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3 LUGLIO - DICEMBRE 2001 7 RIVISTA DI STORIA FINANZIARIA RIVISTA DEL CENTRO INTERUNIVERSITARIO DI RICERCA PER LA STORIA FINANZIARIA ITALIANA (CIRSFI) NAPOLI – ARTE TIPOGRAFICA

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LUGLIO - DICEMBRE 2001

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RIVISTADI

STORIA FINANZIARIA

RIVISTA DEL CENTRO INTERUNIVERSITARIO DI RICERCAPER LA STORIA FINANZIARIA ITALIANA (CIRSFI)

NAPOLI – ARTE TIPOGRAFICA

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Direttore Responsabile: Francesco Balletta

Hanno collaborato a questo numero: Tiziana Borriello; Rossella Del Prete; LivioDoino; Vittoria Ferrandino; Simona Giglietta; Fabrizio Mezzaro; Teresa Sisa Sanse-verino; Amalia Scialò.

Indirizzo:“Rivista di Storia Finanziaria” – Sezione di Storia Economica “Corrado Barbagal-lo” del Dipartimento di Analisi dei Processi Economico-sociali, Linguistici, Produtti-vi e Territoriali

via Cintia, 26 – Monte S.Angelo, 80126 NapoliTel. 081/675267 oppure 081/8472615 – Fax 081/675353e-mail storia [email protected]

Autorizzazione del Tribunale Civile e Penale di Torre Annunziata (Na) n. 37del 22 gennaio 1997

Rivista giudicata di elevato valore culturale dal Ministero per i Beni e le Atti-vità Culturali ai sensi della legge del 5/8/1981 n. 416 (Lettera del 3/4/2002,prot. n. 1196/ 43)La Rivista è pubblicata sul seguente sito: www.delpt.unina.it/storiafinanziaria

Sulla copertina un dipinto di Carlo Montarsolo del 1991: Wall Street

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SOMMARIO

I. Saggi

R. DEL PRETE, Legati, patronati e maritaggi del Conservatorio dellaPietà dei Turchini di Napoli in età moderna

A. SCIALÒ, Fusioni ed acquisizioni di imprese nella Francia del 2000.Riflessioni in seno all’Unione Europea

II. Dai convegni

T. BORRIELLO, Le organizzazioni economiche non capitalistiche: il nonprofit in Italia

III. Dagli archivi

S. GIGLIETTA, La collana inventari dell’Archivio Storico della BancaCommerciale Italiana

LIVIO DOINO, Il sito www.svimez.it

IV. Dallo scaffale

F. BALLETTA, Il dibattito sulla riforma bancaria in Italia nel primodecennio dell’Unità

V. Recensioni

M. GANGEMI, M. OTTOLINO, M.G. RIENZO, E. RITROVATO, La coope-razione nel credito in Puglia. Dalle origini alla vigilia della secon-da guerra, mondiale, Bari, Cacucci Editore, 2000 (V. Ferrandino)

F. BALLETTA, Un colpo mancino assestato al mezzogiorno d’Italia: l’u-nificazione dell’emissione di cartamoneta nel 1926, Arte Tipogra-fica, Napoli, 2002 (T.S. Sanseverino)

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C.B. PELLEGRINI, Storia del Banco Ambrosiano. Fondazione, ascesa edissesto (1896-1982), Editori Laterza, Roma – Bari, 2001 (T.S.Sanseverino)

F. SPINELLI, La moneta dall’oro all’euro. Un vantaggio fra storia e teo-ria, ETAS Libri, Milano (T.S. Sanseverino)

D. DEMARCO, Storici ed economisti tra due secoli (1750-1950), Edi-zioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2001 (T.S. Sanseverino)

F. ARCHIBUGI, L’economia associativa. Sguardi oltre il Welfare State enel post-capitalismo, Edizioni di Comunità, Torino, 2002 (T.S.Sanseverino)

F. BOF, Gelsi, bigatterie e filande da metà Settecento a fine Ottocento,Editrice Universitaria Udinese srl, Udine, 2001 (T.S. Sanseverino)

M. AMATO, Il bivio della moneta. Problemi monetari e pensiero deldenaro nel Settecento italiano, EGEA, Milano, 1999 (F. Mezzaro)

G.P. BARBETTA, F. MAGGIO, Nonprofit, Il Mulino, Bologna, 2002 (L.Doino)

B. BERMOND (a cura di), Banche e sviluppo economico nel Piemontemeridionale in epoca contemporanea. Dallo statuto albertino allacaduta del fascismo (1848-1943), Centro di Studi Piemontesi,Torino, 2001 (F. Mezzaro)

VI. Libri ricevuti

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1 G. Alberigo, Contributi alla storia delle confraternite dei disciplinati e della spiritualità lai-cale nei secoli XV e XVI, in Il Movimento dei Disciplinati nel settimo centenario del suo inizio,Perugia, 1960, pp. 156-252; B. Pullan, Povertà, carità e nuove forme di assistenza nell’Europamoderna, in La città dei poveri, a cura di D. Zardin, Milano, 1996; B. Geremek, La pietà e la forca,Bari-Napoli, 1991; S. Cavallo, Charity and power in early modern Italy, Cambridge, 1995.

2 R. Salvemini, La difficile combinazione tra assistenza e credito in età moderna, in ‹‹RassegnaStorica Salernitana››, n. 29, 1998, pp. 29-67.

Legati, patronati e maritaggidel Conservatorio della Pietà dei Turchini di Napoli

in età modernadi

ROSSELLA DEL PRETE

1. Premessa

Fin dagli ultimi decenni del Quattrocento il fenomeno associazionistico-religioso si fece sempre più evidente. Il numero delle confraternite si moltiplicòper impulso della Riforma cattolica, che ne modificò la struttura secondo i nuo-vi orientamenti religiosi con funzioni caritative1.

L’inflazione, il continuo rimescolamento delle fortune, l’aumento crescente del-la popolazione e il continuo sbandamento degli eserciti mercenari avevano prodottomasse di poveri e di vagabondi che, soprattutto nelle città, ispiravano paura e ripu-gnanza. Miserabili e vagabondi venivano ora giudicati in modo severo, come parassi-ti ed esseri antisociali, colpevoli soltanto perché “emarginati”. In effetti, il vagabon-daggio si trasformava spesso in banditismo e, come tale, preoccupava tanto le classidominanti quanto la gente comune. Un indubbio malessere sociale fu, dunque, all’o-rigine della “segregazione” di poveri e queruli miserabili. Il mondo cattolico risposecon la creazione di innumerevoli istituzioni caritative e assistenziali che, mediante l’e-sercizio della beneficenza, favorivano la “redenzione” dei benefattori. Le loro fun-zioni facevano leva esclusivamente sull’umanitarismo e sullo spirito caritativo deiprivati e perciò esse erano largamente sostenute da lasciti e disposizioni testamenta-rie, che richiesero ai governatori dei vari enti capacità gestionali che, in alcuni casi,furono all’origine di investimenti e speculazioni molto redditizie2.

I. SAGGI

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3 C. Russo, La storiografia socio-religiosa e i suoi problemi, in Società, Chiesa e vita religiosa nel-l’Ancien Régime, a cura di C. Russo, Napoli, 1976, p. CVIII. Sul fenomeno delle confraternite ita-liane cfr. C. Black, Le confraternite italiane del Cinquecento, Torino, 1992; Napoli sacra del XVI seco-lo. Repertorio delle fabbriche religiose napoletane nella Cronaca del Gesuita Giovan Francesco Aral-do, a cura di F. Divenuto, Napoli, 1990; G. Muto, Forme e contenuti economici dell’assistenza nelMezzogiorno Moderno: il caso di Napoli, pp. 237-258; A. Musi, Pauperismo e pensiero giuridico aNapoli nella prima metà del secolo XVII, pp. 259-274, in Timore e carità. I poveri nell’Italia Moder-na, a cura di G. Politi, M. Rosa, F. Della Peruta, Cremona, 1982; R. Salvemini, La asistencia en laciudad de Nàpoles en los ss. XVI-XVII, in Ciudad y Mundo urbano en la Epoca Moderna, Madrid,1997, pp. 271-299; A. Musi, Medici e istituzioni a Napoli nell’età moderna, in Sanità e società, a curadi P. Frascani, Bologna 1990, vol. V, pp. 19-66; G. Boccadamo, L’antico ospedale napoletano di SanNicola a Molo, in ‹‹Campania Sacra››, 19/2, 1988, pp. 311-340; il volume Chiesa, Assistenza e Societànel Mezzogiorno Moderno, a cura di C. Russo, Lecce 1994; G. D’Addosio, Origine e vicende stori-che e progressi della Real S. Casa dell’Annunziata di Napoli, Napoli 1883; R. De Maio, Società e vitareligiosa a Napoli nell’Età Moderna, Napoli 1971, pp. 137-138; Idem, L’Ospedale dell’Annunziata il‹‹migliore e più segnalato di tutta Italia››, in Riforma e miti nella Chiesa del ’500, Napoli, 1992, 2°ed., pp. 241-249.

4 B. Capasso, Catalogo ragionato dei libri o registri esistenti nella sezione antica o prima seriedell’archivio Municipale di Napoli, Napoli, 1879, vol. I, p. 112; L. De Rosa, Studi sugli arrenda-menti del Regno di Napoli, Napoli 1958; V. D’Arienzo, L’arrendamento del sale dei Quattro Fon-daci, Salerno, 1996, pp. 184-185.

5 B. Pullan, S.J. Wolf, Plebi urbane e plebi rurali: da poveri a proletari, in Storia d’Italia,Annali, vol. I, Torino, Einaudi, p. 1021.

A Napoli operarono, in epoca moderna, numerose istituzioni con fini assi-stenziali o di moralizzazione dei costumi. Congregazioni religiose, conservatoriper le fanciulle, per le donne separate dai mariti e per le vedove, ospedali citta-dini, orfanotrofi, monti di pietà, provvedevano alla tutela del popolo minuto ela loro opera assistenziale era sostenuta non solo da carità cristiana, ma ancheda ragioni economiche e da forti motivazioni di stabilità sociale3. Nonostante ilgoverno vicereale non considerasse l’assistenza un compito statale o dell’Ufficiodi Sanità, gli enti di beneficenza godettero di alcuni privilegi che, pur non isti-tuzionalizzati, garantirono elemosine, franchigie, esenzioni da tributi fiscali eprivilegi di giurisdizione4.

Le funzioni mutualistiche ed economiche di tali istituzioni sono indicativedi una realtà urbana caratterizzata da una grande eterogeneità sociale. Le stes-se confraternite napoletane presentavano una struttura sociale diversificata.Alcune erano costituite soltanto da nobili, altre da esponenti di classi sociali piùmodeste. Tutte avevano precise funzioni devozionali e assistenziali: elemosine,doti, vitto e alloggio, vestiti, cure mediche, istruzione, prestiti su pegno senzainteressi, servizi indispensabili a sostenere il “popolo minuto” il cui tenore divita si presentava precario e insicuro5.

I quattro conservatori musicali napoletani, per esempio, riuscirono a

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costruirsi un impianto programmato e solido che li portò a livelli di elevata effi-cienza e di effettiva utilità per la comunità6.

