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Dietro LE SBARRE Dieci anni di presenza delle religiose nel Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria (Roma) slavesNOmore Ufficio “Tratta donne e minori” - USMI

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DietroLE SBARRE

Dieci anni di presenza delle religiose nel Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria (Roma)

slavesNOmoreUfficio “Tratta donne e minori” - USMI

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A Papa Francesco con riconoscenzaLe suore e le donne del Cie di Ponte Galeria

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«La “tratta delle persone” è un’attività ignobile, una vergogna per le nostre società che si dicono civilizzate!

Sfruttatori e clienti a tutti i livelli dovrebbero fare un serio esame di coscienza davanti a se stessi e davanti a Dio!

La Chiesa rinnova oggi il suo forte appello affinché sianosempre tutelate la dignità e la centralità di ogni persona!

La tratta di persone è la schiavitù più estesa in questo XXI secolo!». Papa Francesco I

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Premessa

«Ogni volta che devo scrivere mi vien da piangere. Vedo le mie un-ghie. Sono verdi. Anche la dermatologa non è riuscita a fare niente.

È stato lui a ridurmele così. Mi aveva portata in Grecia. Ma io non volevo pro-stituirmi. Lui mi picchiava e mi strappava le unghie. Ma io non ho ceduto. Fin-ché siamo ripartiti. Pensavo che mi avrebbe riportata a casa e siamo venuti inItalia. Lui era sempre più violento. Mi ha fatta stuprare dai suoi amici. Non cela facevo più. E sono finita in strada». Eriona, albanese, è una delle tante ragazzegettate sulle strade italiane, vittime di trafficanti senza scrupoli che le com-prano e le vendono come una merce qualsiasi, e che le costringono a venderese stesse, usate e abusate da clienti, gettate vie come spazzatura. Sono circa cin-quanta-settanta mila le donne vittime di tratta in Italia, costrette a prostituirsie sfruttate in condizioni di schiavitù o semischiavitù. Un traffico vergognoso elucroso, fatto letteralmente sulla pelle di ragazze spesso giovanissime.

Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), sarebbero circa 20,9milioni gli adulti e i bambini costretti al lavoro forzato e alla prostituzione co-atta. L’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim) parla di circa 500 miladonne, che ogni anno sono vittime di traffico prevalentemente per lo sfrutta-mento sessuale, immesse nel mercato dell’Europa Occidentale. Ma sarebberoalmeno 2,7 milioni, secondo le Nazioni Unite, le vittime di tratta, di cui l’80per cento è costituito da donne e minori, che vengono venduti annualmentenel mondo ai fini della prostituzione, della schiavitù o del matrimonio. Circala metà sono bambine tra i 5 e i 15 anni. Buona parte arrivano in Europa Oc-cidentale provenienti dai Paesi dell’Est, ma anche dalla Nigeria, dall’AmericaLatina e sempre più dalla Cina. Secondo le Nazioni Unite si tratta di businessillegale di circa 32 miliardi di dollari l’anno: insieme a quello di armi e di stu-pefacenti, il traffico di esseri umani è una delle attività illegali più lucrative inassoluto e coinvolge diversi Paesi e aree del mondo. Ma al di là dei dati, ci sono le persone. Ridotte a corpi-merce “usa e getta”, questeragazze e queste donne hanno delle storie. Spesso dolorose: di povertà e miseria,

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In Italia, sono cinquanta-settanta mila le donne

vittime di tratta, costrette a prostituirsi e sfruttate in condizioni di schiavitù o semischiavitù

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di violenza e maltrattamenti, già nei luoghi e nelle famiglie d’origine. Molte hannofatto viaggi d’inferno, specialmente le africane, altre sono cadute nei ricatti affettividi sedicenti fidanzati rivelatisi poi degli aguzzini. Altre ancora lo hanno scelto perchénon avevano scelta. Schiave di una catena che toglie libertà e dignità. Una catena for-mata da molti anelli, così quelli che formano la catena delle nuove schiave del ven-tunesimo secolo. Gli anelli hanno dei nomi e sono quelli delle vittime e della loropovertà, degli sfruttatori con i loro ingenti guadagni, dei clienticon le loro frustrazioni, della società con la sua carenza di va-lori, dei governi con i loro sistemi di corruzione e di connivenze,della Chiesa e di ogni cristiano, con il silenzio e l’indifferenza.Ma questa catena si può e si deve spezzare. Occorre, però, che ciascuno faccia la sua parte e si assuma leproprie responsabilità, dalla politica alle istituzioni, dalle forzedell’ordine alla società civile. Solo un lavoro competente, coor-dinato e in rete, rispettoso delle vittime di questo traffico - cheinvece spesso vengono equiparate tout court a immigrati irre-golari - potrà dare dei risultati efficaci. Ma è necessario lavoraremolto di più sia sul contrasto che sulla prevenzione, oltre chesulla protezione delle vittime e sui percorsi di recupero e reintegrazione. Qualcuna ne è uscita: grazie a molte associazioni, congregazione religiose, Caritas eparrocchie e a molti ex-clienti. In Italia, in particolare, l’Ufficio “Tratta donne e minori”dell’Unione Superiore Maggiori d’Italia (Usmi), guidato dal 2000 da suor Eugenia Bo-netti, missionaria della Consolata, coordina il prezioso e difficile servizio di molte re-ligiose appartenenti a 80 diverse congregazioni che operano a diversi livelli: dalle unitàdi strada alle case di accoglienza, dai centri di ascolto alle cooperative di lavoro. Dal 2003, inoltre, un gruppo di religiose si reca settimanalmente nella sezione fem-minile del Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria, Roma, perportare assistenza e conforto alle donne che vi sono detenute per molti mesi.

