DeVinis n. 89 Settembre-Ottobre 2009

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DE Vinis PUBBLICAZIONE UFFICIALE DELL ’ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS z www.sommelier.it - [email protected] Anno XVI - n. 89 - 3,50 - Poste Italiane s.p.a. Spedizione in abbonamento postal e - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/ 02/2004 - n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano LA COMPETENZA, LA PROFESSIONALITÀ, LA CULTURA, IL PIACERE, I PROTAGONISTI DEL BERE BENE Settembre / Ottobre 2009

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Pubblicazione Ufficiale dell'Associazione Italiana Sommelier

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PUBBLICAZIONE UFFICIALE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS z www.sommelier.it - [email protected]

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La sfidadel nuovo

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La crisi economica mondiale ha disegnato scena-ri inediti e creato situazioni non immaginabilianche nel mondo del vino. Mentre in molti sosten-

gono che il peggio è passato e il tunnel sta per finire,tutti si domandano quando comincerà a vedersi un po’di luce. Intanto i produttori di champagne si accorgo-no che l’invenduto è tale da costringerli a un drasticotaglio di produzione (260 milioni di bottiglie anziché325 milioni del 2008), enoteche e ristoranti stappanomeno bottiglie (e quelle bevute non sono certamente lepiù costose), migliaia di italiani scoprono il “vino fai date”, quello ottenuto direttamente in cantina dall’uvacomperata in campagna. È un modo per combatterela moltiplicazione dei prezzi dal campo alla tavola egustare un prodotto buono e genuino. Parto da questi presupposti per sostenere che i som-melier devono adeguarsi alla realtà, parlare un linguag-gio semplice, valorizzare tutte le bottiglie, non solo lecosiddette eccellenze. Ogni anno il sistema vino italia-no produce tre miliardi di bottiglie, ma solo cinquan-ta milioni sono di alta qualità e comunque destinate aun pubblico molto ristretto. L’Ais e i suoi associati,devono riconsegnare alla bottiglia il ruolo di protago-nista della convivialità: questo si può fare dando digni-tà sia al “Vino da tavola” sia alle grandi nobiltà enolo-giche apprezzate dai pochi appassionati che possonopermettersele. Dico questo perché l'Ais deve sì continuare a tutelarei consumatori come ha sempre fatto, ma deve ancheessere consapevole dei mutamenti in corso: sui merca-ti stanno affacciandosi nuovi protagonisti, l’Europa vederestringersi la sua fetta di introiti e quindi anche il som-melier deve rinnovarsi.Questo significa incrementare l’utilizzo di internet perraggiungere i consumatori (soprattutto i più giovani),migliorare ulteriormente la nostra didattica (magarirendendola più semplice), prendere cioè atto della sfidache il nuovo ha lanciato. Il sommelier deve ampliare isuoi orizzonti, proponendosi non solo come comunica-

tore, ma anche come degustatore ufficiale riconosciu-to. È quindi mia intenzione organizzare nell’immedia-to futuro gli “Stati generali del vino”, un convegno conFedervini, Assoenologi, presidenti dei Consorzi,Istituzioni, stampa agroalimentare e sommelier per par-lare del vino a 360 gradi, per non rimanere fermi e pas-sivi a guardare cosa accadrà, domandandosi a crisi fini-ta che mercato del vino avremo.Occorre quindi continuare a mettere in evidenza iprofumi della nostra terra, quelli delle uve che sono sol-tanto nostre, senza dimenticare che comunque ci sonoaltri Paesi che meritano piena attenzione.Il percorso, già programmato, ci porterà all’Expo 2015.Qui, nel cuore dell’esposizione universale che avrà cometema alimentazione e sviluppo, ci sarà un padiglionededicato ai vitigni autoctoni, un patrimonio che è esclu-sivo, unico e che nessuno ci potrà mai copiare.

di Terenzio Medri

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Anno XVI settembre-ottobre 2009Associazione Italiana Sommeliers Editore

Direttore editoriale e responsabile | Terenzio Medri, [email protected] redazionale | Francesca Cantiani, [email protected] la pubblicità | Roberto Pizzi, [email protected] tel. 02/72095574 – ICE Srl – Corso Garibaldi, 16 – 20121 Milano

Redazione | Associazione Italiana Sommeliers Viale Monza 9 - 20125 Milano Tel. +39 02/2846237 - Fax +39 02/26112328 - [email protected]

Segreteria di redazione | Emanuele Lavizzari, [email protected]

Hanno collaborato | Silvia Baratta, Luisa Barbieri, Sandro Camilli, Francesca Cantiani, Luigi Caricato, RiccardoCastaldi, Alessia Cipolla, Pinuccio Del Menico, Elisa della Barba, Alessandro Franceschini, Natalia Franchi, AngeloGaja, Salvatore Giannella, Maddalena Giuffrida, Emanuele Lavizzari, Maurizio Maestrelli, Angelo Matteucci, DavideOltolini, Roberto Piccinelli, Cesare Pillon, Paolo Pirovano, Alessandra Rotondi, Lorenzo Simoncelli, Daniele Urso,Franco Ziliani.

Fotografie | Archivio AisPer l’articolo a firma di Salvatore Giannella si ringrazia per la collaborazione: l’UGIS (Unione giornalisti italiani scientifici, membro co-fondatore dell’europea EUSJA) e la sua presidente Paola De Paoli; la Fondazione Bernadotte e il Council for the Lindau Nobel Laureate Meeting (per saperne di più sulla loro attività: www.lindau-nobel.de). Le fotografie del servizio da Lindau sono di Christian Flemming e Mario A. RosatoPer l’articolo a firma di Alessandra Rotondi foto della stessa autricePer l'articolo a firma di Alessia Cipolla foto di Vaclav Sedy Per l’articolo a firma di Alessandro Franceschini foto dello stesso autorePer l’articolo a firma di Elisa della Barba foto della stessa autricePer l’articolo a firma di Sandro Camilli foto di Andrea Boccalini e Massimo RomanelliPer l’articolo a firma di Riccardo Castaldi foto dello stesso autoreSi ringrazia Urbano Sintoni per il ritratto fotografico del presidente Terenzio Medri (editoriale)

Reg.Tribunale Milano n.678 del 30/11/2001

Associato USPI

Abbonamento annuo a 6 numeri | ITALIA € 20,00 ESTERO € 35,00Intestare ad “Associazione Italiana Sommeliers – viale Monza, 9 – 20125 Milano” specificando il motivo del versa-mento da effettuarsi secondo una delle tre seguenti modalità:- pagamento tramite c/c postale 000058623208 - bonifico su Banco Posta, codice IBAN IT83K0760101600000058623208 (aggiungere per versamenti dall’estero codi-

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Errata corrige | Nel numero 88 di luglio-agosto 2009 a pagina 38 è stato indicato erroneamente il prezzo del Lagone 2007di Aia Vecchia. Il prezzo corretto è di € 5,90 + IVA a bottiglia. Ci scusiamo con gli interessati e con i lettori.

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La quota associativa è di 80 euro e comprende l’abbonamento annuoalla rivista ufficiale AIS e alla GuidaDuemilavini edizione 2010.

Rinnovo quota associativa 2009

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La competenza, la professionalità, la cultura, il piacere, i protagonisti del bere bene.

AIS Associazione Italiana SommeliersPresidente | Terenzio MedriVicepresidenti | Antonello Maietta, Rossella RomaniMembri della Giunta Esecutiva Nazionale | Terenzio Medri, Antonello Maietta, Roberto Gardini, LorenzoGiuliani, Vincenzo Ricciardi, Catia Soardi, Rossella Romani, Marco Aldegheri, Roberto Bellini.

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Settembre / Ottobre 2009

10 Storia, tradizioni e vino in BasilicataRIONERO IN VULTURE ACCOGLIE IL 43.MO CONGRESSO NAZIONALE

14 Il rating delle etichetteANCHE IL VINO HA I SUOI CONFLITTI DI INTERESSI

20 L’Europa sulla buona stradaIL PARERE DI ANGELO GAJA SULLA RIFORMA OCM

22 Alla conquista del continenteA SAN MARINO IL CONCORSO “MIGLIOR SOMMELIER D’EUROPA”

26 “El vin de Milan”SAN COLOMBANO AL LAMBRO E LA SUA DOC

30 I premi Nobel danno l’allarmeI CAMBIAMENTI CLIMATICI MINACCIANO ANCHE LA VITE

36 Alla scoperta di una Doc storicaROSSESE DI DOLCEACQUA DA DEGUSTARE

44 Insieme ai cuochi della “Grande Mela”“CHEFS & CHAMPAGNE” IN SCENA A NEW YORK

56 Merito di Caterina de’ Medici!LA DEGUSTAZIONE DEI VINI DI CARMIGNANO

52 Arrivederci estate!I LOCALI DI SUCCESSO DELLA BELLA STAGIONE

IL MONTE VULTURE

E RIONERO (PZ), SEDE DEL 43.MO

CONGRESSO NAZIONALE

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62 I colori del desertoIL TURISMO IN MAROCCO TRA STORIA E PROGRESSO

68 L’eredità dei faraoniIL VINO, MEDICINA DEL PASSATO

84 Le ricchezze dell’UmbriaAMELIADOC DA SORSEGGIARE LENTAMENTE

88 “Prendete e mangiatene tutti”LE RADICI CRISTIANE NEL PANE E NEL VINO

94 Viticoltura agli antipodiIL PINOT NERO DELLA NUOVA ZELANDA

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Settembre / Ottobre 2009

All’interno 48 Architettura e vino CONTINUA IL VIAGGIO NELLE CANTINE INNOVATIVE

72 Olio L’OLEOLOGO, L’ESPERTO CHE CREA LE DIFFERENZE

74 Birra IL PRIMO BREWPUB DI MILANO

76 Distillati C’ERA UNA VOLTA LA VODKA

78 Acqua LISCIA O GASSATA?

80 Enopassione DAL SOFTWARE ALLA VIGNA

98 Sicurezza stradale IMPARIAMO A USARE L’ETILOMETRO

112 Sullo scaffale LE NOVITÀ EDITORIALI

114 Io non ci sto! ABBASSARE I PREZZI È NECESSARIO, SBRACARE È SUICIDA!

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Nuovo slancio al sistema-vino

e ai suoi protagonisti

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La Basilicata è una regione chesprigiona dalle sue strettoieun’intelligenza aspra, asciutta.

È una terra intrisa di luce e di fasci-no ruvido, difficile da dimenticare.Sono gente fiera i Lucani, che hannosaputo mantenere la propria identi-tà culturale basata su solide tradi-zioni e su un carattere ospitale e orgo-glioso, ostinato e determinato, fon-damentale per la sopravvivenza di unpopolo. Dominazioni e inadempien-

ze politiche non li hanno sopraffattie sono riusciti a rimettersi in piedianche su questa terra difficile, per laquale hanno sempre lottato aspra-mente e ricordato nel cuore. Oggi la Basilicata è una regione chesta riscoprendo le sue potenzialità,prima tra tutte la vocazione turisti-ca, legata alle tradizioni e al riccopatrimonio artistico, paesaggistico edenogastronomico. Infatti pur non essendo annoverata

tra le zone enologiche più ricercate,la Basilicata non solo produce buonivini ma vanta l’origine di uno dei viti-gni più apprezzati in tutto il mondo:l’Aglianico del Vulture Doc. Un terri-torio, dunque, tutto da scoprire e darilanciare e che vede l’Ais tra i promo-tori di questa rinascita. È per questomotivo che proprio in questa terragenerosa e dura si è deciso di orga-nizzare il 43° Congresso nazionaledell’Associazione italiana sommelier.

di Francesca Cantiani

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«Vogliamo far scoprire la nostra regio-ne, in un percorso che emozioni pro-fondamente e che faccia apprezzareanche ai non addetti ai lavori il nostropanorama vitivinicolo, che vantapunte d’eccellenza» tiene a sottolinea-re Vito Giuseppe D’Angelo, presiden-te Ais Basilicata. Ma il congressosegna anche un momento importan-te per fare il punto dell’attività dell’Aisda sempre impegnata nel rilancio delvino italiano di qualità. «Il nostro

obiettivo primario è quello di essereleader in assoluto nel sistema vitivi-nicolo nostrano e internazionale.Attualmente godiamo la stima deiproduttori, l’apprezzamento da partedei consumatori ma non dobbiamofermarci qui» spiega con forza il pre-sidente dell’Ais nazionale, TerenzioMedri. «Da anni portiamo avanti unprogramma volto non solo a promuo-vere la qualità ma ad aprire questomondo al grande pubblico. Perché il

vino, la sua cultura, il lavoro che stadietro, dalla vigna fino al prodottofinito, deve essere patrimonio di tuttigli italiani. Sento con piacere l’orgo-glio di chi oggi è sommelier e appar-tiene alla nostra associazione, che dadecenni lavora per il vino a 360 gradi.Questo congresso segna l’occasioneper promuovere nuove iniziative e perlanciare progetti che sappiano coin-volgere tutti i protagonisti del siste-ma-vino». Il programma prevede cinque giorni(30 settembre - 4 ottobre) densi diappuntamenti non solo tecnici maanche turistici, che offriranno la pos-sibilità di scoprire bellezze paesaggi-stiche e artistiche meno note al turi-smo di massa ma ugualmente indi-menticabili. Come l’Abbazia di SanMichele a Monticchio, che risale alVIII secolo d.C. e venne edificataattorno a una grotta dai monaciBasiliani per passare poi a diversiordini monastici fino a quello milita-re costantiniano, che ne fu proprie-tario fino al 1866. Da non perdereanche i laghi di origine vulcanicaimmersi nel verde del Monte Vultureo la visita a Venosa, città natale delpoeta latino Orazio, o al Castello di

� I Sassi di Matera

� Castelmezzano, uno dei borghi più pittoreschi d'Italia

� Uno veduta di Melfi, dominata dal castello

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Melfi, uno tra i più importanti diepoca medievale del Sud Italia, risa-lente al IX secolo a opera deiNormanni. Oppure una sosta aRionero in Vulture, con la casa nata-le del senatore Giustino Fortunato,padre della questione meridionale, eluogo che vide la nascita del brigan-te-eroe Carmine Donatelli Crocco,che fu a capo di un vero esercito nelperiodo post-unitario. E infine la pas-seggiata a Matera, nello splendidoscenario dei Sassi, iscritti nel 1933

nella lista dei patrimoni mondiali del-l’umanità dell’Unesco, primo sitodell’Italia meridionale, scelti perchérappresentano un ecosistema urba-no straordinario, capace di perpe-tuare il sistema abitativo dalle caver-ne della preistoria fino alla moder-nità. A Rionero in Vulture è prevista la ceri-monia di apertura presso il PalazzoGiustino Fortunato, il più importan-te degli edifici signorili, con l’inter-vento delle autorità cittadine.Un’occasione importante per spiega-re anche al mondo della politica lalotta che l’Ais da anni ha intrapresoper diffondere la cultura del beresano, ora cavallo di battaglia anchedell’attuale governo, per insegnare aigiovani, ma non solo, che bere nelmodo giusto significa ritrovarsi, risco-prire i valori della propria cultura.«La bottiglia deve essere al centrodella convivialità» osserva il presiden-te Medri. «Non deve essere identifi-cata con la paura dei prezzi, con laperdita dei punti della patente, conle stragi del sabato sera, non si deveinsomma frantumare questo mondoprezioso, che è uno dei fiori all’oc-chiello del nostro Paese nel mondo.Per questo è essenziale che la nostraassociazione, forte dell’esperienzamaturata negli anni, si faccia promo-

� Rionero e il Monte Vulture

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trice della capacità e della necessitàdella comunicazione tra tutti i sog-getti interessati, dai produttori ai con-sumatori, rimanendo radicata allarealtà. A tale proposito sta maturan-do l’intenzione di convocare gli StatiGenerali, perché solo dal coinvolgi-mento di tutti i protagonisti del siste-ma-vino si può dare nuova energia etrovare contenuti in grado di garanti-re l’eccellenza del prodotto e l’attenzio-ne verso il consumatore». Un consu-matore sempre più attento ed esigen-te per il quale occorrono esperti delvino preparati e in grado di parlare unlinguaggio semplice ed efficace. Evenerdì 2 ottobre, a Melfi, al ristoran-te “Relais La Fattoria” si terranno leselezioni per il concorso “Miglior som-melier d’Italia 2009”. I tre finalisti sidisputeranno il titolo, vinto la scorsaedizione da Ivano Antonini, a Matera,all’Auditorium del Conservatorio“Duni”. Al vincitore verrà assegnatoanche il Trofeo Guido Berlucchi,accompagnato da un sostanzioso pre-mio. Una sfida sicuramente emozio-nante che permetterà di apprezzarele qualità dei candidati in degusta-zioni alla cieca, prove di servizio ecorrezioni della carta dei vini. Un altroesempio di come l’Ais miri ad amplia-re la conoscenza e la cultura enolo-gica e le capacità di chi si dedica

all’attività di sommelier. Una figuraprofessionale ormai indispensabileche, con la sua autorevolezza, èdiventata il tramite insostituibile trail mondo dei produttori e i consuma-tori. Anche su questo punto il pre-sidente Medri ha le idee chiare: «Illinguaggio deve essere rivisto nelprossimo futuro. Dobbiamo poteressere capiti da tutti, la cultura delvino che noi promuoviamo deveentrare nelle case degli italiani e l’Aisne deve essere garante, come lo èsempre stata». Il presidente dell’Ais BasilicataD’Angelo mette in rilievo l’importan-za e il ruolo che l’Ais è riuscita a con-quistare nel panorama vinicolo. «Nellanostra regione abbiamo ormai un’im-magine di competenza e di professio-nalità che ci viene riconosciuta daglioperatori del settore e dagli appas-sionati che sempre più numerosi ciseguono. La strada che l’Ais ha deci-so di intraprendere promuovendo ilbere consapevole da contrapporre ai“beveroni”, allo sballo e al consumosregolato di superalcolici o di vino discarsa qualità sta premiando i nostrisforzi». Il 43° congresso non è dunque untraguardo ma una tappa da cui rilan-ciare i grandi temi che contraddistin-guono i contenuti e la cultura dell’Ais.

� Vito Giuseppe D'Angelo, presidente Ais Basilicata

� Uno dei laghi di Monticchio

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uando si parla di conflittod’interessi chi è senza pec-cato scagli la prima pietra.Dalla politica all’economia,

passando per la magistratura, sonopochi i settori in Italia e all’estero cheriescono a evitare gli accumuli diincarichi per fini personali. Vino com-preso.Lasciando da parte politica e magi-stratura, in ambito finanziario i sog-getti più chiacchierati sono le agen-zie di rating, quegli strumenti chesoprattutto dopo Basilea 2, avrebbe-ro dovuto suggerire ai risparmiato-ri, quanto fosse rischioso il loro inve-stimento in titoli obbligazionari.Peccato che a pochi mesi dal crackdella Lehman Brothers, le principaliagenzie di rating Moody’s, Standard& Poor’s e Fitch avessero stimato pra-ticamente impossibile (A) il suo rischiodi default. Dopo il fallimento di unadelle principali banche d’affari ame-ricane la comunità finanziaria inter-nazionale ha messo duramente sotto

accusa le tre sorelle del rating per nonaver tempestivamente informatorisparmiatori e addetti ai lavori sullareale solidità finanziaria della LehmanBrothers. Questo, insieme al consue-to irrigidimento normativo di un postcrisi, ha fatto sì che le agenzie dirating non fossero più consideratecome in passato punti di riferimentoper chi investe in titoli obbligazio-nari. Ma com’è potuto succedere? Ilproblema è strutturale, ed ecco cheritorna il conflitto d’interessi. Le socie-tà che commissionano il giudizio deiloro titoli alle agenzie di rating, sonoanche quelle che pagano questo ser-vizio, e allora si capisce che mettereun segno più al rating finale potreb-be anche dipendere da qualchebiglietto verde in aggiunta da mette-re sul tavolo. Anche se il tutto dovreb-be essere supervisionato dalla Sec(Securities and Exchange Commission),che probabilmente ha chiuso nonuno, ma due occhi di troppo. Ahimè,anche il nostro amato vino di cui scri-

NEMMENO LE AGENZIE

DI SCORE DEL VINO

SEMBRANO ESSERE

PRIVE DI CONFLITTI

D’INTERESSI. E NELL’ERA DI

INTERNET 2.0 E DEI

SOCIAL NETWORK SONO

ANCORA EFFICACI? IN ESCLUSIVA ECCO

L’OPINIONE DI ANTONIO

GALLONI, DELLO STAFF

DI ROBERT PARKER

di Lorenzo Simoncelli

Q

Rating:è bufera

anche sul vino

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viamo sempre con passione su que-ste pagine non è estraneo al conflit-to d’interessi.Anzi, forse operando un parallelismotra vino e finanza, come cerco sem-pre di fare in questa rubrica, essen-do meno regolamentato è proprio ilmercato del vino ad essere più arischio di impeachment. A differen-za della finanza, infatti, “i servizi dirating” che danno giudizi, più o menoattendibili, sulla qualità del vinoimbottigliato, sono molteplici. Anchequi a pagare, come nelle agenzie dirating tradizionali, è chi richiede lavalutazione del prodotto, nel caso spe-cifico le aziende vinicole. Ma a rende-re meno limpido il tutto nel mondodel vino è la mancanza di un’autori-tà super partes, come la Sec nellafinanza, che eviti potenziali conflittid’interessi. Inoltre le agenzie di ratingdel vino forniscono informazioni limi-tate agli acquirenti, che nel momen-to in cui si trovano a comprare unadeterminata bottiglia vorrebberoconoscere esattamente la morfologiadel vino (condizioni climatiche, tipo-logia di coltivazione d’uva etc…), cosache spesso viene omessa nelle varievalutazioni. Come ovviare dunque alproblema? In Francia, dove la produ-zione di vino è assai cospicua, esi-ste un comitato locale, detto il sinda-cato, che ha il compito di giudicarese il vino riflette accuratamente leindicazioni di uvaggio presenti sul-l’etichetta, ma anche qui i criteri uti-lizzati dal comitato non fornisconomolte specifiche agli acquirenti fina-li. A differenza della finanza, esisteanche un ampio numero di servizi dirating finanziati da chi compra il vino.Tra i principali The Wine Advocate diRobert Parker, The Burghound di AllenMeadows e The Wine SpectatorMagazine. Questi, i cosiddetti criticidel vino, di cui Robert Parker è ilpiù famoso, in cambio di una sotto-scrizione annuale vanno ad assag-giare le varie cantine in giro per ilmondo, fornendo un giudizio perso-nale. Ma è giusto che la voce di un singo-lo critico possa influenzare il livelloe soprattutto il prezzo di un’etichet-ta? Se poi pensate che Parker puòarrivare a degustare fino a mille vinial giorno, siamo sicuri che la capaci-tà di percezione non muti? Ma soprat-tutto nell’era di Internet 2.0 e dei

social network dove nascono fan clublegati ai vini, su Facebook sono19.083 i fan del Brunello di Montal-cino, è ancora attuale questo meto-do di valutazione? Sono passati 31anni quando nel mondo della criticaenologica stava per compiersi unagrande rivoluzione: un certo RobertParker decideva di dare dei voti alleetichette in scala da 1 a 100. Di persé non una grande innovazione, vistoche i vini venivano giudicati in baseal sistema dei voti delle High Schooldegli Usa. Fino a 50/100 il vino sipuò considerare difettoso, tra i50/100 e gli 80/100 molto probabil-mente andrà invenduto e solo supe-rata la soglia dei 90/100 potrà entra-re di diritto nell’olimpo dell’enologia.Con il passare degli anni si sono crea-te delle alternative a questo sistemadi valutazione: la scuola francese hainventato la scala in ventesimi, poi è

� Robert Parker,il più noto “eno-critico”

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nato il sistema delle cinque stelle.Se dunque già in passato si è dubi-tato non poco sui metodi di assegna-zione degli score del vino, negli ulti-mi anni con la diffusione dell’enofiliaanche tra i meno esperti, l’edificiodella critica del vino si sta pericolo-samente crepando. Soprattutto dopo che l’autorevole WallStreet Journal ha duramente critica-to l’imparzialità di Parker e della suanewsletter The Wine Advocate peraver scoperto che una casa vinicolaaustraliana, la Wine Australia, hafinanziato con 25 mila dollari la tra-sferta in Australia del suo collabora-tore Jay Miller. Fenomeno non isolato da quanto silegge nell’articolo del Wsj (http://onli-

ne.wsj.com/article/SB124330183074253149.html), visto che anche MarkSquires, un altro collaboratore diParker, sarebbe andato in Portogallo,Grecia e Israele sempre pagato da entigovernativi o aziende agricole. Noidi questo e molto altro ne abbiamoparlato in esclusiva con AntonioGalloni, uno dei nove esponenti delteam di Robert Parker, specializzatonell’area italiana e dello Champagne.

Molti dicono che il metodo di valu-tazione di Robert Parker è ormaivecchio, soprattutto nell'era delweb 2.0: lei come risponde a que-ste critiche e perchè è ancora vali-do e affidabile?«Queste sono solamente delle osser-vazioni che ognuno è libero di fare.Penso che il nostro metodo di valu-tare i vini, con tante degustazioni evisite nelle regioni, sia abbastanzaunico. Inoltre nelle aree vinicole piùimportanti al mondo, facciamo inaggiunta a quelle correnti delle degu-stazioni di annate storiche.Pubblichiamo tra le 12 mila e le 14mila recensioni all’anno, oltre a tuttoil materiale che c’è sul nostro sitowww.erobertparker.com, incluso ver-ticali e articoli su ristoranti. Nonaccettiamo pubblicità di nessun tipo,perciò siamo finanziati al 100% daabbonamenti. Siamo e rimaniamoprima di tutto dei consumatori e degliappassionati di vino. Personalmentein un anno compro molto vino, per-ciò se una bottiglia al quale ho datoun punteggio alto risulta poi delu-dente, sarò io tra i primi a non esse-re soddisfatto. Sicuramente la tecnologia sta cam-biando il mondo in tutti gli aspetti.Abbiamo cercato di creare un sitomolto interattivo per i nostri abbona-ti. Oltre al forum pubblico (apertoanche ai non abbonati) io gestiscouno spazio dedicato esclusivamenteagli abbonati sulle regioni di mia com-petenza (Italia e Champagne) chepenso sia totalmente unico nel mondodel vino. I lettori sono liberi di chie-dermi tutto quello che vogliono, eovviamente partecipo spesso ai dibat-titi per tenere tutti i nostri lettoriaggiornati. Questo forum chiamato“In the Cellar” è uno delle parti piùseguite del sito. Oltre a questo ho unapagina su Twitter e un'altra suFacebook».

� Antonio Galloni, stretto collaboratore di Robert Parker

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Il WSJ a giugno sulle sue pagine hacriticato il vostro sistema di valu-tazione dei vini affermando chealcuni membri dello staff di Parker,e quindi suoi colleghi, usufruivanodi benefit (anche viaggi pagati) perandare ad assaggiare i vini. Lei nonpensa che ci sia un po’ di conflittod'interessi? «Si tratta di due episodi molto diver-si sul quale Parker ha parlato ampia-mente. Nel primo caso, uno dei nostricollaboratori, Mark Squires, ha accet-tato viaggi pagati da enti con il per-messo di Parker per vedere regioniemergenti, come Israele e Portogallo,dove normalmente non avremmopotuto mandare uno del nostro staff.Ci sembrava un servizio aggiunto peri nostri lettori poter inviare qualcunoper vedere in prima persona questearee, ma non avendo il budget perfarlo, abbiamo accettato un suppor-to esterno. Non volendo creare nean-che una piccola possibilità di conflit-to d’interessi abbiamo deciso disospendere tutto. Nel secondo caso,il mio collega Jay Miller ha accettatodei viaggi, oltre ad aver condivisoperiodi di ferie con un importatore,che è un suo amico personale. Jayha vissuto una vita nel mondo delvino e dopo decenni di attività diven-ta difficile sapere come e quandoseparare la vita professionale da quel-la privata. Da parte sua Jay si è scu-sato pubblicamente con i nostri let-tori per valutazioni che potevano crea-re possibili conflitti d’interessi; Parkerallora ha analizzato le recensioni diJay con quelle che aveva fatto lui neglianni passati, naturalmente delle stes-se regioni, cioè Spagna e Australia, eha notato che nella maggioranza deicasi i punteggi erano molto simili traloro. Parker ha anche dichiarato pub-blicamente che licenzierebbe subitochiunque dei suoi collaboratori nelcaso di conflitti d’interessi».

Come il mondo del vino ha attra-versato la crisi economico-finan-ziaria degli ultimi due anni? I fondidi investimento in vino non sem-brano averne risentito troppo, mala vendita al dettaglio?«Il vino continua a passare unmomento estremamente difficile intutto il mondo. Negli USA la venditadi etichette sopra i 25 dollari è bloc-cata. Questo vale per tutti i paesi e

per tutte le categorie, cioè per i viniitaliani, francesi, americani, etc. Inquesto momento il consumatore stascegliendo di spendere meno o di berevini che aveva già in cantina. Lo stes-so discorso vale per i ristoranti dovecomunque si lavora abbastanza bene,ma il prezzo medio delle bottiglie ven-dute è calato in modo drammatico. Imiglioramenti della tecnica in vignae in cantina, le condizioni climatichein genere più favorevoli che mai(soprattutto in zone fresche tipoBordeaux, Borgogna e Piemonte) el’aumento di qualità nella produzio-ne nei paesi del nuovo mondo hannocreato una situazione dove non ènecessario spendere molti soldi perbere bene. Lo stress sul rallentamen-to delle vendite adesso incomincia avedersi sulla vulnerabilità degli ope-

ratori (importatori, distributori, eno-teche) del mondo del vino. Ovviamentei produttori vendono meno di prima,una condizione che rende difficilegli investimenti futuri e mette a rischioi programmi già presi quando le pre-visioni erano più rosee. Gli importa-tori eliminano aziende che hanno nelloro portafoglio, tagliano gli ordinianche ai produttori con i quali lavo-rano bene, gli importatori e i distri-butori fanno fatica a pagare la mercee non mi sorprenderà se qualcheazienda fallirà».

Come stanno andando i vini italia-ni sia da un punto di vista quali-tativo che di distribuzione? «Il vino italiano ha due grandi van-taggi. Il primo è che si abbina moltobene al cibo, e questo fa sì che la cul-

� La tabella di riferimento di Robert Parker per valutare i vini

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tura mediterranea rimanga moltopopolare negli Usa e nel resto delmondo. Il secondo punto di forza è ladiversità di un Paese con tante regio-ni e vitigni diversi».

I rossi italiani sono da sempre ingrande competizione con i rossifrancesi. Che cosa ne pensa lei?Può fare il nome di qualche etichet-ta italiana che le piace particolar-mente?«Ovviamente i più grandi vini italianipossono fare concorrenza ai più gran-di vini di qualsiasi altra regione delmondo. A questi livelli conta soprat-tutto la reputazione delle cantine.In questo contesto, è il Piemonte chechiaramente rappresenta la leader-

ship per i vini da collezione negli Usa,con aziende come Gaja, Bruno Gia-cosa, Giacomo Conterno e LucianoSandrone, oltre a molti altri. IlBrunello di Montalcino è anche moltopopolare negli Usa, ma è in una cate-goria dove c’e interesse solo delleannate di rilievo. A questi si aggiun-gono altri nomi importanti tra cuiRomano dal Forno, Quintarelli e legrandi aziende Toscane come Ornel-laia, Tua Rita, Antinori e altre. Il sudha ancora un po’ di strada da fare,ma sono sicuro che riuscirà».

Quale Nazione la sta colpendo dipiù e quali sono gli scenari futuridi crescita per questi Paesi?«C’è una possibilità di crescita enor-

me, ma è importante che questaavvenga in modo graduale e soste-nibile, altrimenti si verrà a creareun’altra bolla. Penso che in questitempi si capisca quanto sia duroattraversare un periodo di correzio-ne. Da quanto mi dice la collega LisaPerrotti-Brown, che copre l’Asia, c’èmolto interesse in questi Paesi,soprattutto per i vini con marchi pre-stigiosi. Non avendo una propria cul-tura enologica, hanno dovuto costrui-re tutto da zero, un po’ come è suc-ceso negli Usa molti anni fa. C’è inol-tre grande rispetto per il vino, comemantenerlo, come servirlo, soprattut-to nei ristoranti, cosa che secondo lamia opinione rimane uno dei puntideboli della ristorazione italiana».

