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216 dialoghi Locarno – Anno 43 – Aprile 2011 di riflessione cristiana BIMESTRALE Il mondo ha fame. Il problema degli ogm Il problema degli ogm (gli organismi geneticamente modificati) divide la pubblica opinione, specialmente in Europa e in Svizzera, dove si è, giustamente, molto sensibili alla tutela dell’ambiente naturale. Gli ogm vengono però già incontro a molte necessità, per esempio in medicina. Nel mondo sono coltivati su vasta scala, da noi sono ostracizzati. Po- trebbero aiutare a risolvere il problema della fame nel mondo, dove l’agri- coltura va incontro a un nuovo ciclo di crisi? Dossier di «Dialoghi» – da pag. 3 a pag. 7 – con contributi di Daria Le- pori, Marco Martucci, e un’intervista a Pietro Veglio. Le tristezze e le angosce di oggi Il ritmo bimestrale di «Dialogh», i tempi di redazione e le nostre limita- te competenze e possibilità non ci per- mettono di partecipare adeguatamen- te (come vorrebbe il Concilio e, pri- ma ancora, il Vangelo), a «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi». Rimediamo con un corsivo, per esprimere la nostra partecipata sofferenza al popolo giap- ponese, colpito prima da un distrutti- vo terremoto e da un micidiale tsuna- mi, e poi dalla distruzione di alcune centrali atomiche, con migliaia di morti, decine di migliaia di sinistrati e rifugiati, inquinamento del territo- rio e del mare, con conseguente av- velenamento di terra e acqua e cibo presumibilmente per decenni. Una se- rie di catastrofi di fronte alle quali, scontata l’immediata partecipazione ai soccorsi di emergenza e auspican- do un adeguato aiuto materiale alle possibili ricostruzioni, gli europei e gli svizzeri sembrano solo preoccupati di tutelare la loro salute, diffidando di centrali atomiche presenti e future ma non altrettanto disposti a limitare lo sperpero di energia elettrica. E di- ciamo la partecipazione anche «alle speranze e alle angosce» dei nostri fratelli del Nord Africa, dei quali ab- biamo ammirato la rivolta special- mente giovanile contro i dittatori, il sacrificio per valori come libertà e giustizia che sappiamo profondamen- te cristiani (nonché islamici, certo!). E comprendiamo le richieste di aiuto che rivolgono al mondo cristiano ed europeo. Il Governo italiano, largo di promesse alla gerarchia cattolica sui «valori non negoziabili», dopo aver paventato emigrazioni bibliche, chie- de la solidarietà dell’Europa per soc- correre e sistemare poco più di venti- mila persone. E la Svizzera? Potreb- be dimostrare all’Italia del «miglior nemico» Tremonti che non è solo pre- occupata di appalti e di agevolazioni fiscali. Ma non ci ricordiamo più de- gli ungheresi e dei vietnamiti, che scappavano dai comunisti, e persino (Continua a pag. 2)

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Dialoghi n.ro 216

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216 dialoghiLocarno – Anno 43 – Aprile 2011 di riflessione cristiana BIMESTRALE

Il mondo ha fame. Il problema degli ogmIl problema degli ogm (gli organismi geneticamente modificati) dividela pubblica opinione, specialmente in Europa e in Svizzera, dove si è,giustamente, molto sensibili alla tutela dell’ambiente naturale. Gli ogmvengono però già incontro a molte necessità, per esempio in medicina.Nel mondo sono coltivati su vasta scala, da noi sono ostracizzati. Po-trebbero aiutare a risolvere il problema della fame nelmondo, dove l’agri-coltura va incontro a un nuovo ciclo di crisi?

Dossier di «Dialoghi» – da pag. 3 a pag. 7 – con contributi di Daria Le-pori, Marco Martucci, e un’intervista a Pietro Veglio.

Le tristezzee le angosce di oggiIl ritmo bimestrale di «Dialogh», itempi di redazione e le nostre limita-te competenze e possibilità non ci per-mettono di partecipare adeguatamen-te (come vorrebbe il Concilio e, pri-ma ancora, il Vangelo), a «le gioie ele speranze, le tristezze e le angoscedegli uomini di oggi». Rimediamo conun corsivo, per esprimere la nostrapartecipata sofferenza al popolo giap-ponese, colpito prima da un distrutti-vo terremoto e da un micidiale tsuna-mi, e poi dalla distruzione di alcunecentrali atomiche, con migliaia dimorti, decine di migliaia di sinistratie rifugiati, inquinamento del territo-rio e del mare, con conseguente av-velenamento di terra e acqua e cibopresumibilmente per decenni. Una se-rie di catastrofi di fronte alle quali,scontata l’immediata partecipazioneai soccorsi di emergenza e auspican-do un adeguato aiuto materiale allepossibili ricostruzioni, gli europei egli svizzeri sembrano solo preoccupatidi tutelare la loro salute, diffidandodi centrali atomiche presenti e futurema non altrettanto disposti a limitarelo sperpero di energia elettrica. E di-ciamo la partecipazione anche «allesperanze e alle angosce» dei nostrifratelli del Nord Africa, dei quali ab-biamo ammirato la rivolta special-mente giovanile contro i dittatori, ilsacrificio per valori come libertà egiustizia che sappiamo profondamen-te cristiani (nonché islamici, certo!).E comprendiamo le richieste di aiutoche rivolgono al mondo cristiano edeuropeo. Il Governo italiano, largo dipromesse alla gerarchia cattolica sui«valori non negoziabili», dopo averpaventato emigrazioni bibliche, chie-de la solidarietà dell’Europa per soc-correre e sistemare poco più di venti-mila persone. E la Svizzera? Potreb-be dimostrare all’Italia del «migliornemico» Tremonti che non è solo pre-occupata di appalti e di agevolazionifiscali. Ma non ci ricordiamo più de-gli ungheresi e dei vietnamiti, chescappavano dai comunisti, e persino

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.Segni religiosiin pubblicoLa «Rivista della Diocesi di Lugano»(n. 12, anno CXIV, dicembre 2010)pubblica un comunicato relativo alla290a Assemblea ordinaria della Con-ferenza dei Vescovi svizzeri, svoltasia Visp, dal 29 novembre al 1. dicem-bre, e firmato dal portavoce WalterMüller (pagg. 495-497). Riferendo deilavori della Conferenza, il comunica-to così, tra l’altro, si esprime (pag.496):«Una forte ostilità si è manifestata re-centemente contro i segni religiosi nel-lo spazio pubblico. Una tendenza cheauspica di confinare la fede della gen-te dentro la sfera privata. È con sod-disfazione che la CVS ha preso notache la maggioranza della popolazio-ne è favorevole alla presenza pubbli-ca dei segni cristiani, come la croceed il crocifisso. Questa maggioranzariconosce che non si tratta di difen-dere antichi privilegi; per mezzo del-la scomparsa di questi segni si correil rischio di compromettere il fonda-mento cristiano della nostra società edel nostro modo di vivere insieme nel-la libertà.La libertà di fede e di coscienza è unbene prezioso che deve essere rispet-tato da ogni comunità religiosa e daogni Stato. Permette agli uomini di vi-vere, individualmente o nella comu-nità di loro scelta, in modo conformealla loro fede e coscienza – in priva-

to come in pubblico. Ne consegue ildiritto di testimoniare e di vivere pub-blicamente la propria fede attraversosegni visibili. La libertà di fede e dicoscienza è garantita unicamente sele dichiarazione ed i segni delle diffe-renti credenze sono tollerate in modoreciproco. Una proibizione della cro-ce nei luoghi pubblici non sarebbeun’espressione di tolleranza, bensì diintolleranza, in quanto impedirebbel’espressione pubblica della fede cri-stiana».Il comunicato presenta parecchie for-mulazioni perlomeno equivoche. Nel-la prima frase si parla di «segni reli-giosi», nella terza diventano «segnicristiani». Esemplificati «come la cro-ce ed il crocefisso»: dimentica che trai più recenti e clamorosi atti di ostili-tà vi è stata la decisione della mag-gioranza dei votanti svizzeri control’erezione di minareti: l’ostilità non èquindi solo per i segni religiosi cri-stiani e il divieto dei minareti (del re-sto a suo tempo avversato dai vesco-vi svizzeri) meritava di essere esplici-tamente menzionato.Tralasciando di esaminare se l’ostili-tà ai segni religiosi (quali?) vera-mente compromette «il fondamentocristiano della nostra società», e senon si possa trattare di «privilegi»(che il Concilio invita ad abbandona-re), nella seconda parte del comuni-cato si parla genericamente (e giu-stamente) del diritto «di testimoniaree di vivere pubblicamente la propriafede attraverso segni visibili» (valeper tutte le «differenti credenze»); in-fine si afferma che «una proibizionedella croce nei luoghi pubblici (…) im-pedirebbe l’espressione pubblica del-la fede cristiana». Qui l’espressione«luoghi pubblici» si presta a equivo-ci. Al Convegno di Bellinzona (4 feb-braio 2011) su «Libertà religiosa e so-cietà multiculturale», il prof. SilvioFerrari ha proposto la distinzione tra«spazio pubblico istituzionale» e«spazio pubblico informale» o «dellasocietà civile». Infatti ci sono edificistatali che rappresentano o ospitanoattività dello Stato dirette a tutti, sen-za esclusioni di qualsiasi tipo (che do-vrebbero quindi rispettare la laicità,cioè non indicare preferenza per nes-suna religione); ci sono altri «luoghipubblici» (dalle strade ai parchi, allacima delle montagne) dove dovrebbevalere la libertà di presenza di tutte lemanifestazioni della cosiddetta «so-cietà civile» (rispettate le norme ge-

nerali di una convivenza civile, comeper le costruzioni, per le insegne, i ru-mori ecc.). In una scuola o in un tri-bunale una persona qualsiasi può re-care un segno religioso (purché non«vistoso», come dice la legge france-se), non lo può esporre un insegnan-te o il giudice di un tribunale o il gior-nalista che appare in una televisionepubblica, mentre svolgono funzioniistituzionali che devono essere laicheanche nelle apparenze. In una scuolanon può essere obbligatorio un corsodedicato ad una sola religione, men-tre è possibile un corso di «culturadella/delle religioni», come viene pro-posto in parecchi Cantoni svizzeri, esperimentato attualmente in Ticino.Per la scuola elementare di Cadro,frequentata da allievi non cattolici, ilTribunale federale ha ritenuto lesivodella laicità dell’insegnamento la pre-senza del crocefisso nelle aule e ilGran Consiglio vallesano ha respin-to una proposta di esporre in ogniscuola un crocefisso. LaCorte di Stra-sburgo ritiene ora che la presenza diun crocefisso in una scuola statale ita-liana non viola il diritto alle educa-zione di un genitore non cattolico, per-ché si tratta di un elemento passivoche non ha effetti sull’insegnamentoimpartito, e agli Stati è riconosciutauna certa libertà nel regolamentare irapporti con le comunità religiose.Se i vescovi svizzeri ritengono di pro-nunciarsi sull’argomento dei «segnireligiosi», non possono limitarsi ad un«equivoco» comunicato stampa, lo de-vono fare «ecumenicamente» nel-l’ambito dei diversi consessi in cui sisvolge, in Svizzera, il dialogo tra le re-ligioni. Esaminando singolarmente lediverse situazioni che si possono pre-sentare (come ha fatto già qualche an-no fa il Partito popolare democraticosvizzero, e di recente il Dipartimentodell’educazione del Canton Fribur-go), senza lanciare appelli genericiche non fanno che confermare i pre-giudizi, tanto quelli cattolici quantoquelli laicisti. a.l.

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ii ccoorrssiivvii ddii ddiiaalloogghhii(Continuazione da pag. 1)

dei cileni,«obtorto collo» ospitati gra-zie alla disponibilità del volontaria-to, anche cristiano (Caritas, il pasto-re Rivoir e parrocchie in prima fila).E oggi? Solo la richiesta, prontamen-te accolta dall’autorità federale, di in-viare a Chiasso un rinforzo di 15guardie doganali, per mantenere il«muro di carta», in attesa di quello dicemento proposto dalla Lega. Ai giap-ponesi non possiamo imputare la cre-scita politica dei «partiti verdi», per-ché le polveri radioattive non cono-scono frontiere. E ai tunisini? Benchénon siano affatto arrivati in massa,certo a titolo preventivo, un terzo de-gli elettori ticinesi ha scelto di man-dare al Governo due rappresentantidi un partito xenofobo. Le tristezzenon si sono fermate alla frontiera sud.

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Gli ogm non piacciono. Non convin-cono; anzi, fanno paura. Il rifiuto daparte del consumatore è deciso e ilcommercio si adegua, mettendo invendita prodotti dichiaratamente sen-za ogm. Questo atteggiamento si ri-scontra soprattutto in Europa e parti-colarmente in Svizzera, dove abbiamouna delle legislazioni più restrittive neiconfronti degli ogm. Nel resto delmondo, la diffidenza verso gli OGMnon è distribuita in modo uniforme.Negli Stati Uniti, molti ogm vengonoconsumati abitualmente e la coltiva-zione di alimenti ogm è pratica con-sueta. Ma cosa sono questi ogm? Co-me si producono, chi li produce, daquando? Da dove nasce questa resi-stenza nei confronti degli ogm? È giu-stificata? Sono pericolosi per la nostrasalute? Per l’ambiente? La questioneè parecchio complessa.

Gli ogm sono gli Organismi Geneti-camente Modificati. Sarebbe più cor-retto, secondo me, usare il termine te-desco Gentechnisch Veränderte Or-ganismen, GVO, cioè «organismi mo-dificati attraverso tecniche genetiche»,intendendo la cosiddetta «ingegneriagenetica». Infatti, organismi modifi-cati geneticamente possono essereconsiderati anche, in senso lato, tuttigli animali e tutte le piante che hannodei geni diversi da quelli dei loro si-mili. Tutto, allora, sarebbe «genetica-mente modificato», perfino noi stessi.In modo significativo, sarebbero ge-neticamente modificati gli animali do-mestici e le piante coltivate. Infatti,tutte le varietà, le cosiddette «razze»di animali e di piante d’allevamento edi coltivazione, dai cani ai pomodori,sono state ottenute durante secoli e se-coli di selezioni e incroci eseguiti dap-prima in modo empirico, in seguitocon criteri più scientifici e mirati, apartire dalle specie «selvatiche».

La selezione naturaleGli scaffali del reparto frutta e verdu-ra d’un supermercato sarebbero squal-lidamente vuoti se volessimo riempir-li di prodotti selvatici. Senza l’inter-vento dell’uomo, iniziato più o menodieci millenni or sono, agli albori del-l’agricoltura, tutta la frutta, tutta la ver-dura e tutta la carne (a parte la sel-vaggina, gran parte dei pesci, i funghi

e qualche bacca selvatica) non esiste-rebbero. L’uomo coltivatore ha ese-guito dunque una selezione genetica.Non ha modificato i geni, questo no.

Ha preso ciò che la «Natura», con leinnumerevoli mutazioni genetiche ca-suali che sempre si presentano, offri-va e ancor oggi offre. Ed ecco le mi-gliaia di varietà di rose, di tulipani, dipomodori, di mele, di uva. Più tardi,l’uomo imparò, attraverso radiazionio particolari sostanze mutagene, adaumentare la frequenza delle muta-zioni, ottenendo fragole con numerodi cromosomi doppio, quadruplo, chedavano frutti più grandi. Ma ancoranon erano ogm in senso stretto. Per-ché i «veri» ogm non si ottengono damutazioni naturali o indotte, ma «la-vorando» direttamente sul materialegenetico, sul patrimonio ereditario diuna creatura. È questa la grande novi-tà. Mentre le consuete tecniche dibreeding lavorano sull’animale o sul-la pianta «intera», la tecnica genetica,l’ingegneria genetica, lavora sulle cel-lule, sui cromosomi, che sono costi-tuiti dall’Acido desossiribonucleico,il DNA, il «programma» che contie-ne tutte le istruzioni necessarie per losviluppo di qualsiasi organismo. Equesta è storia molto recente, che valla pena seguire, almeno per sommi ca-pi, al fine di comprendere come si siagiunti agli attuali ogm e alle tecnicheper produrli.

Nasce l’ingegneria geneticaLa genetica nasce come scienza attra-verso i fondamentali lavori di GregorMendel, pubblicati nel 1866. Nel1869, il chimico svizzero Miescherscopre, nei nuclei delle cellule, la nu-cleina, il moderno DNA. Nel 1944,Avery dimostra che i geni sono for-mati da DNA e che il DNA è la so-stanza che contiene tutta l’informa-zione ereditaria. Nel 1953 Watson e

Crick chiariscono la struttura tridi-mensionale della molecola di DNA, la«doppia elica». Frederick Sanger,sempre nel 1953, determina per la pri-ma volta la struttura molecolare di unaproteina, l’insulina: nasce la biologiamolecolare. E ancora Sanger, doppioPremio Nobel (quanti Nobel girano in-torno alla biologia molecolare e allagenetica!) compie l’opera di sequen-ziamento delle quattro basi del DNA,che sfocerà nel ciclopico Progetto Ge-noma, concluso nel 2000. Nel 1956,Ochoa sintetizza l’RNA, l’acido ribo-nucleico, che, all’interno della cellu-la, trasporta l’informazione del DNAdal nucleo ai ribosomi per la sintesidelle proteine. Kornberg, nello stessoanno, sintetizza il DNA e scopre laDNA-polimerasi, l’enzima che cata-lizza la duplicazione del DNA. Ni-renberg, nel 1961, svela il codice ge-netico, il «linguaggio» nel quale sono«scritte», nel DNA, tutte le istruzioniper la sintesi delle proteine e dunquedi ogni essere vivente. Nel 1970, losvizzero Werner Arber scopre gli en-zimi di restrizione, che riescono ascindere il DNA in determinati punti:sono le «forbici» per «tagliare» ilDNA.