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L’Ufficio

“Tratta donne e

minori” dell’Usmi

coordina il servizio

di molte religiose

appartenenti

a 80 congregazioni

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Storie di (stra)ordinaria violenzaSonia, 18 anni appena compiuti, è stata arrestata durante un controllo della po-lizia. Era priva di documenti, perciò è stata portata al Cie di Ponte Galeria, aRoma. È stato lì che l’abbiamo incontrata e che ci ha raccontato la sua storia:in quindici mesi aveva già fruttato alle tre sorellastre che l’avevano portata inItalia 55.000 euro. Era molto ricercata dai clienti proprio per la sua giovane età.L’abbiamo aiutata a uscire dal Cie e subito dopo è stata accolta in una comunitàcon un programma di reintegrazione sociale per donne vittime di tratta.

Glory, 22 anni, nigeriana, ha conosciutosulla strada uno dei suoi clienti, un divor-ziato trentottenne. Il giovane, come tal-volta accade, si è innamorato di lei evoleva portarla a casa sua. Gloria però si èrifiutata e lui per vendetta l’ha gettata daun ponte. Il suo corpo senza vita è statoritrovato alcuni giorni dopo.

Mercy è un’altra ragazza nigeriana. Ven-duta da uno zio ai trafficanti di esseriumani, è stata portata in Italia quandoaveva 14 anni. Messa sulla strada, è statafermata dalla polizia e successivamenteaccolta in una comunità per minori. Avevaperso tutti i contatti con la famiglia, ed è

stato solo dopo sei anni, grazie al lavoro di rete tra le congregazioni religiose,che ha ritrovato sua madre. Per lei c’è stato un lieto fine: dopo sette anni diassenza, è potuta infine tornare nel suo Paese, per celebrare il Natale in fa-miglia, finalmente a casa.

Pamela, una giovane rumena, è stata meno fortunata. Già madre di un bam-bino ancora piccolo, desiderava venire in Italia per trovarsi un lavoro e da

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qui aiutare la famiglia ad avere unavita più agiata. Ha così deciso di fi-darsi di alcuni giovani connazio-nali che le hanno promesso di darleuna mano. Giunta a Roma, è peròstata rinchiusa in un appartamentoe violentata a turno da tre uominiper costringerla a scendere sullestrade a prostituirsi. Esausta, dopouna lunga lotta con i suoi aguzzini,ha chiesto di andare in bagno, ha aperto la finestra e si è buttata nel vuoto.Si è salvata per miracolo, ma riportando parecchie fratture. Accolta in unacomunità di religiose, si è ripresa lentamente, ma il trauma di quei primigiorni di violenza e segregazione l’ha segnata per sempre.

Low Lai Tin, una giovane cinese, ha un figlio: un bellissimo maschietto ilcui padre, però, è proprio l’aguzzino che la costringeva a lavorare sulla stradain una località turistica italiana. Vinta dalla stanchezza e dall’umiliazione,ha chiesto aiuto a un’unità di strada. Pochi giorni dopo è stata tempestivamente portata con il suo bambino in unadelle nostre case protette, dove ha potuto denunciare la sua situazione di sfrut-tamento. Si è mostrata subito molto cooperativa e desiderosa di intraprendereuna vita nuova. È riuscita a ottenere i documenti e ha ricominciato a viverefelice: aveva il suo bambino e un futuro carico di buone prospettive. Un giornoperò Low Lai Tin è sparita all’improvviso dalla comunità, portando con séanche il piccolo. Poco tempo dopo l’abbiamo ritrovata di nuovo sulla strada,in attesa di clienti. La mafia cinese l’aveva scoperta e l’aveva costretta a pro-stituirsi nuovamente, minacciandola di far sparire il figlio.

