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Un documento saliente di drammaturgia radiofonica. Il percorso di Felice Filippini a Radio Monte Ceneri di Carlo Piccardi Assunto nel 1938 come archivista musicale dalla Radio della Svizzera italiana (Rsi, all’origine nota anche come Radio Monte Ceneri), diventato nel 1944 responsabile della Sezione sperimentale e nominato nel 1945 capo del Servizio parlato (carica che mantenne fino al 1969), 1 Felice Filippini (1917-1988), artista riconosciuto per il suo ruolo primario di pittore e di scrittore nella scena culturale della regione, 2 è sicuramente una delle figure maggiori nella storia dell’ente radiofonico svizzero. Come propugnatore delle trasmis- sioni “musico-letterarie”, egli partecipò a quella stagione unica che vide il coinvolgimento di una schiera di intellettuali locali nella radio a saggiare l’occasione di esprimersi creativamente, motivati dalla scoperta di un promettente mezzo di comunicazione (Guido Calgari, Piero Bianconi, Vinicio Salati, Pericle Patocchi e altri). A quell’epoca la radio era ancora un mezzo alla ricerca della pro- pria forma, un terreno di scoperta che aveva fatto credere nella pos- sibilità di un’autonoma arte radiofonica. Nella Svizzera italiana in particolare era un campo vergine che permetteva alla Rsi di essere 1 Gian Piero Pedrazzi, 50 anni di Radio della Svizzera italiana, Edizioni della RTSI, Lugano 1983, p. 88. 2 Per quanto riguarda Filippini scrittore si veda: Giovanni Bonalumi, Il pane fatto in casa, Giampiero Casagrande, Bellinzona 1988; Giovanni Orelli, Svizzera Italiana, La Scuola, Brescia 1986; Giovanni Orelli, “La Svizzera italiana”, in Alberto Asor Rosa (a cura di), Letteratura italiana. Storia e geografia, III: L’età contempo- ranea, Einaudi, Torino 1989; Flavio Catenazzi, “Introduzione”, in Felice Filippini, Signore dei poveri morti, Marsilio Editori, Venezia 2000; Flavio Catenazzi, “Felice Filippini, ad vocem”, in Theaterlexikon der Schweiz/Dictionnaire du théâtre en Suisse/ Dizionario teatrale svizzero/Lexikon da teater svizzer, Chronos Verlag, I, Zurigo 2005; Flavio Catenazzi, “Un racconto ritrovato di Felice Filippini”, Il cantonetto, LXIX, 3-4 (luglio 2017), pp. 125-30. Per il pittore: Pierre Courthion, Felice Filippini, Edizioni Ilte, Torino 1971; Maria Will, Felice Filippini Scrittore di immagini, Quaderni di Villa dei Cedri, Bellinzona 2005; Flaminio Gualdoni, “Una passione divorante per la pittu- ra” e Rudy Chiappini, “Un artista irrequieto sull’orlo dell’abisso”, in Filippini, cata- logo della mostra, Pinacoteca Casa Rusca, Locarno 2015. Per il suo ruolo di tradutto- re: Michela Cervini, “Felice Filippini e la BUR. Tra carte d’archivio e prime edizioni, una collaborazione lunga vent’anni”, Bollettino storico della Svizzera italiana, LXVI, n. 2 (2014), pp. 235-78. Per il suo ruolo nel contesto artistico e culturale della regione: Eros Bellinelli, “Nel buio della guerra luci di ingegno e di volontà” e Fabio Soldini, “La cultura letteraria nel Ticino degli anni di guerra: un percorso”, in Simone Soldini (a cura di), Ticino 1940-1945. Arte e cultura di una nuova generazione, catalogo della mostra, Museo d’arte di Mendrisio, Mendrisio 2001.

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Un documento saliente di drammaturgia radiofonica.Il percorso di Felice Filippini a Radio Monte Ceneri

di Carlo Piccardi

Assunto nel 1938 come archivista musicale dalla Radio della Svizzera italiana (Rsi, all’origine nota anche come Radio Monte Ceneri), diventato nel 1944 responsabile della Sezione sperimentale e nominato nel 1945 capo del Servizio parlato (carica che mantenne fino al 1969),1 Felice Filippini (1917-1988), artista riconosciuto per il suo ruolo primario di pittore e di scrittore nella scena culturale della regione,2 è sicuramente una delle figure maggiori nella storia dell’ente radiofonico svizzero. Come propugnatore delle trasmis-sioni “musico-letterarie”, egli partecipò a quella stagione unica che vide il coinvolgimento di una schiera di intellettuali locali nella radio a saggiare l’occasione di esprimersi creativamente, motivati dalla scoperta di un promettente mezzo di comunicazione (Guido Calgari, Piero Bianconi, Vinicio Salati, Pericle Patocchi e altri).

A quell’epoca la radio era ancora un mezzo alla ricerca della pro-pria forma, un terreno di scoperta che aveva fatto credere nella pos-sibilità di un’autonoma arte radiofonica. Nella Svizzera italiana in particolare era un campo vergine che permetteva alla Rsi di essere

1 Gian Piero Pedrazzi, 50 anni di Radio della Svizzera italiana, Edizioni della RTSI, Lugano 1983, p. 88.

2 Per quanto riguarda Filippini scrittore si veda: Giovanni Bonalumi, Il pane fatto in casa, Giampiero Casagrande, Bellinzona 1988; Giovanni Orelli, Svizzera Italiana, La Scuola, Brescia 1986; Giovanni Orelli, “La Svizzera italiana”, in Alberto Asor Rosa (a cura di), Letteratura italiana. Storia e geografia, III: L’età contempo-ranea, Einaudi, Torino 1989; Flavio Catenazzi, “Introduzione”, in Felice Filippini, Signore dei poveri morti, Marsilio Editori, Venezia 2000; Flavio Catenazzi, “Felice Filippini, ad vocem”, in Theaterlexikon der Schweiz/Dictionnaire du théâtre en Suisse/Dizionario teatrale svizzero/Lexikon da teater svizzer, Chronos Verlag, I, Zurigo 2005; Flavio Catenazzi, “Un racconto ritrovato di Felice Filippini”, Il cantonetto, LXIX, 3-4 (luglio 2017), pp. 125-30. Per il pittore: Pierre Courthion, Felice Filippini, Edizioni Ilte, Torino 1971; Maria Will, Felice Filippini Scrittore di immagini, Quaderni di Villa dei Cedri, Bellinzona 2005; Flaminio Gualdoni, “Una passione divorante per la pittu-ra” e Rudy Chiappini, “Un artista irrequieto sull’orlo dell’abisso”, in Filippini, cata-logo della mostra, Pinacoteca Casa Rusca, Locarno 2015. Per il suo ruolo di tradutto-re: Michela Cervini, “Felice Filippini e la BUR. Tra carte d’archivio e prime edizioni, una collaborazione lunga vent’anni”, Bollettino storico della Svizzera italiana, LXVI, n. 2 (2014), pp. 235-78. Per il suo ruolo nel contesto artistico e culturale della regione: Eros Bellinelli, “Nel buio della guerra luci di ingegno e di volontà” e Fabio Soldini, “La cultura letteraria nel Ticino degli anni di guerra: un percorso”, in Simone Soldini (a cura di), Ticino 1940-1945. Arte e cultura di una nuova generazione, catalogo della mostra, Museo d’arte di Mendrisio, Mendrisio 2001.

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in prima fila sul piano nazionale e internazionale, oltre che ad agi-re come fattore di modernizzazione ad allargare gli orizzonti, con-frontandosi con le altre e più moderne realtà. A livello nazionale, dopo le varie iniziative locali e regionali di trasmissioni sperimen-tali già durante gli anni Venti, il consolidamento avvenne nel 1931 con la fondazione della Società svizzera di radiodiffusione (Ssr) e con l’operatività dell’emittente in lingua francese di Sottens (mar-zo), di quella in lingua tedesca di Beromünster (maggio) e di quella in lingua italiana, Monte Ceneri appunto nell’ottobre 1933. Oltre ad affermarsi subito come fattore di promozione culturale e artistica in una regione marginale priva di istituzioni accademiche, data la situazione politica del tempo la stazione luganese, come diffuso-re italofono alternativo all’Eiar, si ricavò una posizione profilata in senso democratico al di là dei confini del bacino di appartenenza.3

Filippini vi fu protagonista a più livelli, a partire dalla sua appa-rizione come pianista il 12 marzo 1940 ad improvvisare su Swing Low Sweet Chariot (“Dolce carro del paradiso”) – negro spiritual erroneamente annunciato come di Duke Ellington il quale ne fu solo uno dei numerosi interpreti –, eseguendo un altro gospel non meglio precisato (Acque dormienti indicato come “di Norman”) e addirittura interpretando Due studi futuristici di Erwin Schulhoff non meglio identificati.4

Fu una stagione intensamente e proficuamente creativa, che tentava abbinamenti inediti, quali le Serate musico-letterarie al Circolo di cultura di Lugano, aperte quindi sul territorio con mo-menti di rilievo internazionale quali la Settimana culturale del 30 marzo - 5 aprile 1947, in occasione della quale, sfruttando il po-tere evocativo del mezzo, Filippini concepì un “film radiofonico” basato su multipli piani d’azione, intitolato Il canale di Panama.5 Definite “sagre dello spirito” (in quanto vi era abbinato il Festival

3 Mattia Piattini, “La Radio Svizzera italiana quale invenzione politica, socia-le e culturale (1930-1948)”, in Theo Mäusli (a cura di), Voce e specchio. Storia della radiotelevisione svizzera di lingua italiana, Armando Dadò Editore, Locarno 2009, pp. 51-57.

4 “Radioprogramma” (settimanale della RSI), VIII/11, 9 marzo 1940, p. 11. Quanto ai pezzi di Schulhoff potrebbe trattarsi dei Cinq études de jazz (1926) del compositore praghese, autore anche di Esquisses de jazz (1927), di Hot Music (1928) e di Suite dansante en jazz (1931), non però di In futurum dalle Fünf Pittoresken op. 31 (1919), un pezzo “dadaistico” interamente scritto con pause, che per la concezio-ne anticipa il più noto 4’33” di John Cage e che per il risultato di risolversi in puro silenzio non sarebbe stato proponibile per la trasmissione radiofonica.

5 Luigi Caglio (a cura di), Il Festival Arturo Honegger e la Settimana culturale, Tipografia Cesare Mazzuconi, Lugano 1947, p. 84.

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Arturo Honegger),6 quelle rassegne pubbliche erano esibite quale “ascesa spirituale delle masse alla quale la radio ha dato e dà tut-tora un apporto effettivo e documentabile”.7 Capaci di attirare l’at-tenzione nazionale e internazionale, tali manifestazioni, realizzate con un notevole impiego di mezzi e in parte diffuse da altre sta-zioni, furono documentate da un ampio servizio del Cinegiornale svizzero. Radio Ginevra in particolare dedicò spazio a queste ma-nifestazioni in Radio-Actualité, in cui René Dovaz, direttore dello studio romando, ne elogiava l’ardimento:

Avere osato, in questo studio di una piccola città, consacrare duran-te un’intera settimana tutti i programmi serali all’espressione della cultura, inquadrare tutti i concerti votati a magnificare l’opera di Honegger, fare appello agli specialisti più competenti per valorizzare questo sforzo, tale è l’esempio di coraggio e di fiducia offertoci dai nostri amici ticinesi. Noi vi troviamo immediatamente una grande consolazione e sapremo ricordarcene.8

Tale ambizione trovò il suo più motivato e capace propugnatore in Felice Filippini appunto, distintosi fin dalle prime realizzazioni fra i più creativi e versatili ideatori di programmi. Le sue doti furo-no immediatamente riconosciute da Felice Antonio Vitali, primo direttore della Rsi il quale, in una lettera rivoltagli due mesi prima della morte alla notizia del male che lo aveva colpito (fatalmente rimasta senza risposta), così ne avrebbe ricordato il ruolo:

Sto pensandoti negli anni lontani passati insieme a Radio Monte Ceneri, alla grande fortuna di aver incontrato in te l’estroso giovane predestinato a dare un indirizzo emozionante alle nostre trasmissio-ni culturali. Ti si è attribuito il merito di essere partito su due fronti: quello della pittura (aggiungerei le tue magnifiche silografie) e quello della narrativa. Ti hanno riconosciuto di possedere una straordinaria vena espressionistica su fondo neorealista. Ma tutti i tuoi biografi di-menticano ciò che hai fatto ai nostri microfoni per arricchire la cul-tura degli ascoltatori.9

Oltre a realizzare documentari egli fu tra i pochi artisti locali im-pegnati a considerare la Rsi come strumento tecnologico avanzato

6 Sul Festival Honegger si veda la scheda curata dallo scrivente in Carlo Piccardi, “Un ‘enfant terrible’ che guardava lontano. Vinicio Salati (1908-1994)”, Il cantonetto, XIII, 5-6 (novembre 2016), p. 244.

7 L. Caglio (a cura di), Il Festival Arturo Honegger e la Settimana culturale, p. 8.8 Ibid., p. 10.9 Lettera datata 7 luglio 1988 riportata in Felice Antonio Vitali, Radio Monte

Ceneri. Quello scomodo microfono, Armando Dadò editore, Locarno 1990, p. 183.

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per inserirsi nella pratica del radiodramma anche curando tradu-zioni da Dürrenmatt, Max Frisch, Jean Giraudoux, Georg Büchner, ecc. La sua apertura culturale lo portò ad approfittare dello spazio sovraregionale in cui il nuovo mezzo di comunicazione si collocava per promuoverlo a ponte con la realtà culturale europea, allaccian-do contatti e partecipando a manifestazioni importanti, in partico-lare alle annuali Rencontres internationales di Ginevra, testimonia-te nelle interviste ad André Maurois, De Saussure, György Lukas, Ortega y Gasset, Gaston Bachelard, ecc.

