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38 GIOVEDÌ 27 GIUGNO 2013 DI A R I O DI REPUBBLICA D ai diari di Carlo Aze- glio Ciampi: «12 set- tembre: Maccani- co. Ha visto Cuccia che si interessa del Corriere della Sera: Agnelli è di- sponibile». Così l’allora gover- natore della Banca d’Italia an- nota nel 1984 l’agognata apertu- ra del presidente della Fiat e del papa laico del capitalismo italia- no all’intervento nella Rizzoli per salvarla dal fallimento dopo il disastro del Banco Ambrosia- no e lo scandalo della P2. Un’o- perazione di “disinfestazione” la definì Agnelli, che a Giovanni Bazoli comunicò: «Ne parli con Cuccia, che è come parlare con me». Cadeva così definitiva- mente il principio secondo cui Mediobanca poteva spaziare a tutto campo nel capitalismo ita- lico con tre sole eccezioni: alber- ghi, cinema e giornali. Ed era cotto a puntino quello che Cesa- re Merzagora aveva definito, co- me ha ricordato Salvatore Bra- gantini, “un pasticcio di allodo- la e cavallo”, che per mezzo se- colo ha nutrito gli interessi, le inettitudini e le viltà dei capitali- sti italiani in un sistema bizanti- no intrecciato tra banche e im- prese, attraverso partecipazioni e patti medievali cucinati nel co- siddetto Salotto buono di via Fi- lodrammatici. Si capisce allora perché è sta- to definito addirittura “una rivo- luzione” l’annuncio ufficiale del cambio di strategia che dovreb- be segnare la fine del “modello Cuccia”, dato venerdì scorso dall’amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel. Ba- sta con i patti di sindacato, gli ac- cordi di blocco, le scatole cinesi, le società marsupio, i castelli di carta costruiti per governare aziende con il minimo costo e il minimo rischio. Basta con gli in- teressi collusivi di un capitali- smo familiare privo di nerbo, di idee e di capitali, tenuto a balia per decenni dal “cuccismo”. E – si spera – basta con la sconcezza degli amici e degli amici degli amici, come Totò Ligresti da Pa- ternò e i suoi cari, che in pochi anni si sono spartiti tra loro una settantina di milioni a dispetto degli azionisti. O con Tronchetti Provera, candidato fallito all’e- redità del principe Gianni Agnelli nella leadership morale della grande impresa italiana. «Quale banca di sistema, se non c’è sistema?», si chiede reto- ricamente Nagel, che deve aver capito, forse un po’ tardivamen- te, come l’Italia sia un paese di individualismi più che di sistemi e che il “banchiere di sistema”, di cui Cesare Geronzi ha rivendica- salottiero. Ma via via si è fatta fi- nalmente strada la convinzione che i patti di sindacato siano per- niciosi, tanto che secondo uno studio citato da Alessandro Pla- teroti sul Sole-24Ore l’annuncio di un accordo tra azionisti ab- batte in media del 5,8 per cento i titoli della società interessata, mentre nel caso di scioglimento del patto il valore cresce del 7,8. Forse è troppo presto per dire che sta per finire l’epoca dei sa- lotti e incede quella degli sga- buzzini. Ma certo l’appeal non è più quello di una volta, come quando nel 1979 il palazzinaro Silvio Berlusconi faceva carte false per entrare nel salotto buo- no attraverso le Generali e il pre- sidente Cesare Merzagora gli ri- spondeva a pesci in faccia, con una lettera conservata nel suo archivio personale e pubblicata dopo la morte: «Il nostro Consi- glio non ha mai desiderato avere nel suo seno costruttori. Inoltre, Lei sta diventando sempre di più anche un grosso personaggio politico ed infatti Lei ha offerto gentilmente a Randone il suo appoggio con i suoi eccellenti amici di Roma, non pensando che a noi questi rapporti non in- teressano e che anzi di essi fac- ciamo volentieri a meno. (…) Siamo stati e saremo sempre molto guardinghi, non aprendo le porte a prestigiosi personaggi della finanza e dell’industria ed ancor meno del bosco e del sot- tobosco politico». Poi il palazzi- naro che divenne bosco e non più sottobosco, assurse al salot- to dei salotti di via Filodramma- tici e addirittura a Palazzo Chigi. Ma la musica è cambiata: «Basta messe cantate tra pochi – va ri- petendo Diego Della Valle – il mercato ha già spazzato via la lo- gica dei patti di sindacato che so- no accordi di blocco e non di svi- luppo; per le persone serie è di- ventato imbarazzante stare nei salotti buoni». Basta, insomma, comandare in penombra inve- stendo poco e rischiando nulla, tra abusi e