I rapporti tra istituzioni benefico-assistenziali e musica sono già noti. Essisi determinarono storicamente nella produzione operistica di un centro musica-le geograficamente e culturalmente individuato, Napoli, in cui l’istruzione mu-sicale massificata si affermò in una complessa rete di rapporti che strinse con-servatori, musicisti, “figlioli educandi”, committenti e banchi pubblici nellapratica di un insieme di attività musicali, prima nella città partenopea e poi –con modalità diverse – anche a Venezia, in rapporto all’apparato devozionalecontroriformistico e alle manifestazioni culturali e rituali della religione popola-re7. La varie congregazioni erano solite far accompagnare particolari festivitàdell’anno liturgico con musiche e canti e, per guadagnarsi la protezione di unSanto, si ricorreva a munifiche offerte in denaro che contribuivano a renderepiù singolari e sorprendenti le celebrazioni, sostenendo grandi spese per para-menti, cere, “macchine d’artifici” e soprattutto musica.

Al pari di molti altri enti assistenziali, diffusisi a partire dalla seconda metàdel ’400, dunque, i quattro conservatori musicali napoletani furono “deposita-ri” della carità cristiana. Il loro patrimonio era costituito in larga parte da beniimmobili, partite di arrendamenti o altri titoli pubblici, che davano i loro frut-ti, ai quali si aggiungevano le somme provenienti dalle elemosine raccolte nellecassette delle Chiese.

I quattro enti di beneficenza si svilupparono su modelli comuni, prestando laloro assistenza ai giovanetti orfani o poveri della città e sviluppando una forma diapprendistato originale, ma non insolita per la società del tempo, quello dell’av-viamento all’arte o allo studio della musica, che in breve si rivelò ricco di pro-spettive. Le attività assistenziali dei quattro conservatori musicali vanno inseritenella più generale opera caritativa svolta dalle istituzioni di beneficenza napoleta-

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6 Il Conservatorio della Pietà dei Turchini fu uno dei quattro conservatori musicali sorti aNapoli tra i secoli XVI e XVII (gli altri tre furono il S. Maria di Loreto, il Sant’Onofrio a Capua-na e i Poveri di Gesù Cristo). Essi, perfettamente inseriti nella prospettiva europea del renferme-ment, nacquero come istituti assistenziali per l’infanzia povera e abbandonata allo scopo di recu-perarla alle norme della collettività attraverso l’apprendimento di un’arte o di un mestiere. Neltempo i quattro brefotrofi vivranno un’importante trasformazione, da istituti di beneficenza inqualificate scuole di musica. Per la bibliografia sull’argomento si rimanda a R. Del Prete, Un’a-zienda musicale a Napoli tra Cinquecento e Settecento: il Conservatorio della Pietà dei Turchini, in‹‹Storia Economica››, n. 3, 1999, pp.413-464.

7 D. Carpitella, Musica e tradizione orale, Palermo 1973; Idem, Folklore e analisi differenzia-le di cultura, Roma, 1976; R. Pozzi, Vita musicale e committenza nei conservatori napoletani nelSeicento. Il S. Onofrio e i Poveri di Gesù Cristo, in Atti del XIV Congresso della Società Interna-zionale di Musicologia. Trasmissione e ricezione delle forme di cultura musicale, III, a cura di A.Pompilio, D. Restani, L. Bianconi, F.A. Gallo, Torino, 1990, pp. 915-924.

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ne in epoca moderna, le quali si proponevano di esercitare la carità cristiana tantoverso i vivi quanto verso i defunti, nelle forme di mutuo soccorso, della conces-sione di doti maritali, di aiuti agli ammalati, di sepoltura ai defunti mendicanti,spesso in propri cimiteri, di suffragi ai defunti e di beneficenza ai poveri8.

Il Conservatorio della Pietà dei Turchini, in particolare, nacque senza finidi lucro e si mantenne grazie alle quote versate dai suoi fondatori (i Confratellidell’Oratorio dei Bianchi), alle donazioni di congregazioni e privati, alle collet-te nella Chiesa annessa, ai legati e ai lasciti testamentari da parte di personefacoltose. Assicurava la sua opera assistenziale ai fanciulli “mal guidati” dellacittà, avviandoli all’apprendistato musicale e utilizzò fin dagli inizi il ricavatodelle prestazioni musicali dei suoi “figlioli”, i cui servizi erano molto richiesti daChiese, Confraternite o benefattori privati. I cori di voci bianche o le “paranzedi figlioli” diventarono così una componente indispensabile nella celebrazionedella Messa, solenne o rituale che fosse, nelle processioni e nella commemora-zione dei defunti. Con i servizi musicali, le rappresentazioni teatrali e l’evolu-zione di una scuola musicale, le spese dei conservatori aumentarono a dismisu-ra e non si limitarono più a garantire vitto e alloggio ai fanciulli raccolti nellestrade, ma dovettero servire all’acquisto di strumenti musicali, al pagamentodelle figure professionali sempre più diversificate e numerose, all’allestimentodi scene e di feste religiose e popolari. Inoltre, la gestione dei legati e dei lasci-ti testamentari impegnò gli amministratori in compre di annue entrate, di quotedi arrendamenti e fiscali, in riscossione di affitti o censi, richiedendo loro fun-zioni economiche e finanziarie di non poca responsabilità9.

Gli istituti di beneficenza maggiormente deputati alla gestione di denarofurono i Monti di Pietà10, che si connotarono come un fenomeno religioso-assi-

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8 E. Vecchione – E. Genovesi, Le istituzioni di beneficenza nella città di Napoli, Napoli,1908, p. 561

9 R. Del Prete, Un’azienda musicale a Napoli, cit. 10 G. Garrani, Il carattere bancario e l’evoluzione strutturale dei primigeni monti di pietà,

Milano, 1957 [pp. 144-161; 225-258]; P. M. Holzappel, Le origini del Monte di Pietà (1462-1515),Rocca San Casciano, 1905; M. Maragi, Cenni sulla natura e sullo svolgimento storico dei Monti diPietà, in ‹‹Archivi storici delle aziende di credito››, Roma, 1956, vol.I, pp. 291-314; G. Barbieri,Origini ed evoluzione dei Monti di Pietà in Italia, in ‹‹Economia e Credito››, Palermo, 1961; S.Majarelli – U. Nicolini, Il Monte dei Poveri di Perugia. Le origini (1462-1474),Perugia, 1962; M.Monaco, La questione dei Monti di Pietà al V concilio lateranense, in ‹‹Studi Salernitani››, gen-naio-giugno 1971, n. 7, pp. 109 e segg.; P. Avallone – R. Salvemini, Dall’assistenza al credito. L’e-sperienza dei Monti di Pietà e delle Case Sante nel Regno di Napoli tra XVI e XVIII secolo, in‹‹Nuova Rivista Storica››, Anno LXXXIII, Fasc. I, Roma, 1999, pp. 21-54; A. Placanica, Moneta,prestiti, usure nel Mezzogiorno moderno, Napoli, 1982; E. De Simone, Il Monte di Pietà di Cusa-no. Origini e funzioni (1797-1811), in ‹‹Annali della Facoltà di Economia di Benevento››, Napo-li, 1996, pp. 61-97; Idem, Il Banco della Pietà di Napoli, 1734-1806, Napoli 1987.

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stenziale e al contempo economico. A Napoli essi sorsero nel secolo XVI, affi-liati alle varie Case Sante cittadine che furono spinte dagli eventi ad aprire unacassa pubblica. I cittadini, infatti, a causa delle difficili condizioni economichein cui versava la città e preoccupati dalle decisioni del governo vicereale inmateria di politica economica e monetaria11, per evitare di conservare in casa ilproprio denaro, cominciarono a “depositarlo” presso quegli istituti. I Monti diPietà si trovarono così a gestire un capitale che impiegarono nella loro attivitàistituzionale di soccorso ai poveri, mediante la concessione di piccoli prestiti supegno, che evitava loro di cadere nella morsa dell’usura. Come “banche deipoveri”12, benché percepissero modesti interessi sui prestiti, realizzarono buoniutili, che impiegarono per coprire le spese di gestione, per sostenere l’attività diprestito su pegno e per le altre opere assistenziali. La “compera di annue entra-te”, per esempio, era un investimento sicuro per far fruttare senza eccessivepreoccupazioni un capitale13.

La realtà assistenziale napoletana, nei secoli XVII-XVIII, si presenta, per-tanto, nonostante l’assenza di precisi provvedimenti politici, come un articolatosistema di interrelazioni economiche e sociali.

2. I legati pro anima

L’uso dei legati, come si è detto, fu abbastanza ricorrente: numerosi quelliin denaro, quasi inesistenti quelli in natura. I Turchini appaiono pienamente inlinea con la consuetudine del tempo, dal momento che i legati pro anima delsecolo XVII furono in genere costituiti da somme di denaro14. Il rapportoinstauratosi in tal modo tra i donatori, provenienti per lo più dai ranghi dell’a-

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11 A. Silvestri, Sui banchieri pubblici napoletani nella prima metà del ’500. Notizie e docu-menti, in ‹‹Bollettino dell’Archivio Storico del Banco di Napoli››, tomo II, 1951; Idem, Sui ban-chieri pubblici napoletani dall’avvento di Filippo II al trono della costituzione del monopolio. Noti-zie e documenti, ‹‹Bollettino dell’Archivio Storico del Banco di Napoli››, tomo IV, 1952; P. Aval-lone, I banchi pubblici napoletani tra XVII e XVIII secolo: strategie e gestione, in ‹‹Sintesi››, n. 1,1999; AA.VV, Banchi pubblici, banchi privati e monti di pietà nell’Europa preindustriale, vol. II,Genova, 1991; G. M. Galanti, Della descrizione geografica e politica delle Sicilie, Napoli, 1780[nuova edizione curata da F. Assante e D. Demarco, Napoli 1969].

12 Abbiamo ritenuto efficace l’espressione proposta nella giornata di studi Il “povero” va inbanca. I Monti di Pietà negli antichi stati italiani (secc. XV-XVIII), Napoli, 12 febbraio 2000,Banco di Napoli – Sezione Pegni ( a cura dell’Istituto di Ricerca Storica per il Mezzogiorno,CNR, Napoli).

13 A. Placanica, Il patrimonio ecclesiastico calabrese nell’età moderna, Chiaravalle, 1972, p.44.

14 R. Giura Longo, I beni ecclesiastici nella storia economica di Matera, Matera, 1961, p. 61.

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15 Spesso i governatori prima di fare l’accettazione aspettavano l’autorizzazione della CuriaArcivescovile.

16 A. Tenenti, Il senso della morte e l’amore della vita nel Rinascimento, Torino, 1977, pp. 62-111.

17 A. Musi, Pauperismo e pensiero giuridico a Napoli nella prima metà del secolo XVII, inTimore e carità,cit.

ristocrazia, ed il clero, non faceva che aumentare, in ragione degli interessi reci-proci, i vincoli fra le due classi. La formula giuridica del legato, così come sipresenta nella registrazione del Conservatorio, era quella del legato testamenta-rio. In particolare, i legati pii erano disposizioni patrimoniali dettate per motivireligiosi di culto o di beneficenza. Essi venivano generalmente accettati dal-l’Ordinario diocesano mediante donazione o testamento a favore di enti eccle-siastici oppure di un ente da costituire, come nel caso dei luoghi pii. Questilasciti pii, come anche si dicevano, contenevano inoltre tutti gli atti dispositivi afavore dell’erede con l’imposizione di un modus che lo vincolava ad erogaresomme o a svolgere attività per fini religiosi o di culto. In particolare, i legati dicui parliamo potevano essere definiti anche pro anima, quando stabilivano chefossero compiuti atti di culto in suffragio della propria anima.

