Dio gioca a dadi - Libero...

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Dio gioca a dadi Aveva torto Einstein. Perché il Creatore parla la lingua di un matematico. L'universo spiegato a "L'espresso" dal Newton del terzo millennio Colloquio con Edward Witten Di Enrico Pedemonte L’Isaac Newton del Ventunesimo secolo si chiama Edward Witten. È un fisico matematico di 52

anni, lavora all'Institute for Advanced Study di Princeton, nel New Jersey, a un'ora di treno da New York. Qui, per oltre vent'anni, Albert Einstein cercò invano di trovare una teoria generale dell'universo, superando i problemi che la sua relatività incontrava nel mondo dell'ultrapiccolo. E oggi molti pensano che Witten, con la sua ricerca sulla "teoria delle stringhe", sia abbastanza vicino a quella che molti definiscono la "teoria del tutto". L'Institute for Advanced Study non è un'università né un centro di ricerca nel senso tradizionale del termine. Freeman Dyson, un altro peso massimo della fisica, lo ha definito «il miglior motel per intellettuali del mondo». Poche decine di grandi scienziati sono assunti a vita per pensare senza obblighi didattici in queste palazzine di mattoni rossi isolate nel verde. Chi vuole può circondarsi di due o tre discepoli da allevare, in un ambiente rarefatto dove sono bandite radio e tv per evitare i rumori indesiderati.

Witten parla sottovoce, lentamente, sceglie le parole con accuratezza e se può evita di parlare di sé, dei prestigiosi premi di cui è stato insignito e del Nobel finora solo sfiorato. Dopo la laurea, per alcuni mesi si impegnò nella campagna per le presidenziali del 1972, sostenendo il democratico George McGovern, sconfitto da Richard Nixon. A quei tempi voleva fare il giornalista. Poi cambiò idea, racconta, «perché capì di avere maggiore talento in matematica e fisica». Trent'anni dopo, Witten sembra aver conservato la sua fede democratica, di cui però discute solo a microfono spento. Delle sue teorie sulla fisica, invece, parla volentieri, seduto sul divano del suo ufficio disadorno.

Professor Witten, può spiegare la teoria delle stringhe con un'immagine? «La fisica tradizionale descrive le particelle elementari come elementi puntiformi. Nella teoria delle

stringhe queste diventano minuscoli filamenti che vibrano. Le stringhe sono questi filamenti». Il termine "string" in inglese indica anche la corda di un violino. Perché usa la metafora del la musica per spiegare la teoria delle stringhe? «Si tratta di una metafora che contiene una buona dose di verità. Se si pizzica la corda di un

violino o di un pianoforte, queste vibrano in diversi modi. Una vibrazione produce la nota fondamentale, ma altre vibrazioni corrispondono ad armoniche più alte. Così la corda di un violino emette una straordinaria armonia di differenti note. È questa varietà di toni che dà origine alla bellezza della musica. Nella teoria delle stringhe accade qualcosa di analogo. Abbiamo dei minuscoli filamenti, le stringhe, che possono vibrare in tanti modi diversi. L'elettrone, il quark, i neutrini, il gravitone e così via sono solo differenti modi in cui la stringa fondamentale può vibrare. È questa l'idea di base che ci aiuta a unificare le diverse forze esistenti in natura».

Le stringhe sono i mattoni fondamentali dell'universo o c'è qualcosa di ancora più piccolo? « In teoria potrebbe esistere qualcosa di ancora più piccolo. Ma sono certo che nell'arco della mia

vita non troveremo nulla di più fondamentale delle stringhe». Se nella teoria si sostituiscono le particelle puntiformi con filamenti infinitesimi, che cosa

cambia nella comprensione della natura? «Immaginiamo che le particelle siano puntiformi, come dicevano le teorie del Ventesimo secolo: se

esse si scontrano questo avviene in un momento e in un punto dello spazio ben definiti. Invece se si scontrano due stringhe non si può localizzare dove e quando questo avviene. Non è facile spiegarlo a parole. Ma nella teoria delle stringhe lo spazio e il tempo diventano sfocati, indeterminati».

Può chiarire meglio questo concetto? «Se lei guarda il suo orologio, vede che sono le 11 e dieci, ma è un tempo approssimato. Certo, lei

penserà di poter determinare l'ora in modo più preciso, magari con un orologio atomico, ma secondo la

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teoria delle stringhe l'incertezza nella misura del tempo - e dello spazio - non può essere ridotta sotto un certo limite. Se si potesse andare straordinariamente vicino a un oggetto, si vedrebbe che le particelle sono stringhe che vibrano. Questa novità, rispetto alle teorie tradizionali, ci aiuta a introdurre un'ulteriore indeterminazione rispetto a quella che già la meccanica quantistica aveva previsto».

