di Carlo Piccardi Musicisti nella Svizzera italiana · Se andassimo a sfogliare i giornali ticinesi...

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Se andassimo a sfogliare i giornali ticinesi di cinquant’anni fa alla ricerca di avvenimenti mu- sicali ci renderemmo subito conto di quanto di- verso si presenti oggi il panorama rispetto ad al- lora. Il confronto rileverebbe l’aumento esponen- ziale di manifestazioni, ormai giunte per quan- tità a diramarsi in tutti i centri e persino a sovrap- porsi, a volte in concorrenza le une con le altre. Il paesaggio sonoro della nostra regione si è ar- ricchito notevolmente, affiancando per di più al corpo principale della cosiddetta “musica se- ria” percorsi concertistici paralleli dedicati al jazz, alla musica etnica, ai generi di musica di largo consumo. Mezzo secolo fa dalle nostre parti uno strumento quale il violino costituiva una rarità. Chi avesse voluto praticarlo non trovava nemmeno i maestri in grado di insegnarlo, se non rivolgendosi ai professori della “Radiorchestra”. Oggi capita invece spesso di incrociare sui bus e sui treni ragazzi e ragazze con l’inconfondibile astuccio portato a tracolla. L’insegnamento stru- mentale era impartito da docenti privati, men- tre i rari allievi di talento intenzionati a sceglie- re la musica come professione erano costretti a prendere il treno per Milano o per Zurigo. Oggi vi opera il Conservatorio della Svizzera italiana, nato trent’anni fa (considerando i pri- mordi dell’Accademia Artistica Malcantonese), addirittura prima dell’università, a modificare l’assetto istituzionale della musica nel cantone. Conservatorio equivale essenzialmente a scuola di musica, poiché solo nel 1988 riuscì a far rico- noscere ufficialmente la propria sezione profes- sionale, mentre esso continua a costituire un ef- ficace polo d’insegnamento di base con classi dedicate alle varie discipline, decentrate nelle lo- calità principali. Ciò ha costituito un modello che ha stimolato altri operatori via via susseguitisi a portare alla creazione di una decina di altre scuo- le musicali, in determinati casi sostenute dai co- muni, grazie alle quali il Ticino, allora ultimo in Svizzera nel coltivare la pratica musicale, ha ri- salito le posizioni per confrontarsi dignitosamen- te con gli altri cantoni. Tale nuova realtà ha mo- tivato l’autorità cantonale al sostegno finanzia- rio delle scuole di musica con un atto che, pur non garantendo ancora l’insegnamento della pra- tica strumentale nella scuola stessa, ne ricono- sce la complementarità. Se allora una sola orche- stra d’archi di dilettanti era attiva nel cantone (la Società orchestrale di Bellinzona) oggi sono vari i gruppi orchestrali che si presentano in pub- blico (Orchestra Arcadia, Orchestra da camera del Locarnese, la Camerata giovanile della Sviz- zera italiana, l’Orchestra QuattrocentoQuaran- ta, l’Orchestra di fiati della Svizzera italiana) e, come l’Orchestra del Conservatorio o l’Orche- stra da camera di Lugano, dotandosi perfino di un assetto semiprofessionale. La musica si è quindi imposta come prospet- tiva nel comune sentire, al di là di quanto prece- dentemente era appena assicurato dalla tradizio- ne bandistica, rimasta viva nello specifico reper- torio e nella funzione civica che continua a svol- gere. Nonostante il fatto che, come realtà cultu- rale essa non abbia ancora del tutto raggiunto le posizioni che detiene negli altri cantoni (anche a causa della bassa considerazione di cui gode nella cultura italiana a differenza della portata che storicamente riveste nella cultura alemanni- 6 di Carlo Piccardi * * Musicologo Musicisti nella Svizzera italiana Una crescita tra luci e ombre

Transcript of di Carlo Piccardi Musicisti nella Svizzera italiana · Se andassimo a sfogliare i giornali ticinesi...

Se andassimo a sfogliare i giornali ticinesi dicinquant’anni fa alla ricerca di avvenimenti mu-sicali ci renderemmo subito conto di quanto di-verso si presenti oggi il panorama rispetto ad al-lora. Il confronto rileverebbe l’aumento esponen-ziale di manifestazioni, ormai giunte per quan-tità a diramarsi in tutti i centri e persino a sovrap-porsi, a volte in concorrenza le une con le altre.Il paesaggio sonoro della nostra regione si è ar-ricchito notevolmente, affiancando per di più alcorpo principale della cosiddetta “musica se-ria” percorsi concertistici paralleli dedicati al jazz,alla musica etnica, ai generi di musica di largoconsumo. Mezzo secolo fa dalle nostre partiuno strumento quale il violino costituiva unararità. Chi avesse voluto praticarlo non trovavanemmeno i maestri in grado di insegnarlo, se nonrivolgendosi ai professori della “Radiorchestra”.Oggi capita invece spesso di incrociare sui bus esui treni ragazzi e ragazze con l’inconfondibileastuccio portato a tracolla. L’insegnamento stru-mentale era impartito da docenti privati, men-tre i rari allievi di talento intenzionati a sceglie-re la musica come professione erano costretti aprendere il treno per Milano o per Zurigo.

Oggi vi opera il Conservatorio della Svizzeraitaliana, nato trent’anni fa (considerando i pri-mordi dell’Accademia Artistica Malcantonese),addirittura prima dell’università, a modificarel’assetto istituzionale della musica nel cantone.Conservatorio equivale essenzialmente a scuoladi musica, poiché solo nel 1988 riuscì a far rico-noscere ufficialmente la propria sezione profes-sionale, mentre esso continua a costituire un ef-ficace polo d’insegnamento di base con classi

dedicate alle varie discipline, decentrate nelle lo-calità principali. Ciò ha costituito un modello cheha stimolato altri operatori via via susseguitisi aportare alla creazione di una decina di altre scuo-le musicali, in determinati casi sostenute dai co-muni, grazie alle quali il Ticino, allora ultimo inSvizzera nel coltivare la pratica musicale, ha ri-salito le posizioni per confrontarsi dignitosamen-te con gli altri cantoni. Tale nuova realtà ha mo-tivato l’autorità cantonale al sostegno finanzia-rio delle scuole di musica con un atto che, purnon garantendo ancora l’insegnamento della pra-tica strumentale nella scuola stessa, ne ricono-sce la complementarità. Se allora una sola orche-stra d’archi di dilettanti era attiva nel cantone(la Società orchestrale di Bellinzona) oggi sonovari i gruppi orchestrali che si presentano in pub-blico (Orchestra Arcadia, Orchestra da cameradel Locarnese, la Camerata giovanile della Sviz-zera italiana, l’Orchestra QuattrocentoQuaran-ta, l’Orchestra di fiati della Svizzera italiana) e,come l’Orchestra del Conservatorio o l’Orche-stra da camera di Lugano, dotandosi perfino diun assetto semiprofessionale.

La musica si è quindi imposta come prospet-tiva nel comune sentire, al di là di quanto prece-dentemente era appena assicurato dalla tradizio-ne bandistica, rimasta viva nello specifico reper-torio e nella funzione civica che continua a svol-gere. Nonostante il fatto che, come realtà cultu-rale essa non abbia ancora del tutto raggiunto leposizioni che detiene negli altri cantoni (anche acausa della bassa considerazione di cui godenella cultura italiana a differenza della portatache storicamente riveste nella cultura alemanni-

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di Carlo Piccardi*

*Musicologo

Musicisti nella Svizzera italianaUna crescita tra luci e ombre

ca), grandi passi sono stati fatti soprattutto nel-la mentalità. Non si spiegherebbero altrimenti al-cune scelte politiche di fondo in favore dellamusica, consentite appunto dall’acquisizione del-la consapevolezza della sua portata culturale in-tervenute in questo periodo.

L’Orchestra della RSI La prima tappa di questo processo è ravvisabilenel contributo dello Stato del Cantone Ticino infavore dell’Orchestra della RSI concesso nel 1969,in uno dei momenti di crisi che minacciavano ildisimpegno della SRG SSR rispetto ai propri com-plessi musicali. Per quanto marginale, limitatoad alcune decine di migliaia di franchi all’anno,esso veniva per la prima volta a sancire una re-sponsabilità istituzionale dello stato in questocampo e a stabilire una continuità d’interventodestinata in seguito ad allargarsi. È tuttavia si-gnificativo che, come contropartita, alla RSI ve-nisse l’obbligo di mettere a disposizione il suocomplesso sinfonico per alcuni concerti destina-to alle scuole, ma soprattutto per una serie di con-certi turistici estivi decentrati nelle località mino-ri. La funzione dell’orchestra era allora vista an-cora essenzialmente come strumento di servizionon tanto alla cittadinanza quanto al pubblicomotivato dei forestieri, contribuendo certamen-

te all’elevazione culturale degli spettatori manel quadro di un’operazione di promovimentoeconomico.

Tale ambivalenza era in fondo iscritta nelle ori-gini della stessa “Radiorchestra”, costituita giànel 1933 sulla base del complesso che intratte-neva la clientela del Kursaal a Lugano nelle ma-tinées ricreative, al punto che essa continuò finoagli anni Settanta ad esibirsi fuori dello studioradiofonico per il pubblico turistico, dapprimaalla rotonda sul lungolago e poi nei concerti delmattino al Parco Ciani. Era l’ambivalenza in cuisi era profilata la musica nello spazio radiofoni-co locale, per un verso agente come specchio del-la limitata vita musicale della regione dando spa-zio a corali, bande e bandelle dall’attività parti-colarmente rigogliosa fino agli anni Cinquanta,sostenute dalla motivazione del sentimento diidentità stimolato dalla politica della “difesa spi-rituale del paese”. Per un altro verso tuttavia laradio era indotta a muoversi in rapporto con lasua posizione nazionale e oltre, in una rete che

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L'Orchestra Radiosa diretta da Fernando Pag-gi durante un'esibizione del 24 giugno 1944(Fondo Vicari, Archivio storico della Città diLugano).

la posizionava all’altezza delle stazioni allora ope-ranti nei centri metropolitani. Le trasmissioni incomune (nazionali, ma anche internazionali) esi-gevano il confronto permanente non solo conproduzioni di qualità, ma anche con tipologienuove rispetto alla tradizione locale, di taglio co-smopolitico, alla lunga destinato a modificare so-stanzialmente il relativo tessuto socioculturale.Ecco quindi che la ragione turistica, al di là del-la funzione ricreativa della presenza musicale neigrandi alberghi di Lugano, Locarno e Ascona,saldandosi con la necessità della RSI di sgan-ciarsi dall’ipoteca localistica diede la spinta allacreazione delle prime nostre rassegne concerti-stiche internazionali. Complice la situazione del-la Svizzera, unico paese europeo uscito indenneed ancora economicamente solido dalla Secon-da Guerra mondiale, il Ticino approfittò dell’al-lora facile reperibilità degli artisti in un mercatomusicale che lentamente prendeva quota, per dar

vita nel 1946 alle Settimane Musicali di Asconae nel 1953 ai Giovedì Musicali di Lugano (diven-tati poi Concerti di Lugano), di cui la RSI era“magna pars”, garante altresì del loro alto livel-lo artistico. Fu quella l’occasione di produrre unsalto di qualità, che non sarebbe stato possibilesenza l’apporto del pubblico forestiero il quale,ad esempio in ambito asconese, costituiva addi-rittura la maggioranza ed avrebbe continuatoad esserlo per molto tempo.