Certamente Filippini non avrebbe potuto dar seguito al proprio istinto creativo senza la libertà che la giovane Rsi gli concedeva in quanto palestra di idee, di nuove forme svincolate dal rispetto della cultura accademica. In un certo senso proprio la carenza di alti isti-tuti formativi nel relativo territorio di riferimento, se da una parte le faceva mancare l’appoggio nell’aspirazione a innalzarsi al di sopra dell’elementare e generico livello culturale di un pubblico di peri-feria, dall’altra la sottraeva al possibile condizionamento di incom-benti e severi confronti. Inoltre il fatto di agire nell’etere valicando i confini della provincia, e quindi obbligandola a competere con i prodotti simili diffusi altrove, la obbligava a misurarsi con quanto allo stesso stadio erano capaci di realizzare le stazioni concorrenti. Nei propositi che accompagnavano l’avvio di quella nuova stagio-ne, nel giustificato spirito di avventura che la nutriva, riscontriamo l’effetto di tali sollecitazioni:

In questo campo tutto è nuovo e se si vuol progredire occorre tentare, osare. Ecco perché è stata sentita un po’ in tutti i Paesi la necessità di creare, in seno a uno studio radiofonico, una sezione sperimentale, incaricata appunto di tentare gli esperimenti più arditi in materia di radiofonia, nell’intento di trovare una forma di programmi che sod-disfi alle particolari esigenze della radio.Questo lo scopo della sezione sperimentale creata circa un anno e mezzo fa in seno allo studio di Lugano, d’attività che ha il vanto di essere stato il primo studio svizzero a disporre di una palestra di esperimenti. Non ci diffonderemo qui ad enunciare i meriti guada-gnati dalla nostra sezione sperimentale in questo primo anno: chi del resto segue con interesse i nostri programmi si sarà reso conto da sé di quanto è stato compiuto allo scopo di trovare uno stile pret-tamente radiofonico nell’allestimento delle diverse emissioni, e allo scopo anche di stabilire un proficuo e cordiale contatto fra la radio e il pubblico degli ascoltatori.10

10 “La radio cerca la sua forma”, Radioprogramma, XIV/ 23, 8 giugno 1946, p. 1.

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In tali condizioni operative, nella possibilità di agire in un settore vergine con competenze da acquisire sul campo, ecco che la Rsi, ol-tre ad allargare gli orizzonti, trovava lo scatto per superare il divario che l’allontanava dai centri per agganciare il treno della modernità.

Il culmine di tale esperienza è da individuare ne I sette pec-cati capitali, programma firmato da Filippini con la musica di Otmar Nussio chiamato a rappresentare la Società Svizzera di Radiodiffusione alla prima edizione del Prix Italia nel 1949, realiz-zazione originale nella struttura che, basata sull’intreccio tra pre-sente e passato facente capo alla dimensione dei documenti sonori provenienti da un immaginario archivio di testimonianze registra-te – in un certo senso come radio nella radio – permetteva di usci-re dalle unità di tempo, di luogo e di azione grazie all’utilizzazione delle potenzialità rappresentative del mezzo (piani sonori distinti e sovrapposti, flashback, suoni d’ambiente, musica, ecc.).

Nel contesto di mezzo di comunicazione tecnologicamente avanzato, che prospettava nuove forme creative, nuovi linguaggi, combinando parola, musica e suono, la Rsi si era da subito dotata di un’orchestra, di un coro, di una compagnia di attori, oltre che, a par-tire dal 1940, di un’orchestra di musica leggera.11 Inoltre per quanto riguardava i rapporti internazionali, allora la Svizzera – Paese tra i pochi a non avere subito contraccolpi diretti alle sue strutture du-rante la guerra – si trovava in posizione privilegiata. Benché fos-se da registrare ancora l’assenza della Germania e di altre nazioni, alla prima edizione del Prix Italia a Venezia nel 1949 la Ssr non solo figurava fra i 13 Paesi partecipanti, ma vi inviava ben due sui 21 programmi in concorso. I due programmi erano il Saint François d’Assise di William Aguet con la musica di Arthur Honegger, realiz-zato da Radio Losanna, e I sette peccati capitali di Felice Filippini con la musica di Otmar Nussio, realizzato appunto dallo Studio di Lugano.12 La selezione nazionale li aveva prescelti nell’ordine, ri-conoscendo alla Rsi una posizione più che rispettabile nel quadro

11 Su questi aspetti si veda Carlo Piccardi, “Dialogo tra città e campagna: la Radio della Svizzera italiana all’origine” (I e II), Bollettino storico della Svizzera ita-liana, CXV (2012) 1 (pp. 11-33) e 2 (pp. 247-311); in forma abbreviata e con il tito-lo “Integrazione tra centro e periferia: la Radio della Svizzera italiana all’origine”, in Angela Ida De Benedictis e Franco Monteleone (a cura di), La musica alla radio 1924-1954 – Storia, effetti, contesti in prospettiva europea, Bulzoni Editore, Roma 2015, pp. 185-203.

12 Angela Ida De Benedictis, Radiodramma e arte radiofonica. Storia e funzioni della musica per radio in Italia, De Sono / Edt, Torino 2004, p. 163. Il primo premio fu conferito alla “radiofarsa” presentata dalla Radio francese, Frédéric Général di Jacques Costant con la musica di Claude Arrieu.

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dell’impegno nell’elaborazione di nuove formule artistiche di pro-gramma.13 Per la Rsi parlava da sé il fatto di affermare una propria produzione accanto all’ennesima realizzazione dello studio losan-nese il quale, oltre ad avere alle spalle un decennio di esperienze regolari nel campo del “jeu radiophonique”, aveva per l’occasione ricostituito la coppia canonica e illustre Aguet-Honegger.14

I sette peccati capitali è una delle rare registrazioni della Rsi an-teriore al 1950 ancora conservate, per cui è possibile verificarne la caratteristica che rivela subito un grande sforzo produttivo da una parte e dall’altra una concezione particolarmente finalizzata al mezzo sfruttato nelle sue varie dimensioni. Si tratta sicuramente di un lavoro di pregio che pour cause non poté essere ignorato dalla giuria nazionale che lo selezionò, riconoscendone l’originalità del taglio drammaturgico e l’evidente qualità realizzativa. Stimolata dai molteplici piani in cui si articola la vicenda (l’al di là di San Pietro e del maligno, e le varie situazioni terrene), la regia (assunta dai due autori) vi dava fondo a tutte le risorse sonore possibili sulla base di quanto l’autore del testo aveva già immaginato, animando una recitazione particolarmente tesa nelle caratterizzazioni pog-gianti sull’interpretazione magistrale di Marcello Giorda nelle vesti del protagonista, la cui presenza era il segno che per tale produzio-ne si mirava in alto. A dire il vero l’intero parco di attori impegnato nella realizzazione vi forniva una dimostrazione di tutto rispetto per caratterizzazione e qualità interpretativa,15 ma il modo in cui

13 Il Radioprogramma del 23 ottobre 1949 ne dava notizia in copertina (XVII/43), comunicando altresì che la giuria nazionale, oltre a selezionare due programmi da mandare a Venezia, aveva assegnato a Saint François d’Assise il primo premio del va-lore di 5’000 franchi e ai Sette peccati capitali il secondo consistente in 2000 franchi.

14 Sull’esperienza del “jeu radiophonique” a Radio Losanna si veda Carlo Piccardi, “La musica moderna alla radio svizzera”, in Ulrich Mosch e Matthias Kassel (a cura di), “Entre Denges et Denezy…” – Documenti sulla storia della musi-ca in Svizzera, Paul Sacher Stiftung – Lim editrice, Basilea-Lucca 2001, pp. 123-25, pubblicato anche in versione tedesca e francese (ampliato in Carlo Piccardi, “Tra creatività e realtà quotidiana – La musica moderna alla radio svizzera”, AAA – TAC Acoustical Arts and Artifacts -Technology, Aesthetics, Communication, I , 2004, pp. 33-36).

15 Gli interpreti principali in ordine di comparizione, secondo l’annuncio nella registrazione e secondo il copione dattiloscritto conservato alla Fonoteca Nazionale Svizzera (LIB 1624), erano: Romano Calò (San Pietro), Vittorio Ottino (il Maligno), Marcello Giorda (Beppe Calori), Maria Rezzonico (moglie di Beppe), Giuseppe Galeati (il vicino), Enrica Corti (Mady Duclos), Francis Borghi (l’ingegne-re). Dalla registrazione (HR 4123 e HR 4231) è altresì riconoscibile la voce di Serafino Peytrignet nel ruolo del maestro. Nell’archivio sonoro della Rsi è conservata la re-gistrazione montata delle 14 sequenze provenienti dai rispettivi acetati, con la se-gnatura CP 41379. Essa è disponibile anche alla Fonoteca Nazionale Svizzera con

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spiccava la figura del noto attore italiano motivava il suo invito per l’occasione.16

Si trattava di un’opera radiofonica a pieno titolo, concepibile solo nei termini acustici in cui fu realizzata poiché, prima dei per-sonaggi, era lo stesso mezzo sonoro a esservi protagonista. San Pietro e il Maligno si confrontano nell’al di là intorno al giudizio da riservare alla vita di Beppe Calori, mercante di bestiame, al fine di stabilire se egli sia da destinare all’inferno oppure al paradiso. La sua vita risulta interamente registrata sui dischi attraverso i qua-li vengono via via riascoltati gli episodi del suo vissuto allo scopo di stabilirne le colpe e i meriti, disposti come una liturgia in sette stazioni. Gli episodi, ciascuno corrispondente a un vizio canonico, svolgono altrettante parabole, attraverso le quali da una parte gra-datamente prende forma la vicenda esistenziale del protagonista e dall’altra vi è sintetizzata la sostanza morale di ogni singolo suo atto, di azioni soppesate nelle dosi di chiaro e di scuro, che porta-no a un sostanziale equilibrio fra il bene e il male al punto da la-sciare sempre l’indecisione sul destino finale di Beppe. Osservando dall’al di là la propria famiglia mandata in rovina a causa del suo colpevole spreco delle risorse, San Pietro permette al protagonista di rivivere gli ultimi dieci minuti della propria vita per misurarne le vere e profonde intenzioni. E così il lavoro si conclude com’era iniziato, cioè con l’incidente automobilistico che ne aveva causato la morte ripercorso come una seconda chance concessa a Beppe, il quale, aiutato non dal senno di poi (poiché dalla sua memoria è stato cancellato il patto con San Pietro) bensì dalla semplice rifles-sione sull’amore dimostratogli dai figli e soprattutto dalla moglie,

la segnatura CD63690, ascoltabile online nei relativi terminali delle Biblioteche cantonali ticinesi e di Coira, Trogen, Aarau, Altdorf, Friburgo, Porrentruy, San Gallo, Frauenfeld, Losanna, nonché nella Biblioteca universitaria e Agoroteca di Lugano, Archivio Federale Svizzero, Biblioteca Nazionale Svizzera, Memoriav, Institut für Musikwissenschaft e Universitätsbibliothek, Berna, Bibliothèque du Conservatoire, Bibliothèque de la Ville de Genève, Association pour l’Encourage-ment de la Musique Improvisée, SEM Documentation CRDP, Ginevra, Bibliothek Hochschule, Lucerna, Bibliothèque de la Ville, La Chaux-de-Fonds, Haute École Arc Ingénierie, Le Locle, Mémoires d’Ici, Saint-Imier, Kanton Schaffausen Staatsarchiv, Sciaffusa, Klosterarchiv, Einsiedeln, Zentralbibliothek, Solothurn, Bibliothèque du Conservatoire, Losanna, Maison des Contes et Récits “hors les murs”, Vevey, Mediathèque Valais, Briga - Martigny - Saint-Maurice - Sion, Zentralbibliothek, Staatsarchiv, Universität, Hochschule der Künste, Pro Senectute Bibliothek, Zurigo, Biblioteca dell’Istituto Svizzero, Roma.

16 Marcello Giorda (1890-1960), attore assai noto sia in teatro, sia alla radio (prima all’Eiar, in seguito alla Rai), sia successivamente in campo televisivo, fu pro-tagonista in numerosi film, anche di successo.

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all’ultimo momento modifica in loro favore l’assicurazione sul-la vita che prima egli aveva stipulato a beneficio dell’amante. La salvezza di questo “Faust ticinese”17 – abilmente tenuta in sospeso dall’intervento del Maligno che (nelle vesti del postino a cui vie-ne consegnata la lettera contenente la modifica all’assicurazione) assiste tra il compiaciuto e lo stizzito all’indecisione e al tormento del protagonista – non giunge consolatoria a sciogliere in lieto fine la parabola. La conclusione, interrotta nel momento in cui Beppe saluta la moglie per salire sulla camionetta che sappiamo correre incontro alla morte, lascia aperto il giudizio sulla fragilità dell’uo-mo di fronte alle sue responsabilità:

Maria Và piano con la macchina, Beppe. Ho fatto brutti so-gni, stanotte.

