L’antropologia entra in classe -...

34
9 Scuola e culture. Materiali di antropologia della mediazione scolastica Francesca Quaratino L'identità sospesa. Contributi antropologici per una didattica interculturale nella scuola primaria Tesi di laurea Università degli Studi di Roma 'La Sapienza' - Facoltà di Lettere e Filosofia - Corso di laurea in Lettere a.a. 2000/2001 Relatore: prof. Laura Faranda - Correlatore: dott. Mauro Geraci Documento pubblicato sul sito del Dipartimento di Studi glottoantropologici e Discipline musicali il 14 luglio 2004 - http://rmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/index.html CAPITOLO I ----------------------- L’ANTROPOLOGIA ENTRA IN CLASSE I.1. Tra pedagogia e didattica: è possibile uno spazio per l’antropologia? Da quando il tema dell’intercultura è divenuto centrale per maestri e pedagogisti ci si è chiesti quale ruolo potesse avere l’antropologia nel supportare una nuova didattica. In realtà, nell’opinione di chi già da anni si occupa dei problemi relativi all’accoglienza dei bambini stranieri, le discipline antropologiche risentono ancora del legame con i temi della tradizione popolare, dell’esotismo o della astrattezza teorica, contrapposte alle esigenze immediatamente “pratiche”della scuola. L’impressione, però, è che da qualche anno la realtà stia imponendo a tutti una nuova riflessione con l’obiettivo di ridefinire non solo le aspettative dei docenti e le scelte didattiche ma anche concetti come “accoglienza”,

Transcript of L’antropologia entra in classe -...

Page 1: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

9

Scuola e culture. Materiali di antropologia della mediazione scolasticaFrancesca QuaratinoL'identità sospesa. Contributi antropologici per una didattica interculturale nella scuola primariaTesi di laureaUniversità degli Studi di Roma 'La Sapienza' - Facoltà di Lettere e Filosofia - Corso di laurea in Letterea.a. 2000/2001Relatore: prof. Laura Faranda - Correlatore: dott. Mauro Geraci

Documento pubblicato sul sito del Dipartimento di Studi glottoantropologici e Discipline musicali il 14 luglio 2004 -http://rmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/index.html

CAPITOLO I

----------------------- L’ANTROPOLOGIA ENTRA IN CLASSE

I.1. Tra pedagogia e didattica: è possibile uno spazio per

l’antropologia?

Da quando il tema dell’intercultura è divenuto centrale per maestri e

pedagogisti ci si è chiesti quale ruolo potesse avere l’antropologia nel

supportare una nuova didattica.

In realtà, nell’opinione di chi già da anni si occupa dei problemi relativi

all’accoglienza dei bambini stranieri, le discipline antropologiche risentono

ancora del legame con i temi della tradizione popolare, dell’esotismo o

della astrattezza teorica, contrapposte alle esigenze immediatamente

“pratiche”della scuola.

L’impressione, però, è che da qualche anno la realtà stia imponendo a tutti

una nuova riflessione con l’obiettivo di ridefinire non solo le aspettative dei

docenti e le scelte didattiche ma anche concetti come “accoglienza”,

Page 2: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

10

“tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente definibile

come l’insieme delle pratiche volte all’inserimento, alla conoscenza e

all’affermazione dell’identità degli stranieri nella comunità scolastica1

Sviscerati i temi dell’accoglienza linguistica e della necessità di

programmare attività che permettessero il rapido inserimento degli alunni

stranieri, le discussioni e gli studi in materia si sono rivolti a temi utili a

guidare gli operatori della scuola sul terreno più complesso delle dinamiche

dell’incontro e della reciprocità, valore principale di ogni relazione tra

uomini.

Reciprocità è, probabilmente, la parola che più di ogni altra caratterizza le

riflessioni di interesse antropologico riguardo alle possibilità e alle ricadute

pratiche del “fare” intercultura.

Non è un caso che siano proprio gli studi recenti a considerarla come un

tema centrale; una rapida lettura dei contributi dati alla materia nell’arco di

un decennio mette in evidenza, infatti, una complessità di temi sempre

crescente anche a seguito delle mutate realtà delle migrazioni e delle

presenze straniere nel nostro paese.

Duccio Demetrio, pedagogista che da tempo si occupa dell’argomento,

sostiene che in educazione interculturale serve una osservazione dialogante

purché la si concepisca come “una conversazione continua dalla quale nasce

sempre qualche cosa che prima non c’era e non si sapeva”2.

E reciprocità è divenuta, così ( con i suoi sinonimi quali antropologia

reciproca, sguardo riflesso, osservazione dialogante), la parola–chiave della

molteplicità di relazioni coinvolte nell’accoglienza, nella tolleranza come

principio di riconoscimento dell’altro e nell’Incontro, non più solo quello

tra adulti ma anche, e soprattutto, quello tra adulto e bambino.

1 Per una riflessione più approfondita sul tema si veda il capitolo I.5.2 Demetrio D. Agenda interculturale, Meltemi, Roma 1997, pag. 82.

Page 3: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

11

Così, anche temi che inizialmente avevano trovato spazio nelle circolari

ministeriali o nei manuali per la didattica, si sono aperti agli studi sulle

culture metropolitane, all’antropologia interpretativa di Clifford Geertz e

alle riflessioni di James Clifford circa la possibilità di immaginare la ricerca

etnologica come una lettura reciproca nella quale osservatore e osservato

sono parte di un’ unica dinamica di scrittura culturale3.

C’è da sottolineare anche, però, che l’interesse nei confronti di autori

stranieri non è andato di pari passo con la curiosità nei confronti del mondo

culturale italiano che invece, già dagli anni sessanta, aveva ripensato, con

Ernesto De Martino, la pratica etnografica alla luce di una presa di

coscienza dei “limiti umanistici” della nostra civiltà4.

Torna, pertanto, a trovare una conferma l’impressione che in ambito

nazionale il peso principale del pensiero antropologico venga valutato nelle

relazioni con gli studi folclorici.

Se a conti fatti, tuttavia, appare possibile affermare con soddisfazione che

l’antropologia sia entrata con forza negli studi teorici, ben più difficile

sembra essere l’ingresso nella dimensione pratica che invece, come si

vedrà, viene considerata dagli operatori della scuola il nucleo risolutivo

delle difficoltà di inserimento degli stranieri.

Quando, nel gennaio del 2001, ebbe inizio la nostra ricerca, verificammo

che la possibilità che si realizzasse quale tentativo di studio sulla possibilità

dei bambini stranieri di vivere potendo conciliare aspettative familiari,

dinamiche e pratiche di assimilazione e desiderio di inserimento nel gruppo 3 Si vedano Rosalba Terranova Cecchini “Antropologia reciproca- famiglie immigrate e il loro lavoroantropologico nella nostra cultura”, relazione tenuta al convegno nazionale Le famiglie interrogano lepolitiche sociali promosso dal Ministero degli Affari Sociali, e svoltosi a Bologna nel marzo 1999;Francesco Busi “Prospettive interculturali” testo contenuto nel documento della Commissione Nazionaleper l’Educazione interculturale, Roma 2000; Matilde Callari Galli Lo spazio dell’incontro, Meltemi,Roma1996;

Page 4: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

12

dei coetanei, si scontrava l’effettiva disponibilità di quanti, inizialmente

entusiasti della collaborazione, si dimostravano sempre più dubbiosi

riguardo alla effettiva permanenza nelle classi di un osservatore

partecipante. Si discusse soprattutto sul carattere della partecipazione: se

doveva essere “utile” allora doveva essere impostata dal docente, e

generalmente lo fu, nei termini del sostegno al bambino più in difficoltà.

Si può dire che questa resistenza iniziale si sciolse nel tempo e nella

conoscenza delle specifiche situazioni ma che, tuttavia, fu un vero e proprio

blocco al primo mese di indagine.

Ciò va detto non tanto in rapporto alle condizioni della nostra inchiesta, che

ebbe la fortuna di svolgersi nella classe della coordinatrice del progetto,

quanto piuttosto riguardo agli incontri con la “comunità” dei docenti

durante la ricreazione o in cortile dopo pranzo.