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promossa a pieni voti

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Unione europea

Le norme dettate dalla commissione agricola diBruxelles venivano spesso accolte da sfottò, iro-nia, sarcasmo.

Quel voler legiferare sulla lunghezza e curvatura deifagiolini verdi, sul colore del guscio delle uova, su formae calibro dei pomodori con la pretesa di stabilire qualidi questi prodotti fossero commerciabili e quali altri noappariva quanto meno bizzarro.Quella introdotta da Bruxelles il 1° agosto è una rifor-ma vera, che si ispira al buon senso – merce rara al gior-no d’oggi – e pone termine a trent’anni di spreco di dena-ro pubblico.Da soli i Paesi del vino non ce l’avrebbero fatta mai: vareso merito ai Paesi del nord Europa.Certo, si è dovuto pagare il prezzo di una eccessiva libe-ralizzazione ma di questa è responsabile anche l’Italiaper essere stata lungamente latitante al tavolo delle trat-tative.C’è una buona ragione in più per sentirci europei.

��� C’È‘ MOLTO DI BUONO NELLA NUOVA OCM VINOCome dirlo? Ci provo con i voti.Il primo agosto 2009, Voto 10 per la puntualità, inbarba ai furbetti dei rinvii sono entrate in vigore lenuove norme elaborate dalla commissione agricola di

Bruxelles che regoleranno il mercato del vino europeo(Ocm vino). Per comprendere la partita che si è gioca-ta a Bruxelles occorre fare qualche passo indietro eseguire la pista dei sussidi agricoli comunitari: quelliingenti riservati al comparto del vino europeo veniva-no per oltre il 75 % destinati alla distruzione delle ecce-denze, spesso costruite ad arte. A finanziare i sussidicomunitari contribuiscono per quota parte ciascunodegli Stati dell’Europa unita: appena qualche anno fal’Inghilterra di Blair tuonava contro lo sperpero dei con-tributi agricoli comunitari e proponeva di dimezzarnel’importo. Bruxelles ha saputo cogliere il momento favo-revole e attuare una profonda riforma che passa attra-verso una serie di norme atte a riequilibrare il merca-to disincentivando la sovra-produzione vinicola; Voto10 per l’eliminazione dei sussidi destinati alla distru-zione delle eccedenze; Voto 8 per i premi all’estirpa-zione dei vigneti; Voto 8 per il contenimento della pra-tica dello zuccheraggio dopo averne minacciato la tota-le eliminazione; Voto 9 per la progressiva riduzionesino alla totale eliminazione dei sussidi al Mosto Con-centrato Rettificato (Mcr). I contributi recuperati ver-ranno destinati, Voto 7, alla promozione del vino euro-peo nei mercati extra-comunitari senza però che sianostati previsti adeguati sistemi di vigilanza. È auspica-

di Angelo Gaja

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bile che gli sprechi del passato insegnino qualcosa.Al tavolo delle trattative fecero sentire la loro vocetutti gli Stati europei, anche quelli che non produconovino ma sono invece produttori di spiriti. La nazionaledegli spiriti è potentissima nel centro-nord Europa eguarda con crescente interesse a espandere gli investi-menti nel settore del vino europeo. L’occasione era buonaper allearsi con quelli che più o meno sommessamen-te già invocavano una liberalizzazione del mercato. Voto5 allo scioglimento di vincoli e lacci vari e all’amplia-mento delle pratiche di cantina riconosciute legali. Acce-se polemiche hanno accolto in Italia queste ultimenorme: alcune di esse però non entrerebbero in vigoreprima di una decina di anni mentre per altre, che nonsono strettamente vincolanti e dovranno essere accol-te dal nostro ordinamento, esistono margini di tratta-tiva che andranno esplorati.Quale fu l’atteggiamento dell’Italia nel corso delle trat-tative? A gufare contro il vento della riforma fin dalnascere fu la poderosa compagine dei succhiatori peren-ni di denaro pubblico. Si esultò prematuramente nonsenza ambiguità per il ripetuto tentativo che Bruxellesfece di abolire lo zuccheraggio come fosse una vittorianostra in grado di giovare al Mcr italiano; per il restoogni provvedimento di quelli in discussione veniva liqui-

dato con critiche severe. Al tavolo delle trattative l’Ita-lia si autoescluse, si ridusse a giocare un ruolo margi-nale senza mai riuscire a incidere sulle questioni dinostro specifico interesse. Dilaniata dalle divisioni dellevarie associazioni di categoria, accanite nella difesa deirispettivi interessi e incapaci di tessere tra di loro unostraccio di accordo da affidare ai negoziatori incaricatidi rappresentare il nostro Paese; con scarsa autoritàmorale per avere in passato beneficiato e fatto largospreco di contributi comunitari; arroccata in difesa delMcr per la produzione del quale succhiava sussidi annodopo anno. Venne sottovalutato il peso che la nazio-nale degli spiriti avrebbe avuto nel corso delle trattati-ve: ma questa è l’Europa e occorre prendere atto chele questioni del vino in futuro non verranno più discus-se soltanto dal nostro Paese, Francia e Spagna. L’Ita-lia perse malamente la partita ma il torneo europeodurerà ancora a lungo e per riprendere a competerebisogna rimediare ai molti errori commessi: rifare lasquadra da inviare a Bruxelles, precisare gli obiettivi,ridisegnare la strategia delle alleanze senza scordareche è la Francia la naturale alleata dell’Italia. L’avvio èda Voto 10 per l’avvenuta nomina dell’ex-ministro PaoloDe Castro alla presidenza della commissione agricoltu-ra del Parlamento europeo, ma è solo l’inizio.

� Angelo Gaja e Terenzio Medri

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A San Marinola Champions League

dei sommelier

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Wsa

Imigliori sommelier del Vecchio Continente si danno appuntamentonella più antica repubblica del mondo. Dopo il titolo assegnato nellapassata edizione a Londra, la prestigiosa competizione internaziona-

le giunge quest’anno a San Marino. Sarà una tre giorni entusiasmate quella che dal 13 al 15 novembrevedrà coinvolti i concorrenti più qualificati in una serie di dure prove perl’assegnazione del titolo di “Miglior Sommelier d’Europa”. Lo straordina-rio evento è stato organizzato dalla Worldwide sommelier association, dal-l’Associazione italiana sommeliers e dall’Associazione sommelier dellaRepubblica di San Marino con il patrocinio delle Segreterie di Stato di“Territorio, Ambiente e Agricoltura”, “Turismo” e “Istruzione e Cultura”,istituzioni corrispondenti ai nostri ministeri.Ai blocchi di partenza saranno presenti tutti i big del settore. Il nostroPaese sarà rappresentato da Luca Gardini. A lui è affidata la responsa-bilità di portare in alto i colori italiani e siamo certi che il giovane somme-lier romagnolo abbia tutte le carte in regola per giocarsi il gradino più altodel podio.Gli altri concorrenti che animeranno la competizione provengono daglialtri Stati membri della Wsa, ma ne vedremo anche di nuovi. Il campio-nato vuole essere infatti motivo di allargamento verso altre associazioniche al momento non fanno ancora ufficialmente parte della Worldwidesommelier association, ma che hanno già espresso l’intenzione di unirsie di promuovere corsi e attività all’interno dei propri confini. I candidatiprovengono da rigorose selezioni nazionali e per questo i contenuti tec-nici della competizione saranno elevatissimi.

di Emanuele Lavizzari

� Roger Viusa, campione europeoWsa nella precedente edizionedel concorso

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���Alla scoperta di San MarinoIl concorso sarà anche motivo per conoscereda vicino una nazione a tutti gli effetti stranie-ra, con il suo patrimonio storico, artistico, cul-turale e, dulcis in fundo, enogastronomico. L’in-dipendenza del Paese ha origini antichissime,tanto che San Marino è ritenuta la più anticarepubblica esistente. La tradizione fa risalire lasua fondazione al 3 settembre 301 dopo Cristo,quando il Santo che porta lo stesso nome, untagliapietre dalmata dell’isola di Arbe fuggitodalle persecuzioni contro i cristiani da parte del-l’imperatore romano Diocleziano, stabilì una pic-cola comunità sul Monte Titano, il più alto deisette colli su cui sorge la Repubblica. La proprie-taria dell’area, la benestante Donna Felicissimadi Rimini, donò il territorio del Monte Titano algruppo di cristiani, che lo chiamarono in memo-ria del fondatore “Terra di San Marino”. Il santoprima di morire avrebbe, secondo la leggenda,salutato i suoi seguaci nel modo seguente: «Relin-quo vos liberos ab utroque homine» («Vi lascio libe-ri dall’uno e dall’altro uomo»). Ovvero liberi dall’Im-peratore e dal Papa. Parole che sono il fondamen-to dell’indipendenza della Repubblica, come testi-moniato da un documento di un processo per lamancata riscossione dei tributi svoltosi nel 1296(circa mille anni dopo la morte del Santo) pressoil convento di Valle Sant’Anastasio: «Non paganoperché non hanno mai pagato. È stato il loro Santoa lasciarli liberi».

Enclave all’interno dei confini italiani, San Marino ha un’estensione ter-ritoriale di soli 61 km², popolati da poco più di 31 mila abitanti. A parti-re dal 2008 il centro storico della città di San Marino e il Monte Titanosono stati inseriti dall’Unesco fra i patrimoni dell’umanità. La motivazio-ne data dal comitato parla di «testimonianza della continuità di una repub-blica libera fin dal Medioevo».

Luca Gardini sarà il portabandiera della sommellerie italiana. Origi-nario di Ravenna, si è formato presso l’Istituto Tecnico Agrario LuigiPerdisia. È diventato sommelier professionista poco più che venten-ne dopo anni di gavetta tra hotel e ristoranti della Romagna.Tra le sue esperienze professionali non si può non ricordare quellacome chef sommelier presso l’Enoteca Pinchiorri, il famoso Tre Stel-le Michelin in pieno centro storico a Firenze. Attualmente ricopre lostesso ruolo al Cracco Peck di Milano.È difficile tenere il conto dei concorsi in cui si è imposto: Nebbiolo2003, titolo regionale e Master Sangiovese nello stesso anno, MigliorSommelier d’Italia 2004, Premio alla Carriera Ais 2005 e altri concor-si che non riportiamo per motivi di spazio!

L’ASSALTO ITALIANO AL TITOLO CONTINENTALE

� Luca Gardini

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��� La vite e il vinoLa prima documentazione storica che testimonia l’importanza della viterisale al XIII secolo. Più precisamente, in un contratto di vendita datato1253, si cita l’esistenza di vigne su terreni agricoli del Castello di Casole,venduti dal Conte Taddeo di Montefeltro al Sindaco Oddone Scarito.Successivamente, come risulta dagli statuti del 1352-53, le vigne vengo-no protette da specifici articoli che prevedono pene pecuniarie a chiun-

que le danneggi. Poi, negli statuti del 1600, siindicano i lavori da svolgersi nelle vigne e lepene per i rivenditori di vino “annacquato”.Il 1775 segna la costituzione del primo Cata-sto Rustico della Repubblica di San Marino,che testimonia un investimento viticolo di 600ettari. Diversi documenti del periodo attesta-no che i vitigni più comuni sono il Canino bian-co, il Biancale, il Trebbiano, il Moscatello bian-co e nero, l’Aleatico, l’Albana, il Sangiovese eche le viti vengono coltivate basse, “all’altez-za di due palmi da terra”, oppure “maritateagli aceri”. Nei vigneti sono sempre presentiulivi e piante da frutto. I vini ottenuti sin daquei tempi sono assai pregiati, come dimo-stra il commercio giunto fino alla città di Vene-zia.Sul finire del 1800 Borgo Maggiore diviene ilcentro commerciale della Repubblica di SanMarino e accentra a sé ogni produzione escambio di merci. Qui sono collocate fre-schissime cantine e grotte incuneate nelleprofondità dei monti, dove i vini sammari-nesi possono affinarsi.Si ritrovano, oltre al Sangiovese, vari vinibianchi di particolare pregio. Il famoso“Moscato sammarinese” si afferma in que-sto periodo, acquistando subito grande noto-rietà. I turisti che da Rimini salgono a SanMarino su carrozze e cavalli sostano lun-gamente alle “Grotte”, riposandosi e deli-ziandosi con il caratteristico prodotto loca-le che costituisce anche l’oggetto di gran-di affari nelle giornate di fiera e di merca-to. Significativi riconoscimenti vengonoconferiti negli anni 1878, 1889 e 1890,all’Exposition Universelle de Paris, in cuivengono premiati alcuni produttori sam-marinesi con medaglie d’argento e di bron-zo per campioni di vini bianchi e Sangio-vese.Nel 1974 si avvia la valorizzazione delpatrimonio vitivinicolo sammarinese. LoStato inizia un importante lavoro di sele-

zione clonale che porta al recupero del patrimonio autoctono per la suapropagazione nei nuovi vigneti. Di seguito i viticoltori, consapevoli dell’im-portanza di tale ricchezza, si alleano creando una nuova forma associa-tiva. Nasce così nel 1976 il Consorzio Vini Tipici. Le leggi e i decreti, suc-cessivi a questa data, fondano le basi per il riconoscimento ufficialedella viticoltura della Repubblica di San Marino.La Legge del 31 ottobre 1986 n. 127 sulla viticoltura e produzione di vininasce dopo 12 anni di ricerca e sperimentazione e può essere considera-ta lo strumento base per la valorizzazione delle produzioni vinicole sam-marinesi. Questa legge istituisce il Marchio di Identificazione di Origine

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per i vini ottenuti secondo le norme stabilite nei disciplinari di produzio-ne. Vengono inoltre previsti controlli che coprono l’intero ciclo di lavora-zione dei vini, partendo dal vigneto per giungere al prodotto finale. Le veri-fiche vengono effettuate da organi tecnici e operativi dello Stato a garan-zia delle produzioni e a tutela dei consumatori.L’istituzione del Catasto Vigneti, previsto dalla già citata “Legge generalesulla Viticoltura e produzione del vino” del 31/10/86 n. 127, rileva attual-mente la presenza di 574 vigneti per una superficie complessiva di circa200 ettari: il totale della produzione è costituito per il 65% da uve nere(principalmente Sangiovese), il 28% da uve bianche (principalmente Bian-cale) e il 7% da uve Moscato.La maggior parte di questi terreni, compresi nei territori dei Castelli diSerravalle, Domagnano e Faetano, sono situati sul versante orientale delMonte Titano, lungo superfici che degradano verso l’Adriatico a una distan-za media di quindici chilometri dal mare e a un’altitudine compresa tra i100 e i 400 metri. I vitigni ammessi alla coltivazione nel territorio sam-marinese sono Biancale, Moscato, Ribolla, Canino, Cargarello e Sangio-vese. Vi è stata anche l’introduzione sperimentale di Chardonnay, Pinotbianco e nero, Pignoletto, Sauvignon, Vermentino, Ancelotta, Syrah eCabernet Sauvignon.Il Consorzio Vini Tipici vanta attualmente oltre trecento soci, in grado diconferire annualmente 14.000 quintali di uve, mentre la produzione tota-le è stimata in circa 20.000 quintali. Oltre ai vini a Identificazione d’Ori-gine, si producono anche ottimi vini da tavola, vini frizzanti e spumanti.Tutti prodotti che vengono commercializzati principalmente sul territo-rio sammarinese e italiano ma anche in Paesi come Germania, Svizzera,Belgio, Giappone, Usa e Brasile.I viticoltori sammarinesi, seppur eterogenei, condividono una matricecomune: la tradizione secolare, la tenacia e la passione che dedicanoalla coltivazione della vite. Un rapporto sentimentale ampiamente corri-sposto da nobili vini che, grazie a un’ottima qualità, sono capaci di accom-pagnare ed esaltare ogni tipo di cucina.

VENERDÌ 13 NOVEMBREArrivo dei membri WSA, candidati e ospitiPrevisto transfer con bus navetta da Aeroporto e stazio-ne ferroviaria di RiminiSistemazione in HotelOre 17.30 Saluto di benvenuto delle autorità di San Mari-no presso un castello o un palazzo storico (con l’esibizio-ne degli sbandieratori di San Marino) Ore 19.30 Cena di benvenuto presso Ristorante La Frat-ta.

SABATO 14 NOVEMBREOre 9.30 Percorso storico per San MarinoOre 10.00 Prove di Semifinale Miglior Sommelier d’Euro-pa 2009 (per gli addetti ai lavori)Ore 11.30 degustazione di un grande vino storico di SanMarino (Moscato Spumante a Identificazione d’Origine)Ore 13.00 Pranzo nei ristoranti di San MarinoOre 17.00 Convegno “Consorzio Vini: 30 Anni di Viticoltu-ra a San Marino”, i vini di San Marino nel panorama eno-logico internazionale con interventi di autorità, giornali-sti, esperti del settore (moderatore Franco Maria Ricci)Presentazione del concorso fotografico/artistico e pre-sentazione bottiglia inedita con l’etichetta vincitore delconcorsoOre 19.00 Visita alla mostra

Ore 20.00 Buffet prodotti tipici (serata con cabaret emusica)

DOMENICA 15 NOVEMBREMattinata libera (percorso enogastronomico) Ore 13.00 Pranzo nei ristoranti di San MarinoOre 15.00 Palazzo dei Congressi: proclamazione dei trefinalisti Ore 15.30 Prove pubbliche: Finale Miglior Sommelierd’Europa Wsa 2009Ore 20.30 Cena di Gala, proclamazione del vincitore econsegna dei premi

LUNEDÌ 16 NOVEMBREPartenza per le rispettive sediTransfer con bus navetta per aeroporto e stazione ferro-viaria di Rimini

Per informazioni e prenotazioni, segreteria organizzativa:Vip Incentive House Tel. (+378) 0549.906353 – Fax (+378) 0549.875280 [email protected]

IL PROGRAMMA

� Il Castello di San Marino

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uando nell’aprile dell’anno scorso il gruppo didegustatori ufficiali dell’Ais Lombardia andòalla scoperta dei vini meno noti della regione,scelse San Colombano al Lambro come prima

tappa per capire come mai quello che il giornalista Gian-ni Brera aveva battezzato “el vin de Milan”, è invece unillustre sconosciuto anche nel capoluogo lombardo. Loè, aveva spiegato il direttore del Consorzio di tutela,Marco Tonni, perché la zona di produzione è troppo pic-cola e le risorse per farla conoscere troppo scarse: civorrebbe, aveva sostenuto, un’azienda di adeguatedimensioni che ne promuovesse la conoscenza con l’im-patto di una produzione di qualità quantitativamentesignificativa.Proprio quest’anno un’azienda con queste caratteristi-che è entrata in scena. Ce la farà? Si chiama Poderi diSan Pietro, ma non è nata adesso. Creata nel 1998, lasua crescita ha subito una brusca interruzione un paiod’anni fa: coinvolta nei guai giudiziari del proprieta-rio, finito in tribunale per un complicato dissesto, èstata posta in vendita per sanare i debiti provocati dalcrac. L’anno scorso perciò nessuno avrebbe scommes-so un centesimo sul suo futuro, anche perché la socie-tà Neuroni Agrari, che aveva vinto l’asta giudiziaria,risultava di proprietà di due personaggi, Modesto Volpee Giuseppe Apicella Guerra, del tutto estranei al mondodel vino: un imprenditore industriale e un ex-dirigen-te bancario ch’era facile presumere fossero scesi incampo spinti soltanto da motivazioni speculative.

Le cose infatti stavano proprio così, e c’è voluto unmiracolo per cambiarle. Il miracolo è avvenuto per-ché i due nuovi proprietari si sono accorti della fortu-na che avevano avuto acquisendo un’azienda dalle stra-ordinarie potenzialità e si sono resi conto che quel colpodi fortuna era stato raddoppiato da un vincolo impo-sto dal tribunale, quello di non licenziare almeno perun anno neanche uno dei dipendenti, una ventina.Quella che sembrava una condizione capestro nonaveva soltanto facilitato il loro successo nella gara all’in-canto inducendo molti potenziali acquirenti a diser-tarla, ma aveva consegnato nelle loro mani un patri-monio umano e professionale di inestimabile valore. “Nei lunghi mesi della vicenda giudiziaria e dell’ammi-nistrazione controllata è stata proprio quella squadradi dipendenti a mantenere integro il valore dell’azien-da”, raccontano Volpe e Apicella: “hanno continuatotutti a lavorare anche quando sono rimasti senza retri-buzione per un anno: per aiutare quelli tra loro mag-giormente in difficoltà hanno perfino organizzato dellecollette. A questo punto noi due soci ci siamo guar-dati in faccia e ci siamo detti: no, non possiamo tra-dire le speranze di chi ha dato una simile prova di gene-rosità e di passione. E ci siamo impegnati a gestire iPoderi di San Pietro mettendo in campo tutte le nostrecapacità, per farne un’azienda pilota, un centro di pro-mozione del territorio”. La loro prima mossa, dotare la cantina di un enologodi grande prestigio, l’avevano progettata come opera-

di Cesare Pillon

LA STORIA TRAVAGLIATA MA A LIETO FINE DI UNA CANTINA

DI SAN COLOMBANO AL LAMBRO, DOVE SI PRODUCE QUELLO

CHE IL GIORNALISTA BRERA AVEVA SOPRANNOMINATO IL VINO DI MILANO

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zione d’immagine. Temevano di dover vincere chissàquali resistenze, erano preparati anche a ricevere unrifiuto: non si aspettavano che un personaggio famo-so e ricercato come Donato Lanati si entusiasmasseinvece scoprendo che quella sconosciuta azienda delmicrocosmo di San Colombano al Lambro disponessedi una delle cantine tecnologicamente più attrezzated’Italia per produrre qualità, ma soprattutto possedes-se 75 ettari di terreno, di cui 66 vitati, nelle miglioriposizioni, che le permettono di produrre 500 mila bot-tiglie all’anno, e di alto profilo. “Quel che mi ha colpi-to di più, infatti”, racconta Lanati, “è la potenzialità diquesta microzona. Non esagero: è uno dei territori piùvocati alla vitivinicoltura che io abbia conosciuto. E ame la collina di San Colombano ricorda Pantelleria: èun’isola verde di vigneti e di boschi nel mare giallo dellapianura cerealicola”. Secondo i geologi quella collina è stata creata da unmovimento tellurico che l’ha fatta emergere dal marein epoca preistorica. Forse durante il Miocene, forsein un’era successiva, come fanno pensare conchigliee coralli ritrovati nel territorio e conservati nel localeMuseo paleontologico e archeologico Virginio Caccia.“Qualunque fosse l’epoca”, dice il direttore tecnico del-l’azienda, Danilo Gilberti, “l’origine di suolo e sotto-suolo è stata sicuramente questa. Lo testimoniano lequattro fontane che sgorgano nel comune: una è sul-furea, l’altra salso-bromo-jodica, sono quattro acquetermali diverse, ma tutte di origine marina”.

Insieme al clima, sono quel suolo e quel sottosuoloparticolarissimi a determinare la vocazione enoica

dei 12 chilometri quadrati del rilievo collinare. Laleggenda vuole che a insegnare come si coltiva

la vite alle popolazioni stanziate tra il Po e ilLambro sia stato San Colombano, il mona-

co irlandese che all’inizio del VII secoloevangelizzò il territorio che da lui ha poipreso il nome. Ma parecchi reperti con-servati nel Museo Virginio Caccia, anfo-re vinarie e attrezzi di cantina d’epo-ca romana, dimostrano invece che lavite veniva coltivata già molto tempoprima, per trarne vino, sui colli bani-ni (si chiama banino tutto ciò che siriferisce a San Colombano, abitanti

compresi).In ognuno dei 28 vigneti dei Poderi di

San Pietro vengono coltivati i vitigni piùadatti per quel determinato terreno e per

il suo microclima. In qualche località hannotrovato il loro ambiente ideale le varietà pre-

scritte per la Doc San Colombano, e cioè Bar-bera, Croatina e Uva rara, in altre maturano meglio

le uve nere internazionali, il Cabernet sauvignon, ilMerlot, il Pinot Nero. Ma quali sono i vitigni tradizio-nali e quali gli innovativi? Non è detto che la rispostagiusta sia quella dettata dal disciplinare della Doc. ”Lotestimonia uno dei nostri vigneti di più vecchio impian-to”, spiega il direttore Gilberti: “Che è di Malbec, nondi Barbera. Fino ai primi anni Cinquanta i vigneti diSan Colombano si estendevano su mille ettari, men-tre oggi arrivano sì e no a 300. Ad abbandonare allo-ra l’agricoltura per andare a lavorare a Milano furonoi giovani, ed è comprensibile che gli anziani rimastisulla terra abbiano preferito coltivare le viti più pro-duttive, che sembravano garantire un maggior reddi-to, scartando quelle più nobili, che rendevano meno.Come il Malbec”.Sono i vigneti, comunque, e non i vitigni, a dare il nomeai vini dell’azienda. Delle tre versioni del San Colom-bano rosso a Doc, quella frizzante si chiama Balestraperché le uve che gli danno vita provengono da quel-la località, e per lo stesso motivo il vino fermo si chia-ma Collada e la Riserva prende nome dal Monasterodi Valbissera. Il rosso più ambizioso della casa è peròil Trianon, un taglio bordolese maturato in barrique(60% Cabernet Sauvignon, 40% Merlot) commercializ-zato come Collina del Milanese Igt (Indicazione geogra-fica tipica). È proprio il Trianon, per ora, a dare le mag-giori soddisfazioni: il primo aprile scorso il millesimo2003 ha ottenuto la menzione d’onore al Concorso eno-logico internazionale che precede il Vinitaly. “Ed è unvino che non abbiamo fatto noi: ce lo siamo trovatoin cantina”, commentano soddisfatti Volpe e Apicella.“Il che significa che disponiamo di una materia primad’altissimo livello”.L’azienda non produce San Colombano bianco a Docperché il disciplinare impone di utilizzare il 10% diPinot nero che va vinificato in assenza delle bucce, maper quanta cura si ponga in questa operazione è sem-

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pre necessario procedere poi alla decolorazione. Rientrano perciò nell’IgtCollina del Milanese sia il bianco frizzante Serafina che il fermo Morosae il passito Solarò. Solo quest’ultimo è ricavato esclusivamente da uveautoctone (con prevalenza di una varietà locale, la Verdea): negli altri duela presenza dominante è di Chardonnay. E a base di Chardonnay (85%)con un po’ di Trebbiano è anche il Brut metodo Martinotti Ca’ della Signo-ra che completa la gamma. La completa solo attualmente, però, giacché Lanati sta per ampliarlapreparando nuovi prodotti. E le novità che ha in serbo per il prossimofuturo sono sorprendenti: sta mettendo a punto due ambiziosi spuman-ti metodo classico. Uno è rosato e scaturisce dalle uve meno prevedibi-li, quelle di nebbiolo. La prima cuvée sperimentale manifesta già ades-so, con i suoi intensi sentori di ribes, una personalità fuori del comu-ne, che il prolungato soggiorno in bottiglia renderà ancora più affasci-nante. San Colombano al Lambro dista da Milano una quarantina di chilome-tri, ma la visita della cantina dei Poderi di San Pietro giustifica il viaggio.Tutta in acciaio inox, è un autentico gioiello di razionalità ed efficienza,articolata con decine di fermentini a temperatura controllata e vasche distoccaggio saturate con azoto, in modo da vinificare separatamenteogni varietà d’uva d’ogni parcella, e poi di conservarne il vino proteg-gendolo dall’ossidazione prima di affinarlo in una monumentale barri-cheria termocondizionata dal pavimento al soffitto. Ma la tecnologia nonfa battere il cuore agli appassionati del vino. Volpe e Apicella, che lo sannobenissimo, fanno appello perciò a tutt’altri stimoli per portare la gente inazienda. La loro invenzione più brillante è il Mercato in Cantina: ogni primadomenica del mese mettono gratuitamente a disposizione dei produt-tori di eccellenze alimentari del territorio alcune bancarelle, nel cortilequando fa bello o in uno spazioso salone quando piove. I visitatori, chegiungono numerosi da Milano, hanno così la possibilità di acquistarelatte crudo, yogurt, formaggio grana e raspadura, salumi, pane, pizza,focaccia, frutta e verdura. E naturalmente vino. Ma non solo dei Poderidi San Pietro: anche di tutte le altre aziende di San Colombano cheaderiscono all’iniziativa. “Lo dicono tutti che bisogna fare sistema”, iro-

Di origine longobarda, fu distrutto e riedificato daFederico Barbarossa e in seguito ampliato dai Visconti.I possedimenti e il castello furono donati dal monarcaal conte Ludovico Belgioioso; rimasero proprietà dellacasata, con alterne vicende, sino alla prima metà delXX secolo. L'antico borgo agricolo di San Colombanosorse ai piedi dell'omonimo sistema collinare che sieleva inaspettato tra la pianura lodigiana e la bassapavese a testimonianza del ritirarsi del mare dalla pia-nura padana e oggi ricco di dolci e suggetivi vigneti. Il piccolo borgo si dispone intorno al Castello cheprese il nome dall'ipotetico soggiorno del monacoirlandese che nel 595 fondò il monastero di Bobbio eche secondo la tradizione insegnò agli abitanti lacoltivazione della vite. Della fortificazione si hannonotizie fin dall'età longobarda; alle dipendenze dellaSignoria Milanese, nel 1164 fu distrutta e in seguitoriedificata da Federico Barbarossa. Nel 1396 il castellofu assegnato da Gian Galeazzo Visconti alla Certosadi Pavia che lo tenne fino alla sua soppressione nel1782. La fortificazione diventò in seguito dimora deiBarbiano Belgioioso che compirono diversi interventi direstauro. Il castello fu poi acquistato dalla parrocchiae molte delle sue parti furono demolite.

IL CASTELLO

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nizzano Volpe e Apicella. “Noi proviamo a farlo sul serio”.Li ispira soprattutto la vendemmia, che quest’anno segnerà una svolta:sarà una vendemmia solare. Merito dei pannelli fotovoltaici che installauna delle aziende di Volpe, la V.T. Energy, con cui sono stati ricoperti itetti della cantina. “Producono energia sufficiente per far funzionare tuttigli impianti durante la spremitura delle uve e la fermentazione dei mosti”,spiegano i due proprietari. “Da quest’anno, insomma, il sole che ha fattomaturare le uve fornirà anche la corrente elettrica necessaria per vinifi-carle. I nostri saranno davvero i vini del sole”. Per sottolineare questo evento Volpe e Apicella metteranno in azione tuttele strutture di cui dispongono, a cominciare dal loro Château, il Trianon,un hotel di charme a tre stelle ricavato da una villa d’inizio 900 sullasommità della collina: 10 camere arredate con gusto, dotate d’ognicomfort. Non sarà difficile coinvolgere gli ospiti nel clima della vendem-mia: l’albergo è immerso nei vigneti. E proprio nei vigneti del Trianon i due intraprendenti soci hanno decisodi realizzare, a fine settembre, un’altra loro idea: la Vendemmia degliAmici. È un’iniziativa piuttosto singolare: i vendemmiatori non vengonopagati ma pagano una quota d’iscrizione. Come mai? “È semplice”,spiegano Volpe e Apicella: “la raccolta dell’uva, con grigliata tra i filari erelax ai bordi della piscina dell’hotel Trianon o nel Country Club La Palaz-zina, è soltanto il primo passo di un percorso che i partecipanti farannocon noi. L’uva che raccoglieremo insieme verrà infatti vinificata a partee ognuno riceverà periodicamente via e-mail la “curva di crescita” delvino, elaborata da Lanati, potrà andare a degustarlo durante l’affinamen-to e sarà invitato ad assistere all’imbottigliamento. Infine, a maggio o giu-gno del 2010, potrà partecipare al primo assaggio del “Vino degli amici”,di cui si porterà a casa 12 bottiglie. È un prodotto esclusivo, non in com-mercio, con un’etichetta firmata da tutti coloro che hanno vissuto que-sta esperienza”. Bizzarro? Può darsi, ma il bizzarro è di casa, in territorio banino. Nel1992, quando fu creata la provincia di Lodi, gli abitanti di San Colomba-no decisero, con un referendum, di continuare a far parte della provin-cia di Milano. Anche se il loro territorio è in provincia di Lodi, confina conquella di Pavia, e dalla provincia di Milano è lontano 22 chilometri.