L’acquisto del legato aveva luogo ipso iure senza bisogno di accettazione,che tuttavia i governatori del Conservatorio esprimevano ugualmente comeconferma dell’acquisto o come volontà di non rinunciare15.

All’epoca era ancora fortemente diffusa la convinzione di investimento spi-rituale pro remedio animae. L’opera svolta dalla Chiesa attraverso la predicazio-ne non poteva non influenzare le coscienze dei singoli. Tra gli argomenti ricor-renti nell’oratoria controriformista troviamo, infatti, gli ammonimenti sul peri-colo di dannazione eterna per coloro che, al momento del trapasso, non sipreoccupavano del prossimo bisognoso. Inoltre, tra gli elementi che condizio-narono pesantemente e a lungo la scelta delle disposizioni testamentarie, favo-rendo la confluenza di gran parte delle sostanze dei singoli nelle casse degli entiassistenziali, bisogna includere una certa diffusione che ebbero alcuni trattatisul “ben morire”16 ed il moltiplicarsi delle confraternite, che avevano comescopo la preparazione dei loro associati ad una “buona morte”. Questi entiimpegnavano, generalmente, il loro denaro in acquisti di titoli del debito pub-blico per cui, come è stato giustamente notato, le forme della beneficenza orga-nizzata, che rimasero pressoché immutate fino al secolo XIX, ‹‹se da un latorispond[eva]no a preoccupazioni tradizionali e plurisecolari per casi umani par-ticolari, dall’altro, come istituzioni pienamente integrate nella realtà sociale,[era]no una cassa di risonanza particolarmente sensibile alle trasformazionidella vita economica e della società del Mezzogiorno d’Italia››17.

Obbedendo ad un principio di osservanza tridentina, la pratica dell’accet-

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tazione di legati con l’obbligo di messe in suffragio del testatore cominciò neiprimi anni di vita del conservatorio. La registrazione delle “messe” era tenutadal Sacrestano (Libro delle Messe) e la contabilità risulta ricca di dettagli pre-ziosi per la ricostruzione di uno degli aspetti “cerniera” nel rapporto fra il Con-servatorio e la società.

Nel 1595 Lonardo Genoino legò al Conservatorio una rendita annua di 40ducati con “peso” di una messa al giorno in perpetuum, da celebrarsi nellaChiesa della Pietà dei Turchini. Allo stesso Genoino fu concessa la Cappella delRosario, la seconda sulla destra della navata entrando in Chiesa18. La Cappellapassò poi agli eredi del Genoino: prima al nipote, Giacinto Romano di France-sco, poi a Francesco, Giuseppe e Nicola di Fiore e da loro al nipote CasimiroGalzerano di Fiore19. Nel 1623, Francesco Lombardo, musico in servizio pres-so la Cappella Reale lasciò ai Turchini 2.750 ducati che obbligavano i governa-tori del Conservatorio a far celebrare venticinque messe al mese in perpetuum,tredici delle quali da celebrarsi all’altare privilegiato della Chiesa della Pietà deiTurchini. Gran parte della cifra ricevuta, 800 ducati, fu spesa per “servizio”della Chiesa, sicché al Conservatorio restarono 1.950 ducati che fruttavano 78ducati all’anno al 4 per cento, così come era previsto dall’accettazione del lega-to negli atti della Curia arcivescovile20.

Il caso di Gaspare Roomer, sebbene si tratti di un caso eccezionale, è tut-tavia sintomatico. Mercante fiammingo, saldamente inserito nella realtà com-merciale e finanziaria del Regno, tra lasciti e legati testamentari destinò a scopiassistenziali una somma di circa 30.000 ducati21. Gaspare Roomer, fu uno dei

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18 Archivio della Pietà dei Turchini (da ora, APT), Patrimonio, II, 1, 17, f. 55; cfr. ancheLibro Maggiore matr. 25, f. 196.

19 APT, Libro Maggiore matr. 25, f. 239.20 APT, Patrimonio, II, 1, 17, f. 191. Di Francesco Lombardo o Lambardo, secondo un’al-

tra accezione, sappiamo che appartenne ad una famiglia di musicisti. I Lombardi (Camillo, Fran-cesco, Giacinto e Gennaro), appartenevano ad una nota famiglia di musici napoletani fioriti dagliscorci del ’500 alla prima metà del ’600. Dall’Archivio della S. Casa dell’Annunziata si apprendeche F. Lombardo, fratello di Camillo, fu assunto all’Annunziata nel 1599, in qualità di sopranello;dopo poco vi servì da contralto, con 4 ducati al mese di stipendio. Nel 1607 è tra i musici dellaReal Cappella che gli assegnò 10 ducati al mese e lo tenne per tenore con l’obbligo di servire pureda organista. Nel 1615, essendo passato Giovan Maria Trabaci a maestro di cappella in quellostesso luogo, venne assegnato al Lombardi il posto ordinario di organista. Lo stipendio gli fuaumentato nel 1619. Nel 1624 ottenne licenza di recarsi al Santuario di Loreto. Tornato a Napo-li a servire la Cappella Reale, nel 1636, per la sua malferma salute, gli venne posto accanto il fra-tello Giacinto, organista. Morì nel 1642. (Deumm,Utet, ad indicem, e S. Di Giacomo, Il Conser-vatorio di Sant’Onofrio a Capuana e quello di S. Maria della Pietà dei Turchini, Palermo, 1924, pp.299, 310.

21 G. Ceci, Un mercante mecenate nel secolo XVII, Gaspare Roomer, in ‹‹Napoli Nobilissi-ma››, vol. XVI, 1970, pp. 160-164.

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grossi finanzieri del secolo che riuscirono a trarre profitto dalle esigenze finan-ziarie dello Stato. Agli inizi degli anni Quaranta, infatti, il Roomer ed il suosocio in affari Giovanni Vandeneyden – governatore del Conservatorio dellaPietà dei Turchini nel quadriennio 1652-56 – accumularono ingenti capitali gra-zie ai traffici marittimi e mercantili e ai prestiti al Governo. Essi riuscirono cosìad entrare in possesso di entrate pubbliche di grande entità, come la gabellasulla farina della Città di Napoli22. Sembra che lo stesso Roomer abbia prestatoil suo aiuto al Conservatorio della Pietà dei Turchini prima e dopo la peste del1656. Risulta, comunque, tra i benefattori che contribuirono alla fabbrica dellanuova chiesa nel 1633 accanto ad altri illustri personaggi come Tommaso D’A-quino, Matteo Pironti, Cornelio Spinola e il Principe di Cellamare23. Ancora nel1638, Gaspare Roomer e Giovanni Vandeneyden donarono al Conservatorio uncapitale di 4.445 ducati che fruttava una rendita annua di 266,70 ducati sullesete di Bisignano. I governatori pagarono 2.000 ducati per il Banco di S. Eligio(1 ottobre 1638) con il denaro pervenuto da Luise della Banda, a condizioneche gli venissero corrisposti, durante la sua vita, duc. 180 annui24. Inoltre, nellostesso quadriennio in cui il suo socio in affari svolse ruolo di governatore, rico-privano lo stesso ruolo anche Giovan Francesco Melina – che lasciò erede ditutti i suoi beni il Conservatorio – ed Andrea Mastellone, il biografo del Roo-mer25. Nel 1657 Giovanni Vandeneyden intervenne ancora in aiuto dell’istituto,prestandogli 313,14 ducati. Tra i donatori vi erano anche il Marchese di Cri-spano che , nel 1688, lasciò 1.500 ducati per una messa al giorno in perpetuumnella “sua” Cappella del SS. Crocifisso. I governatori si impegnarono a pagarecon la ‹‹solita limosina›› i cappellani designati dagli eredi alla celebrazione dellemesse ed impiegarono la somma ricevuta nell’arrendamento dei sali dei quattrofondaci26.

Le disposizioni testamentarie dei benefattori avevano diverse forme di uti-lizzazione dei lasciti. Oltre che per la celebrazione di messe di suffragio le ren-dite potevano servire per le spese della Chiesa, per lavori di fabbrica e ricostru-zione e spesso anche per lo svolgimento di attività assistenziali di altro genere.Non bisogna dimenticare che proprio grazie al rispetto delle clausole previsteda alcune donazioni, i governatori riuscirono ad abbellire ed ornare il Conser-vatorio e a costituire una serie di cappelle all’interno della Chiesa di SantaMaria della Pietà, in quanto obbligati ad impiegare il denaro in tal senso. Non

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22 L. De Rosa, Il Mezzogiorno spagnolo tra crescita e decadenza, Milano, 1987, p. 61.23 APT, Libro Maggiore, 1633, matr. 4, f. 122.24 APT, Patrimonio II, 1, 178, f. 28.25 A tal proposito cfr. S. Di Giacomo, Il Conservatorio di Sant’Onofrio, cit. , pp. 206-207.26 APT, Patrimonio, I, 2, 16, f. 84 e Platea, II, 2, 27. Uno dei privilegi concessi agli istituti di

beneficenza napoletani era la consegna di 6 tomola all’anno di sale elemosinater.

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mancano, poi, i casi in cui gli stessi religiosi, al momento della loro professione,in qualità di Rettore, Vicerettore o Sacrestano, elargivano cospicui (forse i piùcospicui) legati al Conservatorio. Valga per tutti quello del Giudice della Vica-ria e presidente Giovan Battista Rocco, consistente in 278,35 ducati annui sul-l’arrendamento dello Jus Prohibendi del Tabacco, per un capitale di 4.639,27ducati.

Giovan Battista Rocco, figlio del Regio Consigliere Francesco, anch’eglititolare di una cospicua eredità lasciata in beneficenza e di cui ci occuperemo inseguito, nel suo ultimo testamento, rogato il 17 Aprile 1684 a Cosenza dalnotaio Giuseppe Mazziotti, lasciò erede usufruttuaria sua moglie Anna Pironti,di un capitale di ben 9.000 ducati, oltre ad altri “corpi”. Alla morte della signo-ra Pironti i 9.000 ducati sarebbero andati in beneficenza, per metà alla Chiesadella Sanità dei Domenicani e per l’altra metà alla Chiesa del Conservatorio deiTurchini, con “peso” di messe per l’una e l’altra chiesa.

Alla morte di Giovan Battista Rocco, i 9.000 ducati erano depositati pressoil Banco dell’Annunziata, che li restituì alla moglie nel 1687 e la nobildonna liimpiegò in partite di arrendamenti sul tabacco. Alla morte di Anna Pironti, il 9maggio 1696, il Conservatorio entrò in possesso della metà della rendita capita-le di quella partita27.

