DIARIO DI CLASSE -...

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181 Scuola e culture. Materiali di antropologia della mediazione scolastica Francesca Quaratino L'identità sospesa. Contributi antropologici per una didattica interculturale nella scuola primaria Tesi di laurea Università degli Studi di Roma 'La Sapienza' - Facoltà di Lettere e Filosofia - Corso di laurea in Lettere a.a. 2000/2001 Relatore: prof. Laura Faranda - Correlatore: dott. Mauro Geraci Documento pubblicato sul sito del Dipartimento di Studi glottoantropologici e Discipline musicali il 14 luglio 2004 - http://rmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/index.html APPENDICE ----------------------- DIARIO DI CLASSE Lunedì 22 gennaio. Il primo giorno nella II C inizia con la classe affidata a me per circa venti minuti durante i quali approfitto per presentarmi come una studentessa che deve imparare a fare la maestra e che starà con loro alcuni giorni a settimana sino alla fine dell’anno. Mi accoglie un coro di “evviva!”. I bambini sono ventisei, sei dei quali stranieri: due filippini, un bulgaro, un capoverdiano, una giapponese e un peruviano. Sono nati tutti in Italia tranne Ikaru, che è di Tokio e Augusto che è arrivato da Sofia lo scorso anno. Le famiglie di Julio e Felipe provengono rispettivamente da Capo Verde e dal Perù; dopo pochi minuti i bambini mi fanno vedere le bandiere dei loro paesi sul planisfero: a loro si aggiungono Augusto e i filippini, Ikaru li guarda e ride. Julio mi chiede subito di aiutarlo a lavorare nelle ore che seguiranno, così mi metto accanto a lui e ho modo di notare la difficoltà nello scrivere, nel

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Scuola e culture. Materiali di antropologia della mediazione scolasticaFrancesca QuaratinoL'identità sospesa. Contributi antropologici per una didattica interculturale nella scuola primariaTesi di laureaUniversità degli Studi di Roma 'La Sapienza' - Facoltà di Lettere e Filosofia - Corso di laurea in Letterea.a. 2000/2001Relatore: prof. Laura Faranda - Correlatore: dott. Mauro Geraci

Documento pubblicato sul sito del Dipartimento di Studi glottoantropologici e Discipline musicali il 14 luglio 2004 -http://rmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/index.html

APPENDICE

----------------------- DIARIO DI CLASSE

Lunedì 22 gennaio.

Il primo giorno nella II C inizia con la classe affidata a me per circa venti

minuti durante i quali approfitto per presentarmi come una studentessa che

deve imparare a fare la maestra e che starà con loro alcuni giorni a settimana

sino alla fine dell’anno.

Mi accoglie un coro di “evviva!”.

I bambini sono ventisei, sei dei quali stranieri: due filippini, un bulgaro, un

capoverdiano, una giapponese e un peruviano. Sono nati tutti in Italia tranne

Ikaru, che è di Tokio e Augusto che è arrivato da Sofia lo scorso anno.

Le famiglie di Julio e Felipe provengono rispettivamente da Capo Verde e

dal Perù; dopo pochi minuti i bambini mi fanno vedere le bandiere dei loro

paesi sul planisfero: a loro si aggiungono Augusto e i filippini, Ikaru li

guarda e ride.

Julio mi chiede subito di aiutarlo a lavorare nelle ore che seguiranno, così mi

metto accanto a lui e ho modo di notare la difficoltà nello scrivere, nel

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disegnare e nel seguire la lezione. Mentre la maestra parla lui sussurra frasi

che prendono lo spunto da ciò che sente, ma che non hanno alcuna

correlazione col discorso generale.

In classe stanno affrontando il tema delle “trasformazioni naturali” e

l’esempio che viene fornito dalla maestra è quello delle spiagge,

continuamente sottoposte all’azione del mare e dei venti.

Julio si gira verso di me e mi dice “lo sai che io a Capo Verde in spiaggia

gioco con le onde”; ne segue un breve dialogo tra noi due:

Io:“E queste onde sono grandi?”

L: “Sì, sono altissime ma io mi ci tuffo con gli altri bambini, poi esco e mi

tuffo di nuovo”.

Io:“Parli dei tuoi amici?”

L: “Sì, io a Capo Verde ho molti amici”.

Io: “E li vedi spesso?”

L: “No, solo quando vado a Capo Verde”

Io: “E quanto tempo fa li hai visti l’ultima volta?”

L: “Quando qui era caldo sono andato a Capo Verde, io lì ho una casa con

gli animali”

Io: “Ah, e che animali hai?”

L: “Galline… ma le galline a Capo Verde sono più grandi… e poi ci sono

anche i gatti, io ho un gatto che si chiama Rior”

Io: “E’ un bel nome, glielo hai dato tu”

L: “No, mia sorella grande e vuol dire luce”

Io: “In quale lingua?”

L: “Bho, credo filippino”

Io: “E questo gatto dove vive?”

L:“Con me qui… ora te lo disegno”

Io:“Puoi disegnarlo quando era piccolo ed ora che è grande anche questo è

un cambiamento naturale”

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L: “Sì ma allora vanno bene anche le nuvole…prima sono bianche, poi

l’uomo le fa arrabbiare e diventano nere”

Durante la ricreazione mi si avvicina Felipe con un’armonica a bocca.

Gli chiedo se sa suonarla e lui accenna qualche nota, poi se ne va via.

Martedì 23 gennaio.

I bambini devono scrivere un testo che racconti una loro giornata

immaginaria nell’antica Roma.

Julio viene affidato a Elisa, la più brava delle bambine, che lo costringe a

scrivere nonostante lui si alzi in continuazione a parlare con tutti. Ikaru mi

tira per la manica e dice di non aver capito, condizione nella quale si trovano

anche i due filippini.

Alle dieci e mezza solo Felipe ha scritto qualcosa.

Si passa ad una lettura di argomento mitologico che colpisce tutti per le

illustrazioni, in particolare quella del fauno.

Il secondo lavoro della mattina sarà disegnare gli dei della Roma antica.

Julio inizia il suo disegno ma lo cancella continuamente lamentandosi di non

riuscire a realizzare i piedi caprini al fauno.

Alle undici entra Nicola, volontario che si occupa di aiutare i bambini

stranieri a titolo individuale. Si siede accanto a Ikaru e la fa lavorare.

A fine mattina ho modo di parlare con questo ragazzo della sua attività e

vengo a sapere che segue anche a casa la bambina giapponese.

Mi dice, inoltre, di volersi dedicare a Brian il bambino filippino con

maggiori difficoltà.

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Mercoledì 24 febbraio.

Il mio arrivo coincide col dopopranzo in cortile.

I bambini giocano in due gruppi organizzati in una specie di maschi contro

femmine: si spingono e si rincorrono; Julio corre e ride ma nella dinamica

del gioco è evidente che le bambine si dirigono tutte verso i loro amici

Marco ed Eugenio.

Julio è il primo ad accorgersi che dal gioco sono uscite Ikaru e Lavinia che

piangono sedute in terra, l’una sola, l’altra circondata dalle amiche che la

consolano.

A quanto si riesce a capire dalle parole dei bambini la lite è solamente

l’ennesimo episodio di una lunga serie di discussioni tra le due che oggi

sono compagne di banco. In questi tra giorni Ikaru, tra l’altro, ha avuto

momenti di tensione con altri bambini che le sedevano accanto. Qualcuno le

si avvicina per consolarla, ma è soprattutto Julio a ripeterle di “non fare

così”.