I racconti potrebbero proseguire all’infinito, perché le vittime di traffico diesseri umani per lo sfruttamento sessuale sono migliaia nel nostro Paese. Storie di abusi, violenze, sofferenze e disperazione. Storie di schiavitù di tantedonne portate in Italia con il miraggio di una vita migliore per trovarsi poinelle maglie della criminalità. Vendute e comperate come schiave, nono-stante da oltre duecento anni sia stata abolita la schiavitù.

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Portate in Italia con il miraggio di una vita migliore.

Vendute e comperate come schiave

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Donne a favore di altre donneDurante i lunghi anni di impegno e servizio a favore delle donne, la rete direligiose che operano in questo campo si è allargata e consolidata non solo inItalia ma anche nei Paesi di origine, transito e destinazione. Sono state createle basi per un vero lavoro educativo di informazione, prevenzione e reintegra-zione, come pure di condanna per quanti, in modi diversi, usano e abusanodel corpo della donna, la cui dignità non si può mercanteggiare o pagare per-ché è un dono sacro da rispettare e custodire. Attualmente l’Ufficio “Tratta donne e minori”, creato nel 2000 nella sede del-l’Usmi, coordina il prezioso e difficile servizio di moltissime suore appartenentia 80 congregazioni diverse, che lavorano in un centinaio di progetti in Italia,spesso in collaborazione con le Caritas, con altri enti pubblici o privati, convolontari e associazioni. Attraverso questi organismi, migliaia di persone sonostate accolte e vivono tuttora nelle nostre strutture o case-famiglia.Questo servizio è il risultato di una nuova “fantasia della carità”, che è pure“intuizione profetica” e frutto di un nuovo “genio femminile”, che si realizzasu molti fronti. Ci sono le unità di strada, costituite insieme ai gruppi par-rocchiali, che servono come primo contatto con le vittime. Poi vengono icentri di ascolto, predisposti ad accogliere i problemi delle donne in cerca diaiuto; e le comunità di accoglienza o case-famiglia, per progetti di reintegra-zione sociale.Vengono, inoltre, offerti aiuto spirituale e supporto psicologico, oltre a una pre-parazione professionale con corsi di lingua e formazione lavorativa. Non puòmancare l’assistenza legale per permettere di reperire tutta la documentazionenecessaria a uscire dalla clandesti-nità e conseguire un regolare per-messo di soggiorno; perciò ènecessaria la collaborazione con leambasciate, per ottenere documentidi identificazione. Non meno fon-damentale è la partecipazione a in-contri nazionali e internazionaliper prestare voce a chi non ha di-ritto di parola e per creare reti so-vranazionali.Per ultime, ma non meno impor-tanti, ci sono le nostre preziose “al-

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leate”: le sorelle che vivono neimonasteri di clausura; il lorocompito è fornire il sostegnodella preghiera alle “sorelledella notte e della strada”. Nel 2003, inoltre, è statocreato un gruppo di religiosedi varie nazionalità e congre-gazioni che entra tutti i sa-bati pomeriggio nel Cie diPonte Galeria, Roma.

Sebbene tanto sia stato compiuto in questi anni, molto rimane ancora da fareper venire incontro alle nuove emergenze e spezzare le catene che imprigio-nano ancora molte donne nel nostro Paese. Le congregazioni religiose che ope-rano in Italia devono raddoppiare i loro sforzi, ma anche i missionari e lemissionarie che vivono e lavorano nei Paesi di provenienza possono fare tanto,diffondendo sul posto il messaggio di liberazione, offrendo opportunità alter-native e promuovendo la dignità di ogni persona, particolarmente della donnaemarginata e sottomessa.

Riteniamo, infatti, che siamo tutti responsabili del disagio umano e sociale ancoratroppo drammaticamente presente in molte aree del mondo e anche in Italia. Èvenuto il momento in cui ciascuno deve fare la sua parte e assumersi le proprieresponsabilità. Per questo, come religiose abbiamo rivolto in più occasioni unforte appello alle autorità civili e religiose, al mondo maschile e maschilista chenon si mette in discussione, alle agenzie di informazione e formazione, alla scuola,alle parrocchie, ai gruppi giovanili, alle famiglie e, in modo particolare, alle donneaffinché insieme possiamo riappropriarci di quei valori e significati sui quali sibasa il bene comune per una convivenza degna di persone umane, per una so-cietà più giusta e più libera, con la speranza di un futuro di pace e armonia, dovela dignità di ognuno è considerata il primo bene da riconoscere, sviluppare, tu-telare e custodire, così come ogni persona è stata creata a immagine di Dio e nes-suna, maschio o femmina che sia, possa essere trattata da schiava.