interessi collusivi an- nodati in un grumo insano di po- tere. In un paese nel quale, as- sente l’etica protestante, «l’ac- cumulazione della ricchezza – come diceva Guido Carli – viene interpretata non come la rivela- zione, in un cimento tra eguali, della superiorità dell’ingegno, ma come sopraffazione non di- sgiunta da astuzia». Chissà se la “rivoluzione” si compirà davvero. Il patto del sa- lotto dei salotti di via Filodram- matici scade a dicembre, ma la disdetta va data quest’estate. a. statera@repubblica. it GIORGIO RUFFOLO Lo specchio del diavolo Einaudi 2006 GIULIO SAPELLI Storia economica dell’Italia contemporanea Bruno Mondadori 2012 CURZIO MALTESE Come ti sei ridotto Feltrinelli 2006 NUNZIA PENELOPE Vecchi e potenti Dalai 2007 ANTONIO CALABRÒ Intervista ai capitalisti Rizzoli 2005 GIOVANNI FLORIS Decapitati Rizzoli 2011 CARLO A. CIAMPI Non è il paese che sognavo Il Saggiatore 2010 GIANCARLO GALLI Il padrone dei padroni Garzanti 2006 GIUSEPPE TURANI La nuova razza padrona Sperling & Kupfer 2004 SANDRO GERBI Mattioli e Cuccia Einaudi 2011 LIBRI I Diari online TUTTI i numeri del “Diario” di Repub- blica, comprensivi delle fotografie e dei testi completi, sono consultabili su In- ternet in formato pdf all’indirizzo web www.repubblica.it. I lettori potranno accedervi direttamente dalla homepa- ge del sito, cliccando sul menu “Sup- plementi”. Gli autori IL SILLABARIO di Eugenio Scalfari e Giusep- pe Turani è tratto da Razza Padrona (Baldini & Castoldi). Alberto Statera ha scritto Il termi- taio (Rizzoli). L’ultimo libro di Federico Ram- pini è Non ci possiamo più permettere uno sta- to sociale. Falso! (Laterza). Massimo Riva è editorialista di La Repubblica e l’Espresso. Così è tramontato il capitalismo all’italiana SALOTTO BUONO S oprattutto a partire dal 1950 la più vecchia so- cietà finanziaria d’Italia aveva avuto dai grandi dell’industria italiana il compito di “guardiaspalle”: una holding cioè che era al tempo stesso la sede istituzionale della grande alleanza dell’establishment capitalistico, la stanza di com- pensazione degli interessi e dei contrasti e la cas- saforte riservata dove custodire al sicuro da mano- vre e sguardi indiscreti le partecipazioni incrocia- te dei maggiori gruppi. Basta scorrer l’elenco del- l’ultimo consiglio d’amministrazione precedente la nazionalizzazione per capire che i “vecchi pa- droni” avevano fatto della Bastogi il loro salotto. Dieci anni dopo, di quel “parterre” non era rimasto nessuno; il salotto buono dei vecchi padroni era stato brutalmente invaso dalla nuova borghesia di stato. SILLABARIO SALOTTO BUONO EUGENIO SCALFARI GIUSEPPE TURANI L’annuncio che Mediobanca uscirà dai patti di sindacato compreso quello di Rcs, sancisce la crisi di un modello oligarchico considerato ormai fuori dal tempo Un meccanismo che per mezzo secolo ha nutrito interessi inettitudini e viltà degli imprenditori più famosi Interessi Basta con le scatole cinesi, gli accordi di blocco, le società marsupio. Ma forse è presto per dire che tutto cambierà Scatole cinesi ALBERTO STATERA to per anni il presunto (da lui) stemma nobiliare, altro non è che un gestore di poteri opachi e quasi sempre inconfessabili. E che senso ha, per dire, che una banca faccia anche l’editore? Per Renato Pagliaro, egli stesso banchiere-editore come presi- dente di Mediobanca, è una co- sa “contronatura”. C’è bisogno, per evitare il ripetersi dei disastri presenti, di chi si faccia carico delle linee strategiche e editoria- li. «Se ci chiedono di restare in Rcs con una piccola partecipa- zione, del 2-4 per cento, possia- mo farlo – ha aggiunto Nagel – ma come un’eccezione». Se agli annunci seguiranno i fatti, oltre agli equilibri in Rcs- Corriere della Sera, cambieran- no quelli di Telecom Italia, Ital- mobiliare, Gemina/Atlantia, Pi- relli. E di Generali, il gioiello del- la corona presente in venti patti di sindacato, il cui amministra- tore delegato Mario Greco già da tempo ha detto di voler abdicare dal ruolo di “investitore strategi- co”, annunciando dismissioni per 4 miliardi. A sua volta Me- diobanca cederà partecipazioni per 1,5 miliardi, metà dei quali rappresentata proprio dalla par- tecipazione nel Leone di Trieste. Tempo fa, solo tre società fi- nanziarie quotate al MIB 30 non erano collegate tra loro come in un cubo di Rubik assai ostico da sistemare. Un grande incesto © RIPRODUZIONE RISERVATA