Al rientro in classe la maestra, non riuscendo ad ottenere spiegazioni

sull’accaduto, decide di organizzare un lavoro a gruppi sul tema

dell’amicizia e del gioco di gruppo.

I bambini devono disegnare ciascuno il proprio desiderio riguardo ai

compagni con i quali vorrebbero giocare e poi preparare quattro cartelloni

sui quali verranno incollati i lavori.

Julio disegna se stesso e Brian : al momento di lavorare in gruppo disegna la

sua faccia sul cartellone e vi attacca il foglio accanto; al contrario del primo

disegno, caratterizzato da due figure piccole, scure e non colorate, il secondo

sembra più un ritratto. Al momento di colorarlo Julio sceglie un colore

“mattone” per farsi la pelle, ma quando vede gli altri che usano il rosa

decide di continuare anche lui con quest’altro colore.

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Guardando i disegni dei bambini si nota che Julio compare come

“compagno ideale” in quelli di Brian, di Matteo C. e di Daniel.

Brian, oltre che in quello di Julio, compare nel disegno di Daniel che, invece

non viene disegnato da nessuno.

Ikaru è la protagonista di sei disegni; al momento di farsi il ritratto sul

cartellone mi chiede se debba ritrarsi con gli occhi a mandorla o tondi, ma

poi decide di non accettare consigli e si disegna gli occhi ovali, enormi,

simili a quelli delle eroine dei cartoni animati giapponesi.

Giovedì 25 gennaio.

Il tema del lavoro di oggi è “il mio gioco preferito”.

I bambini lavorano con rapidità, tranne Julio che ripete di essere stanco, ma

non spiega il perché.

La maestra lo fa sedere al banco di fronte alla cattedra e dopo un’ora

dall’inizio del lavoro lo rimprovera duramente, tanto che lui prende in mano

la matita per fare il disegno al posto del testo (nei giorni di particolare

stanchezza ai bambini è lasciata la possibilità di esprimersi disegnando sul

tema proposto in classe).

Seduta accanto a lui mi rendo conto che, al posto del giocattolo, sta

disegnando il portapenne che si trova di fronte a lui sulla cattedra; quando

glielo faccio notare mi risponde che lui non ha giocattoli preferiti.

La maestra interviene nella conversazione ed insiste perché lui si sforzi di

pensare: alla fine di un lungo silenzio la risposta è: “Pikachù”, personaggio

che è stato al centro del tema di Giovanni, appena letto in classe.

Felipe nel frattempo ha scritto una pagina sul suo “game boy”.

La mattina si conclude con una certa tensione e con almeno tre crisi di

pianto: quella di Ikaru che non trova più la sua penna, quella di Felipe che

non ha avuto il permesso di andare in bagno e quella di Augusto che ha

litigato con un compagno.

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Lunedì 29 gennaio.

Il lavoro di stamattina consiste nella scrittura di un testo che abbia per temi

“La sera a casa mia…” oppure “Una gita speciale”. La maggior parte della

classe sceglie la seconda traccia dal momento che in molti rispondono che

sulla sera a casa loro non hanno niente da dire.

Chiedo a Julio se ha bisogno di aiuto e lui accetta: vuole raccontare della

gita che ha fatto con il Centro Ricreativo qualche settimana fa.

Inizio a fargli dire a voce ciò che dovrà scrivere: la gita in piscina, il

pullman preso la mattina, i tuffi in acqua. Non si sofferma su nessun

argomento ma si entusiasma quando gli chiedo se sa nuotare nel mare: si

alza e inizia a dare bracciate nell’aria dicendomi che sì, lo sa fare, “ma” a

Capo Verde dove il “mare è grandissimo”.

Subito dopo questa esplosione di entusiasmo diventa serio, inizia a guardare

il foglio bianco, non si muove più, non scrive, lo chiamo e non si gira.

All’ improvviso mi prende la mano e mentre gioca con le mie dita mi dice

“lo sai che a Capo Verde mio cugino è morto… aveva solo un anno, l’ ha

investito una macchina”. Gli rispondo che mi dispiace molto, che è una cosa

molto brutta e lui mi guarda dicendo “sono triste perché ora quando andrò

a Capo Verde lui non ci sarà” , poi si gira e inizia a scrivere la data di oggi

e il testo.

Alcuni giorni prima la mamma di Julio si era sfogata con la maestra Flavia

per la morte del nipotino. Dopo l’episodio di oggi decido, così, di

sospendere per un po’ di giorni gli argomenti che possono condurre il

bambino a pensare a Capo Verde: penseremo ad organizzare il suo astuccio.

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La questione dell’astuccio di Julio si è posta sin dai primi giorni: lui non

possiede penne e matite perché perde sistematicamente tutto ed è costretto a

chiedere il materiale in prestito.

Tuttavia il lutto e la tristezza di Julio mi portano a convincere la maestra che

sia arrivato il momento di ridargli fiducia: così è la stessa Flavia a mettergli

sul banco il cestino delle matite comuni a tutta la classe affinché possa

scegliere quelle necessarie per il suo astuccio.

Stabiliamo da subito che sceglierà sei colori utili a disegnare, quindi niente

violetto, niente bianco né altri colori stravaganti; potrà prendere anche due

penne, una matita, una gomma da cancellare e un temperino. Il righello sarà

il mio e sarà in prestito.

“Prendo il blu per il cielo e per il mare, il rosso per il fuoco, il giallo per il

sole, il verde per gli alberi, il rosa per le facce, il marrone per la terra, di

matita voglio questa e questa è la gomma”. In circa mezz’ora l’astuccio è

completo, Julio, infatti perde molto tempo a scegliere tra le tante gradazioni

di ciascun colore quella “giusta”.

Gli domando se vuole scrivere su un foglietto da tenere nell’astuccio

l’elenco del contenuto, lui è d’accordo ma vuole che lo faccia io: scriviamo

il nome di ciascun colore con il pastello corrispondente e lui ride a

crepapelle quando si pone il problema di dover scrivere “gomma” con la

gomma, “temperino” col temperino, “righello” col righello.

Inizia a prendermi in giro e si diverte a pensare alle soluzioni al posto mio

che faccio finta di non sapere come fare: “gomma, temperino e righello si

scrivono col nero!”.

Martedì 30 gennaio

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L’attività delle prime due ore consiste nel disegnare i tre stili di capitello: il

lavoro è finalizzato alla costruzione di un tempio greco da realizzarsi in

argilla.

La giornata è caratterizzata da uno scontro tra me e Julio che non accetta che

io gli impedisca di prestare a Felipe una matita senza la quale sarà lui a non

poter lavorare.

In pochi minuti la situazione degenera in pianto: Julio mi accusa di voler

gestire il suo astuccio. Gli propongo di stabilire assieme delle regole perché

io possa continuare ad aiutarlo senza ulteriori scontri; decidiamo, così, di

prestare la matita a Felipe (che nell’attesa si era già procurato il materiale)

ma di cercarne prima un’altra con la quale proseguire il lavoro.

A metà mattina conosco la maestra Gabriella, l’insegnante di sostegno.

Le ore che restano lavoro con Felipe che stamattina è molto volenteroso ma

troppo stanco a causa della tosse che lo tormenta da giorni.