A metà del secolo XVII il Regno attraversò una terribile crisi economica efinanziaria, alla quale i Padri28 dei Turchini non riuscirono a sottrarsi29. Il 16marzo 1652 i governatori si videro costretti a ricorrere alla commissione triden-tina dei cardinali per ottenere la riduzione delle messe che la Chiesa aveva l’ob-bligo di celebrare in virtù di sei legati. Poiché le rendite di quei sei legati “sierano deteriorate”, i governatori ‹‹dimandarono ridursi il peso delle messe,avendosi riguardo non meno alla quantità della limosina solita darsi, che alli

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27 APT, Platea, II, 2, 27, f. 199r.28 Non si sa ancora con certezza quando il Conservatorio associò al governo laico una con-

duzione religiosa, se non altro nell’attività “didattica” dell’istituto. È indiscussa, però, la presen-za nel Conservatorio di religiosi. A dire del Di Giacomo, dal 1607 al 1608, i Padri Somaschi pre-sero parte al governo del Conservatorio. Essi vennero poi sostituiti da sei sacerdoti secolari “scel-ti nella Congregazione dell’ Assunta del Collegio dei Padri Gesuiti, detta del Padre Pavone, da’quali gesuiti per Rettore (del Conservatorio) fu eletto don Giuseppe Incarnato, personaggio digran talento e santissimi costumi, il quale (…) sermoneggiava nella chiesa, onde tirò gran con-corso di popolo alla devozione di S. Nicola di Bari, in onore del quale creò una cappella (…) dalche, la Chiesa divenne molto frequentata ed ebbe molti legati pii et elemosine” (C. de Lellis, Isunti del registro 1271 A di Carlo d’Angiò, Caserta, 1893, Ms. BNN, citato da S. Di Giacomo inIl Conservatorio di Sant’Onofrio, cit., p. 181.

29 Interessante il richiamo, tra gli altri, al problema della insolvibilità da parte delle univer-sità meridionali. Per la situazione economica e finanziaria del regno di Napoli in quegli anni, sivedano gli studi di L. De Rosa, ed in particolare, Il Mezzogiorno spagnolo, cit..

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frutti annullati corrispondenti alli rispettivi capitali››30. L’arcivescovo AscanioFilomarino, il 27 aprile 1652, autorizzò la riduzione delle messe, indicando lacifra delle elemosine, in relazione agli usi della città, e il numero delle messesecondo le rendite capitali31.

Nello stesso anno i governatori ricorsero nuovamente alla Congregazionedei cardinali per richiedere un’ulteriore riduzione di messe. Questa volta si trat-tava di 33 legati pii. Il 16 novembre 1652 la Congregazione rispose di aver giàautorizzata la riduzione ed il 9 ottobre 1654 l’importo per ciascuna messa fu fis-sato a 2 carlini. Una terza riduzione fu richiesta il 1° settembre 1657. La Con-gregazione affidò tutto alla prudenza dell’arcivescovo che delegò il vicariogenerale Paolo Garbinati protonotaro. Il 15 novembre 1663 fu autorizzata lariduzione fissando ancora l’ ‹‹elemosina›› di ciascuna messa a 2 carlini.

La svalutazione della rendita aveva, inevitabilmente, colpito anche i gover-natori della Pietà dei Turchini32.

Il patrimonio cresce negli anni e si arricchisce di ulteriori lasciti che i bene-fattori legavano al Conservatorio con varie finalità: le più ricorrenti erano lecelebrazioni di messe in suffragio della propria anima o di quella dei propriparenti defunti, ma a queste si affiancavano anche suggerimenti su come impie-gare il capitale ereditato, talvolta in rendita pubblica, tal’altra in compere diannue entrate o di ristrutturazioni di immobili di proprietà del Conservatorio,o, ancora, in lavori di ornamento e di ampliamento delle Cappelle della piccolaChiesa di S. Maria della Pietà dei Turchini. Nel 1751 lo stato delle rendite dellevarie partite di arrendamenti, fiscali o adoe riscosse dal Conservatorio, facevaregistrare un totale di ducati 42.420,88 di capitali, rispetto ai duc. 45.802,36 del173633.

Nel 1759, il sacerdote Giuseppe Aveta, rettore del Conservatorio, nel suoultimo testamento, rogato dal notaio Gaspare Del Giudice, lasciò al Conserva-torio 52,50 ducati annui, per un capitale di 1.050 ducati al 5 per cento. Lasomma venne versata dai fratelli Gennaro, Nicola e Ignazio Spanò mediante

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30 Il tasso d’interesse sugli arrendamenti era in diminuzione rendendo così inadeguate allaspesa le rendite dei lasciti. (APT, Platea, II,2, 27, ff. 186v-187r).

31 Il 7 giugno dello stesso anno il Dottor Camillo Farina, governatore del Conservatorio eGiovan Berardino de Marino, razionale, firmarono l’esposto che confermava il provvedimentodel cardinale Filomarino. È la stessa Platea, II, 2, 27 che suggerisce la collocazione archivisticadell’epoca di questi documenti: Atti intitolati Acta Reductionii Missarum ex delegatione Apostoli-ca pro Ecclesia S. M. Pietatis puerorum turchinorum, conservati, nel 1751, nell’Archivio Grandedella Curia Arcivescovile, ed in copia, nelle Cautele.

32 Ancora sulle conseguenze della svalutazione della rendita sulle entrate dei monasteri cfr.C. Russo, I monasteri femminili di clausura a Napoli nel secolo XVII, Napoli, 1970, pp. 40-42.

33 APT, Libri del Patrimonio, II.2.17 e II.2.27.

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due “istromenti” stipulati dallo stesso notaio rispettivamente il 27 febbraio1752 ed il 17 giugno 175634. L’eredità comprendeva anche 20 ducati annui perun capitale di 410 ducati, dovuti all’Aveta da Andrea Aniello Cozzolino di Resi-na. Le somme pervennero al Conservatorio nel 1762. I governatori impiegaro-no 500 ducati sulla Gabella della farina vecchia con decorso dal 4 febbraio176335. Altri 500 ducati furono impiegati col Monastero di S. Maria della Libe-ra dell’Ordine dei Predicatori della Terra di Quercia36. Restavano del capitaleiniziale 50 ducati che, con “mandato di liberazione” del regio Consigliere Man-cini presso l’attuario assunto Gaetano Racioppi, furono pagati al Conservatorioil 15 marzo 1768 e subito furono utilizzati per le spese di ristrutturazione dellecase che il Conservatorio possedeva tra le due strade del Ponte di Tappia e delBaglino37.

Gli esempi riportati mostrano la continuità dei lasciti al Conservatorio edunque, la formazione del patrimonio dell’ente nel corso degli anni, così comerisulta dalle registrazioni patrimoniali.

La flessione del patrimonio mobiliare veniva, tuttavia, compensata dalladotazione di immobili, soprattutto di tipo urbano, ereditati da altri benefattori.Purtroppo questo tipo di patrimonio non è quantificabile perché la loro descri-zione, di tipo strutturale ed architettonico, non riporta il loro valore monetario.L’unico riferimento è dato dalle rendite provenienti da fitti o censi enfiteutici diquelle case, titoli di entrate estremamente variabili perché determinati dall’an-damento dei prezzi e dalle condizioni in cui versavano gli immobili38.

3. Le entrate derivanti dai patronati

L’istituzione dei legati testamentari trovò ulteriore applicazione nel giuspatro-nato delle cappelle. All’interno della Chiesa della Pietà dei Turchini furono eretteundici cappelle39 volute da fedeli nobili o benestanti, a conferma dell’importanza edella diffusione che l’istituto del giuspatronato di altari e cappelle aveva nella dio-cesi napoletana. Pur non essendo di ampie dimensioni, la Chiesa di S. Maria della

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34 Le copie dei due istrumenti e del testamento sono contenute in APT, IV vol. delle Caute-le, f. 49.

35 Cautele, vol. IV, f. 132.36 Cautele, vol. I, ff. 144 e 159.37 Platea II, 2, 27, f f. 178r – 179r.38 Per la ricostruzione delle rendite e dei beni stabili lasciati al Conservatorio mediante lega-

ti testamentari cfr. R. Del Prete, Un’azienda musicale a Napoli, cit.39 Le cappelle erano intitolate a S. Anna, S. Angelo Custode, S. Carlo Borromeo, S. Giu-

seppe, SS. Crocifisso, SS. Rosario, S. Liberatore, S. Nicola, S. Maria delle Grazie, S. Antonio daPadova e SS.ma Annunziata.

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Pietà dei Turchini, riuscì ugualmente ad accogliere lungo le sue navate quegli alta-ri privilegiati, voluti da benefattori che provvidero tanto alla loro “costruzione”,quanto alla loro “manutenzione”, mediante legati che disponevano le celebrazionidi messe presso determinati altari e con determinati cappellani. La contabilità diqueste cappelle era sostanzialmente distinta da quella del Conservatorio.

La cappella più imponente, in quanto a dimensioni, ornamenti e contabi-lità, era quella di S. Anna40, eretta per volontà del Regio Consigliere FrancescoRocco per la quale il fondatore lasciò precise indicazioni, disponendo una con-tabilità rigorosamente separata da quella del Conservatorio. La concessione diedificare una cappella dedicata a S. Anna fu data al Rocco nel 1667 e racco-mandava che i lavori non procurassero danni ai soffitti ed ai magazzini sotto-stanti la chiesa, dal lato della strada di S. Bartolomeo41. La realizzazione dellaCappella costò complessivamente più di 2.200 ducati.

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40 La cappella è collocata alla destra dell’altare maggiore della Chiesa della Pietà dei Tur-chini dove Nicola Vaccaro dipinse episodi relativi ai coniugi Rocco, che avevano assunto il patro-nato della cappella dopo essersi ritenuti beneficiati dagli interventi miracolosi di S. Anna.

41 ‹‹Al signor F. Rocco D. 50. E per esso alli sig. Governatori della Real Chiesa e Conservatoriodella Pietà delli figlioli torchini di questa Città per tanti che li dona elemosinater per sussidio dellifiglioli di detto Conservatorio, et anco in ricompensa a riguardo della concessione che una Cappelladi S. Anna con altri ornamenti in virtù di conclusione fatta da detti Sig. Governatori et dell’illustreSig. Duca di Diana Protettore di detta Chiesa e Conservatorio a tre del mese di febbraio passato delpresente anno del tenor seguente: a tre di febbraio 1667 giovedì, giuntati li Sig. Governatori dellaReal Chiesa e Conservatorio della Pietà delli figlioli torchini coll’intervento del Sig. Presidente Ducadi Diana Protettore del luoco solito per trattare del buon governo ed interessi di detto luoco e pre-cipue come il Sig. Consigliere F. Rocco ha dimandato se li concedesse facoltà di poter fare una cap-pella di marmi con la cona della gloriosa S. Anna nel muro grande di detta Chiesa vicino all’altaremaggiore. E proprio in quello lato dell’epistola, quale al presente sta nudo senza nessuno ornamen-to con la sepoltura vicino detta cappella con il genuflessorio decente per il ius patronato per se, suoieredi et successori offerendo a tener un cappellano ammovibile ad nutum di detto signor Consiglie-ro, quale debbia celebrare ogni dì in detta cappella et anco di pagare d. 20 l’anno al detto luoco peruna litania perpetua da dirsi ogni giorno avanti detto altare affrancabile alla ragione di cinquanta percento et essendosi fatta matura riflessione sopra detta concessione in conformità di quello che altrevolte si è discorso hanno concluso di concedere con la presente al detto Consigliero detto luoco dovepossa far detta Cappella per sé, suoi eredi et successori con il ius della sepoltura da farsi nel luocodove meglio si potrà più vicino detta cappella purché non apporti danno alla pedamente, lamie emagazzini di sotto con il genuflessorio decente, che non sia d’impedimento di scorcere all’altare mag-giore. Tutto a spese di detto Sig. Consigliero, con obbligo di mantenere il cappellano e di pagare d.20 l’anno per le litanie ogni giorno da dirse davanti detto altare affrancabile ut supra rimettendo que-sti alla cortesia et charità di detto Sig. Consigliero di dar al detto luoco quello li parerà per detta con-cessione sapendo li bisogni di quello, il delegato e Governatori del real Conservatorio e Chiesa difiglioli torchini della Pietà, il Duca di Diana, Giovan Battista Tartaglione Governatore, FedericoZanetti Governatore, Aniello D’Errico Governatore, Andrea Vaccaro Governatore, Giuseppe NoccaGovernatore, Paolo De Simone Rationale, estratta dal libro de’ Conclusioni meliori sempre salva. Eper essi accredito di Giuseppe Trotta, loro collega e Tesoriero per farsene introito››. (Banco dell’An-nunziata, g. matr. 409 – partita di 50 ducati, 21 maggio 1667).

