento espressivo destinato ben presto a tralignare (Fr
177, 179).
La scrittura strumento ambiguo, innovativa tecnica della parola, nobilitata per i
suoi requisiti di mimesis, soggetta al tempo stesso a deterioramento, era comparsa
in Grecia poco dopo la met del VI secolo per i documenti pubblici, gli atti politici;
quando il linguaggio dialettico fu portato nell'agor, all'et della sofistica divenne
un problema. Colli vuole dirci che la scrittura, in Grecia, ha generato una falda,una differenza, uno spostamento linguistico, logico ed epistemologico, oltre che
tecnologico. Ne consapevole Platone che prende posizione di fronte a questa
"tecnica alta" di cui si dibatte tanto; anzi entra con forza nella polemica che si
scatenata, come sappiamo da numerosi dialoghi. Nel Cratilo (393d), esaminando
sia l'ipotesi naturalistica del linguaggio sia quella convenzionalista, aveva
attribuito agli enti naturali "il primo linguaggio", a quelli prodigiosi e innaturali "il
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secondo linguaggio", in seguito aveva rimesso in discussione tutto. Ora si tratta di
decidere tra oralit e scrittura.
J. Derrida ha sostenuto che solo una lettura superficiale dell'opera platonica,accreditata fino a qualche tempo, ha diffuso il convincimento che Platone
condannasse l'arte dello scrivere. All'inizio del Fedro Socrate paragona a una
droga (pharmakon) i testi scritti che Fedro ha portato con s. Questo pharmakon,
questa 'medicina', questo filtro, insieme rimedio e veleno, vi introduce gi nel
corpo del discorso con tutta la sua ambivalenza. Questo incanto, questa virt di
affascinamento, questa potenza di sortilegio, possono essere, volta a volta,
simultaneamente benefici e malefici. La condanna altrove pronunciata va
attenuata: Fedro non ha imparato tutto a memoria e ha pensato di portarsi, quale
supporto per parlare, sia pur tenendolo nascosto, lo scritto. Platone ha detto pi
volte che la scrittura, privata della voce, segno senza vita, morto e insignificante
grafema, una ripetizione senza sapere. Il logos, al contrario, uno zoon:
descrivendo il logos come uno zoon, Platone segue certi retori e sofisti che, alla
rigidezza cadaverica della scrittura, opposero prima di lui la parola viva, che si
regola infallibilmente sulle necessit della situazione in atto, sulle attese e sulle
richieste degli interlocutori presenti, che subodora i luoghi in cui deve prodursi
che finge di piegarsi nel momento in cui si fa insieme persuasiva e costringente,25
ma ha fatto uso della scrittura. Pi avanti nella sua lettura, Derrida aggiunge ciche Platone prende di mira dunque nella sofistica non il ricorso alla memoria,
bens, all'interno di un simile ricorso, la sostituzione del promemoria alla memoria
viva, della protesi all'organo, la perversione che consiste nel sostituire a un
membro una cosa,26mentre il suo ideale sarebbe una memoria senza segno, un
uomo perfetto, completo, autosufficiente con i mezzi che la natura vivente gli ha
dato.
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Il mito della nascita della scrittura, riportato alla fine del dialogo, racconta: Ho
sentito narrare che a Naucrati d'Egitto dimorava uno dei vecchi dei del paese, il
dio a cui sacro l'uccello chiamato ibis, e di nome detto Theuth. Egli fu l'inventore
dei numeri, del calcolo, della geometria e dell'astronomia, per non parlare del
gioco del tavoliere e dei dadi e finalmente delle lettere dell'alfabeto (Fed. 274cd).