Nel 1971, Paul Berg ottiene il primoDNA-ricombinante, saldando il DNAdi due specie diverse, un virus e unbatterio. È la prima molecola di DNAricombinante, cioè DNA ottenutoprendendo un pezzo da un organismoe un pezzo da un altro. L’unione deidue pezzi viene attuata usando gli en-zimi di restrizione scoperti da Arber(le «forbici») e un altro enzima, ilDNA-ligasi (la «colla»). Renato Dul-becco commenta: «È nata la bio-inge-gneria». Nel 1973 Stanley Cohen eHerbert Boyer realizzano il primo bat-terio con patrimonio genetico ricom-binante, un comune Escherichia coli,in cui viene introdotto un gene in gra-do di conferire resistenza a un anti-biotico. Con il DNA ricombinante,con la nuova tecnica, l’ingegneria ge-netica, si è raggiunto qualcosa che, innatura, non succede mai: si è supera-ta la barriera interspecifica. In natura,specie diverse non s’incrociano. Ora,attraverso il DNA ricombinante, sipossono «mescolare» caratteristichedi specie, perfino di regni diversi: in-serire un gene umano in un batterio,

Chi ha paura degli ogm? Non piacciono,sono tabù. Ma perché sono anche utili?

diMarco Martucci*

* Laureato in chimica, docente nelle scuolemedie cantonali. Divulgatore scientifico, daanni collabora con la RSI. Ha pubblicato, fragli altri, due volumi: «Curioso!» 1 e 2 pressole Edizioni Salvioni di Bellinzona.

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un gene di un animale nel DNA di unapianta e così via. Lo scopo non è, evi-dentemente, produrre «mostri» o cu-riosità da baraccone, ma ottenere or-ganismi che, con le nuove caratteri-stiche, siano in grado di risolvere pro-blemi, come la cura di malattie, laresistenza di piante alla siccità, ai pa-rassiti. Ma la nuova tecnica non èesente da rischi. Nel 1975, per la pri-ma volta ricercatori di tutto il mondosi riuniscono alla conferenza di Asi-lomar, in California, per discutere deirischi dell’ingegneria genetica. Ven-gono fissate le prime direttive per lasicurezza dei laboratori.

Il caso dell’insulinaNel 1982 viene omologato negli Sta-ti Uniti il primo farmaco prodotto conl’ingegneria genetica, l’insulina uma-na per il trattamento del diabete mel-lito. Prima d’allora, l’insulina, estrat-ta da cadaveri o da animali, non erasopportata da tutti i pazienti. L’insu-lina «transgenica», identica a quellaumana, non presenta questi problemi.La produzione di insulina è un otti-mo esempio per illustrare la proce-dura del DNA ricombinante. Dal nu-cleo di cellule umane si preleva, me-diante gli enzimi di restrizione (le for-bici), il gene che codifica la sintesid’insulina da parte del pancreas. Ilgene, segmento di cromosoma fattodi DNA, viene inserito in un plasmi-de (una sorta di «anello» di DNA) diun batterio e fissato con l’enzimaDNA-ligasi (la colla). I batteri cosìmodificati sono separati dagli altri emessi in coltura dove, in poco tem-po, diventeranno miliardi e produr-ranno insulina umana.

Da allora, molti farmaci sono prodot-ti con l’ingegneria genetica. Nel 2000,in Svizzera, erano già stati omologa-ti 46 farmaci con diverse applicazio-ni, dall’anemia alla leucemia, dallasclerosi multipla all’epatite. Farmacie altri prodotti ottenuti mediante l’in-gegneria genetica vengono general-mente accettati dal pubblico, perchése ne vede chiaramente l’utilità. Nonsi può dire la stessa cosa per le appli-cazioni delle nuove tecniche geneti-che nell’agricoltura e, di conseguen-za, per l’impatto che queste potreb-bero avere sulle derrate alimentari. InSvizzera è sempre in vigore la mora-toria sulla coltivazione in campo aper-to di piante geneticamente modifica-te, come deciso dal popolo nel 2005.A eccezione di limitati esperimenti,che necessitano comunque di per-

messi speciali, la coltivazione in cam-po aperto di piante ogm è proibita.Ogni alimento ogm deve inoltre esse-re esplicitamente dichiarato. La pri-ma pianta ogm fu un pomodoro, rea-lizzato negli Stati Uniti nel 1994 emesso sul mercato con il nome «FlavrSavr». Era un pomodoro che si pote-va raccogliere maturo e che non ram-molliva. Oggi, di ogni importantepianta coltivata, esiste almeno una va-rietà geneticamente modificata. La ri-cerca ha prodotto piante resistenti aparassiti, malattie ed erbicidi, conl’obiettivo di ridurre l’impiego di fi-tofarmaci, pesticidi, fungicidi, inset-ticidi. Milioni di ettari sono coltivaticon piante ogm, dal mais alla soia, dalcotone alla colza.

Rischi temuti per l’agricolturaA detta dei produttori e dei favorevo-li, le piante ogm dovrebbero poter ri-solvere le emergenze planetarie, dal-la malnutrizione alla desertificazione,dai mutamenti climatici all’inquina-mento e produrre alimenti più nu-trienti, sani, gustosi, fatti su misura peril nostro benessere. Gli scettici e i con-trari vedono nelle piante ogm un peri-colo ambientale non indifferente, co-me la formazione di parassiti più re-sistenti, l’incrocio di varietà ogm conquelle già coltivate e altre gravi con-seguenze ancora non prevedibili do-vute all’immissione in natura di pian-te ogm. Il consumatore, inoltre, temeche gli alimenti prodotti con piante oanimali geneticamente modificati co-

stituiscano un rischio per la salute. So-no timori e dubbi di cui occorre tenerconto e la ricerca dovrà verificare laloro fondatezza. L’«agribusiness» ècomunque un grosso affare. Gli orga-nismi ogm si possono brevettare e illoro utilizzo si presta ad essere mo-nopolizzato nelle mani di pochi pro-duttori. Gli agricoltori non avrebberoscelta, tanto più che i semi di pianteogm sono trattati in modo da non po-ter germinare.

L’«agribusiness» è dominato da gran-di produttori, come la svizzera Syn-genta, che opera in 90 Paesi con oltre24.000 dipendenti e ha venduto nel so-lo 2008, fra semi e pesticidi, per oltre11 miliardi di dollari. Leader mon-diale del settore è l’americana Mon-santo Company, massima produttricemondiale dell’erbicida glifosfato, ven-duto come «Roundup» e in testa nel-la ricerca e produzione di sementiogm. In attesa di chiarire i pro e i con-tro degli ogm nell’agricoltura e nel-l'alimentazione, la Svizzera, cauta-mente, ha optato per una politica im-prontata alla prudenza. Dal 1992, laprotezione dell’essere umano e del-l’ambiente dagli abusi dell’ingegneriagenetica è ancorata nella Costituzio-ne federale, che impone anche di te-ner conto, in questo ambito, della di-gnità della creatura, della sicurezzadell’essere umano, dell’ambiente edella biodiversità.Per maggiori informazioni: www.gensuisse.chÈ un sito «partisan» ma è ben fatto, tutto som-mato onesto (m.m.)

La diffusione degli ogm nel mondoLa superficie delle terre occupate da colture geneticamente modificate (ogm)ha raggiunto nel 2010 i 148 milioni di ettari, con un aumento del 10 percento rispetto al 2009. Queste cifre sono pubblicate dall’International Ser-vice for the Acquisition of Agri-biotech Applications (ISAAA), un’organiz-zazione in favore degli ogm e unica fonte dei dati disponibili sull’esten-sione di questo tipo di colture.Gli Stati Uniti capeggiano la graduatoria con 66 milioni di ettari. Dei 29Paesi coltivatori, 19 appartengono al Terzo Mondo. Il 48% delle sementiogm è stata piantata in questi Paesi nel corso del 2010 – spiega il direttoredi questo istituto.Entro il 2015, i prodotti ogm coltivati nel Terzo Mondo dovrebbero supe-rare la produzione censita nei Paesi più sviluppati, soprattutto in Americalatina e in Asia. Mais, soia, cotone e colza sono le colture preferite, gli ogmsono usati per la lotta agli erbicidi e ai parassiti. Le colture ogm sono in-vece in diminuzione in Europa.Questo punto, negletto dal rapporto dell’ISAA, è messo in rilievo dall’as-sociazione Les Amis de la Terre, che riferisce di un calo del 23% tra il 2008e il 2009 (dati di fonte governativa). In Spagna, dove gli ogm sono moltodiffusi, il calo è stato del 15%, gli ettari coltivati sono ora 67.000. («Le Mon-de» del 24 febbraio 2011).

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Gli organismi geneticamente modifi-cati (ogm) sono soltanto quegli orga-nismi viventi – vegetali o animali – ilcui patrimonio genetico (genoma) èstato volutamente sottoposto a unamodifica grazie a tecniche d’ingegne-ria genetica. Non sono consideratiogm gli organismi il cui genoma è mu-tato in seguito ai processi spontaneiche sono alla base della diversità del-la vita sulla terra. Le tecniche di mi-glioramento genetico sono vecchiequasi come la civiltà umana e risal-gono a oltre diecimila anni fa: sonoiniziate con l’addomesticare animali,come il cane, o vegetali, come la se-gale. Si trattava di modifiche addirit-tura inconsapevoli, effettuate selezio-nando gli esemplari più «utili» alloscopo: un tipo di cane bravo per la cac-cia o per fare la guardia, un cereale piùredditizio o meno attaccato dai paras-siti. I metodi utilizzati tradizional-mente per modificare il patrimonio ge-netico degli esseri viventi sono essen-zialmente due: la mutagenesi e l’in-crocio. La prima si basa sul fatto chein ogni essere vivente avvengono er-rori di replicazione del genoma du-rante i processi di divisione cellulare,dando origine a nuove caratteristiche.Queste mutazioni sono sottoposte aselezione dall’ambiente o dall’essereumano e, se sono vantaggiose, ven-gono mantenute e riescono a ripro-dursi. Il metodo dell’incrocio non ri-chiede grosse spiegazioni. Grazie adesso si uniscono le caratteristiche didue individui diversi, anche non ap-partenenti alla medesima specie, gra-zie al rimescolamento dei genomi eutilizzando la riproduzione sessuale.A differenza delle due tecniche di mi-glioramento genetico, l’ingegneria ge-netica è una modifica dei geni pro-gettata, realizzata e catalogata. La ma-nipolazione avviene in laboratorio, in-tervenendo direttamente sulle cellulee non in maniera naturale.

Il primo ogm fu ottenuto nel 1973 dadue scienziati negli USA che riusci-rono a clonare un gene di rana all’in-terno di un batterio dimostrando cheera possibile trasferire parti del geno-ma da un organismo a un altro, supe-rando le barriere tra le specie. La sor-presa fu tale da indurre la comunitàscientifica a decretare una moratoriainternazionale sull’uso di questa tec-

nica fino al 1974, anno in cui si defi-nirono severe linee guida sull’uso del-la tecnica del DNA ricombinato, lineeche continuamente aggiornate sonotuttora in vigore. Una delle prime ap-plicazioni farmacologiche (1978) equindi industriali (1981) dell’inge-gneria genetica è stata l’insulina, pro-dotta a partire da un batterio. Nel 2000il Protocollo di Cartagena è stato vo-luto come strumento internazionale diregolamentazione e di protezione del-la biodiversità dai possibili rischi del-la diffusione degli ogm. Nel 2003 aTaiwan sono stati messi in vendita iprimi animali domestici ogm: pescid’acquario resi fluorescenti grazie al-l’introduzione nel loro genoma di ma-teriale genetico delle meduse, la cuiimportazione in Europa è vietata. Ilfatto che le imprese brevettino gli ogmda loro sviluppati per avere il tempodi recuperare le risorse investite nellaloro progettazione ha dato l’avvio a undibattito sulla proprietà intellettualedelle risorse genetiche degli organismiviventi sulla terra e sui limiti etici diqueste tecniche.

La legge e la sperimentazioneL’entrata in vigore della legge federa-le in materia – con l’obiettivo genera-le di proteggere l’ambiente e gli esse-ri umani dagli abusi in materia di mo-dificazione genetica – risale al 1. gen-naio 2004. La legge riprendeva gliobiettivi della regolamentazione in at-to, contenuta nella Legge sulla prote-zione dell’ambiente e nella Costitu-zione federale, ma fissava esigenze piùprecise e rafforzava la protezione.L’esito non fu ritenuto sufficiente dal-la società civile. Il 27 novembre 2005il popolo svizzero accolse a larga mag-gioranza l’iniziativa popolare lancia-ta da una trentina di organizzazioniambientaliste, dei consumatori e dicooperazione allo sviluppo intitolata«Per alimenti prodotti senza manipo-lazioni genetiche». Questa chiedevauna moratoria di cinque anni sull’im-piego in agricoltura e in silvicolturadi piante, animali e sementi genetica-mente modificate e autorizzava la col-tura di ogm in campi aperti a scoposcientifico a condizioni molto severe.

La votazione rivelò che alla popola-zione svizzera interessava consumare

alimenti prodotti da un’agricolturaesente da ogm per non esporsi a rischirisentititi ancora come vaghi. Nel2009 il Consiglio federale ha poi sot-toposto al Parlamento – che lo ha ac-colto – una proposta di modifica del-la legge intesa a prolungare la mora-toria di altri tre anni, fino al 27novembre 2013. Così facendo, il Con-siglio federale intende assicurarsi cheil Programma nazionale di Ricerca 59(PNR 59) sia portato a termine. Inti-tolato «Utilità e rischi della seminasperimentale di organismi vegetali ge-neticamente modificati», è stato lan-ciato nel dicembre 2005.

A Reckenholz (ZH), dal 2008 per treanni consecutivi, sono stati seminati acielo aperto alcuni campi di grano mo-dificato geneticamente. A Pully l’e -sperimento è iniziato con un anno diritardo a causa di un ricorso a caratte-re sospensivo. Entrambi i progetti so-no stati oggetto di severe critiche daparte di associazioni di contadini eambientaliste. Il rapporto finale è at-teso per l’estate 2012. Da qui al 2013,il tempo dovrebbe bastare anche pertrasporre i risultati delle ricerche nel-la Legge e per rispondere ai quesiti an-cora aperti. La deroga è stata consi-derata come ammissibile dal momen-to che in materia non vi è urgenza, néda parte del settore alimentare, né perl’agricoltura, né per consumatrici econsumatori. Si dovranno definire lecondizioni generali per regolamenta-re la produzione agricola con ogm perrispettare i bisogni degli agricoltori, lepreoccupazioni dei consumatori e laprotezione della biodiversità. Gliaspetti che la legge dovrà tutelare o re-golamentare sono: evitare che ogm simescolino a alimenti coltivati secon-do la filiera convenzionale o biologi-ca; garantire la libera scelta a chi ac-quista tramite la dichiarazione siste-matica; proteggere la flora dei bioto-pi particolarmente sensibili e degni diessere protetti contro eventuali incro-ci con ogm.

Gli aspetti controversiIn breve, ora, una sintesi degli argo-menti di controversia sollevati dalleassociazioni ambientaliste:

Allergenicità e tossicità – L’aggiunta

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La Svizzera finora ha detto «no»La legge, la sperimentazione, le obiezioni

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6 dossier No. 216

o l’eliminazione di uno o più geni (ilpomodoro che sopravvive mesi e me-si in frigorifero è privo del gene re-sponsabile della decomposizione) puòportare l’organismo a produrre pro-teine in grado di provocare reazioni al-lergiche o risultare tossiche in caso diassunzione.

Resistenza agli antibiotici – In alcuniogm viene introdotto un gene che con-ferisce resistenza agli antibiotici. Que-sti potrebbero passare all’essere uma-no e contribuire al diffondersi di ulte-riori forme di resistenza agli antibio-tici.

Biodiversità – Gli ogm hanno poten-zialmente la possibilità di sopraffarealtri organismi in quanto, si dice, nel-la naturale lotta di selezione partonocon «i motori truccati».

Inquinamento – Una grande famigliadi ogm è formata da vegetali «co-struiti» in modo tale da resistere a unpotente diserbante della ditta Mon-santo, il Roundup (si chiamano roun-dup-ready). A un certo punto della

crescita, le colture sono irrorate di di-serbante al quale solo gli ogm so-pravvivono. Le cosiddette erbacce,con il tempo e la selezione naturale,sviluppano un’accresciuta resistenzaal diserbante, in modo che il dosag-gio deve essere continuamente au-mentato. Il risultato è il deteriora-mento del suolo.

Indebitamento – Le sementi ogm so-no più care perché frutto di costose ri-cerche e perché promettono maggiorrendimento. Il loro utilizzo implical’acquisto di diserbanti e fertilizzanticombinati, dal momento che i prodot-ti (della stessa ditta) sono comple-mentari. In agricoltura non esiste pe-rò garanzia di raccolto: i parametriambientali (precipitazioni, temperatu-re) non sono governabili e sono sem-pre meno prevedibili.

Resistenza ai parassiti – Per renderespecie vegetali più refrattarie nei con-fronti di parassiti si introduce il genedi un batterio – il Bacillus Thurin-giensis – che produce una proteina tos-sica per alcuni insetti, ma non per gli

umani. Con il passare del tempo si os-serva che gli insetti, innescando unadinamica evolutiva selettiva, diventa-no resistenti alla tossina prodotta ren-dendo inefficace la tecnologia.