Spesso dice di avere mal di pancia e sete e difatti l’aspetto generale non è

quello di un bambino in buona salute.

Giovedì 1 febbraio.

Stamattina Julio ha fissato il vuoto per un’ora.

Rimango colpita dal fatto che l’atteggiamento del bambino venga

considerato “normale”.

Flavia lo sgrida duramente ma lui non reagisce; più tardi gli chiede di

indicare sulla carta geografica il Senegal e le Capo Verde, lui si alza

trascinando i piedi, le trova, le punta col dito e torna a posto.

Felipe viene aiutato da Eugenio che è un bambino molto disponibile.

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Quando mi vede leggere alcune schede che mi ha fornito Flavia mi chiede di

cercare il Perù e inizia a raccontarmi di una “casa nella terra del

terremoto”.

Ne nasce un breve scambio.

Io: “Di chi è quella casa?”

J: “Di nonna”

Io: “E’ tanto che non ci vai?”

J: “Sì, da quando ero piccolo”

Io: “Però te la ricordi”

J: “Un poco…ci sono stato poco e poi siamo tornati in Italia perché i miei

genitori dovevano lavorare”.

Io: “Ma tu sei nato lì”

J: “No, io sono di Firenze”

Io: “ E quando sei arrivato a Roma?”

J: “All’asilo… mia sorella invece è nata a Canossa e mio fratello piccolo a

Roma”

Io: “Siete nati in tre città diverse…”

J: “Si, ma a Firenze c’è una parte di Perù, qui a Roma no”

Io:”Vuoi dire che a Firenze conoscevi altri bambini peruviani?”

J: “Si, lì si fanno le feste dei peruviani”

Io: “E qui non conosci bambini peruviani?”

J: “No, però gioco a calcetto il giovedì con Alberto” (Sono compagni di

classe).

Martedì 6 febbraio.

Gita alla “Biblioteca centrale dei ragazzi”.

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Il maestro Ibrahima Camara mostra ai bambini gli oggetti contenuti nella

“Valigia del Senegal” e loro devono individuarne funzioni e materiali.

Prevale l’idea che gli oggetti siano di plastica: si tratta di un contenitore

ottenuto da una zucca, di una kora, arachidi, incensi e due libri.

Vedono anche un filmato realizzato dal maestro nel 1992: la qualità delle

immagini e le dimensioni del televisore non rendono giustizia al documento

che è molto bello.

I bambini restano colpiti dal gioco “la coda del gallo” e chiedono ad

Ibrahima di rifarlo in classe quando verrà a “restituire la visita”.

Julio si alza ad incontro terminato e dice ad Ibrahima “lo sai che io sono di

Capo Verde che è di fronte a te”.

Lunedì 12 febbraio.

Il titolo del lavoro da fare in classe è: “Descrivi l’esperienza col maestro

Ibrahima. Vorresti continuarla? Cosa ti è piaciuto in particolare? Hai delle

idee da proporre? Racconta la storia di Kumba (si tratta di una fiaba letta

alla biblioteca) e prova ad immaginare un finale diverso”.

Julio mi dice di non voler scrivere e che inoltre non potrebbe farlo perché è

senza penna.

Il suo astuccio è completamente vuoto e lui spiega così: “Questo – indica

l’unica matita presente – li ha cacciati tutti!”.

Dopo un’ora gli chiedo di raccontarmi la storia di Kumba che lui ricorda alla

perfezione ma dice di non volerla scrivere perché “già non me la ricordo

più”.

Flavia lo sgrida duramente e gli ricorda che la madre si alza alle sei per

portarlo a scuola. Lui prende la penna e scrive “Kumba era una donna”.

Felipe, invece, completa tutto il lavoro.

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Prima di scendere a mensa Ikaru mi consegna un foglio per “imparare il

giapponese”: ci sono scritte le parole “barca” e “maestra”.

Martedì 13 febbraio

Il lavoro di oggi: “Disegna la storia di Kumba considerando i momenti di

EQUILIBRIO-ROTTURA DELL’EQUILIBRIO-RIPRISTINO DELL’EQUILIBRIO”

Julio lavora con Gabriella, con me farà le due ore seguenti durante le quali

disegnerà.

Sono molto colpita nel vedere che i due bambini filippini, Daniel in

particolare, provino a concludere il lavoro nonostante le grandi difficoltà

con l’italiano.

Mercoledì 14 febbraio( pomeriggio).

I bambini devono costruire un tempio greco con la pasta per modellare

mentre le maestre preparano le schede di valutazione: per due ore li aiuto io,

ma mi dedico un po’ di più ai due bambini filippini che hanno molte

difficoltà ad organizzare il lavoro e a manipolare la pasta.

Julio fa capire da subito di voler fare da solo. Tento di consigliargli qualche

tecnica, invitandolo anche ad essere meno rigido ed esigente con se stesso,

ma lui vuole a tutti i costi usare alcune formine per fare le colonne doriche:

aspetterà per circa un’ora il suo turno e produrrà tre colonne perfette, ma il

suo tempio resterà tutto qui.

Felipe, invece, lavora con rapidità e in meno di un’ora completerà il suo

“tempio per formiche”: passerà il resto del pomeriggio ad aiutare i

compagni.

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Durante il lavoro si apre una discussione sul colore della pelle.

Su invito della maestra Flavia, Brian, il bambino filippino, si va a sedere

vicino ad una compagna che, però, si lamenta di non volerlo. Uno dei

bambini che ha assistito alla scena dice ad alta voce “ma perché non lo vuoi,

mica è colpa sua se è nero!”. La maestra, allora, ferma il lavoro e li invita a

riflettere sul fatto che sono tutti diversi tra loro anche se i bambini insistono

e qualcuno conclude che “lui (Brian) è diverso da noi per il carattere”.

Per tutta la durata del lavoro capiterà anche a me di dover intervenire per

difendere il bambino in questione poiché nessuno gli presta gli utensili per

lavorare: provo molta rabbia soprattutto perché mi sembra che lui stia

soffrendo mentre per gli altri i discorsi della maestra sono già dimenticati

Il risultato sarà che Brian farà una decina di colonne e poi mi dirà di non

aver più voglia.

L’ultima ora del pomeriggio è dedicata a raccogliere idee per la lettera da

scrivere ai bambini senegalesi.

Flavia prova a coinvolgere Julio: “Sai quanto sono distanti Capo Verde e il

Senegal?”; lui tace e la guarda dal banco, così lei insiste: “Julio, avrai fatto

un viaggio lungo?”; a quel punto Julio si alza e dice: “ Il viaggio non l’ ho

fatto io, l’ ha fatto mia mamma e mi ha fatto nascere qui!”, poi si alza, va

alla cattedra, e rivolto alla classe:

“ Quando ho preso l’aereo avevo mal di pancia, ma ho visto la terra dall’

alto, senza case…”.

A questo punto anche Daniel, l’altro bambino filippino, dice di ricordare il

viaggio aereo per arrivare in Italia. Gli chiedo quanto è durato e lui mi

risponde “due aerei”.

Purtroppo questo scambio di ricordi viene interrotto da tutti quei bambini

che avendo preso un aereo hanno voglia di dire la loro; qualcuno parla del

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viaggio fatto alle Maldive, Julio va a sedersi, Daniel riprende a giocare con

un elastico.

Giovedì 8 marzo.

La mattina è dedicata alla lettura dell’inizio delle Avventure di Pinocchio.