Theuth nel presentare l'alfabeto al re sostiene che questa scienza render gli
Egiziani pi sapienti e arricchir la loro memoria perch questa scoperta una
medicina per la sapienza e la memoria. Ma il re non del tutto convinto e replica
O ingegnosissimo Theuth, una cosa la potenza creatrice di arti nuove, altra cosa
giudicare qual grado di danno e di utilit esse posseggano per coloro che le
useranno. E cos ora tu per benevolenza verso l'alfabeto di cui sei inventore, hai
esposto il contrario del suo vero effetto. Perch esso ingenerer oblio nelle anime
di chi lo imparer; essi cesseranno di esercitarsi la memoria perch fidandosi dello
scritto richiameranno le cose alla mente non pi dall'istinto di se stessi, ma dal di
fuori, attraverso segni estranei (Fed. 247e-275a). Ci che tu offri agli scolari apparenza di sapere perch crederanno di essere dottissimi, mentre per la
maggior parte non sapranno nulla. La scrittura pu, quindi, produrre l'effetto
inverso di quello che Theuth le attribuisce, essere un farmakon nefasto perch
estraneo alla natura vivente dell'uomo che pretende di soccorrere. Le impronte
(tupoi) della scrittura non si iscrivono questa volta, come nell'ipotesi del Teeteto
(191 sg) impresse nella cera dell'anima, rispondendo cos ai movimenti spontanei,
autoctoni, della vita psichica. Sapendo che pu affidare o abbandonare i suoi
pensieri al fuori, alla registrazione, alle tracce fsiche, spaziali e superficiali che si
stendono su una tavoletta, colui che disporr della techn della scrittura si
rimetter ad essa.27Sapr che lo scritto lo rappresenter anche in sua assenza, che
porter la sua parola, anche se lui non sar presente a dargli vitalit, anche se lui
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sar morto, e per conseguenza tale uomo-tecnico eserciter meno la memoria, si
render smemorato.
Per la verit i sofisti, come Platone, hanno esortato a esercitare la memoria Maera, l'abbiamo visto, per parlare senza sapere, per recitare senza giudizio, senza
preoccuparsi della verit, per dare dei segni. O piuttosto per venderli. Per questa
economia dei segni, i sofisti sono proprio uomini di scrittura nel momento in cui
la negano. Ma non lo anche Platone, per un effetto di rovesciamento
simmetrico?.28 L'esteriorit dell'alfabeto cui Thamus si riferisce la mobilit dei
segni che possono essere incisi sulla pietra, sulla sabbia, su altri materiali. In
quanto scritti comportano un salto tecnico, l'invenzione di un sistema di
manipolazione di elementi, un parlare silenzioso, muto e morto e pertanto
farmaco, rimedio e tecnica, artificio, apparenza di logos, ingannevole protesi,
linguaggio differito. Ma ben altro significato ha la scelta platonica. Platone ha
lasciato intendere che avrebbe voluto evitarsi l'uso della scrittura, ma non ha
potuto. Come dopo la tormentata crisi sulla definizione dell'essere si deciso per
il parricidio di Parmenide, cos ha tradito il suo maestro Socrate per la scrittura.
Nel Teeteto, quando sembrava che si potesse mantenere l'unicit eleatica del
logos, abbiamo assistito alla sua rottura, all'accettazione del suo dinamismo, del
suo muoversi da soggetto a predicato, del suo intrecciarsi di determinazioni, di
essere e linguaggio, di senso e pensiero. Derrida, accostando il parricidio di
Parmenide alla scelta della scrittura, sostiene che la scrittura non solo tecnica,
la condizione della dialettica dell'essere platonico, il raddoppiamento del logos,
l'iterazione dell'uomo, destino epocale che riguarda l'uomo e l'universo. La
scrittura la possibilit di parlare e di tacere, di venire alla luce e di nascondersi,
evidenzia la "differenza originaria" del tutto, la struttura originaria dell'Essere.