Dipendenza dalle multinazionali – Al-cuni ogm sono «disegnati» con un ge-ne (chiamato sarcasticamente Termi-nator) che impedisce al frutto gene-rato dal seme di dare frutto a sua vol-ta. Il che significa che gli agricoltoridevono acquistare le sementi anno do-po anno. In altri casi l’acquisto di ogmimplica (sulla base di veri e propricontratti) l’obbligo di riacquisto neglianni successivi.

Emergenze sanitarie e alimentari –Nel «Golden Rice» è stata introdottala vitamina A quale profilassi controla perdita della vista. Pensata per queiPaesi in cui l’alimentazione è insuffi-ciente dal lato qualitativo e quantita-tivo, non rappresenta però una solu-zione duratura, visto che il problemaa monte di malattie e malnutrizione èsemplicemente la povertà.

Daria Lepori

Il più frequente parallelo tra ogm e sa-nità viene tracciato a partire da unasituazione incresciosa: in intere re-gioni, addirittura in intere nazioni, sisoffre ancora la fame. Si pone perciòil quesito se la diffusione delle coltu-re geneticamente modificate non siaaddirittura moralmente indicata persconfiggere il flagello della sotto-ali-mentazione. Il problema è acuito, at-tualmente, da una crisi generale cheha fatto lievitare il prezzo delle mate-rie prime, compresi gli alimenti di ba-se. Non poteva mancare, perciò, neldossier di «Dialoghi», il parere di unosvizzero italiano professionalementeimpegnato fin dai suoi giovani annisul fronte dell’aiuto ai Paesi poveri.Affrontiamo il tema nella forma diun’intervista a Pietro Veglio, origina-rio di Bellinzona, dapprima respon-sabile della Divisione America Lati-na e Caraibi dell’Ufficio federale del-la Direzione dello Sviluppo e dellaCooperazione (DSC), in seguito di-rettore per le politiche di aiuto allo svi-luppo presso l’OCSE a Parigi, infinedirettore esecutivo per la Svizzerapresso la Banca Mondiale a Washin-

gton, dal 2007 insegnante alle uni-versità di Lugano e di San Gallo e piùdi recente presidente della FOSIT (lafederazione delle ong – organizzazio-ni non governative – della Svizzeraitaliana).

– È forse necessario cominciare dauna notizia: si parla di nuovo di crisialimentare e di prezzi alle stelle…– È così. I prezzi di parecchi generialimentari (frumento, mais, zucchero,oleaginosi e riso) si sono impennatiraggiungendo i livelli del 2007-2008.Allora provocarono rivolte popolari ecrisi politiche in parecchi Paesi pove-ri. Questa situazione è indicativa deiproblemi seri che affliggono la catenaalimentare planetaria. Vi saranno ri-percussioni sulla vulnerabilità dei Pae-si in sviluppo ad alto grado di dipen-denza dalle importazioni di alimenti econ risorse fiscali limitate per correg-gere gli impatti più negativi. La Ban-ca Mondiale stima che dal giugno2010 il numero di persone in situa-

zione di povertà estrema sia aumenta-to di 44 milioni.

– Le cause, quali sono?– Secondo l’«Economist», fattori si-stemici come l’aumento del consumoalimentare in Cina e in India, il cam-biamento della dieta alimentare neiPaesi emergenti (con l’espansione delconsumo di carne e verdura a scapitodei cereali), i sussidi alla coltivazionedi mais per produrre etanolo e la ca-duta del dollaro hanno contribuito al-la fine di un ciclo – iniziato qua-rant’anni fa – e caratterizzato dalla di-minuzione in termini reali dei prezzidi alimenti come il riso, il frumentoed il mais.

– Ricordo che a quell’epoca si teme-va di non poter sfamare la popolazio-ne mondiale in aumento. Poi si eradetto che il problema non era la scar-sità di cibo ma la cattiva distribuzio-ne dei prodotti. È cambiata ancora, laprospettiva?– Sì e no. Sempre per l’«Economist»,la sfida epocale rimane ardua ma nonimpossibile. Va considerato innanzi-

Gli ogm e la crisi alimentare mondialeLa politica è di fronte a scelte difficili

Intervista aPietro Veglio

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tutto il rallentamento della crescita deirendimenti agricoli. L’uso di fertiliz-zanti, pesticidi e di altri prodotti chi-mici ha raggiunto livelli di saturazio-ne in parecchie regioni del globo. Esi-ste poi la difficoltà di assicurare l’ac-cesso a nuove aree coltivabili, perragioni ambientali e per l’erosione deisuoli, in particolare in Africa. Si pro-spetta infine (ed è l’aspetto più preoc-cupante) una crescente penuria di ac-qua, a varie latitudini. L’agricolturaconsuma il 70% delle risorse idricheattualmente disponibili. La scarsità diacqua si accentuerà con gli effetti cu-mulati del cambiamento climatico edel cambiamento delle diete alimen-tari. Oggi, anche nei Paesi poveri, lagente ha cominciato a nutrirsi meglio– per esempio di carne – e gli alleva-menti hanno bisogno di molta acqua.

– E allora?– Bisogna rafforzare la ricerca agri-cola e fare ricorso alla biotecnologia,con la modificazione genetica dellepiante e semenze. Anche, ovviamen-te, riducendo le perdite post-raccoltoe gli sprechi tuttora enormi nella com-mercializzazione degli alimenti. Laqualità nutritiva dei prodotti agricolipuò essere migliorata. Ma son tutte co-se che si tradurrano in un aumento deiprezzi dei principali alimenti. La coo-perazione internazionale dovrebbe in-nanzitutto favorire la capacità di auto-sostentamento dei Paesi poveri, tra-mite investimenti mirati nell’agricol-tura, puntando all’autosufficienzadelle comunità locali. Inoltre, le riser-ve alimentari dovrebbero essere accu-mulate non solo come scorte a prote-zione delle aree soggette a cataclismi,ma pure utilizzate per sostenere pro-venti stabili per i piccoli produttori egarantire la disponibilità di alimentianche ai poveri. Infine, bisogna pro-teggere l’accessibilità della terra, so-prattutto nell’Africa sub-sahariana, inquanto l’occupazione sfrenata di ter-reno da parte di investitori oppure digoverni stranieri rappresenta in alcu-ni Paesi una minaccia al futuro dellasicurezza alimentare delle popolazio-ni locali.

–La politica agricola delle nazioni eu-ropee è oggetto di molte critiche…– Negli ultimi vent’anni, la produzio-ne agricola è aumentata soprattutto inBrasile, Russia, India e Cina. L’agri-coltura europea conosce invece un de-clino relativo. La produzione in moltiPaesi è stata frenata per sostenere ar-tificialmente i prezzi agricoli. La de-cisione dell’Unione Europea di vieta-

re la produzione di alimenti genetica-mente modificati potrebbe avere un ef-fetto negativo a lunga scadenza. Ma èun tema, questo, su cui da parte dellapolitica e delle opinion pubbliche sicontinua a ragionare emotivamente.

– Lo scorso marzo, il cancelliere del-la Pontificia Accademia delle Scien-ze, il vescovo Marcelo Sanchez So-rondo, ha difeso la trasformazionetransgenica in agricoltura perché con-tribuirebbe ad alleviare la fame nelmondo. Lo sviluppo delle sementitransgeniche è stato da lui definito «unfatto positivo» che può aumentare «lagiustizia tra i beni e le persone». Tuche ne pensi?– Esiste un certo consenso nella co-munità scientifica internazionale chemolti ogm non sono dannosi per la sa-lute. Dalla metà del secolo scorso so-no ormai 2500 le colture genetica-mente modificate in agricoltura: soia,mais, cotone e colza – capaci di tolle-rare diversi erbicidi o di produrre tos-sine che uccidono parassiti. Questecolture sono state adottate in parecchiPaesi, compresa – a certe condizioni– l’Europa. La sfida per i politici,quando devono decidere, implica lacapacità di comprendere i risultati del-la ricerca scientifica. In un mondo dicolture con pesticidi e maiali alla dios-sina, la sicurezza alimentare non èpurtroppo un dato acquisito, occorre

essere vigilanti. È vero che non biso-gna fidarsi ciecamente delle multina-zionali, ma non bisogna farlo coi pa-raocchi o per convenienze elettorali.In questo senso la posizione del ve-scovo Marcelo Sanchez Sarondo del-la Pontificia Accademia delle Scienzerappresenta un segno coraggioso diapertura alla scienza.

– Che importanza ha il monopolio deibrevetti sugli ogm? Voglio dire: quan-to pesa sulla scelta dei governi il pe-ricolo di finire condizionati da unamultinazionale come Monsanto? Ca-pisco che non sia molto responsabileaffidare il proprio futuro ai rimedi cheun potere sovranazionale troverà onon troverà ai danni collaterali che glioppositori denunciano e che tu stessoammetti: per esempio, le conseguen-ze sulla biodiversità o sull’autonomiadelle classi agricole.– Il monopolio dei brevetti sugli ogmrappresenta un rischio importante.D’altra parte si può ragionevolmenteritenere che i costi degli ogm dimi-nuiranno negli anni a venire. È ancheimmaginabile pensare che nel caso deiPaesi più poveri si possano trovare del-le soluzioni – come nel caso di certifarmaci – per garantire l’accesso ad al-cuni ogm a prezzi ragionevoli. Più pro-blematiche appaiono invece le conse-guenze sulla biodiversità.

Intervista raccolta da Enrico Morresi

La Santa Sede non ha (ancora) una dottrina sugli ogm«Punti di vista di singoli ecclesiastici» sono state definite dall’«Osservatoreromano» le affermazioni del cancelliere della Pontificia Accademia delle Scien-ze in tema di organismi geneticamente modificati da utilizzare in agricolturaper alleviare la fame nel mondo. La mezza smentita si riferiva a un discorsotenuto dal vescovo Marcelo Sanchez Sorondo al XII «Incontro internaziona-le degli economisti sulla globalizzazione e i problemi dello sviluppo», svol-tosi a Cuba con la partecipazione di mille delegati di 40 Paesi e i rappresen-tanti di 39 organismi internazionali.

Una bocciatura per gli ogm, sia pure con qualche distinguo, era arrivata dalSinodo per l’Africa svoltosi lo scorso ottobre in Vaticano. Le Chiese del con-tinente si erano pronunciate criticamente contro l’invasività degli ogm nelleagricolture locali: perché cancellano le colture tradizionali e sfruttano per in-teressi economici le terre dei Paesi più poveri e soprattutto gli agricoltori, ren-dendoli dipendenti dalle grandi multinazionali. Un concetto, quest’ultimo, ri-badito da papa Benedetto XVI nel discorso tenuto al vertice della FAO sul-l’alimentazione, svoltosi a Roma in novembre. Il Sinodo per l’Africa, fra l’al-tro, chiedeva ulteriori approfondimenti dal punto di vista scientifico circal’impatto che tali sementi possono avere sull’ecosistema. Se queste preoccu-pazioni in parte sono condivise anche in Vaticano, la posizione espressa damons. Sanchez Sorondo è certo molto netta ed è in linea con quella fatta pro-pria a suo tempo dal card. Renato Martino, presidente di «Giustizia e Pace»,e dal suo ex vice, mons. Giampaolo Crepaldi, oggi vescovo di Trieste. Il di-castero di «Iustitia et Pax» è ora sotto la guida di un africano, il cardinale Pe-ter Turkson. Bisognerà vedere come lo stesso Pontefice recepirà il problemanell’esortazione post-sinodale che deve ancora essere pubblicata. l.s.

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8 opinioni No. 216

Nonostante tutti i problemi che laRepubblica Democratica del Congo(RDC) si trova a dover affrontare, pa-dre Ferdinand Muhigirwa Rusembu-ka rimane ottimista. «Prima o poi giu-stizia e pace torneranno a regnare nelmio Paese e anche la fame e la mise-ria saranno debellate per sempre», di-ce in occasione del nostro incontro.È una domenica mattina di Quaresi-ma e il gesuita, ospite della Campa-gna ecumenica di «Sacrificio Quare-simale» e «Pane per tutti», ha appe-na finito di celebrare la messa nellacollegiata di Bellinzona. Nel pome-riggio lo aspettano un altro rito e unincontro col pubblico, durante il qua-le parlerà della difficile situazione incui versa il suo Paese, prima di tor-nare al Nord delle Alpi e da lì rag-giungere Parigi e poi di nuovo casa,a Kinshasa. Nonostante il tour de for-ce, padre Ferdinand si anima quandoparla della RDC: «La Repubblica De-mocratica del Congo è uno dei Paesipiù ricchi di materie prime al mondo.Dispone di un terzo delle riservemondiali di cobalto, del 10% di quel-le di rame e dell’80% delle riserve dicoltan. Eppure la maggior parte del-la popolazione vive nell’estrema po-vertà e non ha cibo a sufficienza. Èuno scandalo!». Il gesuita sa di checosa parla. È uno dei più noti esper-ti delle problematiche legate all’in-dustria estrattiva e, come direttore delCentre d’Etudes pour l’Action So-ciale (CEPAS), ha partecipato alla ri-negoziazione di diversi contratti diconcessione mineraria in collabora-zione con lo Stato congolese, la Ban-ca mondiale, ONG locali e interna-zionali e le imprese transnazionalicoinvolte.La Campagna 2011 del SacrificioQuaresimale «La mia gioia, il tuo do-lore: tesori della terra e diritti umani»è finita, la Pasqua è passata, ma la pro-blematica dell’estrazione minerariaresta.L’indice dello sviluppo umano(PNUD, 2009) pone la RDC al175.mo posto su 177: solo lo Zim-babwe di Mugabe riesce a fare peg-gio. Un bambino su tre soffre di de-nutrizione e, per chi sopravvive, lasperanza di vita è di 46 anni. La mag-gior parte della popolazione deve riu-scire a vivere con meno di un dolla-ro al giorno. Cifre che stridono difronte alle ricchezze che ogni giorno

sono estratte dal sottosuolo congole-se e che fruttano milioni di franchi sulmercato internazionale. Metalli comeil coltan o il rame sono sempre più ri-cercati per la produzione di cellulari,computer e altri apparecchi elettroni-ci. «L’estrazione del coltan però na-sconde una tragedia umana – prose-gue padre Ferdinand –, perché avvie-ne in una zona segnata da conflitti eviolenze. Vari rapporti redatti dal-l’ONU hanno provato l’esistenza dilegami fra lo sfruttamento illegale diqueste materie prime e i conflitti inatto. Lottano per accaparrarsi questitesori della terra gruppi armati, Paesivicini, i congolesi stessi. A pagare ilmaggior tributo sono le donne e ibambini, vittime di abusi sessuali eviolenze. Una ONG americana ha sti-mato che la corsa alle ricchezze delsottosuolo nella RDC finora ha cau-sato 5,4 milioni di vittime: l’eventopiù grave in termini di vite umane dal-la Seconda Guerra mondiale ad og-gi». Una tragedia che p. Muhigirwaconosce bene, avendola avuta sottogli occhi fin dalla sua nascita a Bu-kavu, una regione nell’Ovest del Pae-se, martoriata da anni di conflitti, eche – unitamente all’educazione ri-cevuta dalla famiglia e alla sua for-mazione in filosofia e sociologia – loha spinto ad impegnarsi per gli altri eper una maggiore giustizia.Di fronte a governi deboli, soffocatida conflitti e corruzione, le impresedettano le regole del gioco per otte-nere concessioni minerarie ed estrar-re materie prime dal sottosuolo. Op-porsi a una simile situazione diventaancor più difficile per la società civi-le locale, quando la trasparenza inquesto settore è carente. Non esisto-no controlli e cifre ufficiali sulle quan-tità di minerali realmente estratti e laloro esportazione. Per poter regola-mentare e controllare in modo effica-ce le attività delle transnazionali atti-ve nell’estrazione mineraria servonostrumenti adeguati. Ed è proprio perquesto che da anni si batte la societàcivile congolese. «Dopo le prime ele-zioni democratiche tenutesi nel 2006– spiega padre Ferdinand –, il gover-no ha deciso di mettere ordine nel set-tore estrattivo, nominando una com-missione di 30 esperti, di cui fannoparte anche esponenti della società ci-vile. Sono stati analizzati 62 contrat-ti di concessioni minerarie stipulati

negli anni di instabilità politica. Diquesti, 40 andavano rinegoziati per-ché contrari agli interessi della popo-lazione. L’obiettivo del governo eradi aumentare le proprie quote partenelle imprese locali, inferiori al 25%.Cifre ufficiali al termine delle nego-ziazioni per ora non ve ne sono, mail governo ha promesso che le rende-rà pubbliche».Già nel 2009, al termine del Sinodoper l’Africa, era giunto alla comuni-tà internazionale un appello a inco-raggiare formule di legislazione na-zionale e internazionale per una giu-sta distribuzione del reddito prodottodalle risorse naturali a beneficio del-le popolazioni locali e assicurare unagestione legale a vantaggio delle na-zioni proprietarie di tali risorse, im-pedendo allo stesso tempo lo sfrutta-mento illegale. Alcuni passi compiu-ti nel frattempo a livello internazio-nale lasciano ben sperare. Lo scorsoluglio, gli Stati Uniti hanno varato la«Dodd-Frank Wall Street Reform»,che chiede alle imprese americane dinon importare minerali provenienti dazone di conflitto e di dichiarare i gua-dagni di questo sfruttamento. Anchea livello europeo qualcosa si sta muo-vendo, grazie all’esempio americano:«Obbligando le imprese a renderepubblici i flussi finanziari di ogni Pae-se in cui operano con il country bycountry report, si può stabilire quan-te tasse le imprese pagano in ogni sin-golo Paese, e di conseguenza sareb-be molto più facile per la società ci-vile intervenire, denunciando casi dicorruzione o di evasione fiscale. Pur-troppo, per ora, tali principi si fonda-no ancora su base volontaria», am-mette il direttore del CEPAS.Il cammino appare dunque ancoralungo, ma secondo padre Ferdinandsiamo sulla buona strada: «È impor-tante continuare a fare ricerche sulsettore estrattivo, a renderle pubbli-che e a formare le persone. Troppi an-cora non sono debitamente informa-ti sugli obblighi sociali, ambientali edeconomici delle imprese e quindi nonsono in grado di difendere i propri di-ritti. Molto resta da fare affinché tut-ti possano beneficiare delle ricchez-ze del Paese. Se però gli sforzi pro-seguiranno a livello locale, regionalee internazionale: fra tre anni le cosesaranno decisamente migliorate! So-no troppo ottimista? No, ho fiducianegli esseri umani».