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GIOVEDÌ 27 GIUGNO 2013

la Repubblica

DIARIODI REPUBBLICA

Dai diari di Carlo Aze-glio Ciampi: «12 set-tembre: Maccani-co. Ha visto Cucciache si interessa del

Corriere della Sera: Agnelli è di-sponibile». Così l’allora gover-natore della Banca d’Italia an-nota nel 1984 l’agognata apertu-ra del presidente della Fiat e delpapa laico del capitalismo italia-no all’intervento nella Rizzoliper salvarla dal fallimento dopoil disastro del Banco Ambrosia-no e lo scandalo della P2. Un’o-perazione di “disinfestazione”la definì Agnelli, che a GiovanniBazoli comunicò: «Ne parli conCuccia, che è come parlare conme». Cadeva così definitiva-mente il principio secondo cuiMediobanca poteva spaziare atutto campo nel capitalismo ita-lico con tre sole eccezioni: alber-ghi, cinema e giornali. Ed eracotto a puntino quello che Cesa-re Merzagora aveva definito, co-me ha ricordato Salvatore Bra-gantini, “un pasticcio di allodo-la e cavallo”, che per mezzo se-colo ha nutrito gli interessi, leinettitudini e le viltà dei capitali-sti italiani in un sistema bizanti-no intrecciato tra banche e im-prese, attraverso partecipazionie patti medievali cucinati nel co-siddetto Salotto buono di via Fi-lodrammatici.

Si capisce allora perché è sta-to definito addirittura “una rivo-luzione” l’annuncio ufficiale delcambio di strategia che dovreb-be segnare la fine del “modelloCuccia”, dato venerdì scorsodall’amministratore delegato diMediobanca Alberto Nagel. Ba-sta con i patti di sindacato, gli ac-cordi di blocco, le scatole cinesi,le società marsupio, i castelli dicarta costruiti per governareaziende con il minimo costo e ilminimo rischio. Basta con gli in-teressi collusivi di un capitali-smo familiare privo di nerbo, diidee e di capitali, tenuto a baliaper decenni dal “cuccismo”. E –si spera – basta con la sconcezzadegli amici e degli amici degliamici, come Totò Ligresti da Pa-ternò e i suoi cari, che in pochianni si sono spartiti tra loro unasettantina di milioni a dispettodegli azionisti. O con TronchettiProvera, candidato fallito all’e-redità del principe GianniAgnelli nella leadership moraledella grande impresa italiana.

«Quale banca di sistema, senon c’è sistema?», si chiede reto-ricamente Nagel, che deve avercapito, forse un po’ tardivamen-te, come l’Italia sia un paese diindividualismi più che di sistemie che il “banchiere di sistema”, dicui Cesare Geronzi ha rivendica-