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Ciascuno deve fare la sua parte e assumersi

le proprie responsabilità per un futuro di speranza, pace e armonia

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A Ponte Galeriacome Maria sotto la croce

Dal mese di marzo del 2003 - dopo aver atteso per quasi un anno di ottenerei dovuti permessi dalla Prefettura di Roma -, ogni sabato pomeriggio, unaquindicina di religiose di diversi Paesi e congregazioni. visitano la sezionefemminile del Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria. È ilgiorno più difficile di tutta la settimana. Infatti, siamo ben coscienti che,dopo la visita, siamo costrette a lasciare le ragazze lì dentro, in un ambientetriste e squallido, di uno squallore unico e indescrivibile: cemento, grate, uncortile vuoto e freddo, camerate anonime, dove a ciascuna donna viene as-segnato un letto per dormire. Niente altro. Eppure non desideriamo esserein nessun altro posto, perché tra quelle sbarre incontriamo la sofferenza, lasolitudine, la rabbia e la speranza di tante giovani donne provenienti da variPaesi, detenute ingiustamente per molti mesi con l’unica colpa di non avere

i documenti in regola. Purtroppo questa è una delle tanteperiferie esistenziali della nostra società moderna, dove an-cora una volta vengono colpite e punite le persone più vul-nerabili e senza possibilità di scelta.Una delle suore del gruppo, un giorno rispose alla sua su-periora generale che le chiedeva il senso di quelle visite.«Madre, facciamo ciò che ha fatto la Madonna sotto lacroce: lei non poteva cambiare nulla di ciò che stava suc-cedendo, ma era lì, con quel suo Figlio, a condividerne al-meno il dolore». Per tutte noi è lo stesso: il più delle voltepossiamo fare ben poco per cambiare la situazione di que-ste donne, ma se non altro siamo lì, come amiche, sorellee madri, a condividere la loro sofferenza e a cercare di dare

un po’ di conforto, fiducia e speranza in un futuro diverso.Tutti i sabati, per entrare dobbiamo affrontare gli stessi controlli, le stessedomande, a volte le stesse difficoltà burocratiche, specie quando si incon-trano nuovi funzionari, che non ci conoscono e sono diffidenti e inquisitori.Ma noi non ci arrendiamo. Con pazienza e tenacia entriamo, passando tracancelli e sbarre, sino ad arrivare alle camerate delle donne. A volte, quandoil tempo è bello, le troviamo all’aperto, nei cortili di cemento, sdraiate sumaterassi, dove trascorrono lunghe giornate senza far niente, nell’inerzia as-soluta. Per certi versi questo posto è peggio di un carcere, perché non è pre-visto alcun genere di attività o di impiego, non c’è neppure un luogo di

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Ogni sabato

una quindicina

di religiose di diversi Paesi

e congregazionivisita la sezione

femminile del Cie

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ritrovo o di aggregazione. In un ambiente così deprimente e trascurato, lepersone perdono la loro umanità e vengono annullate.Spesso diventano sciatte nel loro modo di vestire e di comportarsi, ancheperché non è lasciato loro niente di quel che indossavano; hanno solo il mi-nimo indispensabile che viene consegnato loro all’arrivo. Non soltanto nonpossiedono niente; non hanno diritti, non hanno speranze. Sono nessuno.

La nostra visita vuole essere per queste donne una presenza di conforto; vuoleportare un po’ di calore e di amore. Di umanità. Le più numerose sono sem-pre le nigeriane, seguite da cinesi, ragazze dell’Europa dell’Est e da qualchelatinoamericana e maghrebina. In maggioranza sono cristiane, quindi con-dividiamo anche momenti di preghiera in diverse lingue, molto apprezzatie partecipati: la spiritualità riesce a dare senso e un po’ di sollievo alla lorovita, anche nella difficile situazione di reclusione. Per rompere la monotoniae la solitudine cerchiamo, poi, di sfruttare tutte le occasioni per offrire mo-menti di aggregazione, distensione e festa. In modo particolare celebriamole festività, cercando di distribuire doni utili alla loro permanenza. Tra i piùgraditi non può mancare, specialmente a Natale, un grande borsone per met-terci le loro povere cose. Era indecente e vergognoso vederle rimpatriare for-zatamente dalla ricca Europa con le loro poche cose infilate in un sacco nerodella spazzatura. Un’ingiusta e inutile umiliazione. Anche loro trattate comespazzatura.Ascoltando le loro tristi storie, spesso siamo venute a conoscenza di gravi casi