Federica Mauri Luzzi(Sacrificio Quaresimale)

Tesori della Terra e diritti umaniIl saccheggio delle materie prime

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No. 216 cronaca 9

Ricordo di un teologo. È morto pres-so Bahia, domenica 27 marzo, il teo-logo belga Joseph Comblin, uno deimaggiori interpreti della Teologia del-la liberazione. Aveva 88 anni e vivevadal 1958 in America latina. Espulsodalla dittatura brasiliana nel 1972, eraritornato in Brasile impegnandosi, ol-tre che nell’insegnamento, nell’azio-ne sociale, specialmente preparandogenerazioni di missionari laici del-l’ambiente rurale, con la sua «teolo-gia della vanga». Amico di mons. Hel-der Camara, aveva insegnato a Recife(Pernambuco), oltre che a Quito e Lo-vanio. Tra i molti suoi libri, «La ri-surrezione di Gesù Cristo», «Teolo-gia della pace» e «Teologia della cit-tà», in cui tra l’altro egli critica l’im-mobilismo della Chiesa cattolica e lamancanza di vicinanza ai poveri.

Chiese a Roma. Per iniziativa dellaCaritas Romana è stata stampata laquinta edizione della Guida ai luoghidi culto per gli immigrati, che censi-sce 256 luoghi di incontro e di pre-ghiera per gli ospiti della Provincia diRoma, 208 nella Capitale. Per il di-rettore di Caritas, mons. Enrico Fero-ci, la guida mostra la vocazione dellacittà di Roma, centro del Cattolicesi-mo e nello stesso tempo luogo in cuila libertà religiosa trova massimaespressione.

Progressista. Non è la prima volta cheun vescovo cattolico divenuto emeri-to (ossia pensionato) appare alla ri-balta con proposte interessanti, cheprima non aveva potuto manifestare oattuare. Così mons. Fritz Lobinger, ve-scovo in Sudafrica dal novembre 1987all’aprile 2004, ha pubblicato due li-bri dai titoli intriganti: «Equipe di mi-nistri ordinati», e «L’altare vuoto» (al-le edizioni Herder). Vi constata comeéquipes di laici hanno svolto con suc-cesso vari ministeri in molte diocesi ecomunità ecclesiali, e come i sacerdotisi siano avvantaggiati della loro col-laborazione. Il vescovo ricorda ancheche «l’ordinazione dei leader localivolontari è stata la norma nella Chie-sa per alcuni secoli», citando gli Attidegli Apostoli (cap. 14), ove san Pao-lo e compagni «in ognuna di questecomunità ordinarono anziani», cosìche «in ogni piccola comunità cristia-na c’era non uno, ma più leader ordi-nati». Nessuno di essi era «stipendia-

to dalla Chiesa, perché tutti continua-vano il loro lavoro. È evidente che peralcuni secoli ci sono stati sacerdoti chenon venivano inviati alle comunità manascevano all’interno di esse (…).Non chiediamo «sacerdoti sposati»,contrapponendoli a quanti possono vi-vere il celibato come ideale di dedi-zione totale, dice il vescovo. Chiedia-mo l’ordinazione di leader locali che,certo, devono essere persone mature,anche sposate, perché il nostro obiet-tivo è che siano persone della comu-nità. Non si tratterebbe di una rivolu-zione, ma della ripresa di un’anticatradizione. Ammette che non tutti i sa-cerdoti accetterebbero facilmente que-sta presenza complementare del mi-nistero presbiterale, soprattutto quelliche «abituati a far tutto da soli». Al-cuni «si opporranno a questa propo-sta perché pensano, erroneamente, cheil sacerdozio non sia mai cambiato népossa cambiare. La verità è che nellastoria esso è cambiato molte volte epuò cambiare ancora» (da «Adista»del 5 marzo).

Donne sì, donne no. Papa BenedettoXVI ha incaricato una donna, MariaRita Piccione, monaca agostiniana diun monastero romano, di preparare itesti delle meditazioni per le stazionidella «Via Crucis» da lui presieduta inoccasione del Venerdì Santo 2011.Una piccola e significativa aperturaper dare voce alle donne nella Chiesacattolica. Purtroppo il Vaticano, incontrotendenza, si oppone al reincari-co di Lesley-Anne Knight, cittadinainglese di 51 anni, a segretario gene-rale di Caritas Internazionale, funzio-ne che svolge dal 2007 con grandecompetenza, grazie all’esperienza dioltre 25 anni nell’aiuto allo sviluppo.Anche Caritas svizzera ha protestato,con una lettera del 3 marzo, per la de-cisione immotivata, che appare pocorispettosa della democrazia e dei di-ritti umani e denota il tentativo del se-gretario di Stato Bertone di metteresotto tutela Caritas Internazionale.

Proposta gesuitica. La rivista «Ame-rica» dei gesuiti statunitensi ha for-mulato una proposta singolare per av-viare la riforma della Chiesa cattolicache da tempo (non è semper refor-manda?) molti auspicano: invece diabolire il celibato dei preti o di per-mettere l’accesso al presbiterato del-

le donne, cambiamo il codice canoni-co per permettere ai laici di diventarecardinali. Non si toccano i fondamen-ti della fede (?) e si potrebbe così rin-giovanire la struttura ecclesiastica ede-clericalizzare il vertice della Chie-sa romana. In attesa, «America» pro-pone da subito che la metà dei consi-glieri di ogni vescovo siano laici e lacreazione di un Consiglio internazio-nale dei laici da affiancare al collegiocardinalizio. Hanno fantasia questi ge-suiti, oppure sono degli impenitentiumoristi? Affermano di avere dalla lo-ro parte san Benedetto (che consiglia-va all’abate di sempre ascoltare ancheil monaco più giovane perché «grazieall’ispirazione del Signore, è spessochi è più giovane a sapere cosa è me-glio»), san Paolino da Nola («Vedia-mo di ascoltare ciò che dicono tutti ifedeli, perché in ciascuno di essi sof-fia lo Spirito Santo»), e anche Gio-vanni Paolo II che avrebbe citato ilsopraccitato Paolino nella lettera apo-stolica «Novo millennio ineunte». Larivista invita i lettori a suggerire altreriforme, ricordando che «la Chiesa èsopravvissuta per duemila anni perchénei momenti cruciali ha scelto la stra-da del rinnovamento. Forse il mo-mento è giunto un’altra volta». (da«America» del 21 febbraio)

Bravo il cardinale. La redazione di«Fa miglia Cristiana» ha eletto l’arci-vescovo di Milano, card. Dionigi Tet-tamanzi (che lascerà quest’anno la di-rezione della diocesi) «Italiano del2010», perché «è il volto della Chie-sa che ci piace. Anzi, piace alla gen-te. Credenti e non credenti». Una«Chiesa col grembiule» e «maestra diumanità», che si fa carico delle soffe-renze e speranze degli uomini d’oggi.Vicina a chi ha il «cuore ferito», maanche scomoda, nel no me del Vange-lo, presenza «profetica» in una socie-tà indifferente. L’arcivescovo di Mi-lano lo scorso anno si è trovato più vol-te al centro di pole miche per le sueprese di posizione non sem pre gradi-te alle autorità cittadine (esponentidella Lega Nord in testa). Ma è pro-prio que sta volontà di testimonianzadel Van gelo, «premurosa verso gli ul-timi della socie tà», che il settimanaledei paolini ha voluto riconoscere e pre-miare, come quando ha rivendicato ildiritto alla preghiera per i musulmani,ciò che gli ha attirato gli insulti leghi-sti di «cattocomunista» e di «imam diKabul», per altro sopportati in silen-zio e in solitudine, con evangelica pa-zienza. In silenzio il cardinale ha sop-portato anche gli attacchi rivoltigli per

CRONACA INTERNAZIONALEa cura di Alberto Lepori

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l’attiva solidarietà dimostrata nei con-fronti dei rom, recandosi nei giorni diNatale in visita al campo di via Tri-boniano, e spiegando: «Ho pregato inquel campo, affinché si possa giunge-re a condizioni di vita più umane perquei bambini e per tutti i bimbi nellanostra città. L’integrazione è possibi-le grazie all’impegno di tutti, nel ri-spetto della legge, nella tutela dei di-ritti di cui ogni persona è nativamen-te portatrice. Ricordo in quel camporom l’incontro con la piccola Tsara,tetraplegica dalla nascita, accudita inuna baracca, che non può avere cureadeguate perché non ha accesso allacittadinanza. Che colpa ne ha lei? Laquestione dei rom, come le altre que-stioni spinose che colpiscono le nostrecittà, sono da affrontare insieme, re-sponsabilmente, con tutte le parti, periniziare a risolverle, non per agitarlestrumentalmente per catturare con-sensi». Il cardinale Tettamanzi non hafatto mancare la sua testimonianza an-che rispetto alla gravi vicende che han-no recentemente coinvolto il presi-dente del Consiglio italiano. Intervi-stato dal «Corriere della Sera» (13 feb-braio), Tettamanzi ha così risposto algiornalista che gli chiedeva se erad’accordo con le parole pronunciatedal card. Bagnasco a proposito degli«esempi negativi» provenienti da «fi-gure che dovrebbero avere un’alta re-sponsabilità morale»: «Come faccio anon condividerle? Il dovere dellaesemplarità non riguarda solo i politi-ci, bensì tutte le persone che hannoincarichi pubblici, che sono chiamatia guidare il Paese, a essere un riferi-mento per le persone, che rappresen-tano la nazione, all’interno e al-l’esterno. Gli uomini che governanole istituzioni sono il volto delle istitu-zioni. Per questo la sobrietà deve es-sere una nota di stile caratteristica evisibile. Deve emergere dal tipo di lin-guaggio che si usa, nell’esibizione disé, nell’esercizio del potere, nello sti-le di vita. I cittadini hanno il diritto diattendersi da chi li rappresenta corret-tezza di comportamento, esemplaritànel pubblico e nel privato. Condottamorale e vita pubblica, nel caso di chiabbia responsabilità istituzionali, nonpossono essere scisse». (da un servi-zio di «Adista», 26 febbraio 2011)

Chi aiuta chi. È noto che le rimessedegli africani che lavorano in Europaper molti Paesi d’origine superano gliaiuti allo sviluppo promessi e persinoversati dai ricchi Stati europei, e spes-so (come per la Svizzera) gli aiuti so-no largamente «compensati» con

l’evasione fiscale delle imprese euro-pee e dei ricchi africani. Ma c’è di peg-gio: in missioni extra-europee sonoattive oltre 11 mila suore italiane, main Italia sono «a servizio» 14 mila suo-re extra-comunitarie. La Chiesa ita-liana manda nei Paesi del Sud 550 pre-ti fidei donum,ma a servizio delle par-rocchie italiane operano oltre 1500preti extracomunitari (da «Adista» delmarzo). La Conferenza missionariadella Svizzera italiana (Azione Nata-le 2010) elenca 15 missionari (di cui5 suore e 3 volontari laici) ma anchela Diocesi di Lugano è debitrice di pre-ti e suore venute da fuori, come una«terra di missione»…

Chiese in Europa. Il17 gennaio si èsvolto a Budapest il tradizionale in-contro tra le Chiese europee e la pre-sidenza semestrale dell’Unione euro-pea (UE), tenuta attualmente dall’Un-gheria. Il primo ministro unghereseVictor Orbàn ha incontrato una foltadelegazione di rappresentanti religio-si cristiani, cattolici, riformati, lutera-ni, battisti, metodisti e ortodossi, non-ché della comunità ebraica. Per leChiese europee erano presenti il pa-store Rüdiger Noli, direttore dellaCommissione Chiesa e società dellaConferenza delle Chiese europee(KEK), e Piotr Mazurkiewicz, segre-tario generale della Commissione del-le Conferenze episcopali della Comu-nità europea (COMECE). Tra i temiprincipali di discussione, le politichedella famiglia; la situazione delle co-munità rom in Europa; la libertà reli-giosa; la «Strategia Danubio» dellaUE, ma anche la dimensione socialedelle politiche europee.

Testamento biologico cristiano. Èstato presentato il nuovo formulario,elaborato congiuntamente dalla Chie-sa evangelica (EKD) e dalla Confe-renza episcopale tedesca (DBK) perconsentire ai tedeschi che lo deside-rano di lasciare il proprio «testamen-to biologico». Il nuovo testo, adattatoal mutato quadro legislativo (dal 1..settembre 2009 è entrata in vigore inGermania una nuova legge sul fine vi-ta), è stato elaborato con la Comunitàdelle Chiese cristiane in Germania(ACK) e mette in primo piano la fi-gura del fiduciario e i suoi poteri, inol-tre affina ulteriormente le disposizio-ni sui trattamenti sanitari. La preoc-cupazione è quella di non lasciare al-cuno spazio ad interpretazioni rispettoalla scelta espressa dal paziente, po-nendo al centro la sua responsabilità.La nuova versione della Christliche

Patientenvorsorge è stata presentatadall’arcivescovo Robert Zollitsch, pre-sidente della DBK, e dal vescovo lu-terano Jochen Bohl, vicepresidentedella EKD. Il vescovo Zollitsch ha sot-tolineato come quella di potersi pre-occupare del proprio fine vita, stando«ancora in buona salute», sia una ve-ra opportunità, mentre Friedrich We-ber, presidente dell’ACK, si è ralle-grato per la riuscita «collaborazionetra le Chiese cristiane anche su que-sto importante tema». Le disposizio-ni testamentarie da scegliere sono ot-to (con a fianco altrettante caselle dabarrare in caso affermativo) e riguar-dano: la richiesta di alleviare dolori edisturbi, anche con farmaci il cui usopuò comportare il rischio di abbrevia-re la vita; la rinuncia alla nutrizioneartificiale; la richiesta di ridurre l’idra-tazione artificiale secondo le indica-zioni del medico; il rifiuto di pratichedi rianimazione; la rinuncia alla re-spirazione assistita; la rinuncia alladialisi; la rinuncia alla somministra-zione di antibiotici e il rifiuto di tra-sfusioni di sangue o di suoi compo-nenti. Il testo precisa che, dal punto divista giuridico, per la letteratura scien-tifica e nella prassi quotidiana, la nu-trizione artificiale e l’idratazione so-no trattamenti terapeutici che richie-dono il consenso del paziente: nonfanno quindi parte delle «cure di ba-se» che prevedono solo «l’appaga-mento, per via naturale, di fame e se-te se manifestate come sensazionesoggettiva». È infine lasciata al testa-tore la possibilità di dare «disposizio-ni integrative», per esempio in caso distato vegetativo persistente. La nuovaversione propone un’alternativa: laprima, caldeggiata dalla Chiesa catto-lica tedesca, prevede che il pazientepossa chiedere la cessazione di tutti itrattamenti salvavita elencati nel do-cumento, nutrizione artificiale com-presa, al di là delle situazioni già pre-cisate, solo se, in seguito a gravi dan-ni cerebrali, la sua «capacità di inten-dere e di volere, a giudizio di duemedici competenti, risultasse con ogniprobabilità irrecuperabilmente perdu-ta e sopraggiungesse una malattia in-tercorrente acuta, potenzialmente le-tale». La seconda opzione prevede in-vece che il paziente possa disporre lacessazione di tutti i trattamenti salva-vita in questione, anche nel caso di so-la perdita irrecuperabile della capaci-tà di intendere e di volere, se questaperdurasse da un lasso di tempo sta-bilito dal paziente stesso. (testo adat-tato da NEV e «Adista», marzo 2011)

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Dal 6 all’11 febbraio 2011, a Dakar,in Senegal, si è svolta una nuova edi-zione del Forum Sociale Mondiale. LaSvizzera vi partecipava per la settimavolta con una delegazione ufficiale,dovuta all’iniziativa di Alliancesud eE-Changer. Il gruppo era composto disindacalisti, rappresentanti dei mediae di organizzazioni di cooperazione al-lo sviluppo, nonché dei parlamentarifederali Luc Récordon (Verdi, VD),Maya Graf (Verdi/BL), Margret Kie-ner Nellen (PS/BE), Jean-Claude Ren-nwald (PS/JU), Ueli Leuenberger(Verdi/GE) e Christian van Singer(Verdi/VD); in tutto cinquantaquattropersone.

Fondato nel 2001 a Porto Alegre, e do-po tre edizioni nella città brasiliana, ilFSM fu organizzato nel 2004 in In-dia, a Mumbai, per dar modo ai mo-vimenti sociali dell’Asia di parteci-parvi. Tornato a Porto Alegre nel 2005,nel 2007 il FSM si è svolto per la pri-ma volta in Africa, a Nairobi. In se-guito, negli anni pari, il Forum è sta-to indetto non su scala mondiale macontinentale. Nel 2009 il movimentoaltermondialista era tornato in Brasi-le, a Belem. A dieci anni dalla nasci-ta, il FSM si conferma lo spazio d’in-contro più importante della società ci-vile del pianeta, un incontro periodi-co dedicato allo scambio, allariflessione, al dibattito, alla ricerca disoluzioni e di alternative.