salottiero. Ma via via si è fatta fi-nalmente strada la convinzioneche i patti di sindacato siano per-niciosi, tanto che secondo unostudio citato da Alessandro Pla-teroti sul Sole-24Ore l’annunciodi un accordo tra azionisti ab-batte in media del 5,8 per cento ititoli della società interessata,mentre nel caso di scioglimentodel patto il valore cresce del 7,8.Forse è troppo presto per direche sta per finire l’epoca dei sa-lotti e incede quella degli sga-buzzini. Ma certo l’appeal non èpiù quello di una volta, comequando nel 1979 il palazzinaroSilvio Berlusconi faceva cartefalse per entrare nel salotto buo-no attraverso le Generali e il pre-sidente Cesare Merzagora gli ri-spondeva a pesci in faccia, conuna lettera conservata nel suoarchivio personale e pubblicatadopo la morte: «Il nostro Consi-glio non ha mai desiderato averenel suo seno costruttori. Inoltre,Lei sta diventando sempre di piùanche un grosso personaggiopolitico ed infatti Lei ha offertogentilmente a Randone il suoappoggio con i suoi eccellentiamici di Roma, non pensandoche a noi questi rapporti non in-teressano e che anzi di essi fac-ciamo volentieri a meno. (…)Siamo stati e saremo sempremolto guardinghi, non aprendole porte a prestigiosi personaggidella finanza e dell’industria edancor meno del bosco e del sot-tobosco politico». Poi il palazzi-naro che divenne bosco e nonpiù sottobosco, assurse al salot-to dei salotti di via Filodramma-tici e addirittura a Palazzo Chigi.Ma la musica è cambiata: «Bastamesse cantate tra pochi – va ri-petendo Diego Della Valle – ilmercato ha già spazzato via la lo-gica dei patti di sindacato che so-no accordi di blocco e non di svi-luppo; per le persone serie è di-ventato imbarazzante stare neisalotti buoni». Basta, insomma,comandare in penombra inve-stendo poco e rischiando nulla,tra abusi e interessi collusivi an-nodati in un grumo insano di po-tere. In un paese nel quale, as-sente l’etica protestante, «l’ac-cumulazione della ricchezza –come diceva Guido Carli – vieneinterpretata non come la rivela-zione, in un cimento tra eguali,della superiorità dell’ingegno,ma come sopraffazione non di-sgiunta da astuzia».

Chissà se la “rivoluzione” sicompirà davvero. Il patto del sa-lotto dei salotti di via Filodram-matici scade a dicembre, ma ladisdetta va data quest’estate.

a. statera@repubblica. it

GIORGIORUFFOLOLo specchiodel diavoloEinaudi2006

GIULIOSAPELLIStoriaeconomicadell’ItaliacontemporaneaBruno Mondadori2012

CURZIOMALTESECome ti sei ridottoFeltrinelli2006

NUNZIAPENELOPEVecchi e potentiDalai2007

ANTONIOCALABRÒIntervista ai capitalistiRizzoli2005

GIOVANNIFLORISDecapitatiRizzoli2011

CARLO A.CIAMPINon è il paeseche sognavoIl Saggiatore2010

GIANCARLOGALLIIl padrone dei padroniGarzanti2006

GIUSEPPETURANILa nuova razzapadronaSperling & Kupfer2004

SANDROGERBIMattioli e CucciaEinaudi2011

LIBRI

I Diari onlineTUTTI i numeri del “Diario” di Repub-blica, comprensivi delle fotografie e deitesti completi, sono consultabili su In-ternet in formato pdf all’indirizzo webwww.repubblica.it. I lettori potrannoaccedervi direttamente dalla homepa-ge del sito, cliccando sul menu “Sup-plementi”.

Gli autoriIL SILLABARIO di Eugenio Scalfarie Giusep-pe Turani è tratto da Razza Padrona (Baldini &Castoldi). Alberto Statera ha scritto Il termi-taio (Rizzoli). L’ultimo libro di Federico Ram-piniè Non ci possiamo più permettere uno sta-to sociale. Falso! (Laterza). Massimo Riva èeditorialista di La Repubblica e l’Espresso.

Così è tramontatoil capitalismo all’italiana

SALOTTO BUONO

Soprattutto a partire dal 1950 la più vecchia so-cietà finanziaria d’Italia aveva avuto daigrandi dell’industria italiana il compito di

“guardiaspalle”: una holding cioè che era al tempostesso la sede istituzionale della grande alleanzadell’establishment capitalistico, la stanza di com-pensazione degli interessi e dei contrasti e la cas-saforte riservata dove custodire al sicuro da mano-vre e sguardi indiscreti le partecipazioni incrocia-te dei maggiori gruppi. Basta scorrer l’elenco del-l’ultimo consiglio d’amministrazione precedentela nazionalizzazione per capire che i “vecchi pa-droni” avevano fatto della Bastogi il loro salotto.Dieci anni dopo, di quel “parterre” non era rimastonessuno; il salotto buono dei vecchi padroni erastato brutalmente invaso dalla nuova borghesia distato.