La vita concertisticaIn verità lo stesso dato di base era stato all’ori-gine della fondazione degli Amici della musicaoperanti dal 1922, da una parte animati da Fe-derico Fisch, allievo di violino di Romualdo Ma-renco (autore della musica del celebre Ballo Ex-celsior, che a Lugano aveva aperto una scuola dimusica dopo essere espatriato in seguito ai mo-ti milanesi del 1898), e dall’altra garantiti dallapartecipazione preponderante della colonia ger-manofona particolarmente attiva in campo as-sociativo, senza la quale non si sarebbe mai do-vutamente riempita la sala dell’Albergo Palaceche ospitava con regolarità i recital e i concertidi musica da camera, cioè forme fino a quel mo-

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L'Orchestra della RSI durante un concertopubblico nello studio del Campo Marzionel 1946 (Fondo Vicari, Archivio storico del-la Città di Lugano).

mento non riconducibili alle abitudini musicalidella provincia ticinese. Considerando la storianon ancora scritta di quei primordi vale la penadi riportare i nomi degli artisti e dei programmiproposti, effettivamente rispecchianti la situazio-ne di ponte tra nord e sud che in campo musica-le venne a caratterizzare la Svizzera italiana a par-tire da quegli anni grazie ai fattori politici e so-ciali. Il cartellone cameristico del primo anno de-gli Amici della musica già vantava nomi quali ilviolinista Joseph Szigeti, il violoncellista EnricoMainardi, il pianista Mieczyslaw Horszowski,il Quartetto di Budapest, il Quartetto Klinger, ilcontralto svedese Sigrid Onégin (la quale nel 1940si sarebbe ritirata a Magliaso dove, dopo la suamorte nel 1943, rimase aperto un museo a lei de-dicato), e soprattutto Ernesto Consolo, pianistadalla brillante carriera in Europa e in America,il quale all’inizio del secolo aveva preso residen-za a Lugano non facendo mancare la sua pre-senza in varie occasioni pubbliche.

Grazie al turismo alberghiero (allora d’alta clas-se), e all’attivismo della cerchia dei confederati,gradualmente si creò un tessuto che con una re-lativa regolarità permise di proporre incontri rav-vicinati con figure importanti del concertismoquali Clara Haskil, il Quartetto di Adolf Busche quello di Arnold Rosé (già nel 1923) e poi viavia il Quartetto Poltronieri, i pianisti Edwin Fi-scher, Rudolf Serkin, Claudio Arrau (appena re-duce dal primo premio al Concorso di Gine-vra), Yves Nat, Walter Gieseking (con Ravel eDebussy), Dinu Lipatti e soprattutto WilhelmBakhaus, il quale, dopo aver scelto Lugano co-me residenza, si produsse regolarmente in reci-tal e con l’Orchestra della RSI, i violinisti VásaPrihoda, Stefi Geyer, Arrigo Serato, Georg Ku-

lenkampff, Albert Spalding, Gioconda De Vito,il violoncellista Emanuel Feuermann, Paul Hin-demith nel 1929 come concertista di viola d’a-more insieme con Maurizio Frank (viola da gam-ba).

Per quanto sommario tale resoconto rende l’i-dea della portata della vita musicale nella Luga-no d’allora che, per quanto non sempre seguitacon l’attenzione che meritava, si dimostrava no-tevole rispetto a quanto potevano offrire centriben maggiori. L’influsso del turismo, specie diquello nordico notoriamente sensibile a questoaspetto, oltre a sollecitare tale tipo di servizio eradi stimolo a far sì che esso fosse rappresentativodei valori più attuali in questo campo, per cui chivi fosse stato anche solo di passaggio avrebbe po-tuto imbattersi in occasioni capaci di provocareemozioni normalmente riservate alle grandi città.

È quindi comprensibile l’impressione che ne ri-cavò Giovan Battista Angioletti, giuntovi nel 1940per conto del governo italiano che nel suo Qua-derno ticinese avrebbe osato definire Lugano“una metropoli in miniatura” e il quale nel suoCircolo italiano di lettura non ospitò solo alcu-ne tra le personalità più vivaci della scena intel-lettuale del tempo, ma anche figure importantidel concertismo quali Arturo Benedetti Miche-langeli da poco assurto fra le stelle di prima gran-dezza della categoria, esibitosi nel novembre del1941 nel “salone-teatro” della Casa d’Italia, onel 1943 Luigi Dallapiccola col violinista Sandro

Richard Strauss mentre dirige l’Orchestra del-la RSI nello studio del Campo Marzio (1947).Sotto, Igor Stravinsky con l'orchestra dellaRSI (Lugano 1954).

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Materassi.Tuttavia queste iniziative rimanevano private,

senza coinvolgimento istituzionale. La sola isti-tuzione che si sentiva in obbligo di svolgere que-sto compito era la Radio della Svizzera italiana,la quale si profilò fin dall’inizio come organi-smo che, in virtù della propria funzione nazio-nale, aveva preso a modello la produzione che sirealizzava negli enti maggiori, in particolare nel-le stazioni svizzere consorelle, ai cui spazi co-muni di programma era chiamata a partecipareattivamente.

La necessità di mirare in alto indusse fin dal-l’inizio il nostro ente radiofonico a concentrarsinon solo e tanto sui grandi interpreti ma anchesui compositori, mettendo il mezzo di comuni-cazione (moderno per definizione) a disposizio-ne dei messaggi musicali della modernità, por-tati da musicisti rappresentativi dello stadio piùavanzato del gusto, invitati di persona nel pic-colo centro a sud delle Alpi. Nel 1937 ErnstKřenek vi diresse varie sue composizioni tra cuil’intermezzo Estremadura dall’opera Karl V che

l’anno prima Ansermet aveva diretto al festivaldella Società Internazionale di Musica Contem-poranea a Barcellona (mentre la prima esecu-zione dell’opera sarebbe stata data a Praga solol’anno dopo). Altri compositori l’avevano prece-duto: Frank Martin nel 1934, Darius Milhaudnel 1937. Nel 1938 fu la volta di Mario Castel-nuovo-Tedesco invitato al microfono di RadioMonteceneri ad accompagnare al pianoforte iltenore Angelo Parigi in un programma di musi-che sue, e di Francis Poulenc che pure al pianofor-te accompagnò il tenore Pierre Bernac in una se-rie di proprie liriche da camera. Arthur Honeg-ger fu ospitato nel 1939 a presentare personal-mente tutte le sue composizioni per pianoforte (eper canto e pianoforte), ritornandovi nel 1946 adirigere composizioni sue per orchestra e nel 1947per un vero e proprio festival a lui consacrato.

Da menzionare sono anche le presenze di Al-fredo Casella nella Sonata a tre op. 62 (nel 1940eseguita al pianoforte con Arturo Bonucci, vio-lino, e Alberto Poltronieri, violoncello), di ZoltánKodály nel 1947 a dirigere la prima esecuzionesvizzera della sua Missa brevis e, lo stesso anno,quella di Benjamin Britten ad accompagnare ilfido Peter Pears nei Seven Sonnets of Michelan-gelo. Un altro compositore inglese, Michael Tip-

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Arthur Honegger sul podio dello studio delCampo Marzio (1947).

pett fu chiamato nel 1951 a dirigere il suo A Childof our Time, l’importante oratorio che la RSIcurò in versione italiana. Nel 1957 fu la volta diPaul Hindemith e di Wolfgang Fortner. Igor Stra-vinsky vi comparì a due riprese sul podio dell’Or-chestra della RSI, nel 1954 e nel 1955 nell’am-bito dei Concerti di Lugano a dirigervi le due Sui-tes per piccola orchestra, il Rag-Time per undi-ci strumenti, l’Ottetto, le Danses concertantes,il Concerto in re per archi e Dumbarton Oaks.

Non si dovettero quindi attendere i decenni anoi più vicini per registrare la presenza alla Ra-diotelevisione della Svizzera italiana di signifi-cativi rappresentanti della musica nuova (Mau-ricio Kagel nel 1975, Luigi Nono e Luciano Be-rio nel 1976, Vinko Glokobar nel 1979, Hans-Werner Henze nel 1980, Morton Feldman nel1981, Salvatore Sciarrino nel 1983, Sylvano Bus-sotti nel 1984, Luca Lombardi nel 1989 e altri).Il resto, il moltiplicarsi delle rassegne e l’acco-glienza riservata ai grandi nomi del concertismosono cosa nota, ampiamente documentata da stu-di recenti riguardanti il ciclo dei concerti alla RSIdal 1970, dei Concerti d’autunno dal 1994, del-la Primavera Concertistica dal 1982 (che ripre-se il testimone dai Concerti di Lugano giunti altermine nel 1976), mutata poi nel 2002 in Lu-

gano Festival, di Pianoforte in Castelgrande dal1990 (diventato Pianoforte a Bellinzona nel 1998)purtroppo giunta al termine con l’ultima edizio-ne del 2008, del Progetto Martha Argerich a par-tire dal 2002, senza contare i cicli minori (Festi-val organistico di Magadino, Musica nel Men-drisiotto, Ormai convien cantar di pietre certe,Ceresio Estate, Vesperali, Settimane musicali diLugano, Montebello Festival, ecc.).

La ricerca musicaleVa messo in evidenza anche un secondo attoistituzionale significativo in favore della musicarappresentato nel 1988 dall’acquisto del FondoLeoncavallo da parte del cantone. Con ciò, an-dando per la prima volta oltre la sua dimensio-ne performativa, alla musica veniva riconosciu-ta una portata culturale al pari delle altre disci-pline artistiche, ritenendola meritevole di studiocritico e di costituire motivazioni alla ricerca.Fu così che la Biblioteca cantonale di Locarno,depositaria del fondo, cominciò a promuovereconvegni sui temi legati a quel contesto docu-

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La Società Cameristica di Lugano al Festivaldu Marais a Parigi nel 1964.

mentario, cioè l’opera tra Ottocento e Novecen-to, prestando attenzione non solo alla musica,ma anche alla musicologia. In virtù della stessapremessa nel 2002 l’Archivio di stato del Can-tone Ticino accolse fra i suoi documenti il Fon-do Roberto Leydi, facendo oggetto di ricerca an-che la musica popolare.

D’altra parte il Cantone aveva già dato il suo

sostegno nel 2008 alla fondazione a Luganodella Fonoteca Nazionale Svizzera, istituzioneche, oltre a confermare l’importanza dello stu-dio “sulla musica” al di là dello studio “della mu-sica”, ha costituito il primo centro musicale diportata federale alla nostra latitudine, recente-mente sviluppato addirittura in modo da agire inrete con altri centri grazie ai mezzi tecnologici didiffusione e di riproduzione del suono.

In verità, pur sulla base di un’azione di volon-tariato, la prospettiva dello studio musicologicoera stata aperta già nel 1970 dalla costituzionedell’associazione Ricerche Musicali nella Sviz-zera italiana dedita allo studio storico-criticodel patrimonio musicale della nostra regione,integrata nel 1996 come sezione della SocietàSvizzera di Musicologia. Le sue iniziative e lesue pubblicazioni corsero parallele all’afferma-zione di alcune nostre personalità nel campo del-la musicologia: Lorenzo Bianconi all’Universitàdi Bologna, Brenno Boccadoro all’Università diGinevra, Marcello Sorce Keller in varie istitu-zioni (da ultimo all’Università di Malta), Giu-liano Castellani all’Università di Friburgo, Gra-ziano Ballerini al Conservatorio di Pesaro, per-sonalità che sono da esempio a coloro che nellaregione svolgono attività di ricerca (Anna Cioc-

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Sopra, il direttore d’orchestra Luca Pfaff e, sotto, il maestro Bruno Amaducci con KatiaRicciarelli, in un concerto al Palazzo dei Con-gressi a Lugano il 5 aprile 1984.