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Si è ripetuto a Lindau, sulla costa tedesca del lago di Costanza, unrito immutato da cinquantanove anni: il Lindau Meeting of NobelLaureates. La famiglia Bernadotte (rappresentata dal padre Lennart,

uno dei pionieri della moderna ecologia, e da due anni dalla figlia, la gio-vane contessa Bettina) ha convocato ventiquattro premi Nobel e oltreseicento giovani ricercatori provenienti da sessantasette Paesi del mondoper favorire la conoscenza e il dialogo tra generazioni sui problemi chia-ve del pianeta e sulle soluzioni da adottare. Tra i grandi temi affrontati sul palco della Hinselhalle è particolarmenteinteressante estrapolare e sintetizzare uno dei filoni di stringente attua-lità, confermato dalla conferenza a Ginevra dell’Organizzazione meteoro-logica mondiale e dall’allarme lanciato a settembre ai leader mondialidal Segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon («Agite prima che sia trop-po tardi, firmate l’accordo alla prossima conferenza di Copenhagen»):l’emergenza surriscaldamento, che è stata al centro degli interventi e dellepreoccupazioni di alcuni dei grandi scienziati approdati a Lindau comePeter Agre, Paul J. Crutzen, Sherwood Rowland e Mario J. Molina. Un dato su tutti: negli ultimi cinquant’anni gli eventi disastrosi (alluvio-ni, inondazioni, uragani) si sono moltiplicati per dieci. Di questi sconvol-gimenti si sono accorte anche le grandi compagnie di assicurazione: “LaTerra ha la febbre. E le conseguenze possono essere sconvolgenti, comedimostrano le ultime calamità naturali che hanno trasformato il 2008 inuno degli anni più funesti mai registrati”. Sta scritto così nell’ultimorapporto reso pubblico dal gruppo tedesco Munich Re, un colosso mon-diale del ramo assicurativo, sui costi dei disastri naturali nel mondo.Tra gli incendi che devastano in continuazione la California e il ciclonetropicale Nargis che si è abbattuto in Birmania, tra il terremoto in Cinae gli uragani ad Haiti o le colate di fango che hanno sepolto la città diTaoshi nel nord della Cina, sono morte nell’ultimo anno oltre 220 milapersone, mentre i danni sono saliti al livello record di circa 200 miliardidi dollari. E poi ci sono fenomeni drammatici e duraturi: la concentrazione atmo-sferica del più importante dei gas serra (la CO2) è aumentata del 30 percento negli ultimi centocinquanta anni e ha toccato un valore mai raggiun-to negli ultimi 700 mila anni di storia del pianeta; l’agonia di molti degliottocento ghiacciai alpini (per citare un esempio: il ghiacciaio dei Forni,del gruppo Ortles-Cevedale tra Lombardia e Trentino, il più grande delleAlpi italiane, è arretrato di 2,6 chilometri dal 1864 a oggi, con un regres-so medio annuale di 18 metri) e l’incremento delle aree desertificate in Italiameridionale e in Spagna. Mentre i cambiamenti climatici potrebbero farspostare le zone vinicole sempre più a nord. Uno di questi casi emblema-

IL VINO CAMPANELLO

D’ALLARME DEI

CAMBIAMENTI CLIMATICI.L’INCREMENTO

GRADUALE DELLA

TEMPERATURA

INFLUENZERÀ LA

GEOGRAFIA DEL

SETTORE VINICOLO NEL

CENTRO-SUD

DELL’EUROPA,ALTERANDO LE

CONDIZIONI DI CRESCITA

DELLA VITE E DI

MATURAZIONE DELL’UVA

AL PUNTO DA

RICHIEDERE

CAMBIAMENTI

STRUTTURALI DELLE

PRODUZIONI

di Salvatore Giannella

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tici è la Champagne che forse in futuro troveremo in Oltremanica, in ungiorno non lontano perché da tempo è arrivato il primo vino di ispirazio-ne e tradizione champenoise “Made in England” a opera di due coniugiamericani trapiantati nel West Sussex, a sud di Londra, che, dopo averpiantato Pinot Noir, Meunier e Chardonnay in circa 14 ettari, hanno vistovenire alla luce il primo vino spumante prodotto con il metodo classico.Sono tutti segni del cambiamento del clima, segni avvertibili anche nelleregioni della nostra penisola: da vari decenni le temperature medie annua-li in Lombardia, per esempio, tendono ad aumentare a un ritmo di cresci-ta doppia rispetto a quello medio del pianeta Terra: circa 1,5 – 2 gradi cen-tigradi negli ultimi 150-200 anni. Le segnalazioni degli assicuratori si som-mano a quelle degli scienziati, che stanno vedendo concretizzarsi moltedelle previsioni avanzate già vent’anni fa: era il 23 giugno 1988 quando,davanti ai senatori americani, lo scienziato della Nasa James Hansendenunciava l’effetto serra parlando per la prima volta di una minacciareale per il pianeta.Oggi la comunità scientifica è sostanzialmente unanime nella valutazio-ne dell’origine e della gravità dell’effetto serra (a Lindau s’è sentita lasola voce scettica del danese Bjorn Lomborg, che ritiene il surriscalda-mento grave ma non la priorità del pianeta: “Nella mia classifica metto alprimo posto la prevenzione dell’Aids, poi la lotta alla malnutrizione e allamalaria”). I cambiamenti climatici sono reali, provati, sono già in atto eper giunta in fase di accelerazione. Risultano generati in modo preponde-rante dalle emissioni di gas serra prodotte dal consumo di combustibilifossili, e le previsioni sui possibili effetti a breve appaiono decisamentepreoccupanti. Eppure l’allarme non viene ancora percepito da larghi stra-ti della popolazione. La spiegazione? È semplice: le “prove” sono spesso lontane dai nostri occhi. Un esempio,per capirsi: ha impressionato, ma solo pochi e per poco, l’appello lancia-to da Anote Tong, presidente di Kiribati, una nazione-isola di 105.400 abi-tanti costituita da 33 atolli nel Pacifico, a est dell’Australia, che sta scom-parendo a causa dell’innalzamento dell’oceano. Non va meglio in paradi-si tropicali come le Maldive e le Seychelles, mentre a Tuvalu (sempre nelPacifico) si coltivano patate nelle tinozze perché lo scarso suolo ora dispo-nibile è diventato troppo salmastro.

L’accesso al porto di Lindau, sullariva tedesca del lago di Costanza,e il leone simbolo della Baviera.Città teutonica dal fascinomediterraneo, Lindau ha 24 milaabitanti ed è una tra le piùapprezzate mete turistiche dellaGermania. Nella centraleInselhalle si riuniscono ogni anno ivincitori del premio Nobel. Nellametà del XIX secolo, alti funzionarie membri della famiglia realebavarese fecero costruire le loroeleganti ville sulle sponde del lagonel quartiere di Bad Schachen.Alcune di queste ville sono statetrasformate in alberghi a 5 stelle(ma anche quelli non di lusso,come l’hotel-ristoranteSchachener Hof di Thomas eBrigitte Kraus, si distinguono perun’ospitalità eccelsa in una calda

cornice familiare). Nella villaneoclassica Lindenhof si trova ilFriedenmuseum (Museo dellapace) aperto dal 1980: vuoledocumentare attraverso una

raccolta di lettere, materialefotografico e carteggi, come siadifficile da parte dell’uomotrovare soluzioni pacifiche aiconflitti.

Il porto di Lindau

� Mario J. Molina, 66 anni, premioNobel per la chimica nel 1995,insieme alla moglie Guadalupe ea Salvatore Giannella. Insegnaall’Università della California eanche nella natìa Città delMessico dove ha creato un cen-tro studi su energie e ambiente.

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Le immagini da satellite che documentano lo scioglimento delle calottepolari e le altre grandi sciagure naturali hanno finito per radicare inOccidente la convinzione che il problema dei cambiamenti climatici nonci riguarderà direttamente, che le nostre vite continueranno come prima,che un po’ di tecnologie amiche saranno sufficienti per contrastare glieffetti dei mutamenti. È sicuramente una grave sottovalutazione e se neha conferma anche in un volume fresco di stampa, Progetto Kyoto Lombardia(edito dalla Fondazione Lombardia per l’Ambiente con la RegioneLombardia). I risultati di anni di ricerche di autorevoli scienziati comeGiulio De Leo, Stefano Caserini, Maurizio Maugeri, Gunther Seufert, MarzioGaleotti hanno mostrato i possibili impatti su questo territorio chiavedell’Italia: qui sono destinati ad aumentare la frequenza dei fenomeni estre-mi collegati a temperatura e a piogge, le emergenze sanitarie (soprattut-to nella fascia più anziana della popolazione) per le ondate di calore, idanni all’agricoltura dovuti alla siccità, il rischio di frane e alluvioni cau-sate da precipitazioni più violente. Qui (ma il discorso vale ovviamenteanche per le altre regioni delle nostre Alpi) potrebbero verificarsi cam-biamenti traumatici nel turismo alpino dovuti alla progressiva diminuzio-ne delle precipitazioni nevose. E l’allarme vale anche per l’Italia meridio-nale: in generale, secondo quello che indicano i modelli dei ricercatori,molte terre del Sud Italia e del Mediterraneo meridionale potrebbero esse-re a rischio di forte inaridimento, se non di desertificazione nei tempi piùlunghi. Insomma, sono prevedibili impatti che saranno tanto più severiquanto meno efficaci si dimostreranno gli interventi mitigatori. Agire, nonrinviare più decisioni che sono inevitabili. Anche su questo la comunitàscientifica non mostra dubbi. Gli scienziati dell’Ipcc (il Comitato intergo-vernativo sul cambiamento del clima, istituito dall’Onu, 2.500 esperti, vin-citori a pari merito del Nobel per la Pace nel 2007 con Al Gore, passato daex vicepresidente degli Stati Uniti a “coscienza pubblica”) hanno elabo-rato documenti molto forti come il Rapporto Bangkok: “I drastici, neces-sari tagli alle emissioni di gas sono economicamente e tecnicamente fat-tibili. Tagliare le emissioni significa diminuire il consumo dei combusti-bili fossili (carbone, petrolio, metano), aumentare l’efficienza e il rispar-mio energetico e aumentare il ricorso alle energie rinnovabili”. L’obiettivodichiarato di questo nuovo corso basato su uno sviluppo sostenibile è, perl’Europa, in una formula matematica facile da ricordare: 20-20-20 entroil 2020. Vuol dire, in sostanza: produrre e consumare energia con il 20per cento di efficienza energetica in più; far dipendere il fabbisognoenergetico per almeno il 20 per cento da fonti rinnovabili (sole, vento, geo-termico, biomasse, mini-idroelettrico); ridurre, infine, di un ulteriore 20per cento le emissioni di gas serra. Siamo partiti da una cifra riguardante il portafoglio e torniamo ancora apuntare su questo decisivo argomento. “I Paesi ricchi del mondo devonoinvestire al più presto almeno 500 miliardi di dollari all’anno per mitiga-re i cambiamenti climatici. Devono avere il coraggio di un nuovo PianoMarshall per aiutare, e non solo a parole, i Paesi in via di sviluppo e affron-tare le sfide del riscaldamento globale senza rinunciare alla crescita eco-nomica e salvare così il pianeta come nel Dopoguerra fecero gli Stati Unitiper ricostruire l’Europa”. È quanto si legge in un documento delle NazioniUnite fresco di stampa, Rapporto sulla situazione economica e sociale nelmondo. Promuovere lo sviluppo, Proteggere il pianeta. Le tecnologie checonsentirebbero ai Paesi poveri di intraprendere la strada dello svilupposostenibile già esistono (edifici a basso consumo energetico, nuovi ceppidi piante resistenti alla siccità, nuove energie), il loro costo è ancora altoe una tale trasformazione richiederebbe “un livello di assistenza e soli-darietà internazionale raramente raggiunto al di fuori dei periodi diguerra”. Secondo il rapporto dell’Onu, per orientare le spese di investi-mento verso la realizzazione di una crescita più pulita, un sostegno inter-nazionale massiccio dovrà manifestarsi sotto forma di un programma diinvestimento mondiale. Tra i meccanismi ipotizzati per favorire tali inve-stimenti, il rapporto parla ad esempio di un Fondo globale per l’energia

� Mario J. Molina durante il suointervento a Lindau. Nel 1995Molina vinse il premio Nobel perla Chimica, insieme a F.Sherwood Rowland e a Paul J.Crutzen. Motivazione: "Per il lorolavoro in chimica atmosferica, ein particolare sulla formazione esulla decomposizione dell’o-zono".

� La contessa Bettina Bernadotte,35 anni, presidente del Councilfor the Lindau Nobel LaureateMeetings. Imprenditrice turistica,amministra l’isola di Mainau,incastonata nel lago di Costanzae conosciuta come “l’isola deifiori”: uno scrigno di colori e diprofumi creato dai suoi genitori,Lennart e Sonja. Conosce, e neha fatto un modello di vita, RitaLevi Montalcini.

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pulita, elemento fondamentale di una crescita sostenibile. “Il dato centra-le del rapporto è questo: l’uno per cento del Prodotto interno lordo (Pil)mondiale, circa 500 miliardi di dollari all’anno, pari al sostegno interna-zionale necessario ai Paesi in via di sviluppo” per affrontare la sfida delclima e dello sviluppo, è la tesi di Richard Kozul-Wright, tra gli autori dellostudio. È necessario un nuovo corso, globale e verde. Il rapporto ricordache i Paesi ricchi hanno contribuito per circa tre quarti all’aumento delleemissioni di CO2 nocive, mentre si prevede che saranno i Paesi più pove-ri a subirne il maggiore impatto. Il presidente degli Stati Uniti Barak Obamaproprio sui temi delle energie e delle politiche ambientali punta per unNew Deal americano. L’Unione europea ha invece accettato, nel dicembrescorso, solo un accordo-compromesso che è ben lontano dall’essere unesempio per il mondo (“L’obiettivo del 20 per cento suona bene a parolema è vuoto nei fatti, perché ai Paesi europei è consentito comprare ‘cre-diti’, il che significa che le emissioni europee saranno ridotte del solo 4-5per cento tra oggi e il 2020”, è l’opinione di Mariagrazia Midulla, respon-sabile del Programma Clima del Wwf). E l’Italia, che si era impegnata aridurre del 6 per cento le emissioni nell’atmosfera, in realtà le ha aumen-tate di oltre il 12 per cento rispetto al 2000. E allora? Antonio BallarinDenti, docente di fisica ambientale all’Università Cattolica di Brescia ecoordinatore della fondazione Lombardia per l’Ambiente parla chiaro:“In un brillante fondo l’Economist ricorda che quando una famiglia acqui-sta la casa in cui va ad abitare, valuta certamente come molto remota lapossibilità che un incendio la distrugga (e le statistiche le danno ragione).Ciò nonostante, se previdente, preferisce attivare una bella polizza assi-curativa, privandosi di una quota di reddito, per proteggersi da un rischiopotenziale che potrebbe altrimenti produrre dei costi insostenibili. Cosìdovrebbero fare i governi: investire cioè una parte del loro Pil (magari attra-verso una tassa sul carbonio dei combustibili fossili) per mettersi alriparo di una evenienza (un cambiamento climatico irreversibile) che,quand’anche fosse poco probabile, una volta verificatosi, produrrebbedanni catastrofici e situazioni sociali drammatiche. Ma se poi, ritenendopoco probabili questi eventi, non vogliamo neanche farci un’assicurazio-ne, allora siamo non solo malaccorti ma anche irresponsabili”. E se poi inEuropa o in Italia dovesse mancare la volontà politica di questo NuovoCorso, sappiamo che quella della politica è un’energia rinnovabile.Il vino è stato definito “il canarino nella miniera di carbone dei cambia-menti climatici” (Los Angeles Times). Anche piccole variazioni climatichehanno influenza diretta sulla produzione del vino, in particolare dei gran-di vini di alta qualità che sono i più sensibili, come indica lo scenario dise-gnato da Giulio De Leo, professore ordinario di Ecologia presso il dipar-

� Martin Chalfie, 61 anni, docente di scienze bio-logiche alla Columbia University (Nobel nel 2008 perla scoperta della Green Fluorescent Protein, usatacome marcatore in medicina) discute insieme a gio-vani ricercatori arrivati a Lindau dall’India.

� Il professor Wolfgang Schürer, 62anni, economista, “motore” oper-ativo della Fondazione che orga-nizza ogni anno i meeting con ipremi Nobel e i giovani ricerca-tori. Tra i suoi idoli, l’italianoAurelio Peccei.

� Salvatore Giannella davanti allegigantografie dei Nobel parteci-panti al 59° Meeting di Lindau.

� La contessa Bettina Bernadotte con José ManuelBarroso, presidente della Commissione europea,accolto nel comitato d’onore del consiglio d’amminis-trazione della Fondazione.

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timento di Scienze ambientali dell’Università di Parma, respon-sabile di una delle linee di ricerca del “Progetto KyotoLombardia” sfociate in un dettagliato volume fresco di stam-pa, curato dalla Fondazione Lombardia per l’Ambiente con laRegione Lombardia. Al di là degli impatti in agricoltura generati da fenomeni cli-matici estremi come le onde di calore, le alluvioni e il perdu-rare di periodi di siccità, un incremento anche lento e gradua-le della temperatura influenzerà la geografia del settore vini-colo nel centro-sud dell’Europa, alterando le condizioni di cre-scita della vite e di maturazione dell’uva al punto da richiede-re cambiamenti strutturali delle produzioni. La temperaturamedia, nelle zone di produzione del vino di alta qualità, èaumentata di circa 1,26 gradi nel periodo 1950-1999. Per oranon ci sono impatti che possono essere considerati negativi,anzi l’aumento di temperatura apre nuovi scenari nell’orizzon-te dei vini, con la possibilità di realizzare nuove coltivazionianche nel Sud dell’Inghilterra. Nel Nord della Francia l’aumento della temperatura ha causa-to un graduale ma costante anticipo della vendemmia: senegli anni Settanta cadeva entro la prima metà di ottobre, nel2007 è cominciata addirittura il 24 di agosto, un record per tuttoil Nord-Est francese. In tutta la Francia i viticoltori stanno abban-

donando la pratica di addizionare zuccheri al mosto per renderlo più alco-lico e aumentarne i profumi; ormai, infatti, l’aumento delle temperatureestive fa tutto il lavoro per loro, rendendo addirittura, in alcuni casi, ilvino troppo alcolico, tanto da costringere alcuni viticoltori ad aggiungerecomposti acidi.Queste e altre prospettive, se pur di medio periodo, possono essere pre-occupanti per un settore che in Lombardia nel 2004 poteva contare su 15mila addetti a fronte di una produzione annuale complessiva di oltre 75milioni di bottiglie Doc, per un fatturato di 700 milioni di euro. Dall’Oltrepòalla Franciacorta, dalla zona del Garda alle coltivazioni di San Colombano,passando per i vigneti del Mantovano, la vendemmia del 2007 in Lombardiaè cominciata in anticipo, rispetto alla norma, di una ventina e più di gior-ni.Secondo una ricerca condotta nel Trevigiano (Tomasi et al., 2007, Centrodi ricerca per la viticoltura), un’eccessiva esposizione dei grappoli a tem-perature troppo elevate causa un eccessivo aumento degli zuccheri, conconseguente tasso alcolico del vino troppo elevato e una perdita di pre-cursori aromatici, quindi meno sapori e profumi. Dallo stesso studio èemerso che, al momento, sono sufficienti delle tettoie in telo traspiranteper proteggere i grappoli dai raggi diretti del sole ed evitare questa situa-zione. Anche se al momento non sono presenti studi specifici per laLombardia, si possono prospettare notevoli danni economici e questa cer-tezza ci è data dai numeri espressi dal settore vinicolo: oltre mille chilo-metri di strade del vino e dei sapori della Lombardia hanno attratto nel2004 oltre 500 mila presenze da ogni parte d’Italia e d’Europa con unimportante indotto nel settore eno-gastronomico.Il 100 per cento della viticoltura lombarda (23 mila ettari di vigneti cen-siti) ricade in zone Doc e ben l’80 per cento delle bottiglie di vino lombar-do sono Doc o Docg. Gli effetti di piccoli cambiamenti di temperatura sullacrescita e maturazione dell’uva e quindi sulla qualità del prodotto finalepossono essere corretti con interventi tecnologici durante il processo dilavorazione ma per vitigni che si trovano già ai margini dell’intervallo ditemperatura ammissibili per una specifica produzione, un incrementodella temperatura potrebbe rendere vana ogni correzione e richiedere quin-di un cambiamento di produzione a partire dal vitigno. Sarà quindi neces-sario approfondire se in quali casi e in che tempi i cambiamenti climati-ci potranno rendere necessari questi mutamenti, operazione che compor-terà comunque costi elevati.

� Il professor Giulio De Leo

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Il nome suggestivo, Rossese Style. È la degustazio-ne svoltasi a fine luglio nell’incanto di quel paesinosperduto ma splendido che è Baiardo, organizzata

meritoriamente da un attivo gruppo di produttori,l’Associazione Vigne Storiche del Rossese, con la colla-borazione fattiva del blog VinoGlocal e di un sommelierdi formazione Ais, Massimo Sacco, ora attivo aMontecarlo, che costituisce sicuramente un momentofondamentale, di svolta lo definirei, nella vicenda di que-sta storica Doc ligure (nata nel 1972) che comprendepoco meno di un centinaio di ettari nella magnifica zonacollinare in provincia di Imperia che ha come capitalel’incantevole borgo di Dolceacqua. Altrove, nello spazio delle news nel sito dell’Ais, ripor-to il vivacissimo dibattito in attoin questa denominazione, dovele aziende grazie a un ricambiogenerazionale finalmente sonoin grado di dialogare e di con-frontarsi e di crescere insiemein un clima di continuo stimoloa fare meglio e a fare crescerel’intera denominazione. Che sia destinato a vini da apprez-zare e consumare più giovani,oppure a vini con maggiori ambi-zioni di durare nel tempo e di pro-porsi in alcuni casi come vin degarde, il vitigno autoctono locale,il Rossese, è il vero pilastro epunto di riferimento della deno-minazione, visto che il discipli-nare vigente ne prevede l’utiliz-zo per almeno il 95 per cento.Un’uva difficile ma straordina-ria, dotata di un peculiare cor-redo aromatico e di un patrimo-nio tannico interessante, che

esprime tutte le sue grandi potenzialità soprattutto neivigneti più vecchi, per larga parte coltivati ad alberel-lo, che si trovano in posizioni isolate e scoscese, spes-so su vigneti terrazzati, nelle valli: Valle Nervia, ValleCrosia e Val Verbone, comprese nell’area della denomi-nazione. Affidato a vignaioli dotati di grande passione e savoirfaire oggi il Rossese (di Dolceacqua, ça va sans dire)sa esprimere vini di sicura personalità (da non dimen-ticare alcuni vini rosati che non possono riportare inetichetta la Doc perché il disciplinare vigente non con-templa la tipologia rosato) che hanno molte frecce alloro arco per potere coinvolgere e affascinare, grazie allaloro innegabile ampelo-diversità, e alla capacità di esse-

re veri e propri vin de terroirspecchio di terroir di straordi-nario fascino viticolo e paesag-gistico, gli appassionati piùcuriosi. Che sono assetati di vininon omologati, autentici, inimi-tabili, complessi e dialettici, mache sappiano farsi capire eapprezzare, perché no, per laloro bevibilità. Di questi vini la degustazione diRossese Style, da cui ho sele-zionato i vini che mi hanno mag-giormente convinto, ne ha messiin evidenza parecchi. Ed è que-sto, lasciando la parola alle notedi degustazione e alle valutazio-ni, l’elemento più importante.Tira aria nuova per questa che èla più storica e la più importan-te tra le denominazioni in rossodella Liguria. Di Dolceacqua e delsuo Rossese sentiremo sicura-mente ancora parlare molto…

di Franco Ziliani

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ROSSESE DI DOLCEACQUA 2008

Rossese di Dolceacqua 2008 Galeae Ka Manciné Colore rubino violaceo vivo di bella intensità e luminosità. Il naso inizialmente è cauto,quasi misterioso e poco espressivo poi si apre progressivamente, pur mantenendo unacerta tessitura molto salda e ancora piuttosto in sé che denota la giovane età su note dilampone e ribes molto succose e nitide che richiamano il Pinot nero, con sfumature dimelograno, macchia mediterranea e un leggero accenno di menta. La bocca, larga,piena, ben polputa, conferma le impressioni di vino molto ricco e pieno che abbisognaancora di tempo per esprimersi appieno, ma c’è, con ampia struttura, dinamismo, multidi-mensionalità, materia consistente ma fresca, grande persistenza e nerbo e un bellissimoretrogusto balsamico mentolato di grande freschezza. Eccellente.

Rossese di Dolceacqua 2008 Il Bausco Fratelli Maccario /Colore rubino violaceo di bella intensità e brillantezza si propone subito con un naso ricco,articolato, cremoso, di notevole densità, fragranza e pulizia, dove spicca un fruttato suc-coso ben polputo e pieno di energia che richiama il ribes, i lamponi, la mora di rovo, iltutto completato da sfumature minerali. La bocca è parimenti ricca, piena, ben struttura-ta, con una materia prima ricca di polpa di grande soddisfazione e calibrata dolcezzainnervata da una fresca acidità che regala piacevolezza, bella persistenza e un finalesapido e nervoso. Vino da coltivazione biologica.

Rossese di Dolceacqua 2008 Beragna Kà Manciné Colore molto intenso, vivo e brillante, naso fitto, selvatico, speziato, con note di pepenero, ginepro e accenni di cuoio, quasi cremoso. La bocca è viva, sapida, ben bilanciatain tutte le componenti, con bella materia viva e succosa, grande sapidità e acidità e unperfetto bilanciamento che regala grande piacevolezza. Bel retrogusto, giocato tra liquiri-zia e more di rovo.

Rossese di Dolceacqua 2008 Marco Foresti Colore rubino brillante di grande lucentezza, si propone con un naso caratteristico, moltopetroso e minerale, di grande essenzialità e purezza, profumato di ribes e lampone, sapi-do, nervoso, dal carattere quasi “valtellinese”. La bocca conferma la sensazione di gran-de purezza e di una nitidezza salata senza fronzoli, quasi appuntita grazie a un’aciditàimportante, con un palato fresco, vivo, succoso, molto pulito e una grande piacevolezzadi beva in un finale verticale e persistente. Molto giovane, con eccellente possibilità dievoluzione.

Rossese di Dolceacqua 2008 Terre Bianche Colore rubino intenso vivace e profondo, si propone con un naso molto consistente, fitto,selvatico, con prevalenza di note salmastre che ricordano l’acciuga, e poi macchiamediterranea, erbe aromatiche, accenni animali. In bocca è largo, pieno, succoso, digrande impegno e bella consistenza, con una struttura imponente che non pregiudicapoi, grazie a una fresca acidità, la beva. Ancora molto giovane, con ottimo potenzialed’evoluzione.

Rossese di Dolceacqua 2008 Poggi dell’Elmo Colore rubino squillante molto luminoso, mostra un naso preciso, sapido, minerale, di gran-de fragranza ed eleganza, giocato su note pinot-nereggianti con ribes e lamponi in evi-denza e una bella freschezza essenziale e petrosa. In bocca è vivo, succoso, di grandenerbo ed equilibrio, con buona persistenza e vivacità e una bella nota di liquirizia sul fina-le. Bella piacevolezza e sapidità.

LA DEGUSTAZIONE

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Rossese di Dolceacqua 2008 Maccario DringenbergColore di notevole intensità e profondità mostra un naso dove il carattere selvatico, noteleggermente cavalline e cuoiose e accenni salmastri prevalgono sulla dolcezza del frutto.La bocca è diretta, essenziale, viva, ma un po’ carente di sviluppo e complessità.Piacevole ma un po’ troppo semplice.

Rossese di Dolceacqua 2008 Caldi LuigiRubino brillante il colore, il vino si propone con profumi molto fruttati (netta la ciliegia) esuccosi, con slancio, articolazione e bella pulizia anche se non di particolare complessità.Al palato conferma questa impostazione molto diretta, con un gusto rotondo, equilibrato,piacevole, una bella materia fruttata matura al punto giusto, equilibrio e immediatezza.

ROSSESE DI DOLCEACQUA 2007 Rossese di Dolceacqua 2007 Galeae Ka MancinéOttimo il 2008, ma ancora meglio, perché più espressivo il 2007 del Galeae, espressione diuno dei grandi cru del Rossese. Magnifica intensità e vivacità di colore, un tono elegantenei profumi che emerge sin dal primo contatto e poi si sviluppa progressivamente nelsegno di una compresenza di accenni floreali, fruttati (netto il lampone), leggermente sel-vatici, con striature di erbe aromatiche, pepe nero, ginepro, e grande sapidità a designa-re un carattere quasi da Pinot noir. In bocca il vino è sapido, di gran nerbo e personalità,con una dolcezza di frutto calibrata e innervata da un’acidità ben bilanciata e presente,da un saldo corredo tannico e da una notevole freschezza, che innesca un finale lunghis-simo, incisivo e nervoso.

Rossese di Dolceacqua 2007 Vigneto Serro de’ Becchi Ramoino /Uno dei vini più convincenti di tutta la degustazione, ben riuscito da ogni punto divista. Colore rubino squillante di grande brillantezza, si propone con un naso fitto, com-plesso, profumato di erbe aromatiche e macchia mediterranea, di piccoli frutti rossi,che vira su note dapprima terrose poi petrose e minerali. Al gusto ha bella materia viva e succosa, grande dinamismo e articolazione, saldosostegno tannico ben rilevato ma non aggressivo e una linearità e un nerbo mineralee petroso che esalta la piacevolezza e la freschezza. Interessante il retrogusto, cherichiama il ginepro, la liquirizia e il rabarbaro.

Rossese di Dolceacqua 2007 Vigneto Luvaira Tenuta Anfosso /Altro vino splendidamente riuscito, già godibile ora, ma con grande potenziale d’evoluzio-ne. Rubino di bella intensità e concentrazione propone un bouquet aromatico molto fitto,maturo, caldo, ricco, molto polputo e succoso, di grande concentrazione e quasi cremo-so. Un’impostazione del vino, molto diretta, decisamente appealing, che si confermaanche al gusto, ricco, pieno, multistrato, di grande impatto e densità, cui difetta solo unpizzico di freschezza, un’acidità più incisiva per raggiungere la perfezione. Che, come sisa, non è di questo mondo.

Rossese di Dolceacqua 2007 Vigneto dei Pini Poggi dell’Elmo /Altro eccellente risultato. Rubino brillante di bella intensità, profumi molto diretti, succosi edi grande immediatezza, che richiamano il lampone e le erbe aromatiche, con polpaben succosa e freschezza. In bocca è pieno, ben polputo, carnoso nella componentefruttata ben sottolineata, dotato di materia ricca e ben matura, saldo corredo tannico,grande equilibrio e piacevolezza per una beva davvero “contagiosa”.

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Rossese di Dolceacqua 2007 Marco ForestiBen fatto, vivace, elegante come il 2008 questo Dolceacqua di Foresti. Rubino vivace ilcolore di bella brillantezza e luminosità, naso fine, incisivo, di grande freschezza, con unacomponente minerale spiccata. Al gusto il frutto è ben polputo e succoso, maturo alpunto giusto, e il vino si propone al palato dinamico, di grande energia, scandito daun’acidità molto bilanciata che regala al vino sapidità, freschezza, grande piacevolezzadi beva e un finale lungo. Ancora giovane, con buon potenziale d’evoluzione.

Rossese di Dolceacqua 2007 Vigneto Luvaira Maccario DringenbergGrande vigneto storico, anche con ceppi di 80-100 anni, e ottimo risultato, che avrebbepotuto essere ancora migliore se il vino avesse avuto un filo di finezza in più. Splendidorubino brillante intenso e luminoso, naso intensamente selvatico e caratteristico, con erbeselvatiche, mora di rovo, rosmarino, accenni salmastri, note di macchia mediterranea epepe in evidenza, a formare un insieme molto compatto e quasi cremoso. Bocca materi-ca, di grande impatto e potenza, multistrato, molto ricca e piena, succosa, solo legger-mente carente in chiave di freschezza, perché il vino riempie e satura il palato, ma difettaun po’ di slancio e dinamismo.

Rossese di Dolceacqua 2007 Cantina del Rossese Fratelli Gajaudo /Colore rubino brillante vivo di grande lucentezza, mostra un naso ricco, ben strutturato,succoso, con note succose di frutta (ciliegia, lampone, ribes) in evidenza e una certa fra-granza aromatica. Al palato si propone vivo, con salda struttura, sapidità, nerbo incisivo,una notevole freschezza e una polputa ricchezza di sapore che rende piacevole la beva.