La maestra legge “drammatizzando” e i bambini ripetono a loro volta gesti e

parole: nella classe c’è grande attenzione.

A metà mattina arriva la mamma di Felipe per parlare con me.

Mi dice di avere pochissimo tempo a disposizione ma vuole avere

informazioni sul rendimento scolastico del bambino. Mi racconta di essere

da sempre molto attenta alle attività di Felipe perché è un bambino che “alla

nascita stava quasi per morire”; vengo a sapere, infatti, che è nato all’inizio

dell’ottavo mese ed ha passato molto tempo nell’incubatrice.

Le chiedo se ha potuto allattarlo e lei mi risponde che lo ha fatto per soli

quattro mesi, tirandosi il latte, ma che poi le è andato via.

In poche parole siamo alla questione principale: Felipe non controlla bene le

feci e la mamma è molto preoccupata che questo fatto possa avere delle

ricadute sulle sue relazioni con i compagni. Le domando quale sia l’opinione

del pediatra e lei mi spiega che il medico ha prescritto indagini specifiche

per verificare l’assenza di una proteina, ma che le ha anche consigliato di

prendere in considerazione un consulto psicologico. Mi dice di fidarsi molto

del dottore il quale, già in passato, l’aveva rassicurata sulla assoluta

normalità della pipì a letto nei maschietti così piccoli: il problema sembra

essere che, se da un giorno all’altro Felipe ha smesso di bagnare il letto, ha

iniziato, però, a non controllare più le feci.

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Assicuro alla mamma che a scuola non è mai successo in mia presenza che il

bambino non riuscisse a controllarsi, anzi, le faccio notare che chiede spesso

di andare in bagno.

Sembra più sollevata e allora iniziamo a parlare di come è Felipe a casa.

Mi dice che gioca molto, che all’inizio dell’anno frequentava un corso di

musica e uno di calcetto, il primo dei quali è stato abolito per eccessiva

stanchezza. Quando le domando chi abbia scelto quale eliminare mi

risponde che la scelta è stata lasciata al bambino: ora fa solo calcetto con

alcuni compagni di classe.

Iniziamo a parlare degli altri bambini e lei mi dice che in classe sono tutti

più grandi del figlio, che giocano tutti meno di lui che, invece, “ ha tanta

voglia di giocare”: colgo l’occasione che è iniziata la ricreazione e le faccio

notare alcuni compagni del figlio impegnati a fare i cani nel corridoio.

A questo punto mi dice di dover tornare al lavoro (guida un pulmino per i

dializzati) e mi chiede se può avere il mio numero di telefono.

Quando torno in classe leggiamo tutti insieme Chi sono io? di Gianni

Rodari: alla fine della lettura i bambini vengono invitati a fare un disegno a

tema che solo Felipe non farà.

Lunedì12 marzo.

A partire dalla lettura del primo capitolo di Pinocchio ai bambini viene

proposto per tema di raccontare la storia di un pezzo di legno.

Julio scrive solo la traccia, poi si lamenta di essere troppo stanco e si rifiuta

di scrivere o anche solo raccontare una storia.

Invitato a sforzarsi di leggere per imparare l’italiano mi risponde “prima

devo imparare bene la lingua di Capo Verde”.

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Felipe, al contrario, ha molta voglia di raccontare la storia di un pezzo di

legno che diventa una matita: la maestra apprezza molto il suo lavoro.

Martedì 13 marzo

Come tutti i martedì mattina in classe c’è l’insegnante di sostegno. Manca

Felipe.

I bambini devono scrivere su un tema a scelta tra i tre proposti: “una

giornata speciale”, “una vacanza speciale” oppure “un momento speciale”.

Julio scrive le tracce poi si blocca: dice di dover pensare.

Mi avvicino dopo un quarto d’ora per chiedergli se vuole parlare della sua

vacanza a Capo Verde, ma mi risponde che pensare a Capo Verde gli fa

venire in mente ”quel brutto sogno” (si riferisce alla morte del cuginetto).

Cambiamo argomento e parliamo delle feste dei suoi compagni come

momenti speciali ma lui dice di non aver voglia “e basta” di scrivere.

La maestra di sostegno loda Brian che sta imparando a leggere e scrivere

molto velocemente e parlando con Flavia emerge una comune

preoccupazione per l’altro bambino filippino, Daniel, nonché per Julio che

da troppi giorni rifiuta di svolgere qualunque compito gli venga proposto.

A proposito dei filippini le due maestre si interrogano sulle difficoltà

linguistiche di entrambi e Flavia ricorda che, oltretutto, parlano anche “due

lingue diverse”.

Rivolgendosi a Brian: “J.J. come si dice acqua in filippino?”

J.J.: “Tube”

Flavia: “E tu Daniel, come dici acqua in filippino?”

Daniel: “Donom”

Flavia: “Adesso Brian vorrei che mi dicessi casa”

J.J.: “Balai”

Flavia : “Ora Daniel”

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Daniel ci pensa un po’ poi dice: “Baai”

Flavia: “ Fate una cosa, andate alla lavagna e scrivete acqua in filippino,

poi casa”.

I bambini scrivono.

Interviene la maestra Gabriella che chiede a Daniel: “come si dice mamma

in filippino, come la chiami la tua di mamma ?”

Daniel la guarda e alza le spalle dicendo: “Mamma”.

Le maestre si sorridono rivolte verso di me, Gabriella commenta “vedi, lui a

casa parla in italiano, l’altro no, ecco perché ha più problemi”.

“Daniel - domanda Flavia – tu con mamma parli italiano o filippino?”

“Italiano – poi, rivolto verso di me – io sto in Italia per imparare

l’italiano”.

Forse Daniel non ricorda che qualche giorno prima l’ ho incontrato mentre

veniva a scuola con la mamma insieme ad un'altra signora filippina e a suo

figlio: le donne parlavano in filippino ai bambini, ma ora lui nega.

Flavia non crede che Daniel non conosca il filippino e mettendo i due

bambini uno di fronte all’altro dice a Brian: “Chiedi a Daniel “ vuoi venire

a casa mia?” in filippino”:

I bambini si guardano senza riuscire a parlare: appena cala l’attenzione su di

loro Daniel viene da me e mi chiede “ho finito? Posso tornare al posto?”.

Il resto della classe presta molta attenzione a quanto sta accadendo, allora la

maestra coinvolge Ikaru: “Ikaru, tu lo sai dire “vuoi venire a casa mia?” in

giapponese?”.

Ikaru la guarda e si mette un lembo di grembiule in bocca.

Flavia le parla ancora: “ma tu con mamma e papà parli giapponese, vai

anche alla scuola giapponese…”

Ikaru annuisce ma non risponde, la maestra non insiste e rivolta a Augusto

chiede: “e tu lo sapresti dire in bulgaro?”, Augusto finge timidezza, poi

urla : “Iskesi da doides^ si kes^ti!”

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“Mamma mia !” commentano le maestre.

Durante la ricreazione Julio inizia a litigare con un compagno che viene a

lamentarsi di aver ricevuto un pizzico. In pochi minuti, senza che nessuno di

noi adulti si sia accorto di nulla, i bambini si stanno colpendo a calci e

spinte.

Julio piange e dice “non è colpa mia”, gli altri bambini si lamentano del

fatto che lui “dia fastidio pizzicando”. La maestra Gabriella riesce a

contenere la rabbia di Julio spiegandogli che se cerca le attenzioni dei

compagni dando pizzichi otterrà solo scontento.