Beppe (da lontano alla moglie) Ne ho fatti tanti anch’io. (piano sul microfono) Ma i sogni finiscono tutti bene.18

L’intenzione didascalica era dichiarata:

Il nostro è da considerare quale “Divertimento” cioè composizione volutamente trasportata nel campo tipicamente radiofonico della ricreazione, e dedicato alla gioia dell’ascoltatore. Tuttavia, pur ri-facendosi – per quanto riguarda ritmo, espedienti, dinamismi, lin-guaggio espressivo insomma – alla più tipica necessità radiofonica di offrire all’ascoltatore un’ora di diletto, il nostro “Divertimento” tocca i temi dell’uomo e li mette in quella luce morale che a nostro avvi-so deve dar risalto a ogni forma d’arte. In tal modo abbiamo mirato a impiegare il massimo potere morale della radio: quello di mettere l’ascoltatore in condizione di giudicare i fatti che la radio impassi-bilmente, con estrema cura di “fedeltà”, di “verità”, gli comunica. Nel nostro “Divertimento” un uomo viene giudicato dal cielo e dall’in-ferno, unicamente in base a documenti sonori registrati su disco nel corso della sua esperienza terrena; l’ascoltatore deve immedesimarsi nella coscienza di San Pietro e del Maligno, divenire cioè lui pure un giudice. È quindi una preoccupazione di etica radiofonica quella che inspira il nostro “Divertimento”.19

Il lavoro è la testimonianza di un modo d’intendere la radio an-cora valido a quel tempo, che riusciva a motivare gli operatori in

17 Così lo denomina Otmar Nussio nel testo di presentazione della musica da lui composta per il lavoro (“I sette peccati capitali”, Radioprogramma”, XVII/43, 22 ottobre 1949, p. 39).

18 F. Filippini, I sette peccati capitali, copione cit. in nota 15, p. 38. 19 “I sette peccati capitali”, Radioprogramma, XVII/43, 22 ottobre 1949, p. 3.

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funzione di un pubblico ritenuto in un certo senso vergine e in-genuo, per un verso quindi da sollecitare attraverso un messaggio rallegrante, non troppo impegnativo all’ascolto (il sottotitolo di “divertimento” è programmatico), e per un altro da orientare nel giudizio fornendogli gli elementi necessari a formarsi l’opinione, con la coscienza di avere nei suoi confronti un obbligo educativo, in questo caso addirittura l’obbligo di esercitare in senso positivo un “potere morale” (com’è dichiarato). In questo senso, oltre a far-ci capire come l’intuizione brechtiana del Lehrstück non sia nata per caso nello spazio radiofonico con Der Lindberghflug (1929), nella sua didascalicità esso rivela la sua derivazione dalla ritualità del percorso a stazioni proprio dal riferimento al pubblico generi-co (universale), individuato non nella fisiologica misura dell’indice di ascolto e di gradimento bensì nella funzione elementare di di-spensatrice di conoscenza richiesta a un mezzo a cui in un certo qual modo era attribuito un ruolo totemico. L’impegno degli au-tori, a cui non mancava certo la raffinatezza che sappiamo avere essi espresso abbondantemente in altra sede artistica, era quello di essere semplici e in linea con le modeste aspettative degli uditori, al cui livello cercarono di situarsi:

Ma nella conclusione il lavoro mostra un forte attaccamento alle condizioni pratiche della vita, e in tal modo potrà ricollegarsi a moti-vi e sentimenti comuni a tutti gli ascoltatori.20

Ciò spiega la scelta del lieto fine, nella misura in cui una con-danna del protagonista all’inferno sarebbe stata sì una punizione ma l’avrebbe innalzato a eroe capace di sfidare l’assoluto, mentre alla fine della sua parabola egli ne esce come un uomo comune, mediocre per non dire anonimo, scelto a caso tra la moltitudine e destinato a trapassare nell’umiltà della sua origine. Prima che essa entrasse nel gorgo della banalizzazione, quando l’ascoltatore era trattato come soggetto responsabile delle proprie scelte e quando ci si rivolgeva al mezzo di comunicazione con il rispetto dovuto a un’istituzione, la radiofonia è quindi stata per gli artisti una scuo-la di umiltà e un luogo di concreta verifica del loro linguaggio, nel senso di indurli alla chiarezza senza tarpare loro le ali della fanta-sia. Anzi il teatro dell’ascolto, la dimensione dell’“Hörspiel”, che nell’epoca in cui la televisione non era ancora penetrata nelle abi-tudini prometteva l’apertura su spazi di sviluppo insperati, poteva attivare le energie dei creatori più esigenti. Per Filippini e Otmar

20 Ibid.

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Nussio, l’autore della musica, non era quindi in gioco solo il com-pito di operatori di un mezzo al servizio del pubblico, ma anche la motivazione creativa impegnata a ricavare dalle nuove possibilità tecnologiche soluzioni avanzate.

L’intuizione principale stava appunto allora nello sfruttare la più importante innovazione offerta dal mezzo, quello della registrazio-ne, in grado di sovvertire il tradizionale ordine spazio-temporale. Se dal cinema la radio aveva ereditato un tipo di svolgimento che, grazie al montaggio, era in grado di accelerare o dilatare i tempi, di alternare situazioni contrapposte nello spazio e nel tempo, di proprio aveva sviluppato la preregistrazione che, grazie al disco, poteva attualizzare il passato all’interno dello scorrimento del tem-po reale. Su questo principio si basano I sette peccati capitali in cui Beppe, ormai trapassato, riascolta la propria voce e quella di coloro che lo contornano negli episodi incriminati della sua vita, in una dimensione di realtà multipla che solo la radio era in grado di at-tuare. Era probabilmente questa la prima volta che il procedimento veniva applicato a un’operazione drammaturgica, essendo poste-riore di un decennio il magnetofono introdotto da Samuel Beckett nel monologo intitolato L’ultimo nastro di Krapp (1958), in cui il protagonista si confronta con il suo passato riascoltato dalla pro-pria voce narrante, recuperata dalle bobine in cui in tempi diversi egli aveva registrato la cronaca del proprio vissuto in una specie di diario sonoro. È interessante notare che Beckett ambienta l’azione “nel futuro” per il semplice fatto che all’epoca della stesura del testo e della prima rappresentazione l’uso del magnetofono come stru-mento domestico diffuso era recente e non poteva realisticamente giustificare l’ascolto di testimonianze sonore realizzate trent’anni prima.21 Questo problema non si poneva a Filippini, non solo in quanto lo strumento tecnico in questione era il disco di gommalacca

21 L’originalità del lavoro di Beckett sta nel fatto che il vecchio Krapp, nel con-frontarsi con la propria testimonianza di anni anteriori, realizza un caso unico di monologo con se stesso, azionando a volontà l’apparecchio: avviandolo, interrom-pendolo per commentare ciò che ha ascoltato, riavviandolo, ecc. In traduzione ita-liana L’ultimo nastro di Krapp è stato pubblicato in Samuel Beckett, Teatro com-pleto, Einaudi-Gallimard, Torino 1994, pp. 179-91. È significativo comunque che l’autore irlandese, pur avendo realizzato vari lavori per la radio (in particolare per il terzo programma della Bbc), non abbia impiegato tale procedimento drammaturgi-camente in quella sede. Al massimo in The Old Tune (adattamento de La Manivelle di Robert Pinget) si spinse a usare musica meccanica per contestualizzare la condi-zione di due personaggi senili isolati dal resto dell’umanità (Kevin Branigan, Radio Beckett. Musicality in the Radio Plays of Samuel Beckett, Peter Lang, Bern 2008, p. 31)

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e non il nastro magnetico, ma anche per il fatto di collocare il pro-cedimento nell’al di là, al di fuori del tempo e dello spazio. In ogni caso è rilevante il fatto che egli anticipi perfettamente tale pro-cedimento che gli consente di estendere i livelli nell’operazione drammaturgica, sconvolgendo i rapporti temporali. I piani d’azio-ne (quello proveniente dall’archivio sonoro e quello del giudizio conseguente dato nell’al di là) corrono paralleli e si intrecciano in un’articolazione che avvince l’ascoltatore. Se già di per sé la radio, svolgendo il suo messaggio al solo livello auditivo, ha inaugurato una drammaturgia che sollecita la fantasia dell’ascoltatore in un processo chiamato a integrare interiormente l’immaginazione vi-siva, qui lo stimolo è doppio. Oltre al riporto dei singoli episodi ri-feriti ai sette peccati subentra infatti la loro messa in discussione in cielo, a partire dall’inizio, dalla registrazione della volata finale del camioncino di Beppe che va fuori strada procurandogli la morte, la quale viene commentata con riferimento diretto al mezzo tecnico:

Maligno Ecco la fine di una vita un po’ disordinata, caro Pietro. Eh, Beppe è quel che c’è di più mio. Tra poco, quando arriverà…

San Pietro E se riprendessimo il disco un poco indietro?Maligno Hm… Se ti fa piacere.22

L’ascolto dei documenti sonori è quindi soggetto a manipola-zione. Può essere normalmente interrotto per essere commentato, oppure ripreso a caso in un altro punto della storia (nell’episodio della lussuria). Non manca il riferimento agli inconvenienti lega-ti alla nuova pratica, come quando l’ascolto dell’episodio relativo all’avarizia si interrompe a causa dell’inceppamento della puntina bloccata sullo stesso solco (nell’episodio della superbia), fermando involontariamente il tempo con effetto comico sull’imprecazione di Beppe che inveisce contro il “maestro” del paese con una minac-cia (“Posso mandarvi tutti in malò – in malò – in malò – in malò”)

San Pietro Noo! Proprio così hai detto?Maligno Che ti dicevo prima?Beppe (precipitando giustificazioni) Sì, ma poi l’ho rivisto,

quel maestro. Ho messo le cose a posto. Faceva un caldo quel giorno! Non è finita così. C’è stato…

San Pietro (intorno al grammofono) Sarà questo il disco giusto?(alle giustificazioni di Beppe) Sentiamo subito.(cercando sul disco) Non riesco a decifrare l’etichetta.

22 F. Filippini, I sette peccati capitali, copione cit., p. 3.

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Certe parole, in Paradiso, scoloriscono come il vin vecchio – e si capisce.

Maligno Prova a caso.23

In proposito è interessante riportare l’opinione di Alberto Savinio risalente a un suo articolo sul grammofono del 1926, con-siderato in quanto “musica purificata dalla macchina” portatore di un’estetica all’altezza del tempo e contemporaneamente in grado di inviare messaggi sciolti dal vincolo con il reale:

Perché alla voce naturale, al suono naturale il grammofo-no aggiunge una sua particolare sonorità, certo suo velo e densità e allontanamento particolari, una sua particola-re ironia che a quelli [gli altri strumenti tecnologici] mancano.[…] Procedendo di questo passo, il demone del grammofono (tengo non si dimentichi che io sono un animista arrabbiato del-la fenomenologia moderna) finirà un giorno con l’emancipar-si completamente, col presentarsi libero, puro, isolato, stupendo.Quel giorno i grammofoni, pieni non d’altro se non del loro dio sono-ro, rauco, metallico, dominatore, canteranno liberamente sulle città mostruose e trionfanti.24

Un altro inconveniente – il cambio involontario di velocità del disco con alterazione dell’altezza delle voci – è introdotto per mar-care la distanza temporale tra il documento sonoro e il momento della sua ricezione:

SUONO INIZIA IL MOTIVO MUSICALE DELL’IRA, MA IL DISCO GIRA A RILENTO, SÌ CHE NE RISULTA UN EFFETTO SGANGHERATO

Maligno E fallo sentire più forte!SUONO DAL MOTIVO DELL’IRA SI PASSA ALL’ANNUNCIO:

CHE RISULTA LENTO E SFASCIATO Maligno No, no, Pietro! Tu vuoi farmela: fa che il grammofono

giri al passo normale. Mica andava tanto adagio il no-stro Beppe!

(avviando con sforzo della voce il disco dell’Ira).25

Con un altro accidente tecnico, quando il braccio è tolto brusca-mente causando il fastidioso sfregamento della puntina sui solchi

23 Ibid., p. 15.24 Alberto Savinio, Scatola sonora, a cura di Francesco Lombardi, Il saggiatore,

Milano 2017, pp. 487-88.25 F. Filippini, I sette peccati capitali, copione cit., p. 22

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(nell’episodio della gola), tali effetti giungono ad alterare la lineare logica di sviluppo della temporalità.

Se il principio del doppio piano in cui si sviluppa l’azione dram-matica proviene dalla pratica cinematografica del flashback, vi ri-sulta evidente lo sfruttamento intenzionale di risorse proprie della riproduzione sonora e delle possibilità specifiche della radiofonia.

Ne I sette peccati capitali la realtà tecnologica della radio ha in-dotto gli autori a immaginare un al di là tecnologizzato, dove la vita è regolata da voci autoritarie sprigionate dagli altoparlanti. Dopo i titoli iniziali, il copione dattiloscritto indica:

In cieloSUONO MUSICA CELESTE CON CORIAltoparlante (una voce d’angelo che finge un tono ufficiale, indifferente)

Fra tre minuti, Portineria Centrale. San Pietro. SUONO LA MUSICA S’AVVICINA LENTAMENTE Altoparlante (altra voce d’angelo) Ancora due minuti. Tenete la de-

stra. Due minuti. SUONO LA MUSICA APPROSSIMANDOSI DÀ L’IDEA DI UN

CENTRO VITALE VERSO CUI SI VOLGE Altoparlante (altro angelo) Tra un minuto sarete al cospetto di Pietro.