L’impressione che una partecipazione al quotidiano scolastico caratterizzata

da uno sguardo antropologico sui fatti fosse di difficile comprensione trovò

conferma in diverse occasioni: la scuola è abituata da anni agli psicologi, ai

tirocinanti di istituti magistrali, ai neuropsichiatri e anche ai volontari, ma

agli antropologi proprio no.

Scrive Matilde Callari Galli, che al rapporto tra sistema educativo e

antropologia ha dedicato buona parte dei propri studi:

Esistono analogie tra il lavoro sul campo, compiuto dagli antropologi e il lavoro

svolto quotidianamente dagli insegnanti: si tratta in ambedue i casi di esplorare e

registrare quotidiane dinamiche scomposte, spesso apparentemente prive di

un’organizzazione coerente e finalizzata, di intravedere i microprocessi e le

microrelazioni e trovare strumenti di notazione e interpretazione.5

4 De Martino E. (1961) La terra del rimorso, Il Saggiatore, Milano 1996, pag 21. V a anche detto che glistudi di Ernesto De Martino hanno avuto una vera e propria riscoperta in altri ambiti, primo tra tutti quelloetnopsichiatrico. 5 Callari Galli M. Lo spazio dell’incontro, cit., pag.34.

Page 5: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

13

Ancora oggi la presenza antropologica viene vista come parzialmente

legittima, comunque sottomessa alla dimensione pedagogica, e, nei casi più

eclatanti di incomprensione (dei quali anche a noi è capitato di essere

protagonisti), portatrice di un punto di vista eretico: ed è per questo che la

progettazione dell’inchiesta e la sua stessa realizzazione possono trovare

ostacoli burocratici e di comunicazione.

Chi sei? Fai tirocinio o ricerca? Osservi o giudichi? Produrrai del

materiale utile per i docenti o tornerai tra le mura dell’Università? Sono

solo alcune delle domande che ci vennero rivolte all’inizio della nostra

ricerca e alle quali dovemmo trovare risposte per superare l’imbarazzo

nostro e di quanti conoscemmo o per giustificare l’ “ambiguità” della nostra

presenza.

L’ impressione di oggi, a lavoro concluso, è che a questi quesiti si dovrà

continuare a rispondere ancora per molto tempo finché l’incontro tra

antropologia, pedagogia e didattica non acquisterà la dimensione di una

necessaria collaborazione interdisciplinare.

I.2. La ricerca sul campo in una classe di scuola elementare: gli

obiettivi, le aspettative, i ruoli.

Sono passati circa dieci anni da quando si pose il problema burocratico di

accogliere i bambini stranieri nelle classi delle scuole statali: si trattava,

inizialmente, di individuare le linee di indirizzo che permettessero di

risolvere problemi di ordine burocratico, quali la ricostruzione delle carriere

scolastiche iniziate nei Paesi di provenienza.

Page 6: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

14

Oggi garantire loro un pari livello di istruzione rispetto ai coetanei, unito

alla possibilità di vivere secondo modelli alimentari, religiosi, affettivi ed

emotivi propri delle loro famiglie sembra essere più di una necessità. In

molti casi è una vera e propria urgenza volta a fronteggiare il disagio e

l’abbandono scolastico, in altri, soprattutto laddove le comunità straniere si

presentano compatte, una pratica quotidiana e una modalità di accoglienza

nelle classi faticosamente acquisite e ora in via di radicamento.

Quando si decise di progettare un’ indagine sul campo nella scuola

elementare si partì dalla necessità di osservare, a distanza di qualche anno

dalle prime formulazioni teoriche riguardo alla necessità di una pedagogia

interculturale, i percorsi scolastici di alcuni bambini stranieri, lo stato delle

relazioni nel gruppo e la generale risposta allo stimolo dell’inserimento

nell’ottica dell’ abbandono-rifiuto-riscoperta dell’identità culturale delle

famiglie di origine.

Pur non essendo tra gli scopi dichiarati ci sembrò difficile non considerare,

seppure nel caso particolare, il principio base dell’accoglienza, vale a dire le

possibilità di reale fruizione del servizio scolastico ed educativo: un aspetto,

questo, che, pur presentandosi inizialmente con un velo di pedanteria, si

rivelò, al contrario, molto interessante.

L’attività quotidiana dei bambini e alcune lamentele delle loro famiglie

poterono essere lette anche in questa ulteriore luce: il fatto che i propri figli

possano essere educati in una scuola pubblica rappresenta per molti

immigrati il vero salto di qualità rispetto alla propria vicenda biografica,

tanto che, non di rado, la dimensione scolastica dei loro bambini si carica di

un forte peso di attese, con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano

psicologico ed emotivo.

La ricerca, che coinvolse un gruppo di laureandi distribuiti tra seconde,

terze, quarte elementari e scuola materna, fu coordinata dalla cattedra di

Page 7: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

15

Etnologia III dell’Università La Sapienza di Roma che curò anche un ciclo

di incontri a carattere formativo rivolti esclusivamente ai docenti.

L’istituto statale nel quale si svolse l’indagine è la scuola elementare F. A.

di Roma, ospitata in uno dei più vecchi edifici del quartiere Fleming, nella

zona nord della Capitale.

Compreso tra la Via Cassia e la Via Flaminia il quartiere può considerarsi

diviso tra una zona bassa, nella quale tra i palazzi per la media borghesia

costruiti tra gli anni ‘50 e ’60 ancora è possibile scorgere i resti di

un’edilizia popolare dei primi del ‘900 unita a qualche casetta che racconta

di un passato non lontano quando si era più in campagna che in città, e una

zona alta, considerata non a torto esclusiva. In questa parte alta sorge

l’edificio scolastico.

La scuola è succursale della sede centrale di Via Zandonai fatto, questo, che

da solo potrebbe indurre l’impressione di una certa assenza di guida e di

progettualità interclasse.

La presenza di immigrati in un quartiere alto borghese è facilmente

spiegabile: si tratta di famiglie a servizio o assegnatarie di portierati i cui

figli vanno a scuola con quelli dei propri datori di lavoro.

Ciò detto, bisogna chiarire che il terreno di indagine si “impose” alla ricerca

da svolgere come risposta alla richiesta di collaborazione da parte di

un’insegnante di una seconda classe elementare di ventisei bambini, sei dei

quali stranieri.

La ricognizione nella classe, la II C, si basò soprattutto sul colloquio con la

maestra e sulla conoscenza diretta di una situazione familiare; nel gruppo

dei sei bambini, tra i quali due filippini, un capoverdiano, un peruviano, un

rumeno e una giapponese, vennero evidenziati problemi di apprendimento e

di relazione che, in alcuni casi, sembravano direttamente connessi alla

scarsa competenza linguistica e alle difficoltà di comunicazione tra

insegnanti e genitori. Difficoltà non legate alla comprensione dell’italiano,

Page 8: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

16

ma a quelle che la maestra definì, almeno in un caso, resistenze di tipo

relazionale.

A ciò si aggiunga che, su sei bambini stranieri, era necessario seguire, nel

nome di un principio di ordinata e puntuale raccolta delle storie, un numero

limitato a due situazioni di inserimento scolastico.

La scelta si orientò verso quella di Julio, il bambino di Capo Verde

(segnalato dalla neuropsichiatria con una diagnosi di “depressione

inibitoria”) e quella di Felipe, il bambino del Perù.

Il tempo a disposizione coincise con il secondo quadrimestre, da febbraio a

giugno 2001, e con un lungo periodo di sospensione dell’attività scolastica

legato alla vicinanza di vacanze pasquali e elezioni politiche.

L’ingresso nella classe pose anche problemi di definizione delle modalità

della nostra presenza.

Quale posto occupare, quale strategia di osservazione adottare, per quanti

giorni e quante ore settimanali restare, cosa rispondere ai bambini e come

giustificare l’attenzione maggiore per alcuni di loro non sembrarono

problemi immediatamente risolvibili se non affrontandoli nella pratica

quotidiana.

Si optò, dunque, per una osservazione di dodici ore settimanali, tutte

coincidenti con quelle dell’insegnante di italiano; l’altra maestra, infatti,

lamentò da subito il rischio di un’ulteriore penalizzazione delle proprie

materie, già relegate ai pomeriggi da un orario scolastico mal concepito.