SILLABARIO

SALOTTO BUONO

EUGENIO SCALFARIGIUSEPPE TURANI

L’annuncio che Mediobancauscirà dai patti di sindacatocompreso quello di Rcs, sancisce la crisi di unmodello oligarchicoconsiderato ormai fuori dal tempo

Un meccanismoche per mezzo secoloha nutrito interessiinettitudini e viltàdegli imprenditoripiù famosi

Interessi

Basta con le scatolecinesi, gli accordidi blocco, le societàmarsupio. Ma forseè presto per direche tutto cambierà

Scatole cinesi

ALBERTO STATERA

to per anni il presunto (da lui)stemma nobiliare, altro non èche un gestore di poteri opachi equasi sempre inconfessabili. Eche senso ha, per dire, che unabanca faccia anche l’editore?Per Renato Pagliaro, egli stessobanchiere-editore come presi-dente di Mediobanca, è una co-sa “contronatura”. C’è bisogno,per evitare il ripetersi dei disastripresenti, di chi si faccia caricodelle linee strategiche e editoria-li. «Se ci chiedono di restare inRcs con una piccola partecipa-zione, del 2-4 per cento, possia-mo farlo – ha aggiunto Nagel –ma come un’eccezione».

Se agli annunci seguiranno ifatti, oltre agli equilibri in Rcs-

Corriere della Sera, cambieran-no quelli di Telecom Italia, Ital-mobiliare, Gemina/Atlantia, Pi-relli. E di Generali, il gioiello del-la corona presente in venti pattidi sindacato, il cui amministra-tore delegato Mario Greco già datempo ha detto di voler abdicaredal ruolo di “investitore strategi-co”, annunciando dismissioniper 4 miliardi. A sua volta Me-diobanca cederà partecipazioniper 1,5 miliardi, metà dei qualirappresentata proprio dalla par-tecipazione nel Leone di Trieste.

Tempo fa, solo tre società fi-nanziarie quotate al MIB 30 nonerano collegate tra loro come inun cubo di Rubik assai ostico dasistemare. Un grande incesto

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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NASCE MEDIOBANCADopo la Secondaguerra mondiale, nel1946, Raffaele Mattioli ed Enrico Cucciafondano Mediobanca

Nel salotto buono saròuna figurina da scambiarenell’album degli AssassiniBlues in sedici, 1998

Stefano Benni

Nella storia della finanzae dell’industria italiana c’èil salotto buono del dopoguerraNon è il paese che sognavo, 2010

Carlo Azeglio Ciampi

A Brera c’erano i salotti buoniTutta gente che mi son guardatabene dal frequentareCanto Milano, 2007

Alda Merini

Le tappe

OGGIL’ad di MediobancaNagel annuncia l’uscitadai patti di sindacatoPare chiudersi l’era del “salotto buono”

LA MORTE DI CUCCIA“Il grande vecchio” dellafinanza italiana Cuccia,prima ad poi presidenteonorario di Mediobanca,muore il 23 giugno 2000

PATTO DI SINDACATOTra i vari patti di sindacato stretti da Mediobanca c’è quello in Rcs che inizia nel 1984

MONTEDISONCuccia e Mediobancaspingono per la fusionetra Montecatini e Edisonche, nel 1966, darà vita a Montedison

EUGENIOSCALFARIInterviste ai potentiMondadori1991

La passionedell’eticaMondadori2012

MASSIMOMUCCHETTILicenziare i padroni?Feltrinelli2004

M. MUCCHETTIC. GERONZIConfiteorFeltrinelli2012

P. MADRONC. ROMITIStoria segretadel capitalismoitalianoLonganesi2012

GIANDOMENICOPILUSOMediobancaEgea2005

LUCIAANNUNZIATAIl potere in ItaliaMarsilio2011

GUIDO CARLIIntervista sulcapitalismoitaliano(a cura di E. Scalfari)Bollati Boringhieri 2008