Aggiustatevi la tunica. Sorridete. SUONO LA MUSICA È QUASI IN PRIMO PIANO Altoparlante (voce forte d’angelo) Attenzione. Portineria Centrale. SUONO NELLA MUSICA, UN FORTE COLPO DI GONG Altoparlante (forte) San Pietro! SUONO MUSICA FLUISCE IN PRIMO PIANO San Pietro Silenzio! Cantate piano, prego.26

Anche se nella registrazione l’effetto risulta ridotto l’intenzione era quella di “contraddistinguere l’atmosfera del Cielo con l’assen-za di qualsiasi sonorizzazione realistica, l’apertura di uno ‘spazio’ dietro le voci e sopra tutto il vibrare di un’onda sonora, tale da dare il senso di una presenza indistinta, ma immensa, di anime, nella loro consonanza di beati”.27 Viceversa le sequenze di vita terrena risultano colorite di musica e di “un forte tessuto sonoro di rumori dell’esistenza”.28

Noi ci rendiamo conto del fatto che i gravi problemi del bene e del male, della salvezza e della perdizione, così come tutti gli altri temi perenni dell’uomo, non potrebbero acquistare una vita radiofonica

26 Ibid., p. 1.27 “I sette peccati capitali”, Radioprogramma, XVII/43, 22 ottobre 1949, p. 3.28 Ibid.

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senza una metamorfosi di linguaggio; ed ecco che “I sette peccati ca-pitali” offrono una possibile soluzione. Data l’aderenza totale della musica al testo, la sua “indispensabilità” (e anzi il suo carattere di “personaggio” sonoro legato all’intuizione stessa della vicenda) “I sette peccati capitali” imponevano la cura più grande anche per la stessa invenzione che ne caratterizza l’intreccio: azione parallela in cielo e in terra, nel passato e nel futuro.29

In effetti il lavoro è stato significativamente concepito in termini ‘sonoriali’, capace di agire al confine tra musica e rumore, al punto di attirarvi l’attenzione dello stesso ascoltatore:

Maligno Basta così, non ti pare? Ne abbiamo udito più del ne-cessario per…

San Pietro Sta buono. Quello che segue, anche come disco, è di gran lunga il più riuscito: tutto condotto sul motivo di una goccia d’acqua.

Undicesima sequenzaSUONO MONOTONO MOTIVO MUSICA, SORDO, ANNOIATOAnnunciatore Discoteca celeste, documento B 64.712.Ascoltate

ACCIDIANel ciclo “Vita di Beppe Calori, mercante di bestiame”.SUONO NASCE UN RUMORE IMPORTANTE PLIC… PLOC

UNA GOCCIA DI ACQUA CHE DAL TETTO PENETRA NEL SOLAIO E BATTE AL SUOLO

Beppe In solaio, Il famoso Beppe Calori di Boschera, consi-gliere comunale… che buffo. Il conquistador… In so-laio. Con i topi. Per avere un po’ di pace.

(sospira)Maria (dal basso) Beppe. È giorno di mercato… Non vai?Beppe Lasciami in pace.I tre bimbi Non ci conduci sul camion?Beppe (in sospiro tediato) Che voglie, avete.Maria Come faremo? Non resta nulla…Beppe C’è tempo (svogliato, sul ritmo della goccia) C’è tempo. Tempo. Tempo…Maria (piano, in primo piano) Ecco. Siamo tornati poveri e

non abbiamo mai riparato quel tetto.SUONO LA GOCCIA ACQUISTA IMPORTANZAGino Papà! (salendo le scale) Papà, c’è un signore che ti

vuole.

29 Ibid.

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Beppe Mandatelo via! (piano)L’usciere Tutte quelle carte!... Dio, ce n’è di carte al mondo Giannina Ha telefonato un certo Bosia. Ti aspetta al mercato.Beppe Che aspetti!Maria Mi fai pena.Gino Ha detto quel signore che non si muove fin che non

scendi.Beppe (sbadiglia)SUONO RIPRENDE IL MOTIVO MONOTONO DELLA MUSICA

SENZA LA GOCCIA PER INDICARE IL TRASCORRERE DEL TEMPO SUL MOTIVO

Usciere Un tavolo di noce, stile ticinese. Poco. Non avete una matita come si deve? E poi un cassettone, Diavolo, com’ho fatto a dimenti-

care la mia stilografica? Scrive così bene… Un buffet a vetri scorrevoli. Una testa di bue in legno dipinto, con l’inscrizione “Beppe Calori, mercante di bestiame”.

Roba da due soldi! (tac) Ecco, s’è rotta la punta. Una marsina nera – to! ancora un garofano secco infilato all’occhiello… Ah se avessi la mia stilografica…

SUONO LA MUSICA CI RIPORTA AL SOLAIO PRESSO LA SOLITARIA GOCCIA CHE CADE

Maestro Su Beppe. Ognuno ha la misura che il cielo gli ha dato. (pausa)Maestro Coraggio.Beppe (sbadiglia)Maestro E vuol piovere ancora. Non siete capace di mettere al-

meno un catino sotto quella goccia?

SUONO UN CATINO VIENE SPINTO SOTTO LA GOCCIA RUMORE DELLA GOCCIA IMPROVVISAMENTE DIVERSO, ANCHE PIÙ CAVO, ACIDO

Beppe Come quel giorno che me ne stavo appoggiato al palo della luce.

“Pericolo di morte”… Come si fa in fretta, tante volte! Non sono passate set-

te settimane, come dice la canzone. Ma sono ancora forte come prima.SUONO RUMORE FORTE DELLA GOCCIA.Beppe Che fastidio quella goccia! Con questo straccio tacerà.SUONO IL SUONO DELLA GOCCIA SI FA OTTUSOBeppe Ho sempre ancora 35 anni; tre figli…SUONO RIPRENDE LA GOCCIA CASCANTE NEL CATINO

PIENO

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Beppe Che noia… Voglio attaccare un secchiello ad un chio-do, giusto sotto il foro.

SUONO SECCHIO CHE BATTE CONTRO LE PIODE DEL TETTO

Beppe Dev’essere quella latta che ho preso a calci, un giorno.SUONO LA GOCCIA BATTE ORA PIÙ BREVE, SECCA, SONORABeppe E ho tre figli; e quella povera Maria. Come ho fatto

l’altra volta? Ho venduto mucche e vitelli. Non è poi così difficile. Che m’è rimasto della mia prosperità? Una prima annualità dell’assicurazione pagata… Una fotografia di donna.

SUONO SCROSCIO D’ACQUA DAL SECCHIELLO A TERRABeppe Ehi, Carluccio (grida) Portami su una cazzuola, un po’

di calce; e sabbia. Almeno questo l’usciere me l’avrà lasciato.Carluccio Tò, papà.SUONO L’UOMO LAVORA AL TETTO E DÀ ORDINI BREVI AL

RAGAZZO Beppe Porgimi quel sasso. (pausa)SUONO RUMORI DELLA CAZZUOLABeppe Quel plic ploc m’ha dato ai nervi. Dai Carluccio, im-

para come si fa a riparare un tetto! Corri!SUONO D’UN TRATTO SUBENTRA NEL DISCO UN CORO DI

VERSACCI, GRIDA E RISATE DANNATE.30

In questo senso l’apporto di Otmar Nussio era il più appropriato che si potesse immaginare, nella misura in cui il compositore gri-gionese si è sempre contraddistinto per l’abilità altamente artigia-nale nella caratterizzazione delle situazioni sonore, qui a suo agio nel passare da una all’altra sfoggiando un campionario di soluzioni di indubbia forza icastica.

I diversi ambienti in cui sorgevano, si sviluppavano e si esaurivano i fatti principali, implicavano l’impiego di tutte le possibilità sono-re. Anziché castigarsi in un piccolo complesso istrumentale, crean-do con ciò la necessità di una “stilizzazione” certo nociva al vastis-simo orizzonte dei “Sette peccati”, lo scrivente preferì cointeressare alla riuscita sonora tutti gli elementi di cui la Rsi disponeva. Dal trio d’angioli che in un cantuccio di Paradiso fanno un po’ di musica da camera, al coro osannante l’apparizione di S. Pietro, dal solo di cem-balo caratterizzante con il suo suono secco e acidulo l’anima gretta e racchiusa dello spilorcio, alla roboante atmosfera di festa paesana che inneggia al contadino a cui vanno bene gli affari, dall’assoletto

30 F. Filippini, I sette peccati capitali, copione cit. pp. 28-31.

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di pianoforte – ricordante i film muti – che melanconizza intorno ad una fotografia di donna, all’ambiente greve di miasmi mondani del Dancing odierno, tutto questo – e molto di più – venne messo nella musica scritta per il Divertimento filippiniano.31

All’apparenza, nonostante la varietà degli spunti musicali e sonori, all’ascolto si ha l’impressione che alla colonna musicale manchi qualcosa di sostanziale. Se l’affastellarsi dei piani sonori imprime un ritmo serrato allo svolgimento, ottenendo con ciò un risultato impensabile sulla scena di un teatro (esaltando la virtuali-tà della radiofonia e in tal modo meritando al lavoro la selezione al Prix Italia), la molteplicità delle azioni sonore annulla la portata del primato musicale a mano a mano che l’una succede all’altra. La ca-pacità icastica di Nussio, di sfoderare in ogni scena la carica gestua-le della musica, lo porta a incollarsi al momento rappresentato sen-za possibilità di prendere quella distanza che porterebbe la musica in posizione giudicante e con ciò ad assumere la guida del percorso che invece rimane assegnata integralmente alla recitazione. In una parola il compositore non si distacca dalla posizione essenzialmen-te illustrativa, del tipo di ciò che è praticato nel commento sonoro dei disegni animati, del procedimento del mickeymousing dove la musica è chiamata in causa come semplice prolungamento del ge-sto, vincolata all’immanenza al punto da acquisire una dimensio-ne corporea, plastica, di pura oggettualità. Ovviamente per questo occorreva una maestria di cui Nussio si rivela abbondantemente provvisto, anche se alla lunga tale logica illustrativa mostra la corda a causa della prevedibilità che l’accompagna.

Da un lato, proprio la successione serrata degli eventi sonori, il corto respiro concesso, non consentono loro di dispiegarsi in modo da catalizzare forza sufficiente a imporli oltre l’attenzione del momento. Dall’altro, proprio l’oggettualità di questa musica le ha consentito di declinarsi senza contraddizione nel flusso sonoro popolato di voci, rumori e suoni d’ambiente, di cui viene a esse-re la componente maggiore fungendo da nerbo, dettando essa ac-centi, sfumature, accelerazioni e rallentamenti. Nella prima scena della vita di Beppe, quando si avvia sulla camionetta destinata a uscire quasi subito di strada, il suo motore rombante viene a co-niugarsi con una sfrontata musica di fiera che gli fa da prospettiva d’ambiente con pari aggressività, per poi assegnare all’orchestra il compito di muoversi in progressione armonica sempre più acce-lerata, attraverso l’accumulazione di dissonanze che sfociano nel

31 “I sette peccati capitali”, Radioprogramma, XVII/43, 22 ottobre 1949, p. 3.

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frastuono dell’ammasso di ferraglia a cui è ridotto il veicolo nell’in-cidente. Autore prolifico di composizioni di modernità apparente, dove l’arditezza dissonante che produce visioni sfigurate si applica a una struttura discorsiva che rimane sostanzialmente intatta nel suo assetto tradizionale di base, il vero aspetto avanzato della sua estetica è da individuare nella fisiologicità del suono, nel senso del suo essere alieno da sottintesi psicologistici. Generalmente spinto a comporre da motivazioni rappresentative egli non è mai descritti-vo, nella misura in cui il descrizionismo, nell’indugiare sul pretesto scelto per l’osservazione, alla fine si colloca più nella dimensione soggettiva che in quella oggettiva. Egli è invece neutro nella ripro-duzione delle atmosfere del reale, spesso crudamente spersonaliz-zate. È appunto questa disposizione a rendere possibile la fusione tra la dimensione del suono indeterminato dei procedimenti di so-norizzazione e la musica che vi si intreccia, senza che sia percepita discrepanza tra i livelli.