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ca, Giuseppe Clericetti, Giovanni Conti, Massi-mo Zicari, Florian Bassani, Timoteo Morresi,Stefano Bazzi).

L’Orchestra della Svizzera italiana e altri progressiUna terza tappa fu raggiunta nel dicembre 1990,quando il Cantone Ticino (in subordine il Can-tone dei Grigioni) rispose positivamente all’an-nunciato disimpegno della SRG SSR nei confron-ti della “Radiorchestra” luganese, dando vitaalla Fondazione per l’Orchestra della Svizzeraitaliana che, in una situazione meno dipendentedalle esigenze radiofoniche, inaugurava una nuo-va stagione che apriva il complesso sinfonico aprospettive più incisivamente attente alle neces-sità del territorio. È indubbio che da allora la mu-sica abbia acquisito una portata maggiore rispet-to ai decenni precedenti, solidificando un pro-prio pubblico che numericamente giustifica l’e-dificazione di nuovi e più ampi spazi d’accogli-mento (il Palazzo dei congressi e, sempre a Lu-gano, l’atteso Polo culturale), benché nelle altreregioni si sia ancora in ritardo a questo propo-sito.

Ritardi ve ne sono tuttavia ancora anche a li-velli più importanti, nel senso che la reciprocitàtra importazione e esportazione della musica èun obiettivo ancora lontano almeno in certi set-tori. Più di ogni altra disciplina artistica infattila musica è stata da noi un fenomeno di impor-tazione. Persino l’ambito che può vantare la tra-dizione più radicata, quello bandistico, ha do-

vuto dipendere fino a due decenni fa quasi esclu-sivamente da maestri stranieri. La figura emble-matica di Gian Battista Mantegazzi (1889-1958),direttore di importanti complessi nella Svizzeratedesca (la Stadtmusik di Sciaffusa e quella di Zu-rigo) autore di Sacra terra del Ticino e di marceancor oggi correnti nel repertorio bandisticonazionale, e quella di Paolo Longinotti, ricorda-to come direttore del Corps de musique d’élitedi Ginevra, rimangono eccezioni in un panora-ma che fu dominato dai maestri giunti da oltreconfine (Francesco De Divitis, Enrico Dassetto,Luigi Tosi, Gabriele Petruzzelli, Aristide Ghilar-di, Astorre Gandolfi, Adolfo Di Zenzo, OdoneZanardini, Umberto Montanaro, Severino Zoja,Pietro Damiani), che tuttavia hanno costituitoun solido punto di riferimento nell’ancoraggioidentitario delle nostre bande all’italianità di sti-le e di sentire che ha permesso loro di costituirenel tempo il ricco patrimonio espressivo che con-traddistingue musicalmente la Svizzera italiananel contesto nazionale. Oggi il cambio in questocampo è assunto da una nuova generazione fi-nalmente autoctona, che nelle figure maggiori,riconosciute ed attive anche oltre San Gottardo(Franco Cesarini e Carlo Balmelli), ha trovatoesponenti estrosi e dinamici.

Lo stesso fenomeno è riscontrabile nell’ambi-to musicale principale, benché lì assai presto l’e-sempio (per non dire la scuola) forniti dagli in-terpreti professionisti immigrati stimolò giovanitalenti ad emulare i maestri e ad affermarsi nel

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Da sinistra, FlavioAmbrosetti al sas-sofono contralto,con il figlio Francoalla tromba, tra i pri-mi rappresentantidella musica jazz inTicino (foto Leloir,senza data).

campo del concertismo. Anche qui la fucina prin-cipale fu la RSI dei primi decenni, agendo in duesensi, come palestra formativa da una parte e co-me tribuna consacratoria dall’altra. Non ci fu enon c’è artista nostro della musica che conti peril quale la nostra radio non abbia costituito unatappa obbligata. La stessa radio, che nei primidecenni si avvalse delle competenze di musicisticonfederati o stranieri (Nino Herschel, EdwinLoehrer, Otmar Nussio, Fernando Corena, Wal-ter Lang, Luciano Sgrizzi, Hans Georg Sulzber-ger, Mario Venzago), tenne a battesimo nume-rosi talenti locali che a vari livelli e a varie lati-tudini resero onore al paese d’origine. Da PinaPozzi, Dafne Salati, Roberto Galfetti, Jean-Jac-ques Hauser a Dario Müller e Mario Patuzzi frai pianisti, da Maria Amadini a James Loomis,Fausto Tenzi, Bruno Balmelli e Antonella Balduc-ci fra i cantanti, passando per Bruno Amaducci,Luca Pfaff, Fabio Schaub e Giorgio Bernasconifra i direttori, arrivando a Rocco Filippini fra ivioloncellisti e a Chiara Banchini, Romana Pez-zani, Antonio Pellegrini fra i violinisti, con unventaglio che ancor più si apre vicino a noi, neinomi dei violinisti Andrea Cappelletti, Daria Zap-pa, Duilio Galfetti, Manrico Padovani, MelinaMandozzi e Gabor Barta, dei violoncellisti Mat-tia Zappa e Orfeo Mandozzi, del flautista Bru-no Grossi, del liutista Luca Pianca, dei clarinet-tisti Fabio Di Casola, Sergio Menozzi, del piani-sta Francesco Piemontesi, del liutista Luca Pian-ca, del soprano Giuliana Castellani e di DiegoFasolis, colonna portante del prestigioso Corodella RSI. La quale RSI ha dimostrato di essereun centro di eccellenza artistica anche nel cam-po della musica leggera a partire dalla creazionenel 1940 dell’Orchestra Radiosa che polarizzò leprime risorse che il paese poteva manifestare inquesto campo, in primis il direttore FernandoPaggi e il pianista Giovanni Pelli, veri pionieri.Se l’Orchestra Radiosa deve molto a anche a mu-sicisti e ad arrangiatori importati (Claude DeCoulon, Iller Pattacini, Attilio Donadio, Aldo

D’Addario), più ancora fu debitrice del talentodi arrangiatore di Mario Robbiani che la guidòper quasi trent’anni curando il vivaio dei suoicantanti tra cui spicca il nome di Anita Traver-si. La qualità artistica del complesso, purtropposacrificato nel 1985 ai piani economici della SSR,fu anche alla base delle aperture al jazz manife-state fin dai primi tempi, che associarono alla suaattività figure di rilievo che si profilarono inquesto campo, quali Franco e Flavio Ambrosetti.

I compositori importatiNell’ambito della composizione, in un paeseche ebbe la sola radio come istituzione attrezza-ta in modo da costituire tribuna di una consue-tudine esecutiva di rilievo, il fenomeno dell’im-portazione fu dominante per almeno tre decen-ni. La ragione è semplice: la necessità della RSIdi operare alla pari degli altri enti radiofonici na-zionali, con i quali condivideva ogni giorno al-cune ore di trasmissione in comune, richiedevauna programmazione all’altezza e rappresenta-tiva di ciò che si produceva nella regione. In as-senza di personalità significative in questo cam-po non restava che surrogarle approfittando dal-le presenze nel territorio di compositori più o me-

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Leopoldo Casella, primo direttore dell’or-chestra RSI mentre esce dallo studio al Cam-po Marzio negli anni Trenta.

no regolarmente residenti,in gran parte provenienti dal-l’area alemannica. Nei pro-grammi della “Radiorche-stra” con regolare frequen-za troviamo perciò brani diEugen D’Albert (1864-1932), il grande pianista chefu anche compositore, venu-to ad abitare nel 1924 a Barbengo per poi ac-quistare nel 1927 la Villa Tikonoff a Figino go-duta solo per pochi anni essendo scomparso po-co dopo. Attenzione riservata a Rudolf Semm-ler del quale il 27 settembre 1937 al Teatro Apol-lo fu presentato in prima esecuzione TorquatoTasso, oratorio da camera secondo il “Diario de-gli ultimi anni di vita di Torquato Tasso 1579-1595” su libretto di Paul Hardmeyer. Singolarefigura di musicista che si era affermato in Ger-mania nell’ambito operistico, della danza e delcabaret e al quale dal 1933, dopo l’ascesa delnazismo, fu impossibile continuare l’attività nelproprio paese, in Svizzera si trovò a fronteggia-re gli inconvenienti derivanti dalla mancata con-cessione del permesso di lavoro: nonostante il so-dalizio con la danzatrice Ida Hardmeyer che ac-compagnò in tournée nel paese, il suo soggior-no non poteva durare più di tre mesi. La sua si-tuazione, dal punto di vista artistico, non mi-gliorò nemmeno dopo il matrimonio con lei,che comunque lo liberò dai problemi finanziariavendo avuto come risultato la sua associazionealla gestione della tenuta che la famiglia Hard-meyer possedeva a Breganzona. Nonostante l’in-teresse, la frequentazione della cultura italiana,la preponderanza di testi italiani e l’adozione diun taglio madrigalistico per le sue composizionivocali, Semmler non riuscì ad affermarsi in lo-co, probabilmente a causa della modernità delcompositore tedesco il quale si sarebbe in segui-to interessato al jazz e alla dodecafonia, ma che,pur rimanendo a uno stadio moderato, non ave-

va a che fare con il ceppo italiano. Non dobbia-mo tuttavia trascurare il fatto che la Villa Semm-ler-Hardmeyer nell’estate del 1942 divenne sededelle Serenate di Lucino in cui la “Radiorche-stra” si esibì sotto la direzione di Otmar Nus-sio, Leopoldo Casella, Walter Lang e di Semm-ler stesso in programmi cameristici.

Dalla Germania pure proveniva Will Eisen-mann (1906-1992), tedesco di orientamento este-tico francese e pacifista (fondatore della comu-nità di lavoro “Les amis de Jean-Christophe”,programmaticamente collegata alla lezione eu-ropeistica di Romain Rolland), allievo a Parigidi Paul Dukas e Charles Koechlin, il quale, do-po essere stato attivo come drammaturgo e regi-sta nel Teatro di Colonia ma non potendo piùcondividere l’evoluzione politica del proprio pae-se, nel 1935 scelse la via della Svizzera, stabilen-dosi per un certo tempo a Tesserete in alternan-za con Lucerna dove svolse attività didattica. Alui la RSI riservò la prima esecuzione del Con-certo in mi bemolle per sassofono e orchestrainterpretato da Sigurd Rascher e diretto da Ot-mar Nussio il 5 febbraio 1939, dopo che Leopol-do Casella gli aveva già diretto Pareti di vetro(impressioni di Davos), e dopo l’Épitaphe pourMaurice Ravel per pianoforte e orchestra cheHermann Scherchen aveva inserito nel suo pri-mo programma approntato per la RSI il 16 mar-zo 1938, mentre un’altra sua composizione (Gi-tanjali su testo di Rabindranath Tagore) fu tra-smessa il 13 maggio 1941 nell’interpretazione delsoprano Eva Cattaneo e del Quartetto Monte-

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Hermann Scherchen nel-lo studio di Gravesanocon alcuni suoi collabora-tori.

ceneri.La persecuzione degli ebrei da parte dei nazi-

sti portò alla nostra latitudine anche Max Ettin-ger (1874-1951), figura di primo piano della sce-na musicale tedesca negli anni Venti in cui circo-lavano almeno tre sue opere teatrali (Judith, Jua-na, Clavigo) e dove ricoprì cariche importanti(professore di composizione per film al Conser-vatorio Stern di Berlino). Costretto ad emigrare,scelse la soluzione più a portata di mano, cioètrasferendosi ad Ascona trasformando la casache possedeva in una pensione gestita insiemecon la moglie cantante. Il suo ripiegamento in-teriore, che lo portò a ripensare in termini di crea-zione musicale religiosa la sua origine ebraica,se da una parte lo condannò all’isolamento dal-l’altra non gli impedì di collaborare ad alcuneiniziative della RSI, che, oltre ad ospitare l’ese-cuzione di alcune sue composizioni, ne ottennela collaborazione come trascrittore di musicheantiche italiane per l’attività del coro radiofoni-co diretto da Edwin Loehrer.

