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a cura del Gruppo Parlamentare della Camera dei Deputati
Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente
LE DIECI PIAGHE DELLA GIUSTIZIA
CHE L'ITALIA ORA DEVE DEBELLARE
19 agosto 2013
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Le dieci piaghe della giustizia che l’Italia ora deve
debellare (Il Giornale)
La giustizia in Italia non funziona. É un dato di fatto, inutile girarci
attorno. Inutile nascondersi dietro i processi di Berlusconi: è solo
una scusa per non fare una riforma fondamentale per il nostro
paese e che tutto il mondo ci chiede.
Il programma iniziale di questa maggioranza prevedeva una
riforma delle istituzioni che rafforzasse il potere politico, per poi
procedere, con una rinnovata autorevolezza, alla riforma della
giustizia. Forse è stato un errore separare il percorso delle
riforme istituzionali dalla riforma della giustizia, ma nulla vieta
che si possa ancora intervenire. La strada ce l’ha indicata il Capo
dello Stato che, con le dichiarazioni a seguito della sentenza
della Cassazione su Silvio Berlusconi, ha evocato il lavoro dei
saggi da lui incaricati nell’aprile scorso per studiare i termini di
una riforma della giustizia.
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Le dieci piaghe della giustizia che l’Italia ora deve
debellare (Il Giornale)
Ma si può fare ancora di più: parallelamente alla riforma della
giustizia, promuovere la raccolta firme per i referendum radicali,
almeno 1 milione entro la fine di settembre 2013. Referendum
che intervengono sui punti critici della giustizia in Italia:
responsabilita civile dei magistrati (quesiti 1 e 2); incarichi
extragiudiziali dei giudici (quesito 3); eliminazione della custodia
cautelare (quesito 4); abolizione dell’ergastolo (quesito 5);
separazione delle carriere dei magistrati (quesito 6).
E il bisogno di cambiamento nel sistema della giustizia in Italia
non è una questione di parte né, abbiamo detto, c’entrano i
processi del leader di quel partito politico che, stando ai
sondaggi, gode di un consenso maggioritario nel paese.
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debellare (Il Giornale)
È un dato oggettivo che riscontra chiunque si metta a studiare il
funzionamento dell’ordine giudiziario italiano, specie se si
comparano i nostri dati con quelli degli altri paesi, europei ed
extraeuropei. Il risultato è univoco: la giustizia italiana va
riformata da cima a fondo.
Nel seguito riportiamo le conclusioni delle analisi condotte nel
merito dalla Commissione europea; dall’Ocse; dall’organo
competente in materia del Consiglio d’Europa (Cepej); dal World
Justice Project (un istituto di ricerca privato); dal giornalista de
L’Espresso, Stefano Livadiotti, e dalla professoressa
dell’Università di Bologna, Daniela Piana.
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Le dieci piaghe della giustizia che l’Italia ora deve
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I problemi di inefficienza della giustizia italiana possono essere
facilmente riconducibili a tre fattori principali: avanzamento
automatico di carriera dei magistrati; mancanza di responsabilità
civile in caso di errori; mancata ottimizzazione delle risorse
pubbliche a disposizione del settore. Fattori che portano a un
aumento della durata dei processi e a una progressiva perdita di
fiducia dei cittadini nei confronti del sistema giudiziario. Il tutto
dimostrato dalle numerose sentenze della Corte europea dei
diritti dell’uomo che stabiliscono l’esistenza di violazioni da parte
dello Stato italiano nei confronti del diritto dei cittadini a un
giusto processo.
Peggio di così? Le analisi sopra citate parlano chiaro. Andiamo a
vedere perché.
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“La qualità, l’indipendenza e l’efficienza della giustizia giocano un
ruolo chiave nel riportare fiducia negli Stati e ritornare a crescere,
e sono fondamentali per assicurare l’implementazione delle leggi,
nazionali ed europee” è questa l’introduzione del commissario Ue
per la giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza, Viviane
Reding, al rapporto della Commissione europea pubblicato a
marzo 2013: “The Eu justice scoreboard. A tool to promote
effective justice and growth”, che si propone di fornire dati
comparati sul funzionamento della giustizia nei paesi dell’Unione
europea e di fissare obiettivi di miglioramento per gli Stati che
non rispettano gli standard.
