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a cura del Gruppo Parlamentare della Camera dei Deputati Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente LE DIECI PIAGHE DELLA GIUSTIZIA CHE L'ITALIA ORA DEVE DEBELLARE 19 agosto 2013 276

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a cura del Gruppo Parlamentare della Camera dei Deputati

Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente

LE DIECI PIAGHE DELLA GIUSTIZIA

CHE L'ITALIA ORA DEVE DEBELLARE

19 agosto 2013

276

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Le dieci piaghe della giustizia che l’Italia ora deve

debellare (Il Giornale)

La giustizia in Italia non funziona. É un dato di fatto, inutile girarci

attorno. Inutile nascondersi dietro i processi di Berlusconi: è solo

una scusa per non fare una riforma fondamentale per il nostro

paese e che tutto il mondo ci chiede.

Il programma iniziale di questa maggioranza prevedeva una

riforma delle istituzioni che rafforzasse il potere politico, per poi

procedere, con una rinnovata autorevolezza, alla riforma della

giustizia. Forse è stato un errore separare il percorso delle

riforme istituzionali dalla riforma della giustizia, ma nulla vieta

che si possa ancora intervenire. La strada ce l’ha indicata il Capo

dello Stato che, con le dichiarazioni a seguito della sentenza

della Cassazione su Silvio Berlusconi, ha evocato il lavoro dei

saggi da lui incaricati nell’aprile scorso per studiare i termini di

una riforma della giustizia.

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Le dieci piaghe della giustizia che l’Italia ora deve

debellare (Il Giornale)

Ma si può fare ancora di più: parallelamente alla riforma della

giustizia, promuovere la raccolta firme per i referendum radicali,

almeno 1 milione entro la fine di settembre 2013. Referendum

che intervengono sui punti critici della giustizia in Italia:

responsabilita civile dei magistrati (quesiti 1 e 2); incarichi

extragiudiziali dei giudici (quesito 3); eliminazione della custodia

cautelare (quesito 4); abolizione dell’ergastolo (quesito 5);

separazione delle carriere dei magistrati (quesito 6).

E il bisogno di cambiamento nel sistema della giustizia in Italia

non è una questione di parte né, abbiamo detto, c’entrano i

processi del leader di quel partito politico che, stando ai

sondaggi, gode di un consenso maggioritario nel paese.

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Le dieci piaghe della giustizia che l’Italia ora deve

debellare (Il Giornale)

È un dato oggettivo che riscontra chiunque si metta a studiare il

funzionamento dell’ordine giudiziario italiano, specie se si

comparano i nostri dati con quelli degli altri paesi, europei ed

extraeuropei. Il risultato è univoco: la giustizia italiana va

riformata da cima a fondo.

Nel seguito riportiamo le conclusioni delle analisi condotte nel

merito dalla Commissione europea; dall’Ocse; dall’organo

competente in materia del Consiglio d’Europa (Cepej); dal World

Justice Project (un istituto di ricerca privato); dal giornalista de

L’Espresso, Stefano Livadiotti, e dalla professoressa

dell’Università di Bologna, Daniela Piana.

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Le dieci piaghe della giustizia che l’Italia ora deve

debellare (Il Giornale)

I problemi di inefficienza della giustizia italiana possono essere

facilmente riconducibili a tre fattori principali: avanzamento

automatico di carriera dei magistrati; mancanza di responsabilità

civile in caso di errori; mancata ottimizzazione delle risorse

pubbliche a disposizione del settore. Fattori che portano a un

aumento della durata dei processi e a una progressiva perdita di

fiducia dei cittadini nei confronti del sistema giudiziario. Il tutto

dimostrato dalle numerose sentenze della Corte europea dei

diritti dell’uomo che stabiliscono l’esistenza di violazioni da parte

dello Stato italiano nei confronti del diritto dei cittadini a un

giusto processo.

Peggio di così? Le analisi sopra citate parlano chiaro. Andiamo a

vedere perché.