Che cosa c'è di rivoluzionario nella teoria delle stringhe? «È necessario fare un passo indietro. Nel secolo scorso la nostra conoscenza delle leggi

fondamentali della natura si è sviluppata intorno a due grandi teorie. La prima è la relatività generale di Einstein che descrive molto bene i fenomeni su larga scala nell'universo. La seconda è la meccanica quantistica, che funziona nel mondo delle particelle subatomiche, degli atomi e delle molecole. Ciascuna nel suo campo, queste due teorie hanno avuto grande successo. Ma ci sono parecchie questioni irrisolte. Per esempio, se si applica la teoria quantistica alla gravitazione ci si aggroviglia in una rete di contraddizioni. La teoria delle stringhe è l'unica teoria esistente che sta avendo successo nell'unificare queste teorie. È proprio l'allargamento del concetto di indeterminazione che consente di incorporare anche la gravitazione».

Un fisico italiano, Daniele Amati, ha detto che «la teoria delle stringhe è un pezzo di fisica del 21esimo secolo capitata per caso nel 20esimo secolo». Che cosa intende dire?

«La frase di Amati è molto saggia. Quando Einstein introdusse la relatività generale, prima comprese le idee di fondo e poi costruì la teoria. Nel caso delle stringhe è avvenuto il contrario. La prima formulazione fu proposta nel 1968 da un fisico italiano, Gabriele Veneziano, che oggi lavora al Cern di Ginevra. Ma allora i fisici non capirono che cosa fosse. Ci vollero sei o sette anni per capire che quella formula aveva a che fare con le stringhe. E altri sette anni per capire che aveva a che fare con la gravità. Siamo inciampati quasi per caso in pezzi di una teoria che non riusciamo ancora a comprendere del tutto».

Le due teorie della fisica, la meccanica quantistica e la relatività, saranno riformulate nei prossimi anni sulla base delle idee emergenti?

«Se dovessi fare una scommessa, direi che la meccanica quantistica sopravvivrà. Con alcune modifiche però che consentiranno di spiegare meglio come funziona l'intero universo. Credo invece che la relatività generale di Einstein dovrà essere riformulata alla luce della teoria delle stringhe».

Dove sbagliò Einstein? «I concetti che Einstein introdusse erano perfetti. La sua scoperta fondamentale fu che la gravità

potesse essere descritta con leggi geometriche. Se ci si limita a considerare lunghe distanze e lunghi tempi le sue teorie funzionano bene. Non altrettanto su spazi e tempi molto piccoli. Naturalmente non so se a Einstein sarebbe piaciuta la teoria delle stringhe. Ma ho motivo di pensare che se tornasse tra noi penserebbe che questa teoria è nello spirito di quello che lui stava cercando di scoprire».

Ma Einstein contestò per molti anni la meccanica quantistica, basata sul principio di inde-terminazione di Heisenberg. Disse: «Dio non gioca a dadi». Si sbagliava?

«Su questo punto aveva ragione Heisenberg. Einstein sbagliava nel cercare di salvare a tutti i costi la nozione classica di determinismo».

Quindi l'universo descritto dalla teoria delle stringhe è basato sull'indeterminazione... «La teoria delle stringhe incorpora le idee della meccanica quantistica che mettevano a disagio Einstein e che sono effettivamente molto strane».

Perché strane? «La meccanica quantistica è molto più strana di qualunque altra teoria della fisica. L'idea che non si

riesca a misurare oltre un certo limite la posizione di una particella è molto strana. Ma questa stranezza non può essere spiegata senza la matematica. Sono questioni difficili da divulgare».

Molti dicono che quella delle stringhe è la "Theory of Everything", in grado di spiegare tutto l'universo.

«Una teoria non può spiegare tutto. La teoria delle stringhe non potrà certo spiegare gli uragani. Ma potrà aiutarci a capire la natura in modo molto profondo. Abbiamo fatto parecchia strada, anche se sia-

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mo lontani dal traguardo». Quanto lontani? « Non ne ho idea. Ci sono periodi in cui sono stati fatti progressi molto rapidi. Per esempio, alla

metà degli anni Ottanta e alla metà degli anni Novanta. Se ogni dieci anni si facessero progressi simili può darsi che entro la fine di questo decennio ci saranno novità molto interessanti».

Secondo la teoria delle stringhe, viviamo in un universo a 11 dimensioni. «Quattro di queste dimensioni sono quelle dello spazio che percepiamo intorno a noi, compreso il

tempo che è la quarta dimensione, come diceva Einstein. Le altre sette sono dimensioni su scala molto ridotta, talmente piccole che non possiamo rendercene conto nella vita quotidiana».

Secondo le sue teorie sono possibili molti diversi universi. Potrebbero davvero coesistere? «È immaginabile che possano coesistere. Ma la nostra comprensione di questa idea è incompleta.