Il procedimento in verità non è nuovo, appartenendo esso alla pratica cinematografica. Ma, a parte il fatto che non tutti i com-positori di film confrontati con tale prospettiva denotano lo stes-so grado di compatibilità, nello spazio radiofonico (diversamente dall’arte dello schermo in cui tali componenti sono complementa-ri) tale intreccio sonoro si impone d’acchito per ragioni denotative. La fisiologicità del suono non è mai pleonastica rispetto all’imma-gine come potrebbe essere nel cinema, ma in assenza dell’imma-gine è chiamata a supplirla accrescendo il suo grado di concretez-za corporea. Non per niente la musica di Nussio non obbedisce a un’impostazione orchestrale di base, ma muta di combinazioni strumentali e vocali a seconda dei luoghi e dei momenti della vi-cenda: celestiale (esageratamente e ironicamente) nei cori dell’al di là e materiale nell’esistenza terrena, identificandosi con la banda di paese (carnevalesca e beffarda) a esaltare la frenesia dell’affarismo nell’episodio dell’avarizia, con il valzerino in tono popolare ad ac-compagnare ogni stacco sulla dimensione familiare, con la langui-da e maliziosa canzone francese di Mady Duclos (l’entraîneuse che fa perdere la testa al protagonista) nell’episodio della lussuria, con lo scatenato shimmy nell’episodio della gola, con il cliché del pia-noforte sentimentalmente salottiero che si insinua nella mente di Beppe quando è roso dal ricordo nel momento in cui gli capita sot-to gli occhi la fotografia dell’amante, con il mesto rintocco di caril-lon che fa da sfondo alla miseria della famiglia abbandonata, e via dicendo. Nell’episodio della lussuria, all’accenno di Beppe di voler danzare con Mady, s’insinua anche un valzer, profilato sul modello

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Il percorso di Felice Filippini a Radio Monte Ceneri 127

sospensivo del ricordo viennese riconducibile al Rosenkavalier dell’amato Richard Strauss, che Nussio aveva ospitato a Lugano l’anno prima invitandolo a dirigere un concerto nel giorno del suo compleanno e ottenendo da lui la promessa di comporre un pezzo per l’Orchestra della Rsi.32

La musica vi tende quindi a essere oggetto, a costituire un ar-redo sonoro, una quinta acustica che completa il rumorismo. Acquistando una portata fondamentale nell’azione – poiché a essa è affidato il compito di stabilire la profondità dello spazio acustico e la sua articolazione in funzione drammatica – essa si riduce fa-talmente ad ambientazione, perdendo nel contempo la capacità di dettare lo sviluppo della vicenda. Di ciò lo stesso Nussio si rivelava consapevole, quindi non vivendolo come adeguamento bensì di-chiarandolo come scelta:

Voler imporre la propria volontà di compositore disertando l’esatta traccia segnata dal letterato, significava distruggere la possibilità di fusione fra testo e suono.33

A dettare quest’ultima tuttavia è ancora un fatto sonoro, non però gestito dal compositore bensì dallo sceneggiatore: il disco, anzi i dischi, che nella “discoteca celeste” conservano le testimonianze

32 In modo ancor più turbinoso tale specie di valzer (come ricordo) si insinua rabbiosamente nell’episodio dell’ira quando Beppe, sorpresa Mady in macchina in compagnia dell’Ingegnere, li insegue. D’altra parte l’attrazione che tale modello di valzer rappresentò per Nussio è dimostrata dall’uso che ne fece in Vita ticinese, il Festpiel per la Fiera Svizzera di Lugano nel 1941 e nel balletto La filatrice e il mercan-te composto nel 1958 per la giornata ticinese della Saffa (Schweizerische Ausstellung für Frauenarbeit), abbinandolo al mondo rurale ticinese (cfr. Carlo Piccardi, “Il Festspiel ticinese tra storia, leggenda, mito e edonismo”, in Carlo Piccardi - Massimo Zicari, Un’immagine musicale del Ticino - Al Canvetto di Arnaldo Filipello e la sta-gione del Festspiel, Giampiero Casagrande Editore, Lugano-Milano 2005, pp. 103, 131-132, e Carlo Piccardi, La rappresentazione della piccola patria – Gli spettaco-li musicali della Fiera Svizzera di Lugano 1933-1953 [Quaderni di Musica/Realtà, Supplemento n. 2] Libreria Musicale Italiana/Giampiero Casagrande editore, Lucca-Lugano 2013, p. 147). Sulla presenza di Richard Strauss a Lugano nella pri-mavera del 1947 e sulla composizione del Duett-Concertino per clarinetto, fagotto e piccola orchestra di Richard Strauss dedicato a Nussio e all’Orchestra della Rsi, si veda Carlo Piccardi, “Richard Strauss: tramonto a Lugano”, Il cantonetto, LXI 1-2, febbraio 2014, pp. 19-26. In proposito si segnala anche il cd pubblicato nel 2015 dal-la Cpo in cui, oltre al Duett-Concertino e alle musiche per Der Bürger als Edelmann op. 60 con l’Orchestra della Svizzera italiana diretta da Markus Poschner, è integrata la registrazione di quattro Lieder giovanili strumentati da Richard Strauss interpre-tati dalla cantante Annette Brun con l’Orchestra della Rsi in quel concerto dell’11 maggio 1947 diretto dall’autore e la prolusione in omaggio all’illustre ospite tenuta da Bernhard Paumgartner, allora residente a Lugano.

33 “I sette peccati capitali”, Radioprogramma, XVII/43, 22 ottobre 1949, p. 3.

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delle azioni compiute da Beppe nella sua vita in terra. Riascoltate nelle tappe cruciali, esse diventano gli atti di accusa o di assoluzio-ne nel tribunale ultraterreno.

Attraverso i procedimenti tecnici che abbiamo visto – il ricorso alle interruzioni dell’ascolto e ai vari accidenti che possono capita-re nella riproduzione sonora – I sette peccati capitali costituiscono un campionario esemplare del potere della radio di esaltare le sue possibilità di contraddire l’unità di luogo, di tempo e d’azione, a cui il teatro ha sempre avuto difficoltà a sottrarsi e che il cinema aveva superato ma solo entro certi limiti. Oltre allo sconvolgimen-to dell’unità di tempo, sovrapponendo il commento post mortem al riascolto della registrazione del vissuto di Beppe, è soprattutto il luogo a perdere l’organicità tridimensionale attraverso la varie-tà dei poli sonori attivati, a volte simultanei ma non comunicanti. Quando a Beppe è concesso di ritornare in vita allo scopo di veri-ficarne le ultime intenzioni, per seguirne l’agire San Pietro ordina all’angelo di collegarlo direttamente con la Terra. Qui la sintoniz-zazione precaria perde il filo della comunicazione lasciando entra-re in campo interferenze di ogni genere prima di stabilizzarsi e di consentire un ascolto intelligibile.

Era la radio stessa quindi a essere incorporata come attore in questo lavoro che, grazie a lei, dilatava le sue direzioni di sviluppo stimolando la fantasia oltre il prevedibile.

Programmaticamente l’aveva fatto Honegger nel pezzo compo-sto per il decennale di Radio Ginevra nel 1935, Radio-Panoramique appunto, per piccola orchestra, soprano, tenore, coro e pianofor-te, chiamato a riprodurre in partitura l’effetto del sintonizzatore che, passando da una stazione all’altra, segue l’emersione casua-le di voci e suoni di diverso genere senza relazioni gli uni con gli altri.34 Un modello ispirativo per Filippini potrebbe essere stato il ben noto e allarmante radiodramma The War of the Worlds (1937) di Orson Welles, che nell’adattamento del romanzo fantascienti-fico di Herbert George Wells, simulava un notiziario speciale che a tratti si inseriva sopra la continuità del programma radiofonico per fornire aggiornamenti sull’atterraggio di minacciose astronavi

34 C. Piccardi, “La musica moderna alla radio svizzera”, p. 125 (anche C. Piccardi, “Tra creatività e realtà quotidiana”, p. 36). Un’esecuzione moderna di Radio-Panoramique si trova nel cd pubblicato nel 2005 da Cascavelle (RSR 6187) con l’Orchestre de la Suisse romande diretta da Guillaume Tourniaire interamente dedicato a Honegger.

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marziane, anche qui una sorta di radio nella radio quindi, ma tutto in presa diretta, senza simulare preregistrazioni.35

L’aveva fatto anche Pierre Schaeffer insieme con la compositri-ce Claude Arrieu ne La Coquille à planètes (trasmesso dalla radio francese nel 1946), in cui il protagonista si trova a dialogare con un astrologo e con i dodici segni dello zodiaco. Nel sesto episo-dio (Idylle aux machines), in quella situazione immaginaria, viene azionato l’“Horloge rétrograde”, apparecchio in grado di riportare indietro nel tempo. La sintonizzazione con il punto desiderato vi avviene appunto come la ricerca delle stazioni trasmittenti attra-verso la radio, con gli stessi effetti di voci e musiche che giungono frammentate all’orecchio da molteplici sorgenti di diffusione.36

È allora interessante rilevare come anche la Rsi fin dai primi anni, indotta dalla capacità del mezzo di agire in profondità sull’imma-ginazione dell’ascoltatore, abbia cavalcato convinta il registro fan-tascientifico, come risulta dalla programmazione nel 1936 di Mille e non più mille di Guido Calgari scritto a quattro mani con Carlo Castelli, sceneggiato “che in uno stile smaccatamente teatrale (ar-ricchito da sibili e rumori d’ogni sorta) simula la minaccia di un asteroide in caduta libera sulla terra”.37

Evidentemente i collegamenti con luoghi diversi, oggi moltipli-cati grazie ai satelliti al punto da non più nemmeno lasciar percepi-re la distanza enorme tra noi e gli accadimenti simultanei in capo al mondo (come se le pareti della nostra camera si fossero dilatate alla dimensione planetaria), allora costituivano motivo di fascino pro-prio in virtù del senso di lontananza manifestata in proporzione al grado di definizione (chiaro o flebile) della fonte sonora. Marinetti, il quale aveva riconosciuto nella radio “un’arte senza tempo né spazio senza ieri e senza domani” aveva provveduto a esaltare il fenomeno nel 1933 nel manifesto intitolato La radia, propugnando l’“utilizzazione delle interferenze tra stazioni e del sorgere e della evanescenza dei suoni”, oltre che “la possibilità di captare stazioni trasmittenti poste in diversi fusi orari”. Deprecando il fatto che il nuovo mezzo di comunicazione si accontentasse di rimanere allo stadio “realista” (“chiusa in una scena istupidita da musica che

35 Oltre alla registrazione in forma di Cd in commercio, il lavoro è accessibi-le in forma scritta e in traduzione italiana in Orson Welles, La guerra dei mondi, Baskerville, Bologna 1990, pp. 47-51.

36 Pierre Schaeffer, La Coquille à Planètes, testo integrale ricostruito, con album di 4 CD, INA / Ades, Arles 1990, pp. 146-47.

37 Pierre Lepori, Il teatro nella Svizzera italiana. La generazione dei fondatori 1932-1987, Edizioni Casagrande, Bellinzona 2008, p. 53.

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invece di svilupparsi in originalità e varietà ha raggiunto una ribut-tante monotonia negra o languida”), il padre del Futurismo vi aveva visto il potenziale di un’arte nuova “che comincia dove cessano il teatro il cinematografo e la narrazione”. Considerando che questa rimase teoria, un certo rilievo assume quindi il lavoro di Filippini in cui si rispecchia non poco di tale intuizione (“immensificazione dello spazio. Non più visibile né incorniciabile la scena diventa uni-versale e cosmica”).38

In quel contesto aperto alla sperimentazione il modello era costituito anche dal cinema. Nella primavera del 1947 egli vi fece esplicito riferimento denominando “pellicola radiofonica realizza-ta negli studi della Radio della Svizzera italiana”39 il già menzionato programma Il Canale di Panama, particolarmente curato nella rea-lizzazione che non solo sfruttava la varietà dei piani sonori ma che si proponeva come sintesi di vari generi, fondendo il livello della fiction con quello del documentario. Questo lavoro è il più ‘antico’ del genere della Rsi conservato nella sua resa sonora, non a caso esi-bito nella menzionata Settimana culturale di Radio Monteceneri, a coronamento di un percorso che Filippini iniziò alla fine del 1944 quando prese avvio in forma ufficiale la produzione dei “program-mi sperimentali” con una serie di trasmissioni introduttive a tale problematica vertenti su l’“arte di entrare in discorso”, sul “dialogo interiore”, che ebbe il suo terzo momento appunto ne “Il film ra-diofonico”, di cui si è conservato il copione nel quale, trattando del-le differenze specifiche tra lavoro teatrale, lavoro cinematografico e lavoro radiofonico, l’autore si avventurava in un’esemplificazione, richiamando il caso della riduzione cinematografica “recente” di Scampolo di Dario Niccodemi.

Come poté il cinema, che non è teatro, valersi di quel lavoro per gi-rare una pellicola buona, e di stile cinematografico? È semplice: avrà evitato di fermarsi con l’obiettivo su tre scene, corrispondenti ai tre atti: ma avrà variato il più possibile le sequenze visive, avrà reso flui-do il racconto uscendo con la “camera” sulla strada, correndo dietro

38 Filippo Tommaso Marinetti - Pino Masnata, “La radia”, in Filippo Tommaso Marinetti, Teoria e invenzione futurista, a cura di Luciano De Maria, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1968, pp. 177-81.

39 In quegli anni la denominazione di “film radiofonico” compariva qua e là. Così ad esempio è denominata la Chanson perdue di Pierre Rocher con la musica di Kurt Lewinek presentata da Radio Montecarlo al primo Prix Italia del 1949, costruita sul Leitmotiv di una canzone (Giovanni Antonucci, Prix Italia 1948 1998. La Radio e la Televisione del mondo, RAI-ERI, Roma 1998, p. 17).

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a Scampolino che sfarfalleggia per Roma, salendo scaloni ignoti, spostandosi continuamente da un locale all’altro della casa, da un volto all’altro, da un oggetto all’altro.