A differenza del Forum Economico diDavos, il FSM non ha una struttura ge-rarchica e si caratterizza per gli ate-lier ed altre attività autogestite, la cuiresponsabilità ricade sui partecipanti.È un metodo di lavoro che deriva dal-la pedagogia dell’educazione popola-re molto presente nella vita quotidia-na della maggior parte dei movimen-ti sociali brasiliani e delle comunitàecclesiali di base. Secondo uno deiprincìpi del metodo, educatore ed edu-cando imparano l’uno dall’altro, par-tendo dalle conoscenze individuali checiascuno porta con sé nel processo diapprendimento.

Mentre a Belem le discussioni si era-no per lo più concentrate sulla crisi diciviltà e sulle alternative radicali allaglobalizzazione del capitalismo, a Da-kar sono state le rivoluzioni pacifiche

in Egitto e in Tunisia, come pure ilcontesto africano con le sue specifici-tà, a dominare. A detta di chi ha par-tecipato ai Forum del passato, a co-minciare dall’impressionante manife-stazione d’apertura (settantamila par-tecipanti), si è capito che questo diDakar non sarebbe stato il Forum del-le grandi rivendicazioni generiche. Ilcomitato d’organizzazione è riuscitoinfatti a mobilitare in gran numero imovimenti sociali e le organizzazionidi base dell’Africa occidentale e il pro-getto si è tradotto anzitutto nella pro-venienza dei partecipanti: dal Benin,dal Togo, dal Burkina Faso, dal Mali,carovane di autobus che avevano an-che il compito di sensibilizzare le po-polazioni lungo il percorso. I parteci-panti africani sono arrivati senza ban-diere ideologiche, rosse o verdi chefossero, ma invece presentando esi-genze e problemi precisi: il landgrab-bing (l’accaparramento delle terre daparte di stati industrializzati o emer-genti) e la crescente pressione sulle ri-sorse alimentari che si stanno facendosempre più rare; la difesa delle sementilocali tradizionali nei confronti dei gi-ganti dell’agroindustria; le sovvenzio-ni agricole nel Nord del mondo, chemettono in pericolo l’agricoltura delcontinente africano; le concessioni didiritti di pesca ai pescherecci del NordEuropa. Queste preoccupazioni sonostate messe in risalto in modo parti-colare dai movimenti femminili, chechiedono, tra le altre cose, il coinvol-gimento delle donne nei processi dirisoluzione dei conflitti.

A posteriori si può affermare che il ti-more di un diffuso mal funzionamen-to si è rivelato infondato. Si temeval’influenza dei poteri pubblici e addi-rittura di fondazioni private, il rischiodi un’organizzazione dispendiosa, dal-l’enorme budget; infine, una burocra-tizzazione dell’evento. Gli errori com-messi a Nairobi, l’edizione peggio riu-scita nella storia decennale del Forum,non si sono ripetuti: per esempio, laconcessione a una multinazionale del-l’esclusiva delle comunicazioni al-l’interno del Forum o una quotad’iscrizione troppo elevata. La mas-siccia presenza dei movimenti socialiafricani è stata pertanto una confermache il Forum continua a tenersi moltovicino alla base.

Malgrado queste precauzioni, il falli-mento è stato sfiorato. L’evento alter-mondialista era stato programmato sulcampus dell’Università Cheick AntaDiop di Dakar, a una settimana di di-stanza dalla conclusione del ForumEconomico di Davos, a cui sin dalla2001 il FSM fa da contraltare. Il nuo-vo rettore dell’università, insediato dalPresidente Wade appena prima di Na-tale, aveva però deciso di posticiparegli esami al 28 febbraio. Se il primoeffetto collaterale, quello di impedireagli studenti di prendere parte al Fo-rum, era già una mezza tragedia, il se-condo ha messo a dura prova tutta l’or-ganizzazione: le aule in cui dovevanotenersi le migliaia di incontri, assem-blee e atelier erano occupate da stu-denti e insegnanti. Il primo giorno, so-lo una minima parte dei gruppi di la-voro previsti ha potuto aver luogo: co-sì anche quello organizzato daisindacalisti dell’UNIA, membri dellaDelegazione svizzera, sui diritti deimigranti in Europa, che ha riunito unatrentina di interessati sulla scalinataantistante l’auditorio in cui era pro-grammato. A partire dal secondo gior-no sono stati allestiti tende e tendoninei giardini del campus per consenti-re ai partecipanti di raggrupparsi al ri-paro dal sole, ma il programma stam-pato era ormai di poco aiuto. I telefo-nini, con i messaggini scambiati tra imembri delle varie delegazioni, a co-minciare da quella svizzera, si sonotrasformati in un passaparola (ma inAfrica dovremmo parlare di tamtam…) con cui passarsi le informa-zioni logistiche sui vari atelier.

Dopo due giorni di eventi auto-orga-nizzati dalle organizzazioni e dai mo-vimenti sociali di tutto il mondo, il Fo-rum si è concluso con una giornata emezza di assemblee plenarie temati-che, trentotto in tutto. In esse, oltre adefinire strutture minime di rete (mai-ling list, conferenze telefoniche, se-gretariati virtuali), si sono poste le ba-si per le azioni in vista dei grandi ap-puntamenti della politica mondiale: ilG8 e il G20 in Francia, la Conferenzamondiale sulla Terra Rio+20 in Bra-sile e la Conferenza sul clima di Dur-ban (Sudafrica). Il Forum, vissuto co-me luogo d’incontro e di scambio, an-che a Dakar ha permesso alle miglia-ia di organizzazioni di conoscersi,confrontarsi, organizzarsi e coordi-narsi: da lì emergeranno azioni con-crete, locali e globali, meglio coordi-nate, su base più ampia e quindi piùefficaci.

Daria Lepori

Confermata a Dakar la vitalitàdel Forum sociale mondiale

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Samuel Ruiz Garcia, padre degli In-dios, vescovo emerito di San Cristo-bal de las Casas, si è spento il 24 gen-naio, all’età di 86 anni, in un ospeda-le di Città del Messico. Era definito «ilpenultimo profeta», con esplicito ri-ferimento a dom Pedro Casaldaliga eai pochi altri che ancora rimangono atestimoniare una stagione straordina-ria per la Chiesa e la società messica-ne.

Padre della Chiesalatino-americanaNato a Irapuato, nello Stato del Gua-najuato, nel 1924, Samuel Ruiz giun-se in Chiapas, nel Sud Est messicano,nel 1959, chiamato a rivestire la fun-zione di vescovo della diocesi di SanCristobal. Era il più giovane vescovodel suo Paese, vi sa rebbe rimasto qua-rant’anni. La realtà poverissima dellaregione, in cui gli indigeni vivevanoin condizioni di schiavitù, a lui com-pletamente sconosciuta, lo colpì comeuno schiaffo. Era andato a evangeliz-zare, don Samuel, ma, secondo le suestesse parole, fu lui a essere evange-lizzato: gli indios gli rivelarono «unmondo nuovo, una terra nuova, una vi-sione del mondo totalmente diversa daquella della civiltà occidentale-giu-daico-cristiana». Egli li ricambiò rea-lizzando un’opera titanica: introdurrela Chiesa gerarchica e leggere il Van-gelo nelle culture indigene. Prese co-sì avvio un’esperienza pastorale nellalinea della Liberazione che lo rese po-polare in tutto il mondo, attirandogli,come è avvenuto per tutti i profeti,molto amore e molto odio. Un pro-cesso di costruzione di una Chiesa au-toctona, liberatrice, evangelizzatrice,animata da uno spirito di servizio, incomunione e sotto la guida dello Spi-rito. Sono, questi, i sei tratti distintividella Chiesa chapaneca fissati dal Ter-zo Sinodo Diocesano, convocato damons. Ruiz nel 1995 e conclusosi nel1999. Sullo sfondo, le grandi opzionipastorali della diocesi: la creazione,nello spirito della collegialità conci-liare, di strutture di comunione più vi-cine allo spirito evangelico; l’accom-pagnamento pastorale integrale al po-polo di Dio nella concretezza della suarealtà terrena; la ricerca del dialogo edella riconciliazione come unico cam-mino per risolvere i conflitti. E, natu-ralmente, l’opzione preferenziale per

i poveri, quell’opzione che il Conci-lio, alle cui sessioni Ruiz aveva presoparte, non aveva saputo cogliere, mal-grado la sollecitazione di GiovanniXXIII e gli sforzi del card. Lercaro.Ma che era stata, al contrario, energi-camente raccolta dalla Conferenza diMedellin, vero atto di nascita dellaChiesa della liberazione dell’Ameri-ca Latina, in cui Ruiz era stato pre-sente insieme a molti altri «Padri del-la Chiesa» latinoamericani, come li hadefiniti la rivista Concilium (5/09), ac-costandoli ai «padri della Chiesa»orientali e occidentali del IV e V se-colo.

Censure politiche e vaticaneNel 1994, quando prese il via l’insur-rezione dell’Esercito Zapatista di Li-berazione Nazionale (Ezln), il vesco-vo fu accusato di essere il responsa-bile della rivolta e minacciato dal go-verno di arresto per sedizione,secondo il pregiudizio razzista che ri-conduce sempre ogni iniziativa indiaa un qualche attore non indigeno. Madon Samuel non si lasciò intimidire edal 1994 al 1998 esercitò il ruolo dimediatore nel conflitto tra Ezln e go-verno federale, attraverso la Commis-sione nazionale di intermediazione(Conai), partecipando alla firma, il 16febbraio 1995, degli «Acuerdos deSan Andrés», poi completamente di-sattesi dal governo. Malgrado il suoimpegno a favore della pace, l’allorapresidente Zedillo, nel 1998, lo accu-sò di promuovere una «pastorale del-la divisione» e una «teologia della vio-lenza» e il card. Juan Sandoval Iniguezindividuò una delle cause della ribel-lione armata in Chiapas proprio nelladivisione creata dalla strategia pasto-rale di don Samuel, dominata da un«tipo di teologia della liberazione ispi-rata al marxismo». Pertanto, mons. Gi-rolamo Prigione, nunzio apostolico inMessico dal 1978 al 1997, si adoperòper rimuovere il vescovo degli indiosdalla diocesi di San Cristobal, accu-sandolo di gravi errori dottrinali, pa-storali e di governo, e per frenare lasua azione nella diocesi viene inviatonel 1995 a San Cristobal il domenica-no mons. Raul Vera Lopez, come coa-diutore con diritto di successione. Ma,a contatto con le comunità indigene econ il lavoro svolto nella diocesi daltitolare, don Raul divenne il più fede-

le alleato del vescovo di cui avrebbedovuto correggere le presunte devia-zioni. Mons. Vera Lopez fu trasferitoall’altro capo del Paese, e a succede-re a don Samuel viene infine chiama-to un altro vescovo del Chiapas, mons.Felipe Arizmendi, già vescovo di Ta-pachula, moderatamente conservato-re, ma non abbastanza da non com-prendere, poco per volta, la necessitàdi dare continuità al lavoro svolto damons. Ruiz, per esempio tentando, in-vano, di ottenere da Roma il permes-so di riprendere l’ordinazione di dia-coni indigeni, la cui sospensione, di-sposta nel 2002, doveva essere fun-zionale all’opera di smantellamentodel processo di Chiesa autoctona pro-mosso da don Samuel.

Che cosa rimaneLo stesso Arizmendi, in una sua ri-flessione dal titolo «L’eredità di Sa-muel Ruiz», elenca alcuni degli aspet-ti dell’opera di Ruiz che non devonoandare perduti per le loro radici evan-geliche, come la promozione integra-le degli indigeni, l’opzione per i po-veri e la liberazione degli oppressi, lalibertà di denunciare le ingiustizie difronte a qualunque potere arbitrario,la difesa dei diritti umani, l’incultura-zione della Chiesa, in direzione dellacreazione di Chiese autoctone, incar-nate nelle differenti culture, indigenee meticce, la promozione della digni-tà della donna e della sua correspon-sabilità nella Chiesa e nella società, lateologia india come ricerca della pre-senza di Dio nelle culture originarie,il diaconato permanente.A rendere al vescovo il miglioreomaggio sono stati però quelli che piùcontavano per don Samuel: gli indi-geni del Chiapas (tra i quali il suo cor-po è stato trasportato), giunti da ogniangolo dello Stato per sfilare davantial feretro, nella cattedrale di San Cri-stobal. Ora, ha scritto dom Pedro Ca-saldaliga in un suo messaggio, «el Ca-minante (come si identificava mons.Ruiz, che aveva visitato 2042 comu-nità, percorrendo tutta la diocesi a pie-di o a cavallo) è giunto al Grande Vil-laggio, nella Pace, e da lì continueràa essere, ora con piena libertà, veroprofeta nella società e nella Chiesa, inmezzo ai popoli della nostra Amerin-dia. Con San Bartolomé de las Casas,con Leonidas Proaño e con SamuelRuiz, tutti noi andremo avanti nellelotte nelle speranze del Vangelo delRegno»

Claudia Fanti(Adista, 5 febbraio 2011), testo adattato

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El Caminante è giunto alla metaRicordo del vescovo degli Indios

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No. 216 opinioni 13

Più di un anno fa venivano resi pub-blici casi di abusi sessuali su bambinie adolescenti perpetrati da preti e re-ligiosi nel Collegio Canisio di Berli-no. Ne è seguito un periodo in cui laChiesa cattolica tedesca è sprofonda-ta in una crisi senza precedenti. Il qua-dro che oggi si presenta è controver-so: molto si è cominciato a fare perrendere giustizia alle vittime, per por-re rimedio all’illegalità e per far emer-gere dall’interno le cause di abusi.omertà e doppia morale. Dopo l’ini-ziale raccapriccio, è cresciuta, in mol-te donne e uomini cristiani responsa-bili, con o senza incarichi pastorali, laconvinzione che siano necessarie ri-forme profonde e radicali. L’appelloper un dialogo aperto sulle strutturedi potere e di comunicazione, sullaconfigurazione del ministero eccle-siale, sulla partecipazione dei creden-ti alla responsabilità decisionale, sul-la morale e sulla sessualità ha destatoattese, ma anche timori: forse l’ulti-ma chance per una uscita dalla para-lisi e dalla rassegnazione verrà perdu-ta a motivo dei distinguo e delle mi-nimizzazioni della crisi? L’allarme perun dialogo pubblico e senza tabù nonè del tutto ingiustificato, specie nel-l’imminenza del viaggio del Papa inGermania. Ma l’alternativa non puòcerto essere quella di una quiete tom-bale che faccia seguito all’annienta-mento delle ultime speranze.

La crisi profonda della nostra Chiesaesige che si parli anche di problemiche a prima vista non abbiano imme-

diatamente qualche cosa a che fare conlo scandalo degli abusi sessuali e delloro decennale occultamento. In quan-to donne e uomini docenti di teologia,non possiamo più tacere. Avvertiamola responsabilità di contribuire a un au-tentico nuovo inizio: il 2011 deve di-ventare per la Chiesa un anno in cuimettersi in cammino. Mai come nel-l’anno passato tanti cristiani hanno ab-bandonato la Chiesa cattolica, hannodichiarato alle gerarchie ecclesiasti-che di non riconoscersi più nella loroguida o hanno «privatizzato» la lorovita di fede per prendere le distanzedall’istituzione. La Chiesa ha il dove-re di comprendere questi segnali e dispogliarsi delle sue strutture fossiliz-zate per guadagnare nuova linfa vita-le e nuova credibilità.

Il rinnovamento delle strutture eccle-siali non potrà mai avvenire con le bar-ricate erette per paura della società,ma solo con il coraggio dell’autocri-tica e con l’accoglimento di impulsicritici – anche provenienti dall’ester-no. È quanto insegnano le lezioni del-l’ultimo anno: non ci sarebbe mai sta-ta una rielaborazione tanto decisa del-la crisi per gli abusi sessuali senzal’accompagnamento critico dell’opi-nione pubblica. Soltanto con una co-municazione aperta la Chiesa puòriacquistare fiducia. La Chiesa saràcredibile solo quando l’immagine cheessa ha di se stessa e l’immagine chedi essa si ha all’esterno non diverge-ranno. Pertanto, ci rivolgiamo a tutticoloro non abbiano ancora rinunciato

a sperare in un nuovo inizio dellaChiesa e a impegnarsi per esso. Fac-ciamo nostri in tal senso i segnali didialogo e cammino lanciati in questiultimi mesi da alcuni vescovi con di-scorsi, omelie e interviste.

La Chiesa non è fine a se stessa. Ha ilcompito di annunciare a tutti gli uo-mini il Dio di Gesù Cristo, che ama elibera. E può annunciarlo solo se essastessa è un luogo e una testimonianzacredibile del messaggio di libertà delVangelo. I suoi discorsi e le sue azio-ni, le sue regole e le sue strutture – in-somma, il complesso del suo rappor-tarsi con le donne e con gli uomini al-l’interno e all’esterno della Chiesastessa – soggiacciono all’istanza di ri-conoscere e promuovere la libertà del-le donne e degli uomini come creatu-re di Dio. Il rispetto incondizionatodovuto a ogni persona, l’attenzioneper la libertà di coscienza, l’impegnoper la legalità e la giustizia, la solida-rietà con i poveri e con gli oppressi so-no tutti criteri teologicamente fonda-mentali che derivano dal vincolo di os-servanza che la Chiesa ha nei confrontidel Vangelo. È tramite essi che si faconcreto l’amore verso Dio e verso ilprossimo.