Platone stato indotto a scrivere perch non pu n di fatto, n di diritto spiegare
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Riportando, quindi, sul piano della variazione linguistica, ma anche storica e
sociale, la novit Havelock parla di modifica degli schemi di pensiero e della
visione del mondo nella Grecia del V secolo. La comunicazione umana veicolata
acusticamente con l'impiego dell'orecchio e della bocca, con l'uso della scrittura
coinvolse ancor pi la vita e la cultura. Apparentemente si trattava di registrare la
parola parlata, di diminuire cos l'impiego della funzione mnemonica, ma in
effetti ben altro avveniva; si costruiva il discorso orale in modo diverso con una
sintassi descrittiva, con caratteri definitori concettuali. Una volta che l'uso di
'argomenti' per il discorso fu divenuta una consuetudine riconosciuta, crebbe la
spinta in favore dei predicati, che dopo aver prima fornito una 'azione
continuativa' potessero trasformarla in una 'condizione continuativa' ossia in una
relazione. I 'dati di fatto' statici cominciarono a sostituire gli 'accadimenti'
diacronici. Nel linguaggio della filosofia, l'essere' (come forma di sintassi)
cominci a sostituire il 'divenire'.31
Se affiora qualche perplessit sull'interpretazione del fenomeno della scrittura
proposta da Havelock, come apparentemente emergono riserve sulla
grammatologia derridiana per lapparente valore semi-ontologico attribuito alla
scrittura, corretto nella produzione pi recente, certamente pi credibile appare la
tesi sostenuta finora per cui la scrittura nel pensiero platonico va intesa come
tecno-logia, tesi avanzata anche da alcune tesi di M. Vegetti quando ha scritto chePlatone si decise per la scrittura per la fruibilit come modello; e precisamente
per la capacit di alludere ancora una volta a una forma di sapere che non si
smarriva sterilmente nella polarit uno-infinito, ma che sia in grado, attraverso il
processo analitico di elementazione e numerazione degli stoichea e quello
compositivo di aggregazione ordinata degli stoichea stessi, di muoversi nello
spazio intermedio fra quella polarit, di passare da una concezione indifferenziataa una articolata e composita dell'unit (Phil. 18ab).32 La scrittura, veicolo del
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logos, forma del sapere, strumento del pensiero post-parmenideo metaforizzato
con la grammatik, entra, pertanto, nel gioco dialettico dei misti. Platone,
diversamente da Parmenide, ha posto la dicotomia oralit-scrittura in un quadro
pi ampio, il quadro delle scienze e delle tecniche, della dialettica e della morale,
dell'uomo e dell'universo, del sapere e della virt, un quadro interdisciplinare
paragonabile a un aggregato complesso, organico, differenziato in cui si snoda e
prende consistenza la molteplicit.
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NOTE
1) L. Gernet, Antropologia della Grecia antica, a cura di R. Di Donato,
Mondadori, Milano 1983, p. 356; titolo originale dell'opera Antropologie de laGrce antique Libraire Franois Maspero, Paris 1968. Per un'introduzione al
pensiero di Empedocle si veda W. Jaeger, Paideia, trad. it. di A. Setti voi. I, La
Nuova Italia, Firenze 1954; titolo originale Die Fomung des griechischen
Menschen,W. de Gruyter Berlin 1954.
2)Ivi, p. 358.
3) M. Vegetti, II coltello e lo stilo, II Saggiatore, Milano 1978 p. 24; in
particolare i cap. I, II.
4) G. Cambiano, Platone e le tecniche, Einaudi, Torino 1971, p. 56.
5)M. Detienne, J. P. Vernant, Le astuzie dell'intelligenza, Universale Laterza,
Roma-Bari 1984, p. X, titolo originale Le ruses de l'intelligence-La metis des
Grecs, Flammarion, Paris 1974.
6)Prometeo incatenato, trad. it. di E. Madruzzato, in Il teatro greco, a cura di C.
Diano, Sansoni, Firenze 1980.
7)M. Isnardi Parente, Techne, Momenti del pensiero greco da Platone a Epicuro,
La Nuova Italia, Firenze 1966, per un'analisi storico-semantica della techn.
8)J. P. Vernant, Mito e pensiero presso i Greci, Einaudi Torino 1982, p. 274;
titolo originale Mythe et pense chez les Grecs. Etudes de psychologie historque
Libraire Francois Maspero, Paris 1965.
9)
Ivi, p. 277.10Ivi, p. 282.
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11) B. Gille, Storia delle tecniche, Editori Riuniti, Roma 1985, p. 74; titolo
originale Histotre des techniques, Editions Gallimard, Paris 1978.