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Il consigliere Rocco, esponente dei ricchi ambienti aristocratici napoletani,assunse un ruolo di grande importanza nella vita economica del Conservatorio.Da un’inchiesta aperta su di lui dal Viceré don Pietro d’Aragona, nell’aprile del1666, si rileva che, probabilmente, la straordinaria entità del suo patrimonio erafrutto di illeciti arricchimenti connessi all’espletamento dei suoi doveri d’uffi-cio42. Dieci anni prima che il Rocco facesse testamento, i suoi beni, in partico-lare tutti i fondi depositati a suo nome presso i banchi napoletani, gli erano staticonfiscati. Tuttavia, il patrimonio che lasciò in eredità alla sua famiglia ed illegato alla Cappella di S. Anna fanno pensare che egli fosse un uomo da gran-di risorse43.

Nel suo testamento chiuso il 30 settembre 1675, egli dispose che il suocorpo fosse sepolto nella propria Cappella e dopo aver lasciato erede universa-le di tutti i suoi beni il figlio Giovan Battista, ed eredi usufruttuarie le figlie, lamoglie e sua nuora Anna Pironti, lasciò un legato di 20.000 ducati con renditaannua pari ad 800 ducati alla cappella di S. Anna. Il lascito era così diviso:12.000 ducati investiti nell’arrendamento dei Sali dei quattro fondaci e 8.000ducati in compra di annue entrate col Banco dell’Annunziata. La rendita di 800ducati, secondo il modus previsto dal legato, doveva servire al pagamento didieci cappellani chiamati a celebrare le messe in suffragio dell’anima sua, ditutti i suoi antenati, dei figli, delle due mogli avute, delle sorelle e di PietroCorignano, che lo aveva lasciato erede della sua “robba”. È impressionante lameticolosità con cui indica le somme da spendere nei pagamenti dei cappellanie nelle spese per le festività ‹‹che si dov[eva]no fare ogni anno››. Dalle renditedei 20.000 ducati la cappella di S. Anna avrebbe dovuto pagare 70 ducati annuial Conservatorio da utilizzare nel modo seguente: 20 ducati per le litanie che ifiglioli cantavano ogni settimana nella cappella; 30 ducati per far pregare Dioper la sua anima e far comunicare tutti i figlioli in un giorno della settimana;altri ducati 10 perché venissero spesi per la “ricreazione” dei figlioli nel giornodella festa di S. Anna, come aveva fatto durante ogni anno della sua vita; edaltri 10 ducati da dividere fra i figlioli (1 carlino ciascuno) perché potesserocomprarsi ciò che più gli piacesse nel giorno del 2 novembre. Infine 12 ducatierano destinati al Razionale del Conservatorio per la tenuta di un libro separa-to “d’introito ed esito” per la Cappella di S. Anna. Complessivamente, le spese

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42 La diligenza amministrativa del Viceré Don Pietro d’Aragona era volta ad individuare econtenere gli illeciti arricchimenti che per vecchia tradizione caratterizzavano il mondo degli affa-ri in più diretto rapporto con gli uffici pubblici. Tra le procedure straordinarie, portate energica-mente avanti, soprattutto con lo scopo di procacciare fondi all’erario, vi fu l’inchiesta condottarapidamente e sicuramente, contro il consigliere F. Rocco. (cfr. Storia di Napoli, Napoli, 1976, vol.III, p. 405).

43 APT, Sezione Patrimonio, Testamento a stampa del Consigliere Rocco, Napoli, 30 settem-bre 1675.

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del legato ammontarono a 743,27 ducati così distribuite: 540 ducati ai diecicappellani a ducati 4,50 ciascuno al mese; 121,27 ducati per le spese delle trefestività; 70 ducati per i figlioli del Conservatorio e 12 ducati al razionale44.

Siccome la rendita ammontava a 800 ducati, avanzavano 56,73 ducati chesarebbero dovuti restare depositati nel Banco45 perché una volta accumulati siutilizzassero ‹‹per una Croce di argento grande proporzionata per detta Cap-pella››.Seguiva una miriade di altre disposizioni con l’elenco minuzioso di tuttii suoi beni (mobili, immobili, suppellettili, ecc.), le condizioni d’investimento,le indicazioni organizzative ed altro46.

Il libro del patrimonio fornisce l’esatta collocazione delle cappelle lungo lenavate della chiesa, la data della fondazione e ne richiama le diverse concessio-ni in giuspatronato, facendo riferimento talvolta anche alle prestazioni musicalie religiose dei “figlioli” del Conservatorio (per esempio l’esecuzione di due corimusicali nel giorno del Santo titolare o altro).

La Cappella del Santo Angelo Custode, di proprietà della Compagnia del-l’Oratorio dei Bianchi, fu donata al Conservatorio nel luglio del 164147. Duran-te la peste del 1656, nella cappella furono sepolti molti confratelli della Com-pagnia, ma in seguito al provvedimento dei “Deputati della salute”, di “serra-re” tutte le sepolture infette, i governatori concessero ai fratelli dell’Oratorio dicostruire un’altra cappella a loro spese. La Cappella del S. Angelo Custode fupoi venduta nel giugno 165348 ai Corrieri dell’Ufficio del Corriere maggiore alprezzo di 400 ducati pagati attraverso il Banco della SS. Annunziata. Nel 1778il giuspatronato di questa cappella risulta appartenere a Gerardo Martinetti cheannualmente pagava 12 ducati alla Chiesa perché vi tenesse accesa una lampa-da perpetua49. Le altre cappelle verranno invece concesse tutte al prezzo di 200

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44 Ivi, passim45 Evidentemente il Banco gestiva anche la partita di arredamento.46 Testamento a stampa del regio Consigliero F. Rocco, cit.47 ‹‹Compagnia dell’Oratorio dei Bianchi dentro il nostro Conservatorio deve annui d. 13

per capitale di d. 200 per la concessione della camera dell’Oratorio sotto li 21 febbraio 1585come per istrumento per mano di notar Giovan Francesco D’Angelo. Si nota come a 11 de luglio1641 la suddetta Compagnia e per essa li Signori Giovan Domenico Vairo priore, notar GiovanLonardo Campanile, et Pietro Falce consultore hanno donato a questa Casa Santa della Pietà laloro Cappella dell’Angelo Custode e proprio la prima a man dritta dell’altare maggiore. Sottol’organo una con lo quatro di detto Angelo Custode con la fossa dentro detta Cappella››.(LibroMaggiore (1633-1651), f. 18

48 Le fonti lasciano in dubbio la veridicità di questa data, che dovrà essere verificata ulte-riormente. Subito dopo la peste, comunque, i Bianchi rivendicarono l’esistenza del loro Oratorioall’interno del Conservatorio e chiesero ancora di potervi seppellire i propri membri ma, eviden-temente, questo diritto fu loro negato, come risulta dalla Platea, II.2.27, f.18

49 Banco di San Giacomo, g. matr. 2110 – partita di 12 ducati, 21 ag.1778.

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ducati a cui si “legavano” poi i lasciti di eventuali rendite annue con obbligo difar celebrare messe.

Il giuspatronato assumeva, così, un significato, anche se non esclusivamen-te, economico, nella misura in cui questo istituto consentiva, con la fondazionedi benefici e cappellanie presso l’altare di famiglia, di rendere esenti dal fiscoalcuni beni e, allo stesso tempo, di costituire una base di reddito sicuro perqualche elemento della famiglia stessa. Non a caso la nomina del beneficiario odel cappellano era molto spesso causa di accentuati contrasti all’interno delgruppo familiare, soprattutto quando, dopo la morte del fondatore e attraversole varie successioni ereditarie, il numero degli aventi diritto al patronato si mol-tiplicava, rendendo estremamente difficile l’accordo sulla scelta del candidato.Casi di contrasti tra aspiranti alle cappellanie e a benefici di patronato laico efamiliare si riscontrano, per esempio, per la cappella del SS.mo Crocefisso, con-cessa al Marchese di Crispano. Questi faceva parte della Confraternita dellaCroce, e ciò spiega perché, evidentemente, il suo giuspatronato fosse sulla Cap-pella del SS.mo Crocifisso50. Questa cappella era stata concessa nel 1615 per200 ducati a Giuliano Belenda, credenziere della Regia Dogana51 e governatoredel Conservatorio della Pietà. Su commissione dello stesso Belenda, il pittoreBelisario Corinzio aveva eseguito un quadro raffigurante l’Annunciazione52. Nel1688 il notaio Luca Montefusco di Napoli stipulò l’istrumento di concessionedella Cappella al Marchese di Crispano, dietro pagamento di 200 ducati53.

4. L’istituzione dei Monti dei maritaggi

Le congregazioni post-tridentine si fecero interpreti di nuove forme di assi-stenzialismo, accogliendo il povero per catechizzarlo, definendo e legittimandola carità, collegandola al significato ed al valore che la Controriforma attribuiva

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50 Diego Soria, Marchese di Crispano, proreggente della Vicaria nel 1663. Durante il vicer-geno dell’Aragona ebbe poteri straordinari nella lotta contro il banditismo. Nel 1685 fu nomina-to reggente di Cancelleria, nel 1691 fu a capo di poteri straordinari nella lotta contro il banditi-smo. Nel 1685 fu nominato reggente di Cancelleria, nel 1691 fu a capo della Giunta che dovevaesaminare il fallimento del Banco dello Spirito Santo e nel 1695 fu eletto grassiere. Anche duran-te il viceregno del Medinacoeli assunse una particolare importanza. Per una ricostruzione dellecariche ricoperte da alcuni personaggi citati v. G. Galasso, Napoli spagnola dopo Masaniello,Napoli, 1972, ad indicem e S. D’Aloe, in Storia dell’Augustissima Compagnia della Santa Croce,Napoli, 1882, passim.

51 Banco dello Spirito Santo g. matr. 109 – partita di duc. 75, 25 febbraio 1616.52 Ibidem, g. matr. 104 – partita di duc. 30 del 16 marzo 1616.53 Libro magg. Matr. 25, f. 238.

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alle buone azioni54. Tra le varie forme di assistenza ve ne fu una, suggerita pro-prio da alcune disposizioni testamentarie di alcuni tra i principali benefattoridell’ente: il compito di dispensare doti per “maritaggi” a fanciulle povere, marispettabili. Tale attività esprimeva una preoccupazione comune a quasi tutte leconfraternite del tempo55. Sostenere le spese per un matrimonio, per alcuni cetisociali, era quasi impossibile e il sussidio caritativo diventava l’unica possibilitàper realizzare unioni matrimoniali56. Il fenomeno dei maritaggi si rivela di gran-de importanza per lo studio della struttura sociale e professionale della popola-zione più povera57.