Rossese di Dolceacqua 2007 Vigneto Savoia Danila Pisano /Un vino che colpisce per la sua eleganza e la freschezza in ogni suo aspetto. Colore rubi-no brillante di bella intensità e vivacità si propone con un naso vivo e minerale, essenziale,incisivo, quasi petroso, con note dolci succose di ribes e lampone, al gusto pur non aven-do una grandissima struttura e confermandosi essenziale e vivo convince per il nerbo, lapolpa fruttata “croccante”, la bella verticalità e il finale lungo e di carattere. Vino da uvebiologiche.

Rossese di Dolceacqua 2007 A Trincea /Colore rubino brillante luminoso, naso molto floreale, con accenni varianti dal ciclamino algeranio alla rosa che poi aprono a note selvatiche, di liquirizia e salmastre. Attacco moltoincisivo, nervoso, sapido, con buon sviluppo e con un tannino solo leggermente astringen-te. Semplice, ma ben fatto.

Rossese di Dolceacqua 2007 Mauro Antonio Zino /Sono l’essenzialità, la freschezza, una vivacità un po’ pungente e “sbarazzina” le armimigliori di questo vino, che si fa bere con piacere. Colore rubino brillante, ha aromi freschi,vivaci, immediati, varianti tra il lampone e il ribes, molto essenziale e minerale nei toni. Inbocca è lungo, vivo sapido, di grande essenzialità, con acidità spiccata e nerbo e nongrande struttura, ma molto piacevole.

Rossese di Dolceacqua 2007 Vigneto Bricco Arcagna Terre Bianche /Un vino che nella complessità e in un carattere estrattivo ha il suo forte. Rubino intenso digrande vivacità e concentrazione, mostra un naso molto sapido e petroso, con un frutta-to succoso e rotondo che richiama il lampone e la mora e note minerali intrecciate adaccenni selvatici, con erbe aromatiche in evidenza. La bocca è ampia, di grande impe-gno e consistenza, con un tannino che tende a essere un po’ rigido e che necessita di unpo’ di tempo per distendersi. Buono ma ancora molto giovane.

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Rossese di Dolceacqua 2007 Terra dei DoriaBella vivacità di colore, naso e palato molto coerenti, di buona ricchezza e fragranza eplasticità d’espressione, con una certa piacevolezza, ma con un tono un po’ calligraficoe con poca complessità. Piacevole ma troppo semplice.

ROSSESE DI DOLCEACQUA 2006

Rossese di Dolceacqua 2006 Vigneto Poggio Pini Tenuta AnfossoIndiscutibilmente il 2006 più convincente e meglio riuscito, espressione di un grande vigne-to e di un indubbio savoir faire in cantina. Colore di grande bellezza e smalto, si proponecon un naso fitto, denso, cremoso, con bella polpa succosa e cremosa, un frutto maturoal punto giusto, increspata e innervata da toni pepati, selvatici, di sottobosco e macchiamediterranea, da striature balsamiche di grande freschezza. Fresco e vivo il vino si confer-ma anche al gusto, pieno, ben polputo, avvolgente, ricco e di grande persistenza. Unvino che ti conquista sino in fondo.

Rossese di Dolceacqua 2006 Vigneto Arcagna Cantina del Rossese Fratelli Gajaudo /Vino che abbina complessità a freschezza e grande piacevolezza. Rubino intenso profon-do, mostra un naso selvatico, affumicato, petroso di grande fascino, con note di melogra-no, ribes, erbe aromatiche, rabarbaro, china, leggeri accenni salmastri. Al gusto, nono-stante la struttura importante e la ricchezza della materia è vivo, nervoso, dinamico, pienodi energia, con persistenza lunga e verticale e sapidità da vendere.

Rossese di Dolceacqua 2006 Vigneto Pian del Vescovo Tenuta GiuncheoUn vino ancora tremendamente giovane e difficilmente giudicabile in questa fase, espres-sione di un cru di primario valore e vino che volutamente punta sulla potenza e sulla ric-chezza più che sull’eleganza. Bellissima l’intensità e la concentrazione del colore, nasomolto fitto, caldo, pieno, succoso, multistrato, con sfumature di liquirizia e accenni mineralie una bocca di grande estrattività, multistrato, materica, piena, che al momento è un po’carente di slancio e freschezza e che ha indubbiamente bisogno di tempo, in bottiglia,per trovare pieno equilibrio.

Rossese di Dolceacqua 2006 Terre BiancheBella la vivacità e la brillantezza del colore, ma il naso non riesce a evolvere da una fase inizialeriduttiva, non perfettamente pulita, piuttosto aggressiva. Una certa secchezza e durezza, unacarenza di equilibrio e di distensione nel vino, che rimane sempre piuttosto in sé, ricco, compat-to, ma non di grande piacevolezza, al gusto. Grande materia ma ancora piuttosto contratta.

Rossese di Dolceacqua 2006 Vigneto Luvaira Marco ForestiGrande vigneto ma una prova un po’ sottotono rispetto ai 2008 e 2007 di Foresti. Nasopieno, caldo, fitto, sovramaturo e vino che si conferma potente, ricco, con un tono alcoli-co in eccesso, anche al gusto, dove la piacevolezza piena è pregiudicata da una caren-za di freschezza e di acidità.

Rossese di Dolceacqua 2006 Terra dei DoriaAnche in questo caso la potenza, l’estrazione e un alcol un po’ eccessivo la fanno dapadrone, con colore molto vivo, grande intensità e pienezza sia nella fase olfattiva che algusto, ma mancano decisamente slancio, vivacità, freschezza ed equilibrio, con un finaleinoltre leggermente asciutto, a rendere pienamente riuscito questo 2006.

Per ulteriori dettagli sul Rossese visitate il sito Ais alle pagine webhttp://www.sommelier.it/archivio.asp?ID_Categoria=8&ID_Articolo=1644 http://www.sommelier.it/archivio.asp?ID_Categoria=8&ID_Articolo=1658

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Prima di tutto i numeri: la vendemmia 2009 per-metterà di produrre, secondo una stima della Col-diretti e della Confederazione italiana agricoltori,

47 milioni di ettolitri, al di sotto della media degli ulti-mi cinque anni ma con un aumento contenuto (entroil 5 per cento) rispetto al 2008. Meno ottimista è Mau-rizio Zanella, presidente del consorzio Franciacorta, cheprevede invece un calo della produzione "del 7-8% rispet-to al 2008".Una vendemmia anticipata di dieci giorni ma ottimaanche per la qualità: nella maggior parte delle zone èinfatti addirittura migliore di quella eccezionale del 2003.Resta invece un punto di domanda per quanto riguar-da l’economia tra effetti della crisi, perdita di competi-tività delle aziende e calo dei consumi. E a proposito dicrisi in Franciacorta, che oltre a produrre eccellenzeenologiche è una delle zone più industrializzate d’Ita-lia sono stati moltissimi i cassintegrati che hanno par-tecipato alla vendemmia per sbarcare il lunario: da que-st’anno il governo ha infatti esteso a casalinghe e cas-sintegrati la possibilità (in precedenza prevista solo perpensionati e studenti) di compiere lavori stagionali agri-coli. Il pagamento è avvenuto tramite i famosi voucherda riscuotere in Posta. La paga oraria, stabilita con ildatore di lavoro, si aggira tra i sei e i dieci euro, di cuiil 25 per cento è destinato ai contributi previdenziali.Ma a coloro i quali hanno partecipato alla raccolta perarrotondare le entrate si sono aggiunti molti enoturistiche hanno preso parte alla vendemmia per curiosità eper “divertimento” tanto che molti produttori hanno par-lato di una vera e propria vendemmia-mania. Ma torniamo all’aspetto squisitamente tecnico: l’anda-

mento climatico è stato contraddistinto dalla presenzadi un anticiclone subtropicale e da una fase instabile efresca, con buoni accumuli piovosi, che si sono som-mati a quelli invernali e primaverili. Il successivo arri-vo dell’ondata di caldo, unito alle elevate percentualidi umidità, ha favorito lo sviluppo di alcune malattiefungine della vite, che, però, stando a quello che dico-no enologi e agronomi, non hanno causato danni rile-vanti. La vite ha concluso ovunque la fioritura senzaparticolari problemi. Qualche anticipo sul 2008 nel ciclofenologico della pianta si è registrato al nord; al centroe al sud la maggior parte dei produttori hanno segna-lato una sostanziale analogia con i tempi dello scorsoanno.Se i giudizi sulla qualità sono positivi, altrettanto nonsi può dire sul fronte dell’economia con l’allarme per leaziende vitivinicole italiane per la caduta dei prezzi delleuve ai produttori. A sostenerlo è la Confederazione ita-liana agricoltori (Cia), che evidenzia “una situazionesempre più difficile per le aziende che devono affronta-re una una sensibile crescita dei costi produttivi econtributivi, con riflessi negativi anche sui redditi”.“Al favorevole andamento produttivo, quest’anno si ècontrapposto – ha commentato il presidente della Cia,Giuseppe Politi – uno scenario complesso e carico dinubi oscure per le imprese. Sul comparto si riflettonogli effetti della crisi economica. Abbiamo assistito a unaperdita di competitività delle aziende accompagnata dalcostante calo dei consumi interni (soprattutto per i vinida tavola) che preoccupano e rendono inquieto il set-tore”.

(P. P.)

Il 2009regalerà vini

di alta qualità

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VENDEMMIA

Il Venetoconferma il primatoLa vendemmia 2009 saràquantitativamente sugli stessi livellidello scorso anno e la qualità siprofila più che buona, ma a causadella crisi economica i prezzi delvino subiranno ribassi con punteanche del 15-20 per cento. Èquanto emerge dai primi datiufficiali elaborati dall'Assoenologiche stima una produzionecomplessiva di uva tra i 63 e i 65milioni di quintali da cui uscirannocirca 46,3 milioni di ettolitri di vini emosti, in linea con il 2008.Gli incrementi maggiori nellaproduzione vitivinicola 2009 si sonoregistrati – sottolinea Assoenologi –in Piemonte, Campania eSardegna, mentre le regioni piùdeficitarie risultano le Marche,l'Abruzzo e la Puglia. Il Veneto, con8,1 milioni di ettolitri, si confermaper il terzo anno consecutivo laregione più produttiva, seguita inclassifica da Emilia Romagna (6,6ettolitri), Puglia (6,2 ettolitri) e Sicilia(6,1 ettolitri). Insieme, questequattro regioni, producono quasi il60% di tutto il vino italiano.

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La grande kermesse

di “Chefs echampagne”

▼ Insalata di anatra e mango, Le Cirque, New York

� Il presidente della JBF Susan Ungaro in un'intervista per la Hamptons TV � Julian Niccolini e Alessandra Rotondi

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di Alessandra Rotondi

Innanzitutto una premessa: considerate l’ar-ticolo che vi state accingendo a leggere comeuna sorta di “continuazione delle puntate pre-

cedenti”. Ancora una volta infatti si parla dellaJames Beard Foundation e delle sue attività aNew York (vedi numero 88 di DeVinis). Non è unerrore. Il fatto è che la James Beard Founda-tion, a New York, e negli Stati Uniti in genere, èsinonimo di “tutto quanto fa cultura enogastro-nomica” e la maggioranza degli eventi che si ten-gono durante l’anno in città, o in America in gene-re che abbiano a che fare con il cibo o vino, sonoa firma Jbf. Come “Chefs and Champagne” tenu-tosi questa estate negli Hamptons, meta storicadelle vacanze dei newyorkesi dell’alta società. GliHamptons sono infatti la spiaggia glamour e chica un’ora e mezza dalla città, dove i ricchi vannoa trascorrere i week-end o le ferie. “Chefs e Cham-pagne” perché tutto l’evento si è svolto attornoquesti due soggetti: i cuochi di circa 30 risto-ranti della Big Apple – tra cui alcuni di proprietàitaliana come il famoso Le Cirque del toscano SirioMaccioni – ma anche di Las Vegas, Anguilla, Easte Bridge Hamptons; e lo Champagne di tre mai-son d’Oltralpe che hanno sponsorizzato la sera-ta. L’evento si è svolto nell’azienda vinicola Wöl-ffer Estate Vineyards, dal primo pomeriggio finoa notte inoltrata. Pochi sanno che anche lo Stato di New York èmolto vocato per la produzione vinicola, magarinon al pari dei più famosi California o Oregon,ma si nota un grande impegno e voglia di perfe-zionismo che stanno dando grandi risultati. A faregli onori di casa, oltre alla presidente della JbfSusan Ungaro, Andrea Wölffer, titolare della tenu-ta, figlia del patriarca Christian, personaggio digrande fama, vero vignaiolo e un’icona per gliaddetti ai lavori, recentemente scomparso, a cuisono stati dedicati momenti di commemorazionee alla cui memoria è stata indetta una borsa distudio di cui possa usufruire uno studente nellearti culinarie, particolarmente meritevole.La prima beneficiaria è stata la giovane Christi-na Cassell che ha ricevuto il riconoscimento pro-prio durante la serata. Ma i veri “Ospiti d’Onore”erano Julian Niccolini e Alex Von Bidder, proprie-tari dello storico ristorante Four Season di Man-hattan. A loro, il tributo più grande. L’edizione2009 di Chefs and Champagne celebrava i 50 annidel ristorante di loro proprietà che si trova sulla52 Street e Park Avenue, ovvero in un incrocioideale tra una Via Montenapoleone meneghina euna Via Condotti romana. È considerato dainewyorkesi come qualcosa di sacro e inviolabile,un patrimonio cittadino o, usando la definizionedata da Zagat (la guida più accreditata sulla risto-razione) “una meraviglia gastronomica e architet-tonica che non passerà mai di moda o di stile”.Il palazzo che lo ospita è il Seagram Building, unodei primi grattacieli in acciaio inossidabile e vetrocomparsi in città. Siamo nel 1959 quando gli allo-ra proprietari si rivolgono a James Beard in per-

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sona, il fondatore dell’organizzazione, scomparsonel 1985, per chiedergli una consulenza da esper-to enogastronomico su come creare un locale tuttoincentrato sulle eccellenze culinarie delle 4 sta-gioni. Comincia una collaborazione che non si èmai interrotta e che ha fatto del Four Season,mezzo secolo dopo, un locale-testamento di tuttoquello in cui credeva Beard: “Freschezza degliingredienti stagionali, creatività americana, aper-tura verso il mondo, il tutto alimentato dalla con-vinzione che il sedersi a tavola è molto più che un‘semplice nutrirsi’: è innanzitutto cultura”. Glieredi di questa filosofia di lavoro e vita sono gliattuali Niccolini e Von Bidder appunto, vere cele-brità a livello nazionale. Vale la pena spenderequalche parola sull’italiano Julian Niccolini, luc-chese di origine, poliedrico operatore di tutto ciòche è correlato all’enogastronomia essendo ancheapicoltore e produttore vinicolo, titolare di unasua linea di miele e di sauvignon blanc prodottoda uve vendemmiate a Napa Valley con la colla-borazione di Michael Mondavi che, a detta di moltie della campagna pubblicitaria che lo promuo-ve, sarebbe in grado di far capitolare tutte ledonne. Niccolini è così: simpaticissimo, accentotoscano ancora percettibile, una forza della natu-ra, grande esperto e tecnico, ma con grande affa-bilità e ironia. Ma Julian non era l’unico italianopresente. Spieghiamo il perché con una breve premessa.Chefs and Champagne, come tutti gli eventi afirma Jbf, si proponeva di raccogliere fondi a favo-re dell’organizzazione City Meals on Wheels e

� Lo chef Eddy Leroux, Daniel New York

� Gli chef Alain Allegretti e Kerry Heffernan, NYC

� Lo chef Paul Bartolotta, Las Vegas

� Ostriche del Four Season Restaurant

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per le borse di studio future. Oltre alle degusta-zioni di tutte le prelibatezze culinarie preparatidagli chefs partecipanti, tra cui abbondanza dipesce – con ceviches, ostriche, cocktail di arago-sta, frutti di mare in tutte le versioni – si è tenu-ta un’asta di numerosi prodotti il cui ricavato èandato appunto in beneficienza. Tra i prodottiuna linea di vino e olio d’oliva toscani dell’Azien-da Diadema, titolare Alberto Giannotti, la qualeproduce anche vero champagne nell’omonimaregione. Ma anche il caviale d’allevamento ita-liano era presente, proveniente dalla provincia diBrescia, azienda Agroittica, il cui presidente San-dro Cancellieri ha recentemente aperto un Loun-ge Bar proprio a Manhattan, all’interno del FourSeason Hotel. Eventi come Chefs and Champagne hanno il meri-to aggiunto di aiutare a superare la crisi econo-mica che ha colpito gli Stati Uniti. Afferma infat-ti Susan Ungaro: “Abbiamo vissuto fino ad ora unbuon 2009. Mi sento autorizzata a pensare chela Jbf sia un indicatore visibile che l’economia sistia riprendendo. La gente che ama le arti culi-narie non smetterà mai di celebrare il grande ciboe i grandi vini, né di godere di essi”. Con questaconvinzione, la Jbf ha creato un nuovo motto checi caratterizza: “We are going to eat our way outof these tough times.” Che tradotto significa: “Con-tinueremo a mangiare a modo nostro, malgradoi tempi duri”, ma con un secondo significato nontroppo nascosto che “l’arte culinaria saprà con-durci alla soluzione e a uscire da questi tempiduri”.

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La trasformazione del mondo del vino procede di paripasso con la trasformazione del consumatore che,seppur sempre più interessato e preparato, è però

ancora troppo distante dalla conoscenza del processoproduttivo. L’attenzione dei professionisti è giustamen-te rivolta al prodotto finale, all’abbinamento cibo-vinomigliore, al territorio di provenienza, ma viene trascu-rato troppo spesso il fatto che la conoscenza di un pro-dotto è un’esperienza privata e personale che necessitadi grandi cure. Le regole delle buona accoglienza in can-tina, una attrezzata sala da degustazione, un funziona-le spazio vendita, serviziigienici e parcheggi per glienoturisti sono elementifondamentali ma non piùsufficienti per creare unastretta relazione e fiduciada parte del fruitore versoil prodotto. Chi compra, non paga piùsolo una bottiglia di vino oun buon servizio, ma chie-de di poter trascorre deltempo a gustare un buonbicchiere, ascoltando il pro-duttore, o l’addetto all’ac-coglienza, sulle storie lega-te al vino, sui vecchi sapo-ri e sentori, sul territorio.

Negli ultimi anni il marketing tradizionale ha infatti lascia-to sempre più spazio al marketing esperienziale che rivol-ge la sua attenzione verso il cliente e tenta di rendereunica l’esperienza di fruizione e di consumo. Ecco allo-ra che le aziende vitivinicole potrebbero quindi coglierel’occasione della visita in cantina per trasformare la cul-tura del prodotto in un’esperienza unica, attraverso unprogetto globale di intrattenimento, un evento che impe-gni tutti i sensi dell’ enoturista.Come sostiene il professor Schmitt, autore del libro Expe-riental marketing, “le esperienze sono stimolazioni indot-

te ai sensi, al cuore e allamente. Esse, inoltre, uni-scono l’azienda e la marcaallo stile di vita del clientee collocano sia le azioni delsingolo sia l’occasione d’ac-quisto in un contesto socia-le più ampio. In breve, leesperienze forniscono valo-ri sensoriali, emotivi, cogni-tivi, comportamentali erelazionali che sostituisco-no quelli funzionali”. Leesperienze verso il prodot-to vengono suddivise dalprofessor Schmitt in cin-que moduli, che potrebbe-ro rappresentare la base

Le prime emozioni nascono

in cantina

di Alessia Cipolla � La barricaia della Cantina La Brunella

� La grande vetrata della sala da degustazione

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del processo di conoscenza del vino all’interno dellavisita in cantina.Il sense costruisce esperienze sensoriali utilizzan-do il gusto, l’olfatto, il tatto, l’udito e la vista. Il per-corso all’interno della cantina deve tener conto del-l’impatto sensoriale sui clienti o potenziali clientiper aggiungere valore all’identità di marca.Il feel si riferisce alle esperienze affettive e interio-ri del cliente. Le tappe di conoscenza del vino dovreb-bero saper suscitare emozioni, sentimenti, statid’animo. Il prodotto dovrebbe essere in grado di rela-zionarsi con il mondo delle emozioni del consuma-tore. Il think ha l’obiettivo di creare stimoli ed esperien-ze per la mente. Durante la visita l’ enoturistadovrebbe essere coinvolto nella sua voglia di sco-prire, capire e apprendere cose sempre nuove nelsuo desiderio di essere sorpreso e provocato. L’act consiste nel proporre azioni fisiche e corporeeai clienti, un invito all’azione: in cantina il clientepotrebbe essere coinvolto fisicamente nella spie-gazione di come avviene il processo produttivo delvino.Il relate va oltre l’esperienza personale dell’indivi-duo, perché lo inserisce in un contesto sociale piùampio. In questa fase, l’esperienza è in grado di met-tere l’individuo in relazione con gli altri individui econ le altre culture. L’enoturista deve sentirsi partedi un territorio fino ad allora mai esplorato, in pienocontatto con la gente, le tradizioni, la storia del luogoe dell’azienda.Continua con questo numero un percorso all’inter-no delle nuove cantine italiane realizzate tra il 2001e il 2009 in tutte le regioni d’Italia scelte secondo laqualità architettonica e funzionale, oltre che al rispet-to e alla valorizzazione del paesaggio circostante.

��� Cantina Azienda Agricola La Brunella (CN)Un progetto fatto in famiglia, Achille responsabiledell’azienda e Guido architetto, autore del proget-to del packaging e della cantina per vinificazione,

� L’esterno della cantina

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invecchiamento e affinamento di Nebbiolo da Barolo ecru Villero, a Castiglione Falletto, in una delle zone piùbelle e interessanti d’Italia, le Langhe. Il progetto è del2004, la realizzazione del 2006. La struttura, circa tre-cento metri quadri di superficie complessiva, è costitui-ta da un piano interrato con funzione di cantina da invec-chiamento e un piano fuori terra dedicato all’imbottiglia-mento, etichettatura e confezionamento. I percorsi per la visita della cantina sono stati debita-mente separati dai percorsi di produzione, ma l’enotu-rista, attraverso scorci e aperture, può seguire tutto ilciclo del vino. La nuova costruzione è un edificio dallaforma architettonica tradizionale, con tetto a falde e strut-tura semplice e compatta, costruito di fronte alla canti-na pre-esistente, un edificio storico del Seicento all’in-terno del quale avviene la vinificazione. L’enoturista viene accolto in un piazzale tra i due edifi-ci, il nuovo con una facciata di colore rosso, semplice epulita, senza aggetti o elementi decorativi, nel tentativodi un primo dialogo con l’edificio storico. I restanti latisono rivestiti da un innovativo modo di riutilizzare e rici-clare le vecchie botti in disuso: si tratta infatti di faccia-te alte quasi dieci metri rivestite da pannelli fatti con ledoghe di circa duecento barrique. In corrispondenza delleluci, è stata inserita una lamina d’acciaio che produceun sistema di riflessi, di giorno grazie alla luce del solee di notte grazie all’ illuminazione notturna di colore blu,enfatizzando gli effetti e le sfumature del colore del legnoe regalando all’edificio un aspetto fiabesco.Entrando, dopo aver attraversato un intimo disimpegno,si procede su una rampa dalla quale, attraverso appo-site aperture, si resta in continuo contatto con il paesag-gio circostante. Si entra quindi nella sala da degustazio-ne, un locale rettangolare aggettante rispetto al filo dellafacciata, con circa 60 metri quadrati di vetrate rivolteverso le colline che circondano l’azienda agricola. Le altre

pareti sono state colorate con una tinta rossa usata ancheper altre parti strutturali dell’edificio, un colore che con-ferisce alla stanza di degustazione corpo e personalità,percepibile sia verso l’esterno sia verso l’interno. Arredie dettagli essenziali rendono questa zona un luogo adat-to a una seria degustazione. Grazie a piccole feritoie pre-senti sulle pareti opposte alla vetrata si riescono a intra-vedere il resto degli ambienti della cantina e la produzio-ne del vino. Una scala, elemento compatto e scultoreo che si insinuanella soletta del piano terra tra la sala di degustazionee la barricaia, permette la discesa verso il luogo di ripo-so del vino. La scala, rivestita internamente su tutti i latida pannelli lisci di legno di pino, con luci a terra chesegnano il passo verso la discesa, rappresenta un colle-gamento ovattato tra una realtà più pubblica e un’altrapiù contemplativa. Qui, oltre alle barriques, riposano anche botti e tonne-aux: le une vicine alle altre, presenze in uno spazio dallaintima atmosfera. Le pareti sono colorate di nero, quasia voler espandere infinitamente i confini di questo luogo.Al lato opposto della scala di accesso vi è un portone,superato il quale, all’esterno dell’edificio, dopo esser risa-liti, si arriva al livello della produzione dove troviamo tuttala linea dell’imbottigliamento, l’etichettatrice, e il confe-zionamento. È questo un enorme spazio dal pavimentoin battuto di cemento grigio, liscio e le pareti in resinarossa, un altro involucro contemporaneo per un prodot-to così antico in continua trasformazione. Una scala interna in ferro zincato porta a un soppalcodove sono posizionati gli uffici, la zona riunioni e dovegrazie a una finestra triangolare si ha l’affaccio sulla partepre-esistente dell’azienda La Brunella.Un semplice e, nello stesso tempo, ricco oggetto archi-tettonico poggiato delicatamente all’interno di un pae-saggio pieno di fascino.

La sala da degustazione

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“L’estate sta finendo, unanno se ne va…” cantava-no i Righeira qualche

lustro fa, dimostrando di comprende-re bene quanto la fine della bella sta-gione non rappresenti soltanto unospartiacque climatico, ma per tantiversi anche la fine di un sogno, il tra-monto dei momenti spensierati. Chesi trovano, ora, a scontrarsi con la real-tà nuda e cruda. Anche se, a ben guar-dare, l’eterna lotta fra il bene e il maleci ha perseguitato anche nel bel mezzodel solleone. Ripercorriamo insiemegli accadimenti estivi, facendone teso-ro per un verso e continuando asognare per un altro.

Siete mai arrivati a Panarea, di notte,fendendo un mare liscio come l’olio,

ammirando un cielo stellato oltre ogniumana immaginazione, zigzagando frai panfili in rada e avendo una ragazzadagli occhi di ghiaccio al vostro fian-co? Qualora la risposta sia negativa,attrezzatevi, perché ne vale la pena.Avendo cura di scegliere la terrazza delBanacalii per un aperitivo e quella delRaya per balli glamorous. Senzadimenticare una cena Da Pina, risto-rante chic&gastroshock, per eccellen-za. Quello con la clientela più fashione l’atmosfera più smart. Quello con illook più curato e la cucina più ricer-cata. Quello con i tavoli ceramicati dallosfondo blu oltremare, i porta-tovaglio-li artistici di matrice etno, i veli etereie il nebulizzatore perimetrale. Quello,infine, che propone l’eccezionale Bau-letto di Gamberoni di Cala Junco, non-

ché una Tartare di Tonno capace diresuscitare un morto... Ma sull’isolac’è un quarto locale da non perdere,non foss’altro perché le cronache esti-ve lo hanno tirato in ballo abbondan-temente. Stiamo parlando di quel Brid-ge Sushi Bar che ha negato un tavo-lo da 8 a Roman Abramovich, all’oradell’aperitivo. Certo, il miliardario russoè ormai abituato, perché l’anno scor-so, sempre a causa di tardiva preno-tazione, si vide impedire una cena alBistrot di Forte dei Marmi, ma va peg-giorando: un conto è la cena e un contol’aperitivo… È al tempo stesso piace-vole e divertente riscontrare che, peri nostri locali, i soldi non sono tutto,nemmeno in tempo di crisi. Fatto stache l’ex Circolo del Bridge ha fatto stri-ke. Non solo grazie a una filosofia vita-

di Roberto Piccinelli

Sogno di una notte dimezza estate

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le imperniata sul jap-food e ad una deli-ziosa terrazza con vista panoramica sulporto, ma soprattutto alle cure amore-voli di Angela Mascolo, colei che intempi non sospetti è stata definita daCarlo Rossella “La ragazza più belladel Mediterraneo”. Ovviamente, per ildirettore e l’amico Diego Della Valle iltavolo ci sarebbe stato. Ça va sans dire. Gossip a parte, Panarea è, purtrop-po, salita alla ribalta anche per unapessima notizia. Una diciottenne è entrata in coma eti-lico, a causa della grande quantità dialcol bevuto in una festa in barca, inmare aperto. Cosa e quanto abbiabevuto non è dato sapere, ma le circo-stanze sono note da anni. Nonostante si sia impropriamente edinopportunamente parlato di “Raveparty sul mare”, perché i rave sono tut-t’altro, si tratta di eventi che si svilup-pano al largo, a partire dalle 18.00,intorno a una barca dotata di potenteimpianto audio. La musica va a palla,tutti gli ospiti del natante principaleiniziano a ballare sulla chiglia delloscafo e intorno all’ape regina si stabi-lizza una pletora di altre barche, i cuicomponenti non esitano ad adeguar-si al ballo, ma anche a socializzare einterscambiarsi. Fermo restando che ciascuna delle bar-che presenti in loco ha un frigorifero(magari anche due, con supporti dicesti termici, per di più) pieno di bevan-de che spaziano dal vino bianco alloChampagne, dalla vodka al gin, con il

supporto di energetici vari. Bere e bal-lare diventa un tutt’uno. Ma un contoera essere sulla dance-boat (con casseda discoteca!) del mitico Tonno o sulMagnum di Andrea Lotti, chez AndreaCamurri, al largo di Porto Cervo (pre-feribilmente, fronte isola di Mortorio oal largo della spiaggia della Celvia), dovela qualità del beverage era garantita edove lo champagne ce lo consegnava-no le aziende stesse tramite motosca-fo, e un conto è bere quello che capi-ta, mischiando schifezze a vanvera. Ilproblema è sempre lo stesso, in terra,in mare e in cielo: binge drinking, comedirebbero gli americani. Il bere per ilbere. Pratica che va strenuamentecombattuta, facendo in modo che fami-glie, istituzioni e media abbiano benchiaro questo assurdo fenomeno, checoinvolge in modo assai pericolosofasce sempre più giovani di età. La bat-taglia contro il binge drinking deve par-tire e tutti devono fare la loro parte.Ecco perché sono molto lieto di esse-re stato pesantemente coinvolto nelprogetto “Bevi il giusto, basta ilgusto”, voluto dall’Associazione tuttipiù educati e mirato a una campagnadi sensibilizzazione, ma soprattutto aun percorso formativo rivolto alla scuo-le secondarie superiori. La prima pietra è stata la tavola roton-da organizzata nel Salone degli Affre-schi del Chiosco dell’Umanitaria diMilano: il punto focale del progetto ini-zia a svilupparsi fra ottobre e novem-bre negli istituti scolastici della Lom-

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bardia. Avremo quindi modo di ripar-larne, a fronte della pronta partner-ship concessa dall’Ais e a fronte diquanto abbiamo purtroppo dovuto regi-strare, proprio a Milano: nell’ambitodei controlli post divieto di vendita alco-lici ai minori di 16 anni, una ragazzi-na di 14 anni è stata trovata ubriacapersa di pomeriggio, in centro, in pienaestate. Non ho più occhi per piangere.