Oltre ai germanici occorre considerare i com-positori svizzeri tedeschi residenti in permanen-za od occasionalmente in Ticino: Friedrich Klo-se (1862-1942), allievo di Bruckner a Vienna, chenel 1923 si ritirò a Muralto e nel 1932 a Ruvi-gliana Le sue musiche entrarono nel repertoriodella “Radiorchestra” anche se ormai non piùrappresentative del gusto del tempo. In occasio-ne dei suoi ottant’anni, il 28 novembre 1942, fufesteggiato dal cenacolo dei frequentatori dellaBiblioteca Walter Jesinghaus (fondata a Luganonel 1941 come luogo di studio e d’incontro perl’approfondimento della cultura musicale), ilcui animatore tenne una riconoscente orazione,senza immaginare che nemmeno un mese dopoil compositore sarebbe repentinamente decedu-to. Oltre a Fritz Brun (1878-1958), musicista cheaveva rivestito cariche importanti a Berna e cheal termine della sua vita si era ritirato a vita pri-vata a Morcote, occorre ricordare Richard Flury

(1896- 1967), direttore di cori a Soletta, Zurigoe Berna, distintosi per i frequenti soggiorni nelLuganese e che la RSI, dopo l’esecuzione dellasua Tessiner Symphonie, cooptò nel 1938 per l’al-lestimento alla Fiera svizzera di Lugano del “Fe-stspiel” Casanova e l’Albertolli su libretto di Gui-do Calgari, ricordato tuttavia per la discrepan-za tra l’italianità del testo (e della vicenda) e lateutonicità della musica.

Ad attestare una situazione sostanzialmentesguarnita sul piano della creazione musicale fuproprio la radio, che fin dagli inizi programmòspesso in modo unitario, quasi a suggerire un’or-ganica forma di supplenza, composizioni di mu-sicisti illustri occasionalmente presenti dalle no-stre parti, come avvenne il 16 ottobre 1936 in unprogramma intitolato Opere di scrittori e com-positori vissuti nel Ticino, comprendente l’in-termezzo da Tiefland di D’Albert e brani daopere dei tre compositori italiani che soggiorna-rono per lunghi periodi nel cantone: AlfredoCatalani a Faido, Giacomo Puccini a Vacallo eRuggero Leoncavallo a Brissago. L’attenzionein quel programma era estesa a Ernest Bloch, cherisiedette a Roveredo Capriasca dal 1930 al 1934(dove compose il Servizio sacro ebraico), di cuiLeopoldo Casella alla testa della “Radiorchestra”eseguiva i Quattro episodi per orchestra da ca-mera.

Otmar Nussio e altriLa svolta venne ancora una volta dalla radio, laquale non tanto diede spazio ai maestri italianiattivi nelle società filarmoniche ai quali conce-dette regolarmente occasione di comporre ope-re sinfoniche (Luigi Tosi, Enrico Dassetto, Um-berto Montanaro e altri), ma, a partire dall’ar-rivo di Otmar Nussio (1902-1990) come primodirettore della Radiorchestra nel 1938, funse datribuna per una nuova generazione di composi-tori impegnati a confrontarsi con le realtà mag-giori. Lo stesso Nussio, che era stato allievo diRespighi a Roma, dalla sua sapienza di orche-stratore derivò il gusto coloristico che innerva le

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Otmar Nussio, primo direttore della Radio-chestra nel 1938.

sue migliori pagine. Autoreprolifico, esemplato sullachiarità di forme coltivata inambito italiano tra le dueguerre, seguì la vena edoni-stica che caratterizzava granparte di quella generazionead interpretare la modernitàcome atletico attivismo gio-vanilistico e fiducia in unprogresso affidato alle pro-messe dei reggitori delle sor-ti politiche, senza cogliere laproblematicità della situa-zione che avrebbe portatoall’immane conflitto. La suapropensione per il grottesco in una certa misuratradisce il rovescio della medaglia, ma solo a trat-ti. La facilità di scrittura lo portò invece spessoa compiaciuti esiti descrittivi, di compositore fun-zionale al compito identitario richiesto dal cli-ma di “difesa spirituale del paese”. Egli è quin-di da ricordare non solo come autore di un si-gnificativo Festspiel, Vita ticinese (1941), ma an-che di innumerevoli pagine di sapore pittorescoriferite a luoghi, situazioni e vicende della Sviz-zera italiana in cui non è disdegnato il ricorso aitemi popolari. Nella sua lunga esperienza l’in-capacità di stare al passo coi tempi lo indusse apropendere verso forme leggere che ne hanno fat-to un esponente riconosciuto della “gehobeneUnterhaltungsmusik”.

Negli anni intorno alla guerra, con l’affer-marsi dell’estetica “neoclassica”, tale doppiavia non era infrequente. Lo testimonia il bre-sciano di nascita Goffredo Sajani (1885-1951),artista versatile distintosi anche in campo lette-rario e giornalistico. Nonostante la pratica diret-toriale che lo portò sul podio di orchestre impor-tanti in Germania e nel centro Europa, la sua at-tività essenzialmente svolta sul fronte delle “Ku-rorchestern” oltre a portarlo a curare a Luganoil complesso del Grand Hôtel, lo orientò versola composizione di brani d’occasione, fra cui èda ricordare la “suite alpestre” Engiadina (1937).La radio fu anche la palestra di Walter Jesinghaus(1902-1966), di padre tedesco e di madre ticine-se, il quale fu soprattutto (anche se avventuristi-

camente) musicologo, dedicatosi alle ricerche nelpatrimonio storico della nostra regione di cui va-lorizzò alcuni compositori significativi del pas-sato (Manfredo Barbarino, Francesco Robbia-no, Alessandro Tadei, e altri). Nonostante esitialquanto rigorosi nella musica da camera, nellecomposizioni per orchestra si disperde in un’ef-fettistica poco controllata e incoerente, ancheda parte sua messa al servizio di un’epopea mu-sicale regionalistica (Leggende ticinesi op. 40).

Carlo Florindo SeminiFormato negli anni Trenta al Conservatorio diNapoli, al suo rientro in patria nel 1943 CarloFlorindo Semini (1914-2004) trovò pure nellaradio non solo il luogo operativo che per varidecenni lo vide protagonista nella produzione enella programmazione (piattaforma attraversola quale diramare innumerevoli iniziative chearricchirono il panorama musicale della regio-ne), ma anche la tribuna in cui affermare una pro-fessione di fede estetica. Fin dall’inizio il suo lin-guaggio si sviluppò linearmente lungo un asseche ha il suo punto d’appoggio nell’esperienzaitaliana del periodo tra le due guerre, nella faseavanzata della rinascita strumentale che, ab-bandonato il filone operistico, ritenne di ritrova-

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Il Quartetto Monteceneri: Louis Gay Des Com-bes, Antonio Scrosoppi, Renato Carenzio edEgidio Roveda.

re il collegamento con la tradizione classica.Confortata dalla tradizione parallela del “neo-classicismo” stravinskiano e della “nuova ogget-tività” tedesca, questa tendenza, nonostante gliaspetti restaurativi, ha contato come fase di ma-turazione della musica moderna. Segnato dal con-fronto con questi modelli Semini ne ha eredita-to la solarità, che traspare soprattutto dall’im-pianto incrollabilmente diatonico della propriamusica, stagliata nel disegno e luminosa nei co-lori. È la caratteristica che egli condivide con al-tri compositori ticinesi della sua generazione edi alcuni esponenti di quelle successive, da cuituttavia si stacca per l’indifferenza alla venera-zione dei modelli. In altre parole Semini, pur fon-dando il proprio linguaggio su una sintassi radi-cata nella tradizione, non la subisce nel rispettodelle relative forme, ma se ne serve per individua-re la sostanza dell’arcaico, di una realtà che staoltre la storia. Evidentemente questo secondo li-vello di ricerca al di là della definizione “medi-terranea” del suo operare è motivato dalla ri-scoperta della valle, là dove la cultura si coniu-ga con natura. Lo evidenziano eloquentementealcune sue titolazioni: Armonie d’ottoni (1948),Ritorno alla valle (“impressioni sinfoniche on-sernonesi”) (1949), Divertimento preistorico

(1952), Acque vive (1973), Montes Argentum(1984). Nel suo caso è d’obbligo parlare di dop-pia italianità: quella storica, che ci collega allacomune eredità della vasta area che si estendefino al confine linguistico, e quella individuabi-le nel sentimento di un patrimonio etnico ideal-mente conservato al di là delle apparenze, al dilà delle stesse forme, riscoperto come matrice allivello di atavico principio formante. Per que-sto, nonostante i pericoli disseminati sulla stra-da del “neoclassicismo”, egli non ha mai subitotentazioni restaurative: la ricerca degli ipoteticialbori dell’espressione l’ha sempre indotto a so-luzioni miranti all’essenzialità, alla sobrietà,mai al compiacimento. Questi atteggiamenti siriconfermano anche nelle ultime composizioni,quasi programmaticamente nel lavoro orchestra-le Montes Argentum che nell’evocazione di mon-tagne e valli nostrane, dichiarando fedeltà a unalinea estetica battuta da anni, si confronta tutta-via con l’influenza di esperienze maturate agli an-tipodi del contesto descritto, che per il loro ca-rattere dirompente hanno lasciato segni predo-minanti. L’Entrata (Monte Generoso) prende av-vio dall’intonazione del corno, strumento cano-nico nella musica di Semini, metafora del vivererustico, selvatica risonanza sperimentata a suotempo nell’intenzionale scelta dei quattro cornidel Divertimento preistorico. Se allora lo stru-mento boschereccio si accontentava della possi-bilità di agire in uniformità di timbro per presen-tarsi in baldanzosa polifonia a quattro voci, quitenta rapporti che evidenziano la rottura dellaperiodicità ritmica in fasce di dissonanza di se-conda, riprese dalle soluzioni informali da tem-po praticate dalle varie correnti d’avanguardia.I cinque movimenti della suite sinfonica sono dis-seminati di momenti in cui si rivela questo ap-parentamento, realizzato soprattutto in combi-nazioni cameristiche di strumenti a fiato, incisiimpegnati a saggiare il peso specifico matericodel suono, agglomerati timbrici a volte assai ri-cercati e coerenti con l’idea di una natura intesacome magmatico divenire.

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Claudio Cavadini, compositore legato allarealtà territoriale del Canton Ticino.

Renato Grisoni e Claudio CavadiniSulla stessa linea circoscritta, che non valica l’o-rizzonte diatonico, si colloca Renato Grisoni(1922), di origine ossolana ma attivo da semprein Ticino, autore prolifico di musica prevalente-mente strumentale in cui domina il principio diun attivismo fine a se stesso, come celebrazionedella forma stessa. Nonostante qualche divaga-zione descrittiva la sua concezione non esce dal-la configurazione di un’architettura sonora dal-l’assetto trasparente, garantita dai referenti ac-cademici.