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Le dieci piaghe della giustizia che l’Italia ora deve

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“La qualità, l’indipendenza e l’efficienza della giustizia giocano un

ruolo chiave nel riportare fiducia negli Stati e ritornare a crescere,

e sono fondamentali per assicurare l’implementazione delle leggi,

nazionali ed europee” è questa l’introduzione del commissario Ue

per la giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza, Viviane

Reding, al rapporto della Commissione europea pubblicato a

marzo 2013: “The Eu justice scoreboard. A tool to promote

effective justice and growth”, che si propone di fornire dati

comparati sul funzionamento della giustizia nei paesi dell’Unione

europea e di fissare obiettivi di miglioramento per gli Stati che

non rispettano gli standard.

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Le dieci piaghe della giustizia che l’Italia ora deve

debellare (Il Giornale)

Affermazione cui ha fatto eco quella del commissario per gli

affari economici e monetari, Olli Rehn, secondo il quale: “un

sistema giudiziario di qualità, indipendente ed efficiente è

essenziale per garantire un ambiente favorevole allo sviluppo

imprenditoriale”.

Parole sante, se i risultati dello “scoreboard” europeo non

collocassero l’Italia agli ultimi posti della classifica: il paese con

maggior necessità di interventi migliorativi nel settore della

giustizia.

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Le dieci piaghe della giustizia che l’Italia ora deve

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1. Il numero incredibile di casi pendenti

Secondo il rapporto della Commissione, l’Italia è tra i paesi con

più alto numero di casi penali non risolti (5,4 milioni di casi

irrisolti: 9 ogni 100 abitanti, contro i 4 ogni 100 abitanti della

Germania e i 2 della Francia), di cui se ne prescrivono

mediamente 356 al giorno. L’Italia è addirittura al primo posto

se si osserva il numero di casi non risolti in ambito civile e

societario (4,2 milioni di casi irrisolti: 7 ogni 100 abitanti, contro i

2 della Francia e solo 1 caso irrisolto ogni 100 abitanti in

Germania).

Conclusioni di quella stessa Commissione europea che se ci

impone rigore di bilancio è rispettata e riverita, mentre se ci

chiede un sistema giudiziario più efficiente e di maggior qualità

rimane del tutto inascoltata.

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Le dieci piaghe della giustizia che l’Italia ora deve

debellare (Il Giornale)

Purtroppo, non è solo l’Unione europea a “smascherare” le

piaghe della giustizia italiana, ma anche l’Ocse, la cui ultima

pubblicazione sul tema è datata giugno 2013 e per cui vale la

stessa considerazione circa l’opportunismo, tutto italiano, nel

rispettarne o meno i suggerimenti a seconda degli argomenti.

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2. Processi troppo lunghi

Secondo il rapporto “Judicial Performance and its Determinants: A

Cross-country Perspective”, pubblicato a giugno 2013 dall’Ocse,

l’Italia è il paese in cui i processi sono più lunghi. La durata media

dei 3 gradi di giudizio civile nei paesi dell’area Ocse è di 788

giorni: da 395 giorni in Svizzera a ben 8 anni (2.920 giorni) in

Italia. Quanto alla durata media del solo primo grado del

processo civile, il Rapporto 2012 del Cepej non lascia spazio a

dubbi: l’Italia ha il primato con 492 giorni contro i 289 della

Spagna, i 279 della Francia e i 184 della Germania. E tempi

così dilatati comportano spese elevate per lo Stato. Secondo

Confindustria: “l’abbattimento del 10% dei tempi della giustizia

civile potrebbe determinare un incremento dello 0,8% del Pil”.

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3. Un costo esagerato

Quanto al costo dei processi, calcolato dall’Ocse al netto delle

spese legali sostenute dai cittadini e in percentuale del valore

della causa (ipotizzata pari al 200% del reddito pro-capite),

l’Italia si colloca al terzo posto, la Francia all’undicesimo, la

Germania oltre il sedicesimo. Ne deriva che, combinando le 2

variabili, lunghezza e costo del processo, l’Italia è, insieme alla

Repubblica slovacca e al Giappone, la peggiore in termini di

efficienza del sistema giudiziario.

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4. Un budget troppo alto

Al contrario di quanto dichiarato da taluni magistrati che

addebitano ritardi e inefficienze al basso budget statale per la

giustizia, dal Rapporto 2012 del Cepej emerge che la macchina

della giustizia costa agli italiani, per tribunali, avvocati d’ufficio e

pubblici ministeri, 73 euro a persona all’anno, contro una media

europea di 57,4 euro. In Italia, infatti, ci sono 2,3 tribunali ogni

100.000 abitanti (in Francia solo 1) e ogni magistrato italiano

dispone di 3,7 addetti non togati (cancellieri e dattilografi),

contro i 2,7 della Germania. Non male!