Non sappiamo ancora qual è la risposta giusta a questa domanda». Le grandi teorie del 20esimo secolo furono l'anticamera di importanti applicazioni, per

esempio l'energia nucleare. Che cosa ci darà la teoria delle stringhe? «Questa teoria sarà molto utile agli astronomi che vogliono capire come funziona l'universo. Servirà

a spiegare meglio fenomeni come i buchi neri e il Big Bang». Lo scienziato Leonard Susskind sostiene che il nostro universo deve necessariamente avere

leggi adatte alla vita, il cosiddetto principio antropico. Lei è d'accordo? «Mi piacerebbe spiegare le leggi della natura con una teoria nata dallo studio della natura, come la

teoria delle stringhe. Mi riesce difficile aderire al principio antropico perché vorrei trovare una spiegazione scientifica delle cose. Susskind sostiene che molte domande che ci poniamo non possono avere spiegazioni scientifiche convenzionali. Non sono d'accordo. Perché mai non dovrebbero esserci spiegazioni scientifiche? Semplicemente non le abbiamo ancora scoperte. La ricerca sulla teoria delle stringhe è proprio il tentativo di dare una spiegazione scientifica convenzionale per spiegare l'origine dell'universo e lo sviluppo della natura».

Sembra di capire che lei non accetta di inserire elementi filosofici nel suo lavoro di ricerca. « Il progresso della scienza tende a restringere il numero di questioni che tradizionalmente erano

campo esclusivo della speculazione filosofica. E io vorrei che questa tendenza continuasse anche in futuro. Sono interessato a cercare risposte scientifiche tradizionali a certe domande. Non intendo arrendermi. Ci sarà un momento in cui, magari tra 250 anni, certe risposte saranno alla nostra portata».

Paul Dirac enunciò il "principio della bellezza matematica", affermando che se una teoria non è anche bella, non può essere vera. Che cosa c'è di bello nella matematica?

«Dirac aveva ragione. Tutte le teorie che hanno avuto successo nel secolo scorso sono state molto belle. E anche la teoria delle stringhe è certamente bella. Aggiungo che l'idea di Dirac sulla bellezza della matematica non era mai stata così bene espressa prima del 20esimo secolo».

Perché? «Le scoperte fatte prima erano certo straordinarie, come la legge della gravitazione di Newton o le

leggi della termodinamica, ma non riuscivano ad andare molto oltre l'ordinaria intuizione. Dirac si riferisce alle teorie del 20esimo secolo, in cui la natura viene descritta da equazioni matematiche di grande eleganza. Dovrei lasciar fare questi discorsi ai filosofi. Ma può darsi che l'universo sia stato creato da un matematico».

Lo pensa davvero? «Sto scherzando». Galileo disse che la matematica è la lingua che Dio ha usato per creare il mondo... «E

straordinario che Galileo abbia detto una cosa simile tanti secoli fa, tenendo conto quanto limitata fosse la matematica da lui utilizzata. Potrei risponderle che i matematici studiano la bellezza. Studia-no cose belle che appaiono come una pura creazione della nostra mente. Il fatto poi che queste forme matematiche si siano dimostrate la giusta cornice per descrivere la natura rappresenta ancora un mi-stero. Un tempo gli uomini vedevano gli spiriti dietro ogni cespuglio. Ora qualcuno dice che la

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matematica è la lingua della natura. Mi sembra che la seconda affermazione sia più vicina alla verità». Ovunque c'è però una crisi delle vocazioni verso la fisica e la matematica. Forse le nuove

teorie sono troppo oscure? «Ai miei studenti dico sempre che viviamo in un'epoca in cui non è più possibile scoprire nuovi

continenti. Ma è possibile fare scoperte altrettanto importanti ed eccitanti». Quattro tappe fondamentali 1906. EInstein pubblica sugli "Annalen der Physics" il suo famoso articolo sulla relatività ristretta che

rivoluziona concetti base della fisica. Come conseguenza della teoria della relatività ristretta la velocità della luce diventa la velocità massima concepibile per gli oggetti naturali; il tempo, lo spazio e la massa si dilatano o si contraggono in funzione della velocità dei corpi; il tempo diventa la quarta dimensione dello spazio-tempo.

1916. Einstein espone la teoria della relatività generale che spiega in modo geometrico il fenomeno della gravitazione, interpretato come una curvatura dello spazio tempo. Le teorie di Einstein funzionano molto bene per spiegare i fenomeni su larga scala dell'universo.

1925. Heisenberg enuncia il principio di indeterminazione, il mattone fondamentale della nascente meccanica quantistica, che raccoglie successi nello spiegare i fenomeni dei mondo infinitesimale delle particelle e degli atomi. Secondo lo scienziato tedesco esiste un limite oltre il quale non è possibile misurare la posizione di un oggetto e il suo movimento. Einstein rifiuta queste teorie. Nega che la natura possa essere basata su un concetto probabilistico. Afferma: «Dio non gioca a dadi». Ma i suoi tentativi di creare una teoria determinista alternativa risultano infruttuosi.

1968. Gabriele Veneziano, uno scienziato italiano, pubblica uno studio che apre la strada a nuove ricerche per unificare la meccanica quantistica e la relatività. Secondo la scuola di pensiero che lentamente si fa strada, le particelle non sono più oggetti puntiformi, ma piccoli filamenti infinitesimi, chiamate stringhe (o corde). Dalla vibrazione di queste stringhe nasce la varietà delle particelle esistenti in natura. Edward Witten è oggi lo scienziato capofila di questa teoria, che negli ultimi dieci anni ha avuto enormi sviluppi.

( da L’Espresso n. 41, 2003)