Giovedì 15 marzo.

I bambini lavorano al riassunto del terzo capitolo di Pinocchio con l’aiuto di

Flavia.

Sono concentrati sull’individuazione delle emozioni presenti nel testo e due

di loro vengono chiamati a rappresentare la scena in cui Geppetto strattona e

sgrida Pinocchio.

Finita la scena si decide di ripeterla per far provare anche ad altri bambini la

difficoltà del dover recitare interpretando i sentimenti che lo scrittore

attribuisce ai personaggi: Julio si offre volontario e si diverte molto a

strattonare Chiara-Pinocchio.

Tutti si mettono al lavoro, tranne Julio che mi viene dietro per tutta la classe

toccandomi i capelli; mi dice di voler stare con me ma prima deve fare un

disegno sul tema.

Durante la ricreazione Felipe viene a dirmi che la dottoressa gli ha proibito

di mangiare “tante cose”, gli chiedo quali e inizia un lungo elenco che va

dal latte di mucca al kiwi.

Durante la giornata lavora pochissimo anche perché è continuamente

distratto da Daniel e Brian che scherzano e ridono.

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Nella seconda parte della mattina i bambini dovranno scrivere raccontando

un evento che ha fatto provare loro rabbia, gioia o allegria. Flavia va a

sedersi vicino a Julio e lo prega di fare qualcosa ma lui non parla e non

risponde. Viene mandato fuori dalla classe.

Quando rientra mi dice che tutti lo odiano; gli spiego che non è vero, che ha

amici che lo invitano a casa, che le bambine sono tutte gentili con lui e che i

maschietti spesso lo aiutano, ma lui mi risponde che quando io non vedo lo

prendono a calci e pugni.

A questo punto la maestra interviene per dirgli che non è giusto non fare

nulla tutto il giorno, poi, quando lui se ne è andato, mi fa vedere i bigliettini

con il nuovo numero di telefono che la mamma di Julio ha preparato per i

compagni; Flavia non è sicura di volerli distribuire dal momento che

compare anche un numero di telefono cellulare.

A mezzogiorno arriva la maestra Alessandra (ennesima supplente, stavolta

destinata a restare sino a fine anno) alla quale Flavia chiede cosa faccia Julio

durante le ore di matematica e scienze: Alessandra lo cerca tra i compagni e

dice “quello è bravissimo! Fai vedere il quadernone Julio!” . Il quaderno di

matematica è ordinato e pieno di compiti svolti in classe.

Lunedì19 marzo.

La giornata viene dedicata alla grammatica.

Da metà mattina si inizia la “costruzione” del quaderno.

Julio si fa fare tutto da me ma controlla che io esegua le sue volontà che

soprattutto riguardo al “sistema di chiusura” (si tratta di due pezzi di nastro

che tutti i bambini spillano sui due fogli di copertina e poi annodano): il suo

quaderno è tra i più belli.

Felipe fa da sé e ne viene fuori un quaderno minimalista.

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Brian crea in un’ora un quaderno che si può definire barocco.

Daniel imita Brian.

Ikaru crea un quaderno-confetto tutto sui toni rosa.

Martedì 20 marzo.

Inizia il lavoro sulla storia personale. La prima parte della mattina siamo

costretti a restare in classe poiché l’aula delle proiezioni è occupata. Si

decide di lavorare per terminare la personalizzazione dei quaderni.

Julio e Ikaru non hanno il materiale; viene mandato Nicola a comperare due

quaderni per loro.

Alle 11,00 vediamo la videocassetta dell’ ecografia di Julio: i bambini sono

molto emozionati e attratti dal battito cardiaco.

Tornati in classe, chiediamo di disegnare sul tema “io nella pancia”.

Tutti partecipano con grande autonomia, solo qualcuno si alza per chiedere

cosa debba fare di preciso.

Julio disegna l’immagine ecografica così come si presenta sullo schermo;

Felipe fa una mamma col bambino nella pancia.

Quando suona la campanella si decide di continuare il lavoro l’indomani di

pomeriggio per lasciare ai bambini spazio di parola.

Mercoledì 21 marzo.

Riprendiamo il lavoro sulla vita nella pancia della mamma partendo

dall’immagine del feto.

I bambini hanno incollato sul quaderno la fotocopia di un’immagine che

ritrae un feto all’ottavo mese: la osserviamo insieme provando a descriverla.

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Augusto e altri la paragonano ad una statua perché “è senza occhi”.

Chiedo loro se pensano che il bambino veda nella pancia e tutti rispondono

di no. Federico si alza in piedi per dire che “però fa pipì, io la facevo”. Julio

interviene dicendo che il bambino ha “un occhio chiuso e uno aperto”.

Ricordando l’ecografia di Julio li portiamo a riflettere sui suoni che hanno

sentito: il cuore del bambino, quello della mamma, l’acqua…

Quando chiediamo loro di parlarci dell’acqua molti sono interessati alla

temperatura, altri al colore, altri ancora alla densità (“è gelatinosa”, dice

Alberto).

Proviamo ad immaginare tutti insieme la vita di un bambino nella pancia:

cosa fa per passare il tempo.

Qualcuno dice “nuota”, altri “si succhia il dito”, altri ancora “dorme”

Chiara U. si alza per dire che “il bambino sta “rammucchionato”. Le

domando cosa intenda e lei mima la posizione fetale seguita da altri bambini

che si raggomitolano in terra.

Julio ride nel vederli, Felipe si succhia il dito.

Chiediamo ai bambini di fare un disegno sul tema “Cosa facevo nella

pancia”.

Julio mi dice di non volerlo fare, ma ci accorgiamo che non ha il quaderno

con sé:

Gli proponiamo di disegnare su un foglio e di incollarlo successivamente ma

lui si rifiuta perché sostiene che in tal modo rovinerebbe il suo quaderno.

La seconda ipotesi è quella di farlo a casa, ma lui dice che non avrà mai

tempo perché quando arriva a casa “mangia e poi subito a letto”.

Ad ogni rifiuto che oppone sembra sempre più disperato, si rasserena solo

all’idea di telefonare al suo amico Matteo (cha oggi è assente) e farlo

insieme.

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Passa l’ora buttato in terra e solo quando gli altri hanno finitosi rimette

seduto per guardare assieme a me il disegno di Giovanni che lo fa sorridere

(Giovanni si è disegnato nella pancia mentre mangia seduto al tavolino).

Felipe disegna in pochi minuti una mamma circondata da gocce d’acqua con

un bambino visibile in grembo e aggiunge una didascalia per dire che

l’acqua nella pancia era fredda.

Daniel disegna un feto col cordone ombelicale attaccato e un fumetto pieno

di punti interrogativi

Lunedì 26 marzo.

I bambini devono lavorare al riassunto del mito di Persefone e Ade: tutti

trovano grandi difficoltà, a fine mattina avranno finito il lavoro solo due.

Martedì 27 marzo.

Secondo giorno dedicato alla storia personale.

Nella prima parte della mattina leggiamo insieme un libro portato da

Federico che mostra fotografie della vita intrauterina.

Per parlare della nascita ci serviamo di un breve racconto intitolato “Storia

di Piero”che parla di un bambino che viene al mondo e vede la sua mamma

per la prima volta.