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5. Salari e stipendi

Come in tutti i bilanci societari, anche per lo Stato, tra i costi, alla

macro-classe “magistratura” troviamo una voce “salari e

stipendi”. Commentando i dati del Rapporto 2012 del Cepej,

Stefano Livadiotti ci fa notare che i giudici italiani guadagnano

più di tutti i loro colleghi europei. E all’apice della carriera, cui,

come vedremo, giungono rapidamente, percepiscono uno

stipendio pari a 7,3 volte quello medio dei lavoratori dipendenti

italiani (in Germania, invece, lo stipendio dei magistrati è pari a

1,7 volte quello di un lavoratore dipendente). Privilegiati? No,

per carità!

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6. Una scarsa “accountability”

Secondo la professoressa Daniela Piana, che ha curato un intero

capitolo dedicato alla magistratura nell’ambito di un saggio

pubblicato a maggio 2013 dalla casa editrice Il Mulino: “La

democrazia in Italia”, i primati negativi dell’Italia sul

funzionamento della giustizia non sono dovuti al sistema politico,

bensì “all’atteggiamento dei giudici, caratterizzato da un mix di

impunità, mediazione estrema e politicizzazione senza simili nel

mondo occidentale”.

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Essendo le risorse allocate nel settore in linea con gli altri Stati

europei, ne consegue un problema di efficienza: “il sistema di

governo della magistratura non alloca incentivi e sanzioni, vincoli

ed opportunità”. Ne deriva che una scarsa “accountability” del

personale rispetto al proprio operato genera comportamenti

opportunistici: “la magistratura italiana soffre di uno

sbilanciamento eccessivo in favore dell’indipendenza, senza che ad

essa corrispondano meccanismi di controllo organizzativo interno”.

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7. Meritocrazia zero

I dati ce li fornisce ancora una volta lo studio sull’Italia del Cepej:

l’attuale normativa prevede che, dopo 27 anni di servizio, tutti i

magistrati raggiungano, indipendentemente dagli incarichi svolti

e dai ruoli ricoperti, la massima qualifica di carriera possibile.

Tanto che nel 2009 il 24,5% dei magistrati ordinari in servizio

era, appunto, all’apice dell’inquadramento. Con relativo

stipendio e costo per lo Stato. Commenta Stefano Livadiotti, in

una recente intervista rilasciata ad Affari italiani: “È come se un

quarto dei giornalisti italiani fosse direttore del Corriere della Sera

o di Repubblica”. Come dargli torto…

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Le dieci piaghe della giustizia che l’Italia ora deve

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8. Avanzamenti di carriera senza se e senza ma

Ancora qualche numero: ai fini degli avanzamenti di carriera,

l’organo competente è il Consiglio Superiore della Magistratura.

Ebbene, tra il 1° luglio 2008 e il 31 luglio 2012, su circa 9.000

magistrati ordinari in servizio, sono state effettuate solo 2.409

valutazioni, di cui negative…3!

Quanto alla responsabilità civile, alias il rischio di sanzioni

disciplinari per i magistrati che commettono errori nei processi,

per gli esposti presentati contro i magistrati è previsto un filtro

preventivo della Procura generale presso la Corte di Cassazione,

che stabilisce se c’è il presupposto per avviare un procedimento

presso il Csm.

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Le dieci piaghe della giustizia che l’Italia ora deve

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Tra il 2009 e il 2011, sempre sui circa 9.000 magistrati ordinari

in servizio, alla Procura generale sono pervenute 5.921 notizie di

illecito, di cui 5.498 (il 92,9%) sono state archiviate. Ciò vuol dire

che solo il 7,1% delle denunce è arrivato davanti alla sezione

disciplinare del Csm. Che strano…

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9. E la responsabilità civile?

Quanto alla responsabilità civile dei magistrati, in teoria, ci

sarebbe la Legge n. 117/1988, voluta dall’allora ministro della

giustizia, Giuliano Vassalli, che stabilisce un limite di 2 anni per

l’esercizio dell’azione; prevede un filtro di ammissibilità per i

ricorsi e attribuisce allo Stato la possibilità di rivalersi, per i danni

liquidati a risarcimento di un errore giudiziario, sullo stipendio del

magistrato colpevole (con il tetto massimo di 1/3).