In più, la maestra di italiano (era lei che aveva chiesto la collaborazione con

la cattedra di Etnologia) mostrava grande interesse verso i possibili risultati.

Va detto, oltretutto, che la nostra presenza attirò anche l’interesse

dell’insegnante di sostegno che in quella classe impiegava quattro ore

settimanali equamente divise tra il bambino “segnalato” e i due filippini.

Page 9: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

17

Il ruolo svolto dalle aspettative degli insegnanti fu molto importante per

tutti i quattro mesi sia perché li portò ad esprimere con chiarezza i

“problemi da risolvere” mettendo così in luce anche elementi di delusione o

di soddisfazione per il nostro lavoro sia perché aprì le porte ad un proficuo

scambio di idee e ad una vera e propria collaborazione alla realizzazione di

un progetto di didattica finalizzato all’ emersione dei bambini stranieri6.

Benché la ricerca fosse stata progettata immaginando una presenza in classe

di discreta e silenziosa osservazione fu da subito esplicito che la maestra di

italiano si aspettava un concreto aiuto per i casi più eclatanti di disagio

scolastico, in particolare nei riguardi di Julio che sembrava avere una

costante necessità di essere seguito.

Così, stare accanto ai bambini stranieri durante le ore di lezione, accogliere

le loro emozioni e seguirne l’apprendimento divenne quasi il lavoro

principale.

Questo aspetto dell’inchiesta, inutile a dirsi, fu quello che si presentò come

il più difficile da gestire.

I bambini che avremmo dovuto seguire per alleviare il lavoro della maestra

si mostrarono subito felici e disponibili, poi iniziarono a manifestare un

comprensibile desiderio di autonomia; come già si è detto, dei sei stranieri

considerammo che solo due potevano essere seguiti ai fini di una ricerca

antropologica che mantenesse confini sicuri e solidi, ma vi era il rischio

che, se il nostro interesse fosse uscito dall’osservazione discreta per

spostarsi sul piano del sostegno pratico, si sarebbe creata una penosa

condizione di disparità per quei due bambini.

Proprio il contrario di ciò che dovrebbe accadere in una scuola.

6 Il progetto viene descritto nel capitolo V ed è presentato come nella parte degli Allegati in chiusura diquesto lavoro.

Page 10: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

18

Si optò, così, per un vasto sostegno a tutta la classe nella quale emersero

ben presto i desideri di tutti di essere aiutati nei momenti critici delle lunghe

giornate imposte dal tempo pieno.

Quotidianamente, a fine giornata, veniva redatto il diario di classe7.

Non va trascurato, da ultimo, un particolare riguardante la situazione

specifica dell’andamento della didattica e della presenza in classe degli

adulti.

Un giorno a settimana un volontario legato alla vicina parrocchia si

aggiungeva a noi nel sostegno agli stranieri. Tale presenza, autorizzata

l’anno prima dal dirigente scolastico in base a quanto previsto da Circolari

Ministeriali (interpretate, forse, con una certa larghezza) era in qualche

modo il riferimento di tutti gli stranieri in difficoltà.

L’aiuto dato ai bambini dal volontario consisteva nel far svolgere loro altre

attività, principalmente volte all’alfabetizzazione, durante l’orario

scolastico, imponendo, di fatto, un allontanamento dal gruppo che la stessa

insegnante di sostegno, consapevole di quanto previsto dalla legge in

materia, si rifiutava di fare.

Il volontario si occupava anche di dare lezioni a domicilio alla bambina

giapponese, che lo considerava a tutti gli effetti “cosa sua” ingelosendosi se

aiutava gli altri e creando un clima di forte tensione; a fine anno venimmo a

sapere che erano stati affidati a questo ragazzo anche i due filippini che per

due giorni a settimana sarebbero rimasti a scuola oltre l’orario (ricordiamo

che la classe faceva tempo pieno), per fare vere e proprie ripetizioni.

Questo esempio, è evidente, manifestava un caso-limite della realtà

scolastica nella quale ci trovammo a lavorare; una realtà inizialmente

sconfortante poi, progressivamente, sempre più utile a guidare la

convinzione che in tale disagio potesse nascere anche una riflessione

maggiormente consapevole dei problemi della scuola.

Page 11: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

19

Una breve considerazione riguarda, poi, i rapporti che si instaurano in una

ricerca così atipica per tempi, luoghi e ricadute sulla comunità.

Un maestro, per quanto curioso e disponibile nei confronti del ricercatore,

avrà sempre un rapporto speciale con la propria classe; e così i bambini, per

quanto buoni e disciplinati, sapranno sempre riconoscere un maestro vero

da chi non lo è.

E’ possibile che dopo un mese l’insegnante venga a chiedere quali risultati

abbia prodotto l’osservazione e che si sia costretti a giustificare la propria

impreparazione alla domanda facendo appello al poco tempo trascorso; ma

verrà sempre il tempo del “prodotto” , considerato spesso più importante

della presenza dell’osservatore, della sua capacità di relazione con i

bambini e delle sue stesse risposte a problemi quotidiani.

Convivere con il ruolo del maestro è sempre possibile se ci si pone

nell’ottica di una trasparente dichiarazione di intenti: quali sono le domande

dalle quali si parte, come si è arrivati a interessarsi al problema e,

soprattutto, cosa non si intende fare in classe.

Per esempio, non si farà educazione interculturale e non la si farà per il

semplice motivo che non spetta a chi conduce una ricerca di questo tipo

farlo bensì ai maestri stessi, sempre che abbiano chiaro in mente cosa si

intenda con tale espressione (e molti di loro ammettono le difficoltà a

gestire l’argomento).

Se da una parte si raccolgono i dati per il proprio lavoro, dall’altra sarà

possibile, invece, affiancare un maestro suggerendo alcuni temi specifici

come quello del viaggio, del cibo e della favola per orientare il percorso di

tutta la classe e mettere in luce aspetti delle tradizioni di paesi stranieri e

delle regioni italiane. Generalmente, tuttavia, i docenti già conoscono

queste risorse didattiche. 7 Per una lettura integrale del “Diario di classe” si veda l’Appendice.

Page 12: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

20

Se ci sarà la disponibilità e l’aiuto sarà anche possibile conoscere le

famiglie dei bambini e raccoglierne le richieste e le aspettative da una

posizione privilegiata: chi fa ricerca viene visto come una presenza

importante ma non autorevole né potente, caratteristiche attribuite a maestri

e insegnanti di sostegno che sono spesso alla base di quei rapporti vissuti

con inibizione da molte mamme straniere.

Abituare tutti a una presenza che eserciti specificatamente una mediazione

tra famiglie straniere, maestri e le stesse famiglie italiane sarebbe, in effetti,

l’obiettivo principale da perseguire benché le possibilità di realizzazione

siano legate, oltre che a un riconoscimento giuridico della medesima, anche

alla capacità di non sovrapporre ruoli e competenze che per formazione

degli uni e degli altri dovrebbero restare specifici seppure aperti alla

collaborazione.

Come evidenzieranno alcuni casi particolari8, la nostra presenza si rivolse

naturalmente alla mediazione, grazie soprattutto alla disponibilità della

maestra che incoraggiava i nostri incontri con le famiglie dei bambini

sostenendo contemporaneamente l’idea che il nostro tirocinio nella classe si

potesse concretizzare anche come attiva partecipazione alla realizzazione di

alcuni progetti di integrazione alle attività didattiche.

La fase successiva al lavoro quotidiano consistette nelle rilettura e

nell’organizzazione del diario nel tentativo di individuarne da un lato gli

elementi utili a raccontare i bambini e le loro vicende, dall’altro ad

individuare le aree tematiche di maggior interesse per quella che divenne

una vera e propria agenda delle idee nella quale trovarono spazio le

riflessioni sul tempo, sull’emotività, sul gioco e sull’apprendimento

linguistico.

8 Le due storie sulle quali costruimmo il nostro lavoro vengono presentate nel capitolo II.

Page 13: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

21

Nella redazione di queste pagine e nella scansione dei capitoli si è scelto di

mantenere l’ordine cronologico della sistemazione e della lettura del

materiale.

I.3. Breve viaggio tra circolari9,commissioni e realtà quotidiana.