La classe viene invitata a disegnare sul tema “Il giorno in cui sono nato”, ma

la maggioranza di loro riprende il lavoro parlando della “pancia”: li

lasciamo liberi di andare fuori tema.

Julio disegna un neonato su un letto in fiamme e commenta la presenza della

figura della mamma che sale le scale dicendoci : “Lei intanto sale le scale e

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canta: trallallà, trallallà”. Felipe sonnecchia sul banco e io mi avvicino per

chiedergli perché non disegni. Mi dice di avere “male al pancino”.

Gli domando se vuole uscire e lui mi dice “oggi non ho bevuto né latte

normale né latte di soia né latte di riso”;invitato a fare merenda dice che

prima “deve finire”, così decide di dedicarsi piuttosto frettolosamente al suo

disegno: si tratta sempre di un “bambino che sgocciola”.

Daniel disegna il solito feto col cordone ombelicale attaccato, senza

mamma, con un fumetto all’interno del quale compaiono diversi punti

interrogativi.

Quando i bambini rientrano dalla merenda ci mettiamo sui cuscini per

dedicarci alla lettura del libro dei nomi partendo da quella dei loro

certificati.

Felipe, Daniel e Chiara U. non hanno il cuscino, Daniel vuole il mio che gli

viene dato.

Nel cerchio c’è molta confusione, tutti parlano, è impossibile tenerli fermi,

si sovrastano con la voce e sembrano quasi tutti disinteressati alle parole

degli altri.

Alla fine della mattina decidiamo di rinunciare al cuscino.

Giovedì 29 marzo.

Lettura della Storia della gabbianella e del gatto che le insegnò a volare.

A metà mattina i bambini si cimentano in un testo che abbia per tema “il

volo”.

Felipe oggi scrive tantissimo, Julio non fa nulla e parla tutto il tempo con

Daniel, prova ad alzarsi per lamentarsi con me di un torto subito da parte di

Marco ma l’esiguità dell’offesa mi porta a dirgli di sbrigarsela da solo.

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Dopo la ricreazione distribuiamo le schede che non siamo riusciti a dare

martedì: le leggo a tutti e ne spiego il senso.

Flavia è convinta che i bambini più difficili non parteciperanno.

Stamattina Brian (che era assente il giorno del lavoro) mi ha detto di voler

disegnare ancora: ho l’impressione che tenga molto al suo quaderno.

Lunedì 2 aprile.

All’arrivo in classe la disposizione dei banchi è diversa; si è passati da

quella a ferro di cavallo ai banchi accoppiati in modo da ottenere tavoli da

quattro.

I posti, a detta dei bambini, sono fissi per volontà di Alessandra.

Julio condivide il banco con Marco: propongo a Flavia di spostarlo,

soprattutto perché i due litigano continuamente dalle nove del mattino e si

“contendono” la mia presenza al loro fianco.

I bambini lavorano sulla primavera: devono inventare una storia che la abbia

per protagonista in veste di fanciulla.

La giornata procede serenamente e con un certo ordine, solo che Julio non

scrive nulla e piange per due volte a causa di piccole questioni con i

compagni (in un caso sostiene che un bambino seduto in modo tale da

impedirgli di vedere bene la lavagna lo stia facendo apposta).

Parlando con Flavia vengo a sapere che si è presentata a scuola la psicologa

del Centro Ricreativo frequentato da Julio: l’impressione che ne ha ricevuto

la maestra è ottima ed entrambe ci confidiamo che un riferimento esterno

alla scuola potrebbe aiutare la famiglia di Julio ad affrontare i problemi.

Flavia, infatti, è molto preoccupata per i disagi del bambino, sempre molto

“rabbioso” nei confronti di compagni che anche a mio giudizio sono

piuttosto sereni nei suoi confronti.

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A fine mattina i bambini mettono in scena per noi una drammatizzazione sul

mago di Oz della durata di pochi minuti: Julio partecipa e si diverte come al

solito quando si tratta di recitare; in questo caso interpreta un albero di mele

che schiaffeggia chi provi a coglierne i frutti.

Martedì 3 aprile.

Al mio arrivo trovo la mamma di Julio che parla con Gabriella; Flavia mi

presenta nuovamente (ci siamo già incontrate) e la signora Ferriera si scusa

di non avermi salutata qualche giorno prima quando mi ha incontrata per i

corridoi.

Il dialogo con Flavia avviene in mia presenza: la mamma le dice che “con

l’altra maestra lavora” e Flavia le risponde che il problema non è il

rendimento scolastico del bambino, ma il suo “disagio” che lo porta a

picchiare i compagni. La mamma di Julio è convinta che il bambino, molto

legato alla sorella maggiore, sia turbato dall’assenza di quest’ultima, sempre

“fuori casa”. Racconta di discussioni familiari causate dalla ragazza e delle

evidenti ripercussioni su Julio ma accenna anche ad una presunta

“pressione” da parte di tutti gli ambienti frequentati dal bambino, da quello

scolastico a quello del Centro Ricreativo (pare che durante una festa Julio

abbia picchiato un bambino).

Durante la conversazione la signora Ferriera non mi guarda quasi mai e al

termine mi saluta frettolosamente. Flavia resta molto turbata dal

comportamento della donna nei miei confronti tanto che ci fermiamo a

discutere anche con Gabriella delle ragioni che possono averla spinta ad

evitare quello che per tempi, luogo e modalità ci sembrava un possibile

momento di incontro: l’unica spiegazione che riusciamo a darci è che questo

sia un periodo molto difficile e troppo carico di tensioni.

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La mattina è dedicata al lavoro sulla storia personale.

I bambini leggono in classe i risultati del dialogo con i genitori a proposito

del loro nome e delle modalità del parto.

Il clima è molto bello, alcuni hanno portato oggetti del giorno in cui sono

nati.

Personalmente sono molto soddisfatta nel vedere le schede di Julio, Felipe,

Daniel e Ikaru interamente compilate: quella di Ikaru ci spiega l’origine del

nome che in giapponese vuole dire “bambina delle pere”. Leggiamo assieme

a lei la lunga spiegazione scritta dalla mamma nella quale si parla delle

caratteristiche della pera, della ricchezza dei frutti e dell’ottobre giapponese;

c’è qualche difficoltà nella parte grafica che accompagna la spiegazione

tanto che Ikaru perde quasi la pazienza di fronte alla nostra incapacità di

comprendere il sistema che guida i segni da lei riprodotti sulla lavagna.

Il momento del disegno riporta l’attenzione sulla presenza dei genitori al

momento della nascita, soprattutto è l’ora di far “comparire” i padri nel

discorso.

Julio disegna la solita rampa di scale, la barella con la mamma e solo in

seguito ad un richiamo di Gabriella disegna suo padre.

A metà mattinata c’è molta confusione ma i bambini sono tutti

sull’argomento anche se è chiaro che non potremo tener fede al programma

che ci sembra troppo vasto.

Decidiamo di affrontare giovedì, nell’ambito del lavoro di storia, il tema del

vero e del falso nelle fonti, lasciando lo spazio della mattina al disegno che

li coinvolge molto e alla lettura delle loro schede.

Prima di andare via Gabriella regala a Julio un orologio in cambio della

promessa di non picchiare più i bambini.

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Julio è molto felice e gli altri bambini assistono alla scena senza

commentare.