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La nostra visita vuole essere una presenza di conforto,

vuole portare un po’ di calore, amore e umanità

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di tratta di esseri umani. In diverse situazioni siamo riuscite a convincerle adenunciare i loro sfruttatori e così sono state liberate e ospitate nelle nostrecase di accoglienza per iniziare un programma di reintegrazione sociale. Due di loro erano poco più che maggiorenni. Un’altra aveva un bimbo di treanni. Uscite per decorrenza dei termini, sono state accolte nei nostri centrie aiutate a recuperare la loro libertà e a ottenere documenti in regola, grazieanche alla collaborazione dell’ambasciata nigeriana – che in questi anni harilasciato oltre 4000 passaporti, anche in assenza di certificati di nascita per-ché sottratti dagli sfruttatori –, alla Croce rossa e alle nostre comunità di ac-coglienza.Queste donne esigono di essere trattate come esseri umani e non come “cri-minali” o “clandestine”. Molte di loro vivono momenti di profonda dispera-zione, specie quando sono consapevoli che presto verranno espulse edovranno tornare a casa a mani vuote, con il rischio di venir rifiutate anche

dalla famiglia. Aisha, per esempio, era una donna tunisina terrorizzata dal-l’idea di tornare a casa. Sapeva che nel suo Paese l’avrebbero di certo uccisae spesso ripeteva che piuttosto avrebbe preferito togliersi lei stessa la vita. Quando le hanno comunicato che il giorno dopo sarebbe stata rimpatriata,a nulla sono valsi i consigli e l’occhio attento delle amiche che hanno ve-gliato con lei per quasi tutta la notte: il mattino presto, il suo corpo privo divita è stato ritrovato appeso alla doccia. Sconvolte e addolorate, non ci è ri-masto che interrogarci su cosa avremmo potuto fare per prevenire questodramma.Ma soprattutto su cosa dovremo fare in futuro. Ciascun membro della societàha un suo ruolo e una sua responsabilità, e tutti devono contribuire alla co-struzione di un contesto di vita armonioso. Per questo dovremmo protestarecon forza contro le disumane condizioni di reclusione nei Centri di identifi-cazione ed espulsione, che stanno ulteriormente peggiorando. All’inizio i mi-granti potevano essere trattenuti per trenta giorni; poi i giorni sono statiraddoppiati fino ad arrivare a sei mesi. Oggi una nuova normativa relativaal reato di clandestinità prevede che la permanenza in questi Centri possaessere prolungata addirittura sino a diciotto mesi. Un anno e mezzo di de-tenzione. È un’ingiustizia e una terribile violazione dei diritti umani e un’inu-tile sofferenza inflitta a degli innocenti. Ancora una volta, sono loro a pagareil prezzo più alto di politiche ingiuste che confondono le vittime coi carne-

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Queste donne esigono di essere trattate

come esseri umani e non come criminali

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fici. Intanto trafficanti e clienti rimangono impuniti se non addirittura protettidalla stessa legge. Paradossalmente molti trafficanti sono pure in possesso di rego-lari documenti di soggiorno nel nostro Paese, il che facilita i loro movimenti e iloro traffici di compra-vendita di persone da cui traggono ingenti guadagni.Anche per questo è importante la nostra presenza al Cie di Ponte Galeria. Un pic-colo segno di responsabilità e speranza. Un giorno, un poliziotto, vedendo la nostrapiccola “squadra” di suore, molte delle quali giovani, gioiose e sorridenti, ci disse:«Suore, quando voi entrate in questo luogo di sofferenza, entra un raggio di sole!».È quello che vorremmo davvero essere: un piccolo raggio di luce che rischiara,anche se per poco, i giorni tristi e bui di queste donne.

In questi dieci anni di servizio a Ponte Galeria hanno operato conentusiasmo e fedeltà 60 religiose di 27 nazionalità e appartenenti a 28congregazioni religiose. Un bel segno di comunione e di lavoro in rete.

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La sfida di una società multietnicaDiceva il profeta Isaia: «Per digiuno io intendo un’altra cosa: rompere le catenedell’ingiustizia, rimuovere ogni peso che opprime gli uomini, rendere la libertàagli oppressi e spezzare ogni legame che li schiaccia. Digiunare significa dividereil pane con chi ha fame, aprire la casa ai poveri senza tetto, dare un vestito a chinon ne ha, senza abbandonare il proprio simile». (Is.58: 6-7) Questi versetti sono di grandissima attualità e continuano a interpellarci ancoraoggi, perché esprimono un profondo desiderio di giustizia sociale, di ugua-glianza e di libertà. La Chiesa per prima deve continuare ad ascoltare e a ri-spondere a questo grido. Altrimenti come può proclamare a migliaia di donneche vivono e lavorano sulle nostre strade in condizioni vergognose, che essefanno parte di quei “privilegiati” che hanno pieno diritto alla liberazione? Civuole maggior coraggio nel prendere una posizione chiara contro le moderne