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Affermazione cui ha fatto eco quella del commissario per gli
affari economici e monetari, Olli Rehn, secondo il quale: “un
sistema giudiziario di qualità, indipendente ed efficiente è
essenziale per garantire un ambiente favorevole allo sviluppo
imprenditoriale”.
Parole sante, se i risultati dello “scoreboard” europeo non
collocassero l’Italia agli ultimi posti della classifica: il paese con
maggior necessità di interventi migliorativi nel settore della
giustizia.
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1. Il numero incredibile di casi pendenti
Secondo il rapporto della Commissione, l’Italia è tra i paesi con
più alto numero di casi penali non risolti (5,4 milioni di casi
irrisolti: 9 ogni 100 abitanti, contro i 4 ogni 100 abitanti della
Germania e i 2 della Francia), di cui se ne prescrivono
mediamente 356 al giorno. L’Italia è addirittura al primo posto
se si osserva il numero di casi non risolti in ambito civile e
societario (4,2 milioni di casi irrisolti: 7 ogni 100 abitanti, contro i
2 della Francia e solo 1 caso irrisolto ogni 100 abitanti in
Germania).
Conclusioni di quella stessa Commissione europea che se ci
impone rigore di bilancio è rispettata e riverita, mentre se ci
chiede un sistema giudiziario più efficiente e di maggior qualità
rimane del tutto inascoltata.
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Purtroppo, non è solo l’Unione europea a “smascherare” le
piaghe della giustizia italiana, ma anche l’Ocse, la cui ultima
pubblicazione sul tema è datata giugno 2013 e per cui vale la
stessa considerazione circa l’opportunismo, tutto italiano, nel
rispettarne o meno i suggerimenti a seconda degli argomenti.
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2. Processi troppo lunghi
Secondo il rapporto “Judicial Performance and its Determinants: A
Cross-country Perspective”, pubblicato a giugno 2013 dall’Ocse,
l’Italia è il paese in cui i processi sono più lunghi. La durata media
dei 3 gradi di giudizio civile nei paesi dell’area Ocse è di 788
giorni: da 395 giorni in Svizzera a ben 8 anni (2.920 giorni) in
Italia. Quanto alla durata media del solo primo grado del
processo civile, il Rapporto 2012 del Cepej non lascia spazio a
dubbi: l’Italia ha il primato con 492 giorni contro i 289 della
Spagna, i 279 della Francia e i 184 della Germania. E tempi
così dilatati comportano spese elevate per lo Stato. Secondo
Confindustria: “l’abbattimento del 10% dei tempi della giustizia
civile potrebbe determinare un incremento dello 0,8% del Pil”.
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3. Un costo esagerato
Quanto al costo dei processi, calcolato dall’Ocse al netto delle
spese legali sostenute dai cittadini e in percentuale del valore
della causa (ipotizzata pari al 200% del reddito pro-capite),
l’Italia si colloca al terzo posto, la Francia all’undicesimo, la
Germania oltre il sedicesimo. Ne deriva che, combinando le 2
variabili, lunghezza e costo del processo, l’Italia è, insieme alla
Repubblica slovacca e al Giappone, la peggiore in termini di
efficienza del sistema giudiziario.
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4. Un budget troppo alto
Al contrario di quanto dichiarato da taluni magistrati che
addebitano ritardi e inefficienze al basso budget statale per la
giustizia, dal Rapporto 2012 del Cepej emerge che la macchina
della giustizia costa agli italiani, per tribunali, avvocati d’ufficio e
pubblici ministeri, 73 euro a persona all’anno, contro una media
europea di 57,4 euro. In Italia, infatti, ci sono 2,3 tribunali ogni
100.000 abitanti (in Francia solo 1) e ogni magistrato italiano
dispone di 3,7 addetti non togati (cancellieri e dattilografi),
contro i 2,7 della Germania. Non male!