La scuola italiana iniziò a porsi il problema dei bambini stranieri negli anni

’80, a seguito degli aumentati flussi migratori.

Il problema centrale era, allora, quello dell’inserimento nelle classi della

scuola dell’obbligo e della regolamentazione di questioni di ordine

amministrativo10.

Fu negli anni novanta che la riflessione sulla necessità di attuare un piano di

educazione interculturale si spostò su termini più generali e comunque

indipendenti dalla presenza in classe di bambini di etnie diverse.

Tra il 1990 e il 1997 si segnarono le tappe fondamentali di un percorso che

spostò progressivamente l’attenzione dalle questioni di semplice

accoglienza verso temi come le società multiculturali, la prevenzione del

razzismo e le possibili attuazioni di percorsi che stimolassero le relazioni e

il dialogo.

L’educazione interculturale venne considerata da subito una “dimensione”

dell’insegnamento, comune a tutte le discipline, per la quale non era

9 Per le circolari si è fatto riferimento al documento programmatico della Commissione Nazionale perl’Educazione Interculturale pubblicato sotto la presidenza dell’allora sottosegretario alla PubblicaIstruzione On. Carla Rocchi. Tale documento è facilmente reperibile in rete nel sito di RAI Educational.10 C.M. n° 301/1989.

Page 14: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

22

possibile immaginare un percosso che la equiparasse ad una materia

scolastica11.

A tutt’oggi, comunque, la circolare ministeriale alla quale si può fare

riferimento per comprendere lo stato delle politiche di accoglienza in

ambito scolastico è la n°205 del 26 luglio 1990: qui si delineano

competenze e nuovi obiettivi di dirigenti scolastici e insegnanti, si indica

con chiarezza l’urgenza formativa per questi ultimi ma, soprattutto, si parla

della necessità di collaborare con “mediatori linguistico-culturali”.

Il passo successivo alla produzione di circolari ministeriali e di studi

specifici fu quello di costituzione della Commissione Nazionale per

l’Educazione Interculturale con il compito di discutere ed elaborare percorsi

di attuazione che stimolassero gli operatori della scuola a considerare questi

temi come la “normalità” dei processi educativi.

“Il punto di arrivo dell’educazione interculturale - si afferma nel

documento della Commissione Nazionale per l’Educazione Interculturale –

è il riconoscimento e la valorizzazione delle differenze, di genere in primo

luogo, entro un percorso di formazione alla cittadinanza planetaria vista

come nuova dimensione della convivenza democratica.”

Nella Commissione , presieduta dal sottosegretario alla Pubblica Istruzione

Albertina Soliani prima, e, successivamente, dal sottosegretario Carla

Rocchi, pedagogisti, maestri, esperti di altre culture e religioni e antropologi

collaborarono a definire ulteriormente le linee guida dell’educazione

interculturale nella scuola dell’obbligo: venne prodotto un cd rom, si stabilì

la collaborazione con RAI Educational per un corso di formazione a

11 Si vedano le C.M. n° 205/1990, C.M. n° 73/1994, lo studio L’educazione interculturale nei programmiscolastici pubblicato nel 1995 negli Annali della Pubblica Istruzione, tutti disponibili in rete sul sito dellaCommissione Nazionale per l’Educazione Interculturale.

Page 15: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

23

distanza in dieci puntate e si creò uno spazio di riflessione con una visibilità

in rete12.

Come si vede, in più di dieci anni, molto è stato prodotto per stimolare la

scuola a occuparsi di temi come l’educazione all’incontro, alla

cooperazione, al rispetto delle identità individuali e allo scambio;

nell’ambito della scuola dell’autonomia queste istanze possono trovare

spazio nei Piani di Offerta Formativa ai quali viene fatto continuamente

riferimento come ambito privilegiato della programmazione e realizzazione

della proposta didattica.

Lo stesso documento della Commissione fa riferimento in più di

un’occasione alla necessità di un incontro tra scuola e mondo

associazionistico, cooperativo e privato sociale per la realizzazione di

progetti di inserimento e di sostegno didattico ai bambini stranieri.

Come si sa, tuttavia, la questione ricade nelle mani dei presidi, sempre più

manager con bilanci da gestire; non è improbabile, così, che un Piano di

Offerta Formativa nel segno dell’intercultura e un corso di teatro si trovino

a competere per pochi milioni da investire entro la fine della primavera.

Ciò che davvero risulta incomprensibile, invece, è l’assenza di progetti di

definizione della figura del mediatore culturale. Sembra che la riflessione

sia ferma alle necessità di traduzione linguistica mentre sarebbe il caso che

iniziassero a definirsi funzioni e competenze di un ruolo sempre più

necessario a completare l’accoglienza.

Non c’è dubbio che sia proprio dal mondo della realtà quotidiana che

giungono gli stimoli più importanti per una riflessione sulla complessità di

12 Segnaliamo che il sito contiene, oltre alle informazioni sulla commissione e sulle sue attività, anche uninteressante serie di contributi alla riflessione sul rapporto tra bambini stranieri, scuola e famiglie. Sisegnalano, tra gli altri: Callari Galli M. “Differenze culturali e processi formativi”; l’approfondimento acura del Centro Nazionale di Documentazione e Analisi sull’Infanzia e sull’Adolescenza dal titolo“Identità e diversità etnica”; Susi F. “Prospettive interculturali”; Bosi A. “Gente di strada nella “Città diCulture”.

Page 16: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

24

una attuazione pratica dei principi guida espressi dalle circolari e dalle

commissioni.

In quest’ ambito è da prendere in considerazione anche il ruolo del

Dirigente scolastico al quale spettano le scelte riguardanti gli eventuali corsi

di recupero, le iniziative di aggiornamento e formazione del personale e

quella che potremmo definire una politica di apertura alle famiglie, al

territorio e alle realtà dei servizi.

Resta, poi, il problema dei fondi limitati della scuola pubblica; da qui

bisogna partire anche per comprendere le scelte tutto sommato autarchiche

di molti insegnanti dei quali si conosce l’esperienza di lavoro grazie alla

scelta di renderla pubblica in libri, articoli o pagine web nei siti scolastici.

Si pensi, per esempio, al contributo prezioso fornito da due di loro, Monica

Mezzini e Cristina Rossi, a tutti i colleghi che siano interessati a progetti

interculturali: Gli specchi rubati è un libro agile, ricco e molto utile sul

piano delle idee per la didattica. Vi si propongono temi di lavoro e di gioco

come quelli dello Spazio, del Tempo, del Cibo , del Gruppo e della

Famiglia oltre a un’interessante elenco di film e libri per adulti e ragazzi

che siano mossi dalla curiosità di percorrere le strade della convivenza

democratica.

Non mancano i testi che riguardano il ruolo del capo d’istituto e la

possibilità di impostare corsi di aggiornamento per insegnanti all’interno

dei quali far “emergere” le linee pedagogiche piuttosto che calarle dall’alto

di una lezione13.

Questi contributi raccontano di un mondo scolastico sensibile a

sollecitazioni, fossero anche generiche, quali necessariamente debbono

essere a livello di circolari ministeriali.

13 Durino Allegra A., Fabi F., Traversi M. Dall’accoglienza alla convivenza: il capo di Istituto e gliinsegnanti nella scuola multiculturale, Meltemi, Roma, 1997.

Page 17: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

25

L’esperienza personale, tuttavia, ci ha aiutato a comprendere che non tutte

le figure coinvolte nella progettazione di una didattica di nuovi valori

possono essere pienamente consapevoli del lavoro da svolgere nelle classi e

che, anche quando sia presente, non è facile che la disponibilità dei singoli

valga per tutti gli aspetti del processo.

Come si è detto durante la ricerca il contatto diretto col dirigente scolastico

si limitò a un frettoloso saluto nei corridoi, mentre quello con gli insegnanti

costituì un quotidiano terreno di incontro tra desiderio di fare e

conflittualità.

L’aspetto formativo del lavoro, per esempio, venne interpretato come

un’intrusione e trovò molte resistenze tra coloro che sostenevano di non

avere bisogno di un intervento esterno.