Più articolato si presenta l’allievo Claudio Ca-vadini (1935), maggiormente determinato nel so-stenere il concetto di una musica radicata nellatradizione, capace di vivere la scelta localisticacon passione. Operante in un momento di pro-spettive compositive ormai irrimediabilmenteaperte e sottoposte ad accelerazioni continue, ilsuo inquadramento in forme chiuse e rifinite,nel recupero di una semplicità e di una sobrietàdichiarate si contrappone all’evoluzione genera-le della creatività musicale in modo deliberato eperfino polemico. In calce alla partitura dellaSinfonietta “per gioco” (1992-93) leggiamo in-fatti: “L’artigiano rispettoso / del riordinato si-stema / ha tracciato le sue linee / con esatti con-torni / su strutture equilibrate / di classiche for-me./ E cammin facendo / gli è rinato l’amore /per le colorite sonorità / sognate da ragazzo. /Gioia di movimento, / verdi melodie, / profumid’armonie / contrappunti a gogò”.

Cavadini non è musicista che abbia bisognodi supporto ideologico per orientare se stesso eil pubblico nelle finalità affidate alla sua musi-ca. Paradossalmente tuttavia, in una scena mu-sicale dove il grado di sofisticazione è giunto alpunto da non ammettere senza motivazione qual-siasi scelta, anche l’opzione artigianale (diretta,spontanea) richiede una giustificazione. Di lìl’aspetto a volte provocatorio delle sue proposte,ostinatamente e ostentatamente ricondotte all’o-rigine territoriale, alle radici paesane, di per sémotivate da una forma di rigetto della realtàdominata dalla dimensione metropolitana e co-smopolitica.

Lo rivela la scelta dei titoli: Istantanee (dalMonte Generoso) op. 3 per pianoforte (1960),

Sonata “dei muratori” op. 9 per organo (1965),Concerto “ticinese” op. 8 (1966), Sinfonietta perun giorno di festa op. 13 (1972-1991) basata sucanti popolari quali la Valmaggina e la Girome-ta sfociante in un allegro “con Cucù dodecafo-nico” in aperta derisione del noto procedimen-to compositivo, implicitamente denunciato co-me titolo imposto di riconoscimento. Si può quin-di affermare che la produzione di Cavadini sialegata a filo doppio alla realtà ticinese, da unaparte per l’origine e dall’altra per la fedeltà auna matrice che ha attinto la forza di vivere fuo-ri stagione un modello localistico dal perduran-te legame con la condizione arcaica della regio-ne, vissuta fino all’immediato dopoguerra, ri-gettando implicitamente l’evoluzione successivadell’apertura al mondo. Tuttavia il tempo non sipuò fermare. È infatti significativo che la sua Ou-verture del Magnifico Borgo (1976), esaltante levirtù paesane nell’evocazione di chiassose sono-rità bandistiche, sia entrata col titolo di Proces-sio nella Symphonia op. 20 insieme con Invita-tio ad Miserere op. 20c (1982), dove la premes-sa rimane il richiamo ideale all’orizzonte della re-ligiosità popolare profondamente vissuta dalla“nostra gente”. Al di là della teorizzazione del-la “scala bimodale” (che richiama antiche can-tilene alla maniera dei compositori nazionalisti-ci che prendevano a prestito la varietà di scalemodali del rispettivo popolo) vi si intravvedonoaperture formali in cui implicitamente è ammes-sa la fine dell’ostinata certezza negli ipotetici va-lori di una chiusa provincia e di una definizione

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Carlo Florindo Semini, compositore e orga-nizzatore culturale.

linguistica sottratta alla tormentata crescita delmovimento musicale novecentesco.

Wladimir VogelUna prospettiva del tutto diversa fu rappresen-tata dalla personalità più importante manifesta-tasi alla nostra latitudine, Wladimir Vogel (1896-1984). Compositore di origine russo-tedesca, se-gnato nella nativa Mosca dall’ambiente skriabi-niano ed allievo a Berlino di Ferruccio Busoni,dalla sua idea di “nuova classicità” ricavò un sen-so del supremo equilibrio formale anche quan-do il ribollimento delle urgenze espressive, e so-prattutto il confronto con i casi drammatici del-la vita, lo spingevano ad esiti esplosivi. Orbeneproprio l’intensità del suo vissuto lo portò a la-sciare la Germania nazista per cercare rifugio inSvizzera, trovandolo a Comologno nel 1936dove, nella solitudine e nella precarietà (a causadell’impossibilità di ottenervi il permesso di la-voro), maturò la ragione del trapasso alla dode-cafonia, cioè al metodo di composizione dei do-dici suoni non in relazione tra di loro (con l’ef-fetto di sospendere le gerarchie del sistema to-

nale) che dall’originale formulazione della Secon-da Scuola di Vienna stava per essere adottatocome una specie di comun denominatore, dai mu-sicisti che gli eventi e una società non più in gra-do di affrontare le proprie contraddizioni ave-vano spinto all’esilio o reso esiliati in patria. Nel-la sostanza sovvertitrice del codice comunicati-vo, tale sistema gli si impose gradualmente co-me espressione della lacerazione esistenziale pro-vocata dallo sradicamento, inizialmente speri-mentata nel Concerto per violino e orchestra(1937) e nei Madrigaux (1939), fino ad essere

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Orselina, 12-13 dicembre 1948: i partecipan-ti alla conferenza preparatoria del PrimoCongresso internazionale per la musica do-decafonica (Milano, 4-7 maggio 1949). Dasinistra a destra: Hans Joachim Koellreut-ter, Erich Schmid, Karl Amadeus Hartmann,Alfred Keller, Hermann Meier (sullo sfondo),Wladimir Vogel, Riccardo Malipiero, LuigiDallapiccola, Rolf Liebermann, André Sou-ris. In mezzo (di schiena): Serge Nigg.

adottata organicamente durante la composizio-ne del Thyl Claes, concepito in quegli anni dif-ficili tra il 1937 e il 1942 in Valle Onsernone, unoratorio drammatico chiaramente configuratocome protesta contro l’oppressione (dove la per-secuzione degli eretici in Fiandra da parte di Fi-lippo II è vista come una metafora della violen-za del fascismo), la cui seconda parte registra ilpassaggio al nuovo metodo compositivo.

In una Svizzera tenuta al riparo dalle tensioniche si ripercuotevano anche in campo artisticoquesto tipo di messaggio non attecchiva facil-mente, anzi veniva guardato con disinteresse ocon sospetto per non dire con ostilità, come unfattore di perturbamento dell’ordine conservato-re che un paese ripiegato su se stesso aveva de-terminato.

Inosservati passarono quindi i corsi estivi or-ganizzati da Vogel a Comologno dal 1° luglio al15 agosto 1936 nella residenza della “Barca” incui fra le altre figuravano le lezioni sulla “musi-que à douze tons” tenute da Willi Reich, allievodi Alban Berg che si apprestava ad emigrare inSvizzera, dove avrebbe rivestito un ruolo im-portante per la cultura del paese. Con ciò in unasperduta vallata ticinese, per la prima volta inSvizzera, una dozzina di allievi alquanto casua-li si trovarono riuniti a seguire l’illustrazione diun metodo compositivo, che sarebbe stato an-cora per molto tempo guardato con diffidenza acausa della valenza radicale che (ufficialmentebandito dalla Germania nazista) aveva assuntocome connotazione politico-esistenziale in queitempi difficili, diventando una sorta di linguafranca degli emarginati, dei perseguitati, degli ar-tisti strappati alla loro radice culturale. C’è qual-cosa di simbolico nel fatto che questo primocorso sulla dodecafonia si tenesse in un remotovillaggio di montagna, lontano da occhi indiscre-ti, in un luogo tra l’altro che, grazie ad Aline Va-langin (compagna di Vogel) e al suo primo ma-rito Wladimir Rosenbaum, aveva registrato ilpassaggio di molti altri esuli (Toller, Tucholsky,Brentano, Silone, Curjel, Mendelssohn e Canet-ti) in forma quasi cospirativa.

Tale situazione non impedì che proprio dal no-stro paese partisse l’iniziativa di ristabilire i rap-porti interrotti dalla guerra tra i musicisti che ave-

vano adottato il metodo schoenberghiano, di-spersi e divisi a causa delle vicende politiche. Fucosì che Wladimir Vogel il 12 dicembre 1948 con-vocò ad Orselina una conferenza preparatoriadel Primo Congresso Internazionale per la Mu-sica Dodecafonica tenuto a Milano dal 4 al 7maggio 1949, riunendovi una significativa rap-presentanza di compositori provenienti da varipaesi che già si erano distinti nel nuovo orienta-mento (Luigi Dallapiccola, Riccardo Malipiero,Serge Nigg, Karl Amadeus Hartmann, EuniceCatunda, Hans Joachim Koellreutter, André Sou-ris), a cui presenziarono i pochi svizzeri che era-no della partita (Erich Schmid, Alfred Keller edHermann Meier) a cui si aggiunse Rolf Lieber-mann, allievo di Vogel ad Ascona nei primi an-ni Quaranta.

La venuta di Vogel nella Svizzera italiana, incui risiedette fino al 1964, non è misurabile so-lo nell’impegno in favore del paese d’accoglien-za, promuovendone un salto di qualità nella vi-ta musicale attraverso il contributo determinan-te alla creazione delle Settimane Musicali di Asco-na nel 1946, ma caratterizzò la sua stessa sceltaestetica nello sviluppo di una propria lettura delprocedimento dodecafonico in base a un mo-dello meno cromaticamente tormentato rispet-to all’esempio schoenberghiano. L’idea formu-lata di una “dodecafonia consonante” corrispon-deva a una concezione tendente a scioglierladalla matrice espressionistica orientata verso ladissonanza, mettendo a frutto la lezione di Bu-soni e la pratica costruttivistica della sua espe-rienza nel periodo weimariano. D’altra parte l’a-pertura verso l’Italia, maturata nel rapporto conLuigi Dallapiccola con il quale corrispose inten-samente durante la guerra (nel parallelo proce-dere dell’amico italiano verso la soluzione do-decafonica) e nei rapporti intrattenuti con leistituzioni concertistiche italiane in cui imposela sua presenza fino ad ottenere il riconoscimen-to di accademico di S. Cecilia, assunse addirit-tura la dimensione di un processo identitario,identificando in quella cultura nuovi principi ispi-rativi. Lo rivelano i titoli di molte composizionidel periodo asconese: Tre liriche sopra poemi diFrancesco Chiesa (1941), Alla memoria di Gio-vanni Battista Pergolesi (1950), Dal quaderno di

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Francine settenne (1952), Aforismi e pensieri diLeonardo da Vinci (1969), Gli spaziali (1970-1971) e soprattutto la Meditazione sulla masche-ra di Amedeo Modigliani, composta su testo diFelice Filippini per l’inaugurazione del nuovo stu-dio della RSI a Besso nel 1962, in cui MassimoMila, ravvisando la prevalenza dell’espressionecorale, rilevò l’impiego dei quattro solisti nel qua-dro di “un gusto madrigalistico”.

Purtroppo, dato il prevalere in loco di una pra-tica compositiva attardata sulle posizioni italia-ne d’anteguerra, Vogel non fu d’esempio a nes-sun ticinese. Nessun ticinese fu presente ai corsidi Comologno nel 1936. Solo Edward Staemp-fli (1908-2002) residente nel Luganese dal 1944ma di origine bernese, che allora collaborava spes-so con la RSI, partecipò come pianista ai con-certi tenuti in margine alle sessioni della Confe-renza di Orselina nel 1948 e del Congresso di Mi-lano nel 1949, preludio alla scelta di comporrein base al metodo dodecafonico dal 1950 in poi,quando però lasciò il Ticino per altra destina-zione. E nessun musicista ticinese ricavò benefi-cio dall’arrivo di Hermann Scherchen a Grave-sano, dove nel 1954 il celebre direttore d’orche-stra ed operatore culturale creò lo Studio speri-mentale di elettroacustica, un polo che, grazie aisuoi esperimenti e ai vari congressi che vi si ten-nero, operò fino al 1966 in parallelo con i cen-tri europei che avevano aperto la prospettiva del-la musica elettronica e concreta. Grazie alle pre-senze di Luc Ferrari, Luigi Nono, Yannis Xenakise altri, anche se quasi in incognito, in quella ri-

servata sede pulsava il flusso sanguigno delle cor-renti avanzate di quegli anni.