L’istituzione dei maritaggi era assai frequente tra le confraternite o i luoghipii a partire dal secolo XVII58. Molti sono citati dal Summonte59, come la con-fraternita di S. Andrea dei Calzaioli che assegnava quattro maritaggi di 60 duca-ti, il conservatorio di S. Maria delle Vergini dell’Arte della Seta, che distribuivasei maritaggi di 50 ducati, la congregazione dei Bianchi di S. Maria Succurre-miseris, l’Oratorio dei Bianchi dello Spirito Santo, oltre ai vari Monti costituitida nobili, i cui maritaggi erano ‹‹molti con grossa dote››60. A Napoli, la praticadella carità sotto forma di maritaggi era piuttosto diffusa tanto nelle congrega-zioni laicali e religiose quanto nelle corporazioni di arti e mestieri, ciascunadelle quali dotava almeno quattro ragazze all’anno61.

Come per i Monti di pietà, anche per gli altri enti di assistenza, l’attivitàlegata ai maritaggi era un’attività accessoria, ma non trascurabile: il deposito deifondi da dispensare in doti maritali consentiva di disporre di capitali da utiliz-zare per le proprie esigenze fino a quando la fanciulla non veniva bussolata perpoi convolare a nozze.

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54 Si veda in proposito J.P. Gutton, La società e i poveri, cit.; ed in particolare B. Geremek,Il pauperismo nell’età preindustriale, cit.

55 B. Pullan - S.J. Wolf, Plebi urbane e plebi rurali: da poveri a proletari, in Storia d’Italia,Annali, vol. I, Torino, p. 1022.

56 E. Vecchione - E. Genovese, Le istituzioni di beneficenza nella città di Napoli, Napoli,1908, p. 571.

57 J.P Gutton, La société et les pauvres en Europe, Paris, 1974, p. 52 ; M.C. Galan – Vivas eJ. Bonmariage, Signification démographique de la nuptialité, ‹‹Rcherches économique de Lou-vrain››, 1969, n. 4 ; A. Golini, Omogamia secondo il luogo di origine in Italia, ‹‹Atti della XXI Riu-nione della Società Italiana di Statistica››, Roma, 1961; P. H. Karmel, The relations between maleand female nuptiality in a stable population, ‹‹Population studies››, vol. I, P.4, 1948.

58 F. Schiattarella, Maritaggi di cuccagna, Napoli, 1969; S. Cavallo, Assistenza femminile etutela dell’onore nella Torino del XVIII secolo, ‹‹Annali della fondazione L. Einaudi››, v. 14, Tori-no 1980, pp. 127-156.

59 G.A. Summonte, Historia della città e regno di Napoli, Napoli, 1675, vol. I, pp. 282-287.60 Ivi, p. 287.61 G. Muto, Forme e contenuti economici dell’assistenza nel Mezzogiorno moderno: il caso di

Napoli, in Timore e carità, cit., pp. 237-258.

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Come si è già osservato, l’attività delle istituzioni assistenziali era rivoltaparticolarmente all’infanzia abbandonata62, agli inabili e alle donne. L’investi-mento sociale nell’assistenza ai bambini era scontato: sia sul piano etico, sia suquello economico essi avrebbero costituito la nuova forza produttiva dellasocietà; e se gli ammalati andavano controllati per prevenire epidemie e conta-gi, le donne lo erano perché causa di un elevato tasso di natalità. Per le donne,in particolare, crebbe l’attenzione degli enti assistenziali, che diedero vita a con-vitti e ritiri ma, soprattutto, provvidero a dispensare le doti maritali, a patto chele fanciulle destinatarie avessero preservato il proprio onore63. I Monti di mari-taggi esercitavano così, indirettamente, una forma di controllo delle nascite esoprattutto di quelle destinate a bilanciare il numero degli infanti abbandonati.

Fin dal Rinascimento le figlie avevano rappresentato un problema crescen-te per le famiglie che avrebbero dovuto maritarle e dotarle, ma è anche vero chele famiglie erano un problema crescente per le figlie, che dovevano sopportar-ne la strategia in cui giocavano sempre il ruolo di pedine e mai di protagoniste.Con l’avvento del protestantesimo, il panorama subì un cambiamento. Fu riva-lutato il matrimonio e tutte le donne furono invitate a stabilire vincoli matri-moniali “produttivi”, o meglio “riproduttivi”64.

Per vie diverse, ma con identici risultati, sia il Concilio di Trento, sia l’eti-ca protestante affermarono che la sessualità era lecita soltanto dentro il matri-monio e soltanto se subordinata al fine della procreazione. La lussuria divenneil peccato per eccellenza, più importante persino dei peccati dell’orgoglio e del-l’avidità, condannati con maggior severità dalla morale medioevale. Dunque,sembra che alla radice dell’interesse benefattore per le fanciulle povere vi fosseanche il controllo della fecondità femminile, richiamato dalla condizione indi-spensabile alla elargizione di doti di maritaggio, ossia lo stato di verginità dellefanciulle. Non era dunque un problema individuale, ma di gruppo, teso a indi-viduare le regole per la propria continuità mediante l’inserimento della fecon-dità in un sistema di controllo generale. Lo stesso status di moglie non era

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62 G. Da Molin, (a cura di), Trovatelli e balie in Italia, secc. XVI-XIX, Bari 1994; C. D’Ario,Gli esposti a Napoli nel XVIII sceolo, in Chiesa, Assistenza e Società nel Mezzogiorno moderno, cit.,pp. 515-567; J. Boswell, L’abbandono dei bambini in Europa occidentale, Milano, 1991; J.Hunecke, I trovatelli di Milano, Bologna, 1989; AA.VV., Enfance abandonnée et société en Euro-pe, XIX-XX siécle, ‹‹Collection de l’école Francaise de Rome››, 140, Roma 1991.

63 E. Cordella, Sulla storia della beneficenza nei domini continentali del Regno, in ‹‹Annalicivili del Regno di Napoli››, fs. CXXII, 1857, pp. 113-126. Sulla relazione tra i sistemi della pro-prietà e monti insiste anche C. Conte, Gli stabilimenti di beneficenza di Napoli, Napoli 1884, pp.8-10. Per un’analisi generale del fenomeno si rinvia a G. Delille, Un esempio di assistenza privata:i monti di maritaggio nel Regno di Napoli, in Pauperismo e assistenza negli antichi stati italiani, cit.pp. 275-295.

64 Margareth L. King, Le donne nel Rinascimento, Editori Laterza, Roma-Bari, 1991, p. 158.

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determinato tanto dall’assenso al partner, quanto dalla sua disponibilità adiventare madre.

Maritaggio, dunque, come investimento sociale. La dote costituiva un capi-tale il cui investimento produttivo assicurava, al di là di una rendita sul denarodepositato, la “produzione” di un nucleo sociale, la famiglia, moralmente edeconomicamente controllato e la continuazione della specie e della forza-lavoroattraverso i figli della donna maritata. Il concetto che ‹‹famiglia›› e ‹‹società››siano praticamente l’estensione l’uno dell’altra o che sia inconcepibile unasocietà progredita che non si basi sul nucleo familiare, è sempre stato assai dif-fuso. La preoccupazione di creare fondi assistenziali per sostenere le fanciullepovere, rientrava, tutto sommato, in una complessità di atteggiamenti e di azio-ni politiche che dovevano affrontare un problema globale: economicamente ledonne costituivano il gruppo più sfruttato, ma anche quello psicologicamenteinferiore.

Nel Conservatorio della Pietà dei Turchini l’attività dei maritaggi era svol-ta, per così dire, indirettamente dai governatori, tranne che per un caso, quelloricordato del legato testamentario di Francesco Rocco che istituì un vero e pro-prio Monte dei maritaggi presso la Cappella di S. Anna. Gli altri donatori chelasciarono fondi per maritaggi indicarono in maniera più o meno precisa i nomidelle fanciulle destinate a ricevere la dote maritale e chiesero ai governatoridella Pietà dei Turchini di gestire la propria eredità confidando nella loro espe-rienza nel settore degli investimenti. I tre principali legati testamentari, istitutiin favore del Conservatorio furono quelli di Francesco Rocco, di Teodoro Alia-nelli e di Giovan Francesco Melina. Tutti e tre disposero una parte della loroeredità in favore di “maritaggi”. Il materiale documentario relativo a questaparticolare attività assistenziale, pur rivelandosi sufficiente all’interpretazionedel fenomeno ed alla descrizione della pratica dell’assegnazione delle doti, sipresenta cronologicamente lacunoso. Attualmente si conservano nell’archiviodel Conservatorio tre volumi e circa 200 fascicoli, che coprono un periodo ditempo che va dagli ultimi decenni del XVII secolo fino ai primi del XIX. Siconservano gli “albarani”65 stilati dai governatori del Conservatorio, gli attesta-ti dei complateari o dei capitani dell’ottina cui apparteneva la futura sposa, ilprocessetto matrimoniale sottoscritto dal parroco, l’attestato dell’avvenuta sti-pula dei capitoli matrimoniali, un altro atto notarile in cui il futuro sposo affer-ma di aver ricevuto la dote e si impegna a restituirla in caso di morte dellamoglie senza figli legittimi e naturali ed alcune polizze di pagamento. La docu-

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65 Le fonti prese in esame lasciano dedurre che l’albarano è un documento stipulato tra leparti: in questo caso, i governatori e le fanciulle o gli sposi e i loro parenti. A differenza dell’i-strumento, l’albarano non richiedeva la sottoscrizione di un notaio.

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mentazione non risulta completa per ciascuna pratica, ma la varietà delle carterende bene l’idea della prassi burocratica che preludeva all’assegnazione delmaritaggio. Talvolta vi sono anche fedi di battesimo e attestati del confessore,che le ragazze presentavano ad ulteriore conferma della loro povertà ed onestà.

5. L’eredità Melina

Tra i donatori del Conservatorio, colui che per primo lasciò fondi da asse-gnare ai maritaggi fu il Medico fisico Giovan Francesco Melina, uno dei mem-bri dell’Oratorio dei Bianchi. Originario di Carife, nel Principato Ultra, egliviveva a Napoli e frequentava gli ambienti aristocratici e più in vista della città.Nel suo testamento, aperto e pubblicato il 22 marzo del 1654 per mano delnotaio Giovan Lonardo Campanile di Napoli, egli istituì sua erede universale eparticolare la Venerabile Chiesa e Conservatorio di S. Maria della Pietà dei Tur-chini. Ordinò, inoltre, che la sua eredità fosse “governata” dai governatori delConservatorio e dal priore dell’Oratorio dei Bianchi allora esistente dentro lostesso Conservatorio66. Il testamento67 è molto chiaro riguardo alle modalità digestione del capitale lasciato in eredità: il Conservatorio poteva prendere daisuoi beni ‹‹per suo utile e beneficio, per ragione delle sue fatighe››, soltantoquello che sarebbe avanzato dal capitale di 4.100 ducati assegnato per la cele-brazione di cinque messe perpetue ogni settimana. Il Melina stabilì, inoltre, chedelle entrate derivanti dalla sua eredità se ne facesse un “cumulo” da deposita-re presso un Banco pubblico della città su un conto intestato ai governatori edal priore affinché si soddisfacessero i legati, i maritaggi e gli altri pesi che sisarebbero dovuti pagare. La contabilità dell’eredità Melina doveva essere tenu-ta in un Libro d’introito ed esito particolare, onde evitare confusione tra le sueentrate e quelle della Santa Casa68.

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66 Il ruolo del priore è descritto nello statuto del Conservatorio e ritorna in alcuni regolamen-ti successivi all’istituto. In realtà si ha l’impressione che il suo potere d’intervento nella vita orga-nizzativa dei Turchini fosse essenzialmente formale e sia andato scomparendo col passare degli annie con la trasformazione della politica assistenziale in attività produttiva del Conservatorio.