Anche in ambito didattico, poi, se da un lato sembrò esserci curiosità e

disponibilità verso le tematiche e le scelte interculturali, dall’altro molti

maestri lamentarono una generale difficoltà a muoversi su progetti elaborati

da altri, magari in contesti socioculturali completamente diversi.

Nella nostra esperienza verificammo costantemente che le richieste di aiuto

e consiglio erano modulate sulla consapevolezza che ogni situazione avesse

una propria unicità legata al numero di bambini presenti in classe, alle loro

famiglie, all’organizzazione didattica e, soprattutto, alla realtà culturale dei

bambini stranieri.

Questa disponibilità al lavoro “sul caso personale” è, in parte, la dimensione

nella quale ci si muove nella scuola italiana e per molti versi è ampiamente

comprensibile: c’è chi, come gli insegnanti di Prato, si trova di fronte

bambini che provengono prevalentemente dalla Cina e cerca di risolvere

problemi specifici, magari prevalentemente linguistici, c’è chi si trova a

insegnare ai nomadi del quartiere Casilino di Roma e sente l’esigenza di

una mediazione per calarsi nella realtà dei campi e c’è chi, come nella

classe dove fu condotta la ricerca, ha per alunni bambini che provengono

Page 18: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

26

tutti da paesi diversi e si sente, per usare un’espressione della loro maestra,

ricco di stimoli ma confuso rispetto a un percorso che non dimentichi

nessuno.

E’ per questi insegnanti che si deve pensare una dimensione di sostegno più

complessa, che garantisca sia sul piano della molteplicità di rapporti

familiari sia riguardo alla possibilità di accogliere il singolo bambino: sono

insegnanti più dubbiosi sulle effettive possibilità di integrazione, forse

anche perché meno stimolati dalla forza e dall’omogeneità etnica del

gruppo di bambini (che, poi, è spesso una omogeneità di problemi), alle

prese ora con un colloquio con la mamma filippina che chiede di fare del

figlio un “italiano a tutti gli effetti” ora con il padre giapponese che ritiene

necessario che la figlia abbia più compiti a casa affinché possa esercitarsi

sull’italiano

Page 19: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

27

nel fine settimana14.

E ci sono, prima di tutto, i bambini, spesso sospesi tra due culture, tra due

mondi economici, tra due alternative delle quali la prima, quella familiare,

può apparire lontana o addirittura inconciliabile con quella scolastica.

Come afferma Duccio Demetrio nei bambini si esprime “il diritto ad

imparare a vivere, assorbendo il più possibile nel qui ed ora”15, tendendo

verso l’uguaglianza con i compagni, non verso l’esaltazione delle

differenze.

E’ proprio in questi momenti che la formazione del maestro e le sue

capacità di vedere anche le dinamiche di esclusione di tratti propri della

cultura di origine del bambino divengono fondamentali.

I numerosi percorsi di assimilazione apparvero anche ai nostri occhi come

un tratto distintivo della personalità degli stranieri presenti in classe, e i

temi dell’identità, della vulnerabilità emotiva e del contrasto con le

aspettative familiari furono destinati a orientare significativamente

l’inchiesta.

Una breve riflessione merita anche la politica dell’editoria.

La rapidità con la quale i libri di testo si adeguano ai mutamenti della scuola

presenta, talvolta, aspetti inquietanti: è come se, circolari alla mano, i loro

curatori si impegnassero di anno in anno a non trascurare le nuove

sollecitazioni ministeriali, dedicandosi all’operazione con una tale

leggerezza che viene da chiedersi se ne valutino l’opportunità e le modalità

14 Entrambi i casi ci furono riportati dalla maestra di italiano, storia e geografia della IIC. Il bambinofilippino era in un’altra classe ma tutti conoscevano la sua situazione di disperato tentativo di integrazionesostenuto dalla madre; la bambina giapponese,invece, costrinse le maestre a rivedere le posizioni dallequali erano partite e a prendere in considerazione che, forse, la provenienza da un paese ricco eindustrializzato (e da una famiglia benestante) non erano elementi sufficienti a garantirne l’integrazione.Il fatto che questa piccola immigrata non avesse il volto dei bambini dei paesi poveri aveva portato tutti aconsiderarla una occidentale a tutti gli effetti mentre lei e la sua famiglia si sentivano (ed erano per moltiaspetti) “stranieri”.15 Demetrio D. Agenda interculturale, cit., pag. 20.

Page 20: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

28

con il senso critico dovuto a chi, da editore, avrebbe il dovere di proporre

scelte culturali.

Nello sfogliare alcuni sussidiari non sarà difficile imbattersi nelle storie dei

piccoli Abdullà, felici di raccontare agli alunni delle nostre classi elementari

quanto sia bella la scuola quando non ci puoi andare o perché devi mungere

tutte le mattine o perché è a venti chilometri dal villaggio.

E’ sconfortante vedere come questi racconti vengano fatti rientrare sotto la

categoria di “educazione interculturale”, soprattutto se si considera che la

morale soggiacente non ha alcun fine conoscitivo bensì quello più subdolo

di trasmettere ai bambini italiani il senso del dovere.

Consapevole di queste operazioni la maestra della classe II C preferiva

leggere Le avventure di Pinocchio.

Molto spesso in questi testi è sottolineata la contrapposizione tra le loro

sfortune e le nostre fortune: i bambini arrivano a conoscere l’altro per

negazione, partendo dalle sue disgrazie, sviluppando, spesso, un

atteggiamento che conosce la pietà prima della curiosità16; in altri casi, poi,

la rappresentazione dell’altro ha più i caratteri del ritratto che non quelli

della riflessione.

Francesco Susi, uno dei membri della Commissione Nazionale per

l’Educazione Interculturale, nonché Preside della Facoltà di Scienza

dell’Educazione all’Università Roma Tre, ha notato che uno dei limiti

dell’interpretazione della dimensione pratica dell’intercultura sia proprio

una tendenza alla cristallizzazione delle realtà che vorrebbe rappresentare:

Le culture cosiddette “altre” divengono così dei contenitori vuoti, dei riferimenti

astratti, privi dei necessari agganci con la realtà concreta dei soggetti immigrati,

con le loro storie individuali, spesso in bilico tra passato e presente, tra paesi di

partenza e paesi di accoglienza. Si determina, per così dire, un certo

16 Il problema venne posto con forza durante gli incontri della classe con il maestro senegalese IbrahimaCamara sui quali torneremo al capitolo V.

Page 21: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

29

“culturalismo”, che fotografa staticamente la realtà culturale del cosiddetto diverso

e non tiene conto di quel processo dialettico di incontro\scontro tra autoctoni e

stranieri che caratterizza i rapporti sociali nei paesi ormai multietnici.17

In un paese ricco di tradizioni locali -e di tensioni antimeridionaliste - come

l’Italia appare grave anche l’assenza di racconti regionali: l’immagine che si

ha è quella di una perdita delle specificità culturali per costituirsi in un

unico blocco “occidentale” paternalisticamente proteso verso il mondo

povero e disperato.

Su questo tema tornammo verso aprile quando, nel corso del lavoro sulla

storia personale, ci rendemmo conto che quasi la metà dei bambini presenti

in classe avevano un genitore o un nonno originario di altre regioni italiane,

prevalentemente del Sud.

Va detto, tuttavia, che queste carenze non poterono essere verificate sui libri

di tutto il ciclo elementare e che, sfogliando alcuni testi di terza nei quali si

accennava alla geografia, avemmo l’impressione di una cura maggiore degli

argomenti geoantropici e culturali.

I.4. Le migrazioni, le mediazioni, la famiglia: guardare la scuola

con “ occhi stranieri”.

La realtà delle migrazioni si è connotata di nuovi aspetti, primo tra tutti

quello familiare: istituti quali il ricongiungimento e la maggiore tutela per la

maternità hanno modificato la condizione di molti immigrati che hanno

potuto ricostituire un nucleo familiare o crearsene uno nel nostro Paese.

17 Susi “Prospettive interculturali” in L’educazione culturale nella scuola dell’autonomia, cit. , pag. 1.

Page 22: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

30

Come emerge dagli studi più recenti in materia di politiche sociali di

inclusione 18, la famiglia in immigrazione pone governi e legislatori di

fronte alla necessità di prevedere azioni di tutela e sostegno di segno

completamente nuovo rispetto alle risposte date ai primi fenomeni

migratori, marcatamente maschili.