Se la radio volesse riprendere a narrare la dolce vicenda di Scampolo, è chiaro che dovrebbe a sua volta trasformare il copione di Niccodemi. E non alla maniera del cinema: poiché quello si è valso del commen-to visivo dell’azione, cosa che al microfono, istrumento cieco, è nega-ta. La radio si varrà delle sue risorse acustiche e di altri espedienti, i quali, tagliando là dove il dialogo si sprofonda e arrischia di annoiare senza il conforto della visione, spostandosi con ancora maggior ra-pidità da ambiente ad ambiente, dando “piani” alle diverse voci, e commentando infine con musiche e rumori tutto il racconto, riusci-ranno a fare di “Scampolo” un “film radiofonico”.40

Nel lavoro radiofonico in questione si svolgeva un’azione, am-bientata nel Canale di Panama nella primavera del 1945, quando la guerra in Europa non era ancora giunta alla fine mentre quella tra Stati Uniti e Giappone era ancora furiosamente in corso, con mi-nacce di bombardamenti anche in quell’area. Il punto di partenza sottolineante la funzione pedagogica della radio era un concorso di giovani scolari chiamati a competere sulle loro conoscenze di storia e di geografia, al fine di selezionare i quattro ragazzi a cui sarebbe toccato il privilegio di compiere il viaggio sul transatlantico Cucaracha fino alla zona americana del Canale di Panama appunto insieme con due inviati della Rsi. Da una parte quindi lo svolgimen-to era quello di una “radioscuola” con domande e risposte miranti a contestualizzare storicamente e geograficamente la situazione del canale (con riferimenti alla sua storia ottocentesca, al coraggio del primo progetto francese fallito economicamente, ai dati tecnici dello scavo, ai diecimila operai italiani che vi lavorarono e che in parte vi perirono come vittime della malaria e della febbre gialla, alla complessità del progetto ingegneristico, alla situazione politica

40 Felice Filippini, Trasmissione sperimentale: Il film radiofonico, dattiloscritto datato 22 marzo 1945 (Fondo Felice Filippini, Biblioteca cantonale di Lugano, AP FFil/1/D/5, p. 3). In merito a tale problematica è importante ricordare che Weekend di Walter Ruttmann, incunabulo della radiofonia risalente al 1929, fu realizzato dal regista montando suoni e rumori sulla pista del suono ottico della pellicola cinema-tografica (Carlo Piccardi, “L’eterogeneità allo specchio - La musica nel laboratorio della radiofonia”, Musica/Realtà, XIV, n. 40, aprile 1993, pp. 72-73), nonché Jeanpaul Goergen, "Il montaggio sonoro come 'ars acustica'", in Walter Ruttmann. Cinema, pittura, ars acustica, a cura di Leonardo Quaresima, Manfrini Editori, Calliano (Trento) 1994, p. 182.

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e militare del momento, ecc.). Dall’altra vi si intrecciava abilmen-te la dimensione di sceneggiato coinvolgente i personaggi (scolari, corrispondenti radiofonici, turisti, ecc.) in una vicenda drammati-camente segnata da un attentato annunciato, poi sventato, con una bomba che sarebbe dovuta esplodere sul transatlantico nel mo-mento del suo passaggio nella chiusa di Gatun, allo scopo di causa-re col disastro il blocco dell’attività del canale. La sonorizzazione vi assumeva un ruolo importante come sollecitazione della fantasia (sciabordio dell’acqua, sirena del bastimento, segnali d’allarme, orchestrina di bordo e via dicendo) accanto al ricorso alle opera-zioni di memoria, ai flashback chiamati a concretizzare la narra-zione e a stimolare il ricordo (il nome di Gatun pronunciato da un passeggero nel sofferto dormiveglia).41 La radio stessa vi era a un certo punto evocata nella sigla della Rsi di quegli anni (le due

41 La registrazione del lavoro è conservata alla Fonoteca nazionale Svizzera sotto la segnatura HR532. Nel menzionato Fondo Felice Filippini (AP FFil/1/D/67) è conservato il relativo copione dattiloscritto, di cui riportiamo la scena che segna la svolta dell’azione:

p. 6“Luca Oh sentite. Stamane all’alba, nel corridoio ho inteso una voce che

esclamava [prof. Barchi] lamentosamente Jones Gatun! Gatun! Ahhh, Gatun!Luca come un uomo addormentato sotto l’effetto di un incubo.[…]p.8 Jon (è la voce che ha esclamato “Gatun… Ahhh, Gatun” come in

sogno. È una voce esigua, che si lagna parlando) Non temete, la grande ipoteca degli Stati Uniti sopra la Repubblica

di Panama è custodita da bocche di cannone.[…]p. 15Jones (voce del sogno) Gatun!... Gatun!... Ahhh Gatun! [in mezzo a una conversazione][…]p. 16Jones Gatun!... Ahhh Gatun! [idem][…]p. 19 Jones (apparendo) Ma di che sbarramento state parlando?Ridani Della chiusa di Gatun, naturalmente!Jones (come la mattina) Gatun!... Gatun… Ahhh! GatunLuca (fremente) È lui! È lui!”

Ma si tratta di una falsa pista, poiché il vero colpevole del progettato sabotaggio è Karl, il cameriere tedesco fra il personale di bordo.

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battute d’attacco al pianoforte della canzone popolare Ora valmag-gina) preannunciante un concerto dei Bambini ticinesi a intonare l’Inno al Ceresio. L’impronta cinematografica, oltre che dichiarata, fu rilevata da Luigi Caglio non come semplice ricorso a uno specifi-co procedimento narrativo ma come una sua “rigenerazione”:

Ci troviamo quindi di fronte ad un saggio di genuina cinematografia nella quale l’assenza dell’immagine porta quella nota metafisica di cui il cinema si è spogliato dopo il passaggio dal bianco e nero alla sensualità talvolta pacchiana del colore.42

Orbene, non è un caso che la vicinanza delle due estetiche (ra-diofonica e cinematografica), qui riscontrata e in generale capace di informare gli altri prodotti radiofonici di Filippini, l’abbia in se-guito indotto a concepire concretamente lo sbocco de I sette peccati capitali in un progetto cinematografico vero e proprio. Nel Fondo Filippini presso la Biblioteca cantonale di Lugano giace infatti un incarto contenente alcune lettere che nel 1959 l’autore scambiò con Fabio Jegher (1912-1994), personalità di rilievo alla Rsi negli anni Quaranta.43 Ebbene, la corrispondenza che egli intrattenne con Filippini fa appunto stato del progetto di trasposizione de I set-te peccati capitali in termini cinematografici, non solo conferman-do le potenzialità del soggetto in questa direzione ma rivelando il ruolo da lui detenuto già nella concezione della versione originale radiofonica. Una bozza di dichiarazione relativa alla ripartizione dei diritti del lavoro fa infatti stato di un lavoro di coppia.44 Lo con-fermerebbe altresì la lettera del 22 febbraio 1959 spedita da Jegher

42 “Abbiamo l’impressione che in questo lavoro l’autore sia apparso agli ascol-tatori giovani un fratello maggiore che rinnovava per loro le industrie di un Jules Verne e di Emilio Salgari, ammaestrandoli e in pari tempo dilettosamente intratte-nendoli” (L. Caglio (a cura di), Il Festival Arturo Honegger e la Settimana culturale, p. 85).

43 Nato a Trieste da famiglia grigionese, dopo gli studi liceali Jegher si trasferì a Zurigo e poi a Lugano, come rappresentante della ditta Lindt & Sprüngli e colla-boratore esterno della radio. Col tempo le sue collaborazioni crebbero fino a venirvi assunto come capo del servizio parlato. Vi fu attivo quale radiocronista, giornalista, critico cinematografico, autore di adattamenti di romanzi e di radiodrammi, regi-sta e produttore di spettacoli. Nel 1944 lo troviamo fra i promotori della Rassegna internazionale del film di Lugano, proseguita nel 1946 a Locarno come Festival del film. Nel 1945, col collega Geo Molo pure attivo presso l’ente luganese, lasciò Radio Monte Ceneri per fondare la società Sisal che portò il gioco del Totocalcio in Italia, dove, grazie ai relativi guadagni, fu anche produttore cinematografico portando al successo nel 1959 Europa di notte di Alessandro Blasetti.

44 “Lugano 22 febbraio 1959 Dichiarazione:

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da Parigi, che chiedeva al collega di mandargli una prima stesura della versione cinematografica “in forma di synopsis”:

Non ho alcuna certezza di poterlo realizzare. Ma poiché ho alcuni soggetti che devo esaminare, fra i quali scegliere quello da mettere in cantiere, non voglio in partenza scartarne uno che mi sembrava allora e tuttora indicato alla trasposizione cinematografica. Non so se tu hai conservato il testo fatto allora: ti allego ad ogni buon conto la stesura tedesca che mi pare ancora valida. Nel voltarla in italiano ti sarei grato tuttavia se tu potessi trovare qualche cosa di meglio per quanto avviene a fine pagina 10 e inizio pagina 11: mi pare tirato per i capelli.

In generale vorrei che la vita di Giuseppe Calori, pur rotta nei set-te episodi dei sette libri, risultasse un tutto unico che scorre via le-gato. Oso dire che dovrebbe essere un racconto che starebbe da sé. Naturalmente per la edizione filmistica va molto bene aprire ogni episodio (o quasi) e chiuderlo con una immagine fotografica – e van-no bene gli intervalli in cielo.

[…] Ci terrei molto che fossi tu a fare questa prima stesura perché, se il progetto va in porto e se tu ti sentissi, potrei proporti di stendere il treatement dapprima e magari lo scenario dopo: è un mettere il carro avanti ai buoi, il parlarne ora, ma è sempre una cosa possibile. E tu che hai curato la edizione alla radio sei meglio qualificato di altri per farlo: esperienza e tecnica a parte.45

In verità Fabio Jegher apparteneva a quella generazione di gio-vani e scalpitanti uomini di radio che negli anni Quaranta caval-carono il nuovo mezzo tecnologico per uscire dal provincialismo ‘rurale’ in cui la Svizzera italiana si trovava ancora confinata. Pur fedeli alle loro radici in un Paese assediato dalla guerra, minaccia-to nella sua indipendenza e perciò indotto a valorizzare le proprie tradizioni, la piattaforma radiofonica in cui si trovavano a operare

Il lavoro “SETTE PECCATI CAPITALI”, uscito in edizione radiofonica sotto il nome di FELICE FILIPPINI, è stato scritto in collaborazione con FABIO JEGHER. I diritti d’autore sono stati di comune accordo ripartiti come segue:

– per l’edizione radiofonica tutti i diritti, nessuno escluso, sono riservati a Felice Filippini.

– per l’edizione cinematografica, nessuno escluso, tutti i diritti sono riservati a Fabio Jegher.

Pertanto, col presente atto, Fabio Jegher rinuncia a qualsiasi diritto proveniente dalla edizione radiofonica, e Felice Filippini a qualsiasi diritto proveniente dalla edizione cinematografica” (Fondo Felice Filippini, Cartella 1, documento C 1).45 Ibid.

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era un mezzo per mettersi in sintonia col mondo esterno e per im-portare valori e comportamenti che furono un fattore di primaria importanza per la sua apertura alla modernità:

[…] Ne sono espressione – stimolati dal direttore Vitali – Geo Molo, Fabio Jegher, Alberto Barberis: collaboratori eclettici, capaci di pas-sare dall’intervista alla regia teatrale, dalla radiocronaca alla pro-duzione d’un programma musicale. È di Fabio Jegher per esempio l’intervista – un’intervista che in quei giorni [1940] fa parlare – con Summer Welles, inviato del presidente statunitense Roosevelt in Europa, di passaggio nel Ticino: un’intervista che viene trasmessa nella rubrica “Voci del giorno”.46

Quanto alla progettata versione cinematografica de I sette pec-cati capitali è rilevabile un dissidio tra i due autori nel passaggio dal soggetto radiofonico a quello cinematografico, nel senso che, mentre abbiamo visto Jegher proporre la sostituzione della discote-ca dell’al di là con immagini fotografiche, Filippini si orientava (in modo a dire il vero assai più originale ed efficace) a sostituirlo con una “cineteca celeste”.47 Nella sua replica il collega ribadiva la sua preferenza:

Per LE SETTE VERITÀ [sic] non sono d’accordo con te sulla cinete-ca: sarebbe più logico, ma mi sembra più suggestivo la fotografia che

46 G. P. Pedrazzi, 50 anni di Radio della Svizzera italiana, p. 77. Con Alberto Barberis Jegher fu tra l’altro autore di Una canzone va per il mondo, una rivista che la Rsi produsse nell’ottobre 1942 come spettacolo realizzato nell’ambito della Fiera Svizzera di Lugano di quell’anno, seguito l’anno successivo sempre nello stesso am-bito da Così è… Così era..., firmato dalla stessa coppia di autori, a determinare una svolta significativa in senso moderno della tradizione del Festspiel (C. Piccardi, La rappresentazione della piccola patria, pp. 162-74).

47 “Ricordo che avevamo previsto di passare da episodio a episodio mediante la visione di una fotografia, che tosto si mette in movimento… Per la Radio, ho im-maginato una ‘discoteca’ (o nastroteca) celeste. Nel caso del cinema, non si potreb-be passare decisamente a immaginare una ‘cineteca’ celeste? Sarebbe più naturale impostare il giudizio su un uomo, facendo passare i brani filmati della sua vita, no?” (Lettera di Filippini a Jegher datata Savosa 25 febbraio 1959, Fondo Felice Filippini, AP FFil/1/C/1, Cartella 1, documento 2). Nel copione cinematografico Filippini, ol-tre ad attenersi abbastanza fedelmente a quello radiofonico, ne riprodusse le equi-valenti situazioni drammatiche. Relativamente alla scena dell’inceppamento della puntina nell’episodio della superbia, nella trasposizione filmica dello stesso egli tro-vò modo di farvi corrispondere analogo incidente tecnico a livello dell’immagine: “La pellicola si ferma a quel punto, per una panne della macchina: i gesti si irrigidi-scono, Beppe rimane, grottesco nel suo pigiama, inchiodato sullo schermo, la boc-ca spalancata, mentre un acuto della tromba indugia a frastornarci l’udito” (Felice Filippini, I sette peccati capitali – “Soggetto” per un film, Fondo Felice Filippini, AP FFil/1/C/1, Cartella 3, documento 1, pp. 15-16)

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si anima, l’episodio che rivive non si sa bene dove, nella memoria forse di Dio e del Diavolo. Se puoi attenerti a quella soluzione tanto meglio.48

A stretto giro di posta, dichiarando che “ormai il lavoro è finito”, Filippini rispondeva attirando l’attenzione sul fatto che “l’espe-diente in Paradiso è stato imperniato proprio sulle bobine cinema-tografiche”, non solo per rispettare “la preoccupazione, giustissima di veder scaturire dal ‘soggetto’ l’arco completo dell’avventura di Beppe Calori”, ma anche per potenziarla. Per di più, tirando fuori altra farina del suo sacco, sollecitava il collega a leggere in detta-glio la sinossi: “Vedrai che vi sono parecchie sequenze anche alla Televisione, indispensabili per seguire le azioni contemporanee su terra, l’avvenire, ecc.: tutte cose non risolvibili con la foto che si anima”.49 Come la versione originale, attraverso la discoteca “cele-ste” aveva impostato originalmente il tutto sul procedimento della “radio nella radio”, così nella versione cinematografica aveva coe-rentemente previsto il principio del “film nel film”. Evidentemente la prospettiva della realizzazione di un’opera cinematografica ave-va stimolato l’autore al punto da indurlo a sfoderare tutte le sue risorse – come si vede piuttosto fondate – sfidando addirittura il collega, assai più pratico ed esperto in questo campo.