L’orientamento al messaggio biblicodi libertà implica un rapporto diffe-renziato con la società moderna: perun verso, quando ne vada del ricono-scimento della libertà, dell’autonomiae della responsabilità dei singoli, essaprecede la Chiesa, la quale, come giàha sottolineato il Concilio Vaticano II,ha su questi temi molto da imparare.Per altro verso, tuttavia, è ineludibìle,nello spirito del Vangelo, una critica aquesta società, quando per esempio gliuomini vengano valutati solo in basealla loro prestazione, quando vengacalpestata la solidarietà vicendevole oquando venga disconosciuta la digni-tà umana.

In ogni caso, resta il fatto che il mes-saggio di libertà del Vangelo costitui-sca il criterio di una Chiesa credibile,del suo agire e della sua configura-zione sociale. Le sfide concrete che laChiesa deve affrontare non sono af-fatto nuove. Ciò nonostante, non si ve-dono all’orizzonte riforme gravide difuturo. Va dunque condotto un dialo-

Dopo la tempesta, la quiete dei cimiteri?Il memorandum di 143 teologi tedeschi

Rispondendo all’invito dell’arcivescovo di Friburgo in Brisgovia e presidentedella Conferenza espiscopale tedesca (che sollecitava «un processo di dialo-go comunitario e mirato»), centoquarantatré teologi tedeschi hanno pubbli-cato sulla «Süddeutsche Zeitung» del 3 febbraio un memorandum che partedal riconoscimento della crisi senza precedenti in cui la Chiesa tedesca è ca-duta dopo la rivelazione dello scandalo della pedofilia per chiedere l’avvio diprofonde riforme. Il documento – che diamo nella traduzione di FrancescoGhia – reca la firma di teologi molto noti, come Ottmar Fuchs e Peter Hü-nermann di Tübingen, Norbert Mette di Dortmund, Dietmar Mieth di Erfurt,Otto Hermann Pesch di Amburgo, Leo Karrer di Friburgo in Svizzera, Anto-nio Autiero di Münster. Altri firmatari si sono aggiunti in seguito, portando iltotale a oltre 220: un terzo circa dell’intero corpo accademico delle facoltàteologiche. L’accoglienza ufficale è stata positiva: «È un buon segnale che an-che i firmatari di questo memorandum vogliano partecipare al dialogo», hadetto il segretario della Conferenza episcopale. In previsione della visita delPapa, fissata per l’autunno, si succedono in Germania le prese di posizione,non ultima la lettera di alcuni deputati della CDU, il partito democristiano te-desco, intesa a sollecitare l’ordinazione sacerdotale di viri probati. (Cf. «Il Re-gno» Attualità, 15 febbraio 2011, p. 82; Adista n. 12/2011).

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Zone pastorali o chiese domestiche?Nel documento dei 230 teologi tedeschi per una riforma della Chiesa, un puntosi riferisce alla crisi della parrocchia e denuncia un pericolo rappresentato dallecosiddette «zone pastorali», che è una delle modalità attualmente praticate in di-verse diocesi europee (tra cui in Ticino e in Romandia) per ovviare alla scarsitàdi preti e all’abbandono delle chiese da parte dei fedeli (vedi a lato). Fulvio DeGiorgi, professore universitario e attento partecipe alla vita della Chiesa ambro-siana, ha di recente osservato (Verbania, 19 febbraio 2011): «Assemblare più par-rocchie in comunità pastorali può avere dei rischi, può aumentare la distanza trai pastori e i fedeli, può favorire il sorgere di un nuovo clericalismo di tipo mana-geriale. Senza corresponsabilità laicale, senza una forte crescita del laicato, le co-munità pastorali possono incorrere in rischi di involuzione».Le osservazioni sull’effetto negativo delle «zone pastorali» indicano un possibi-le rimedio: affidare responsabilità, nelle parrocchie, a uomini sposati e a donne(ovviamente anche maritate) per svolgere compiti ministeriali. Era la soluzione,rifiutata da Roma, realizzata dal vescovo Samuel Ruiz in Chiapas, il quale avevacostituito a centinaia «diaconi» per le comunità indiane disperse sul territorio. Èpure, senza diaconato, il sistema utilizzato dai missionari che affidano le comu-nità cristiane ai cosiddetti catechisti (uomini e donne). Nell’archidiocesi di Vien-na, i diaconi permanenti sono circa 700, dei quali l’85% sono volontari e il 15%svolgono una attività pastorale retribuita. Nella diocesi di Losanna, il preventivo2011 della Federazione ecclesiastica cattolica prevede di occupare 91 preti e 145laici nell’attività pastorale. Sembra sia infine uno dei «segreti» della preoccu-pante diffusione delle comunità evangeliche (o evangelicali) nel Sud America, chesi sviluppano in piccoli gruppi familiari o di vicinato (descritti in un recente ar-ticolo nella rivista «Choisir» dei gesuiti di Ginevra, n. 613, gennaio 2011). Unmissionario attivo a Manaus (Brasile), presenta una «pittoresca» analisi delle co-munità evangeliche della città, certamente utile per capire gran parte del loro purdiscutibile successo, in una società non certo paragonabile alla europea ma chetuttavia costituisce una realtà ecclesiale vitale e in crescita, tale che dovrebbe in-vitare le nostre Chiese (come riconosce il missionario) a un «esame di coscien-za» (vedi n. 1-2011 della «Rivista lassaliana», di Roma, diretta da Flavio Pajer).Questa soluzione sembra essere preconizzata anche da mons. Sandro Vitalini (Ri-vista della Diocesi di Lugano, marzo 2010) quando scrive: «Il numero dei pretisia dovunque proporzionato ai bisogni; ogni comunità anche piccola deve potervivere la fraternità e celebrare l’eucarestia almeno ogni domenica». Ma se è rea-listico ritenere che non vedremo presto né preti sposati (se non qualche transfu-ga dall’anglicanesimo) e ancor meno le donne prete (horribile dictu!), una lar-ga pratica nel conferimento del «diaconato permanente» a uomini sposati o ve-dovi, e anche a donne, dovrebbe poter subito essere praticata, da vescovi corag-giosi che vogliono evitare gli effetti negativi (in termine di appartenenza)dell’applicazione obbligata delle «zone pastorali» per mancanza di clero. Inve-ce di lasciar esaurire quanto resta delle comunità parrocchiali, occorre rinfor-zarle, creandone di nuove e affidandole ai laici: donne e uomini, ordinati o me-no, ma almeno chiamati e riconosciuti adulti e responsabili. Altrimenti il risul-tato sarà una ulteriore centralizzazione attorno a un prete, oberato di compiti sa-cramentali e amministrativi e sempre più lontano ed estraneo dalla vita reale deifedeli.Dai molti esempi, ecco alcune proposte pratiche per la Diocesi di Lugano: (1)affidare la responsabilità di ogni parrocchia o comunità ecclesiale senza presbi-tero residente ad alcuni laici (due o tre), designati «operatori pastorali» tra i cri-stiani locali, in casi eccezionali anche delle vicinanze; (2) organizzare in ognizona pastorale un corso en emploi di formazione per operatori pastorali (alme-no cinque pomeriggi formativi); (3) mettere a disposizione, tramite la Diocesi,per ogni zona pastorale un formatore degli agenti pastorali, che farà da segreta-rio al presbitero responsabile della zona (è probabile che questo formatore, pre-te o laico, dovrà essere adeguatamente rimunerato per un impegno a tempo par-ziale o a tempo pieno); (4) istituire a livello diocesano un segretariato (almenoun uomo e una donna, adeguatamente retribuiti) che coordini la designazione ela formazione degli operatori pastorali di zona e l’attività dei formatori-segre-tari e il coordinamento con i consigli e le associazioni e movimenti presenti indiocesi.Non ci sono i soldi? Si trovino! I preti non sono d’accordo? Si lascino soli…

Scriba

go aperto nei seguenti campi d’azio-ne:

1) Le strutture di partecipazioneIn tutti i settori della vita ecclesiale lapartecipazione dei credenti è un cam-po di prova della credibilità del mes-saggio di libertà del Vangelo. In baseal vecchio adagio giuridico per cui«ciò che riguarda tutti, deve essere de-ciso da tutti» occorrono, a tutti i li-velli della Chiesa, più strutture sino-dali. I credenti devono poter parteci-pare alla nomina di importanti incari-chi ministeriali (vescovi, parroci). Ciòche può essere deciso in sede locale,lì sia deciso. Le decisioni siano tra-sparenti.

2) Le comunità parrocchialiLe comunità cristiane devono essereluoghi in cui gli uomini mettono l’unl’altro in comune beni materiali e spi-rituali. Ma oggi la vita comunitaria èsoggetta a un processo di erosione.Sotto la spinta della carenza di sacer-doti, vengono costruite unità pastora-li sempre più estese, sorta di «parroc-chie extra large» nelle quali risultavieppiù difficile esperire prossimità eappartenenza. Si perdono così identi-tà storiche e le reti sociali cresciuteattorno a esse. I sacerdoti entrano inburn-out. I credenti si allontano quan-do non si dà loro fiducia perché si as-sumano responsabilità e partecipino,entro strutture democratiche, alla con-duzione delle loro comunità. Il mini-stero ecclesiale sia al servizio della vi-ta delle comunità, e non viceversa. LaChiesa necessita per il ministero an-che di preti sposati e di donne.

3) Una cultura del dirittoIl riconoscimento della dignità e del-la libertà di ogni uomo si rende evi-dente proprio là dove i conflitti ven-gano gestiti con imparzialità e con vi-cendevole rispetto. Il diritto canonicoonora il proprio nome solo quando icredenti siano effettivamente messi incondizione di far valere i propri dirit-ti. La tutela del diritto e la cultura giu-ridica devono essere, nella Chiesa,urgentemente migliorate; un primopasso in questa direzione sarebbel’istituzione di una magistratura ec-clesiastica.

4) La libertà di coscienzaIl rispetto della coscienza individualeimplica che venga riposta fiducia nel-la capacità umana di decisione e di re-sponsabilità. Promuovere questa ca-pacità è compito anche della Chiesa;non può però trasformarsi in una sor-

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ta di tutela. È soprattutto nell’ambitodelle decisioni personali e delle for-me individuali concernenti la propriavita che questo rispetto va preso sulserio. La valorizzazione ecclesiale delmatrimonio e del celibato è fuori di-scussione. Ma essa non prescrive diescludere quelle persone che vivanoresponsabilmente l’amore, la fedeltàe la cura vicendevole con un partnerdello stesso sesso o come divorziati ri-sposati.

5) La riconciliazioneLa solidarietà con i «peccatori» ha perpresupposto che venga preso sul serioil peccato tra le proprie fila. Un tron-fio rigorismo morale non si addice al-la Chiesa. La Chiesa non può predi-care la riconciliazione con Dio senzacreare con le proprie azioni il presup-posto per la riconciliazione con colo-ro verso i quali si sia macchiata di unacolpa: mediante la violenza, la priva-zione del diritto, il sovvertimento delmessaggio biblico di libertà in unamorale rigorosa priva di misericordia.

6) Il cultoLa liturgia vive della partecipazioneattiva di tutti i credenti. In essa devo-no trovare spazio anche le esperienzee le forme espressive del presente. Lacelebrazione non può irrigidirsi neltradizionalismo. Una pluralità cultu-rale arricchisce la vita liturgica e nonsi accorda con le tendenze a una uni-formità centralistica. Il messaggio cri-stiano raggiungerà gli uomini soloquando la celebrazione della fede sifarà carico delle situazioni concretedella vita.

Il processo di dialogo iniziato nellaChiesa può portare alla liberazione ea una nuova partenza solo se tutti i par-tecipanti sono disposti ad affrontare lequestioni urgenti. Si tratta, in un libe-ro e leale scambio di argomentazioni,di cercare soluzioni che sottraggano laChiesa alla sua paralizzante autorefe-renzialità. Alla tempesta dell’ultimoanno non può seguire una quiete! Que-sta, infatti, nella situazione odierna,non potrebbe che essere una quiete ci-miteriale. In tempi di crisi la paura nonè mai stata una buona consigliera. Lecristiane e i cristiani sono chiamati dalVangelo a guardare con coraggio al fu-turo e – accogliendo le parole di Ge-sù – a camminare come Pietro sulleacque: «Perché avete paura? È così po-ca la vostra fede?»

(febbraio 2011)

Vacanze intollerabili. La diocesi diLosanna Ginevra e Friburgo è ancorasenza il vescovo titolare, dopo la mor-te di mons. Genoud il 21 settembre2010. Sembra che la scelta del suc-cessore sia particolarmente difficile,per cui il Nunzio (che ha compiuto i75 anni lo scorso 23 marzo ed è inpartenza) ha presentato su tre suc-cessive liste la bellezza di undici can-didati!La Chiesa cattolica è una istituzionesecolare, ma una diocesi moderna nonpuò aspettare mesi per avere un re-sponsabile, specie quando da tempo sisapeva che mons. Genoud era limita-to nel suo ministero. Le lungaggini va-ticane a nominare i vescovi non sonopiù tollerabili, in un mondo (e in unaChiesa) con problemi sempre più ur-genti. Vedremo come sarà considera-ta la diocesi di Lugano, il cui vesco-vo raggiungerà il limite canonico ilprossimo 29 ottobre. Gli sarà prolun-gato l’incarico (come spesso decideBenedetto XVI, lui stesso ormai ab-bondantemente «fuori quota»)? Ma al-lora lo si decida subito, perché non siresti in situazioni provvisorie per me-si; oppure siano avviate per tempo lenecessarie procedure, con una largaconsultazione di clero e popolo, in mo-do da ridurre il più possibile la «sedevacante».

Appello ai laici. Il quotidiano dellaDiocesi (4 dicembre 2011) titola: «Ipreti sono consapevoli che da soli nonsono Chiesa» e presenta lo studio delConsiglio presbiterale che postula piùcomunione e solidarietà tra i preti eun laicato che sia non solo collabora-tore ma corresponsabile. Il 12 marzoscorso, sempre il GdP informa che«parte l’ottava edizione del corso diformazione per animatori di gruppigiovanili», sotto il titolo «Cercansianimatori parrocchiali». Il presidentedell’Azione cattolica, De Lorenzi, su«Spighe» di febbraio riferisce di unincontro a livello svizzero con il Co-mitato svizzero per l’apostolato deilaici e osserva: «In molte parrocchiedella Svizzera tedesca non ci sonopreti e allora sono attivi i laici, molticome operatori pastorali stipendiati,da noi invece i preti hanno saldamen-te in mano le parrocchie e i laici col-laborano a titolo di volontariato».Quindi, cerchiamo laici e …conver-tiamo i preti.

Vescovo padrone. La diocesi di Coi-ra sta attraversando momenti di ten-sione per i modi autoritari con cuigoverna il vescovo Vitus Huonder. Pri-ma imponendo senza alcuna consul-tazione mons. Eleganti, un abate be-nedettino tradizionalista, come vesco-vo ausiliare residente a Zurigo, in se-guito tentando di promuovere avescovo il vicario generale MartinGrichting, noto per la sua polemicacontro il sistema «duale» vigente nel-le diocesi svizzere (…ma ha dovutorinunciare alla promozione), poi spo-stando mons. Eleganti a direttore delseminario di Coira, a sostituire il ret-tore Ernst Fuchs che ha lasciato l’in-carico per divergenze col vescovo, co-sì come il vicario generale AndreasRellstab, un altro stimato sacerdotediocesano. Le preferenze di mons.Huonder per la messa tridentina (dainsegnare ai seminaristi) e di mons.Grichting (per il quale nella Chiesa cideve essere un solo capo, il vescovo,a decidere anche delle finanze…) han-no suscitato reazioni nei rappresen-tanti delle Chiese cantonali della dio-cesi, riuniti nella Conferenza di Bi-berbrugg. La Conferenza dei vescovisvizzeri è detta disponibile a esami-nare proposte nel senso di adottare ilmodello italiano di finanziamento del-le Chiese (preferito dai canonisti va-ticani), mentre la Chiesa evangelica ri-formata grigione sostiene il sistema at-tuale delle imposte ecclesiastiche. In-tanto mons. Grichting, rifiutato inparecchie parrocchie dove avrebbe do-vuto impartire la cresima, polemizzacol vescovo di San Gallo che si è di-mostrato «comprensivo» nei confron-ti del parroco di Gossau, novello pa-dre, dicendosi possibilista sul presbi-terato di uomini sposati. Quanto ai ve-scovi svizzeri, riuniti in Conferenza,incaricano mons. Huonder dei dica-steri: «formazione ecclesiale» e «mi-nisteri e servizi» e invitano al dialogoe a rinunciare a prendere posizione suimedia. Ma con un vescovo autorita-rio, dov’è che si dialoga?

Aborti in Ticino. Stabile il numerodegli aborti legali praticati nel Ticino:625 nel 2010, 626 nel 2009, 682 nel2008. In diminuzione gli interventi sudonne residenti all’estero: 195 nel2010, 215 nel 2009, 227 nel 2008; 601interventi furono praticati in ambula-torio, 413 con metodo farmacologico.