La scuola, dunque, come polo di riferimento extrafamiliare, diviene il luogo

centrale entro il quale progettare un incontro, non solo con il bambino, ma

anche con sua madre e suo padre. Saper affrontare le difficoltà

dell’integrazione, dialogare con adulti che provengono da paesi con sistemi

scolastici concepiti diversamente o per i quali la separazione dei bambini

dalle famiglie imposta dal sistema educativo delle società occidentali può

sembrare invasiva, diventano nuove sfide sulle quali concepire l’

accoglienza.

Si pensi, per esempio, al fenomeno dei bambini e delle bambine rimandati

nei paesi islamici, magari dopo faticosi ricongiungimenti, in conseguenza

della delusione per il sistema educativo italiano19 o ai figli dei rifugiati

politici che si lasciano alle spalle la fuga dall’orrore della guerra e più che

mai hanno nella famiglia il punto di riferimento di un’esistenza

precocemente segnata dalla precarietà.

Roberto Beneduce, psichiatra e psicoterapeuta che da anni si occupa di

antropologia medica, afferma che la stessa questione dell’apprendimento

della lingua del paese di arrivo può rappresentare un evento carico di

significati emotivi, affettivi e sociali. 18 Per gli studi sulla famiglia immigrate si è fatto riferimento, in particolare, alla relazione “Le famigliestraniere: strutture relazionali e familiari” presentata da Mara Tognetti Bordogna al Convegno deisociologi italiani tenutosi a Forlì nell’ottobre 1999.19 Durante la nostra ricerca avemmo modo di parlare con maestri di altre scuole di Roma, per lo più amiciinteressati al lavoro che stavamo conducendo. Alcuni ci raccontarono casi di veri e propri scontri confamiglie musulmane che lamentavano scarsa attenzione e rispetto per le usanze familiari. La vicenda piùtriste era quella di due sorelle tunisine allontanate dalla scuola dopo che una maestra si era lamentata del

Page 23: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

31

Scrive Beneduce:

L’istituzione scolastica considera, del resto, di poco valore legami e appartenenze:

la sua logica di funzionamento esige individui, non gruppi. Nei bambini che

vivono una particolare distanza tra modelli di apprendimento, di relazione o di

potere, come è tipicamente il caso dei bambini immigrati, la dissonanza può –

quando non opportunamente gestita- risultare rilevante, e l’apprendimento di una

seconda lingua farsi strada al prezzo di una cancellazione o “messa fra parentesi”

di quella materna: non è proprio nella misura in cui la nuova lingua viene appresa

ed utilizzata che più si misura il grado di integrazione?.20

L’osservazione di Beneduce può essere applicata a tutti gli altri ambiti

dell’integrazione nella scuola e delle dinamiche di apprendimento, tanto che

per ognuno di essi si potranno delineare difficoltà non solo pratiche ma

anche di natura psicologica che coinvolgono bambini e famiglie.

Lo stesso psichiatra, arrivando per altre strade lì dove si fermano le circolari

ministeriali, immagina che l’incontro possa avvenire in uno “spazio

intermedio che sia in grado di articolare i mondi culturali, linguistici ed

affettivi di cui il bambino immigrato è attore”21.

Uno spazio per l’incontro e per la mediazione che nella scuola manca

completamente.

Nell’esperienza italiana la mediazione culturale è stata interpretata

generalmente come mediazione linguistica nella quale l’interprete ha come

lingua madre quella straniera; questo per ovvie ragioni: è più facile trovare

senegalesi, albanesi, curdi che parlino italiano che non viceversa.

fatto che avessero le mani tinte di henna. Le due bambine furono rimandate in Tunisia dalla nonnamaterna per decisione di entrambi i genitori.20 Beneduce R. Frontiere dell’identità e della memoria, Franco Angeli, Milano 1998, pag. 188.21 ivi, pag. 190.

Page 24: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

32

Ogni traduzione linguistica è anche una traduzione culturale22, ma la

sensazione è che fermarsi alla comunicazione verbale non basti più e non

rappresenti una forma di accoglienza completa.

Fermo restando che sia possibile parlare di “traduzione” riferendosi a una

cultura, si può immaginare la quantità di conoscenze che si dovrebbero

richiedere a questi interpreti per estendere le loro competenze ad altre sfere

dello scambio culturale. Matilde Callari Galli afferma che l’educazione

interculturale debba innanzi tutto fondarsi su un esame accurato e profondo

dei valori delle culture coinvolte nell’incontro e che ciò sia possibile

solamente a partire dal possesso di “strumenti concettuali e critici per

analizzare valori, stili di vita, comportamenti…”23.

Non è raro, tuttavia, incontrare stranieri che per cultura e formazione

potrebbero rappresentare bene un ruolo di mediatore. Certo è che se le

esigenze di un mondo che ospita i migranti sono ferme alla traducibilità

delle loro lingue sui moli della Puglia, nelle aule giudiziarie e,in rari casi,

negli ospedali, è difficile immaginare che ci sia spazio per figure di

maggiore complessità.

C’è di più. Come osserva Duccio Demetrio, si può introdurre un’ulteriore

specificazione tra chi è mediatore culturale, e chi è mediatore

interculturale. Nel primo caso si tratta di un individuo che divulga una

cultura poiché vi appartiene per nascita, nel secondo di chi, seppure legato

alle proprie origini, fa in modo di tradurre i valori dell’interculturalismo

indipendentemente dalle proprie radici24.

22 Sulle implicazioni della traduzione culturale è stata di grande stimolo la lettura del saggio di Talal Asad“Il concetto di traduzione di culture nell’antropologia sociale britannica” (in Clifford J., Marcus G.Scrivere le culture : poetiche e politiche in etnografia, Meltemi, Roma 1997) .nel quale, per la serie diimplicazioni di natura anche “intima”, l’attività del traduttore-mediatore viene presentata come più vicinaal lavoro dello psicanalista che non a quella del linguista.23 Callari Galli M., “Differenze culturali e processi formativi” in L’educazione interculturale nella scuoladell’autonomia, cit., pag. .5.24 Demetrio D. Agenda interculturale, cit., pag. 78.

Page 25: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

33

Durante l’arco di tempo della nostra permanenza ci rendemmo conto che

concepire l’accoglienza nella scuola secondo le modalità dell’ascolto e del

racconto è oggi quanto mai necessario.

Il panorama generale e la nostra esperienza in particolare mettono in luce

una evidente diminuzione delle difficoltà comunicative grazie alle acquisite

competenze linguistiche dei genitori e una sempre crescente richiesta di

attenzione sul piano del rispetto della tradizione (menù privi di alcuni

alimenti, possibilità di assentarsi in giorni di festa o di indossare abiti

tradizionali, etc.), quasi che la strada della consapevolezza o, se si vuole,

del recupero delle culture di origine, si fosse schiusa repentinamente.

A ciò va aggiunto che accogliere le incertezze e le richieste delle famiglie

straniere potrebbe rappresentare un valido aiuto nelle situazioni di disagio

scolastico che spesso accompagnano i bambini stranieri: il loro mondo

affettivo ed emotivo passa dalla porta delle loro case, dalla cultura delle

loro madri, dal lavoro dei loro padri e fratelli, dalle mura delle case in cui

vivono. Come quello dei bambini italiani, d’altronde.

Immaginare e progettare l’incontro appare oggi possibile solo nella

prospettiva di non isolare le singole sfere di mediazione, facendo

comunicare gli operatori nell’ambito di un gruppo che aiuti la scuola a

gestire un’accoglienza difficile, troppo spesso affidata a insegnanti alle

prese con programmi da rispettare e, comunque, con classi numerosissime.