67 Nell’Archivio dei Turchini vi sono diversi riferimenti al testamento Melina. Una copia deltestamento, quella a cui faremo riferimento, è nella platea del 1751, collocaz. II. 2. 12 (ex II. 2.27) in cui ritroviamo una sintesi degli effetti delle modalità dell’eredità Melina. Un’altra copia deltestamento Melina è conservata nel volume A di Cautele ed Istrumenti alle cc. 103 e segg.

68 ‹‹Il Libro maggiore della scrittura dell’eredità del fu Giovan Francesco Melina, ammini-strata dalli Sig. ri Governatori del Real Conservatorio della Pietà dei Turchini e Priore dell’Ora-torio dei Bianchi, eretto dentro il real Conservatorio che vale dal primo di Gennaio 1763 a tutto[...] 1763 – 1808››, è collocato nel Patrimonio al II. 2. 37. Il Libro si apre con una Pandetta e sulfoglio inferiore è stampigliata la scritta “Melina”.

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Il Melina dispose maritaggi per le figliole in capillis69, discendenti dalle suesorelle o da altri suoi parenti70. A ciascuna di queste fanciulle il Melina lasciò‹‹per una volta solamente›› 100 ducati per il maritaggio. La somma doveva esse-re “promessa” allo sposo nei capitoli matrimoniali: doveva essere convertita incompra di annue entrate o di beni stabili nel territorio della Terra di Carife71,con il consenso dei governatori e del priore.

In caso di dissoluzione del matrimonio, senza figli legittimi e naturali “excorpore”, la fanciulla poteva disporre soltanto di 50 ducati. Gli altri 50 ducatidovevano andare alla futura erede del testatore. Il Melina lasciò anche alle figlieche sarebbero nate dalle fanciulle individuate nel testamento, ‹‹tanto di lineamascolina, quanto di linea feminina ››, fino alla quinta generazione, 60 ducatiper il maritaggio di ciascuna di esse. Anche in questo caso, qualora il matrimo-nio si fosse dissolto, la somma sarebbe stata divisa a metà tra le fanciulle mari-tate e la sua futura erede. Dal momento che le discendenze si complicavano, sistabilì di tenere un “albore” dal quale, più facilmente si potesse risalire allediscendenti aventi diritto al maritaggio. Attestavano la validità di questo alba-rano il sindaco, gli eletti e l’abate pro tempore della Terra di Carife. Il Melinaordinò, inoltre, che ogni anno, in perpetuum, si maritassero altre cinque figlioledella Terra di Carife, questa volta orfane, povere ma sempre in capillis. A cia-scuna di esse dovevano andare 30 ducati. In mancanza di fanciulle che presen-tassero le condizioni indicate, potevano essere scelte altre cinque figliole che,pur non essendo orfane, dovevano trovarsi in condizioni di estrema povertà72.

Lasciò invece a Felice (Felicia) Varratumolo, sua nipote in capillis, che allo-ra abitava in casa dello zio, 1.200 ducati per il suo maritaggio. La somma con-

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69 Le figliole in capillis, cioè con i capelli lunghi, erano quelle in età da marito.70 Il testatore indicò con precisione i nomi delle figliole. Esse erano Caterina, Dalmazia e

Margherita, figlie di Antonia Sporlino; Cassandra, Serra, Ippolita e Porzia, figlie di Giovan Ora-zio Sporlino; Elisabetta figlia di Tommaso Sporlino; Dalmazia De Tuccio, nipote di DalmaziaMelina; Lucrezia e Margherita Longarella, nipoti di D. Angelo Troise; Caterina Marino, figlia diAntonio Marino; Angela De Ianne, figlia di Claudia De Nigro; Orsola Curcio e l’altra figlia pic-cola di Laudania De Ianne e Antonio Curcio; Antonia Santoro, figlia di Maddalena Scala e diOnofrio Santoro; la figlia di Elisabetta Ciriello.

71 La documentazione dei maritaggi “Melina” attesta l’avvenuta conversione in compre dibeni stabili della somma ricevuta da parte dello sposo o dei familiari della sposa. (Istrumenti dicompravendita e cautele dei maritaggi del legato Melina 1760, 1764, 1779, 1789, in APT, Assi-stenza e Beneficenza V – 5).

72 La loro individuazione da parte del sindaco, degli eletti e dell’abate di Carife avveniva,secondo le disposizioni del testatore, il 15 Agosto e, nel caso non vi fossero tante figliole d’etànubile, potevano essere ammesse donne vedove, povere, a partire dai trent’anni in giù, alle stessecondizioni delle donzelle vergini. Anche per questo tipo di maritaggio restava valida la regoladella divisione a metà della somma tra la bussolata e la sua eventuale erede, in caso di dissolu-zione del matrimonio.

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sisteva in 400 ducati contanti ed altri 800 impiegati in annue entrate all’8 percento con il convento dei Padri del Terzo Ordine di S. Francesco, di S. Cateri-na Vergine e Martire, situato oltre la Porta di Chiaja73. Il medico benefattorelasciò ancora due maritaggi, ciascuno di 30 ducati, alle due figlie di Marco Ric-cio (Orsola e Silvia) ed altri 100 ducati li destinò a Cassandra Sporlino, figliolaminore al servizio della sua casa, in sussidio della sua dote.

Non è possibile definire la somma destinata dal Melina ai maritaggi, dalmomento che non conosciamo il numero esatto delle fanciulle aventi diritto alladote maritale nel corso delle cinque generazioni indicate. Di sicuro, però, ilmedico lasciò una cifra davvero cospicua in eredità al conservatorio. Basta dareuno sguardo, anche sommario, al Libro di entrate e di uscite del suo conto peravere un’idea di quanto fosse articolata e complessa la gestione dell’eredità.

6. Il Monte di maritaggio Rocco

Di grande importanza, come si è detto, fu per il conservatorio l’eredità delregio consigliere Francesco Rocco. Del suo testamento si conserva la copia astampa che evidenzia non solo l’entità del suo patrimonio, ma la precisa ripar-tizione dei suoi beni anche in vista di futuri investimenti. I fondi da assegnareai maritaggi lasciati dal Rocco nel 1675, erano parte dell’eredità di 20.000 duca-ti lasciata alla Cappella di S. Anna. Tra le varie disposizioni testamentarie, alcu-ne delle quali già analizzate, vi era quella relativa all’istituzione di un monte dimaritaggi. I governatori del Conservatorio, nonché gli amministratori dellaCappella di S. Anna74 avrebbero dovuto dispensare, ogni anno, a partire dal1676, dieci maritaggi, di 50 ducati ciascuno, a dieci ‹‹figliole zitelle, povere,honorate›› e che fossero di nome Anna, provenienti dal quartiere e dall’ottinadella Pietà, oppure, nel caso non ve ne fossero, dai quartieri limitrofi. La que-stione della provenienza risultò molto delicata. Nel 1711 si pose infatti il pro-blema di dover definire il quartiere alternativo per la proposta alla bussola dialcune figliole75. I governatori espressero pareri discordanti, in occasione della

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73 L’atto di questo impiego fu redatto dal Notaio Giovan Francesco Antonio Giangrande diNapoli. Nel caso in cui il Convento di S. Caterina avesse ricomprato le annue entrate vendute peril capitale di 8.700 ducati, il futuro sposo avrebbe dovuto convertire la somma in altra compra.

74 La contabilità di questa Cappella era distinta da quella del Conservatorio, pur essendotenuta dagli stessi governatori. La documentazione contabile relativa è ampia ed articolata erichiede uno studio lungo e particolareggiato che abbiamo preferito rimandare.

75 Si conservano ancora le dichiarazioni dei governatori in proposito ed il “verbale” di una riu-nione tenutasi in casa del reggente Carlo Antonio De Rosa, Marchese di Villarosa, la mattina del 4agosto, dove erano presenti i governatori Francesco D’Agostino, Nicola D’Aulisco, Giacomo Pisco-po , Giuseppe Criscuolo e Francesco Guarracino; assente il sesto governatore Alfonso Garofano.

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bussola del 26 luglio di quell’anno, sulla provenienza delle figliole. Le disposi-zioni testamentarie del Rocco indicavano, come zona di provenienza, tutte lestrade circostanti la Chiesa della Pietà dei Turchini, purché fossero le “più vici-ne”. Alcuni governatori sostenevano che si dovessero ammettere alla bussolatutte le figliole residenti nel quartiere e nell’ottina della Pietà dei Turchini e chedovessero esserne escluse quelle provenienti invece dalla Strada della Pietà che,pur abitando nei pressi della Chiesa e dunque nello stesso quartiere, apparte-nevano all’ottina di S. Giuseppe e non a quella della Pietà che era, in realtà,l’ottina della Rua Catalana. Dal momento che la città di Napoli si divideva in 29ottine, sembrò che il Consigliere Rocco non avesse fatto una sostanziale distin-zione tra i termini ottina e quartiere, ma avesse voluto indicare la zona più vici-na al Conservatorio come provenienza delle fanciulle povere, limitando la suacarità a quella parte di popolo della città di Napoli che maggiormente frequen-tava la Chiesa della Pietà ed usufruiva delle attività del Conservatorio. I gover-natori , pertanto, deliberarono che la provenienza delle figliole da bussolare peri maritaggi “Rocco” dovesse comprendere soltanto determinate zone della città.

La precisazione dei luoghi di provenienza era indispensabile affinché ladispensa dei dieci maritaggi “Rocco” avvenisse correttamente. La dote maritale eramolto ambita e non mancarono tentativi di frode ai danni del Conservatorio. Nel1754 una bussolata, Anna Nicoletta Moccia, pur di percepire i 60 ducati del mari-taggio, dichiarò di abitare nella casa di Diego Scala, dove si era trasferita, dalmomento che non proveniva né dal quartiere né dall’ottina della Pietà. In realtàl’espediente si rivelò vano e la questione durò circa quattro anni, durante i qualiquel maritaggio non fu mai assegnato alla Moccia né trasferito ad altra fanciulla76.

I dieci maritaggi andavano assegnati nel giorno di S. Anna (il 26 luglio) nellaCappella omonima, dove le fanciulle da bussolare avrebbero dovuto assistere, con-fessarsi e comunicarsi, prendere le indulgenze dalla Chiesa ed applicarle poi in suf-fragio dell’anima del loro benefattore e dei suoi familiari. A quel punto si sareb-bero “bussolati” i dieci maritaggi. La documentazione relativa conserva anchealcune suppliche presentate dai governatori per l’ammissione alla bussola dei mari-taggi della Cappella di S. Anna. I nomi delle ragazze che si estraevano dalla bus-sola sono tutti registrati nei “Rolli delle figliole”. Il numero delle aspiranti al mari-taggio era sempre molto elevato ed oscillava intorno alle 300 unità77.

L’estrazione, come si è detto, avveniva in base a determinate condizioni eprocedure: nella bussola erano inserite tutte le fanciulle povere, ma onorate,abitanti nell’ottina della Rua Catalana o in quelle vicine. La provenienza, per lo

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76 APT, Assistenza e Beneficenza, vol. s.n., “Rollo delle figliole”, anni 1754-1758.77 Nel 1730 le dieci fanciulle sortite vennero bussolate tra 279 nomi. Fra il 1730 ed il 1739

il numero delle aspiranti oscilla fra le 279 (1730) e le 350 (1733). (Rollo delle figliole, in APT,Assistenza e Beneficenza vol. s.n.)