Durante la mattina, mentre i bambini disegnavano, si è parlato molto di lui a

partire da alcuni disegni che compaiono sul quaderno dei ricordi. Gabriella li

definisce “inquietanti”, soprattutto uno nel quale compaiono numeri e sigle

che il bambino spiegherà secondo una logica di “Bene e Male”che ci sfugge.

La maestra di sostegno sostiene che è un bambino assolutamente capace di

comprendere i lavori proposti e che in ambito matematico sa risolvere

piccoli problemi con facilità: tuttavia ritiene che una psicoterapia aiuterebbe

lui e la mamma a sciogliere un rapporto di protezione “soffocante” che lo

rende “aggressivo, insicuro e afflitto da idee persecutorie”.

All’ora di pranzo i bambini vanno a mensa ma rientrano subito dopo con

Alessandra, visibilmente scossa. Ci racconta che Julio ha iniziato a lanciare

sedie e piatti e di come solo il suo intervento, peraltro rischioso (Alessandra

è incinta), abbia evitato il peggio. Julio ha gli occhi lucidi e gli altri bambini

sono serissimi.

Giovedì 5 aprile.

La mattina dovrebbe essere dedicata al lavoro sulle fonti che ci permetta di

sostenere quello sulla storia personale, ma alle nove e mezza telefona il

maestro senegalese Ibrahima per dire che sta per arrivare a scuola.

I bambini sono molto eccitati e gli chiedono di cantare ancora come hanno

fatto alla biblioteca dei ragazzi.

Ibrahima li accontenta e li coinvolge nuovamente a battere le mani al tempo

della canzone sulla scuola: anche stavolta canta in francese.

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Ho un breve scambio di opinioni con lui mentre i bambini si mettono

seduti: siamo d’accordo sulla necessità di spiegare ai bambini perché in

Senegal si parli anche il francese.

Durante il canto dei compagni Julio si allontana e si siede (gli altri sono

seduti a terra) al suo posto. Dice che il “rumore degli altri” gli ha fatto

venire mal d’orecchie.

Lo convinco a sedersi accanto a me: parlo senza avere risposte del fatto che

se non si tranquillizza il suo dolore non passerà mentre i compagni si

avvicinano raccontando episodi di mal d’orecchie.

Alla fine gli domando se il suo problema non sia il banco al quale è seduto,

finalmente parla per dirmi che non vuole strare al banco con Marco e che, se

potesse scegliere, si siederebbe accanto a Matteo C.. Gli prometto che ne

parlerò con le maestre.

In un momento di distrazione Marco gli tocca l’orecchio per verificare se

Julio menta o meno ( mi spiega che lo ha fatto per questo motivo).

Julio piange disperato e stanco. Mi avvicino e gli spiego che Marco si

comporta così per essere al centro delle attenzioni dei compagni; soprattutto

lo costringo ad osservare il comportamento del bambino che mentre noi

parliamo spinge i compagni, strappa loro di mano le penne e prende a calci

le cartelline.

La proposta che gli faccio è quella di ignorare Marco e di chiedere aiuto agli

altri compagni senza piangere: lui si calma ma ricomincia a piangere appena

entra la maestra Alessandra.

Approfitto della presenza dell’insegnante per prendere Marco da parte; so

che è disponibile nei miei confronti (spesso mi dice di restare accanto a lui

di non andare da quel “piagnone” di Julio). Riporto il dialogo perché lo

ritengo chiarificatore circa il conflitto tra i due bambini.

Io: “Perché dai il tormento a Julio?”

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M: “Lo sai”

Io: “Perché secondo te fa finta di avere mal d’orecchie”

M: “Si, tant’è che piange dopo tre minuti che gliel’ ho toccata”

Io: “Ma a te cosa importa se lui fa finta?”

M: “Mi importa perché l’anno scorso anche Alberto aveva mal d’orecchie

però non faceva tutta ‘sta scena”

Io: “Anche se lui facesse finta, sarebbe comunque un bambino che piange,

avrebbe un motivo per stare male…”

M: “Ma lui picchia”

Io: “Anche tu ogni tanto lo fai”

M: “No, lo facevo, ma ora sono calmo e i miei compagni lo hanno capito,

ora tocca a Julio calmarsi come ho fatto io”

Io: “Forse per lui è più difficile, dobbiamo dargli tempo”

M: “Vedi come sono tranquillo io, come sono amico di tutti…”

(Marco si racconta così, in realtà in una giornata i compagni si lamentano

molto più di lui e dei suoi atteggiamenti che non di Julio).

Io: “Tu sei sicuro di essere sempre tranquillo: anche tu a volte piangi

perché non sei contento delle reazioni dei tuoi compagni”

M: “Si, ma quando piange Julio, siccome è di razza nera, diventa rosso

come un pomodoro ed è bruttissimo…”

Io: “E tu di che colore diventi quando piangi?”

M: “Rosso anche io, ma più rosa di Julio che è di razza nera”

Io: “E pensi lui sia più rosso perché è nero?”

M: “Si”

Io: “E tu lo trovi brutto”

M: “E’ bruttissimo… io sono contento di avere un compagno di razza nera..

a me dà fastidio il suo colore rosso quando piange perché troppo scuro”.

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Lunedì 9 aprile.

I bambini scrivono la loro lettera per Ibrahima, la mattina è tranquilla.

Martedì 10 aprile.

Dovremmo continuare il lavoro sulla storia personale ma i bambini stanno

inventando una canzone sulla falsa riga de Il gatto e la volpe: l’operazione

proseguirà sino alla ricreazione.

Nella seconda parte della mattina sarà quasi impossibile lavorare, soprattutto

perché molti non hanno il materiale richiesto.

Ci accontentiamo di attaccare le poche fotografie arrivate.

Giovedì 19 aprile.

E’ una giornata piuttosto confusa, molti bambini lavorano con lentezza.

Julio non fa nulla, non scrive neanche l’avviso per farsi autorizzare la

partecipazione al coro del 10 maggio.

Flavia mi racconta che all’entrata la mamma di Felipe (oggi assente) la ha

raccontato delle difficoltà del bambino nel venire a scuola in questo periodo:

Felipe ha un’asma fortissima. Vengo a sapere addirittura che la donna

avrebbe fatto intendere di essere serena anche di fronte ad un’eventuale

bocciatura del figlio poiché la pediatra che lo ha in cura ne sostiene

l’immaturità fisico - psichica.

Ovviamente Flavia le ha fatto notare che per Felipe sarebbe molto triste

accettare una situazione come quella da lei prospettata.

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Giovedì 26 aprile.

E’ il giorno dell’ incontro con Ibrahima: la classe è tappezzata di cartelloni

dedicati al Senegal preparati dai bambini durante le vacanze di Pasqua.

Il programma stabilito con Flavia viene rigorosamente rispettato.

Si inizia con la lettura di alcune lettere al maestro: poiché quasi tutte

contengono domande sulla scuola in Senegal, Ibrahima decide di rispondere

alla fine.

Il tema comune nelle curiosità dei bambini è quello della presenza o meno

di alcuni “beni” quali gli astucci, le penne e i quaderni; qualcuno accenna

domande sulla presenza dei bagni e sulla qualità del cibo (in questo caso

emerge il solito problema della mensa scolastica, considerata pessima da

quasi tutti i bambini).

Il secondo momento coinvolge la classe nelle due canzoni in francese che

Ibrahima ci aveva chiesto di far provare nelle due settimane che avrebbero

preceduto l’incontro: i risultati sono buoni.