ROBERTONAPOLETANOPadroni d’ItaliaSperling & Kupfer2004

FABRIZIOBARCAStoria delcapitalismoitalianoDonzelli2010

LIBRI

Meriti e limiti di un sistema nato con la ricostruzione

QUANDO CUCCIAERA IL SOVRANO

C’è un merito storico principale che viene quasiunanimemente riconosciuto alla Mediobancadi Enrico Cuccia: quello di aver salvato il capi-talismo privato italiano non solo dalle tentazio-

ni stataliste del potere politico ma anche, talvolta soprattut-to, dalle vocazioni autodistruttive latenti in non poche dellegrandi famiglie di quello che un po’ pomposamente venivachiamato il “Gotha” finanziario nazionale. Nell’Italia del-l’immediato dopoguerra su tutto e tutti domina un obiettivoprimario: la ricostruzione economica di un paese che la guer-ra fascista ha davvero condotto nudo alla meta. In particola-re, la situazione appare drammatica sul versante privato do-ve i grandi capitalisti, che hanno flirtato col regime mussoli-niano sfruttandone i benefici protezionistici contro la con-correnza e contro i sindacati, sono costretti dalla realtà a fa-re i conti con se stessi e i propri portafogli. Non mancanoquelli che vorrebbero lanciarsi in nuove avventure impren-ditoriali, ma molti scoprono di essere capitalisti più di nomeche di fatto. Per fare significativi investimenti ci vogliono sol-di, tanti soldi. A impiegare tutti quelli propri scoraggia un cli-ma politico di grande incertezza, mentre il ricorso a quellidelle banche è ostacolato dalla carestia pecuniaria generale.

Ed è esattamente in questo quadro che Enrico Cuccia con-cepisce la sua creatura: una banca di mediocredito per fi-

nanziare il rilancio delle maggiori industrie private. CosicchéMediobanca nasce e prospererà raccogliendo, attraverso icanali delle tre grandi banche di interesse nazionale allora incapo allo Stato, cospicui fondi da utilizzare per consolidarel’economia privata e difenderla dal rischio di scivolamentoin mani pubbliche.

L’ambiguità congenita a questo schema – lo stesso Cucciaamava definirsi un centauro, senza mai chiarire se pubblicao privata fosse la metà uomo o la metà cavallo – si rivelò co-munque vincente. Altro che “salotto buono”: in un paio di de-cenni Mediobanca diventa la stanza di compensazione deimaggiori conflitti del potere economico nazionale. Meta-morfosi che, al tempo stesso, segna l’apice del suo potere e ladegenerazione del medesimo in cinico disprezzo delle rego-le di mercato. Chiusa la fase eroica del rilancio delle impreseprivate, infatti, Cuccia smette per certi versi di fare il ban-chiere e si erge a Lord protettore del capitalismo domestico.La sua arma principale non sono più tanto i finanziamenti,quanto le manovre di Borsa, le manipolazioni societarie, il ri-corso a patti “sindacali” d’ogni sorta per ingessare i gruppi dicomando delle aziende amiche di Mediobanca o per disar-cionare al contrario quelli che ai suoi ordini non stanno.

Nel chiuso delle stanze dell’allora Via Filodrammatici siconsumano così autentici delitti economici in spregio dellalungimiranza imprenditoriale. Dapprima viene abbando-nata a se stessa l’industria elettronica cui Adriano Olivettiaveva dischiuso verdi praterie. A seguire è la chimica, doveCuccia promuove la nascita del colosso Montedison ma poimanovra come agente di cambio nella scalata da parte del-l’Eni, aprendo così la via al più grande sfacelo industriale del-l’ultimo mezzo secolo. Ma nessuno in quegli anni ha il co-raggio di fiatare, neppure il principe dei privati, GianniAgnelli, che anzi dovrà subire in casa propria l’umiliazione dinomine Fiat targate Mediobanca.

Ora, dicono i successori di Cuccia, si cambia strada. Sarà,ma in un paese di capitalisti renitenti coi capitali il gattopar-do è sempre in agguato e alto rimane il rischio che qualcunosia già pronto a replicare la commedia delle beffe al mercato:come qualche banca nei recenti casi Pirelli e Rcs.