Nei giorni passati a scuola e, soprattutto, nei brevi ma intensissimi incontri

con le mamme dei due bambini ci capitò di percepire interamente le

difficoltà del dialogo: le due lingue, i racconti di vite geograficamente

lontane, la ricerca del consenso nel giudicare i figli dovettero essere

affrontati uscendo progressivamente da un’ottica giudicante o

scontatamente solidale per entrare in quella dinamica empatica che Luigi

M. Lombardi Satriani ha descritto così puntualmente nelle sue fasi:

Page 26: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

34

Nell’incontro continuamente rinnovantesi io-altro si dispiega, prima ancora che la

dinamica dell’intervista demo-etno-antropologica, la dinamica della vita,

gigantesca intervista nella quale siamo coinvolti e nella quale siamo, volta a volta,

intervistatori e intervistati, ascoltanti e parlanti prima di divenire definitivamente

silenti”.25

Questa tensione verso il noi, unita alla consapevolezza che ogni atto di

ascolto e ogni singolo sguardo siano i termini di un unico percorso

conoscitivo, oggi rappresentano le risorse più grandi che l’antropologia

possa offrire all’ educazione in un mondo creolo.

La realtà della scuola, poi, evidenzia un ulteriore tratto del confronto con i

migranti, quello della presenza femminile e della sua caratteristica modalità

di arrivo e permanenza.

Basta percorrere i corridoi di un istituto elementare durante l’ingresso dei

bambini per rendersi conto che gli adulti sono quasi tutte donne. Sono le

madri a tenere i rapporti con le maestre, a fare le rappresentanti di classe, a

partecipare alle riunioni, a parlare del rendimento scolastico dei figli: sono

le madri, insomma, che si occupano della dimensione scolastica dei bambini

riportandone i successi e i conflitti.

Nel caso delle mamme straniere questo aspetto è particolarmente

importante; alle prese con le separazioni dalle loro madri e sorelle, spesso

dal modello di famiglia estesa all’interno del quale far crescere i propri

figli, svuotate dalle scarse relazioni di vicinato di una città, queste donne

danno spesso l’impressione di vivere in uno stato di fragilità che si riflette

nella ricerca di nuovi punti di riferimento atti a contenere un’identità

“vacillante”26.

25 Lombardi Satriani L. M. La stanza degli specchi, Meltemi, Roma 1994, pag. 51.26 Beneduce R. Frontiere dell’identità e della memoria, cit. , pag. 155.

Page 27: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

35

Scrive Beneduce che quello delle immigrate può essere considerato come

un “doppio transito” nella società che le accoglie: doppio perché segnato

contemporaneamente dall’identità di straniera e da quella di donna, “l’Altro

per eccellenza”27. Questa specificità femminile porta ad un profondo

mutamento dei conflitti di genere:

Al suo interno le questioni concernenti l’identità culturale assumono nuovi profili

e gli itinerari delle donne migranti prendono la forma di un transito duplice quanto

doloroso: non le attende infatti solo il confronto con altri valori e altre norme

comportamentali, con differenti codici estetici e nuove responsabilità, ma anche il

confronto lacerante con il proprio ruolo quale viene concepito e riprodotto nella

cultura d’origine e quale viene invece modellato dalle ideologie dei paesi

occidentali. 28

Al tempo stesso esse sono le più esposte nei processi di acquisizione,

comprensione, accettazione e rifiuto delle dinamiche culturali29: basti

pensare ai contatti maggiori con le strutture sanitarie, ma anche a quelli con

luoghi più quotidiani quali un mercato o, appunto, la scuola dei figli.

La maternità, infatti, può rappresentare un ulteriore e significativo percorso:

la gravidanza, il parto nelle strutture pubbliche, l’incontro con i pediatri e

quello con la scuola sono eventi che obbligano le donne a un confronto

rapido con nuovi ruoli in contesti sovente sconosciuti.

Quando, nel corso della ricerca, ci rendemmo conto di essere entrati a

nostra volta in una rete di relazioni femminili, provammo a immaginare che

fosse possibile introdurre la variabile di genere in una riflessione sulla

27 ivi, pag. 16228 ivi, pag. 159.29 Si veda “Antropologia reciproca” , relazione di Rosalba Terranova Cecchini tenuta in occasione delConvegno Nazionale “Le famiglie interrogano le politiche sociali” promosso dal Ministero degli AffariSociali nel marzo 1999.

Page 28: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

36

mediazione culturale e sull’identità tesa tra due mondi dei bambini presenti

nella classe.

Parlare con le loro madri servì a comprendere quanto la fonte delle

insicurezze dei figli fosse di origine familiare: le ansie, le fatiche, i disagi e

l’assenza di riferimenti affettivi di quelle donne sembrarono, allora, essere

la chiave di interpretazione delle difficoltà dei bambini.

Come già si è detto la presenza in una classe non riuscirà mai a concentrare

lo sguardo solo su una o due situazioni, per quanto farlo sarà , poi,

necessario; come testimonieremo col racconto della nostra esperienza la

classe come luogo della relazione di gruppo, dell’affermazione del singolo

bambino nella sua dimensione extrafamiliare e dell’emersione del conflitto

tra individui avrà sempre la precedenza su qualunque realtà particolare.

Se è vero che per gli stranieri si presentano difficoltà legate alla lingua e

alla comunicazione con le loro famiglie, non va dimenticato che, guardando

all’intero gruppo, sarà possibile accorgersi che alcune responsabilità vanno

cercate nel sistema scolastico.

Se si considera l’apprendimento un processo da condurre lentamente,

tenendo conto dell’età del bambino e delle sue necessità di non

abbandonare tratti caratteristici dell’esperienza infantile quali il disegno e il

gioco, sarà facile trovarsi d’accordo con quanti -e sono in molti- sostengono

che la scuola italiana a livello di istruzione elementare sia ancora

eccessivamente costrittiva sul piano fisico, intellettuale e spaziale.

Scrivono Monica Mezzini e Cristina Rossi:

Negli ultimi anni la scuola stessa –non avulsa dalle trasformazioni sociali e forse

rea di aver interpretato un po’ troppo alla lettera alcuni aspetti della riforma- ha

cercato di rimpiazzare il corpo, la manipolazione, l’esperienza, lo spazio e il tempo

vissuti con pile di quadernoni faticosamente vergati attraverso i quali, persino agli

Page 29: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

37

alunni più giovani, si chiede di imparare per “mappe” astratte senza mai passare al

“territorio”.30

Una sorta di implicita richiesta di passività, così come quella che appariva

come una attenzione troppo rigida alla didattica “da sussidiario”,

sembrarono inizialmente caratteristiche del rapporto tra i bambini stranieri e

le insegnanti della classe che seguivamo; col passare del tempo, invece, si

affermarono quali aspetti centrali di un sistema scolastico che opera in un

clima di precarietà nel quale si sceglie la strada del rigore didattico e del

contenimento fisico (in alcuni giorni i bambini restavano seduti anche per

tre ore consecutive) come l’unica possibile in un luogo privo di spazi.

La stessa progettazione didattica e la scelta di argomenti e compiti da

affidare ai bambini ben presto apparvero giustificate dalla complessità dei

libri di testo e dei manuali utilizzati dall’insegnante; va detto, oltretutto, che

questi limiti venivano vissuti dalla stessa maestra con grande frustrazione,

legata all’impossibilità di progettare una scuola diversa in un istituto come

quello, nel quale ogni classe lavorava nella solitudine delle proprie attività.

Ci sembrò evidente, allora, che quale che fosse il progetto didattico mirante

all’educazione interculturale, al rispetto e alla valorizzazione delle identità

nonché al recupero delle difficoltà di apprendimento dei bambini stranieri,

questo rischiava di porre le sue basi su un terreno poco solido.

Ancora ne Gli specchi rubati le autrici, riferendosi ai messaggi impliciti

veicolati dalla scuola attraverso le sue mura, le sue aule, i suoi spazi esterni

e i programmi, affermano la necessità di riportare l’attenzione anche sul

non-verbale, recuperando la consapevolezza della sua influenza e della sua

valenza inculturativa31.

30 Mezzini M., Rossi C. Gli Specchi rubati, Meltemi, Roma 1997, pag. 21.31 ivi, pag. 20.

Page 30: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

38

La presenza di bambini stranieri nella scuola ha contribuito a livello teorico

a far rileggere criticamente le pratiche didattiche che si sono imposte negli

ultimi anni osservando l’ evidenza con la quale si manifestavano difficoltà e

ritardi di apprendimento in bambini che partivano, quasi sempre, da una

necessità di recupero sul piano linguistico.