schiavitù. Il silenzio della Chiesa (e non solo) può essere giudicato come unamancanza di preoccupazione, ma anche come una forma di complicità. Occorreinvece riappropriarsi del ruolo profetico: denunciare, correggere, guidare; pro-muovere la giustizia e l’uguaglianza per tutti gli esseri umani.E occorre anche imparare a leggere correttamente i “segni dei tempi”, come que-sto: molti immigrati cristiani provengono da Paesi evangelizzati dai missionari;nelle loro terre noi siamo stati accolti, rispettati e aiutati nella conoscenza dellalingua e della cultura. Ora che sono loro ad arrivare da noi, si stupiscono delnostro atteggiamento nei loro riguardi e giustamente ci chiedono di riconoscerlie aiutarli, sia nell’integrazione sia nella crescita del loro profondo senso religioso.Oggi l’evangelizzazione passa dunque anche attraverso l’immigrazione: questosarà il futuro della Chiesa in Europa e in Italia. Del resto la cura pastorale del-l’ospitalità è radicata nella tradizione cattolica, e la Chiesa da sempre vuole es-sere strumento dell’unità della famiglia umana. Le nostre comunità stannodiventando sempre più multietniche e multiculturali; il popolo di Dio è unosolo e supera ogni particolarismo di razza e di nazionalità. Giovanni Paolo II lo aveva già scritto nel messaggio per la Giornata mondialedel migrante e del rifugiato del luglio 1995: «Nella Chiesa nessuno è stranieroe la Chiesa non è straniera a nessuno, in qualsiasi luogo». «La paura della “dif-

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Dobbiamo riscoprire il valore dell’accoglienza e dell’ospitalità

per promuovere l’unità della famiglia umana

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ferenza” può condurre alla nega-zione dell’umanità stessa dell’altrocon il risultato che le persone en-trano in una spirale di violenza dallaquale nessuno - nemmeno i bambini- viene risparmiato».La violenza subita in tante formecausa sempre altra violenza. Contro ogni forma di diffidenza e ri-fiuto dobbiamo invece promuovere l’accoglienza. E accoglienza significa for-mazione professionale e inserimento lavorativo, certo, ma la cosa ancora piùimportante rimane il conoscersi: i contatti personali aiutano a distruggere ipregiudizi e a creare reciproca fiducia. Infine, è importante anche offrire un’as-sistenza tanto psicologica quanto spirituale. In queste donne, infatti, anche laspiritualità è messa a rischio. Molte di loro, che sono credenti, si sentono strette

in un paradosso: a causa del lavoro che fanno provano un forte senso di colpae si sentono indegne di fronte a Dio; ciononostante rimangono tenacementeaggrappate al loro credo e vanno al lavoro con una Bibbia nella borsetta, cheleggono mentre aspettano i clienti. Un ben triste contrasto con ciò che sonoobbligate a fare, ma anche una spia che segnala un bisogno, quello di curareanche la vita dell’anima. Nel percorso di recupero la fede può infatti offrire unagrande forza per andare verso la guarigione spirituale e morale.Molte ragazze che incontriamo sulle strade chiedono la Bibbia o il rosario e so-prattutto, vogliono che preghiamo con e per loro. È commovente vedere che,anche se il loro corpo è seminudo, si mettono uno straccio sulla testa in segnodi rispetto, e poi si concentrano per pregare, ignorando le auto che si fermavano.Prima di lasciarle ci chiedono spesso di dar loro una benedizione e di tracciareil segno della croce sulla fronte, la croce di quel Cristo che ci ricorda che leprostitute ci precederanno nel Regno dei cieli.I momenti di preghiera che vengono condivisi nelle varie lingue, sia sulle stradesia a Ponte Galeria, ma anche nelle stesse case-famiglia, sono occasioni moltoimportanti di confronto sulla parola di Dio; questo aiuta le ragazze a guariredalla rabbia che hanno dentro, ad avere la forza di superare momenti di scon-forto e disperazione, e a trovare ancora, nonostante tutto, il coraggio di sperare.