La consumazione delle arachidi è l’unico momento in comune con

l’incontro avvenuto alla “Biblioteca centrale dei ragazzi” .

I bambini vengono coinvolti, quindi, nel gioco “la coda del gallo”, gioco che

hanno visto sempre in occasione dell’incontro in biblioteca, nel filmato

girato da Ibrahima.

Le coppie che scelgono di confrontarsi raccontano molto sui rapporti tra i

bambini.

Julio accetta il confronto con Marco che vince al secondo tentativo con

buona pace del suo sfidante che torna al posto sereno e soddisfatto: qui si

conferma l’impressione avuta durante le tante ricreazioni passate assieme

che Julio, così difficile di fronte alla disciplina scolastica, accetti

serenamente, invece , le regole del gioco.

La giornata si conclude con l’assaggio del karkadè prima freddo e poi caldo.

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Giovedì 3 maggio.

Torno a scuola dopo alcuni giorni di vacanze e malattia.

I bambini sono impegnati in un “testo regolativo” da schematizzare

ulteriormente: si tratta della ricetta di una bevanda chiamata Lemonmela con

la quale il libro di testo si propone di educare ad una corretta alimentazione.

Tutti sono in difficoltà.

Stamattina, per la prima volta in tre mesi, Julio è senza grembiule come tutti

gli altri e, per la prima volta in tre mesi, ha scritto quanto gli altri.

Il mio arrivo interrompe bruscamente il momento “felice”, Julio , appena mi

vede sulla porta, prima mi mostra un testo di ieri del quale mi dice “l’ ho

fatto io ma la maestra non mi crede”, poi abbandona la matita chiedendomi

di aiutarlo.

Più tardi Flavia farà leggere il testo di Julio ad Gabriella che le consiglierà di

essere meno dura con il bambino e di apprezzarne gli sforzi, anche se

nascondono un lavoro a casa che tenta di supplire a quello scolastico. Flavia

è molto infastidita dall’atteggiamento “da bugiardo” di Julio.

Felipe, invece, procede da solo anche se si ostina ad usare esclusivamente la

matita per i suoi elaborati.

Lunedì 7 maggio.

Le prime due ore sono dedicate all’educazione sanitaria: la signora Carla,

dentista e mamma di Federica spiega ai bambini la corretta igiene orale.

Rientrati dalla ricreazione i bambini affrontano la grammatica a partire dai

compiti del fine settimana che li hanno visti impegnati in un lavoro di vera e

propria analisi logica.

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Il compito di Julio è assolutamente privo di senso e così quello di Daniel.

Mi avvicino a Julio per aiutarlo ma lui si chiude le orecchie mentre gli

spiego che a farlo assieme ci sbrigheremo. Alberto si offre di aiutarlo e Julio

accetta: forse l’aiuto di un compagno è sentito come più “normale” del mio.

Verso la fine della lezione Alberto viene interrogato e Julio si “sdebita”

suggerendogli, purtroppo male.

Quando i bambini sono a mensa discuto con Flavia a proposito di Nicola, il

volontario autorizzato dalla facente funzioni per il direttore a seguire Brian

in orario extra scolastico.

Riprende corpo l’idea di un laboratorio di italiano per i bambini stranieri

come progetto da presentarsi nell’ambito dei Piani di Offerta Formativa.

Martedì 8 maggio.

La mattina si apre con una buona notizia: ieri pomeriggio la mamma di

Brian è venuta a scuola; purtroppo non c’eravamo né io né Flavia.

Lavoro sulla storia personale.

Dalle poche scatole portate dai bambini tiriamo fuori gli oggetti significativi

per ricordare l’evoluzione alimentare del bambino nel primo anno di vita.

Mi colpisce Daniel che si è presentato con una scatola di scarpe decorata

con ritagli. Considerate le sue difficoltà a reggere il ritmo della classe, mi

avvicino per vedere il contenuto assieme a lui: è vuota.

Si parla del latte e del seno materno, del numero delle poppate e della

nascita dei denti: attraverso quest’ultimo argomento ci ricolleghiamo al

discorso di ieri.

I bambini disegnano biberon e piatti fumanti ispirandosi ai disegni fatti da

noi adulti su tre lavagne diverse: alcuni ci danno i voti, altri (solo maschi)

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ridono quando disegno un seno materno, le bambine si arrabbiano

accusando i compagni di “non capire niente di queste cose”.

Julio riprende il tema del seno disegnandone uno enorme, che lui definisce

“cicciotello”, con attaccato un bambino minuscolo e sospeso in aria: molti

altri si concentrano sulla poppata, così decidiamo di leggere una filastrocca

nella quale una mamma racconta la fatica dell’allattamento.

I bambini mettono le sedie in circolo al centro dell’aula: è il momento in cui

ci si passano gli oggetti che poco alla volta rappresentano lo svezzamento

del bambino.

Per la fase 0-4 mesi viene scelto il piccolo biberon di Marina che ci permette

di notare sulla tettarella i segni dei morsi con i quali la bambina comunicava

di essere pronta per nuovi cibi.

Per la fase 4-8 mesi usiamo il biberon di Francesca e notiamo una

particolarità della tettarella: la mamma aveva fatto un buco enorme con le

forbici per far passare il latte arricchito di biscotti: ecco dunque che ai

bambini viene riproposto l’assaggio dei biscottini per l’infanzia.

Per l’ultimo periodo, quello tra gli otto mesi e l’anno usiamo il piattino di

Lavinia M. e scriviamo assieme una ricetta della “Prima pappa”.

Dalle 11 i bambini sono coinvolti nella lezione di canto per cui siamo

costretti ad interrompere.

Stamattina, come ieri, Felipe era assente.

Giovedì 17 maggio.

Flavia decide di ripercorrere sul quaderno di storia alcune tappe del lavoro

sulla storia personale. Si tratta di schematizzare ed approfondire temi legati

al cambiamento fisico e all’acquisizione delle abilità.

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A fine mattina decidiamo di recuperare l’idea della visita alla scuola

materna: l’incontro con i piccoli è molto bello; i due gruppi comunicano con

poesie e canzoni.

Lunedì 21 maggio.

Si lavora su un testo libero.

Julio non scrive nulla e gioca con Daniel. La mattina procede con qualche

tensione: Flavia prova a parlare con me di alcune questioni legate alla

rappresentazione di fine anno ma veniamo continuamente interrotte da

bambini che fanno domande sull’esecuzione del lavoro.

Martedì 22 maggio.

Ultimo giorno di lavoro sulla storia personale.

I bambini disegnano la loro famiglia poi lavoriamo tutti insieme alla

costruzione dell’albero genealogico.

L’esempio che ho disegnato alla lavagna crea qualche confusione: in molti

lo copiano dimenticando di sostituire ai nomi generici quelli della mamma,

del papà e dei nonni.

Risolviamo il problema facendo rifare il disegno.

Il risultato finale mostra con una certa evidenza che tutti i bambini stranieri

(tranne Augusto) conoscono al massimo il nome di un nonno e difficilmente

riescono ad attribuirlo alla linea paterna o materna.

A quattro mesi esatti dall’inizio si conclude il tirocinio; d’accordo con

Flavia resterò sino alla fine dell’anno per accompagnare la classe verso il

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saggio di fine anno che consisterà in una vera e propria “rappresentazione”

di questo lavoro.