Nel concreto della nostra esperienza avemmo modo di vedere come,

movendo da una riflessione specifica su un singolo bambino, non fosse

difficile individuare anche negli altri la noia per le attività quotidiane, la

difficoltà a resistere immobili dietro un banco, la necessità di disegnare e,

soprattutto, la voglia di giocare.

Rispondendo al nostro invito a completare un testo di particolare difficoltà

un bambino ci disse “sono stanco, ho solo voglia di giocare” e iniziò a

immaginare di poter scendere in cortile con i suoi compagni alle dieci del

mattino.

In tempi di riforme scolastiche che vengono approvate, ritirate, discusse

secondo modalità confusamente democratiche e scarsamente proficue sul

piano delle idee non deve essere facile trovare linee di coerenza, ma sarebbe

auspicabile32, tuttavia, che il nostro sistema di istruzione concedesse più

spazio al gioco e al riposo dalla produzione di testi considerandoli una volta

per tutte quali momenti ugualmente validi di apprendimento.

Nella classe che avemmo modo di osservare, poi, si presentò anche il caso

dell’ elevato numero di alunni approdati in prima elementare in condizioni

di completa alfabetizzazione acquisita alla scuola materna.

Questi bambini erano stati messi in una doppia condizione: avvantaggiati

nell’apprendimento ma costretti a passare tutto il primo anno ad aspettare

che gli altri, per lo più gli stranieri per i quali non c’era stato passaggio

32 L’anno scolastico durante il quale si svolse la ricerca fu vissuto dalle maestre in un clima di generaleincertezza. La possibilità che la riforma della scuola potesse entrare in vigore dal settembre 2001, infatti,metteva tutti nella condizione di adeguarsi in tempi brevi ai cambiamenti annunciati; immaginiamo che ilsuccessivo ritiro della legge da parte dell’attuale governo non abbia facilitato la situazione.

Page 31: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

39

dalle materne statali e comunali, imparassero ciò che, per generazioni, è

stato insegnato a bambini di sei o sette anni e non a quelli di cinque.

Ora non è difficile immaginare quali ricadute avesse avuto sul gruppo

questo fenomeno: dal primo giorno di scuola era stato chiaro che gli

stranieri avrebbero lavorato al recupero prima ancora che all’integrazione,

come ancora avveniva in seconda elementare quando iniziò la nostra

ricerca.

Chiunque si preoccupasse di guardare la scuola almeno una volta con occhi

stranieri vedrebbe che lo svantaggio di quei bambini non é di segno molto

diverso dalla necessità di giocare dei loro coetanei alfabetizzati alle scuole

materne, a disagio nell’attesa che gli altri imparino ciò che loro sanno già

fare, svantaggiati perché per imparare a leggere e scrivere è stato loro

sottratto tempo al gioco.

Così, l’incontro con le difficoltà degli stranieri può essere letto non solo alla

luce dell’urgenza di trovare soluzioni praticabili, ma anche come occasione

autoriflessiva a partire dalla quale attuare un vero e proprio ripensamento

del nostro sistema scolastico.

I.5. Ma che cos’è l’intercultura?

Esistono molti modi per definire concetti di ampio respiro e se fin ora si è

ritenuto di dover citare solo la Circolare ministeriale nel quale compare il

termine “intercultura” è perché essa ne contiene gli aspetti più generali e

onnicomprensivi.

Page 32: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

40

Molto spesso, tuttavia, si ha l’impressione che l’educazione interculturale

venga intesa più nelle immediate possibilità di applicazione pratica che non

come insieme di proposte interpretative degli aspetti culturali coinvolti in

una relazione di incontro e di reciproco scambio che siano inevitabilmente

volti a modificare le dimensioni culturali degli uni e degli altri.

Se troppa teoria può far perdere di vista l’obiettivo è vero anche che gettarsi

sulla dimensione pratica può allontanare gli aspetti critici più produttivi.

Come è stato già chiarito, la ricerca non ebbe mai il fine di valutare quali

stimoli e materiali didattici, tra l’altro facilmente reperibili, fossero più

adatti ad attuare un progetto di educazione interculturale, bensì quello di

osservare quali ripercussioni potesse avere l’inserimento in quella classe di

quella scuola per due bambini e quali influenze sulle loro famiglie

nell’ottica di una strada che affermasse l’identità come valore e

l’apprendimento come diritto.

Materiali e idee per la didattica servirono come mezzo adatto a favorire

un’ottica privilegiata sulla classe e per valutare gli aspetti della vita

relazionale e di gruppo dei due bambini stranieri.

Ciò detto, il concetto di intercultura ha attraversato anche la nostra

esperienza, poiché è lì che possono vedersi sommati i principi di

accoglienza, curiosità, incontro e difesa della differenza.

Delle molte disponibili, quando ci confrontammo con la complessità dei

temi contenuti in “intercultura” quella di Duccio Demetrio33 ci sembrò, e

tuttora ci appare, la più duttile.

Per Demetrio di possono considerare tre ambiti: quello dell’interazione,

basato sull’azione, sul pensiero, sul progetto comuni; quello della

reciprocazione, basato sullo scambio di saperi, risorse e possibilità; quello

dell’accettazione, basato sull’accettazione delle differenze (“che non si

tratta soltanto di tollerare, ma di assumere come legittime, laddove queste

Page 33: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

41

non ledano i diritti dell’uomo e del cittadino, in quanto principi universali

che salvaguardano la sopravvivenza fisica oltre che culturale delle genti e

dei popoli”34).

Nel suo terzo aspetto, quindi, l’intercultura come la definisce Demetrio si

preoccupa di dare risposte anche a coloro che domandano a chi si occupa di

questi temi con quale coscienza si possano tollerare l’infibulazione, la

sottomissione della donna e l’infanticidio femminile: capita di frequente,

infatti, che gli interlocutori vedano nell’antropologo un legittimatore di

pratiche culturali che l’occidente considera disumane.

Sempre Demetrio, individua nella pedagogia interculturale il suo carattere

“esemplare”, vale a dire quello degli incontri che hanno il chiaro intento di

conoscersi reciprocamente, e quello “quotidiano” basato sulla creazione di

un clima di curiosità e di ascolto; sottolineando, quindi, come nel fare

intercultura non si attuino altro che intenzioni comunicative.

Più “tecnica” e appartenente più al linguaggio delle direttive ministeriali, è

la definizione che ne dà Francesco Susi, che non a caso è stato membro

della Commissione Nazionale per l’Educazione Interculturale:

L’educazione interculturale é la risposta in termini di prassi formativa alle sfide e

ai problemi che pone il mondo delle interdipendenze; è un progetto educativo

intenzionale che taglia trasversalmente tutte le discipline insegnate nella scuola e

che si propone di modificare le percezioni e gli abiti cognitivi con cui

generalmente ci rappresentiamo sia gli stranieri sia il mondo delle

interdipendenze”.35

Entrambe le definizioni, secondo noi, dovrebbero essere ricordate durante il

lavoro di classe; con le loro differenze, con la diversa attenzione accordata

33 Demetrio D. Agenda interculturale, cit. , pag. 92.34 Ibidem.35 Susi F. “Prospettive interculturali” in L’educazione interculturale nella scuola dell’autonomia, cit.,pag.1.

Page 34: L’antropologia entra in classe - CISADUrmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/sc/quaratino/quaratino02.pdf · 10 “tolleranza” e quello stesso di “intercultura”, somCaterinamente

42

al piano delle relazioni interpersonali esse rappresentano una buona risposta

per chi voglia affrontare il tema dell’educazione interculturale con serietà.

Vorremmo aggiungere, tuttavia, che la nostra esperienza ci ha convinti del

fatto che l’educazione e i suoi processi si basino fondamentalmente sul

rapporto tra le persone e sui percorsi intellettuali, esperienziali e di

costruzione della personalità dei singoli individui: la biografia, le scelte

ideologiche, le capacità relazionali e le curiosità del maestro, del mediatore

culturale o della madre di un bambino appaiono, così, come le fondamenta

di qualsiasi discorso.

Laddove, come accade oggi nella scuola, venga meno la possibilità per gli

insegnanti di affrontare un percorso formativo in grado di stimolare la

discussione e la critica, non si può far altro che affidarsi alle circolari e al

buon senso.