MA, ALLO STESSO TEMPO, PENSO POSITIVO…Ragion per cui non posso fare a menodi celebrare a dovere la riapertura delCovo di Nord Est di Santa Margheri-ta Ligure: storica discoteca, roccio-sa, a picco sul mare dove cantaronoFrank Sinatra, Liza Minnelli, SammyDavis jr., Barry White, Grace Jones eJohn Mc Enroe si scoprì chitarrista,dimostrando però di non essere dota-to di talento in quella veste. Il rilanciodel mito ha fatto felice anche la vici-na Portofino, che, finalmente, non vedetutti i suoi giovani viaggiare di nottefino alla Versilia, pur di trovare qual-cosa di divertente da fare. Ma, transu-manze o meno, a Forte dei Marmiqualcosa da festeggiare c’è stato, ecco-me. La Capannina ha compiuto 80anni! Inaugurata nel 1929 e amata daItalo Balbo che vi ammarava di fronte,ma anche da Emilio Pucci, GuglielmoMarconi ed Edith Piaf, ha saputo cele-brarsi a dovere il giorno di Ferragosto.Stesso giorno scelto per i festeggiamen-ti de La Cicala, pronta a palesarsi aViareggio dopo anni di assenza dallapiazza dance, ma dopo un ventenniodalla nascita. In questo caso, si trat-ta di una delle prime discoteche tren-dy della Versilia che MarcoGaleotti&C. hanno voluto rispolvera-re ad hoc. Rimanendo in Toscana, nonposso fare a meno di celebrare i fiumidi Champagne Drappier che hannofatto da corollario alla mia, magica efrizzante festa di compleanno al Man-duca di Firenze, con Selen per la primavolta in veste di dj. Passando, come didovere, all’altra riviera, va santificatala stagione di Jesolo, The City Beach,che ha potuto contare sul successo-monstre del concerto dei ChemicalBrothers sulla Terrazza del Faro, maanche sulla verve vincente di localiquali Il Muretto, Zebù, Terrazza Maree Marina Club. A scendere, va elogiato il Villa Prati diBertinoro per il giovedì oceanico crea-

to da Sauro Moretti, anche se, comeal solito, sono Cervia e Milano Marit-tima a fare strike. Cervia, grazie a unFantini Club, che compie 50 anni,amplia le sue strutture balneari e orga-nizza un’affollata tavola rotonda sul-l’evoluzione degli stabilimenti balnea-ri. Milano Marittima, grazie a Paci-fico e Pineta Club che tengono ampia-mente botta, ma anche a La Frascache porta la buona cucina in loco, final-mente. Quanto a Fantini, che ha aper-to anche un hotel, sperimentato pro-prio in occasione del convegno Cin-quant’anni di vacanze sulle spiag-ge della Riviera: 1959-2009 cui hopartecipato con piacere, ci sarebberotanti meriti da elencare, ma nell’oc-casione mi piace fare il critico, a ragionveduta: nel buffet proposto, post chiac-chierata pubblica e costruttiva, il vinoprivilegiato era un Gewürztraminer.Niente da dire sulla qualità dello stes-so ma, visto che a promozionare il tuttoc’era l’Apt Emiliano-Romagnola, conil trio Babbi-Gottifredi-Grassi in poleposition, perché non dare spazio soloe soltanto al pur presente AulenteBianco by San Patrignano? Del resto, quando l’ho fatto stappare,facevano a gara per rubarmelo da sottoil naso… Quanto a Milano Marittima,ho per l’ennesima volta potuto tocca-re con mano l’importanza del Pinetaper l’economia cittadina. Nell’ambitodel cambio stagionale datato fine luglio-inizio agosto, il martedì notte era pienoe vivace grazie all’apertura della famo-sa discoteca. La controprova si è avutail giorno dopo, mercoledì, a danceflo-or chiuso: poche persone in strada,pochissima gente nei locali pubblici,con un’eccezione, La Frasca. Che avevatavoli sufficientemente pieni, ai prezziche la qualità impone. E che mi ha pro-posto un piacevolissimo, non conosciu-to prima, nonostante sui vini sicilianisia particolarmente ferrato, Montalto,collezione di famiglia, sauvignon blanc.Quanto alla cena, beh non posso farealtro che ribadire quanto scritto eaffermato in altre occasioni: era pro-prio necessario che si scomodasseGianfranco Bolognesi, trasferitosi quicon armi e bagagli e il suo gioiello golo-so denso di storia e futuro, per rega-lare, finalmente, una cucina qualitati-va a una località trendy! Fra le chic-che golose assaggiate, mi sentirei diconsigliare urbi et orbi Calamaretti,sardoncini e funghi porcini fritti, ma

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anche Bocconcini di rombo chiodatoal salfiore di Cervia profumato alla vani-glia, verdure brasate e tulle al sesamo.Una particolare attenzione la meritail look del locale, attuale, moderno,cosmopolita. Potrebbe essere qua o aNew York e si sentirebbe ugualmentea casa, fra i due pini marittimi inca-stonati, le finestre listellate, le sedie aspirali bicolori, il salottino di pelle nerasovrastato dalla scritta futurista, la sta-tua neoclassica, le maxi lampade aforma di carciofo, legate da fili lumino-si ed i mitici quadri pop ricavati suuna sorta di scudi circolari. Pareun modo per far capire cheMilano Marittima non èsolo veline e calciato-ri, ma ancheimprenditori aper-ti al mondo. Perfar capire che siamoentrati nel Terzo Mil-lennio, dove a fare ilocali uno uguale all’al-tro si rischia, seria-mente, di lasciarci lepenne. Complimenti di cuore,caro Gianfranco, ma ti prego: i prossi-mi che entrano dicendo “Com’era caldala vecchia Frasca!” e “Non ha niente ache vedere con gli altri ristoranti dellazona!”, lasciali fuori. Non ti meritano.

DULCIS IN FUNDOUn resoconto degli accadimenti estivinon può prescindere dal grande afflus-so giovanile riscontrato a Gallipoli inparticolare e nell’intero Salento, più ingenerale. Sandro Toffi ha puntato fortesui privè-champagneria tanto nell’Ou-tline quanto nel Praya, entrambe disco-teche all’aperto, entrambe baciate daun ottimo successo di pubblico. A Capridove, nottetempo, continuano a spopo-lare Anema e Core e Number Two,continuano a sorprendere le vendite di

grandi formati targate Aurora Vino,microenoteca di lusso che, in soli 22mq, incassa quasi 3.000 bottiglie divino: potenze della scienza e della tec-nica! Eh sì, perché il regno eno-hi-tech

di Mia eR a f f a e l eD ’ A l e s s i oguarda al futurocon pareti di accia-io, vetrine climatizza-te e videofondale. Per finire, un tarlo casa-lingo, nato nella mia testadurante le giornate spese perla realizzazione della mia Guidaal Piacere e al Divertimento, ver-sione 2010: perché i supermercatinon si dotano di un sommelier o quan-

to meno di un direttore agli acqui-sti che di vino ne mastica,

davvero?Proposte insulse e

rapporti qualità-prezzo disattesisono all’ordine delgiorno. Ma ditemi

cosa ne pensate diFranciacorta Brut

Valentinus (8,49 euro),Franciacorta Brut Mirabella

(10,00 euro) mentre il Saten ne costa15,00), Franciacorta Saten CastelFaglia (9,99 euro, ma pagato 7,99, per-ché in offerta, versione Brut a 8,99, conprezzo ribassato a 6,99 euro) e Borto-lin Cartizze (12,50 euro): a me c’è qual-cosa che non torna ed a voi?

Anema e Core - via Sella Orta 39/e, Capri (NA)Tel. 081/8376461

Aurora Vino - Via Longano 8, Capri (NA) Tel. 081/8374458

Banacalii - Via San Pietro, Panarea (ME) Tel. 090/983004

Bistrot - Viale Della Repubblica 14, Forte Dei Marmi (LU)Tel. 0584/89879

Bridge Sushi Bar - Via Porto, Panarea (ME) Tel. 339/2172605

Covo di Nord Est - Lungomare Rossetti 1, Santa Margherita Ligure (GE) Tel. 0185/290348; 348/5177777

Da Pina - Via San Pietro 3, Panarea (ME) Tel. 090/983032

Fantini - Lungomare Grazia Deledda 182, Cervia (RA)Tel. 0544/72236

Il Muretto - Via Roma Destra 120, Jesolo Lido (VE) Tel. 0421/371310

La Capannina - Via Repubblica 16, Forte dei Marmi (LU) Tel. 0584/80169

La Cicala - Terrazza Repubblica 2, Viareggio (LU)Tel. 0584/50005

La Frasca - Rotonda Don Minzoni 3, Milano Marittima (RA) Tel. 0544/995877

Marina Club - Via Roma Destra 120/b, Jesolo Lido (VE)Tel. 0421/370645

Number Two - via Camerelle 1, Capri (NA) Tel. 081/8377078

Outline - Via Adriatica Km. 2, Lecce. Tel. 320/2703377; 333/3452042

Pacifico - Viale Romagna 64, Milano Marittima (RA) Tel. 0544/994727

Pineta Club - Viale Romagna 66, Milano Marittima (RA) Tel. 0544/994728

Praya - Loc. Baia Verde, Litoranea Sud, Gallipoli (LE) Tel. 347/6308687

Raya - Punta Peppe e Maria, Panarea (ME) Tel. 090/983013

Terrazza Mare - Vicolo Faro1, Jesolo Lido (VE) Tel. 0421/370012

Zebù - Piazza Venezia c/o Laguna Shopping, Jesolo Lido (VE) Tel. 0421/381839

Villa Prati - Loc. Capocolle, via Nuova 2447, Bertinoro (FC) Tel. 0543/445523

INDIRIZZI

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di Alessandro Franceschini

Sangiovese in purezza oppureno? “Forse oggi si potrebbeanche provare. Ma qui l’uva

francesca è coltivata dai tempi deiMedici”. Questo il problema, o forse,al contrario, la caratteristica distin-tiva. Dipende dai punti di vista. Chiparla è Giuseppe Rigoli, enologo eproprietario di Fattoria Ambra, pic-cola realtà tra Comeana e PoggioCaiano, nel cuore di produzione delCarmignano, che curerà anche l’in-troduzione sulle caratteristiche del-l’annata 2008 durante la presenta-zione alla stampa dei nuovi millesi-mi il giorno dopo presso le sale di

degustazione di un altro storico pro-duttore della zona; la Tenuta diCapezzana. La domanda, lecita, nasce duranteun piacevole pomeriggio trascorsocon questo giovane enologo, che ciha accompagnato alla scoperta deivini della più piccola Docg italiana,quella Carmignano, in provincia diPrato, a due passi dalla zona di pro-duzione del Chianti, ma diversa perepoca di vendemmia e conformazio-ne dell’intero territorio. “Carmignano anticipa sempre nel ger-mogliamento e nella vendemmiarispetto al Chianti Classico, circa due

settimane” e in alcuni areali ancheun mese, come nel caso della vignaMontefortini, dalla quale Rigoli vini-fica separatamente il sangiovese diuno dei quattro cru aziendali. Unascelta coraggiosa quella di presen-tare quattro Carmignano differentia seconda di quattro differenti ter-roir, nata un po’ dalla lucida folliae passione insieme del loro brokere importatore per il mercato statu-nitense, ma soprattutto perché,effettivamente, i terreni erano diver-si: “alberese a Santa Cristina, gale-stro e arenarie a Montalbiolo, Tufoed arenarie a Montefortini e infine

I vini piccoli e “diversi”di Carmignano

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galestro e argilla a Elzana”. E l’assaggio da botte dei sangiove-se 2008, in alcuni casi già assem-blati con piccole quantità di canaio-lo, che poi diverranno Carmigna-no, anche nelle versioni riserva, nontradiscono quelle differenze tantoinseguite in etichetta: molto florea-le con una gran dolcezza della com-ponente fruttata l’Elzana, più auste-ro, elegante e vibrante nella sua venaacida il Montalbiolo, lievemente vege-tale il Montefortini, già speziato conlievi cenni che rimandano alla mac-chia mediterranea il Santa Cristina. Con accentuati sentori di mora elievi, a dire il vero, sfumature vege-tali l’assaggio di un campione da unabotte di cabernet sauvignon e francinsieme. Sicché? L’uva “francesca”,qui a Carmignano, sente il terroircome il sangiovese o prevale, comun-que, il varietale? Quel 10 per centoche si deve, come minimo, aggiun-gere, a un massimo di 90 per centodi sangiovese consentito, influisce omeno sul prodotto finale? “Difficilerispondere” ci dice ancora Rigoli. Dif-ficile perché per molti, visto l’oramaisecolare acclimatamento del caber-net da queste parti, l’influenza sul-l’assemblaggio finale si sente, manon stravolge l’identità del sangio-vese. Probabilmente è anche inutileporsi il problema. Così, d’altronde, vuole la tradizioneda queste parti poiché, come si dicein questi casi, “si narra” che fu Cate-rina de’ Medici nel sedicesimo seco-lo a volere che a Carmignano si pian-tasse anche l’uva “francesca”, chiarastorpiatura che indicava la provenien-za d’Oltralpe delle uve. Questa “diver-sità” è sempre stata uno dei trattidistintivi, tanto da far sì che moltidefinissero il Carmignano quasi unprogenitore dei Supertuscans poiandati in voga negli anni Novanta,proprio per quella presenza di uvafrancese. Ma l’originalità di questovino non dipende solo dall’antica pre-senza, certamente significativa, diquest’ultima. Pur vicino al Chianti, tanto da esse-re inglobato nel suo primo discipli-nare del 1932 in una delle sue settesottodenominazioni, conserva pecu-liarità che lo rendono indipendente:piovosità concentrata negli ultimidue mesi di maturazione dell’uva,cioè a settembre e ottobre, una gran-de luminosità, una differenza di alti-tudine media rispetto al vicinoChianti Montalbano di circa 200metri in meno e di conseguenza unamaggior quantità di calore assorbi-to dal terreno che porta, come detto

all’inizio, a una vendemmia solita-mente anticipata. 40 chilometri qua-drati, dunque, con una chiara col-locazione pedoclimatica che, nel1975 riconquistano la loro “indipen-denza”, ottenendo la Doc per meri-to di una congregazione di viticulto-ri locali, dal cui nucleo nel 1999nascerà poi il Consorzio di Tutelavero e proprio.L’attuale disciplinare, datato 9 luglio1998, che ha modificato il preceden-te del 20 ottobre del 1990, anno diconseguimento della Docg, consen-te quel miscellaneo tipico anche nelvicino Chianti: quindi spazio al san-giovese (minimo 50 per cento), acabernet franc e sauvignon (tra il 10per cento e il 20 per cento), al cana-iolo nero (usato oramai da pochis-simi e, nel caso, per un massimo del20 per cento), a trebbiano toscano,canaiolo bianco e malvasia delChianti (da soli o insieme per unmassimo del 10 per cento) e infine aun 10 per cento di vitigni a baccarossa raccomandati o autorizzatinella provincia di Prato. Quali? Spes-so merlot e syrah che negli ultimianni stanno sostituendo progressi-vamente la triade bianca autoctona. C’è, d’altronde, fermento in questopiccolo comprensorio, che si è tra-mutato in una crescita quantitati-va, a livello di superficie vitata e diettolitri prodotti, non indifferente,senza stravolgere i connotati di unadenominazione che difende con orgo-glio e passione la sua piccola origi-nalità.Se agli inizi degli anni Novanta gliettari vitati erano poco più di 100,praticamente come ai tempi di Cosi-mo III de’ Medici, oggi superano i200, dei quali 150 destinati pro-prio alle produzioni di vini Doc eDocg. Stesso discorso per gli ettoli-tri: dai 2000 agli attuali 7000 del2007. Numeri in aumento che si tra-ducono anche in una maggior offer-ta produttiva: dal 2000 ad oggi sononate cinque nuove aziende (Tenutala Borriana, Fattoria Le Ginestre,Podere Le Poggiarelle, Podere Il Sas-solo e Colline San Biagio), nonché ilnumero di produttori aderenti alConsorzio è cresciuto e con il nuovoingresso previsto nel 2009 (Il Castel-laccio), raggiungerà le 16 unità. Ilmercato, come per molte altre deno-minazioni italiane, toscane in parti-colare, è sbilanciato all’estero: il 60per cento, prende infatti la via deipaesi della Comunità europea e d’Ol-treoceano (Stati Uniti, Canada, Bra-sile e Messico). Il restante 40 percento in Italia.

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LA DEGUSTAZIONELe degustazioni alla cieca si sono tenute nella Tenuta di Capezzana all’interno della manifestazione “Di Vini Profu-mi” giunta alla sua decima edizione. 49 i campioni testati tra Barco Reale Doc, Carmignano Vin Ruspo Doc, Car-mignano e Carmignano Riserva Docg, Vin Santo di Carmignano Doc e gli Igt locali. Un doveroso ringraziamentoalla locale delegazione Ais di Prato, coordinata da Bruno Caverni, che ha svolto il servizio dei vini in una salatanto bella quanto di non semplice gestione, visti gli spazi angusti. Vi proponiamo 10 vini, scelti all’interno dellecategorie presentate.

Fattoria di Bacchereto – Carmignano Docg 2007 Terre a Mano – Bacchereto (PO) Vitigni: sangiovese 75%, canaiolo nero 10%, cabernet sauvignon 15%

L’azienda di Rossella Bencini Tesi, dotata di uno splendido agriturismo, mostra da tempoun vivace interesse nei confronti dall’agricoltura biodinamica. Da vigne di 15 e 25 anni,con rese molto basse (33 quintali per ettaro) ottiene questa convincente versione di Car-mignano, fermentata con lieviti indigeni e affinata per 24 mesi in tonneaux da 350 lt. Spe-zie fini in apertura, con sfumature di cardamomo e un frutto dolce di ciliegia. Fresco,ottimo centro bocca e lunghezza di grande spessore e incisività.

Tenuta di Capezzana – Carmignano Docg 2006 Villa di Capezzana – Seano (PO) Vitigni: sangiovese 80%, cabernet sauvignon 20%

Vinificato in acciaio e affinato per 14 mesi in tonneaux da 350 lt, colpisce per la suamineralità, il centro bocca di grande struttura ed una persistenza lunga, fascinosa, sapi-da, che richiama i mirtilli e le ciliegie. Un campione di gran razza quello dell’azienda di rife-rimento quando si parla di Carmignano, vuoi per la qualità della sua produzione, vuoiper la storia della tenuta della famiglia Bonacossi.

Fattoria Ambra – Carmignano Riserva Docg 2006 Elzana – Carmignano (PO) Vitigni: sangiovese 90%, cabernet sauvignon 10%

Giuseppe Rigoli conduce i 20 ettari di famiglia suddivisi tra quattro cru, tra i quali l’Elzana,che esce in versione riserva. Ambra, nome scelto dalla mamma nel 1955, trae origine dal-l’omonimo poema scritto da Lorenzo il Magnifico. 24 i mesi di affinamento, 12 dei quali intonneaux da 350 lt e 500 lt e il restante periodo in botti di rovere. Un grande connubio, quel-lo tra spezie, balsamicità e ciliegia ben matura, fresca ed elegante. Così come l’impatto inbocca, deciso, snello, con tannino di ottima tessitura e finale lungo e deciso.

Piaggia – Carmignano Riserva Docg 2006 – Poggio a Caiano (PO)Vitigni: Sangiovese 70%, Cabernet Sauvignon 20%, Merlot 10%

Mauro Vannucci, ovvero Piaggia; 17 ettari di proprietà sulle colline di Cegoli, Poggetto,Santa Cristina, Mezzana e Carmignano e una riserva che riesce con eleganza a coniugareuso della barrique e grande concentrazione di estratti. Vino dolce all’impatto, nelle sfu-mature speziate di frutto. Tannini ancora vigorosi, mordenti con PAI di bella lunghezza eun finale che richiama il ribes e le note vegetali.

Tenuta Le Farnete – Carmignano Riserva Docg 2006 – Comeana (PO)Vitigni: Sangiovese 80%, cabernet sauvignon 20%

40 gli ettari totali, 8 quelli dedicati alla vite con proprietà che spaziano anche a Mon-talbano con la Tenuta Cantagallo e a Greve in Chianti con la tenuta Matrone. Di stilemoderno con una buona mano nell’uso del legno, non dimentica freschezza, buona tramasapida, tannini di grana fine e ben integrati e un’ottima lunghezza dai richiami balsa-mici.

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Marchese Pancrazi – Pinot Nero Villa di Bagnolo Igt 2007 – Bagnolo di Montemurlo (PO)Vitigno: pinot nero 100%

Un errore del vivaista, nel 1970, fece sì che venisse piantato pinot nero invece che il tra-dizionale sangiovese. La fortuna che fosse piantato in un cru dalla bella vocazionalità hafatto sì che ancora oggi venga vinificato non senza soddisfazioni. Un anno di affinamentoin barrique e un bouquet garbato, elegante, selvatico nella sua trama di frutti di bosco ecenni vegetali. Bella la distensione del frutto anche in bocca, con lunghezza di bella fattu-ra, equilibrio e tannini setosi.

Tenuta la Borriana – Barco Reale di Carmignano Doc 2007 – Carmignano (PO) Vitigni: Sangiovese 70%, canaiolo 10%, cabernet sauvignon 15%, merlot 5%

30 gli ettari sui quali si estende la tenuta tra olivi, vigneti e il complesso agrituristico. Pia-cevolmente dolce l’impatto, con note di viola e ciliegia e un tocco speziato. Semplice quan-to snello, di facile lettura e beva, tannini vivi e una lunghezza che richiama sfumature lie-vemente minerali e agrumate. Un’ottima interpretazione del carmignano “giovane”.

Fattoria Ambra – Barco Reale di Carmignano Doc 2008 – Carmignano (PO) Vitigni: sangiovese 80%, cabernet sauvignon 10%, Canaiolo 5%, Merlot 5%

Tannini di bella grana e setosità, maturazione del frutto sempre ben calibrata e fine. I vinidi Rigoli hanno un timbro inconfondibile, quello della bevibilità. Anche in questo caso,con un vino meno pretenzioso, slancio e apertura aromatica non mancano, insieme a untocco floreale di bella fattura.

Tenuta la Borriana – Carmignano Vin Ruspo Doc 2008 – Carmignano (PO)Vitigni: Sangiovese 70%, canaiolo 10%, cabernet sauvignon 15%, merlot 5%

È il rosato di Carmignano, antico retaggio, nel nome, dell’usanza del mezzadro di ritarda-re il trasporto in fattoria dell'ultima tinella di uva ammostata, dalla quale, durante la notte,"ruspava" un certo quantitativo di mosto che finiva nella sua cantina. Fresco, nervoso,di bella tensione acida, è lineare nel suo sviluppo aromatico, con i lamponi in bella evi-denza al naso.

Tenuta di Capezzana – Trebbiano di Capezzana Igt 2006 – Seano (PO) Vitigni: trebbiano 100%

Un vino nato nel 2000, con l’intenzione di rilanciare il trebbiano in Toscana, operando unaselezione massale di questo vitigno in azienda. Un vino di gran classe, perfetto nella coniu-gazione dei legni piccoli, nei quali affina per 15 mesi, e della freschezza gustativa. Burro-so, con note di frutti tropicali appena accennate e zafferano. Morbido e fresco insieme, conun finale di grande persistenza.

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‘Ociuccio porta ‘o vino e veve l’ac-qua. L’asino porta il vino ebeve l’acqua, dicono i napo-

letani. È solo uno delle centinaia dimigliaia di proverbi sul nettare di Bacco.Si tratta della testimonianza diretta diquel che il vino, nell’immaginario col-lettivo, da sempre rappresenta. “In vino veritas”. Partiamo da qui: quan-do si beve un po’ più del solito si dicela verità. Mica male unire il piacere diuna buona bevuta alla soddisfazione dipoter dire quel che si pensa vis-à-vis.Tanto, a prendersi la colpa, sarà lui: ilsolito e “maledetto” bicchiere di troppo. E poi “Il vino fa buon sangue” recita unaltro detto. Perciò, in linea con quel chela saggezza popolare suggella, come daretorto a Vittorio Sgarbi che provocato-riamente invita tutti i giovani milanesia bere vino a Salemi, di cui ora è primocittadino? Le nuove generazioni vannoeducate a quel che di prezioso produ-ciamo in Italia, dice l’ex assessore dellagiunta milanese rivolgendosi al sinda-co del capoluogo lombardo LetiziaMoratti, firmataria dell’ordinanza chegiustamente, diciamo noi, vieta la ven-dita di alcol ai ragazzi. “No ai super alco-lici, sì al buon vino”, aggiunge Sgarbi.Per tutti ecco invece una rapida e “pro-verbiale” rassegna:� A chi non beve il vino, il Signore tolga anche

l’acqua. � A chi piace il bere parla sempre di vino.� Amicizia stretta da vino non dura da sera a mat-

tino. � Bellezza senza bontà è come vino svanito.� Bevi del buon vino e lascia andare l’acqua al

mulino.� Chi ha buon vino in casa ha sempre i fiaschi alla

porta.� Chi ha buona cantina in casa non va pel vino

all’osteria.� Chi ha pane e vino sta me’ che il suo vicino.� Del vino il primo, del caffè il secondo, della cioc-

colata il fondo.� Dir pane al pane e vino al vino.� Dove regna il vino non regna il silenzio.� Il cuore è come il vino: ha il fiore a galla.� Il vino di casa non ubriaca.� Il vino fa ballare i vecchi.� Il vino è buono per chi lo sa bere.� Il vino è mezzo vitto.Perle di saggezza popolare e di vitaquotidiana nate dall’esperienza che

insegna a dosare il “nettare divino” perpoterne godere. Divino, sì; lo confer-ma la leggenda. Si narra che il vinosia un dono concesso agli uomini dalledivinità, per gli Egiziani Osiride, peri Greci Dioniso, per i Latini Bacco, pergli Italici Saturno e per gli Ebrei Noè. Le leggende sono numerose: tutte nar-rano di un dio che dona il preziosofrutto dell’uva all’uomo. La più anti-ca di queste leggende dice che Satur-no, cacciato da suo figlio Giove dal-l’Olimpo, si rifugia nel Lazio dove inse-

gna la viticoltura al re Giano che pren-de il nome di Enotrio. Un’altra leggen-da racconta che Bacco in viaggio inArabia, per riposare un momento,siede vicino a una giovane e rigoglio-sa vite che, dopo aver deciso di porta-re con sé, sradica introducendola, perripararla dal sole, in un osso di uccel-lo. Essendo poi cresciuta, la ripone inun osso di leone e ancora successiva-mente nel cranio di un asino. Giuntoa Nisa, mette il tralcio nella terra eassiste alla sua crescita con produzio-ne di grappoli d’uva meravigliosa daiquali ottiene un dolce vino che dà dabere agli uomini. Questi diventanoallora loquaci, forti come leoni, mabevendo quel nettare così esagerata-mente diventano simili agli asini. Leg-gende, dunque, che lasciano intende-re come da sempre gli effetti del vinosiano noti e che si prodigano per allon-tanare gli uomini dal vizio. Ma chesoprattutto inneggiano alla virtù disaperne apprezzare i benefici con unpunto fermo: la moderazione.

Paese che vai,proverbio che troviCHI VA VIA PERDE IL POSTO ALL’OSTERIARomagna: Chi ch’va a sant’Anna, perd e’ post a la scrannaEmilia: Chi va a sant’Anna, perd al lug e la scranaPiemonte: Chi aossa l’anca, èperd la bancaVeneto: Chi alza el culo perde el scagnoLombardia: Chi va n’campagna, perde la scagnaSicilia: Cui si susiu, locu pirdiù; cui s’assitau, locu truvau

NON SI PUÒ AVERE LA BOTTE PIENA E LA MOGLIE UBRIACAMarche: En s’pol avè la bott pina e la moj imberiacaCampania: Non è possibbele avere greco e cappucce; la vottachiena e ‘a mogliera ‘mbriaca

VINO AMARO TIENILO CAROPiemonte: Vin amar, ten’lo carVeneto: El vino amaro, tientelo caroCalabria: Vinu amaru, tenalu caru

QUANDO LA BARBA FA BIANCHINO, LASCIA LA DONNA E TIENI AL VINO Romagna: Quand che la berba la tir a e ‘stupen, lassa la dona e bedaa e’ venEmilia: Quand la berba fa al stupen, lasa el don e tent al venVeneto: Co ‘lcavelo trà al bianchin, lassa la dona e tiente al vinLombardia: Quando la bara la trà al bianchì, lassa la dona e ciapa ‘l vìPiemonte: A la barba grisulina a i veul suvens ‘l gius d’la tinaCampania: Abbecine a sessantine, llasse i ffèmmene e ppiglie u vine

� Vittorio Sgarbi

Pillole di di Luisa Barbieri

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saggezza popolareL’ANTOLOGIA ENOLOGICANon potevano mancare alcune citazioni di celebriartisti, poeti e scrittori.

Leonardo Da Vinci: “Et però credo che molta felicitàsia agli homini che nascono dove si trovano i vini buoni”Umberto Saba: “Tra un atto e l’altro, alla Cantina, in girorosseggia parco ai bicchieri l’amico dell’uomo, a cui rimar-gina ferite, gli chiude solchi dolorosi; alcuno venuto quida spaventosi esigli si scalda a lui come chi ha freddo alsole”Giosuè Carducci: “…ma per le vie del borgo dal ribollirde’ tini va l’aspro odor de i vini l’anime a rallegrar….”Catullo: “E voi andatevene dove vi pare, acque che rovi-nate il vino, andatevene dalle persone serie. Qui bacco èschietto”Confratello: “Bevo solo in due occasioni: quando sonoassetato e quando non lo sono”Oscar Wilde: “Trovo che l’alcol, assunto in dosi ade-guate, provochi tutti i sintomi dell’ubriachezza”Charles Baudelaire: “Chi beve solo acqua ha un segre-to da nascondere…”Ligabue: “Carponi si esce dalla cantina… non si entra”

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Marocco,la bellezza

della varietà

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Il canto del muezzin è un’onda. Quando arriva investe di passato e pre-sente, di suoni, emozione e polvere. Ne intuisci il vociare che porta ilmessaggio di moschea in moschea fino a quando si fa sempre più vici-

na, potente, violenta, fino a raggiungerti rumorosamente il cuore. Del Maroc-co, al ritorno, ti porti indietro la nostalgia. Dei rumori, dei colori, dei pro-fumi, degli odori, dei sorrisi delle persone. E allora metti insieme i pezzi e comprendi la grandezza delle diversità, ilmistero del cercare senza dover necessariamente trovare. Il Marocco, nonostante tra tutti i Paesi Africani sia uno dei più economica-mente indipendenti e attrezzati per il turismo, è simbolo di terre sconosciu-te, esotiche e culturalmente lontane per la maggior parte dell’Occidente. La maggioranza dei turisti del Marocco sono europei, e lo hanno reso unadelle mete turistiche più apprezzate del mondo. Dall’ambiziosa strategia ideata nel 1999 chiamata ‘Vision 2010’, che mira-va ad attrarre 10 milioni di turisti entro il 2010 e a incassare ricavi turi-stici pari al 20% del prodotto interno lordo, ad oggi, si può dire che il Maroc-co abbia raggiunto molti degli obiettivi che si era prefissato: con 8 milionidi turisti nel 2008, il Marocco ha guadagnato 57 miliardi di dirham in incas-si turistici. Un ammontare, appunto, pari al 20% del suo prodotto internolordo (127 miliardi di dollari nel 2007). Nei primi cinque mesi del 2008 ilpaese ha calcolato un incremento del turismo dell’11% rispetto agli stessimesi del precedente anno, con 927.000 turisti francesi in cima alla lista,seguiti da 587.000 spagnoli e 141.000 inglesi. È pur vero che questi stessi turisti hanno diminuito la durata della loropermanenza, visto che il livello dei pernottamenti è sceso del 3%, ma si puòcomunque parlare di risultati più che soddisfacenti vista l’aria di crisi chepare avere solo sfiorato il Paese.Ulteriore strategia volta al turismo è il ‘Plan Azur’, che mira a internazio-nalizzare il paese. Ideato e iniziato da Mohammed VI, re del Marocco, il pro-gramma prevede la costruzione di 6 Resort distribuiti lungo la costa – 5sulla costa atlantica e uno sul Mediterraneo – adibiti a seconde case e peraffitti temporanei a uso dei turisti. Il Paese prevede anche un perfezionamento degli aeroporti regionali (inparte già avvenuto per Fès e Marrakech) e la costruzione di nuovi treni estrade. Il Marocco in realtà è già molto ben collegato rispetto ai suoi“cugini” africani: dispone di eccellenti collegamenti ferroviari e stradali chemettono in comunicazione le città principali e le regioni più turistiche siacon porti che con aeroporti internazionali. Un quadro positivo per un Paese che non rientra nei ‘rivali diretti’ dell’Ita-lia ma che comunque va tenuto d’occhio, capito e analizzato, soprattuttoper quanto riguarda le problematiche in comune.Così come per l’Italia, anche per il Marocco la stagionalità è un problema:agosto rimane il mese più gettonato, con un totale di 2.027.942 pernotta-menti (2008), seguito da luglio con 1.640.518 e aprile con 1.516.864. I mesidifficili però restano, con dicembre e gennaio in coda per il 2008 con un -3% e un tasso d’occupazione delle camere del 45%. In calo anche in Italia il numero dei pernottamenti dei turisti con un ammon-tare di – 5,4% del 2008 rispetto al 2007.L’Italia soffre anche di un mercato fruito principalmente dai Paesi dell’Unio-ne Europea (in testa la Germania) per quanto riguarda la nazionalità deituristi. Questo vale anche per il Marocco, che sta lanciando diverse modifiche perrichiamare a sé un più ampio spettro di provenienza dei turisti, oggi in pre-valenza Europei (Francia, Spagna, Inghilterra, Italia, Belgio). Non solo: sicerca di recuperare le nazionalità “in fuga”, come i turisti tedeschi, la cui

di Elisa della Barba

� Le Tanneries di Fés, dove si tingono le pelli

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affluenza è diminuita di quasi il 10% dal 2001 al 2008.Per invertire questa tendenza, il Marocco ha messo inatto nuove strategie come la riapertura del Resort Spaa Taghazoute (che vanta l’argan terapia, dal prezioso oliod’argan che si può estrarre esclusivamente in Maroc-co) o il Resort Spa in Saidia (apertura 2009) e Magazan(ottobre 2009), concepiti per soddisfare la domanda tede-sca. Il Marocco sta investendo in maniera significativa ancheper una migliore distribuzione del turismo all’interno delpaese (problema che per l’Italia riguarda il Sud e le Isole,con un deficit nel 2008 dell’11,9% rispetto al 2007). Mar-rakech continua a essere la città più visitata del paese(ha, infatti, a disposizione quasi il 30% dei posti lettototali), con il 34% di pernottamenti in albergo. Fès peròha riportato già nel 2004 un incremento del 20% di turi-sti, dimostrando che una diversificazione del settore èpossibile. Fès ha migliorato la capacità dei suoi hotel eha ristrutturato la città vecchia, che vanta la Medina piùgrande del mondo. Con i suoi muri stretti stretti fra loro,uniti da grate per creare un poco d’ombra, la Medina èun labirinto che conduce a luoghi appartenenti a un pas-sato lontano, come le Tanneries, dove si tingono le pelli.Molti turisti si recano a Fès anche solo per assistere aquesto bellissimo “acquerello gigante”, che provoca com-mozione per chi vi lavora così aspramente e stuporeper la bellezza degli spazi.Va ricordato che la svolta positiva della situazione turi-stica di Fès è dovuta soprattutto ai trasporti: varie lineelow cost da tutta Europa hanno inaugurato tratte diret-te per la città senza dover fare scalo a Casablanca. Per un quadro d’insieme, le attrazioni turistiche del Paesepossono essere riassunte in 7 aree: Tangeri e le areeadiacenti, Agadir e i suoi resort sulla spiaggia, Casa-blanca, le città Imperiali, Ouarzazate, Tarfaya e i suoiresort. L’industria del turismo si avvale di un marketing vin-cente per pubblicizzare i siti storici e i monumenti: il60% dei turisti visita il Marocco per ragioni culturali.