Ermano Maggini In quest’area, ma per altra via, confluì uno deicompositori ticinesi più interessanti del dopo-guerra, Ermano Maggini (1931-1991). Forma-to alla Musikakademie di Zurigo egli fu prestoposto a confronto con una realtà compositivaavanzata, tale da allontanarlo dai moderati oriz-zonti estetici del sud. La sua scrittura, benchésconfinante nella dimensione atonale, obbedi-sce a una foga espressiva in cui si impone l’ac-cento drammatico a liberare un sentire interior-mente vibrante di fervore quasi religioso. È au-tore di una serie di 10 Torsi per varie combina-zioni strumentali, dal violoncello solo all’orche-stra (1973 - 1991) e di una serie parallela di 21Canti, pure dal solo strumento all’orchestra (1972- 1991), nonché di uno Stabat Mater per soli,coro e orchestra e di varia musica cameristica.

Francesco HochLa prima personalità che ha segnato definitiva-mente lo stacco dai residui di un passato condi-zionato dalla questione identitaria, che nel pri-mato dell’italianità mantenne a lungo in Ticinola dipendenza da una concezione “nazionale”della musica (decaduta nella stessa Italia del do-poguerra), è stato Francesco Hoch (1943). Lasua formazione è avvenuta alla scuola di Fran-co Donatoni, in una Milano che ancora neglianni Sessanta era una vivace tribuna attraversola quale l’Italia aveva riallacciato i rapporti conle correnti creative europee. Il suo riferimento al-la scelta di campo attuata dall’avanguardia po-stweberniana fu il punto di partenza di un itine-rario creativo fortemente concentrato sugli aspet-ti strutturali del linguaggio. Una solida coscien-za critica lo ha sempre guidato in uno sviluppodimostrativo di ipotesi compositive esposte conuna sistematicità che non ha mai concesso nullaa divaganti tentazioni effettistiche. La convinzio-ne con cui ha portato avanti il suo progetto nonha mai ceduto di fronte allo scenario che nei de-cenni successivi ha lasciato il campo a processidi riflusso e a svolte in cui è tornata a prevalerel’espressione ritrovata al livello di disimpegnataFrancesco Hoch, un compositore di rottura.

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manifestazione di sregolate pulsioni comunica-tive allo stadio dell’omologazione. In atteggia-mento trasceso, a quel punto egli ha scelto di vi-vere didascalicamente la dissoluzione della mo-tivazione compositiva, non di fronte a una sor-ta di irreversibile afasia ma in uno stato di so-spensione decretata a scopo rigenerativo da cui,sempre dimostrativamente, ha proclamato di rie-mergere in una dimensione “postuma”. Program-matiche in questo senso sono composizioni qua-li Il mattino dopo per orchestra (1986), Settebagatelle d’oltretomba per orchestra, Tableau in-fernal per coro e orchestra e Der Tod ohne dasMädchen per quartetto d’archi (1990), Memo-rie da Requiem per coro, soprano e orchestra(1991-92).

Da quel momento in poi, anziché rarefarsi, lasua spinta creativa ha ripreso quota attraversoun numero cospicuo di lavori affrontati con mag-giore libertà d’azione, soprattutto non orientatiesclusivamente dalla logica antagonistica eredi-tata dall’avanguardia nel superamento dimostra-tivo dei vari stadi linguistici, ma aperti al riscon-tro con i vari livelli di coscienza storica, recupe-rando la dialettica con il patrimonio conosciti-vo ed espressivo del passato.

Ne fa particolarmente stato Percorso Nove-cento presentato il 23 settembre 2005 all’Audi-torio della RSI a Lugano e in seguito a Milano ea Roma, opera in cui non manca la program-maticità. Come da più di mezzo secolo l’avan-guardia ha instaurato la prassi di far dipenderel’ascolto di una composizione dall’illustrazionedelle intenzioni del compositore nel programmadi sala (come se ogni volta essa sorgesse da ungrado zero), in Percorso Novecento Hoch ma-nifesta la sua fede nella scelta radicale giungen-do ad incorporare tale livello di didascalicità nel-l’opera stessa, proponendola esplicitamente co-me un organismo autosufficiente. Per quantocomposito, articolato intorno a una scelta di poe-sie di Marinetti, Corazzini, Montale, Ungaretti,Quasimodo, Pasolini, Zanzotto, Sanguineti, Ba-lestrini (con un’appendice riservata agli amiciticinesi Antonio Rossi, Alberto Nessi, GilbertoIsella, Gabriele Quadri, Massimo Daviddi, Ro-berto Bernasconi), questo suo recente lavoro sipresenta come un “Gesamtkunstwerk” non so-

lo per la dilatazione temporale ma soprattuttoper il raggio esteso di relazioni esplorate nelrapporto poesia-musica, parola-suono, livelloestetico-livello critico del commento; un’operad’arte totale riconducibile a un solo artefice,evidenziata dal fatto che per la prima volta l’au-tore non ha delegato ad altri il compito esecuti-vo ma l’ha assunto personalmente come diret-tore-concertatore dell’insieme, pilotando salda-mente lo scavo di un rapporto con la parola ca-rico di storia.

L’attenzione per il suono e la parola vi è ride-stata come se sorgessero da uno stato primige-nio, di scoperta delle loro potenzialità saggiateper la prima volta nei vari livelli espressivi (delcanto, della recitazione poetica, della musicaliz-zazione attraverso gli strumenti, del commento),a volte giustapposti, a volte sovrapposti, a volteintrecciati, in una varietà di soluzioni e in un sor-vegliato equilibrio tra la libertà della ricerca e ilrigore quasi geometrico dell’inquadramento deltutto. Parole e voci risultano ovviamente domi-nanti; il canto in particolare vi è declinato in mol-te sue ramificazioni, dallo “Sprechchor” sceltoper tradurre le marinettiane parole in libertà al-la tecnica dell’”hoquetus” che guida la trasposi-zione dei versi di Montale, dalla sinuosa goti-cità del trio vocale che riserva ai versi di Coraz-zini tratti cortesi di “ars nova” agli scherzosi ri-battimenti di Pin penin (Zanzotto) che sottoli-neano la piega idiomatica col riferimento al ca-denzato “minimalismo” perseguito da AdrianoBanchieri nella resa sonora della dialettale com-media cinquecentesca.

Sottolineato dall’arcaicità del suono degli stru-menti d’epoca (liuto, viola da gamba, diversi flau-ti a becco oltre alla percussione), ma soprattut-to dal trio vocale che rimemora la tessitura delmadrigale rinascimentale, Percorso Novecentotrova in quel momento fondativo della culturaitaliana l’esempio di una ricerca che vide l’artedei suoni cercare la sua forma in nuove con-giunzioni con la parola poetica, dapprima nellasostanza retorica del madrigale e in seguito nel-le figure espressive del “recitar cantando”. È quin-di in una tensione con la memoria di quello sto-rico patrimonio che l’ascolto di tale composi-zione sollecita la mente, appoggiandosi alla poe-

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sia italiana del secolo che ha rimesso a zero l’o-rologio del tempo creativo ma che non ha potu-to fare a meno di ritrovare sul suo cammino glistessi concetti e gli stessi valori di un remoto “spe-rimentalismo”, che aveva già affrontato le pro-spettive della messa in discussione dei portati lin-guistici nella forma dell’autoesclusione dagli scon-tati rapporti con la società, nell’arroccamentodi un arte già allora definita “reservata”.

A questo stadio di “postmodernità”, aperte alpolistilismo, si situano le sue ultime opere in cuila ricerca di differenziazione sfocia esplicitamen-te nella dimensione scenica: The Magic Ring(1995-2000) e Josef K. - Il processo continua(2005-07).

Luigi QuadrantiAl Conservatorio di Milano deve la sua forma-zione anche Luigi Quadranti (1941), segnato dal-l’insegnamento di Bruno Bettinelli. Rimanendofedele all’esemplarità costruttiva del maestro, alprimato del contrappunto, egli si è pure apertoal processo rinnovatore della libera tonalità con-tribuendo ad allargare le prospettive creative del-la nostra provincia. Benché nel suo lavoro nonmiri a stabilire obiettivi ambiziosi oltre il livello

di un artigianato pago del risulta-to ottenuto dalla ricerca di un og-getto sonoro di equilibrata fattu-ra, in linea con il rapporto stabili-to con la vita di campagna colti-vata in organica immersione nellanatura, il suo contributo alla vitamusicale della regione è stato ed ènotevole. Attraverso l’impegno or-ganizzativo nelle rassegne Musicanel Mendrisiotto e Canto delle pie-tre (oggi Ormai convien cantar dipietre certe) egli contempera pro-grammaticamente il sostegno allacreatività dell’oggi con l’interesseper la musica antica, non come cul-to museale del passato ma come in-

dagine da cui ricavare motivazioni ed elementicostitutivi delle ipotesi espressive dell’oggi.

Paul GlassUn apporto decisamente esterno, ma tradottosisubito in uno stimolo della vita musicale localeal suo arrivo in Ticino nel 1974, anche grazie alsuo insegnamento di teoria e composizione alConservatorio della Svizzera italiana, è rappre-sentato da Paul Glass (1934). Nulla della linea-rità di discorso che contraddistingue la sua espres-sione musicale lascia presagire l’inquieta espe-rienza di musicista che ha lasciato il suo paesed’origine, gli Stati Uniti, per una raffinata edu-cazione europea (con Petrassi e Lutoslawski), cheha fatto ritorno in patria per abbandonarla dinuovo proprio all’apice del successo come com-positori di musica cinematografica. Basti qui ri-cordare il suo contributo a Bunny Lake is mis-sing (1965) di Otto Preminger e a Overlord (1974)di Stuart Cooper. In questa tranquillità d’ani-mo, mantenuta di fronte alle occasione e allenecessità di cambiamento, si conserva il caratte-re americano di un compositore che in altre cir-costanze ne avrebbe ricavato ragioni di tormen-to. Ciò già indica come l’assunzione del metodododecafonico, maturata proprio nel commentoa un film (The Abductors di Andrew V. McLa-glen, 1957), non abbia significato un recuperodella matrice espressionistica. Benché a Los An-geles non gli sia mancato il contatto con la cer-

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Luigi Quadranti, compositore e organizza-tore delle rassegne Musica nel Mendrisiot-to e Canto delle pietre.

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chia degli esuli tedeschi e austriaci sia intorno alpolo delle università sia intorno all’ambiente hol-lywoodiano, la cultura musicale del vecchio con-tinente vi giungeva filtrata. Così non è nemme-no la valenza radicale della dodecafonia che hainteressato Glass, per cui, nonostante i numero-si contatti con l’Europa a partire dagli anni Ses-santa, non vi fu da parte sua un coinvolgimentodiretto con le operazioni dell’avanguardia.