12)
Ivi, p. 75.
13) G. A. Ferrari, Macchine e artifici in II sapere degli antichi, a cura di M.
Vegetti, voi. II, Boringhieri, Torino 1985 p. 166.
14)Ibidem.
15)J. P. Vernant,Mito e pensiero presso i Greci, cit., p. 280.
16)Ibidem.
17)Ivi, p. 281.
18)Platone, Opere complete, Laterza, Roma-Bari 1982-88, edizione da cui sono
tratti i passi platonici riportati. Per una guida al pensiero e all'opera platonica
F. Adorno, Introduzione a Platone, Laterza, Roma-Bari 1989. Va tenuto presente
anche il citato W. Jaeger, Paideia, Firenze, oltre a A. E. Taylor, Plato. Th Man
and bis Work, Methuen & Co. Ltd. London 1946; Plafone, trad. it. di M. Corsi, La
Nuova Italia, Firenze 1968.
19)G. Cambiano, Platone e le tecniche, cit. p. 159.
20)M, p. 180.
21)Ivi, p. 100.
22) W. Leszi, Linguaggio e discorso in I1 sapere degli antichi, a cura di M.
Vegetti, cit. p. 26.
23)G. Colli, La sapienza greca, III Eradito, Adelphi, Milano 1980.
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24) J. Derrida, La farmacia di Platone, Jaca Book, Milano 1985, p. 52; titolo
originale La pharmacia de Platon in La dissemination Editions du Seuil, Paris
1972. Sulla scelta platonica per il dialogo scritto vedi, tra l'altro, le pagine di P.
Frjediander, Platone. Eidos, paideia, dialogos, La Nuova Italia, Firenze 1979.
25)ivi, p. 61.
26)Ivi, p. 91.
27)Ivi, p. 87.
28)Ivi, p. 95.
29)Ibidem.
30) E. A. Havelock, La musa impara a scrivere, Laterza, Roma-Bari 1987, p.
133.
31)Ivi, p. 131.
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ORALIT, MANOSCRITTI, STAMPA
La stampa fa della lingua un segno che si allontana dal
logos originario, si acconcia a un modo al sapere e saper
fare nuovo, meccanicistico che ha nello spazio il suo
elemento fondamentale.
Nel Medioevo apparentemente sono posti gli stessi interrogativi: che significa
parlare? Chi parla? Che significa scrivere? Perch scrivere? Carlo Magno, neglisforzi di istruzione personale e in quelli finalizzati a innalzare il livello degli studi
delle sue popolazioni, fu ispirato, di certo, dal sentimento cristiano dei suoi doveri
come monarca, dal credere che Dio gli avesse conferito il potere perch
proteggesse la Chiesa e regolasse i costumi dei sudditi, avesse cura, cio, che si
formassero nella fede. Uno dei suoi primi impegni programmatici fu quello di fare
in modo che il clero fosse istruito al punto da poter, con la predicazione,
addottrinare le genti. Si imponeva una missione di carattere religioso cui faceva
da contrappeso il fine politico di uniformare e unificare, nell'ambito di una
concezione barbarica e feudale del diritto e della societ, l'Impero. Bisognava
lottare contro le sopravvivenze del paganesimo, ancora diffuso tra la popolazione
incolta e bisognava contrapporsi alle infiltrazioni delle eresie, e per questo
disporre di testi che fossero redatti secondo uno spirito unitario e universalistico.
Se Cristo aveva usato soltanto il veicolo orale per comunicare, non per questo
andava demonizzata la scrittura. La stessa tradizione biblica, accanto a pagine che
insegnano una sapienza diversa da quella greca e un sapere che si conforma di
pi all'ordine naturale, che si nutre del timore di Dio e poco si affida alle capacit
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tecniche dell'uomo, riporta passi in cui si apprezzano le tecniche. La scrittura
stimata dalla divinit.