Nel percorso di reupero la fede può offrire una grande forza

verso la guarigione spirituale e morale

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Rimpatri assistitiL’associazione Slaves no more onlus, presieduta da suor Eugenia Bonetti,missionaria della Consolata, promuove tra le proprie iniziative, anche pro-grammi di rimpatri assistiti. Il “Ritorno volontario assistito socio-lavorativo”consiste nel fornire a donne migranti la possibilità di ritornare nel proprioPaese, assicurando che il percorso sia realizzato nel rispetto della dignitàdella persona e della sicurezza del migrante.Il progetto di rimpatri viene promosso e realizzato dall’associazione Slavesno more in collaborazione con Caritas Italiana e finanziato dalla Conferenzaepiscopale italiana (Cei) con i sussidi dell’8X1000 e da eventuali altri dona-tori. Responsabile del progetto è suor Monika Chikwe, delle Suore ospedalieredella misericordia.L’obiettivo specifico del progetto è favorire il rientro in patria e il

reinserimento socio-lavorativo di donne ni-geriane vittime di tratta. Si tratta, da un lato,di ospiti presso case di accoglienza in Italia,che desiderano volontariamente tornare nelloro Paese, dall’altro, di donne rinchiuse neiCentri di identificazione ed espulsione (Cie)che vengono rimpatriate coattivamente.Per ogni beneficiaria viene sviluppato un mi-croprogetto individuale di rientro e reintegra-zione. Non si tratta dunque di progetti stan-dardizzati, ma disegnati insieme al beneficiario,intorno al suo profilo, alle sue necessità, allesue esigenze e ai suoi sogni e bisogni.Il rimpatrio viene preceduto e preparato daun accurato percorso di preselezione e ac-compagnamento in Italia, effettuato in base a

criteri oggettivi (nazionalità, status giuridico…), ma soprattutto soggettivi (de-terminazione e volontà di tornare in patria, storia personale, formazione).Questo progetto viene realizzato in collaborazione con le religiose e le asso-ciazioni che operano in Nigeria, in particolare con il Committee for thesupport of the dignity of women (COSUDOW), espressione della Conferenzadelle religiose nigeriane, operante a Lagos e Benin City. L’Organizzazionegestisce tutto il percorso di reinserimento socio-lavorativo, attraverso la suafitta rete di collaborazioni e la conoscenza del contesto locale.

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Chi è il mio prossimo?Dobbiamo sentirci tutti responsabili del grave disagio sociale che sta di-struggendo la vita di tante giovani donne indifese e vulnerabili, ma che desta-bilizza pure tante famiglie e mette in discussione le nostre stesse comunità.Ciascuno di noi ha un ruolo da svolgere con responsabilità, secondo le propriecompetenze: autorità sociali e religiose, funzionari dell’ordine pubblico e ope-ratori del settore privato, insegnanti e genitori, parrocchie e Congregazioni re-ligiose, uomini e donne che mirano al bene comune basato sul valore e il ri-spetto di ogni persona. Solo unendo i nostri sforzi potremo sconfiggere lenuove schiavitù del XXI secolo.Attraverso le nostre risposte alle sfide moderne e alle nuove povertà, che ren-dono visibile e credibile la nostra missione di Chiesa viva e attenta ai piùdeboli e alla formazione di generazioni future, potremo vivere concretamentecome Samaritani del Terzo Millennio che sempre si interrogano: «Chi è il mioprossimo?». E la risposta non può essere che la stessa: «Va’, e anche tu fa lostesso!». Vai sulle strade del mondo e offri il tuo contributo affinché si realizzi presto ilsogno di Dio che vuole riconoscersi in ogni persona creata a sua immagine esomiglianza e mai più trattata come schiava.

Solo unendo i nostri sforzi potremo sconfiggere

le nuove schiavitù del XXI secolo

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Progetto editoriale Anna Pozzi - Progetto grafico Luisa Torreni

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Anno 2003

Sr. Benedetta Della Chiesa, Suore della Carità di Nevers (Italia)

Sr. Sheila McGowan, Suore della Sacra Famiglia (Irlanda)

Sr. Kathleen McGarvey, Nostra Signora degli Apost. (Irlanda)

Sr. Helena Farell, NDC Nostra Signora della Carità (Irlanda)

Sr. Eugenia Bonetti, Missionarie della Consolata (Italia)

Anno 2004

Sr. Cleonice Salvadeo, Missionarie Comboniane (Italia)

Sr. Justina Afamefuna, Nostra Signora degli Apostoli (Nigeria)

Sr. Agnes Hassan, Nostra Signora degli Apostoli (Nigeria)

Sr. Letizia Pappalardo, Religiose del Sacro Cuore di Maria (Italia)

Sr. Magdalene Barsan, Ancelle dell’Immacolata Parma (Romania)

Sr. Mary O’Farrell, Beata Vergine Maria-Loreto (Irlanda)

Anno 2005

Sr. Teklya Ulyana, Gnatyuk, Ancelle di Maria Immacolata (Ucraina)

Sr. Diana Maria Olear, Ancelle di Maria Immacolata (Serbia)

Sr. Eva Ivacson, Ancelle dell’Immacolata di Parma (Romania)

Sr. Bernadetta Cao yu, Sacra Famiglia - Studente (Cina)

Sr. Sandra Rodriguez, Ancelle di Cristo Re (Colomb.)