Nella musica di Glass non è presente il segnodella destrutturazione, che in un modo e nell’al-tro pesa sui compositori europei del dopoguer-ra come riscontro di una concezione storica dellinguaggio musicale sorpreso nella fase del de-cadere della sua energia espressiva. Non è uncaso che l’evoluzione postweberniana non ab-bia riguardato soltanto il riassetto della sintassimusicale su base atonale, ma abbia modificatoil rapporto con le forme ereditate, nel senso del-la perdita della capacità di articolazione su unvasto arco formale e della problematizzazionedel rapporto tra individuo creatore e materialecompositivo. La presenza nell’opera di Glass disinfonie, sonate, concerti, quartetti, soprattuttodi composizioni ciclicamente organizzate in mo-vimenti, indica invece un senso di continuitàcon un fare musica di tipo organico, motivatocome necessità. Nel suo linguaggio è del tutto as-sente la valenza sovversiva nei confronti dellaconsonanza, la cui forza stabilizzante è al con-trario sfruttata nell’ambizione di mantenere e per-sino estendere la capacità di articolazione com-

positiva. Per lui il serialismo nonsi configura sul pentagrammacome aspirazione ad afferma-re il principio di un ordine astrat-to, ma risulta inteso come realtàrisuonante, spiegabile solo nel-la verifica dell’ascolto.

In questo senso egli ha prov-veduto a reinterpretarne il fun-zionamento, spostandone l’as-se di sviluppo dal contesto cro-matico a quello diatonico, mi-

rando a competere con la musica di tradizionein ricchezza di possibilità espressive. Ne fa statoil trattamento dell’orchestra, dove non c’è notache si accontenti del senso musicale derivante dal-la sua posizione nella struttura compositiva, mache cerca la sua ragion d’essere nel modo di vi-brare nel corpo sonoro. La componente timbri-ca è sempre in primo piano nella sua concezio-ne, nella naturalezza con cui può essere prodot-ta sugli strumenti e nel rapporto fisico stabilitocon gli ascoltanti. In tale affermazione delle re-gole interne al funzionamento della composi-zione musicale, prevalenti sulle sovrastruttureideologiche che vi si possono compenetrare, con-tinua a manifestarsi quel grado d’identità cultu-rale americana fondata sul principio dell’esplo-razione di nuovi spazi e della ricerca della fun-zionalità.

Tra le sue composizioni ricordiamo Wie einNaturlaut, per dieci strumenti (1977), Sinfonian. 3 (1986), Lamento dell’acqua, per orchestra(1990), Deh, spirti miei, quando mi vedete, percoro misto (1987), Pianto della Madonna, persoli, coro e orchestra (1988), Sinfonia n. 5 “admodum missae” (1990), Kakapo, balletto perbambini (2001), Lo svasso cornuto per corno in-glese e orchestra (2004).

Mathias SteinauerMathias Steinauer (1959) appartiene a una ge-nerazione meno condizionata dal rigore del ri-chiamo all’esemplarità dell’avanguardia stori-

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Paul Glass mentre dirigeuna sua colonna sonora.

ca, pur rimanendo la sua estetica ferma ai prin-cipi acquisiti dalla scelta radicale. In questo sen-so la propria esperienza compositiva è vissutacon libertà, disponibile a confrontarsi col già no-to senza apparire un risultato di compromessi.Il suo paesaggio sonoro si dilata in spazi fram-mentati dove il silenzio conta tanto quanto lospessore del suono, esperito in una varietà colo-ristica tenuta sotto controllo. Raffinato nella scrit-tura, capace di produrre situazioni di incanta-mento a volte anche abbaglianti, egli non varcamai il confine in cui la musica si fa mezzo evo-cativo di atmosfere auditive fisicamente appa-ganti. Tali esiti non smentiscono mai la sostan-za di un principio compositivo essenzialmenteconcettuale. Steinauer si affida spesso a provo-cazioni esteriori, ad illuminazioni metaforiche.In Sott’acqua op. 17.3 (1999) ad esempio, è orien-tato dalla condizione della fauna di profonditàsottoposta all’enorme pressione dell’acqua, muo-vendosi in un mondo freddo e buio grazie ad or-gani luminosi e al potere di fantastici sensoriche percepiscono i minimi cambiamenti di pres-sione come le nostre orecchie. Nessuna rappre-sentazione ne deriva se non la semplice analogiadi disposizione a un ascolto chiamato a cogliere

gli impercettibili mutamenti disuoni prodotti da un organicocangiante (sassofono soprano,corno, trombone, fisarmonica/pianoforte, percussione e unostrumento suonato in manieraimprovvisata). Basilese d’origi-ne, dal 1992 risiede a Corticia-sca ed insegna teoria, compo-sizione e musica contempora-nea alla Zürcher Hochschuleder Künste. Fra le sue compo-sizioni spiccano ... wie Risse imSchatten ..., op. 7 (1988-89) perflauto e orchestra (che derivail titolo da uno spunto tratto dallibro di Jean Gebser Ursprungund Gegenwart che offre una

storia dello sviluppo della coscienza umana incinque fasi: arcaica, magica, mitica, mentale e in-tegrale), Omaggio a Italo Calvino op. 10 (1993-94) per clarinetto, corno, violino e pianoforte (tremovimenti tratti da tre racconti dello scrittoreitaliano su possibili genesi della terra: La me-moria del mondo), Il rallentamento della sara-banda op. 18 (1993-95) per pianoforte, percus-sione e orchestra (un tentativo di commentaremusicalmente la storia della sarabanda, la suapresunta origine azteca e i quasi duecento annidi castigo), La dimensione dello strappo, op. 18(2000-02).

Mario PagliaraniPer quanto quantitativamente ristretto lo spettrocreativo rappresentato dalle ultime generazioniè piuttosto differenziato e tale da corrisponderea filoni che si lasciano riconoscere nell’articola-zione di altrettante tendenze significative profi-late in campo internazionale. Mario Pagliarani(1963) fonda la propria estetica in un’idea di mu-sica emancipata dall’imperativo di aderire a unastrutturazione verificabile nella complessità del-la scrittura.

Il suo riferimento a un maestro quale Salvato-re Sciarrino rivela la disposizione a porsi in ascol-to di ciò che sta oltre la realtà sonora. Semprepiù la sua musica, benché svolta linearmente allimite della semplificazione, rimanda evocativa-

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Mathias Steinauer, basilese d’origine, dal1992 risiede a Corticiasca.

mente a dimensioni sottese, dove, accanto allamemoria di momenti del patrimonio storico, siintreccia il filo di interiore esperienza di storiapersonale, emergente attraverso tracce sonore an-nidate nel varco di una scrittura contemplativa-mente orientata.

Nel dialogo tra il presente e il ricordo l’accen-to è posto sulla sonorialità, su sconfinamenti tim-brici impegnati a collegare i suoni al vissuto.Tra le sue composizioni menzioniamo Pierrot lu-natique del 1993 (nell’organico dello schoenber-ghiano Pierrot lunaire), Cappuccetto rosso, Hör-spiel e composizione scenica per strumento gra-ve solista ad libitum, suoni registratio, oggetti,proiezioni e luci (1994), Canzone fantasma -Omaggio a Paul McCartney, per flauto (ottavi-no), clarinetto, violino, violoncello, pianoforte,raganella e suoni registrati (1996), Opera dellanotte, poema concertato su testo di Giuliano Sca-bia, per lettore, flauto, arpa, fisarmonica, violon-cello, oggetti e suoni registrati distribuiti nellospazio (2001), Gli ultimi istanti di Anton We-bern, composizione scenica per due attori, cor-no, gran cassa, pianoforte, oggetti, suoni regi-strati, proiezioni e luci (2005), Debussy (Le jetd’eau), trasfigurazione per flauto, viola, arpa esuoni registrati distribuiti nello spazio (2005-08).

Nel 2000 ha fondato il “Teatro del Tempo”, co-me estensione teatrale di una concezione musica-le, alla base della Via Lattea, ciclo estivo annualearticolato intorno a un tema specifico in un per-corso di appuntamenti in diverse località del Men-drisiotto che fa interagire musica, letteratura, ci-nema, danza e varie performances nei paesaggi na-turali e culturali della regione per poi creare un’o-pera inedita, rassegna che, per l’originalità dell’ap-proccio intellettuale e per il dialogo tra le arti gliha valso quest’anno il Premio Meret Oppenheimda parte dell’Ufficio federale della cultura.

Nadir VassenaLa provenienza di Nadir Vassena (1970) da unaspecifica formazione strumentale (sassofono)ha segnato il suo vasto percorso compositivonel senso di un lavoro indefesso a partire dal suo-no fisicamente esplorato. Proprio la successioneincalzante di titoli corrispondenti ad organici ognivolta diversi rivela uno spiccato istinto indaga-

tore della dimensione sonora in quanto tale. Leipotesi compositive messe in campo, nonostan-te l’orientamento in varie direzioni, rispondonosempre a una ferrea volontà di controllo delprocesso creativo. Nonostante la ricerca sulle va-rie risorse timbriche degli strumenti, estratte inogni loro risvolto al limite dell’ineseguibile, al-l’interprete non è lasciata l’iniziativa, per cui, seil risultato a volte confina con la casualità del-l’evento sonoro in sé, non si può mai parlare dialeatorietà. Viceversa la spinta verso gradi estre-mi delle possibilità combinatorie recentementeha portato l’atto performativo a sconfinare nel-l’accento posto sul gesto. Contemporaneamen-te è sorto in lui l’interesse per il teatro da came-ra, esplicitando il rapporto con il vissuto, ma nel-la forma in cui il parlato è posto sotto il control-lo di preordinata logica musicale.

Nelle composizioni più recenti la sua atten-zione si è spostata verso un’indagine degli intrec-ci, e delle interferenze, tra pratiche legate più omeno direttamente al fare musicale e verso iprocessi di scrittura, interpretazione e percezio-ne del suono. Ne sono nati lavori in cui gli inter-preti sono parzialmente o totalmente bendati,mascherati, o comunque condizionati in vari mo-di nelle scelte e nelle possibilità esecutive.

Affermatosi presto a livello nazionale e inter-nazionale in festival quali il Gaudeamus di Am-sterdan e in concorsi indetti dal WDR di Colo-nia, dall’Institut für Neue Musik di Berlino odal Mozart-Wettbewerb di Salisburgo, Vassenaè stato membro del comitato direttivo dell’As-

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Mario Pagliarani, fondatore della rassegnaVia lattea.

sociazione dei Musicisti Svizzeri e dal 2004 è di-rettore artistico dei Tage für neue Musik di Zu-rigo. Fra le sue opere sono da menzionare 31 ana-tomie notturne per quartetto di sassofoni (1998),11 fragili giochi della notte per flauto dolce (2000),4 danze macabre per chitarra ed ensemble (2001),luoghi d’infinito andare per ensemble (2003),leib.wache fotogrammi teatrali in forma di can-zone per 4 voci e orchestra da camera (2004), ifidi luoghi dell’anima frammento d’opera percontrotenore e 4 voci in penombra (2006), ma-teria oscura per sassofono e ensemble (2006), ...altri inverni metapratiche sullo sfondo, per en-semble elettrificato e suoni sintetici (2008), co-reografie incerte per flauto basso (ottavino), vio-la e violoncello (2009).