Nel 2006 inoltre le montagne del Rif (la parte della cate-na montuosa al confine col Mediterraneo) sono cresciu-te esponenzialmente come meta turistica, visto che offro-no eccellenti opportunità di camminate e trekking damarzo a novembre. Ampia l’offerta per attrarre i turisti, dunque, per unPaese in cui il turismo è al secondo posto per entrateprovenienti dall’estero dopo l’industria dei fosfati. IlMarocco è infatti il terzo produttore al mondo di fosfati(dopo Stati Uniti e Cina), ma parte rilevante l’ha anchel’agricoltura. Con un territorio di 446.550 km quadra-ti, il Marocco è il cinquantasettesimo paese del mondoe possiede ben 85.000 km quadrati di terra arabile. Ilclima temperato fa il resto, creando un potenziale perl’agricoltura eguagliato solo da pochi altri paesi arabi oafricani: il Marocco è uno dei pochi Paesi che ha la pos-sibilità di raggiungere l’autosufficienza nella produzio-ne di cibo. In un anno il Marocco produce 2/3 dei cereali (princi-palmente grano, orzo, mais) necessari per il consumodomestico e il Paese esporta anche agrumi e verdure nelmercato Europeo.

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� Tangeri, storico crocevia di popoli e di culture

� Le strade strette della Medina di Fès, riparate dalle grate per difendersi dal calore

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Anche l’industria vinicola è sviluppata e ha dato un gran-de stimolo al settore del turismo, creando 10.000 postidi lavoro per i locali. Il Marocco vende oltre 40 milionidi bottiglie nel Paese e all’estero: il 75% della produzio-ne è di vini rossi, il 20% di rosé e il restante 5% è rap-presentato da vini bianchi. Nonostante il consumo dialcolici sia proibito dalla religione, il vino è infatti ampia-mente apprezzato dagli stranieri. Così tanto che nel 2007i più grandi produttori di vino del Marocco, i Celliersde Meknès, hanno riportato in vita il “Festival della vite”proprio a Meknès per celebrare il loro successo. Lo scopo

è incrementare il turismo nella regione e in Marocco ingenerale. Anche la produzione di tessuti è uno dei set-tori più importanti dell’economia del Marocco e impie-ga circa il 40% delle forze lavorative. Impossibile dimen-ticare per chi ha camminato in una delle Medine delMarocco lo svolazzare colorato e veloce degli abiti maroc-chini, lunghi e colorati, i jilbab. Abiti e stoffe sono lapunta di diamante dei mercati, dove vengono posiziona-ti abilmente per creare l’imbarazzo della scelta neituristi. L’Unione Europea è il cliente più importante per tessilie vestiario, con la Francia in testa, che importa il 46%della maglieria, il 28,5% dei tessuti e il 27% del prêt-à-porter dal Marocco: nel 2007 il Marocco ha esportatol’equivalente di 3,7 miliardi di dollari. Importantissimo anche l’artigianato, che porta 1/6 delPil ed è un settore in crescita. Ma il Marocco ha molte carte da giocare. Prima fratutti la cucina, molto varia visto le interazioni storichedel Marocco con diverse civiltà come i Berberi, i Mori,gli Arabi e gli Africani.Gli ingredienti freschi non mancano, abbondano fruttae verdura spesso cucinate insieme alle carni. Proceduratradizionale utilizzata ancora oggi nei ristoranti è latajine, metodo di cottura attraverso un cono di terra-cotta utilizzato come coperchio del piatto in cui la carneviene servita. Questo mantiene l’umidità all’interno, ren-dendo quindi la carne, spesso d’agnello o pollo, morbi-dissima. La razza delle pecore allevate nel Nord Africaaccumula il grasso principalmente nella coda, il che fasì che l’agnello non abbia il sapore pungente di quelloOccidentale a cui siamo abituati noi. Anche i legumi sono serviti in abbondanza, cotti al vapo-re e insaporiti con le spezie.Pesce e frutti di mare sono presenti in quantità lungo lacosta, mentre i datteri sono il regalo delle oasi del deser-to. Famoso almeno quanto la tajine è il couscous, farina disemola color crema, cotto al vapore e condito con carne

� La vita frenetica della Medina di Fès, tra lo svolazzare degli abiti colorati

� Agadir, una tra le più importanti mete turistichesull'Oceano Atlantico

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e brodo in cui è stata cotta. Anche la Pastilla, cotta al forno o fritta, composta daripieno di carne di piccione con spezie e sfoglia dolce ezucchero, è considerata una prelibatezza per le occasio-ni speciali. Tocco onnipresente sono le spezie: importate da miglia-ia di anni, alcune sono coltivate localmente. Lo zaffe-rano a Tiliouine, la menta e le olive da Meknès, arancee limoni da Fès. Le spezie più comuni sono la karfa (can-nella), kamoun (il cumino), skingbir (zenzero), libzar (ilpepe), tahmira (paprika), semi di anice, di sesamo,kasbour (coriandolo), maadnous (prezzemolo). Il loroodore e il loro colore pervade le strade delle città prin-cipali e la memoria di chiunque sia stato in Marocco.Anche le olive sono essenziali, conservate in succo dilimone e sale.A fine pasto viene servito tè alla menta zuccherato. Diimportanza almeno eguale alla qualità del tè è il ritua-le con cui si serve, velocemente e dall’alto. Anche la posizione strategica del Paese gioca la sua parte,molto prossima all’Europa e in particolar modo alla Spa-

gna del Sud. È da qui che si intraprendono gite di 3-5giorni in Marocco compiute non solo dagli spagnoli maanche dagli altri turisti, che tendono sempre di più aspostarsi verso il Marocco visto l’aumento del costo deglihotel in Spagna.Da quando poi i confini tra Algeria e Marocco sono statiriaperti nel 2008 (chiusi nel 1994 in seguito alle tensio-ni dei due Paesi per la contesa dei territori del SaharaOccidentale), molti Algerini si sono recati in Marocco perfare visita a parenti e amici o anche solo per fare shop-ping. Ciliegina sulla torta, la svalutazione della moneta loca-le, il dirham, che lo ha reso un Paese economico in cuiviaggiare, al contrario della nostra sempre più caraItalia. Al di là del mero calcolo matematico dei turisti in arrivoe delle economie, il Marocco resta un paese unico per spi-ritualità dei luoghi e incredibile bellezza dei paesaggi.Poco importa quindi se esiste la reale possibilità che diven-ti concorrente diretto dell’Italia. In fondo, in gara, corre-re con un degno rivale significa già avere vinto.

Casablanca, la Moschea di Hassan II con il pù alto minareto esistente (210 m)

� La Medina di Fès, la parte più antica della città

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Iconsigli della medicina preventiva arrivano sulle nostre tavole, anzidentro il bicchiere di vino. E non certo per condannarlo. A sostenerela tesi che il vino possiede numerose virtù che agiscono in modo bene-

fico su diversi organi sono sempre più medici e scienziati. A partire dalprofessor Renaud dell’Istituto Superiore di Ricerche di Parigi che ha potu-to accertare l’azione protettiva del vino rosso sull’apparato cardiovasco-lare. Recente è anche un protocollo del dottor David Kritchevsky delWinstar Institute di Filadelfia, in cui si dichiara che un bicchiere di vinopuò contribuire alla riduzione del colesterolo e al corrispondente aumen-

Il vino terapeutico

arriva dagli egizidi Francesca Cantiani

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to delle alfa-proteine, indispensabili elemen-ti anti-arteriosclerosi. Analoga opinione arri-va dal più famoso dietologo del mondo,Ancel Keys, dell’Università del Minnesota.Dopo esperimenti in collaborazione conil grande cardiologo Paul Dudley, Keysè giunto ad una conclusione: il succodella vite è dotato di una considerevolecapacità antibatterica e antivirale.Insomma, autorevoli studiosi sono con-cordi nel ritenere che il vino, in quan-tità controllate, abbia un positivoimpatto sull’organismo umano. E que-sto anzitutto per la presenza di glice-rina e di tannino (che blocca fenome-ni tossici) e dell’acido succinico, chestimola la respirazione muscolare.Senza contare la notevole quantità disostanze presenti, ben duecentocin-quanta, tra carboidrati, fosfati, solfati,

proteine, vitamine e vari enzimi che, inalcuni casi, possono sostituirsi agli ingre-

dienti dei farmaci. Insomma un bicchieredi vino fa bene alla salute e giova all’organi-

smo tanto più se deriva da particolari vitigni eda un’attenta stagionatura. Qualche esempio? È stato accertato comeBarolo, Barbaresco, Freisa e altre tipologie

piemontesi siano efficaci contro l’anemia egli stati di ipertensione arteriosa. I vini

dell’Oltrepò Pavese, invece, per la loroequilibrata alcolicità, danno benefici

in alcune forme di colite e in stati didepressione. I rosati e i chiarettidel Garda aiuterebbero la peristal-si intestinale, combattendo stip-si e difficoltà digestive. IlBardolino sarebbe in grado diintervenire nelle bronchiti ebronco-polmoniti. I bianchi deiColli Euganei, di San Severo, diValdobbiadene e di ConeglianoVeneto, Portogruaro e San Donàdel Piave, grazie allo scarso con-tenuto di sali, sarebbero ottimiper contrastare i calcoli renali,

biliari e l’eccesso di colesterolo nelsangue. Infine, perfetto nelle malat-

tie febbrili il Chianti, mentre l’Etnarosso siciliano negli stati di dimagri-

mento, l’Orvieto nelle astenie, come ilFrascati, il Garigliano del Sulcis, il

Cannonau di Ogliastra e il Cirò classico. El’elenco potrebbe continuare. Anche perché i vini

italiani di qualità sono oltre mille e numerosi possie-dono doti organolettiche superiori, tanto da farli considerare alimenti-medicinali. Un concetto che, nonostante gli studi recenti ne abbiano sot-tolineato l’importanza e indicato con chiarezza gli organi e le patologie suiquali influisca, arriva da molto lontano nel tempo. Un gruppo di ricercatori statunitensi ha scoperto, infatti, tracce di quel-la che era stata una medicina a base alcolica in antiche anfore egizie, risa-

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lenti a cinquemila anni fa. Gli scienziati hanno estratto residui di vino edi ingredienti medicinali ricavati da piante da anfore trovate nella tombadi uno dei primi faraoni d’Egitto, Scorpion I. Gli archeologi del Museum Applied Science Center for Archaeologydell’University of Pennsylvania, guidati dal professor Patrick McGovern,hanno esaminato con tecniche di biologia molecolare il vasellame rinve-nuto nella tomba risalente a un periodo che va dal VI al IV secolo a.C.,scoprendo la presenza di numerosi composti organici assorbiti dalle giaree dalle anfore. Sono risaliti in questo modo a identificare tracce di alcolmescolate a erbe aromatiche, quali salvia, rosmarino, coriandolo, mentae resina di pino. Per cui l’ipotesi più accreditata è che in antico Egitto,già nel 3150 a.C., veniva prodotto vino aromatizzato a scopi terapeutici.«Questi risultati forniscono una prova diretta di natura chimica che gliantichi Egizi utilizzavano rimedi medicinali che avevano alla base bevan-de alcoliche, scelte perché considerate le più idonee a diluire le sostanzedi origine vegetale» ha sottolineato il professor McGovern. Che il vino fosse considerato alla stregua di un medicinale nel mondoantico lo si ricava anche da studiosi del passato remoto, quali Plinio ilVecchio, Galeno e Ippocrate, tutti devoti estimatori dei poteri terapeuticidel nettare di Bacco, fino ad arrivare ad illustri cervelli: da Leonardo daVinci a Paracelso, da Bacone ad Erasmo da Rotterdam, da Nostradamusa san Tommaso d’Aquino. Il che sta ad indicare come da centinaia di anniil vino legato alla medicina sia una materia che ha saputo coinvolgere non

soltanto gli addetti ai lavori (vinifica-tori e distillatori) ma anche santi,scienziati, artisti, pensatori e profe-ti. Tra le ipotesi che possono spiega-re un tale interesse da parte di tali eillustri ingegni, al di là delle esigen-ze del palato, quella secondo cui ilvino e i suoi derivati erano appuntoconsiderati alla pari di medicinali, inepoche in cui le farmacie non pote-vano avvalersi dei medicinali che sitrovano oggi sul mercato. Lo dimo-stra, ad esempio, nel XIV secolo ilcardinale Vitalis de Furno, vescovodi Albano, il quale affermava che “lospirito de lo vino è una vera pana-cea” o altri esperti che lo definivano“aqua de oro”, “cielo dei filosofi”, “eli-sir di vita pro conservanda sanitatee pro conservanda juventute”. Ancheil fisico padovano Michele Savonarola(1384-1468), nonno del famosoGirolamo, prescriveva ai pazienti, percerti malanni, “vino e miele conessenza di rose”, da cui il rosolio.Prescrizioni legate al vino ci arriva-no anche dai Frati Camaldolesi cheordinavano una sorta di acquavitecalda contro la malaria e il raffred-dore. Ricetta confermata dal botani-co Pierandrea Mattioli (1500-1577)nel suo “Pedanii Discoridis de mate-ria medica, libri sex” fino adAlessandro Tadino nel suo“Ragguaglio della peste di Milano”(1684), da cui poi Manzoni trassedocumentazione per il capitolo de“I Promessi Sposi”, in cui ricorda

� Erasmo da Rotterdam, filosofo e teologo, padre dell'Umanesimo cristiano,apprezzava i principi curativi del “nettare di Bacco”

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come nei lazzaretti venisse adotta-ta la “dieta spiritosa”. Naturalmenteoggi non sono più santi e filosofi adoccuparsi dei poteri terapeutici delvino ma gli studi hanno dimostra-to ampiamente come da sempre ilvino sia considerato più di una sem-plice bevanda. Per tornare ai nostrigiorni, negli Usa è possibile indi-care in etichetta il contenuto di“resveratrolo”, un antiossidante coneffetti benefici sull’apparato cardio-vascolare, presente soprattutto nelvino rosso. Inoltre oggi si sa che ilconsumo prolungato di vino modi-fica le componenti del sangue neisoggetti considerati bevitori occa-sionali, che presentano una resi-stenza superiore nei confronti di sti-moli ossidativi rispetto alle cellulesanguigne degli astemi. In sostan-za un bicchiere di vino durante ilpasto può considerasi un sorso disalute a eccezione che si escludanogli eccessi e lo slittamento dall’usoall’abuso. � Leonardo, il grande genio, era un estimatore delle qualità terapeutiche del vino

S a n t ’A m b r o g i o d i Va l p o l i c e l l a ,Ve r o n a - Te l . + 3 9 0 4 5 6 8 6 1 3 5 6www. c a n t i n e a l d e g h e r i . i t

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l’esperto che creale differenze

L’oleologo,

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Il presidente nazionale dell’Ais Terenzio Medri si è sof-fermato, nell’editoriale del numero scorso, sulla possibi-le istituzione di un albo sommelier, non condividendo il

disegno di legge presentato al Senato. Non entro nel meritodella questione, anche perché intendo concentrarmi sullanuova figura professionale da me ideata alcuni anni fa e cheoggi, dopo averla oramai storicizzata nel frequente uso delnome, è già ben avviata e pronta a essere recepita in via uffi-ciale dai vari soggetti coinvolti nel mondo dell’olio.Mi riferisco alla figura professionale dell’oleologo, una figu-ra in verità che ha poco a che vedere con i sommelier e, ingenerale, con il mondo dei degustatori professionali. L’oleologosi avvicina infatti per natura e compiti a un’altra figura cen-trale nell’ambito del vino: quella dell’enologo. Colgo dunque l’occasione del dibattito che si è aperto su que-sto fronte sia per chiarire la mia intenzione di connotare pro-fessionalmente tale figura professionale, sia per scrivere nellostesso tempo, del mio tentativo – per nulla facile e scontatocome sembrerebbe – di ufficializzarne un ruolo professio-nale non ancora definito in tutte le sue dinamiche. L’oleologo ha un compito difficile. In quanto esperto di unamateria prima come le olive, deve giungere a un prodotto,l’olio extra vergine di oliva, consapevole che non è facile comeper il vino. Infatti, mentre l’enologo in cantina può “fare mira-coli”, l’oleologo non può procedere a trasformazioni di pro-dotto. Per ottenere l’olio non si trasforma alcuna materiaprima, come nel caso del vino, ma si effettua una pura esemplice estrazione: dall’oliva, d’altra parte, si ricava l’olioattraverso una operazione di natura meccanica che consi-ste appunto nella esclusiva spremitura del frutto.Un’operazione che può apparire semplice ma che non lo èaffatto. E se finora della figura dell’oleologo non si era sen-tita l’esigenza, oggi, con gli studi così accurati che si hannosul prodotto, l’extra vergine non è più qualcosa confinabilenel novero dei condimenti, ma è un “alimento funzionale”,quindi con un ruolo nutrizionalmente decisivo nell’ambitodella dieta. La differenza tra olio e olio ha dunque un senso eviden-ziarla: l’extra vergine non è soltanto materia grassa, c’è qual-cosa di più del grasso liquido quale appare a prima vista. E

per ottenere quel “di più” c’è bisogno di ricorrere all’oleolo-go, un professionista capace di far emergere, attraverso ilsuo lavoro in campo e in frantoio, le differenze. Mentre inpassato mancava una professionalità specifica, ora è diver-so: il ricorso all’oleologo è possibile, perché a partire dagliultimi dieci anni le conoscenze in materia si sono partico-larmente perfezionate.Non si tratta più di spremere le olive per ottenere l’olio, cisono oggi approcci che segnano una sostanziale differenzatra i vari oli prodotti, e tutto ciò indipendentemente dallecultivar e dai territori di produzione.Oggi si può per l’esattezza giungere a definire uno specificoprofilo sensoriale, ma anche un altrettanto peculiare profi-lo chimico-fisico e nutrizionale. In altri termini si può “costrui-re” un extra vergine che risponda non solo al criteri dellamassima qualità, ma anche alle mutevoli tendenze di gustodel consumatore. Gli strumenti e gli studi ci sono, le professionalità pure: sipuò dunque procedere con maggiore scientificità e non piùin maniera approssimativa come nel passato. È evidente chesi richieda proprio per questo motivo una figura professio-nale all’altezza dei compiti: da qui – ripeto – l’oleologo, nomeche ho in prima persona coniato per dare dignità profes-sionale a una figura ancora inedita, e che sarebbe da attri-buire, a pieno titolo, a quell’esperto in grado di elaborare unprodotto realmente d’eccellenza: nei fatti e non solo con leparole.In tutti questi anni ho fatto sì che tale figura professionalepotesse emergere, ma non ho mai pensato di ricorrere a unalbo, giacché gli albi sottraggono vita e senso alla realtà.Meglio insistere sulla formazione ed essere più esigenti.Proteggere il nome, questo sì. Non tutti potranno chiamar-si “oleologo”, altrimenti si banalizza un ruolo professionaleimportante e delicato, centrale nel nuovo corso dell’oleicol-tura nazionale. Allo stesso modo i sommelier, devono averecura di non svilire il proprio nome, ma di esigere da se stes-si una sempre maggiore professionalità. Senza per questoricorrere a inutili albi con l’effetto di ingessare una profes-sione che deve invece risultare dinamica e sempre orienta-ta al futuro.

di Luigi Caricato

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GLI ASSAGGISCIAURO DI SICILIA

“Magarìa”, Dop Valle del Belice, da olive Nocellara del Belice inpurezza .

Nel bicchiere. Giallo oro dai riflessi verdi, ha profumi vegetali dimedia intensità, con chiari sentori di pomodoro fresco. Morbido, edalle note amare e piccanti contenute e in ottimo equilibrio, al pala-to esprime buona fluidità e finezza. In chiusura una lieve punta di pic-cante e toni mandorlati.

L’abbinamento. Nella preparazione della salsa di olive; con crocchettedi patate alle erbe e mandorle; con carni bianche e pesci alla griglia.

Azienda agricola Sciauro di Sicilia di Calcedonio Calcara: via G. Gentile28, Castelvetrano (Trapani), cell. 339.1154001, fax 0331.975296, [email protected], www.sciaurodisicilia.it

FRANTOIO STATTI

“Carolea”, da olive Carolea in purezza.

Nel bicchiere. È giallo oro dai riflessi verdi, limpido. Al naso ha profumifruttati verdi di media intensità, dai chiari sentori di mandorla e car-ciofo. Equilibrato nelle note amare e piccanti, presenta una sensa-zione iniziale dolce al palato e una fluidità medio-elevata. Morbido,chiude con toni mandorlati.

L’abbinamento. Insalate verdi e di mare; frittelle con carote e germo-gli di soia; filetti di San Pietro con olive verdi, arancia e olio.

Statti Cantine e Frantoio: contrada Lenti, 88046 Lamezia Terme(Catanzaro), tel. 0968.456138, [email protected], www.statti.com

GRADASSI

“Lo sgocciolato naturale” è ottenuto con metodo Sinolea da oliveMoraiolo in purezza.

Nel bicchiere. Verde smeraldo dai riflessi dorati, al naso si apre conprofumi fruttati verdi intensi, dalle nette connotazioni erbacee. Algusto è sapido, con chiari rimandi al carciofo che ritornano anche inchiusura. Al palato ha buona fluidità e armonia delle note amare epiccanti. In chiusura, la mandorla e l’elegante punta piccante.

L’abbinamento. Zuppa di legumi; crostoni di pane integrale con salsadi porri e tartufo; spalla di vitello al vapore aromatico con olive.

Azienda agraria con frantoio Gradassi: via Virgilio 2, 06042 Campellosul Clitunno (Perugia), [email protected], www.cufrol.com

FRANTOIO SANT’AGATA D’ONEGLIA

“Cru Primo Fiore”, Dop Riviera Ligure-Riviera dei Fiori, da oliveTaggiasca in purezza raccolte nella campagne Martine Fascei.

Nel bicchiere. Giallo oro e limpido, al naso ha profumi vegetali tenuiche rimandano al carciofo e alla mandorla. Fine e di buona fluiditàe armonia, presenta una sensazione dolce iniziale e toni mandorlatiche si percepiscono eleganti anche in chiusura, unitamente a deifreschi sentori erbacei.

L’abbinamento. Nella preparazione del pesto; su insalate di verdurea foglia tenera; nei frittini di gamberi e zucchine alla maggiorana; susogliole con salsa di olive.

Frantoio Sant’Agata d’Oneglia: strada dei Francesi 48, 18100Imperia, tel. 0183.293472, [email protected],www.frantoiosantagata.com

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Èda un po’ che non scriviamo del BirrificioLambrate (www.birrificiolambrate.com), il primodi Milano. Aperto nel 1996, è costantemente

preso “d’assalto” da torme di amanti della buona birra.I motivi per farlo indubbiamente non mancano: i “ragaz-zi” di quello che ancora qualcuno si ostina a chiamareSkunky Pub hanno dimostrato di saper crescere in ter-mini sia di varietà di birre proposte, sia di costanzaqualitativa. Il nuovo e più moderno impianto, la piùprecisa e azzeccata suddivisione dei ruoli, l’affinamen-to delle capacità e l’ingresso nella produzione di figu-re di sicura esperienza come Maurizio Cancelli, già bir-raio affermato del bresciano Babb, hanno decisamen-te innalzato la caratura del microbirrificio che era giàcomunque di tutto rispetto. In produzione il volante è nelle mani di Fabio Brocca:a lui, ma anche a Cancelli e a Stefano Di Stefano, va ilmerito di aver recentemente inanellato una serie di otti-me birre che si sono affiancate a classici come la chia-ra luppolata Montestella, la birra di frumento Domm,l’affumicata Ghisa, l’ambrata Lambrate. La tradizione dei nomi meneghini non è comunque venu-ta meno, ormai è quasi un marchio “di fabbrica”: cosìecco l’Ortiga, che prende il nome da un quartiere diMilano (l’Ortica), la Ligera, a sua volta battezzata dalnomignolo che aveva la malavita locale attorno agli anniVenti, e infine, ultima nata al momento in cui scrivia-mo queste righe, la Drago Verde, pure in questo caso“nickname” con il quale si definivano le tipiche fonta-ne verdi che ancora si vedono in città. Ma, al di là del-l’origine dei nomi, azzeccati indubbiamente, è la qua-lità di queste birre l’aspetto che maggiormente ci inte-

ressa e, proprio perché non ci sembra una mera coin-cidenza, il fatto che tutte e tre abbiano una basso omoderato tenore alcolico e una straordinaria bevibilitàdissetante. L’Ortiga, in primis, ricorda un po’ le classiche bitteringlesi forse solo con una maggiore presenza del lup-polo, è decisamente aromatica con un bel finale seccoe pulito, una birra sicuramente da pub, ma anche daaperitivo con 5% vol. La Drago Verde, ultima nata, scende ulteriormente alivello alcolico, appena 3,7% vol, è ispirata alle lagerleggere americane, nel palato scorre facilmente ma nonsenza lasciare traccia: l’impronta dei luppoli america-ni rimane a lungo infatti. Tra tutte, a nostro modo di vedere è ovvio, impressio-na comunque la Ligera, American pale ale da 4,5% vol.Ambrata, intrigante nei profumi leggermente agruma-ti e floreali, un discreto corpo che si chiude in un lungofinale secco ed erbaceo dei luppoli impiegati. Non stanca praticamente mai ed è la birra che vorrem-mo suggerire di avere sempre a portata di mano quan-do si organizza una grigliata in giardino. Ovvero da bererilassati mentre si lavora sulle braci ardenti. Stimolal’appetito più di uno spritz o di un cocktail Martini. O,per lo meno, ne rappresenta una validissima alterna-tiva. Del resto la si può trovare anche in bottiglia. Già per-ché una delle tante belle novità del Lambrate riguar-da proprio la possibilità di avere queste birre in botti-glia. Ormai quasi tutta la gamma viaggia anche secon-do questa linea e se proprio non si riesce ad andare invia Adelchi, sede del brewpub, e nemmeno a ordinare

La birra cheparla milanese

IL PRIMO BREWPUB

DI MILANO HA

INCREMENTATO LA

PRODUZIONE

E AMPLIATO LA GAMMA

DI BIRRE: FRESCHE E

LUPPOLATE COME LA

LIGERA E L’ORTIGA,BEVERINE COME LA

DRAGO VERDE

di Maurizio Maestrelli

� I prodotti del Birrificio

Lambrate

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un impianto di spillatura “su ruote”, al Lambrate ades-so hanno pure quello, la bottiglia rimane l’unica alter-nativa praticabile. Con le sue due “sorelle” Ortiga e Drago Verde, la Ligerarappresenta la conferma, importante in questo momen-to in cui si fa un gran parlare dell’originalità dei birraiitaliani, che si possono produrre delle ottime birre “sem-plici”: semplici nel senso del tenore alcolico ma ancheper l’assenza di speziature particolari o di territorio. LaLigera utilizza luppoli quasi sconosciuti al grande pub-blico, come il Chinook, l’Amarillo o il Willamette, ma diluppolo, malto d’orzo, lievito e acqua è fatta e la sipuò bere andando alla ricerca dell’aroma particolaredel tal luppolo o semplicemente perché è una birra chetonifica e toglie la sete. È insomma una birra “didatti-ca” che ci permette di sottolineare che il valore dellabirra artigianale italiana non si misura solo nella stra-ordinaria capacità che hanno i nostri birrai di fare birre“strane”, passando dagli ingredienti del territorio, miele,tabacco, zafferano, spezie e chi più ne ha più ne metta,alle metodologie più disparate e “all’avanguardia”, maanche dalla tecnica giocata “semplicemente” sugli ingre-dienti base che determinano alla fine un prodotto digrande qualità. Insomma, la storia recente del Lambratemi porta a trarre alcune riflessioni sullo stato dell’artenel mondo della birra artigianale italiana, che mai comein questo ultimo periodo sembra essere santificatasui media con un indiscutibile ritorno d’immagine perla birra tout court. Il che, tutto sommato, è positivo,ma qualche rischio lo si corre. Quello ad esempio discambiare i birrai artigiani come una sorta di setta dicreativi strampalati con il gusto della provocazione, ilche per qualche giornalista generico può essere un’au-tentica manna. La notizia che si possa fare una birracon petali di rosa o con sale nero delle Hawaii, esisto-

no davvero, rischia però di finire nelle notizie di costu-me più che in quelle dedicate ai piaceri della tavola. Equesto sarebbe un errore perché una birra non la sidovrebbe giudicare per la “stranezza” ma, come perqualsiasi altra cosa destinata a entrare nel nostro orga-nismo, per la qualità, per gli aromi e il gusto, per l’equi-librio e la struttura, insomma per tutte le sue caratte-ristiche organolettiche. Ovviamente non credo proprioche i lettori di DeVinis, in gran parte sommelier profes-sionisti, abbiano la necessità di sentirsi questa mia spe-cie di “paternale”: li considero tutti abbastanza navi-gati da poter scegliere, giudicare e decidere. Ma, a volte, la tentazione dello scoop è forte anche aldi fuori della mia categoria, quella dei giornalisti, percui mi pare possa valere la pena richiamare, per quel-lo che mi compete, l’attenzione e invitare tutti a tene-re i piedi per terra. Tutto questo non significa affattoche le birre “strane” siano solo quello. Uno dei grandivanti del movimento artigianale è proprio quello di aversaputo esplorare nuove strade del gusto e aver contri-buito a erodere il luogo comune per cui la birra debbaessere solo frizzante, con la schiuma e leggermenteamarognola. Esistono cioè fantastiche birre con ingre-dienti del territorio e tecniche di produzione inusuali,ma sono fantastiche per il loro gusto, non per gli ingre-dienti impiegati.Per concludere dunque e come per i vini o i cibi, le birrevanno lette ma soprattutto vanno assaggiate con la con-sapevolezza che questa bevanda si declina in svariatetipologie e che ogni birra ha una sua ragion d’essereanche se fosse solo frutto della fantasia del singolo bir-raio. Ma soprattutto le birre si dividono tra quelle buonee quelle che non lo sono: è in fondo la suddivisione piùsemplice, ma è anche quella però che richiede maggio-re dedizione.