Nel libro di Giobbe il Signore rimprovera Giobbe per il suo ardimento, gli additala possanza della Creazione di fronte alla fragilit umana; ma si presenta con lo
scritto, consegna a Mos le tavole della testimonianza, tavole di pietra scritte di
Suo pugno. Offre, infine, da mangiare il rotolo di un libro coperto di parole divine
sul diritto e sul rovescio al profeta Ezechiele che di esso nutre il proprio ventre. Il
creatore spesso ha scelto la lettera scritta al posto dell'immagine, altro veicolo per
offrirsi all'uomo. Lo Spirito continuer a parlare e a scrivere in tutte le lingue e in
tutte le scritture mediante san Paolo e i padri della Chiesa.
In ogni angolo del suo impero Carlo Magno promosse una politica orientata
all'uso sistematico della scrittura. Il patrimonio culturale di alcuni popoli, affidato
fino ad allora all'oralit, fu messo per iscritto; gli scrivani di palazzo dovettero
redigere capitolari a carattere legislativo, norme per gli ispettori inviati nei diversiregni, promemoria per lo svolgimento delle assemblee; gli intendenti dei domini
regi furono tenuti a presentare inventari, rapporti, conti per iscritto.
Questa cura, assolutamente nuova, faceva seguito, come accennato, al
convincimento che senza la scrittura l'ordine, la stabilit e la giustizia non
potevano regnare nello stato; ma presupponeva l'esistenza di un certo numero di
esperti, capaci di scrivere e di leggere quei testi, di interpretarli correttamente, di
farne scrivere altri. Uomini del genere, pochi prima dell'et carolingia, non erano
molti al tempo di Carlo, come pochi erano i libri circolanti. I magnifici manoscritti
di questo periodo sono opere di lusso. Se si riflette al tempo che si perde a
tracciarli in bella scrittura - la calligrafia , pi di quanto non sia la rotocalcografia
ai nostri giorni, l'indice di un'epoca incolta in cui la richiesta di libri assailimitata - a ornarli splendidamente per la Reggia o per alcuni grandi laici ed
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ecclesiastici si avr un'idea di quanto scarsa fosse la rapidit di circolazione dei
libri.1
Eppure i monaci, ispirati dall'ora et laborabenedettino, con alacrit scrivono negliscriptoria spingendo quasi meccanicamente la mano. Per loro importante
l'applicazione con cui hanno lavorato, il tempo e le fatiche che hanno speso per
scrivere, opera penitenziale e meritoria per il Paradiso, essi misurano dal numero
delle pagine, delle righe, delle lettere, gli anni di purgatorio riscattati.2Quando
nel copiare commettono disattenzioni ed errori, che pur si registrano nelle
condizioni dure e proibitive di immobilit e silenzio necessario per il buon
andamento di uno scriptorium, ne danno la colpa al demone Titivillus.
L'atmosfera dello scriptorium non certo lieta e confortevole, contrassegnata
dalla rigida posizione seduta del corpo, dalla lettura personale in silenzio,
introdotta a quanto pare da sant'Agostino e in uso presso molti monasteri. La sala
piuttosto grande ove scrivono diversi amanuensi, diretta da un capo che
distribuisce i compiti, spesso i monaci lavorano su un medesimo testo dandosi il
cambio; i quinterni del testo da copiare sono distribuiti in modo che sia rispettata
scrupolosamente la disposizione e che ogni scrivano termini la propria parte di
fogli alla stessa parola.
Il caposala sovrintende alle varie fasi della lavorazione, rivede e corregge i
manoscritti, controlla l'uso del materiale adoperato. A volte l'amanuense si prende
qualche pausa o distrazione, e scrive brevi note, in margine al manoscritto,
originali, talvolta osceni e ambigui disegni, chiara manifestazione umorale di
fronte alla pagina.