Altre personalitàA completare il quadro sono anche da menzio-nare Sergio Menozzi (1960), che si colloca conlibertà di scelte capaci di soluzioni fantasiose earmoniose nell’ambito avanzato oltre le frontie-re della dissonanza, e Oscar Bianchi (1975),giovane e promettente artista formato al Conser-vatorio di Milano con Umberto Rotondi, Adria-no Guarnieri e Sandro Gorli, esperto anche nelsettore elettronico, che ha sviluppato un linguag-gio assai articolato, in cui la varietà e l’arditez-za dei procedimenti risultano messi al serviziodi una comunicazione calorosa e coinvolgente inbase a un’efficace strutturazione drammaturgica. Rispetto al passato l’incremento dell’attività com-positiva nella regione è stato notevole, poiché aqueste personalità che si sono manifestate con unprofilo organicamente collocato nelle correntimaggiori della creatività musicale (conseguente-mente riconosciuti sul piano nazionale e interna-zionale), ve ne sono altre che hanno scelto per-corsi individuali indipendenti. Andreas Pflüger(1941), attivo in Ticino fino agli anni Novantainoltrati prima di ritornare nell’originaria Basi-lea, spicca per una modernità disinvoltamentespinta, risolta in soluzioni spettacolari in cui èprofusa una maestria di provetto orchestratore.Renzo Rota (1950) si distingue per una visionegiocosa del far musica coltivata con arguzia, inbilico tra ricerca di nuove prospettive e nostal-gia di forme organiche. Giorgio Koukl (1953),nonostante sia stato allievo di Luciano Chailly alConservatorio di Milano, non nasconde l’im-pronta della tradizione familiare che lo collegaa Praga in una musica segnata dal cinetismo edalla foga costruttiva di un Prokof’ev o di unoŠostakovič, in cui non manca il compiacimentodelle irregolari accentuazioni ritmiche del folclo-re est-europeo. Pietro Viviani (1965) e Ivo An-tognini (1963), mettono a frutto la formazionee la pratica jazzistica in composizioni a volte in-

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Nadir Vassena, direttore artistico dei Tage fürneue Musik di Zurigo. Sotto, Oscar Bianchi, promettente artista im-pegnato anche sul fronte della musica elettronica.

decise su quale dei due fronti qua-lificarsi, anche per il fatto di ri-specchiarvi il relativismo delladimensione postmoderna. In que-sto senso si spiegano il ricorsoalla matrice del folclore cinesenell’esperienza compositiva diChun He Gao (1959) e le efflo-rescenti costruzioni ritmiche delpercussionista Ivano Torre(1954). A completare il florile-gio di questi ultimi composito-ri, spesso coinvolti in progettidi spettacolo o altro in cui la com-ponente musicale è integrata in termini di fun-zionalità, spicca anche il percussionista OlivieroGiovannoni (1952), dal 1976 legato alla ScuolaTeatro Dimitri e alla Compagnia Teatro Dimitri.

AttivitàNonostante la vitalità creativa in campo com-positivo l’interesse per la musica contemporaneanella Svizzera italiana rimane circoscritto. L’as-sociazione Oggimusica, che dal 1977 svolge ci-cli tematici, vantando la presenza di figure qua-

li Vinko Globokar e Philip Glass (1978), CathyBerberian (1980), Alvin Curran (1981), Terry Ri-ley e David Tudor (1982), Karlheinz Stockhau-sen (1989), Michael Nyman (1990), all’iniziopoté contare su un pubblico motivato dal signi-ficato alternativo delle proposte, per coloro chesulla scia della contestazione sessantottesca rifiu-tavano la funzione omologante dell’offerta con-certistica in generale. Spentosi questo segnale,di fronte a un panorama internazionale in cui èvenuta meno la chiarezza di correnti profilate ealle tentazioni del consumo in cui prevalgono iprodotti leggeri, lo stimolo ad identificarsi nelleespressioni contemporanee della musica di tra-dizione colta si è indebolito. In questo senso laSvizzera italiana sconta ancora in parte il fattodi non essere pienamente evoluta allo stadiodella condizione urbana, necessaria a stabilire ipunti di raccordo con la rete delle esperienze avan-zate. Demograficamente debole e culturalmenteperiferica, non si può pretendere che essa possaagire al pari dei grandi centri. Malgrado ciò ilfatto di trovarsi ad assumere il ruolo di terza Sviz-zera, in quanto minoranza di lingua italiana, fun-ge da sollecitazione ad elevarla a polo rappresen-tativo in tutto e per tutto della cultura di riferi-mento, per cui non mancano i momenti in cui es-sa è periodicamente ed ufficialmente chiamataad aprirsi al nuovo. Per quanto riguarda la mu-sica, benché non abbia goduto del riconoscimen-

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Sopra, Pietro Viviani, tra jazz e nuovamusica e, sotto, Ivano Torre, percussionista.

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to culturale assegnato alle lettere e alle arti figu-rative se non in tempi recenti, nell’ultimo secoloessa si è trovata più volte al centro dell’attenzio-ne almeno in ambito nazionale.

Ciò è avvenuto in occasione della Festa dei mu-sicisti svizzeri, tenuta annualmente dall’Asso-ciazione Svizzera dei Musicisti in una localitàdiversa del paese, appuntamento fondamentalesia come tribuna di prime esecuzioni richieste aicompositori associati sia come verifica dello sta-to dell’evoluzione creativa nel settore. Orbene ilTicino ha più volte assunto tale ruolo di croce-via, anche in tempi in cui era dotato di mezzi pro-duttivi inferiori a quelli odierni.

La serie fu aperta da Lugano che ospitò i mu-sicisti svizzeri il 14-15 maggio 1921. Dal 31 mag-gio al 2 giugno 1941 la festa si svolse a Locar-no, ma allora nessun compositore ticinese vi fueseguito. La presenza di forze locali si limitavaagli interpreti, in particolare al Coro della RSIdiretto da Edwin Loehrer. I musicisti svizzeri tor-narono a Locarno il 22-23 giugno 1957, anchequesta volta, a fronte dell’apporto della “Radior-chestra” diretta da Leopoldo Casella, venne pro-grammato, per quanto illustre, un ticinese d’a-dozione, Wladimir Vogel con l’esecuzione del suoQuaderno di Francine settenne. Il dinamismo diCarlo Florindo Semini, prezioso già in questa oc-casione, ebbe miglior esito nella festa tenuta aLugano il 30-31 maggio 1970 in cui fu eseguitala sua cantata I mercenari con il coro radiofoni-co diretto da Loehrer. La festa di Lugano passòalla storia come un momento spartiacque nell’e-voluzione della musica del nostro paese, per me-rito di un concerto straordinario in funzione pro-vocatoria, che confrontava l’associazione (finoad allora controllata dagli esponenti di tenden-za moderata) alle forme radicali. Sotto il titolodi “Avanguardia in Svizzera” e con un’introdu-zione di Constantin Regamey vi fu presentatauna serie di composizioni dimostrative con Pier-re Mariétan, Giuseppe Giorgio Englert, RainerBoesch e Urs Peter Schneider, in azione con ap-parati elettronici (dal vivo e registrati). L’Orche-stra della RSI affrontò nell’occasione un nutritoprogramma sinfonico sotto la bacchetta di MarcAndreae, da poco più di un anno attivo come suomaestro stabile, già determinato a sostenere la

causa della musica nuova. Grazie e a lui da allo-ra, con regolarità, nel ciclo dei concerti pubblicialla RSI fu introdotto il concerto “Musica viva”,interamente riservato alle nuove creazioni e a pri-me esecuzioni. Il risultato di questa politica si mi-surò nel 1981 in occasione della successiva Fe-sta dei musicisti svizzeri tenutasi pure a Lugano,questa volta con una nutrita presenza di com-positori ticinesi. Dal 29 al 31 maggio tra gli al-tri vi sfilarono Semini, Francesco Hoch, LuigiQuadranti e Andreas Pflüger, senza contare Wla-dimir Vogel con l’esecuzione di Verso-Inverso edi due composizioni corali del suo periodo tici-nese (Madriguax e Aforismi e pensieri di Leonar-do Da Vinci diretti da Francis Travis, da pocochiamato alla RSI al posto di Edwin Loehrer).Nel 2003 i musicisti svizzeri ritornarono a Luga-no per una festa dal taglio originale, itinerantefra tre città (Chiasso, Lugano, Bellinzona), masoprattutto ancora una volta chiamati a confron-tarsi con le personalità che in Ticino hanno con-tribuito a far maturare una coscienza del con-temporaneo. Francesco Hoch e Mario Pagliara-ni vi furono impegnati in una rilettura delle chio-se relative a Lugano e Locarno del dotto Cristofo-ro Torricelli al Panegyricum Helvetiorum delgrande umanista Glareano nel concerto del Co-ro della RSI diretto da Diego Fasolis (in cui aspecchio l’interpretazione moderna del testo sirifletteva nell’esecuzione della cinquecentesca ver-sione polifonica di Manfredo Barbarino). Vi fu-rono accolti anche Oscar Bianchi, Pietro Vivia-ni e Ivano Torre con la sua singolare ricerca tim-brica sulle percussioni, senza contare una delleaudaci ipotesi di Esther Roth, compositrice zu-righese per un certo tempo trapiantata a Bellin-zona. Il Ticino fece la sua parte anche in occa-sione dell’approdo in Svizzera del festival dellaSocietà Internazionale di Musica Contempora-nea. Con la denominazione di “trans-it” il WorldNew Music Days del 2004, che collegava ideal-mente attraverso un treno musicale undici loca-lità del nostro paese, tra il 5 e il 7 novembre fe-ce tappa al cantiere di Alptransit a Pollegio e aLugano (Chiesa di S. Maria degli Angioli e al-l’Auditorio della RSI) con concerti integralmen-te riservati a compositori viventi nei paesi mem-bri dell’associazione internazionale.

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Nonostante la nostra lontananza dai grandicentri, ciò dimostra la possibilità di situarci nel-le coordinate dello sviluppo della musica e diquella contemporanea in particolare, a patto disaper cogliere le occasioni a portata di mano, dicoltivare la tradizione, di investire in progetti co-raggiosi, di estendere le reti di collaborazione,di rafforzare le infrastrutture produttive, di tra-sformare il corridoio tra nord e sud in una tap-pa obbligata per chi vi transita. La musica, perla complessità, è da sempre un’arte strettamen-te dipendente dalle istituzioni. Quelle che fati-cosamente abbiamo edificato andrebbero resepiù efficienti.

Lo sviluppo della musica dipende anche dal-la capacità di innovare nella dimensione creati-va, non solo interpretativa, di proporre opere ori-ginali. Recenti segnali dettati dalla crisi econo-mica vanno purtroppo in altra direzione. La pro-spettiva del ridimensionamento del contributo fi-nanziario della RSI alla Fondazione dell’Orche-stra della Svizzera italiana minaccia di compro-metterne il futuro.

La programmazione sempre più tradizionali-sta delle grandi rassegne concertistiche, in parti-colare il venir meno delle prime esecuzioni anche

là dove per molto tempo era un regolare dato ac-quisito, sono segno di impoverimento come av-viene alle Settimane Musicali di Ascona dovenel 2003, dopo ventisei anni, è stato soppressol’incarico di composizione a un compositore sviz-zero (mentre oltre i nostri confini ha preso addi-rittura piede la consuetudine del “composer inresidence”). Oltre ad Oggimusica alla nostra la-titudine rimane in vita Novecento e presente, ci-clo varato nel 1999 come collaborazione tra ilConservatorio della Svizzera italiana e la ReteDue della RSI, originale manifestazione che, ri-flettendo della musica dell’ultimo secolo l’ambi-valenza (tra accelerazioni verso prospettive futu-re e il richiamo del passato), opera sui due fron-ti in un equilibrio consono alla complessità del-l’odierna condizione estetica.

V’è da sperare che questo equilibrio sia da mo-dello a una vita musicale sicuramente ricca, madalla quale è lecito attendersi stimoli nella dire-zione di una creatività al passo coi tempi.

L’Orchestra della Svizzera italiana, direttada Alain Lombard al Palazzo dei Congressidi Lugano.

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• G. Calgari, Un secolo di vita della Civica Filarmo-nica di Lugano 1830-1930, Lugano, Tipografia Edi-trice Silvio Sanvito, 1930.

• W. Jesinghaus, Alessandro Tadei da Gandria, in“Schweizer Musikpädagogische Blätter / Feuilletssuisses de pédagogie musicale”, n.16, 1953.

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