Ciononostante dovette esserci stata una concordanza tra i due per quanto riguarda l’impostazione estetica del lavoro:

Forse – se interpretata nel senso da noi inteso, in un neo-realismo magico - non sarà un film di cassetta… Ma è un film che a me piace-rebbe d’andare a vedere, questo è sicuro.50

D’altra parte, come in queste parole è evidente il riflesso della poetica che informava la sua pittura, così dall’occhio del pittore di-pendeva la sensibilità visiva manifesta nel copione cinematografico al quale probabilmente si applicò anche in virtù della comunanza con la disciplina artistica che lo vide pur sempre prioritariamente impegnato.

48 Lettera di Jegher a Filippini, datata Parigi 15 marzo 1959, Fondo Felice Filippini, AP FFil/1/C/1, Cartella 1, documento 3.

49 “[…] se, dopo la lettura, rimpiangi ancora l’idea della foto che si anima, io potrei facilmente riscrivere i collegamenti in tale senso, poiché in definitiva si tratta solo di pochi e brevi passaggi” (Lettera di Filippini a Jegher datata 15 marzo 1959, Fondo Felice Filippini, AP FFil/1/C/1, Cartella 1, documento 4).

50 Lettera di Filippini a Jegher datata Lugano 22 marzo 1959. Fondo Felice Filippini, AP FFil/1/C/1, Cartella 1, documento 6.

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Oltre a spingersi a suggerire dettagliate soluzioni registiche – an-ticipandole anche nella sinossi, in cui per sovrappiù tra i due livelli (naturale e soprannaturale) è introdotto un collegamento televisivo – nell’esposizione del “soggetto” in apertura Filippini si dimostrava più esplicito nell’indicarne l’orientamento estetico:

I valori profondi di questo lavoro verranno posti in risalto da una interpretazione parodistica, da balletto comico: tra Fernandel e [Jacques] Tati. Andrebbe meglio, ovviamente, quest’ultimo: per quel-la punta di paradosso allucinato, per la potenza del suo richiamo e perché tutti gli altri elementi della vicenda – grazie a quel suo assurdo giocherellare con la realtà – si farebbero ad un tempo più trasognati e più credibili. Con Tati il taglio delle scene, gli oggetti (con i quali qui si fa così spesso narrazione), i caratteri, ecc., rientrerebbero in quella convenzione surreale che dispensa i realizzatori dall’osservanza di una logica troppo pedante. Ma sembra che Tati interpreti solo i sog-getti suoi: bisognerà forse cercare, in quella direzione, altrove.51

Nonostante l’impegno profuso e la convinzione – “Spero che il lavoro svolto sia di utilità per la lettura e una decisione”52 – la tra-sposizione filmica de I sette peccati capitali non andò in porto.

Anche se, a confermare la motivazione legata alla prospettiva ci-nematografica sta pure una serie di progetti che Filippini elaborò negli anni immediatamente successivi (in parte concepiti in fun-zione dell’operatività della Televisione della Svizzera italiana inse-diatasi nel 1961 a Lugano dopo il suo periodo “sperimentale” svolto a Zurigo e a Ginevra),53 l’interesse e la pratica di teatro radiofonico rimasero in lui dominanti e fedeli alla concezione estetica propu-gnata dai più avveduti operatori e studiosi di quell’ambito creativo. Non a caso negli anni Sessanta egli avrebbe inaugurato alla Rsi una rassegna intitolata Maestri del fantastico,54 mentre non è senza si-

51 F. Filippini, I sette peccati capitali – “Soggetto” per un film, pp. 1-2). 52 Lettera di Filippini a Jegher datata Lugano 18 marzo 1959, Fondo Felice

Filippini, AP FFil/1/C/1, Cartella 1, documento 5.53 Si tratta di sette progetti, la cui documentazione si trova nel Fondo Felice

Filippini della Biblioteca cantonale di Lugano, nella sezione “Testi per la televisione e per il cinema” (AP FFil/1/C): Rondò milanese (1970?), Intervista (1975?), Amore al primo sguardo, s.d., La cadillac dei comici, s.d., oltre a tre progetti commissionati per la produzione di una serie mai realizzata, intesa come prosecuzione (col titolo di Controsentenza o Superverdetto) del ciclo di programmi di successo Verdetto, in cui era previsto l’intervento del pubblico e di esperti chiamati a dare un giudizio su singoli casi umani presentati, cioè La sorpresa, s.d. (1968?), Gli anelli della catena (1968-69?), Controsentenza o Superverdetto (1969-70).

54 Per questo ciclo, comprendente alcune decine di titoli, egli adattò alla ra-dio racconti di Ray Bradbury, Daniel Keyes, Claude Veillot, Friedrich Dürrenmatt, Anatolij Dneprov, Arthur Porges, Isaac Asimov, Arthur C. Clarke, Richard Matheson,

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gnificato che la concezione de I sette peccati capitali sia maturata quasi in parallelo con la stagione memorabile del Teatro dell’usi-gnolo, ciclo varato dalla radio italiana da un manipolo di operatori guidato da Sergio Pugliese,55 come preannuncio di quello che sa-rebbe stato il Terzo Programma. Nella convinzione che il mezzo, oltre a godere di un primato di diffusione, fosse pienamente in grado di affermare attraverso l’etere un potere espressivo incontra-stato, con quell’esperienza la Rai tentò l’avventura di colonizzare lo spazio estremo del programma, certa che (nelle parole di Gino Modigliani) “nelle ore notturne l’anima è portata alla generosità, al godimento del bello, alla maggiore elevazione estetica forse perché il corpo affaticato si sente vicino al sonno cugino della morte, e per questo la mente è condotta a pensieri alti”.56

Evidentemente allora continuava ad agire il principio di ciò che potremmo chiamare l’“ascolto trasceso”57 riscontrabile nei primi trattati sulla ricezione del messaggio radiofonico che in Italia ebbe-ro eco negli scritti di Enrico Rocca, nelle pagine riservate alle rifles-sioni sulla parola nella condizione dell’invisibilità caratterizzante la radio, di uno studioso che non per niente fu chiamato anche a collaborare con la Rsi:58

Howard Fast, Robert Sheckley, Mack Reynolds, Fredric Brown, John Boynton Priestley, Pierre Versins.

55 Nel Radiocorriere, XXVI/ 52, 1949, Pugliese scriveva: “Si continua da parte di molti scrittori che collaborano ai programmi radiofonici a considerare l’ascoltatore come un ‘cieco’ e quindi a concepire il copione semplicemente con delle preoccu-pazioni visive, cercando di sostituire ciò che non si vede con battute e didascalie. Sarebbe meglio forse immaginare l’ascoltatore non come un cieco ma come un ‘su-per auditivo’, e il radiodramma pensarlo non destinato a spettatori che non possono vedere, ma ad ascoltatori che chiudono gli occhi perché le scene e i personaggi che si sono creati nella loro immaginazione sono ben più significativi e persuasivi di quelli che poteva loro fornire un volto di attore o un macchinista di palcoscenico” (ripor-tato in Fausto Malatini, Cinquant’anni di teatro radiofonico in Italia 1929-1979, ERI Edizioni RAI, Torino 1981, p. 79).

56 Ibid., p. 84. 57 Lo scrivente ha sviluppato questo tema, estendendolo alle esperienze radio-

foniche di tutto il continente europeo, in un saggio intitolato “L’ascolto trasceso del ‘nuovo Orfeo’ – Un capitolo di arte radiofonica”, che sarà pubblicato in Schweizer Jahrbuch für Musikwissenschaft/Annales suisses de musicologie/Annuario svizzero di musicologia, n. 36.

58 Nel 1938 lo studioso fu invitato dalla Rsi a tenere un ciclo sul radioteatro, i cui testi di presentazione furono pubblicati dal suo settimanale: E. Rocca, “L’ascesa del radioteatro italiano”, Radioprogramma, VII/2, 8 gennaio 1939 pp. 2-3, e “Il ra-dioteatro nel 1938”, Radioprogramma, VII/3, 15 gennaio 1939, pp. 2-3. Ma già l’anno prima il periodico orgogliosamente si vantava dell’attenzione che il Rocca riservava all’emittente luganese, citando un suo articolo intitolato “Decalogo del ra-diocronista” apparso sul Lavoro fascista: “Ogni popolo ha in questo campo una sua

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Il percorso di Felice Filippini a Radio Monte Ceneri 139

Essa [la voce] comincia, per così dire, a perder di peso specifico e tende a volatilizzarsi. […] Appartiene ad un essere umano, ma non è che voce, significato, espressione.

L’elemento invisibile in cui è immersa, lo spazio irraggiungibile in cui risuona l’hanno come sciolta dalla persona fisica del parlatore.

Per tornare ora alla voce non sarà difficile constatare che l’invisibilità radiofonica, provocando il divorzio, prima piuttosto raro, tra l’indi-viduo che parla e la sua parola, offre alla voce così isolata le più nuo-ve occasioni di nuovi sponsali. […] Un’inflessione mutata farà di un uomo in carne ed ossa un trapassato, di una donna un angelo, di un clima reale un’atmosfera di sogno.59

Tale concetto di lontananza elevata a principio, che della radio faceva un agente in grado di liberarsi dai vincoli dell’immanenza per aprirsi alla prospettiva di una realtà imponderabile, intrigava significativamente Felice Filippini il quale, assunta la responsabili-tà di guidare la “sezione sperimentale” della Rsi in modo motivato non solo vi dispiegò la sua creatività nei programmi di finzione, ma cercò di coinvolgere il pubblico stesso nella riflessione teorica che pretendeva dovesse starne alla base. Così, disquisendo al microfo-no sul “dialogo interiore”, risorsa primaria della moderna letteratu-ra, lo riconosceva come “uno dei mezzi più potenti di espressione radiofonica”:

tecnica particolare e quella italiana è tanto apprezzata che alla fine del luglio scorso la Radio Svizzera Italiana, così favorevolmente nota agli ascoltatori per la moder-nità e coscienziosità delle sue iniziative, ha creduto di chiamare a far parte della Commissione incaricata di tenere un corso di radiocronisti da essa indetto l’avvoca-to Franco Cremascoli della Direzione dell’EIAR, da noi già una volta, e a buon conto, definito radiocronista maestro e maestro di radiocronisti. Accanto all’avviamento teorico e pratico dato ai sette giovani aspiranti dal dott. Prof. Guido Calgari e da Arturo Welti, il Cremascoli ha avuto modo di comunicare ai suoi allievi svizzeri tutte le esperienze di cui a suo tempo hanno fatto tesoro a Roma gli allievi radiocroni-sti del Centro di Preparazione Radiofonica” (“Una voce autorevole- Enrico Rocca e un’iniziativa della RSI”, Radioprogramma, VI/37, 10 settembre 1938, p. 2).

59 Enrico Rocca, Panorama dell’arte radiofonica, Bompiani, Milano 1938, pp. 27-28. Lo stesso concetto, relativamente alla musica nello spazio acustico radiofo-nico, era stato formulato da André Coeuroy: “La radio è un filtro per la musica; essa lo spoglia della sua carne; essa la passa ai raggi X; essa ne fa risaltare l’ossatura; più che i muscoli, essa mostra il movimento di questi muscoli. Essa va di pari passo col nostro culto dell’attrezzatura meccanica, con le crudeli fotografie di Man Ray” (Panorama de la radio, Éditions KRA, Paris 1930, p. 15).

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Prima di tutto l’atmosfera interiore, confidenziale, creata da una voce che, senza nessun appoggio visivo, giunge all’ascoltatore dal si-lenzio del cielo, e gli si confida come se fosse (la frase ha fatto, come si dice, fortuna) un segreto; perciò è giustificato per radio diffondere una voce che non è una battuta di un dialogo comune, ma una cosa che l’attore lontano dice a se stesso.60

In questo senso Filippini fu sicuramente ispirato anche da Enzo Ferrieri, teorico e operatore sul campo come funzionario dell’E-iar, con il quale ebbe a collaborare in più occasioni,61 senza con-

60 “Per la stessa ragione, mentre il teatro o il cinema sono tenuti a allineare, accanto alla parola, la visione almeno della bocca di chi la dice, il microfono può benissimo, con quella sua libertà di spostarsi dove vuole, di andare in fondo al mare poi di saltare in cima a una montagna e infine, giustificandosi con un semplice rom-bo di motore, di portarci nell’interno di un aeroplano, può benissimo figurare di essere sprofondato nell’animo di ognuno, e di coglierne le voci interiori, i dissidi, il divenire di un pensiero o di una decisione, Non si dice, nello stesso linguaggio della favola: ‘Sentì dentro di sé una vocina fioca fioca’? Il microfono può dunque, quando si tratta di arricchire con ciò una narrazione, una scena, un’avventura, una fantasia, cogliere quella ‘vocina fioca fioca’ della coscienza, o del rimorso” (Felice Filippini, Trasmissione sperimentale, dattiloscritto datato 27 dicembre 1944, Fondo Felice Filippini, AP FFil/1/D/3, pp. 3-4).