Sr. Anna G. Berveglieri, Suore della Carità di S. G. A. (Italia)

Sr. Emanuela Costa, Suore del Cottolengo (Italia)

Anno 2006/2007

Sr. Rosa Chen Juxia Frances, Miss. del S. Cuore di Gesù (Cina)

Sr. Euphrasie Razafielinoro, Suore di Maria Riparatrice (Madagascar)

Sr. Emilia è Vandych, Ancelle di Maria Immacolata (Ukraina)

Anno 2008

Sr. Maria Rosa Venturelli, Missionarie Comboniane (Italia)

Sr. Josephine Sim, Figlie della Carità Canossiane (Singapore)

Sr. Maria Rusconi, Nostra Signora degli Apostoli (Italia)

Sr. Sabha (Mariam), Missionarie Comboniane (Egitto)

Sr. Maria Rosario Bola, Oblate SS Redentore (Spagna)

Sr. Sandra Perrett, Beata Vergine Maria-Loreto (Australia)

Sr. Seraphine Njeri Kimunya, Missionarie della Consolata (Kenya)

Sr. Susana Emilce Portillo, Missionarie della Consolata (Argentina)

Sr. Ysabel Paredes Paredes, Missionarie Comboniane (Peru)

Sr. Valsa Joseph Palathingal, Francescane Miss. di Maria (India)

Sr. Margaret Ryan, Suore Mariste (Nuova Zelandia )

2009/2010

Sr. Sandra Catapano, Nostra Signora degli Apostoli (Italia)

Sr. Luz Stella Torres, Oblate SS Redentore (Colombia)

Sr. Juliet Emereonye, Suore Passioniste (Nigeria)

Sr. Teresa Zhai Hongxia, Missionarie Sacro Costato (Cina)

Sr. Teresina Hu Jie, Missionarie Sacro Costato (Cina)

Sr. Irma Flores Galarraga, Missionarie Sacro Costato (Equador)

Sr. M. Letizia Lin Yu-Mei, Missionarie Sacro Costato (Taiwan)

Sr. Ardiana Haxhari, Missionarie Sacro Costato (Albania)

Sr. O’Guia Francisco, Salde Missionarie Sacro Costato (Filippine)

Sr. Maria Leonor Jardon Murias, Oblate SS Redentore (Spagna)

2010/2011

Sr. Dominica Ekwutosi, Passioniste di S. Paolo d. Croce (Nigeria)

Sr. Maria Elena Dioneda, Franc. Missionarie di Maria (Filippine)

Sr. Tarcisia Ciavarella, Missionarie Comboniane (Italia)

Sr. Monica Chikwe, Ospedaliere della Misericordia (Nigeria)

Sr. Christine Law Lai Tin, Figlie della Carità Canossiane (Malaysia)

Sr. Bibiana Perpetua Vaz, Figlie della Carità Canossiane (India)

Sr. Au Bernadette Yee Ting, Figlie della Carità Canossiane (Cina)

Sr. Monica Onwunali, Nostra Signora degli Apostoli (Nigeria)

Sr. Regina Rosario, Suore della Carità della S. Croce (India)

Sr. Francesca Buonriposi, Suore Francescane Alcantarine (Italia)

2012/2013

Sr. Maria Martinas, Suore della Provvidenza (Romania)

Sr. Emanuela Oretti, Passioniste di S. Paolo della Croce (Italia)

Sr. Danila Antunovic, Suore della Carità della S. Croce (Croazia)

Sr. Tiziana Sabbioni, Suore della Carità della S. Croce (Svizzera)

Sr. Doris Zahra, Suore di S. Dorotea Frassinetti (Malta)

Sr. Nentaweh Wakger School, Sisters of Notre Dame (Nigeria)

Sr. M. Priscilla Ohawuchi, Immaculate Heart of Mary (Nigeria)

Sr. Hanna Levytska, Catechiste del S. Cuore di Gesù (Ucraina)

Sr. Sefen Amani Bolos Nagib, Missionarie Comboniane (Egitto)

Religiose coinvolte dal 2003 al 2013

Totale 60 - 27 Nazionalità - 28 Congregazioni

Religiose coinvolte nella pastorale settimanale al CIE di Ponte Galeria Dieci anni di lavoro in rete: 15 Marzo 2003 – 2013

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2020

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Ufficio “Tratta donne e minori”Unione Superiore Maggiori d’Italia via Zanardelli, 32 - 00186 Roma - ItaliaTel. 06/68.400.555 - +39 3391934538

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c/o Casa di accoglienza Maria Maddalenavia Falzarego 20, 00048 Nettuno (Roma)

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