CRONACA SVIZZERAa cura di Alberto Lepori

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Crocefisso conteso. Il docente valle-sano licenziato per aver rifiutato diriappendere in un’aula il crocefisso,ha rinunciato a ricorrere al Tribunalefederale anche se ritiene il licenzia-mento abusivo. Nel frattempo il GranConsiglio vallesano ha respinto con86 voti contro 18 e 14 astensioni unaproposta provocatoria dell’Unionedemocratica di centro che voleva im-porre un crocefisso in tutte le aulescolastiche del Cantone. Il Consigliogenerale (cittadino) di Friburgo ha de-ciso invece con 31 voti contro 18 e 12astensioni, di mantenere nella sala isimboli religiosi e politici: per il rap-presentante radicale, la croce resta unsimbolo importante e occorre rispet-tare il credo della maggioranza dellapopolazione; per i democristiani to-gliere i segni religiosi è contro la li-bertà d’espressione. Oltre al crocefis-so, sulla parete della sala campeggiala scritta: «Sii buono, Dio ti vede».

Convivere con l’Islam. Un gruppo dilavoro diretto dal rettore basilese An-tonio Loprieno, comprendente imam,professori e rappresentanti della Con-federazione, si sta occupando dellapossibilità di formare imam in Sviz-zera.Una proposta potrebbe essere formu-lata entro l’estate; la Confederazione,tramite il Segretariato di Stato al-l’educazione e alla ricerca, spera cheimam formati in Svizzera possanocontribuire all’integrazione dei mu-sulmani meglio di quelli formati neipaesi d’origine.Per un miglioramento dei loro rapporticon lo Stato, due organizzazioni-man-tello dei musulmani, la Federazionedelle organizzazioni islamiche dellaSvizzera (FOIS) e il Coordinamentodelle organizzazioni islamiche dellaSvizzera (KIOS), hanno annunciato divoler eleggere un «parlamento reli-gioso» in rappresentanza dei circa400.000 musulmani viventi in Sviz-zera, per superare l’attuale divisionedeterminata dalle diverse provenienzeetniche.Per favorire l’integrazione, il governosangallese ha proposto di permetterela realizzazione, nei cimiteri, di setto-ri speciali per le tombe destinate aimusulmani, come già succede anchea Lugano. E mentre le comunità cat-tolica e evangelica si dicono d’accor-do, l’Unione democratica di centro ècontraria. Così come è contrario ilConsiglio federale, rappresentato dal-l’Ufficio federale di giustizia e poli-zia, a che la Grande Camera dellaCorte europea dei diritti umani si oc-

cupi dei ricorsi contro l’articolo co-stituzionale che vieta la costruzionedei minareti. Eppure sarebbe interes-sante sapere perché sono vietati i mi-nareti e non i crocefissi… È vero chemolti sono i crocefissi e pochi i mi-nareti (nessuno li chiede), ma non pa-re un buon argomento.

Chiese a Ginevra. Nel Canton Gine-vra (dove vige la separazione tra Chie-se e Stato) è in elaborazione una nuo-va Costituzione: il progetto in discus-sione, mentre conferma la scelta laica(nessuna Chiesa è esplicitamente ri-conosciuta), offre lo spazio per unacollaborazione tra Cantone e comuni-tà religiose grazie al nuovo articolo193: «Lo Stato riconosce il ruolo del-le associazioni e del volontariato nel-la vita collettiva. Può allacciare rap-porti di partenariato per attività di in-teresse generale». Questo articolosarebbe applicabile anche alle Chie-se; resta la possibilità di fare incassa-re dal Cantone i contributi volontarialle Chiese, come finora. Le Chiesehanno giudicato favorevolmente il fat-to che la nuova Costituzione prevedail rispetto delle persone e la solida-rietà, valori che trovano fondamentoanche nel cristianesimo. A Ginevraevidentemente si apprezzano i fruttipiuttosto che le radici.

Prudenza svizzera. Con 103 voticontro 86 (erano contrari UDC ePLR), finalmente il Consiglio nazio-nale ha aderito al precedente voto delConsiglio degli Stati, di raggiungereentro il 2015 lo 0,5% del prodotto na-zionale lordo da destinare all’aiuto al-lo sviluppo, con un aumento di 640milioni nei prossimi due anni. Unaproposta di aumentare l’aiuto allo 0,7del PNL (percentuale auspicata a li-vello mondiale) è stata bocciata. Ge-nerosi quindi, ma senza strafare; sia-mo svizzeri e lasciano alle grandi ban-che di scialacquare nelle retribuzioniai loro dirigenti.

Progressi giuridici. Col 1. gennaio2011 sono entrate in vigore le modi-fiche del Codice penale svizzero cherecepiscono i reati di competenzadello Statuto di Roma del 1998, dicompetenza della Corte penale inter-nazionale. Così potranno essere per-seguiti in Svizzera gli autori dei cri-mini di guerra contro l’umanità, an-che se commessi all’estero, qualoragli autori risiedano in Svizzera e nonpossano essere giudicati da un tribu-nale penale internazionale. Il Consi-glio federale ha pure finalmente fir-

mato, il 10 dicembre 2010, la Con-venzione contro le sparizioni forza-te, entrata in vigore alla fine del 2010dopo quattro anni dalla sua adozioneda parte delle Nazioni Unite. La con-venzione deve ancora essere ratifica-ta dalle Camere federali: solo alloragli autori di tale crimine potranno es-sere perseguiti qualora si trovino inSvizzera.

Trentesimo di ACAT. La sezionesvizzera dell’Associazione contro latortura e la pena di morte (ACAT) ce-lebra quest’anno il trentesimo di atti-vità. Fondata in Francia nel 1974, èattiva dal 1981 anche con una sezio-ne svizzera di circa duemila membrie si dedica specialmente a sensibiliz-zare gruppi e parrocchie cattoliche afavore di persone torturate in tutto ilmondo, proponendo la sottoscrizionedi lettere di denuncia e di petizioni ri-volte a responsabili politici e a giudi-ci, proponendo anche azioni di soste-gno spirituali, come liturgie partico-lari a favore dei torturati in occasionedel Venerdì Santo. Il trentesimo saràfesteggiato a Berna il 21 maggio, inoccasione dell’assemblea generale,nella chiesa della comunità riformatadi lingua francese, Predigergasse 3.L’associazione è poco conosciuta nelTicino. Vi si può aderire (e ricevere larelativa documentazione), rivolgen-dosi ad:ACAT-Suisse, Speichergasse29, casella postale 5011, 3001 Berna(www.acat.ch).

Il «Courrier» continua a correre.Grazie ai contributi di 1660 generosiche hanno versato nel 2010 in totale303.182 franchi, il quotidiano gine-vrino «Le Courrier» potrà continuarea svolgere la sua funzione di «stampaalternativa» d’ispirazione sociale,ecologica e fondamentalmente cri-stiana. Il contributo dei donatori rap-presenta il 10% circa delle entrate; èdiventato indispensabile alla soprav-vivenza del foglio da quando «LeCourrier» ha perso il sussidio dellaChiesa cattolica ginevrina (era natonell’Ottocento come giornale cattoli-co). I giornalisti non avevano accetta-to di cambiare direttore, come chie-devano alcuni ricchi contribuenti, nonabbastanza «cattolici» per essere uni-versali e persino liberali nelle opinio-ni. Attualmente, «Le Courrier» im-piega 34 persone, nessuna a tempopieno. Gli abbonamenti (circa 10.000,specialmente in Romandia) rappre-sentano il 77% delle entrate, la pub-blicità il 13%.

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AGLI INIZI DEL DIALOGOEBREO-CATTOLICO

Cinquant’anni fa iniziava la nuova stagione del dialogo tracattolici ed ebrei, con l’incontro tra un vecchio di 84 anni,malato di cancro: Jules Isaac, e Papa Giovanni XXIII. Isa-ac avrebbe voluto mettersi in viaggio per Roma per parlarecon il Papa delle ingiustizie commesse contro gli Ebrei; gliaveva inviato un dossier dove elencava tutte le falsità chenei secoli avevano additato al ludibrio e alla persecuzioneil popolo ebraico. Ma non aveva ricevuto risposta, forse per-ché il dossier si era perso nei corridoi del Vaticano. In pa-tria Jules Isaac era un intellettuale stimato: suoi libri veni-vano utilizzati come testi in diversi gradi di scuola, era sta-to mi nistro della cultura, molti suoi parenti erano stati arre-stati e sterminati ad Auschwitz. Storico rigoroso, conquistatoda una vera passione per la verità, aveva dedicato le sue ri-cerche a chiedersi la ragione vera di tante persecuzioni, elen-cando le fonti storiche delle menzogne che avevano addita-to al disprezzo il popolo ebraico nei Paesi dove la diasporalo aveva disperso, e l’emarginazione, i pogrom, le stragi chenei secoli questo disprezzo aveva provocato. Nonostante gliinterventi dell’ambasciatore francese, l’udienza continuavaa non venirgli accordata. Si ricordò allora di una giovanedonna, già assessore alle Belle Arti e conosciuta a Venezia:Maria Vingiani, che aveva seguito a Roma il patriarca Ron-calli, divenuto Papa, per continuare la sua «vocazione», tra-mite l’associazione «Segretariato Attività Ecumeniche»(SAE), da lei fondata. Grazie a Maria Vingiani, e con la«complicità» di mons. CapoviIla, segretario del Papa già aVenezia, lo storico francese riuscì a realizzare l’incontro tan-to desiderato, dal quale avrebbe preso avvio il dialogo cat-tolico-ebraico. Il primo passo fu l’abolizione, nella preghieradel Venerdì Santo, della dizione: «perfidi ebrei», poi unapiù giusta considerazione e stima di coloro che sarebberodiventati «fratelli maggiori». Giunse infine il Concilio Va-ticano II, che approvò il documento «Nostra Aetate», in cuisi afferma «il grande patrimonio spirituale comune ai cri-stiani e agli ebrei» e si raccomanda «la mutua conoscenzae stima che si ottengono soprattutto dagli studi biblici e teo-logici e da un fraterno dialogo». Maria Vingiani ha recen-temente festeggiato a Roma i novant’anni e ha potuto ri-cordare i cinquant’anni dello storico incontro, che fu al-l’inizio del dialogo di amicizia con i fratelli ebrei, dialogotuttora vivo nella Chiesa cattolica e che rappresenta uno deiprincipali impegni del SAE.

LUTERO A ROMANel 1510 il futuro riformatore tedesco Martin Lutero feceun soggiorno a Roma, perché doveva sistemare alcune que-stioni interne all’Ordine monastico degli Eremiti agostinia-ni, al quale apparteneva. Si trattava di un ordine particolar-mente severo. Lutero fu inviato per risolvere questioni siaamministrative sia teologiche, ma quella fu per lui anchel’occasione di visitare e conoscere il luogo più importantedella cristianità. L‘impressione che ne ebbe fu, nel com-plesso, negativa. Lutero non la giudicò dal profilo delle bel-lezze artistiche, ma della spiritualità che esprimeva. Ebbel’impressione di una città che viveva una religiosità mon-dana, superficiale, persino un po’ blasfema. Il modo sbri-gativo in cui venivano celebrate le messe, le modalità con

cui i pellegrini venivano accolti nelle varie tappe del loropellegrinaggio e seguiti nelle loro devozioni, diedero a Lu-tero l’impressione di una città che, invece di essere fonte diluce per tutta la Chiesa, era percorsa da non poche ombre eambiguità. Certamente, la visita a Roma non fu per Luterol’elemento scatenante per determinare la Riforma. La Ri-forma nacque non tanto dallo scandalo per l’ambigua e sca-dente religiosità riscontrata a Roma, bensì dallo studio del-la Bibbia e dalla scoperta della giustizia di Dio, che non con-danna ma giustifica gratuitamente e incondizionatamente ilpeccatore che si pente e si affida a lui. L’illuminazione diLutero avvenne infatti circa cinque anni dopo la visita a Ro-ma, quando nel 1515 iniziò a commentare il Libro dei Sal-mi. Più probabile, invece, che nel 1517/18, a distanza di an-ni, il ricordo del viaggio a Roma abbia contribuito a raffor-zare l’affermazione teologica che il Papato, in quanto isti-tuzione, fosse una manifestazione dell’Anticristo. (da unaintervista al prof. Paolo Ricca, da NEV, Notizie evangeli-che, Roma, 2010)

CATTOLICI CRISTIANIIn Svizzera è la terza Chiesa nazionale: di essa si parla co-me della confessione dei «cattolici cristiani», oppure dei«vecchi-cattolici». Sono 14.000, attualmente, nel nostro Pae-se, in Europa ottantamila, raccolti in diocesi collegate sot-to la denominazione: «Unione di Utrecht». Questa Chiesanacque nel 1870, da uno scisma seguito al Concilio Vatica-no I, a causa dell’introduzione del dogma dell’infallibilitàdel Papa e della sua giurisdizione universale. In Svizzera siera in pieno Kulturkampf, questi «dissidenti» ricevettero per-ciò un forte sostegno politico e la Chiesa cattolica cristianafu presto riconosciuta come Chiesa nazionale. Le furonoinoltre assegnate anche alcune chiese appartenenti ai catto-lici. Nella Chiesa svizzera la struttura organizzativa è quel-la parlamentare: il Sinodo è composto per due terzi di laicie per un terzo di ecclesiastici. È stata mantenuta la quasi to-talità della liturgia cattolica, con ministri ordinati e la suc-cessione apostolica per i vescovi. La nomina dei parroci av-viene da parte dell’assemblea parrocchiale. Le note fondantidi questa Chiesa furono all’origine l’obbligo di leggere lamessa nella lingua del Paese, l’abolizione del celibato ob-bligatorio per i preti e della confessione obbligatoria.

CONVOCAZIONE PER LA PACEA KINGSTON

I cristiani di tutto il mondo sono chiamati a confrontarsi conle sfide attuali poste dal tema della pace. Dopo la conclu-sione del «Decennio per superare la violenza», istituito dalConsiglio ecumenico delle Chiese (CEC), lo stesso organi-smo ecumenico ha deciso di indire una Convocazione ecu-menica internazionale per la pace. L’assemblea si svolgeràa maggio a Kingston (Giamaica). All’ottava Assemblea ge-nerale del Consiglio ecumenico delle Chiese (Harare, Zim-babwe, 1998) si decise che gli anni 2001-2010 sarebberostati dedicati ad un «Decennio per superare la violenza»; ela nona Assemblea generale (Porto Alegre, Brasile, 2007)volle che il «Decennio» si concludesse nel 2011 con unaConvocazione ecumenica internazionale della pace. Nel2007 il Comitato centrale del CEE ha scelto Kingston, ca-pitale della Giamaica, come sede della Convocazione. AGinevra è stato preparato, nella primavera del 2009, il Do-cumento introduttivo al tema della Convocazione che si ter-rà dal 17 al 24 maggio prossimi (altre informazioni sul si-to della Convocazione: www.overcomingviolence.org).

OSSERVATORIO ECUMENICO

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Lettere al presidente. Il presidentedell’Unione cristiana evangelica bat-tista in Italia (UCEBI) ha inviato unalettera aperta al presidente Berlusco-ni in cui ricorda che il re Davide,«uo-mo di governo non seppe sempre ge-stire bene il delicato rapporto tra il po-tere e la responsabilità», e rivolse aDio il Salmo 101, dove dice:«Cante-rò la bontà e la giustizia; avrò cura dicamminare nell’integrità; cammineròcon cuore integro dentro la mia casa;non mi proporrò nessuna cosa malva-gia; allontanerò da me il cuore per-verso; avrò gli occhi sui fedeli del pae-se per tenerli vicini a me; chi cammi-na per una via irreprensibile sarà mioservitore; chi agisce con inganno nonabiterà nella mia casa». L’Unione ita-liana delle Chiese cristiane avventistedel Settimo giorno (UICCA) ha in-viato un comunicato al presidenteNapolitano, con copia al presidenteBerlusconi, ove scrive che chi occupaposizioni di responsabilità nella vitapubblica dovrebbe «tenere comporta-menti morali chiari, consoni al ruoloricoperto, rispettosi dei principi fon-damentali di moralità pubblica». Perle Chiese avventiste, «i cittadini ita-liani, soprattutto i più giovani, hannobisogno di vedere rispecchiate nei lo-ro rappresentanti le istanze migliori evanno indirizzati a considerare comeideali da perseguire non il modello diuna vita facile, amorale, da trascorre-

re nel puro godimento del presente,ma quello di una esistenza spesa nel-l’impegno, con serietà, nel rispetto delproprio corpo e nella solidarietà».(«Adista», 22 gennaio)

Quarantesimo.Gli amici torinesi (tracui Enrico Peyretti e Aldo Bodrato) fe-steggiano i quarant’anni del loro «Fo-glio», «mensile di alcuni cristiani»,iniziato nel 1971 nel clima post-con-ciliare che vide la nascita di molti pic-coli e grandi fogli nella periferia (co-me «Dialoghi», nato tre anni prima).Alcuni hanno resistito, con alti e bas-si, perché «essere nella Chiesa preva-le sul malessere». Il «Foglio» conta500-600 lettori, vive di volontariato esenza aiuti finanziari, continua il suo«cammino nel deserto» (quarant’annicome Israele!). Con loro, «Ci tenia-mo svegli».

Multiculturalità. In un convegnosvoltosi lo scorso dicembre alla fa-coltà teologica pentecostale di Aver-sa, è stata illustrata la funzione delleChiese sorte specialmente dalla im-migrazione nel favorire la crescita diuna società multiculturale e integrati-va. In una ricerca sulle realtà delleChiese evangeliche a Castel Volturnoè stato dimostrato come le Chiese pos-sono essere luoghi di integrazione espazi di incontro, svolgendo un’im-portante funzione di promozione so-

ciale. Nel territorio del comune ca-sertano sono attive una quarantina dicomunità evangeliche che costitui-scono una presenza spirituale e so-ciale di grande vitalità. Secondo al-cune stime, riferite dal prof. Paolo Na-so dell’Università «La Sapienza»,quattrocentomila persone immigratein Italia appartengono alle diverseChiese protestanti del Sud del mon-do. La sfida è valorizzare questi ap-porti per il cristianesimo e la societàitaliana.