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più, si registra dall’ottina della Rua Catalana, ma ricorrono anche i titoli di altreottine come la Porta del Caputo e quella del S. Spirito di Palazzo. L’ammissio-ne delle fanciulle proposte alla bussola avveniva con il consenso dei sei governa-tori che costituivano la giunta e due o tre di essi presentavano le relazioni suirequisiti posseduti dalle figliole ammesse. Venivano quindi estratti dieci nomi. Sela fanciulla risultava idonea le si spediva l’albarano valido per due anni78, ma ladote non veniva pagata prima che fossero stati stipulati i capitoli matrimoniali eprima che fossero accertate le condizioni della richiedente. Le disposizioni in pro-posito erano molto rigide: la ragazza doveva essere visitata da uno dei governatoriper stabilire che fino al giorno della contrazione del matrimonio fosse vissuta ver-gine ed onorata. Potevano verificarsi dei ritardi nei pagamenti delle doti come sidesume da una “memoria”, purtroppo senza data, presentata al delegato Iannucciper sollecitare il pagamento di un maritaggio della cappella di S. Anna79. Una voltaricevuta la somma, lo sposo e un garante dovevano impegnarsi a restituirla in casodi dissoluzione del matrimonio per morte della sposa senza figli legittimi e natura-li. In caso di morte della sposa, però, era difficile recuperare la somma dotàle.Poteva capitare infatti, che il marito, avendo speso la somma percepita per la dotee tutto quanto possedeva a causa dell’infermità della moglie, non potendo restitui-re il maritaggio, si appellasse alla pietà dei governatori.

Le richieste per l’assegnazione della dote venivano rivolte direttamente aigovernatori dai familiari delle ragazze o dai capitani delle ottine di cui questeerano originarie. Non vi sono indicazioni dettagliate che consentano di rico-struire con precisione il meccanismo delle “bussole”. Le fanciulle avevanogeneralmente un’età compresa tra i 13 ed i 30 anni, ad eccezione di casi moltorari. Ad esempio, nel 1811, Anna Orsola Di Fiore aveva 41 anni quando sposòMassimo Raffaele di 27 anni80. Comunque, sembra che non vi fossero limiti dietà prestabiliti per poter accedere ai maritaggi.

Non mancano casi di rinuncia alla dote, come quello di Anna Rosa Sorrenti-no che, nel 1735, decise di rinunciare alla dote per farsi “bizzoca”81. La rinunzia aimaritaggi poteva avvenire in favore di altre, per la scelta di farsi monaca, “pinzo-chera” o “bizzoca”, o per morte dell’interessata. In caso di rinunzia al maritaggio,

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78 Se dopo la bussola il matrimonio non veniva contratto entro due anni l’albarano perdevala sua validità [APT, Assistenza e Beneficenza, n. 1 (1711-1727) “Libri d’assegnazione di mari-taggi”, 26 luglio 1718]

79 La richiesta venne “caldeggiata” dal consigliere Ciavalti, dal momento che la fanciullaAnna Maria Carolina Fiore, già sposata con Raffaele Trombetta, era la figlia di un suo “lac-chè”.(APT, Assistenza e Beneficenza V- 7)

80 APT, Assistenza e Beneficenza V – 14.81 APT, Assistenza e Beneficenza, vol. s. n., “Rollo delle figliole che si estraggono dalla Bus-

sola dei maritaggi (...) di S.- Anna”, 26 luglio 1735.

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le dieci doti maritali previste per quel dato anno potevano diventare otto o nove oancora meno. I maritaggi non assegnati in un anno venivano corrisposti l’annoseguente. Per esempio, nella bussola del 26 luglio 1774 si estrassero quattordicimaritaggi, cioè ‹‹dieci secondo il solito›› ed altri ‹‹quattro restituiti negli anni pre-cedenti››82.

7. Altri maritaggi

Come si rileva dalle prime scritture patrimoniali e dalla denuncia dellerendite fatta nel 1751, i grandi benefattori erano, in genere, dei religiosi. Unitida vero spirito “corporativistico”, coloro che lo potevano, come il sacrestanoTeodoro Alianelli o il sacerdote D. Giuseppe Aveta, di cui si è già detto, nonesitavano a far donazioni al Conservatorio.

Il Rev. Teodoro Alianelli, nel suo ultimo testamento chiuso il 21 Agosto1737 dal notaio Lonardo Marinelli di Napoli, lasciò tutti i suoi beni stabili, icrediti, i corpi , le entrate ed ogni altro bene di sua proprietà nella terra di Mis-sanelli, suo luogo natìo, a suo fratello Cosmo Alianelli. Tutti i suoi beni mobili,l’oro, gli argenti, il denaro contante, le ragioni, i censi, i corpi e le entrate chepossedeva nella città di Napoli, li lasciò invece alla Chiesa della Pietà dei Tur-chini, con una serie di pesi e legati. Morto l’11 giugno del 1745, il 3 luglio, ilConservatorio venne in possesso di un capitale di 11.600 ducati con renditeannue pari a 486.50 ducati. Di questa ingente eredità il Conservatorio spese “asussidio di spese di ristrutturazione di alcune case” 7.600 ducati83.

Il reverendo Alianelli fu l’ultimo donatore di fondi destinati a maritaggi. Inqualità di sacrestano egli percepiva un salario annuo pari a 30 ducati84 e facevaparte della famiglia della Santa Casa a tutti gli effetti. I maritaggi da lui assegnatierano vincolati alle figlie di suo fratello Cosmo Alianelli. Le doti potevano essereimpiegate o per i loro maritaggi o per le loro eventuali monacazioni. Questadisposizione testamentaria fu aggiunta sotto forma di codicillo nuncupativo85 altestamento. Nell’istrumento relativo ai capitoli stipulati per il matrimonio tra Gia-como Carisoni e Stella Alianelli, datati 1752 e 1754, la dote in questione ammon-ta a 350 e a 171 ducati lasciati, appunto, in codicillo dal Sacrestano.

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82 APT., Assistenza e Beneficenza.83 APT, Platea, II,2,27, ff. 169v. – 177r.84 APT, Bilanci Mensuali, Conto dei Salari.85 Il termine codicillo indica le disposizioni di ultima volontà che fanno riferimento ad un

precedente testamento per modificarlo parzialmente o per integrarne il contenuto. Con il termi-ne nuncupativo, invece, derivante dal latino nuncupare (nominare), si definiva nel diritto inter-medio il testamento effettuato in forma orale dinanzi a testimone, che doveva poi essere messo

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Nell’ordine di pagamento è poi precisato che la suddetta somma non sog-giaceva alle condizioni previste dal testamento, ma solamente alla condizionecontenuta nei codicilli nuncupativi rogati il 6 giugno 1745 dallo stesso Alianel-li, secondo la quale il denaro contante che si fosse trovato dopo la sua mortesarebbe dovuto andare in beneficio di suo fratello Cosmo Alianelli che, a suavolta, avrebbe diviso in parti uguali la somma tra le sue figlie86.

Non abbiamo dati a sufficienza per poter definire il numero esatto deimaritaggi assegnati ogni anno. In linea di massima, riteniamo di poter confer-mare però le cifre disposte dai legatari, dal momento che i cinque maritaggiall’anno destinati dal Melina ed i dieci stabiliti dal Rocco furono dispensati piùo meno regolarmente. Tuttavia non si può non tener conto di alcuni elementiche avrebbero potuto influire su quelle cifre e sulle modalità di applicazione.La relativa svalutazione nel tempo del capitale e delle rendite destinate ai mari-taggi potrebbe aver giocato un ruolo di squilibrio nella gestione dei “monti” dimaritaggi, soprattutto per gli ultimi anni del secolo XVII e per quelli del seco-lo successivo. Tuttavia i documenti disponibili non lasciano intravedere proble-mi di questo tipo. Come si è già detto, le sporadiche variazioni nel numero deimaritaggi dispensati son dovute più alle rinunzie delle doti maritali per motividi tipo personale della fanciulla bussolata che a contingenze di natura econo-mica. Da un bilancio dei maritaggi soddisfatti dal 1711 al 1727 si ricava unaspesa complessiva di circa 8.500 ducati dispensati per 170 maritaggi87.

Dalla trattazione dei Monti di maritaggi istituiti presso il Conservatoriodella Pietà dei Turchini appare evidente che la loro assegnazione era limitataper lo più a figliole imparentate con i legatari oppure provenienti da un ambi-to geografico e sociale ben definito: quello della Terra di Carife per il MonteMelina, quello dell’ottina della Pietà per il legato di Francesco Rocco.

M. G. Rienzo, rifacendosi alla distinzione di Napoli in quattro zone, adottatadalla Petraccone, nota come la zona cui appartenevano in maggior numero leragazze candidate alla bussola fosse quella meridionale, seguita dalla zona setten-trionale – in cui era situato il Conservatorio –, dalla fascia periferica e, infine, daiquartieri spagnoli88.

per iscritto (Dizionario Giuridico, a cura di Federico Del Giudice, Edizioni Simone, Napoli 1992e Enciclopedia del diritto, Rizzoli).

86 I codicilli nuncupativi allegati al testamento Alianelli furono redatti per mano del notaioLonardo Marinelli. Dei maritaggi Alianelli si conservano anche le Fedi per ‘assegnazione’, datate1751 e 1754.

87 APT, Sezione Assistenza, Beneficenza e culto, Maritaggi, anni 1711 – 1727.88 M. G. Rienzo, Nobili e attività caritativa a Napoli nell’età moderna. L’esempio dell’Orato-

rio del SS. Crocefisso dei Cavalieri in S. Paolo Maggiore, in G. Galasso e C. Russo ( a cura di), Perla storia sociale e religiosa del Mezzogiorno d’Italia, Napoli 1982, p. 270.

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La fisionomia della città proposta dalla Petraccone, presentava una fortediscrepanza tra un’aristocrazia ed una borghesia ricche, da un lato, e la piccolaborghesia, ‹‹anch’essa stracciona e miserevole››89, ed i ceti popolari poverissimi,dall’altro. Situazione indicativa di una fondamentale debolezza delle struttureproduttive che erano rimaste ferme rispetto allo sviluppo demografico.

Le analogie riscontrate nelle modalità della concessione dei maritaggi tra lealtre congregazioni ed il Conservatorio dei Turchini sono tali e tante da farcisostenere, ancora una volta, l’importanza dei quattro conservatori musicali nellastoria dell’assistenza a Napoli. La politica governativa assecondava un sistemadi beneficenza complesso, decentralizzato e quindi riconducibile ad una plura-lità di centri di riferimento quali le congregazioni laicali e quelle religiose o lecorporazioni di arti e mestieri. Le forme di assistenza dei quattro istituti musi-cali sono state finora trascurate, forse perché la storia dei conservatori è stata, atorto, ritenuta appannaggio di competenze storiche più specifiche, come quellemusicologiche. La realtà che si è dipanata sotto i nostri occhi è però ben diversa.La complessa attività di quei singolari enti di beneficenza presenta tutte le carat-teristiche essenziali delle principali congregazioni laiche e religiose operanti sulterritorio cittadino ma, a differenza di quelle, grazie alla musica, essi si aprono adinterscambi culturali nazionali ed internazionali, facendosi portavoce di unaimportante cultura musicale e teatrale, quella della Scuola Napoletana.

89 Così la definisce il Galasso in Intervista sulla storia di Napoli, Bari 1978, p. 72.