Un singolare documento, databile verso la fine del secolo VIII, sintomatico di
questa condizione, il cosiddetto indovinello veronese, rappresenta con metaforaefficace, di sapore popolaresco, l'arte dello scrivere. Il testo, riportato sul recto di
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un foglio di mano veronese pu essere, con lieve inversione iniziale, presentato:
Boves se pareba / alba pratalia araba / et albo versorio teneba / et negro semen
seminaba. E cos tradotto, ponendo a soggetto l'uomo che scrive spingeva avanti
le dita, solcava i bianchi campi, teneva il bianco aratro, versava seme nero. La
metafora, accostando il lavoro dei campi, le sue tecniche tra le prime inventate
dall'uomo, alla tecnica della scrittura, ai suoi strumenti, ricalca, in contrasto e in
complementarit, l'affinit semantica tra l'arare e l'exarare gi proposta da alcuni
autori classici, riecheggia l'etimo di scrittura bustrofedica, da destra a sinistra e
viceversa alla maniera dell'arare dei buoi (bous = bue e stroph = svolgimento).
Pu anche significare, come ha proposto S. Freud, l'atto del coito per il fatto di
lasciare scorrere del liquido da una canna sopra un pezzo di carta bianca.
In modo pi esplicito riviviamo la fatica dello scrivere sfogliando altri documenti
come il codice berlinese 270 del secolo IX della Lex Romana Visgothorum: O
beatissime lector, lava manus tuas et sic librum adprehende: leniter folia turna,
longe a littera digito pone, quia, qui nescit scrivere putat hoc esse nullum
laborem. O quam gravis est scriptura! Oculus gravat, renus frangit simul et omnia
membra contristai. Tria digita scribunt, totum corpus laborat. Quia sicut nauta
desiderai venire ad proprium portum, ita et scriptor ad ultimum versum. / O
felicissimo lettore, lava le tue mani e cos prendi in mano il libro, volta le pagine
con garbo, tieni le dita lontane dalla scrittura perch chi non sa scrivere crede chenon sia questa alcuna fatica. Quanto faticosa la scrittura! Affatica gli occhi, e
insieme spezza la schiena e fa dolere tutte le membra. Tre dita scrivono; tutto il
corpo si travaglia. Perch come il navigante brama giungere al proprio porto, cos
lo scrittore all'ultima riga.3
Lo scenario dell'arte della scrittura alla met del secolo VIII pi completo
ricordando che si adoperavano scritture elaboratissime e pesanti: la capitale,
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insieme di maiuscole accuratamente tracciate con accentuazione dei tratti sia
grossi che sottili e l'onciale, anch'essa costituita da maiuscole ma caratterizzata
dalle aste e dalle code che oltrepassavano due linee tracciate sopra e sotto il corpo
delle lettere. Gli amanuensi preferivano usare delle scritture corsive e maiuscole,
con numerose legature che evitavano di sollevare la mano fra una lettera e l'altra.
Tra le scritture quella usata per copiare una Bibbia durante i primi anni del regno
di Carlo Magno presenta gi molti dei caratteri della scrittura carolina. Compir la
sua formazione a San Martino di Tours sotto l'influenza di Alcuino e il suo allievo
Fradegiso. Da Tours si diffonder in tutto l'Impero.
Nel Basso Medioevo il progresso tecnico assicura una produzione materiale di
migliore qualit in molti settori dell'economia, una crescita dell'alfabetizzazione,
con un numero maggiore di persone che sanno leggere e scrivere, un aumento
della produzione, consumo e conservazione di documenti scritti e letterari. La
rinascita borghese e commerciale, la notevole richiesta di oggetti domestici e di
arredamento, la pi attenta conoscenza della vita privata e quotidiana nei suoi
aspetti oltre che spirituali anche materiali, la pratica del calcolo e della contabilit
nell'amministrazione e nel commercio, la sollecitazione di pi ordinata e razionale
quantificazione delle merci, richiedono un aumento di alfabetizzazione. La lettura
e osservazione della natura (vedi la scoperta della prospettiva) dettagliata,
puntuale che porta a intravedere alcuni fondamentali princpi fisici nella realt, lastessa rappresentazione del mondo con mappe che si perfezionano a mano a
mano che avvengono le scoperte geografiche, la maggior diffusione di documenti
scritti sia in latino, lingua dotta europea, sia nelle lingue moderne, sono
emergenze significative.