L’Intrigante

Produttore: Birrificio Amiata – Arcidosso (GR)Distributore: Turatello Italia(www.turatelloitalia.it)

Weizen artigianale tosca-na, interessante per l’aro-ma particolarmente frescoe agrumato. Si presenta dicolore giallo paglierino,velata per la presenza deilieviti, con schiumaabbondante e candida.Al gusto la notevole

componente citrica la rendemolto dissetante, ma nonmancano note frutttate e,leggere, sfumature speziate.Da abbinare a piatti partico-larmente grassi, come salsic-ce di maiale, arrosti di coppa ocon tomini piemontesi avvoltinello speck.

Westmalle Tripel

Produttore: Abbazia trappista di Westmalle -BelgioDistributore: Dibevit ItaliaTel. 02.9039251

Birra trappista eccellente, da piùparti considerata tra le migliori delmondo. Grado alcolico importan-te, 9,5% vol, ma equilibrata nellasua imponenza. Il colore è dorato

con riflessi arancioni, al nasoemergono subito le note fre-sche del luppolo, il fruttato diagrumi e una leggera spezia-tura. In bocca il corpo si sentema non penalizza affatto labevibilità straordinaria. Va ser-vita a non meno di 10° C e sipuò abbinare bene ad arrosti

e grigliate, ma è splendida su for-maggi a crosta lavata o a pastasemi-dura.

Chocarrubica

Produttore: Birrificio Grado Plato – Chieri (TO)(www.gradoplato.it)

Sergio Ormea, birraiotorinese di provataesperienza e capaci-tà, ha realizzato qual-che anno fa questabirra originale confave di cacao, avenae carrube siciliane dalbel colore del moga-no e una schiuma

abbondante e fine. Al naso rive-la note di tostatura, caffè, cioc-colato e frutta tropicale. Inbocca è morbida, quasi setosa,per niente stucchevole, anzimolto fresca e pulita. Da prova-re con dolci al cioccolato o conla classica torta “sbrisolona” diSabbioneta.

SCHEDE DI DEGUSTAZIONE

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Il mondo della distillazione è particolarmente atten-to per trovare e rafforzare vie di sviluppo laddovenascono mercati importanti e relativamente nuovi

come India, Cina e Russia che sono molto ricettivisoprattutto per prodotti definiti “de-luxe” di qualità,immagine e prestigio. Il Vecchio Continente in genera-le risulta un mercato stabile con flessioni in alcuniPaesi. Questo porta i produttori a ricercare un’imma-gine rinnovata dei prodotti consolidati che vengono pre-sentati spesso con nuova, moderna veste, sovente diqualità superiore. E’ il caso della vodka che, senza rin-negare la tradizione che continua ad avere in impor-tantissimi mercati nell’Est e nel Nord Europa e nel NordAmerica, ha introdotto nuovi prodotti definiti “ultrasuper premium”. La vodka di fatto può essere prodotta in ogni parte delmondo (oltre 3.000 marchi) utilizzando qualsiasi alcolcommestibile. Russia e Polonia sono i principali pro-duttori di vodka: oltre al largo consumo interno, laesportano in grandi quantità a livello mondiale. L’elenco è particolarmente lungo e ci limitiamo a cita-

re tra le qualità tradizionali mondiali le russeMoskovskaya e Stolichnaya, le polacche Wyborowa,Zubrowka e Zytnia. La Svezia produce Absolut men-tre Finlandia è la vodka dell’omonimo Paese. Indichiamoanche Smirnoff prodotto in vari Paesi inclusa la Russiae la statunitense Skyy. Verso la fine del secolo scorso nacquero nuove qualitàprodotte sia con cereali tradizionali quali frumento esegale, sia con orzo, mais e, grande novità, uva. La par-ticolare cura in ogni fase, la ricerca delle materie prime,le prestigiose bottiglie e l’alto costo di questo tipo divodka (alcune superano sessanta euro la bottiglia) hannotrovato, prima negli Stati Uniti e quindi negli altri Paesi,una richiesta da parte del mondo della moda, del cine-ma e teatro, delle persone più in vista con un cre-scente numero di seguaci imitatori. L’ondata di nuove bottiglie ha creato stimoli ancheper la vodka tradizionale che sulla scia sopra citata staottenendo una distribuzione incrementale a tutto campo.Le qualità ultra super premium si caratterizzano per lascelta della materia prima, generalmente frumento defi-

C’era una volta

la vodkaPER RINNOVARE L’IMMAGINE E CONQUISTARE NUOVI MERCATI SONO STATI

INTRODOTTI NUOVI PRODOTTI, DEFINITI “ULTRA SUPER PREMIUM”

di Angelo Matteucci

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nito “invernale” (si semina in autunno, è dormien-te nei mesi freddi, si risveglia in primavera e si rac-coglie ad inizio estate). La scelta dell’acquapurissima è altrettanto importante. La distil-lazione è effettuata con diversi passaggi,spesso sensibilmente superiori alla dupli-ce distillazione tradizionale e il filtraggioavviene in diverse fasi. Nascono così distillati puri ed eleganti pre-sentati in splendide bottiglie create da desi-gner a completare l’opera di marketing nel-l’offrire prodotti di grande appeal. Scopriamo quindi la vodka Beluga pro-dotta a Mariinsk in Siberia in una delle piùantiche distillerie dell’ex Unione Sovietica.Per questo distillato è usato l’orzo biologi-co, al posto dei più comuni frumento e sega-le, coltivato in Siberia. La produzione avviene con l’utilizzo di lievi-ti naturali per una lenta fermentazione del-l’orzo che rende il prodotto finale particolar-mente morbido. L’acqua purificata natural-mente da sabbia silicea è prelevata da unpozzo artesiano. Nella preparazione vengonoimmessi nel distillato le erbe siberianeRhodiola rosea e Silybum naranium oltre alattosio naturale e miele. Prima dell’imbotti-gliamento riposa fino a 180 giorni in recipien-ti di acciaio inossidabile. Beluga è disponi-bile nelle qualità Export e Gold Line.Sempre in Russia troviamo Kauffman lancia-ta nel 2002. Anche in questo caso lo scopo èdi offrire una vodka ultra super premium attaad un consumo elitario. Per raggiungere elevatirisultati si utilizza esclusivamente frumento di una sin-gola mietitura che abbia raggiunto risultati qualitativiottimali. Nasce così la vodka di annata. Il frumento è selezionato di volta in volta in una delle

sette regioni produttrici russe prescelte perpoter ottenere sempre la migliorequalità sia hard selected sia softselected. La produzione è limitata

a circa 32.000 bottiglie litro perla qualità Kauffman LuxuryVintage e 60.000 bottiglie da0,70 cl. per la vodkaKauffman Special SelectedVintage. Data la limitataquantità prodotta l’imbotti-

gliamento, in speciali bottigliecreate in Francia, avviene ciascun

anno in un’unica soluzione per daremaggiore garanzia di autenticità di annata. La vodka polacca Belvedere, che prende il nome dallaresidenza presidenziale, utilizza la speciale segale dan-kowskie gold rye. L’acqua prelevata dai pozzi artesianiè filtrata undici volte mentre quattro sono i passaggi didistillazione per ottenere una vodka eccezionalmentemorbida. Nelle 33 fasi di produzione il distillato viene sottopostoad altrettanti controlli qualità. E’ disponibile nelle qua-

lità Belvedere vodka con macerazio-ne di frutti e fiori che donano una

particolare fragranza oltre aBelvedere Intense 50° alcoli-ci con duplice passaggio infiltri di carbone di betulla. E’presentata in bottiglia deco-rata con alberi argentei edisponibile nei migliori dutyfree. L’ultima creazione è BelvedereNew IX Vodka, ispirata almondo della notte. E’ indica-ta come “new super premiumvodka” dove IX sta per ilnumero di ingredienti comeginseng, guarana, bacca diacai, ginger, mandorla dolce,gelsomino, eucalipto, cannel-la, ciliegia nera. Gli ingredien-ti sono distillati individualmen-te in piccole quantità che ven-gono uniti a vodka Belvedere50° alcolici e ad acqua artesia-na. Nel 1995 fu annunciata la pro-duzione canadese di una UltraSuper Premium Vodka utiliz-zando l’acqua ricavata da bloc-chi di ghiaccio provenienti daiceberg e trasportati dal mareartico e dall’oceano nord atlan-

tico fino alle coste delNewfoundland. Il cereale utilizza-

to è mais e la distillazione avviene con tri-plice passaggio. Il suo nome è Iceberg Canada Vodkache ha vinto la medaglia d’oro al World SpiritsChampionship del 1998 e la medaglia d’argentoall’International Wine & Spirit Competition di Londranel 2000. Xellent Vodka è prodotta dal 2004 in Svizzera intera-mente con ingredienti locali. E’ utilizzata l’acqua otte-nuta da anni di lento auto filtraggio attraverso i ghiac-ciai della catena montagnosa del Titlis nel cuore dellaSvizzera. Anche il cereale, la migliore segale, è coltiva-ta esclusivamente nel territorio elvetico con attenti con-trolli qualità.Riteniamo che il successo della vodka “moderna” apri-rà nuovi spiragli ai produttori di altri distillati che infuturo, dopo varie sperimentazioni, lanceranno prodot-ti innovativi. Un esempio è già sul mercato: la creazio-ne di un rhum agricole delle Antille denominato “RhumRhum” fortemente voluto da Luca e Paolo Gargano. E’prodotto sull’isola Marie Galante, con fresco succo inte-grale di canna (senza essere preventivamente lavorato)e lieviti naturali in alambicchi progettati dal grandemaestro distillatore Gianni Vittorio Capovilla che almomento della raccolta della canna si reca a MarieGalante per provvedere lui stesso alla distillazione.L’interessantissimo rhum è disponibile dallo scorsoanno.

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Fino ad oggi nel corso del nostro viaggio “virtua-le” nel mondo dell’acqua, o meglio delle acque,abbiamo affrontato numerose tematiche, tra le

quali la tecnica di degustazione, le modalità di abbi-namento con i cibi e, in particolare, con gli antipasti,con i primi piatti, con i secondi di carne e con quellidi pesce, la classificazione e la tipologia delle varieacque, i criteri di scelta delle stesse, la relativa norma-tiva, le nanotecnologie, le tecniche di servizio, i luo-ghi comuni e il ciclo di mineralizzazione. Prima di proseguire verso nuove tappe di questo per-corso, affrontiamo alcuni dei quesiti che sorgono piùfrequentemente a proposito dell’argomento acqua. Unodi questi riguarda il gas presente nelle acque e, in par-ticolare, i suoi presunti effetti negativi sulla salute dellostomaco. A questo proposito ricordiamo che già dal-l’anno 2003, con due decreti ministeriali, in Italia sonostate recepite le norme comunitarie sulle acque mine-rali le quali prevedono la presenza in etichetta di diver-se menzioni obbligatorie, tra le quali la denominazio-ne legale di acqua minerale naturale, eventualmenteintegrata da indicazioni sulla presenza di CO2. Le acque minerali naturali possono, infatti, essere sot-toposte a trattamenti di modifica del contenuto di ani-dride carbonica e, in riferimento a quest’ultimo, esse-re denominate acque minerali naturali totalmentedegassate, acque minerali naturali rinforzate con il gasdella sorgente e acque minerali naturali con aggiuntadi anidride carbonica. La carbonatura presenta alcu-ni innegabili vantaggi, come quello di aumentare lasensazione dissetante offerta dall’acqua stessa, non-ché quello di donare una maggiore capacità “detergen-te” che consente, così, l’ottimale abbinamento con cibigrassi ed, eventualmente, anche untuosi. Una legge-ra effervescenza, inoltre, aiuta il processo digestivo,anche se, in effetti, un eccesso di bollicine potrebbealimentare la gastrite, ovvero un’infiammazione dellamucosa gastrica. Un’altra delle domande che vengono spesso posteagli esperti riguarda il supposto effetto positivo delleacque povere di sodio nei confronti della cellulite: l’azio-ne benefica effettivamente sembra esistere, ma va anchesottolineato che quasi tutte le acque attualmente pre-senti sul mercato risultano essere povere di sodio. Ilsodio ha tra le sue principali funzioni fisiologiche, quel-

la di regolatore della pressione osmotica e di condu-zione nervosa e muscolare. Anche nel trattamento del-l’ipertensione arteriosa sono consigliate acque conbasso contenuto di sodio, ovvero inferiore a 20 mg/l. Tra i quesiti più comuni figura anche quello sulla pos-sibilità della bottiglia, ovvero del contenitore, di pla-stica di “inquinare” l’acqua in esso contenuta. La rispo-sta degli esperti è negativa: a tal fine vengono, infatti,svolti appositi e accurati test che consistono nel sot-toporre le bottiglie, per un periodo di una decina digiorni, ad una temperatura di circa quaranta gradi,per poi verificarne attentamente gli effetti.

Liscia o gassata?Semplicemente

di Davide Oltolini

� Forse non ci abbiamo mai pensato, ma le fasi di coltivazione per ottenere una mela richiedono circa 70 litri d'acqua!

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È, comunque, buona norma non lasciare mai le botti-glie d’acqua esposte al sole. Occorre tuttavia riconoscere che il vetro risulta mag-giormente protettivo in quanto, come è ovvio, alcunesostanze dannose potrebbero, almeno potenzialmen-te, penetrare nel Pet. Un altro degli usuali interroga-tivi sull’acqua è riferibile alla convinzione che beremolto faccia bene alla salute dell’individuo. Si trattadi un’informazione corretta, anche se, come già evi-denziato in un nostro precedente articolo, la teoria del-l’assunzione quotidiana di almeno otto bicchieri d’ac-qua sarebbe, secondo molti ricercatori, ormai, supe-

rata e da considerarsi alla stregua dei tanti altri luo-ghi comuni sulla salute, nonostante la sua autorevo-lezza, anche in funzione della sua presenza nienteme-no che in una raccomandazione del 1945 del Nutritioncouncil statunitense. In ogni caso si ritiene sia, comunque, meglio bere pocodurante i pasti e continuare a farlo, a piccoli sorsi,durante l’intero arco della giornata. Un ultimo ricor-rente quesito riguardarla il reale consumo umano diacqua, e i connessi sprechi, commessi da parte di ognu-no di noi, e il loro conseguente impatto ecologico. Ogniitaliano consuma mediamente, nel corso dell’interoanno, ben 215 litri circa di acqua al giorno per disse-tarsi e per la propria igiene personale, ma in realtà ilconsumo risulta molto più imponente. Si stima, indicativamente, che la cifra corretta sia supe-riore di circa 30 volte ai 215 litri, un risultato al qualesi arriva prendendo in considerazione non solo l’acquarealmente impiegata, ma inserendo nel conteggio anchela cosiddetta acqua virtuale. Con questo termine viene indicata anche l’acqua neces-saria all’alimentazione, al vestiario e a tutte le altreesigenze proprie della moderna vita quotidiana.Indicativamente necessitano, almeno con un sistemadi allevamento industriale, oltre 15.000 litri d’acquaper l’ottenimento di un unico chilo di carne di manzo.Sono, infatti, necessari tre anni prima che sia possi-bile la macellazione di un capo dal quale si ottengonodue quintali di carne. Decisamente inferiore, anche se,comunque, rilevante, il fabbisogno necessario per laproduzione di un chilo di carne di maiale che si atte-sta attorno a poco meno di 5.000 litri e quello per laproduzione di un chilo di carne di pollo che sfiora i4.000 litri. Una tonnellata di zucchero da barbabie-tola richiede, a seconda di alcune complesse variabi-li, dai 7 fino ai 12.000 litri, mentre un solo chilo dicaffè abbisogna, invece, per la propria produzione dioltre 20.000 litri. Una sola singola mela “costa”, neltempo, una settantina di litri d’acqua. Per una tonnel-lata di fibre sintetiche vengono impiegati in tutto800.000 litri, mentre per una tonnellata di lana i litririsultano 10.000. 150.000, infine, quelli necessari peruna tonnellata di acciaio e poco meno di tale cifra quel-li impiegati per l’ottenimento di una tonnellata di carta.

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Da milanese a mariese il passoè breve. Quasi un anagram-ma. E anche in termini chi-

lometrici si tratta di poco più di uncentinaio di chilometri, quelli cheseparano Milano da Santa Maria allaVersa i cui abitanti si chiamano,appunto, mariesi.Un paese che fino al 1300 non esi-steva e che sorse intorno ad una cap-pelletta contenente la Madonna ValVersa, un dipinto su tavola che ancoroggi è esposta sull’altare della chie-sa parrocchiale.Un comune di 2.600 abitanti suddi-visi in ventidue frazioni, alcune ada-giate sulle rive del torrente Versa,quello che nasce a Canevino per get-tarsi nel Po a Portalbera, e non l’al-

tro che scorre nella Val Versa asti-giana da Cocconato fino ad Asti.Una di queste frazioni di chiama Ca’del Fosso e fino a pochi anni fa vi sipoteva vedere l’ultimo “puntù” ovve-ro colui che aiutava nel guado deltorrente stendendo assi in legno.E’ un’ altra però la frazione che ciinteressa e si chiama Case Nuove,quella che ha cambiato la vita diVittorio Ferrario, di sua moglieCamilla, della piccola Bianca e deigemelli Vittoria, Giorgio e Caterina.Un salto dalla grande metropoli,Milano, alla campagna, abbando-nando un lavoro di grande soddisfa-zione, ma anche di impegno full time.“La mia vita precedente era da infor-matico. Lavoravo infatti per Investnet,una società che si proponeva comepartner per le banche e le Sim perrealizzare una piattaforma per il tra-ding on line. In pratica offrivamo unapiattaforma che permetteva ai clien-ti delle banche e delle Sim di utiliz-zare un software professionale percomperare e vendere titoli sulle mag-giori borse mondiali (Milano, Londra,New York). È stata un’avventura elet-trizzante e molto stimolante, maanche molto impegnativa: sono arri-vato a essere responsabile tecnicoper l’Italia e si lavorava anche 14 oreal giorno e quando tornavo a casami collegavo col computer per veri-ficare che tutte le operazioni di backoffice fossero andate a buon fine. Nonavevo quasi più una vita privata,vedevo poco i miei figli e dovevo sem-pre essere reperibile. Quando misono accorto che la mia testa era

Vado a vivere in campagna

DAI SOFTWARE AI

VIGNETI, DAI COMPUTER

ALLE BOTTI. E’ LA

STORIA DI VITTORIO

FERRARIO, TECNICO

INFORMATICO MILANESE,CHE CON LA

LIQUIDAZIONE ACQUISTA

UNA FATTORIA E IMPARA

UNA NUOVA

PROFESSIONE. CON

OTTIMI RISULTATI

di Pinuccio Del Menico

� La fattoria ''Il Gambero'' immersa nel verde di Santa Maria della Versa

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sempre e comunque dedicata al lavo-ro ho deciso che non potevo conti-nuare così… e mi sono rimesso ingioco”.Come ha scoperto la fattoria “IlGambero” a Santa Maria dellaVersa?“Ha avuto un ruolo decisivo miamoglie Camilla. Anche lei iniziava anon sopportare più la vita routina-ria e caotica della città, resa anco-ra più difficile dal fatto di dover cre-scere tre gemelli. Così, insieme,abbiamo deciso che avremmo volu-to vivere in campagna. Nell’estate2002 abbiamo viaggiato tra Umbria,Marche e Toscana visitando diver-si agriturismi con i nostri figli percercare di avere l’ispirazione. Ma,come succede spesso, le cose bellenascono da una serie di coinciden-ze positive. Tornati a Milano senzaesserci chiariti le idee, abbiamo deci-so di incominciare a guardare gliannunci immobiliari per trovare unacasa in campagna vicino alla cittàper viverci temporaneamente.Durante la ricerca ci siamo imbat-tuti diverse volte nell’annuncio divendita di una tenuta agricola conabitazione nell’Oltrepò Pavese. Non pensavamo facesse al casonostro, ma quando ci è capitato perle mani per la quarta volta in pochimesi abbiamo pensato fosse unsegno del destino e siamo andati avedere scoprendo che i venditorierano vecchi conoscenti di Camilla.Era una splendida giornata, legger-mente ventosa, del febbraio 2003, ilcielo era terso e dal portico di casa,

guardando verso nord-ovest, si pote-va vedere una collina con una pic-cola chiesetta sulla sommità e die-tro, in lontananza, il Monte Rosa:è stato amore a prima vista. Unasera di fine febbraio decidemmo difare la nostra offerta e dopo pochigiorni l’accordo era fatto. Un caroamico, titolare di una grossa azien-da agricola, ci presentò RobertoMiravalle, il suo agronomo, il qualeci confermò che la fattoria aveva ivigneti in ordine, che la posizioneera eccellente e che si sarebberopotuti fare ottimi vini. Cosa fonda-mentale, avevamo la disponibilitàeconomica per fare l’investimentovendendo la nostra casa di Milanoe utilizzando la mia liquidazione dal-l’azienda”. Neppure un mese dopo,ai primi di marzo 2003, VittorioFerrario si trasferisce nella sua fat-toria, “Il Gambero” e comincia la suatrasformazione da informatico inimprenditore vitivinicolo.E’ stata maggiore la soddisfazioneo i classici problemi del neofita ?“Io mi sono subito trasferito perchécominciavano i lavori in campagnae volevo subito buttarmi nella nuovarealtà e imparare il più possibile ein fretta. La casa era in perfetto statoe quindi anche il trasloco non è statodrammatico. Il resto della famiglia èarrivato definitivamente a luglio, allafine della scuola. Problemi reali e gravi non ce ne sonostati, se non quello di dover impara-re un nuovo mestiere. RobertoMiravalle mi ha presentato un amicoenologo, Enzo Galetti, col quale ci

� Vittorio Ferrario insieme alla moglie Camilla e ai suoi quattro figli

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siamo messi subito al lavoro per cer-care di trasformare al meglio quelloche la campagna ci poteva dare. Hola fortuna di avere una sorella,Laura, che di mestiere fa la graficae quindi il merito della riuscita emolto apprezzata immagine azien-dale è tutto suo. Per la parte marke-ting, comunicazione e vendite misono affidato allo Studio Rocchelliper impostare una strategia diingresso sul mercato che si sta rive-lando vincente. Piccoli problemi pra-tici ci sono stati, come la prima gran-dinata che ti porta via il 40 per centodell’uva, che però svaniscono di fron-te all’immensa soddisfazione diquando, al ristorante, senti il vicinodi tavolo che ordina il tuo vino e loesalta agli amici commensali. Inoltrela vita in mezzo alla natura ti dà unaforza incredibile. Io sono semprestato in città e mai avrei pensato dipotere avere un feeling così forte conla terra”.Qual è il bilancio dopo questiprimi sei anni di attività ?“Diciamo che tutti siamo pienamen-te soddisfatti della nostra scelta enon torneremmo mai indietro. Ibambini si sono integrati bene eBianca, l’ultima arrivata, è nata quie non andrebbe mai a vivere in unagrande città. L’azienda sta crescen-do, forse un po’ più lentamente diquanto ci aspettavamo all’inizio, manessuno poteva prevedere né il sen-sibile e costante calo dei consumi,né questa ultima crisi economico-finanziaria che ha colpito un po’tutti. Noi però siamo già pronti pernuove sfide e, d’accordo con mogliee figli, stiamo pensando a un pro-getto di riqualificazione dell’aziendasul fronte della sostenibilità ambien-tale sia dell’azienda sia della nostraabitazione che porti a un sensibileabbattimento dei consumi energe-tici attraverso la riqualificazione edi-lizia e anche al miglioramento delletecniche colturali e alle pratiche incantina.”Tutti i vini prodotti dalla fattoria“Il Gambero” hanno nomi di caval-li. Come mai?“Quando acquistammo l’azienda nonera avviata commercialmente e nelcreare la sua immagine abbiamodeciso che dovevamo puntare allamassima qualità del prodotto eanche non differenziare i vini solocon il nome del vitigno ma con qual-

cosa in più. Così mi è venuto inmente di dare ai nostri prodotti inomi di alcuni cavalli da corsa dellascuderia di mio papà, la scuderiaFert, fondata da mio nonno Vittoriocon gli amici Falck e Tanzi nel 1949.Ha avuto ottimi cavalli che hannovinto premi prestigiosi sia in Italiasia all’estero. Ora mio papà Paolocontinua con una passione che, a82 anni, lo tiene ancora incollatoalla scuderia che visita spesso lamattina presto per vedere i cavalliin allenamento. Mi sono detto chemagari questi purosangue del pas-sato e del presente avrebbero potu-to portare fortuna ai nostri vini edabbiamo scelto i nomi che meglio siadattavano”.Ed eccoli i nomi dei vini “purosan-gue”: Mercuzio (chardonnay vivace),Bobino (chardonnay), Alborada(bonarda), Teston (cabernet sauvi-gnon e merlot), Tinterosse (pinotnero), Kafir (Riesling), Bacuco (bar-bera 50 per cento, croatina 40 percento e 10 per cento uva rara) ePrincipe d’Onore (pinot nero spu-mante metodo classico).Una preferenza ?“Impossibile. Chiedere a un produt-tore quale sia il suo vino preferitoè come domandare a un padre qualesia il figlio prediletto. Noi abbiamorazionalizzato la gamma dei nostrivini puntando esclusivamente suquelli del territorio. Diciamo cheAlborada, con la sua freschezza, ilsuo aroma vinoso e quell’invitanteeffervescenza, è il migliore per unconsumo quotidiano. Anche se forse,in termini di sfida enologica, il piùaffascinante è il Tinterosse. Il pinotnero è un vitigno difficile e la suavinificazione in rosso è una vera epropria sfida. E a me le sfide piac-ciono. Penso che i risultati ci stianodando ragione e quindi continuere-mo a focalizzarci sui vini del terri-torio cercando di dare il meglio intermini di qualità e soprattutto per-sonalità del vino”. Non rimane che passare alla degu-stazione che si può fare direttamen-te alla fattoria “Il Gambero” di SantaMaria alla Versa (PV) a seguito diprenotazione.Per voi la famiglia Ferrario ha alle-stito una sala da 35 posti per degu-stare i vini accompagnati con salu-mi e formaggi del territorio e visiteai vigneti e alla cantina.

� Oltrepò Metodo Classico Brut“Principe d’Onore”

� Bonarda “Alborada”

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“Secondo quando riferiscono gli antichi studio-si, tra i quali si inserisce anche Plinio, le vitidi Ameria meritano di essere lodate, in virtù

della natura amenissima del sito che, trovandosi sul fian-co sinistro dell’Appennino, riceve il sole da oriente e l’ariache spira da mezzogiorno, atta a rendere feconde le vitie a maturare i loro umori… Abbonda di uve di ognispecie, bianche, nere, di moscatelle, ne ha pure di alcu-ni tipi particolari, come le propaggini di Malvasia fattavenire da Candia, un’uva con l’acino non molto grande,bianca e dolce… I vini di Ameria hanno quindi le quali-tà proprie di queste uve, per cui alcuni sono biondi edorati, molti sono robusti, tali che riproposti in vasi otti-mamente apprestati e in cantine ben disposte invecchia-no anche in più di 10 anni…”È uno stralcio sulla viticultura praticata dagli antichi nelterritorio amerino.Tratto da un’opera formidabile, il “De Naturalis VinorumHistoria” Libro V (Bacci, 1956) ci aiuta a precisare checi troviamo in un luogo dove la tradizione e le radicistorico-culturali di questa pratica agricola affondanonella memoria dei secoli.Andando avanti nel tempo e superando anche il flagel-lo della fillossera che alla fine dell’Ottocento distrussequasi tutti i vigneti del comprensorio (del resto così come

in quasi tutta l’Italia), è solo alla metà degli anni Settantache i produttori cambiano radicalmente tutti i metodi,sostituendo la classica alberata (vite maritata all’olmo)con il sostegno secco, sperimentando nuovi sistemi diallevamento e nuove selezioni clonali, cercando di adat-tare i singoli vitigni ai terreni. Infatti, le terre vocatissi-me, il clima ideale e l’infaticabile lavoro dell’uomo hannocontribuito a creare uno stretto legame tra produzionedi vini bianchi e rossi per arrivare ai rosati ai passiti edeccezionalmente agli spumanti.Vini che, prodotti con vitigni autoctoni o internazionali,oltre a custodire gelosamente quella precisa identità ter-ritoriale sono sempre più complessi ed eleganti graziealla ricerca della qualità sempre più elevata perché conil mutare delle abitudini sociali dei consumatori il vinosi à trasformato da alimento, sempre più, in bene volut-tuario.Il territorio amerino, a sud ovest della regione Umbriarivolto verso la valle del Tevere, partendo dal Comune diTerni e andando verso Orvieto, fino a Baschi, compren-de cantine grandi e medie, tutte prestigiose e affermatenel panorama enologico nazionale e internazionale, ealtre di piccole dimensioni con la volontà di fare dellaqualità l’elemento trainante.Oggi tutti questi vigneti, incastonati come pietre prezio-

Amelia Doc,

la rassegna

dei vini preziosi

di Sandro Camilli� Il borgo medievale di Amelia

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Piccioni selvatici all’uso di Amelia“Palombe alla leccarda”Dopo aver spiumato i piccioni si mettono allo spiedo senza togliere nulla dall’interno, né il gozzo, né gliintestini. Si fanno dapprima girare sul girarrosto per una decina di minuti in modo da liberarli da ognitraccia di umidità. Intanto, per ogni piccione, si mette in una casseruola sul fuoco un quarto di litro divino rosso asciutto, cinque grani di pepe, un chiodo di garofano, uno spicchio d’aglio e un pezzo dibuccia di limone ritagliata sottilmente e senza parte bianca. Quando il vino leverà il bollore vi si dàfuoco e si lascia bruciare l’alcool contenuto nel vino fino a che la fiamma si spegnerà. Si raccogliequesto vino nella leccarda posta sotto i piccioni che girano. Si deve poi calcolare un decilitro d’olioper ogni piccione. Trascorsi i dieci minuti di arrostitura a secco si incominciano ad ungere i piccionicoll’olio, il quale andrà a sgocciolare nella leccarda dove è già il vino, e si salano. Esaurita la quantitàd’olio prescritta si continuano ad ungere i piccioni con olio e vino insieme, i quali avranno formatonella leccarda un unico liquido. La cottura va protratta a fuoco lento per un’ora e anche un’ora emezzo, poi si tolgono dallo spiedo e si mettono in un piatto. Allora si toglie loro il gozzo, si aprono e si ritagliano in pezzi regolari, raccogliendo da una parte tutti gliintestini. Si tolgono i grecili, si aprono e si getta via la borsetta interna. I grecili aperti e ben puliti siaggiungono nuovamente al resto degli intestini e si tritano finemente sul tagliere, facendone unapoltiglia che si raccoglie in una scodella. A questa si aggiunge il liquido della leccarda passato da uncolino. In un piatto concavo si accomodano i piccioni spezzati, si ricoprono con la salsa preparata e simescolano un poco affinchè si intradano bene con il loro condimento.

Da “Il Talismano della Felicità”, Carla Boni, 1920

LA RICETTA

se sulle dolci colline, quasi tutti rivolti a mezzogiorno, traborghi medievali (Amelia di questo comprensorio ne è ilcuore), offrono allo sguardo del turista, dal punto di vistapaesaggistico, quanto di più affascinante ci possa esse-re. Ormai da quattro anni l’Associazione italiana som-meliers organizza un evento chiamato “AmeliaDoc”, lega-to alla comunicazione e alla promozione vinicola, riunen-do tutte le cantine del territorio con una kermesse ditre giorni di assoluto valore, all’interno della quale sialternano conferenze, degustazioni guidate, banchi d’as-saggio, degustazioni di prodotti tipici e brevi seminaridi abbinamento cibo-vino. Il titolo della manifestazione,volutamente ambizioso, sottolinea il fatto che un picco-lo territorio riesce a produrre eccellenze enologiche pococonosciute al grande pubblico.Ogni anno “AmeliaDoc” ospita una cantina extra-regio-nale di assoluto riferimento. Il successo della kermesseè anche un riconoscimento tangibile alla professionalitàdella nostra associazione.

DOC “COLLI AMERINI”,IL DISCIPLINARE DI PRODUZIONE

“COLLI AMERINI BIANCO”TREBBIANO TOSCANO: DAL 70% ALL’85%; GRE-CHETTO,VERDELLO, GARGANEGA, MALVASIATOSCANA, da soli o congiuntamente sino a unmassimo del 30% di cui la MALVASIA TOSCANA,ove presente, non superiore al 10%.

“COLLI AMERINI MALVASIA”MALVASIA TOSCANA: MINIMO 85%; possono con-correre alla produzione di detto vino anche il viti-gno TREBBIANO TOSCANO e altri vitigni racco-mandati e/o autorizzati per la provincia di Terni,da soli o congiuntamente, nella misura massimadel 15%.