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5. Salari e stipendi
Come in tutti i bilanci societari, anche per lo Stato, tra i costi, alla
macro-classe “magistratura” troviamo una voce “salari e
stipendi”. Commentando i dati del Rapporto 2012 del Cepej,
Stefano Livadiotti ci fa notare che i giudici italiani guadagnano
più di tutti i loro colleghi europei. E all’apice della carriera, cui,
come vedremo, giungono rapidamente, percepiscono uno
stipendio pari a 7,3 volte quello medio dei lavoratori dipendenti
italiani (in Germania, invece, lo stipendio dei magistrati è pari a
1,7 volte quello di un lavoratore dipendente). Privilegiati? No,
per carità!
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6. Una scarsa “accountability”
Secondo la professoressa Daniela Piana, che ha curato un intero
capitolo dedicato alla magistratura nell’ambito di un saggio
pubblicato a maggio 2013 dalla casa editrice Il Mulino: “La
democrazia in Italia”, i primati negativi dell’Italia sul
funzionamento della giustizia non sono dovuti al sistema politico,
bensì “all’atteggiamento dei giudici, caratterizzato da un mix di
impunità, mediazione estrema e politicizzazione senza simili nel
mondo occidentale”.
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Essendo le risorse allocate nel settore in linea con gli altri Stati
europei, ne consegue un problema di efficienza: “il sistema di
governo della magistratura non alloca incentivi e sanzioni, vincoli
ed opportunità”. Ne deriva che una scarsa “accountability” del
personale rispetto al proprio operato genera comportamenti
opportunistici: “la magistratura italiana soffre di uno
sbilanciamento eccessivo in favore dell’indipendenza, senza che ad
essa corrispondano meccanismi di controllo organizzativo interno”.
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7. Meritocrazia zero
I dati ce li fornisce ancora una volta lo studio sull’Italia del Cepej:
l’attuale normativa prevede che, dopo 27 anni di servizio, tutti i
magistrati raggiungano, indipendentemente dagli incarichi svolti
e dai ruoli ricoperti, la massima qualifica di carriera possibile.
Tanto che nel 2009 il 24,5% dei magistrati ordinari in servizio
era, appunto, all’apice dell’inquadramento. Con relativo
stipendio e costo per lo Stato. Commenta Stefano Livadiotti, in
una recente intervista rilasciata ad Affari italiani: “È come se un
quarto dei giornalisti italiani fosse direttore del Corriere della Sera
o di Repubblica”. Come dargli torto…
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8. Avanzamenti di carriera senza se e senza ma
Ancora qualche numero: ai fini degli avanzamenti di carriera,
l’organo competente è il Consiglio Superiore della Magistratura.
Ebbene, tra il 1° luglio 2008 e il 31 luglio 2012, su circa 9.000
magistrati ordinari in servizio, sono state effettuate solo 2.409
valutazioni, di cui negative…3!
Quanto alla responsabilità civile, alias il rischio di sanzioni
disciplinari per i magistrati che commettono errori nei processi,
per gli esposti presentati contro i magistrati è previsto un filtro
preventivo della Procura generale presso la Corte di Cassazione,
che stabilisce se c’è il presupposto per avviare un procedimento
presso il Csm.
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Tra il 2009 e il 2011, sempre sui circa 9.000 magistrati ordinari
in servizio, alla Procura generale sono pervenute 5.921 notizie di
illecito, di cui 5.498 (il 92,9%) sono state archiviate. Ciò vuol dire
che solo il 7,1% delle denunce è arrivato davanti alla sezione
disciplinare del Csm. Che strano…
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9. E la responsabilità civile?
Quanto alla responsabilità civile dei magistrati, in teoria, ci
sarebbe la Legge n. 117/1988, voluta dall’allora ministro della
giustizia, Giuliano Vassalli, che stabilisce un limite di 2 anni per
l’esercizio dell’azione; prevede un filtro di ammissibilità per i
ricorsi e attribuisce allo Stato la possibilità di rivalersi, per i danni
liquidati a risarcimento di un errore giudiziario, sullo stipendio del
magistrato colpevole (con il tetto massimo di 1/3).