Stefano Livadiotti, autore del libro “Magistrati l’ultracasta”, ci fa

notare come, in ossequio a tale Legge, dal 1988 al 2011 in Italia

siano stati presentati solo 400 ricorsi (in 23 anni!!!) per

risarcimento danni da responsabilità dei giudici.

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Di questi, il 63% sono stati dichiarati inammissibili; il 12% sono in

attesa di pronuncia sull’ammissibilità; il 16,5% sono in fase di

impugnazione di decisione di inammissibilità e solo l’8,5% sono

state dichiarate ammissibili. Di questo 8,5%, vale a dire di 34

ricorsi, 16 sono ancora pendenti e 18 sono stati giudicati: lo Stato

ha perso solo 4 volte, pari all’l,1% dei già pochissimi ricorsi

presentati.

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10. Da zero a uno: meno di 0,5

Dulcis in fundo. Il World Justice Project è un’organizzazione non

profit, indipendente, che ogni anno, al pari della Commissione

europea, stila un indice, denominato “Rule of Law Index”, di

valutazione dell’aderenza del sistema giudiziario degli Stati alle

regole del diritto. In particolare, le valutazioni sono svolte sulla

base di 4 parametri: l’affidabilità, la credibilità e l’integrità

morale dei giudici; la chiarezza e la capacità delle Leggi di

garantire i diritti fondamentali, tra cui la sicurezza di persone e

cose; il grado di accessibilità, efficienza ed equità del processo;

la competenza e l’indipendenza dei magistrati e l’adeguatezza

delle risorse messe a loro disposizione.

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I punteggi per gli Stati sono compresi in un range che va da zero

a uno. Per nessuno dei 4 indicatori l’Italia supera lo 0,5, eccezion

fatta per l’adeguatezza delle risorse… Da tutto quello che

abbiamo visto in questa analisi, non poteva essere altrimenti.

I numeri parlano chiaro. Resta poco da dire. E da fare: in

parallelo con la riforma della giustizia sollecitata dal Presidente

della Repubblica, raccogliere almeno 1 milione di firme entro

settembre 2013 per i 6 referendum radicali per una “giustizia

giusta”.

I primi 2 riguardano la responsabilità civile dei magistrati e

intendono rendere più agevole per il cittadino l’esercizio

dell’azione civile risarcitoria nei confronti dei giudici, anche per i

danni da questi cagionati nell’attività di interpretazione delle

norme di diritto o nella valutazione dei fatti e delle prove.

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Le dieci piaghe della giustizia che l’Italia ora deve

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Il terzo quesito vuole porre un freno al fenomeno dei cosiddetti

“fuori ruolo”, ossia a quei magistrati collocati presso gli uffici

legislativi dei gabinetti ministeriali, al fine di garantire la

separazione dei poteri, eliminando la commistione tra

magistratura e alta amministrazione.

Il quarto quesito si pone l’obiettivo di limitare il carcere prima che

l’imputato abbia ricevuto una sentenza definitiva. Il quinto quesito

intende abolire l’ergastolo, in quanto incompatibile con il

principio costituzionale secondo cui la pena deve tendere alla

rieducazione del condannato e non a una punizione fine a se

stessa. Il sesto quesito, infine, punta alla separazione delle

carriere tra giudici dell’accusa e giudici della difesa.

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Le dieci piaghe della giustizia che l’Italia ora deve

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Il modello processuale del “giusto processo”, previsto dall’articolo

111 della Costituzione e proprio di ogni democrazia liberale,

infatti, non può realizzarsi senza un giudice “terzo”, ossia

realmente equidistante tra il Pubblico Ministero e il difensore.

Se la qualità, l’indipendenza e l’efficienza della giustizia giocano

un ruolo fondamentale nel riportare fiducia negli Stati e ritornare

a crescere, come ci ha detto il commissario Reding,

rimbocchiamoci le maniche: lavoriamo per migliorarla. Con la

raccolta delle firme, ma anche, in parallelo, dando veste

normativa alle proposte di riforma della giustizia avanzate dalla

commissione dei saggi voluta, prima della formazione del

governo Letta, dal Presidente Napolitano. Dipende solo da noi.

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