61 “Il silenzio è l’immenso sfondo a tutte le voci, che vengono a noi per Radio, suscitando immagini, paesaggi, movimenti, conflitti reali e fantastici. Tutto il rilievo di questi avvenimenti è dato dalla possibilità di interporre un attimo di pausa, di to-gliere per un attimo alla nostra immaginazione qualsiasi punto di appoggio, di lan-ciarla in un baratro pauroso, da cui la parola sopravviene a liberarla ” (Enzo Ferrieri, “La radio, forza creativa”, Il convegno, giugno 1931, riportato in Enzo Ferrieri, La radio! La radio? La radio!, a cura di Emilio Pozzi, Greco & Greco Editori, Milano 2002, p. 39). Va segnalato che Enzo Ferrieri era ben noto in Ticino, fin dai suoi primi contatti con lo scrittore Francesco Chiesa, il quale già nei primi anni Trenta lo in-vitò a tenere regolarmente conferenze. Nel 1945 fu invitato da Radio Monte Ceneri con la compagnia di prosa di Radio Milano da lui diretta a mettere in scena Il ber-retto a sonagli di Pirandello (Giampiero Costa, “Enzo Ferrieri e Francesco Chiesa”, Il cantonetto, LXIII, 3-4, luglio 2016, pp. 189-91). La sua presenza è registrata an-che nei Corsi serali della seconda metà degli anni Quaranta (Nelly Valsangiacomo, Dietro al microfono. Intellettuali italiani alla Radio svizzera (1930-1980), Edizioni Casagrande, Bellinzona 2015, p. 79). Il suo rapporto personale con Filippini risalen-te a quell’epoca, è documentato dal diario manoscritto inedito di Luciano Sgrizzi (1910-1994), conservato presso lo scrivente: “Molti piccoli viaggi e nuove conoscen-ze, tra cui Enzo Ferrieri: il 9 febbraio [1948] siamo stati suoi ospiti a Milano […] Il 24 sono andato ancora a Milano con F. F. [Felice Filippini] Ferrieri ci ha fatto avere del-le camere in Corso Sempione, alla RAI […] Sono andato ancora una volta a Milano il 2 marzo: e il 4 Ferrieri e Enrica C. sono venuti con me, F. F., Achille Campanile, il dottor Fr. ecc. al Sanatorio di Ambrì, dove la radio ha organizzato uno spettacolo ricreativo” (p. 98). Sgrizzi ricordava anche “quell’Intermezzo [di Jean Giraudoux] che Ferrieri aveva inscenato a Lugano verso il 1948 o 1949 nella Sala della Casa d’Italia” (p. 130). Luciano Sgrizzi, noto pianista e clavicembalista che si sarebbe affermato internazionalmente a partire dagli anni 60 con i numerosi dischi di musica scarlat-tiana prodotti da Erato, non solo in quegli anni iniziava la sua collaborazione alla Rsi

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tare la possibile influenza di un lavoro del collega Carlo Castelli, Gli innamorati dell’impossibile, vincitore del terzo premio per ra-diodrammi bandito dalla Rsi nel 1950 ma risalente al 1948.62 Ciò è presumibile per l’originale taglio drammatico del lavoro menzio-nato, poiché vi mette in scena una coppia di personaggi giapponesi i quali, sorpresi dallo scoppio della bomba atomica di Hiroshima, sono stati di colpo disintegrati, lasciando solo un’impronta sul muro e le voci perdute nello spazio: “A questo punto essi incomin-ciano a cercarsi per far fronte, insieme, alla diabolica realtà di un mondo egoista, pieno di malizia e di violenza, che li ha distrutti”. Nella condizione di una trasparenza ormai ridotta alle sole voci, a cui li ha condannati il destino, la purezza e il candore dei due sono messi alla prova da un losco personaggio che promette di ridar loro il corpo in cambio di alcuni favori poco puliti che potrebbero assi-curargli sfruttando l’invisibilità che li contrassegna. Opponendovi una risposta negativa essi affermano l’accettazione definitiva della loro condizione ultraterrena, lasciando alle spalle ogni rimpianto.63

come pianista accompagnatore e con il programma Fantasticando al pianoforte, ma proprio da Filippini era stato sollecitato a scrivere radiodrammi, a partire da Bolero, 1951 (p. 122). Nel menzionato Fondo Filippini varie lettere tra Filippini e Ferrieri testimoniano del reciproco scambio di favori: “Ho il piacere di annunciarti che la tua RASSEGNA TEATRALE ITALIANA (di Enzo Ferrieri – con incisioni originali di in-terpreti e di scene) è in programma martedì 28 gennaio 1948 dalle 20,00 alle 20,20”. E nella stessa lettera (s.d.) l’artista luganese ringraziava il collega “per la program-mazione del 17 gennaio 1948 ore 21,15/22,00” di un suo lavoro realizzato negli stu-di di Milano, che pregava di annunciare in modo completo: “LA FUGA IN EGITTO di Felice Filippini / Capriccio radiofonico tratto da due novelle di Jules Supervielle (ed. NRF), Parigi / nella presentazione dell’autore / Regia di Enrico Convalli”. Da parte sua Ferrieri, in una lettera dell’anno dopo, gli comunicava: “Ho messo in pro-gramma Ritratto di Unamuno”, lavoro di Filippini effettivamente trasmesso dalla Rete Azzurra della Rai di Milano l’11 gennaio 1949. Inoltre, sempre in una lettera di Filippini del 17 gennaio1949 al collega milanese, si faceva stato della trasmissione di “martedì 11 gennaio 1949 dalle ore 22,00 alle 22,40 di ‘VECCHI PASSERI, due tempi radiofonici di Felice Filippini inspirati al racconto ‘Una burla riuscita’ di Italo Svevo, ed. Corbaccio”, concessa “in prima esecuzione assoluta”. Tale occasione fu all’o-rigine di un contenzioso con gli eredi di Svevo per la questione dei diritti d’autore.

62 Pubblicato in C. Castelli, Radiodrammi, Elvetica, Chiasso 1968, pp. 79-143, Gli innamorati dell’impossibile sono riferiti al 1952, intendendo la data di rea-lizzazione del lavoro. In C. Castelli, Drammi per la radio e la televisione, Edizioni Pedrazzini, Locarno 1981, pp. 1-32, il riferimento è al 1948, presumibile data della stesura del copione.

63 Roberto Aletti, Il radioteatro in Ticino: aspetti e problemi di una realtà cul-turale, “mémoire” di licenza presentato alla Facoltà di lettere dell’Università di Ginevra, 1983, p. 122. Si veda anche Roberto Aletti, “Carlo Castelli, ad vocem”, in Theaterlexikon der Schweiz/Dictionnaire du théâtre en Suisse/Dizionario teatrale svizzero/Lexikon da teater svizzer, pp. 355-56. Carlo Castelli alla Rsi ricoprì vari ruo-li nel programma come annunciatore, radiocronista, programmista, attore, regista

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Un’influenza – in tal caso possibile su ambedue (Filippini e Castelli) – può essere fatta risalire all’evento nazionale rappre-sentato dal “jeu radiophonique” Battement du monde di William Aguet con la musica di Arthur Honegger, suscitato dall’Uise (Union Internationale du Secours aux Enfants) e prodotto da Radio Losanna, in cui la vicenda che si svolge nell’aldilà in una sorta di purgatorio in cui le anime attendono la sorte che sarà loro riserva-ta risulta fondata sull’aspro confronto tra “l’Homme” e “le Diable” come parabola ispirata dal male prodotto dalla guerra ancora in corso. Alla prima esecuzione losannese seguirono quelle della Radio della Svizzera tedesca a Zurigo e della Rsi a Lugano nelle ri-spettive lingue, entrambe dirette da Ernest Ansermet con i com-plessi dei relativi studi.64 È possibile che proprio da quell’esperien-za vissuta sul campo a Lugano – per quanto riguarda in particolare la personificazione del diavolo – sia maturata in Filippini l’idea de I sette peccati capitali.

Si trattava di una prospettiva d’ascolto che di lì a poco – con l’avvento della televisione – sarebbe stata rimossa, fino a ridurre la radio a un mezzo di comunicazione contrassegnato dal contatto immediato, in presa diretta. Complice il perfezionamento tecnolo-gico mirante all’alta fedeltà della trasmissione, privato dell’aura de-terminata dalla lontananza, dell’effetto prodotto dalle insufficienze del segnale, all’origine percepite non come un deficit bensì come la sottolineatura della distanza dalla fonte del messaggio, il mezzo radiofonico con ciò è venuto a perdere la capacità di sollecitare la fantasia a compensare con l’immaginazione il senso di vuoto e di

fino a diventare nel 1956 responsabile del “servizio prosa”. Fu vincitore tra l’altro del Prix Italia nel 1956 con Ballata per Tim pescatore di trote: “La sua ballata, attentis-sima a sfruttare tutte le possibilità espressive del mezzo radiofonico, era una sorta di lotta, con la sconfitta finale di Tim, di un grande pescatore con una trota gigante, dotata di una straordinaria scaltrezza nel sottrarsi a tutti i tentativi di cattura. Una lotta fra l’uomo e la natura non disposta a sottomettersi alla sua intelligenza e abili-tà” (G. Antonucci, Prix Italia 1948 1998, p. 35). Tale lavoro è stato pubblicato in Carlo Castelli, Radiodrammi, pp. 15-73, e successivamente in Carlo Castelli, Drammi per la radio e la televisione, pp. 33-63 (con la riproduzione della “Musica per il coro degli scoiattoli [su un canto popolare ticinese]” composta da Luciano Sgrizzi per fagotto, 3 corni, 3 tromboni, timpani, tam tam, 2 violoncelli, contrabbasso).

64 Renato Regli ne curò la traduzione italiana, mentre in Palpiti del mondo - ol-tre agli attori Vittorio Ottino, Romano Calò, Lina Paoli, Tino Erler, Maria Rezzonico, allo stesso Renato Regli e all’Orchestra della Rsi – vennero affidati al Coro della Rsi e a quello dei Bambini Ticinesi “Le voci del mondo”, “Il coro parlato delle anime”, “Il coro delle madri”, “Il coro degli angeli”, “Il coro dei bambini” (Radioprogramma, XII/21, 20 maggio 1944, pp. 3, 9).

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assenza di dati denotativi prodotto dalla tipologia della trasmissio-ne delle origini.

Di significativo è da constatare come tali traguardi fossero pos-sibili per la rilevanza raggiunta da una stazione che, nonostante la piccolezza e la marginalità, si era assicurata una posizione di rispetto nel contesto europeo e un riconoscimento riservatole già nei primi anni pionieristici.65

In conclusione, nel quadro generale della poliedrica creatività di Felice Filippini, per le implicazioni estetiche I sette peccati capitali – al di là della dichiarata declinazione per certi versi scherzosa in ter-mini autorappresentativi della dimensione radiofonica – sono da considerare l’opera più compiuta realizzata dalla Rsi in quell’aureo periodo, a un grado di integrazione delle componenti sicuramente alto e non inferiore al livello di qualità raggiunto da ben più impor-tanti e più dotate stazioni.

65 Nel bilancio che il Rocca tracciava della produzione italiana di radiodrammi nel 1937 significativamente non mancava la menzione del ruolo dell’emittente sviz-zera: “E qui potremmo far punto se non ci sembrasse doveroso almeno un accenno all’attività svolta in campo radioteatrale dalla Radio Svizzera Italiana che, sotto il fervido impulso del regista e soggettista Guido Calgari, non solo ha creato nei suoi ascoltatori il gusto del radioteatro genuino con numerose trasmissioni di radiotea-tro straniero, ma ha messo insieme, dal 1934 ad oggi, un piccolo repertorio dialet-tale e italiano di radiosintesi, di radiobiografie drammatizzate, di radiocommedie e di radiodrammi, dovuto in parte ad autori regnicoli come Angelo Frattini, ma in grandissima maggioranza ad italiani della Svizzera tra cui il Calgari stesso, Vittore Frigerio, Pietro Voga [pseudonimo di Felice Antonio Vitali], Giovanni Ferretti, Virgilio Chiesa e diversi altri” (E. Rocca, Panorama dell’arte radiofonica, pp. 254-55). E più vicino a noi Franco Malatini: “Non è possibile chiudere questa serie di cita-zioni senza ricordare l’apporto dato al radioteatro dagli scrittori svizzeri di lingua italiana, in primo luogo Carlo Castelli, di cui, già nel 1936, veniva trasmesso da Radio Monteceneri il radiodramma Mille e non più mille, scritto in collaborazione con G. Calgari […] Accanto a lui, tra i radioautori della Svizzera italiana, spicca il nome ben noto di Felice Filippini, spirito irrequieto, aperto alle espressioni artistiche più varie. E ancora Bixio Candolfi, Francis Borghi, Felice Vitali” (F. Malatini, Cinquant’anni di teatro radiofonico in Italia, p. 82). La notorietà di Filippini in ambito italiano, oltre a quanto già menzionato, spiega l’invito estesogli dalla Rai a partecipare nel 1951 a una puntata del ciclo Scrittori al microfono (Pier Silverio Pozzi, “La radio di Antonio Baldini”, in Antonio Baldini, Siparietti radiofonici, Metauro Edizioni, Pesaro 2014, p. XXXVI).