MASSIMO RIVA

In un paio di decenni l’istituto era riuscitoa diventare la stanza di compensazione dei maggioriconflitti del potere economico nazionale, grazieanche alla sua natura a cavallo tra pubblico e privato

Compensazione

Perché le “public company” sono più efficienti

MA IN AMERICANON LO VOGLIONO

C’è un segreto dietro la ripresa economica degli StatiUniti: le banche americane hanno ripreso a farecredito, a differenza di quelle italiane. Erogano mu-tui per la casa alle famiglie, finanziano le piccole im-

prese che hanno bisogno di investire e assumere. Le bancheamericane, insomma, hanno ripreso a fare l’unico loro mestiereche ha davvero un’utilità. Quelle italiane invece si tengono gliaiuti della Bce tutti per sé, e non restituiscono nulla all’economiareale. Perché questa differenza? La spiegazione è semplice: lebanche Usa hanno ritrovato solidità patrimoniale perché nelmomento della crisi hanno reagito ricapitalizzandosi, acco-gliendo nuovi azionisti. Warren Buffett, per esempio, acquistòuna partecipazione nel capitale della Goldman Sachs proprio alculmine del panico. Le banche italiane non avrebbero potuto fa-re lo stesso? Certo, ma in tal modo avrebbero diluito il controllodei “soliti noti”, salotti buoni o fondazioni manovrate dai partiti.

Questa è una differenza fondamentale tra il capitalismoamericano e la periferica variante italiana. L’America hainventato il modello della public company: società quota-ta in Borsa, con azionariato diffuso, generalmente “con-tendibile” e cioè passibile di essere scalata. Un’operazio-ne come quella che ha visto di recente le due maggiori ban-che italiane puntellare il controllo di Marco Tronchetti sul-la Pirelli – operazione dove non si è creata alcuna ricchez-

za, dove non esisteva progetto industriale degno di questonome – è la tipica manovra di potere che nasce dalla logicadel salotto buono, e che non sarebbe concepibile in Ame-rica.

La “distruzione creatrice” del capitalismo americano, lavitalità grazie alla quale le maggiori aziende per capitaliz-zazione di Borsa non esistevano neppure quarant’anni fa(vedi Apple o Microsoft) è possibile perché non ci sono sa-lotti buoni che ingessano e sclerotizzano gli assetti pro-prietari. Il capitale americano va a caccia dei progetti in-dustriali, non degli amici da proteggere. I più grandi inve-stitori, quelli che determinano i flussi di acquisti di azioninel lungo termine, sono soggetti istituzionali anonimi co-me i fondi pensione. Nessuno sa chi siano i maggiori azio-nisti di Exxon o General Electric, di Coca Cola o Ibm, e a nes-suno interessa davvero conoscere nomi e cognomi di que-sti investitori: sono giganti senza un volto, che si muovonoin base a logiche di mercato e non cordate di potere. L’uni-ca logica che può assomigliare a quella di un “salotto buo-no” e` la concertazione tra i big della finanza di Wall Street.Talvolta riunioni segrete tra i più influenti banchieri han-no dato origine a svolte nei flussi di capitali, sfiduciandoquesto o quel mercato d’investimento (anche l’eurozonaè stata vittima di questo voto collettivo di sfiducia). Ma an-che quando i comportamenti si avvicinano a manovre dicartello, si tratta di un comportamento che punta a massi-mizzare il profitto, non c’è dietro una logica politica chepunta alla conservazione di assetti di potere.

Il capitalismo americano ha le spalle larghe e un dina-mismo che fa invidia al resto del mondo, proprio perchél’ampiezza delle forze in gioco impedisce che siano “con-tenute” in un solo salotto. Bill Gates e Warren Buffett sonoamici per la pelle, ma l’unico salotto che li accomuna èquello delle fondazioni filantropiche ai quali appartengo-no ambedue. Il capitalismo Usa ha altri difetti, in primis ladittatura dei manager che si possono elargire supersti-pendi ignorando (o quasi) le proteste degli azionisti; si cer-ca di risolvere questi eccessi con un ritorno al mercato, cioèl’esatto opposto della logica mafiosa dei salotti buoni.

FEDERICO RAMPINI

Negli Stati Uniti il capitale va a caccia di grandiprogetti industriali, non di amici da proteggerePer questo funziona la “distruzione creatrice”e i grandi colossi di oggi non esistevano 40 anni fa

Progetti industriali

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CONSIGLIOLa seduta del consiglio diamministrazione (Germania, 1900)Sotto, salotto del Settecento in un’incisioned’epoca. In alto a sinistra, il barone MayerRothschild in una caricatura del 1871