Nella fase iniziale, la cristianizzazione si era giovata totalmente del veicolo orale;
in seguito aveva adoperato la scrittura moltiplicando la scrittura di bibbie, di
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commenti alle sacre scritture, di testi a mezzo della copiatura eseguita negli
scriptoria. Le trasformazioni della societ e la nascita delle universit consentono
anche ai laici di accedere al grande circuito della comunicazione scritta e
letteraria, per quanto nell'esame di questa fenomenologia sia consigliabile
procedere con cautela. Non va dimenticato che il Medioevo resta per la lingua
contrassegnato dalla parola parlata. La Chiesa come istituzione religiosa e
culturale forma e informa, educa e comunica con la parola del clero, le cui
prediche e narrazioni sono svolte oralmente e si possono tramandare per lungo
tempo in questa forma fin quando non saranno riportate per iscritto. La scrittura
solo in tempi successivi riuscir a bilanciare quasi l'area dell'oralit in un
equilibrio di uso e fortuna dei due veicoli, di interazione reciproca in una
convivenza e divisione dei compiti.
Mentre la richiesta di un maggior numero di manoscritti aumenta, i tempi di
riproduzione, con accorgimenti dettati dalla pratica, si riducono. L'insieme dei
fattori umani e tecnici coinvolti si fa pi complesso, si definiscono e
razionalizzano le tecniche del corpo, la posizione e i gesti di chi scrive,
l'attrezzatura, il calamaio, calamo e inchiostri, gli aspetti economici, il prezzo delle
pergamene e dei libri.
Se il copista medievale poteva essere semianalfabeta, operando di fatto come
amanuense in luoghi circoscritti e chiusi, l'intellettuale urbano del XII secolo sente
di essere un cittadino, un uomo che svolge un mestiere paragonabile ad altri
praticati nella citt.4 Ars est recta ractio factibilium dice san Tommaso,
giudicando arte qualsiasi attivit razionale dello spirito applicata alla
fabbricazione di strumenti, sia materiali che intellettuali. Tecnica intelligente del
fare il significato etimologico attribuito alle arti liberali, intese come attivit
umana regolata da accorgimenti tecnici e fondata sullo studio e sull"'esperienza"
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scrive B. Latini. Arti, appunto, perch uniscono alla produzione materiale la
conoscenza, il sapere teorico. Il sapiente delle universit, il magister, ha qualcosa
dell'artigiano e del mercante, egli ha bisogno di unadeguata strumentazione che
non appartiene pi al monastero, che deve essere di propriet personale; egli usa
e scrive libri che cerca di vendere.
*
Francesco Petrarca, poeta, scrittore e anche copista, sapeva che la scrittura a mano
poteva essere chiara, nitida, bella ma anche sciatta, piccola, illeggibile per vizi di
scrittura che si andavano diffondendo al suo tempo e che egli non tollerava.
Appassionato bibliofilo, dedic gran parte della sua vita a mettere insieme una
raccolta di libri, acquistati o copiati di propria mano. Aveva maturato un ideale
umanistico di vita, una concezione e una scienza dell'uomo che gli consentivano,
con l'ausilio della sua fine sensibilit, di scoprire nella grafia un temperamento, il
segno dei tempi. Per lui la lettera ben scritta comunica in modo pi naturale epieno il senso delle parole, esprime meglio l'humanitas che cerc di conseguire
per tutta la vita.
Se, come si ricava da alcuni scritti, Petrarca contrappose la poesia alle vili arti
meccaniche pur vero che apprezz le tecniche quando raffinate e usate con
umanistica misura. In una lettera al fratello Gherardo, in cui comunica di avergli
inviato un suo testo personale delle Confessionidice che i difetti dei codici del suo
tempo sono dovuti soprattutto alla pratica artigianale e meccanica della
produzione del libro: alcuni preparano la pergamena, altri scrivono i libri, altri li
correggono, altri li illustrano e infine altri ancora li legano e ne adornano la
superficie esterna. Non calcem temperat architectus, sed iubet ut temperetur; non
gladios acuit dux belli, non magister navis malum dedolat aut remos, non tabulasApe