Stefano Livadiotti, autore del libro “Magistrati l’ultracasta”, ci fa
notare come, in ossequio a tale Legge, dal 1988 al 2011 in Italia
siano stati presentati solo 400 ricorsi (in 23 anni!!!) per
risarcimento danni da responsabilità dei giudici.
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Di questi, il 63% sono stati dichiarati inammissibili; il 12% sono in
attesa di pronuncia sull’ammissibilità; il 16,5% sono in fase di
impugnazione di decisione di inammissibilità e solo l’8,5% sono
state dichiarate ammissibili. Di questo 8,5%, vale a dire di 34
ricorsi, 16 sono ancora pendenti e 18 sono stati giudicati: lo Stato
ha perso solo 4 volte, pari all’l,1% dei già pochissimi ricorsi
presentati.
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10. Da zero a uno: meno di 0,5
Dulcis in fundo. Il World Justice Project è un’organizzazione non
profit, indipendente, che ogni anno, al pari della Commissione
europea, stila un indice, denominato “Rule of Law Index”, di
valutazione dell’aderenza del sistema giudiziario degli Stati alle
regole del diritto. In particolare, le valutazioni sono svolte sulla
base di 4 parametri: l’affidabilità, la credibilità e l’integrità
morale dei giudici; la chiarezza e la capacità delle Leggi di
garantire i diritti fondamentali, tra cui la sicurezza di persone e
cose; il grado di accessibilità, efficienza ed equità del processo;
la competenza e l’indipendenza dei magistrati e l’adeguatezza
delle risorse messe a loro disposizione.
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Le dieci piaghe della giustizia che l’Italia ora deve
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I punteggi per gli Stati sono compresi in un range che va da zero
a uno. Per nessuno dei 4 indicatori l’Italia supera lo 0,5, eccezion
fatta per l’adeguatezza delle risorse… Da tutto quello che
abbiamo visto in questa analisi, non poteva essere altrimenti.
I numeri parlano chiaro. Resta poco da dire. E da fare: in
parallelo con la riforma della giustizia sollecitata dal Presidente
della Repubblica, raccogliere almeno 1 milione di firme entro
settembre 2013 per i 6 referendum radicali per una “giustizia
giusta”.
I primi 2 riguardano la responsabilità civile dei magistrati e
intendono rendere più agevole per il cittadino l’esercizio
dell’azione civile risarcitoria nei confronti dei giudici, anche per i
danni da questi cagionati nell’attività di interpretazione delle
norme di diritto o nella valutazione dei fatti e delle prove.
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Il terzo quesito vuole porre un freno al fenomeno dei cosiddetti
“fuori ruolo”, ossia a quei magistrati collocati presso gli uffici
legislativi dei gabinetti ministeriali, al fine di garantire la
separazione dei poteri, eliminando la commistione tra
magistratura e alta amministrazione.
Il quarto quesito si pone l’obiettivo di limitare il carcere prima che
l’imputato abbia ricevuto una sentenza definitiva. Il quinto quesito
intende abolire l’ergastolo, in quanto incompatibile con il
principio costituzionale secondo cui la pena deve tendere alla
rieducazione del condannato e non a una punizione fine a se
stessa. Il sesto quesito, infine, punta alla separazione delle
carriere tra giudici dell’accusa e giudici della difesa.
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Le dieci piaghe della giustizia che l’Italia ora deve
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Il modello processuale del “giusto processo”, previsto dall’articolo
111 della Costituzione e proprio di ogni democrazia liberale,
infatti, non può realizzarsi senza un giudice “terzo”, ossia
realmente equidistante tra il Pubblico Ministero e il difensore.
Se la qualità, l’indipendenza e l’efficienza della giustizia giocano
un ruolo fondamentale nel riportare fiducia negli Stati e ritornare
a crescere, come ci ha detto il commissario Reding,
rimbocchiamoci le maniche: lavoriamo per migliorarla. Con la
raccolta delle firme, ma anche, in parallelo, dando veste
normativa alle proposte di riforma della giustizia avanzate dalla
commissione dei saggi voluta, prima della formazione del
governo Letta, dal Presidente Napolitano. Dipende solo da noi.
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