I musulmani aumentano. Secondoil rapporto «Il futuro della popolazio-ne musulmana globale» pubblicato aWashington, tra vent’anni, nel 2030,«i musulmani nel mondo aumenteran-no dagli attuali 1,6 a 2,2 miliardi: per-tanto nel 2030 un abitante del mondosu quattro sarà di fede musulmana». InEuropa, il rapporto prevede che la po-polazione musulmana crescerà di unterzo nei prossimi due decenni, pas-sando dagli attuali 44,1 milioni (6%)a 58,2 milioni (8%). In Svizzera, lostudio ritiene che i musulmani passe-ranno dall’attuale 5,7% all’8,1%. Lapopolazione musulmana oggi è il23,4% della popolazione mondiale,tra vent’anni arriverà al 26,4%, cre-scendo a un tasso dell’1,5%, doppio ri-spetto a quelle di altri fedi religiose.Nel 2030 più di sei musulmani su die-ci vivranno nella regione Asia – Paci-fico, il Pakistan sarà la nazione mu-sulmana più popolosa, scavalcandol’Indonesia, in Africa la Nigeria sor-passerà l’Egitto.

18 cronaca No. 216

CRONACA INTERNAZIONALE

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di Friedrich GlauserEdizione italiana a curadi Gabriella de'GrandiFormato 12.5 x 21,240 pp. con illustrazioni Fr. 20.–

Glauser è un nome af-fermato e con lui è natoin Svizzera il genere po-liziesco. Il personaggio,morto a quarantadue an-ni ha avuto una vita tra-vagliata e difficilissima.

di GiovannaSilvani-WeidmannFormato 12.5 x 21, 135 pp., Fr. 20.–

Arnoldo Dadò fu l'ultimo al-pigiano di Val Bavona. Il libronarra l'incontro tra l'uomodella montagna e una don-na di città, bisognosa di ri-trovare se stessa. Ne scatu-risce un'amicizia ricca e in-dissolubile, con due vite pra-ticamente opposte.

Annegare è il nostro destino Arnoldo l’alpigiano. Un mito, una leggenda

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Luigi Sturzoin Ticino

Don Luigi Sturzo (1871-1959), fon-datore nel 1919 del Partito PopolareItaliano, costretto dal fascismo al-l’esilio, continuò, fino al suo rientroin Italia nel 1946, a battersi per la li-bertà con le poche armi che gli rima-nevano: i contatti internazionali, leconferenze pubbliche, i libri e gli ar-ticoli sui giornali di tutta Europa e poinegli Stati Uniti, le relazioni associa-tive e personali. Questa sua attività am-mirevole, malgrado l’età avanzante el asalute cagionevole, negli anni Trentatoccò anche la Svizzera ed ebbe unparticolare sviluppo nel Ticino. Il gio-vane ticinese Lorenzo Planzi – pre-sentando un lavoro di master in storiaall’università di Friburgo sotto la di-rezione dei professori François Pythone Fabrizio Panzera – ha ricostruitol’origine e lo sviluppo di questa pre-senza in modo esauriente per quantoconcerne il Ticino, mentre a Friburgocontinuano le ricerche per le altre pre-senze sturziane in Svizzera.Secondo lo studio di Planzi, furonoprincipalmente tre i canali della pre-senza di Sturzo nel Ticino: un prete ti-cinese, don Giuseppe Daldini, fin dal1932 «corriere» tra gli ex popolari mi-lanesi e l’esule londinese; il quotidia-no conservatore-democratico di Bel-linzona «Popolo e Libertà», diretto dadon Francesco Alberti, che riprese ametà degli anni Trenta alcuni articoliapparsi sul giornale cattolico fribur-ghese «La Liberté», al quale Sturzocollaborava grazie ai contatti allaccia-ti nel 1933 durante un viaggio in Sviz-zera; e don Luigi Del Pietro, segreta-rio sindacale, il quale invitò nel 1938l’esule londinese a collaborare al set-timanale «Il Lavoro» dell’Organizza-zione cristiano-sociale ticinese. Av-vertito da don Daldini dell’interessedel quotidiano ticinese per i suoi arti-coli, Luigi Sturzo si offrì di diventar-ne collaboratore stabile, in un mo-mento, il 1935, nel quale si facevasempre più difficile la sua azione an-tifascista tra i totalitarismi al potere inEuropa (Italia, Germania, Spagna).L’offerta fu prontamente accolta dadon Alberti, da tempo impegnato a de-nunciare la natura anti-democratica delfascismo italiano e a combattere gliammiratori del fascismo e i cattolici«tolleranti» in Ticino, tra cui il quoti-

diano della Curia – il «Giornale del Po-polo» – allineato sulle scelte diplo-matiche del Vaticano. Nel periodo1935-1940, la collaborazione di Stur-zo al giornale bellinzonese fu inten-sissima, con oltre cento articoli pub-blicati in prima pagina con particola-re rilievo. Lo scoppio della guerra e iltrasferimento di Sturzo in Americatroncarono le pubblicazioni, invise al-le autorità fasciste (che intervenneroinutilmente a Berna per via diploma-tica e tramite il Nunzio) e che trova-rono limiti anche nella censura intro-dotta a seguito della guerra scoppiatain Europa. Gli articoli di Sturzo die-dero un importante contributo alla di-fesa dei principi democratici nell’opi-nione pubblica ticinese e non manca-rono di avere eco in Italia, anche se ilfascismo aveva vietato l’importazionedel «Popolo e Libertà».Il volume curato da Planzi reca in ap-pendice tutti gli articoli di Sturzo pub-blicati dal quotidiano bellinzonese, co-me pure quelli ospitati dal «Lavoro»,prevalentemente di argomento sinda-cale, e quindi permette di giudicarnel’importanza per quei momenti peri-gliosi e di apprezzarne l’insegnamen-to democratico, tuttora valido. La ri-costruzione storica della presenzagiornalistica di Sturzo nel Ticino to-glie dall’oblio e mette in evidenza larete di solidarietà e di amicizie che sicostituì in quegli anni tra l’esule po-polare e un gruppo di ticinesi, in par-ticolare coi preti Daldini, Alberti e DelPietro: scambio di informazioni, di va-lutazioni e speranze, e persino ripetu-ti inviti a soggiornare in Ticino, pur-troppo non accolti. Don Alberti ebbeil piacere (forse in compagnia del-l’amico don Gatti, un fuoriuscito val-tellinese insegnante a Bellinzona) diincontrare nel 1937 don Sturzo a Pa-rigi; non ebbe invece la soddisfazionedi festeggiare la vittoria delle demo-crazie sui fascismi di allora, essendovenuto a mancare il 15 settembre 1939.a.l.L. Planzi, Luigi Sturzo e il Cantone Ticino.La terra che gli diede voce sfidando il fasci-smo (1929-1947), Edizioni L’Incontro, Men-drisio, Armando Dadò, Locarno, 2011, pag.417, fr. 30.

Quando il Papanon doveva parlare

Questo ottimo libro è frutto del lavo-ro di Lucia Ceci, docente di storia con-temporanea all’univer sità di Roma Tor

Vergata, e che da anni viene apprez-zata per i suoi studi sulla presenza del-la Chiesa in America latina e in Afri-ca, soprat tutto per ciò che concerneruoli e attività dei missionari.Riprendendo suoi studi precedenti,l’autrice propone una ricostru zione or-ganica dei giudizi e del comporta-mento della Chiesa italiana, dai suoivertici alla base parrocchiale e mis-siona ria. Si tratta di un lavoro ampia-mente con vincente e ben documenta-to, grazie anche all’uso sistematicodelle carte finalmente con sultabili del-l’Archivio Segreto Vaticano. Il ti tolosi riferisce a quel complesso di pres-sioni e di manipolazioni di cui fu og-getto papa Pio XI, intimamente con-vinto dell’ingiustizia della guerrad’aggressione all’Etiopia. Era già no-to, infatti, che le durissime frasi da luipro nunciate il 27 agosto 1935, rice-vendo circa duemila infermiere catto-liche, furono all’ori gine di un inci-dente diplomatico con l’Italia e, cosaper certi versi sorprendente, furonopubblicate sullo stesso «OsservatoreRo mano» con molte manipolazioni –operate da mons. Tardini e da un re-dattore del giornale – per attenuarnel’impatto pubblico. Da al lora e fino altermine del conflitto Pio XI tac que e,anzi, i suoi possibili interventi furonoin qualche modo concordati con Mus-solini, rassicurando in anticipo il Du-ce su quel che il Papa avrebbe detto.Pio XI rinunciò di fatto a parlare diqueste cose, pur conservando dentrodi sé una forte impronta critica.Lucia Ceci documenta bene tutti i pas-si com piuti in Vaticano dalla fine del1935 al 1941, anno della disfatta ita-liana in Africa Orien tale. Nulla fu com-piuto che potesse distur bare il buonrapporto con il regime, accettando de-cisioni quanto meno problema tiche co-me il decreto Lessona, del 1937, suldi vieto delle relazioni coniugali tra ita-liani e donne indigene (anticipazionedelle leggi raz ziali dell’anno successi-vo) oppure tacendo sui mas sacri ordi-nati da Graziani nella repressione del-la resistenza etiope, oltre che sulla que-stione dell’impiego delle armi chimi-che da parte italiana. Anche per quantoriguardava la piena italianizzazionedelle missioni catto liche presenti inEtiopia, tutto fu fatto per ac contentarele richieste del regime. Del resto talu-ni missionari erano già stati ampia-mente utilizzati per svolgere compitiprettamente militari al tempo della pre-parazione e poi dello svolgimento del-l’attacco italiano. In so stanza, Ceci raf-forza con il suo lavoro le tesi già pro-poste, su altri temi, da Emma Fattori-

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BIBLIOTECA

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In questo numeroI corsivi di «Dialoghi»� LE TRISTEZZE E LE ANGOSCEDI OGGI (Editoriale) 1

� SEGNI RELIGIOSI IN PUBBLICO(a. l.) 2

Dossier ogm� CHI HA PAURA DEGLI OGM?(Marco Martucci) 3

� LA SVIZZERA FINORAHA DETTO «NO» (Daria Lepori) 5

� GLI OGM E LA CRISI ALIMENTAREMONDIALE (Intervista a Pietro Veglio) 6

Articoli� TESORI DELLA TERRA E DIRITTIUMANI (Federica Mauri Luzzi) 8

� CONFERMATA A DAKAR LAVITALITÀ DEL FORUM SOCIALEMONDIALE (Daria Lepori) 11

� EL CAMINANTE È GIUNTOALLA META (Claudia Fonti) 12

� DOPO LA TEMPESTA,LA QUIETE DEI CIMITERI?Il memorandum di 143 teologi tedeschi 13

� ZONE PASTORALI O CHIESEDOMESTICHE? (Scriba) 14

� BIBLIOTECAL. Planzi, Luigi Sturzo e il CantoneTicino (A. Dadò) 19L. Ceci, Il Papa non deve parlare(Laterza) 19G. Formigoni, L’Italia dei cattolici(Il Mulino) 20

� CRONACAINTERNAZIONALE 9, 10,18

� CRONACA SVIZZERA 15, 16� OSSERVATORIO ECUMENICO 17

dialoghi di riflessione cristiana

Comitato: Alberto Bondolfi, ErnestoBorghi, don Emilio Conrad, Serse Forni,Aldo Lafranchi, Alberto Lepori, DariaLepori, Enrico Morresi, MargheritaNoseda Snider, Marina Sartorio, CarloSilini.

Redattore responsabile: Enrico Morresi,via Madonna della Salute 6, CH-6900Massagno, telefono +41 91 - 966 00 73,e-mail: [email protected]

Amministratore: Pietro Lepori,6760 Faido Tengia, tel. 091 866 03 16,email: [email protected].

Stampa: Tipografia-Offset Stazione SA,Locarno.

I collaboratori occasionali o regolarinon si ritengono necessariamenteconsenzienti con la linea della rivista.

L’abbonamento ordinario annuale(cinque numeri) costa fr. 60.–,sostenitori da fr. 100.–Un numero separato costa fr. 12.–Conto corr. post. 65-7206-4, Bellinzona.

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ni (Pio XI, Hitler e Mussolini. La so-litudine di un papa, Einaudi, Torino,2007), e cioè l’imma gine di un Papasempre più critico verso i to talitarismi,ma al tempo stesso incapace – o im-possibilitato, anche per le resistenzein terne in Vaticano – a formulare aper-tamente il proprio pensiero.Il libro di Lucia Ceci conferma anchequanto già si sapeva sull’atteggiamen-to conformi stico, pieno di entusiasmie di ridondanze retoriche, manifestatodall’episcopato e dal clero italiano, so-prattutto dopo il varo delle sanzioni daparte della Società delle Nazioni e almomento della «giornata della fede»del 18 dicembre 1935. Colpisce sem-mai al ri guardo quanto l’autrice ripor-ta sui giudizi che erano presenti in Va-ticano nei confronti di questi atteggia-menti: sempre per mons. Do menicoTardini, il clero italiano era «tumul -tuoso, esaltato, guerrafondaio» (p.140) e i vescovi i «più verbosi, più ec-citati, più... squilibrati di tutti» (p. 9).Ma Pio XI si limitò a far raccomanda-re – in segreto – maggiore moderazio-ne e prudenza, contribuendo così a fardiffondere nel mondo l’immagine diuna Santa Sede pienamente consen-ziente alla politica di Mussolini. Gior-gio Vecchio (da «Impegno», rassegnadi religione, attualità e cultura, Boz-zolo, anno XXI, n. 2, novembre 2010).Lucia Ceci, Il Papa non deve parlare. Chie-sa, fascismo e guerra d’Etiopia, Prefazionedi Angelo Del Boca, Laterza, Roma-Bari,2010, pp. 266.

Italia e cattolicidall’Unità a oggi

A oltre dieci anni dall’uscita del volu-me, Guido Formigoni ripropone unanuova edizione de L’Italia dei cattoli-ci, aggiornata e arricchita di un capi-tolo finale, che si distende, con gliattrezzi del «mestiere di storico»,fino alle soglie della stretta attualità.La fatica editoriale esce opportuna-mente nel clima delle celebrazioni delcentocinquantesimo anniversario del-l’Unità d’Italia, offrendo rinnovatispunti per ripensare il tortuoso rap-porto tra i cattolici e l’idea di nazionedall’incubazione risorgimentale a og-gi. L’autore, nella pregevole sintesi of-ferta, muove dalla convinzione – luci-damente argomentata – che il mito del-

la «nazione cattolica» abbia pervasi-vamente alimentato la cultura delle di-verse componenti della Chiesa italia-na, imponendosi anche sulla contrap-posizione frontale con lo Stato nazio-nale dopo l’unificazione. Si è trattato,infatti, di uno schema che, nelle diffe-renti declinazioni conosciute, ha fun-zionato ora come collante ideologico,ora come risorsa mobilitativa, ora an-cora come fattore di legittimazione,che ha permesso di avvicinare il mon-do cattolico, in forme non prive diaspetti problematici, nell’orizzontedella nazione italiana. L’assun zione diquesto modello ha indirettamente of-fuscato la capacità di cogliere i pro-cessi di laicizzazione delle istituzionie di secolarizzazione della società chehanno contraddistinto la «via italiana»alla modernizzazione, non impeden-do, tuttavia, al mondo cattolico di ri-correre, seppure attraverso filtri selet-tivi, agli strumenti della modernità.Dal crogiolo della seconda guerramondiale e poi della Resistenza, ilmondo cattolico italiano è uscito le-gittimato a svolgere un ruolo media-tore tra individualità nazionale e oriz-zonte mondiale. Il partito della De-mocrazia Cristiana si è così posto alcentro della politica del Paese, conci-liando la patria ideale con quella sta-tuale, nel nuovo quadro di rapporti trafede religiosa e democrazia. Per que-sta strada, il mondo cattolico ha para-dossalmente offerto un contributo si-gnificativo al consolidamento delloStato, che le generazioni che lo ave-vano visto nascere avevano osteggia-to. Se con il Concilio i residui «guel-fi» si sono scoloriti, negli anni Ses-santa il mondo cattolico italiano ha do-vuto fare seriamente i conti con ilprogressivo smottamento delle basi sucui si fondava l’idea stessa della Italia«naturalmente cattolica». Anche ri-spetto alle problematiche emergenti,le risposte non sono state univoche.Nella fuoriuscita dal mito, è emersauna progettualità capace di avviare una«organica prospettiva di evangelizza-zione», ancorata a letture realistichesull’incidenza dei processi di secola-rizzazione. Paolo Trionfini

(da «Impegno». cit.

Guido Formigoni, L’Italia dei cattolici. DalRisorgimento ad oggi, Il Mulino, Bologna,2010, pp. 217.

OFFRITE «DIALOGHI» A UN GIOVANE LETTORE! Ai suoi lettori più giovani,«Dialoghi» propone un abbonamento a prezzo scontato. Per trenta franchi, invece di ses-santa! I trenta franchi che mancano li versa il comitato di «Dialoghi» al momento di sal-dare la fattura della stampa. Perché non ci date una mano, lettori più anziani, a trovarelettori giovani alla rivista? Raccoglie le vostre segnalazioni l’amministratore di «Dialo-ghi»: Pietro Lepori, 6760 Faido Tengia, tel. 091 866 03 16, email: [email protected]