“COLLI AMERINI” ROSSO, ROSSO SIUPERIORE, ROSATO, NOVELLOSANGIOVESE: DAL 65% AL 80%; MONTEPULCIANO,CILIEGIOLO, CANAIOLO, MERLOT, BARBERA, con-giuntamente o disgiuntamente nella misura mas-sima del 35%, di cui MERLOT, ove presente, nonsuperiore al 10%.

“COLLI AMERINI” MERLOT E “COLLI AMERNINI” MERLOT RISERVAMERLOT: MINIMO 85%; possono concorrere allaproduzione di detti vini altri vitigni raccomandatie/o autorizzati per la provincia di Terni, da soli ocongiuntamente, nella misura massima del 15%.

� I vigneti di Amelia

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LA DEGUSTAZIONE** Le valutazioni si riferiscono ai singoli campioni degustati

Agraria Ponteggia – San Gemini (TR) – Lorenzo - Igt Umbria 2005Cabernet Sauvignon 100%

Dal colore rubino con accenni granato, mediamente trasparente percorso da vividaluminosità. Dall’olfatto lineare ma non banale evoca ricordi di prugna, amarena, liqui-rizia, carbone, incenso a caratterizzare un ventaglio molto fresco e piacevole. L’assaggioè vigoroso, la carica tannica sottolinea l’espressione gustativa dove comunque trova-no spazio un frutto succoso e una buona persistenza gusto-olfattiva.

Agricola Vallantica – Loc. Valle Antica - San Gemini (TR) - Igt Umbria 2007Grechetto 100%

Paglierino luminoso, sentori di frutta a polpa bianca, erbe fresche e sottile minerali-tà, ne delineano l’espressione olfattiva. Un vino che in bocca si presenta agile di suf-ficiente persistenza, non di grande impegno con alcolicità e sapidità che ne determi-nano un buon equilibrio.

Azienda Agricola Zanchi – Amelia (TR) - Lu Igt Umbria 2007 Aleatico 100%

Si presenta con un colore rubino dove si evidenziano tracce di gioventù, limpido nondi spiccata luminosità. Dall’olfatto intenso e piacevole si percepiscono note floreali dirosa rossa, fruttate di piccoli frutti di bosco, appena erbaceo dai ricordi di lavande ederbe aromatiche. Entra in bocca con moderata dolcezza perfettamente bilanciata dallacomponente acido-sapida, ne risulta un quadro in equilibrio, snello con le componen-ti floreale e fruttata in bella evidenza, di media persistenza e ottima bevibilità.

Cantina Colli Amerini – Z. I. Fornole di Amelia (TR) - Ciliegiolo 30 anni - Igt Umbria 2006Ciliegiolo 100%

Rubino di media trasparenza, ventaglio ricco di profumi di sottobosco, piccole bac-che rosse, ricordi di geranio ben integrati con la note di legni aromatici che ne arric-chiscono il naso. Corpo deciso dove la morbidezza principalmente alcolica fatica a equi-librare una verve acido-tannica che porta ad una chiusura su toni vegetali.

Castello delle Regine – Amelia (TR) - Igt Umbria 2003 – Selezione del Fondatore Sangiovese 100%

Livrea delle grandi occasioni, rubino con riflessi granato di stupefacente luminosità.Suntuoso l’olfatto, sentori di visciole e amarene, erbe aromatiche poi radice di liqui-rizia e macis ancora grafite e polvere pirica, nobilitato da soffi balsamici. In bocca sipresenta vigoroso ma non massiccio, rivela una grande morbidezza retta da tanniniincisivi ma serici perfettamente sciolti nella carica sapido-tartarica. Ritorni di fruttae spezie portano con dinamismo ed energia a un lungo ed appagante finale.

FALESCO – Montecchio (TR) - MARCILIANO - IGT UMBRIA 2005 Cabernet Sauvignon 70%, Cabernet Franc 30%

Lento e coeso nel roteare nel bicchiere, dal colore rubino compatto ed impenetrabile,esprime accattivanti note di piccoli frutti rossi, radice di liquirizia, legno di cedro,accenni di peperone, mineralità ferrosa, spunti balsamici e mentolati. Il gusto di gran-de morbidezza con giusta verve acida e struttura tannica vellutata, entra quasi gras-so e si sviluppa con delicatezza riproponendo precise sensazioni fruttate, speziate evegetali in perfetta rispondenza.

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Fattoria Le Poggette – Montecastrilli (TR) – Torre Maggiore - Igt Umbria 2004 Montepulciano 100%

Veste di colore rubino con netti riflessi di evoluzione, presenta un ventaglio olfattivodi bella evoluzione impostato su note di frutta rossa in confettura, speziatura dolce,soffi minerali di terra asciutta e incipiente etereità. Entra in bocca robusto con nettasensazione pseudo-calorica sostenuta da grande morbidezza, piena sapidità e unosmussato tannino conducono a un finale non di grande dinamismo su ricordi difrutta essiccata e ritorni minerali.

La Palazzola – Terni – Brut Grand Cuvee 2005Pinot Nero 80%, Chardonnay 20%

Brillante veste, paglierino con riflessi oro antico e bollicine minute che risalgono il cali-ce. Al naso è fruttato con note di ananas e pera, erbe aromatiche, lieviti con un accen-no di etereità. L’assaggio palesa grande morbidezza, perfettamente bilanciata da unacremosa effervescenza e sostenuta sapidità. Puntuale e corrispondente all’olfatto lapersistenza su toni dolci e minerali.

Azienda Agricola Le Crete - Giove (TR) - Cima del Giglio - Doc Colli Amerini 2008Malvasia 100%

Bellissima luminosità di un giallo paglierino con leggeri riflessi oro-verde. Cattura l’ol-fatto con sentori di camomilla, salvia, melone bianco, nespola ed è netta la nota mine-rale in un quadro di tipicità varietale ben espresso. Bocca impegnata da grande mor-bidezza con gentile ed impercettibile contributo zuccherino, torna in chiusura il rilie-vo minerale a caratterizzarne la buona persistenza.

Sandonna Azienda Vitivinicola – Giove (TR) - Doc Colli Amerini 2007Merlot 100%

Di un bel rubino luminoso, si concede all’olfatto con frutti neri sospinti dall’alcol, spe-ziatura dolce e un minerale ferruginoso anticipano un tappeto erbaceo. Il sorso è pienoe appagante, con trama tannica sottile di buona sapidità, i richiami alla frutta e allesensazioni speziate ne sottolineano l’ottima rispondenza gusto-olfattiva.

Tenuta Agricola Dei Marchesi Fezia - Narni Scalo (TR) - Santrema - Doc Colli Amerini SuperioreSangiovese, Ciliegiolo, Merlot

Vino dal colore rubino con riflessi di evoluzione di media trasparenza. Spettro olfatti-vo da iniziali note di frutta rossa, visciola, mora a note scure di china rabarbaro e liqui-rizia, in mezzo una folata vegetale. Bocca di buona complessità, con gusto caldo,tannini mediamente sottili, con buon dinamismo termina con ritorni vegetali.

Tenuta Pizzogallo – Amelia (TR) – Igt Umbria Bianco 2007 Malvasia, Trebbiano

Dall’aspetto mediterraneo, colore paglierino con riflessi dorati, di ottima consistenza.Lascia sfilare al naso dolci note di albicocca, fico bianco, fieno asciutto, a completareil quadro accenni di grafite e yogurt. Assaggio vibrante per la decisa freschezza e sapo-rita mineralità, non proprio equilibrato ma di piacevole beva.

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Nel panee nel vino

c’è la nostra storia

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Accanto al pane, necessario pervivere, c'è sempre il vino, che,pur non essendo indispensa-

bile per la sopravvivenza, permette diconcedersi una pausa gioiosa dalleincombenze terrene. E' quanto affer-ma Enzo Bianchi, l'autore del godi-bilissimo libro “Il pane di ieri”1. Non si può parlare infatti di panesenza accostarlo a un bicchiere divino. E' il vino quello che realmentescalda i cuori e che riscatta l'uomodalle fatiche quotidiane.Ma il vino non è solo un break gio-ioso nel “logorio della vita moderna”,esso è anche una delle più feliciespressioni della sapienza umana,il luogo dove il binomio cultura –natura trova una perfetta esaltazio-ne. Natura, in quanto il vino è il frut-to della terra, e cultura, perchè il vinoè il prodotto di un lungo e faticosoprocesso di lavorazione, fatto disapienza, tecnica e ingegno.Sin dall'antichità il vino ha fatto daspartiacque tra i popoli civilizzati e icosiddetti “barbari”. Nel mondo grecola coltivazione della vite, ma soprat-tutto il saper bere vino, è il contras-segno della cultura e della civiltà.Secondo la tradizione, fu Dioniso afar conoscere il vino agli uomini. Eglifu il dio da cui nacque la civiltà e conil suo culto il vino divenne il “netta-re degli dei”2.

Questa sorta di “umanesimo” del vinopermea e caratterizza profondamen-te anche la “civiltà cristiana”, che, adifferenza del mondo greco, investeil vino di un profondo significato sim-bolico, connesso alla salvezza e allavita. E non solo.Se la storia dell'umanità narrata dallaBibbia inizia con la “trasgressione ali-mentare” di Adamo e Eva, la nuovaalleanza tra Dio e l'uomo di cui parlail Vangelo è sancita da due alimenti,il pane e il vino, che diventano i sim-boli stessi del Cristianesimo.“La celebrazione della “Cena delSignore”, ovvero la ripetizione degliatti fondanti dell’Ultima Cena (spez-zare e mangiare del pane, bere delvino), è l’atto centrale del culto che icristiani rivolgono a Dio ogni dome-nica, giorno della risurrezione diGesù, primo giorno della settimana”- commenta il professor ValerioMarchi, cultore di Storia della Chiesa,attualmente assegnista di ricercapresso l'Università di Udine e da oltrevent'anni evangelista della Chiesadi Cristo udinese, una piccola comu-nità di cristiani il cui anelito è il recu-pero della purezza del cristianesimodelle origini. “Lo scopo è quello di immedesimar-si appieno nella ‘comunione’, ossiaunione con il Signore e fra i fratelli infede – prosegue il professor Marchi

“DA SEMPRE, DAI TEMPI

DI NOÈ APPUNTO,ACCANTO AL PANE DEL

BISOGNO, AL PANE CHE

SFAMA, AL PANE

QUOTIDIANO

NECESSARIO PER

VIVERE, L'UOMO HA

AVUTO IL VINO DELLA

GRATUITÀ E DELLA

FESTA: UNA BEVANDA

NON NECESSARIA ALLA

SOPRAVVIVENZA, MA

PREZIOSA PER LA

CONSOLAZIONE, LA

GIOIA CONDIVISA,L'AMICIZIA

RITROVATA...”

(ENZO BIANCHI, IL PANE DI IERI)

di Maddalena Giuffrida

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– ‘Fate questo in memoria di me’3 hacomandato Gesù, e il vino è parteintegrante di questa memoria che nonè nostalgia di un passato morto oindefinito, bensì esperienza spiritua-le costantemente e profondamentevissuta: la presenza in ispirito delSignore nel “banchetto” cristiano.Gesù rende il vino rappresentativodella donazione totale di sé sullacroce, della spremitura del propriointero essere che ha come effetti lavita e la gioia eterne per chi parteci-pa all’opera di Redenzione diventan-do cristiano, cioè convertendosi a

Cristo ed entrando a far parte delNuovo Patto - continua il professorMarchi - : ecco allora che il ‘calicedella benedizione’, nel culto cristia-no, simboleggia la comunione col san-gue di Cristo. D’altronde, condivide-re il frutto del faticoso lavoro nellavigna, simbolo del Regno di Dio4, indi-ca l’unione nell’amicizia, nella fratel-lanza, nella felicità per i doni di Dioche sostengono e allietano l’esisten-za. ‘Il tuo amore è migliore del vino’,dice l’amata al suo amato nel Canticodei Cantici5. Anche l’amore di Gesùè migliore, immensamente miglioredel vino, ma come l’amata del Canticoha scelto il paragone del vino, così hafatto Gesù: il simbolo non è la realtà,ma ha quelle caratteristiche che lapossono evocare, rappresentare,attualizzare”. A proposito del significato simbolicodel vino e del pane nella Eucare -stia/Cena del Signore, sono profon-de le differenze teologiche nel cosid-

detto “mondo cristiano”. Con ledovute cautele derivanti dalle

semplificazioni, per la Chie-sa cattolica vale il princi-pio della “transustan -ziazione”, ovvero dellapresenza reale di Cri-sto nel vino (e nelpane), mentre, più ge -nericamente, le Chie-

se nate con la Riforma, in particola-re i Luterani, sostengono la “consu-stanziazione”, ovvero la compresen-za del vino (e del pane) con il san-gue e con il corpo di Gesù.Ma, al di là delle divergenze teologi-che, c'è da dire che si deve in granparte alla Chiesa la salvezza della viti-coltura, soprattutto nei secoli delleinvasioni barbariche, quando anchei vigneti non furono risparmiati dalleincursioni e dalla distruzione.Fu proprio l'uso sacramentale del vinoa rendere necessaria la coltivazionedella vite e furono in gran parte imonaci, custodi delle tecniche di viti-coltura e della vinificazione, a mette-re in salvo la coltura (e cultura!) dellavite in Europa.Se in Francia dobbiamo ringraziarei cistercensi per il Clos de Vougeot elo Chablis, in Italia ai monaci diGrottaferrata dobbiamo il Frascati, aiBenedettini il Santa-Magdalena e aiTemplari il Locorotondo di Puglia. Lalista del contributo di questi “Padridella Vigna” all'enologia è molto lunga:dall'Austria alle rive del Duero, dallaSvizzera all'Ungheria, l'Europa delvino ha un enorme debito di ricono-scenza nei confronti di monaci, bene-dettini e frati, il cui ruolo in campoenologico resterà dominante fino alXVIII secolo6.Ai nostri giorni un interessante seg-

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mento di mercato è rappresentato dalcosiddetto “vino da messa”, prodottonon solo da monaci e suore, maanche da laici. Nell'astigiano esiste persino un auto-revole Gruppo di studio internazio-nale, denominato “Vino sull'altare”che, nato nel 1987 ad opera di ungruppo di professori, sacerdoti, tec-nici, ecc, si propone l'approfondimen-to e la documentazione storica, litur-gica e scientifica del “vino da messa”,organizzando da diversi anni semi-nari internazionali. Il suo fondatore,Roberto Bava, è uno dei fornitori delVaticano con il suo moscato liquo-roso “Alleluja”, frutto delle ricerche

del Gruppo di studio e prodotto inesclusiva per l'uso sacramentale.Destinato al clero è anche il “Malvaxiasincerum”, un passito di Malvasia diSchierano in purezza con tanto di eti-chetta in latino e autorizzazione dellacuria vescovile di Casale Monferrato.“I dati su questo mercato non esisto-no ufficialmente - spiega RobertoBava – perchè si tratta di un univer-so ristretto e non soggetto a statisti-che. Teoricamente il consumo mini-mo si aggira intorno al milione di litriannuo. La produzione è frazionatis-sima, regionale e con poche etichet-te”.Ma quali sono le caratteristiche diquesto “vino divino”? Contrariamente a quanto si potreb-be pensare, dato il simbolismo con ilsangue di Cristo, il vino da messa nonè sempre rosso. Anzi, nella maggiorparte delle volte, i preti celebrano lamessa con il vino bianco e questo peruna ragione di ordine pratico. Il bian-

co, infatti, sporca meno del rosso gliarredi sacri. Per il rito ortodosso, inve-ce, il vino è rigorosamente rosso.Secondo il Codice di Diritto Canonico,il vino della celebrazione eucaristicadeve essere “naturale, del frutto dellavite e non alterato”7 e deve essere tem-perato con un po' d'acqua. L'aggiuntad'acqua al calice dell'Eucarestia haavuto nella tradizione cristiana diver-se interpretazioni simboliche.Secondo San Cipriano l'acqua aggiun-ta al vino rappresenta il simbolo del-l'unione di Cristo con la Chiesa, men-tre per Sant'Ambrogio essa è l'imma-gine del sangue e dell'acqua che sgor-garono dal costato di Gesù durantela sua crocifissione8. E di vino si parla molto anche neiVangeli. Uno dei primi miracoli diGesù ha per protagonista proprio ilvino e si svolge durante un banchet-to di nozze, dove, malauguratamen-te a metà della festa, il vino finisce.Gesù, salvando invitati e sposi da untriste epilogo della loro festa, trasfor-ma l'acqua in un vino, giudicatomigliore rispetto a quello che era statoservito poco prima9.Un piccolo saggio della farmacopeadel tempo è contenuto in una dellepiù note Parabole di Gesù, quella delbuon samaritano. Questi, di frontead un uomo ferito, mette in atto unavera e propria azione di pronto soc-corso adoperando olio e vino10.Un accenno al potere terapeutico delvino ci proviene dall'apostolo Paolo,quando consiglia al giovane predica-tore Timoteo di bere anche un po' divino (e non solo acqua!) per allevia-re i problemi di stomaco e le frequen-ti infermità di cui l'uomo soffriva11. I vescovi e i diaconi della Chiesa, trale altre virtù, non devono “essere dedi-ti a molto vino”12.Numerosi sono anche nel Vangelo iriferimenti alla simbologia della vitee della vigna. Gesù definiva se stes-so “la vera vite”, i suoi seguaci “i tral-ci”, per significare l'unione e la comu-nione di Cristo con i suoi fedeli13.Gesù paragona il suo Vangelo al “vinonuovo”14 che squarcia i vecchi otri,instaurando un nuovo rapporto tral'uomo e Dio, privo dalle catene di unareligiosità che gli “scribi e farisei” aitempi del Messia avevano ridotto aun atto vuoto e formale di osservan-ze di regole, anche alimentari. Al pari dell'ebraismo, il cristianesimocondanna l'ubriachezza e, in genera-le, l'uso smodato di cibo e vino. Se il

� Numerosi sono i riferimenti nelVangelo alla simbologia della vignae della vite

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vino è fonte di gioia e di piacere, l'usoeccessivo e improprio, al contrario,nuoce alla vita spirituale15.Ma al di là della condanna dell’ecces-so e dell’ubriachezza, il vino, nel suosignificato traslato, è non soltantosimbolo di vita e di salvezza, maanche di gioia, di allegria e d’amore.Se i castighi divini sono preannun-ciati con la privazione del vino16, percontro la felicità promessa da Dio èspesso espressa con abbondanza divino17. Per i cristiani, dunque, il vino è unabevanda che racchiude in sé una poli-semia di significati che attraversanoprofondamente tutta la SacraScrittura.Per quanto riguarda particolari restri-zioni alimentari, il cristianesimo, adifferenza dell'islamismo ed ebrai-smo, non possiede una regola alimen-tare che proibisca la carne di un ani-male o l'uso di bevande alcoliche. Alcredente è chiesto di accostarsi al ciborendendo grazie a Dio attraverso lapreghiera18 e di assumerne con sobriamoderazione e senza eccessi Per ebrei e musulmani, invece, l'iden-tificazione religiosa passa molto più

profondamente anche attraverso ilcibo ed è regolata da un rigido codi-ce alimentare.Al contrario il cristiano, esente dainterdizioni alimentari, attribuendoun ruolo preminente al vino, segnaproprio attraverso questo importan-te elemento simbolico la sua appar-tenenza religiosa e, quindi, anche lapropria identità.Pur con le dovute differenze, cristia-nesimo, islamismo e ebraismo trova-no proprio nel vino un denominato-re comune importante, per il forteruolo simbolico che esso riveste nel-l'ambito di tutte e tre le religioni, comeabbiamo visto nei precedenti nume-ri di DeVinis.E torniamo, così, al punto da cuisiamo partiti, ovvero al vino come ele-mento culturale irrinunciabile percomprendere l'uomo e la sua storia.Per dirla con Enzo Bianchi, se il vinonon garantisce la sopravvivenza, cer-tamente i suoi ”effetti collaterali” nonsolo aiutano a vivere meglio, ma rap-presentano una tappa importante inun cammino che parla di amicizia,dialogo, confronto, diversità, condi-visione e gioia.

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� Gesù trasforma l'acqua in vinoalle ''Nozze di Cana'' in un affresco di Giotto nella Cappella degli Scrovegni,Padova

1 Enzo Bianchi, Il pane di ieri, Einaudi, 2008, pag.502 Massimo Donà, Filosofia del vino, Tascabili Bompiani, 20033 Vangelo di Luca, 22:194 Vangelo di Matteo, 20:15 Cantico dei Cantici, 1:26 Raimond Oursel, Leo Moulin, Reginald Gregoire, La civiltàdei monasteri, Jaca Book, 19987 Canone 924 ,Codice di Diritto Canonico,1993 -http://www.vatican.va8 Alfredo Luciani, L'Angelo della Temperanza. Il bere mode-rato, Biblioteca Carità Politica, 2003

9 Vangelo di Giovanni, 2:1010 Vangelo di Luca, 10:25-3711 I Lettera a Timoteo, 5:2312 I Lettera a Timoteo, 3:2-813 Vangelo di Giovanni, 15:1-1014 Vangelo di Luca, 5:37-3915 Lettera agli Efesini, 5:1816 Deuteronomio, 28:3917 Isaia, 25:618 I Corinzi, 10:31

NOTE

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A Cerviagli Stati generali

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Verifica, confronto e program-mazione. Sono stati i temi cen-trali affrontati nel corso del

Forum dei presidenti svoltosi a Cervia,in provincia di Ravenna. Tutti i nume-ri uno delle sezioni regionali Ais si sonoincontrati con la Giunta esecutiva perfare il punto della situazione delle atti-vità sviluppate sull’intero territorionazionale e per uno scambio di idee eproposte per il futuro.Al centro del dibattito si è posto innan-zi tutto il Disegno di legge 720/09 perla disciplina della professione di som-melier. La materia è già stata ampia-

mente approfondita negli ultimi mesie l’Ais ha espresso la propria opinio-ne al riguardo attraverso la voce delpresidente Terenzio Medri propriosulle pagine di questa rivista e sul sitoweb ufficiale. L’associazione tramite le sue sedi loca-li ha creato forti legami con le strut-ture territoriali di tutto il Paese, rice-vendo collaborazione e riconoscimen-ti per l’impegno dedicato all’organiz-zazione di manifestazioni culturali,ponendo professionalità e competen-za al servizio della diffusione e dellavalorizzazione dei prodotti tipici ita-

liani. Il parere dei presidenti regiona-li è stato perciò unanime: il Ddl cosìcome è stato strutturato, tra l’altrosenza consultare i diretti interessati,andrebbe a discapito di tutto quelpatrimonio che si è creato in decen-ni di attività didattica con la realizza-zione di corsi e testi divulgativi, non-ché con la valorizzazione di eventi chehanno portato i vini e le peculiaritàgastronomiche della nostra splendi-da penisola in ogni angolo d’Italia e ingiro per il mondo. La discussione deipresidenti ha valutato poi anche l’in-tervento dell’Associa-zione a sostegnodei terremotati dell’Aquila nel periodoche ha seguito il sisma. Attraverso lasezione regionale dell’Abruzzo era statapredisposta infatti una raccolta di fondia partire dai giorni immediatamentesuccessivi al disastro.L’iniziativa, oltre a fornire naturalmen-te un aiuto concreto e immediato allepopolazioni senza dimora, ha avutouna forte valenza simbolica per l’agri-coltura e l’economia rurale dell’aqui-lano: la fiducia per ripartire subito piùdeterminati che mai e per non per-dere quelle antiche tradizioni e queisapori locali di aree montane che rap-presentano un’enorme risorsa per que-sta terra.Le sezioni regionali si sono proposteinoltre di consolidare sempre più quel-la serie di concorsi, spesso denomi-nati “master”, che in tutto il territorioitaliano portano i sommelier Ais a con-frontarsi, a competere e, in un certosenso, a dare spettacolo: oltre a favo-rire l’innalzamento della professiona-lità e della preparazione dei parteci-

Un brindisi specialeI presidenti, per “rinfrescarsi” le idee, hanno partecipato a unacena in cui è stato accolto come gradito ospite André Beaufortcon i suoi incredibili vini.Il produttore francese ha lasciato per pochi giorni la sua cantinadi Ambonnay per far degustare ai vertici dell’Ais alcune dellesue eccellenze, realizzate proprio nel cuore della regione cheha dato il nome al protagonista per antonomasia dei brindisi: loChampagne.L’attività di André e Jacques Beaufort va citata non solo per lastraordinarietà delle loro bottiglie. Ormai da anni l’azienda nonutilizza più diserbanti e procede a una sarchiatura superficialeper limitare la diffusione delle erbacce senza intaccare le radicidella vite. I concimi chimici sono sostituiti da un compost vege-tale. Ripartito su tutta la superficie del suolo, trattiene la quantitàdi humus necessario alla vite e costituisce una sorta di schermoche mantiene più a lungo l’umidità in caso di siccità. Un modo esemplare di imporsi sul mercato, puntando non soloal fatturato ma orientandosi anche al rispetto della natura e allasalvaguardia della salute dei consumatori.

92_93 Forum Presidenti Ais.qxd7:Layout 1 14-09-2009 16:17 Pagina 92

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panti (tutti sommelier usciti dai corsi ufficiali), pro-muovono la diffusione della cultura del vino e del“bere bene e consapevole” negli strati più variegatidella popolazione in tutte le regioni. In particolare,si è riscontrato che queste manifestazioni, spessovere e proprie sfide tra sommelier a “colpi di sorsi”,costituisco un vero e proprio traino per rendere notele altre attività dell’Ais. Non c’è niente di più effica-ce per convincere la gente a frequentare i corsi e leiniziative associative che il mostrare, anche in manie-ra originale e coinvolgente, la competenza, la passio-ne e la preparazione dei nostri sommelier. A talproposito, la figura del “Miglior Sommelier d’Italia”,l’annuale vincitore del prestigioso “Trofeo GuidoBerlucchi”, sarà valorizzata ancor di più nelle sta-gioni a venire come vero e proprio portavocedell’Associazione con la sua partecipazione a degu-stazioni, fiere, tavole rotonde e concorsi.Sono stati infine affrontati i metodi di divulgazionee promozione delle attività Ais per i mesi futuri. Leimmense potenzialità della rete e la diffusione sem-pre più capillare dei nuovi media tra i giovanissimisono elementi che non saranno trascurati. L’operadell’Ais infatti si svilupperà in maniera sempre piùintensa proprio attraverso Internet, diventato ormaiveicolo di informazioni in tempo reale su scala mon-diale. Tutto ciò che potrà essere materia di discus-sione e approfondimento viaggerà nel web.L’unica azione, però, che la rete non potrà mai com-piere sarà quella di divulgare ciò che è racchiuso inun buon bicchiere di vino. A questo, ancora per tantotempo, penserà l’Ais.

(E. L.)

� André Beaufort e la first lady dell’Ais Luciana Medri

� Il forum dei Presidenti

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Le difficoltà che comporta in fasedi coltivazione, sommate allanon facile gestione enologica,

hanno contribuito a far acquisire alPinot nero uno status nobiliare inter-nazionalmente riconosciuto, tanto chegli agronomi e gli enologi in grado diottenere buoni risultati con questovitigno sono tenuti in alta considera-zione. Il Pinot nero, preceduto come impor-tanza solo dal Sauvignon, ha gioca-to un ruolo di primo piano per lo svi-

luppo del settore vitivinicolo neoze-landese, il quale è stato trainato e fattoconoscere in tutto il mondo grazie pro-prio ai risultati ottenuti da questi duevitigni. Una progetto di collaborazio-ne con la New Zealand WinegrowersAssociation di Auckland, con ilConsolato della Nuova Zelanda diMilano e la New Zealand Trade andEnterprise, mi ha portato nel maggio2008 nelle regioni neozelandesi di rife-rimento per la produzione di questovitigno.

La Nuova Zelandaringrazia

il Pinot nero

COL SAUVIGNONQUESTO VITIGNO HA

CONTRIBUITO ALLO

SVILUPPO DEL SETTORE

VITIVINICOLO DEL

PAESE

di Riccardo Castaldi

94_97 Castaldi Pinot Nero Nuova Zelanda.qxd7:Layout 1 15-09-2009 14:49 Pagina 94

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UN VITIGNO IN ESPANSIONEIl Pinot nero è presente sul suolo neo-zelandese dal 1897, anche se i primirisultati enologici di rilievo vengono fattirisalire alla metà degli anni Ottanta,quando la sua coltivazione si è diffusanel distretto di Martinborough, all’in-terno della Wairarapa region, situatanei dintorni di Wellington, nella por-zione meridionale della North Island.Nel corso del decennio successivo ilPinot nero è stato messo a dimora intutte le regioni della South Island,

ovvero Marlborough, Nelson, Canter -bury/Waipara e Central Otago, non-ché in alcuni siti particolari dellaNorth Island rientranti nelle regioniHawkes Bay, Gisborne e Auckland,dando vita a una impressionante cre-scita che, sull’onda del successoriscosso soprattutto nei mercati este-ri, non si è ancora fermata. Nell’arcodel periodo 1996-2006 il Pinot nero èdifatti passato da 431 a 4.063 ettari,divenendo il secondo vitigno più col-tivato dopo il Sauvignon a spese delloChardonnay, mentre nel 2008, secon-do i dati forniti dalla New ZealandWinegrowers Association, ha raggiun-to 4.638 ettari.La maggior superficie di Pinot nero èconcentrata nella Marlborough region,nella quale è stato inizialmente messoa dimora per la produzione di spuman-te metodo classico, che detiene il 44per cento del totale, la quale è segui-ta dalla Central Otago region con il 23per cento, Wellington region con il 14per cento, Canterbury/Waipara regioncon il 9 per cento e Nelson region conil 4 per cento. Nel corso della vendem-mia 2008, che è stata la più abbon-dante in assoluto nella storia vitivini-cola del Paese, sono state prodotte32.878 tonnellate di uva Pinot nero,corrispondenti a una resa media di7,09 tonnellate per ettaro. Negli ultimi le esportazioni di Pinotnero sono aumentate vertiginosamen-te, passando dai 0,3 milioni di litri del

2000 ai 4,9 milioni di litri del genna-io 2007, facendo registrare una cre-scita del 1534%; i mercati di riferi-mento sono rappresentati da RegnoUnito, Stati Uniti e Australia, che con-giuntamente assorbono l’85% delPinot nero prodotto. Le esportazionidi Pinot nero in Italia, come per tuttii vini neozelandesi, sono al momentoancora esigue ma non manca l’inte-resse verso il nostro Paese, conferma-to dal fatto che nel 2009 la NuovaZelanda sarà presente per la primavolta al Vinitaly.

UN AMBIENTE DI COLTIVAZIONE IDEALEIn Nuova Zelanda il Pinot nero ha tro-vato condizioni pedoclimatiche otti-mali per lo sviluppo e la maturazio-ne, che assieme alle pratiche agrono-miche di gestione del vigneto e alletecniche adottate in cantina, messe apunto grazie anche a una ricerca con-creta e mirata, ne hanno consentitoun’espressione ad alti livelli per granparte della sua produzione.Senza dubbio dalla Nuova Zelandaprovengono la maggior parte deimigliori Pinot nero prodotti nel NuovoMondo, sicuramente in grado di con-frontarsi alla pari con quelli prodottinel Vecchio Continente, visti i risul-tati conseguiti nei principali concor-si enologici internazionali e soprat-tutto il gradimento espresso dal mer-cato. Tra le caratteristiche che ren-dono l’ambiente di coltivazione neo-

� Vigneti di Pinot Nero presso l'azienda Mt Difficulty,Central Otago

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� Pinot nero nella regione di Central Otago

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zelandese particolarmente adatto allaproduzione di Pinot nero di elevataqualità, deve essere considerato ilclima, caratterizzato da temperaturetendenzialmente fresche durante tuttala stagione vegetativa, che favorisco-no una lenta e graduale maturazionedelle uve, e da un elevato numero diore di sole. L’elevata escursione ter-mica che si verifica tra il giorno e lanotte, che non di rado si avvicina a20° C, risulta essere di fondamenta-le importanza per il raggiungimentodella maturazione fenolica ottimale eper lo sviluppo della complessità aro-matica. Da non sottovalutare anchel’importanza della bassa umidità edella scarsa piovosità che caratteriz-zano l’autunno, che consentono dievitare gli attacchi di muffa grigia, acui il vitigno è molto sensibile, e divendemmiare nel momento ritenutopiù opportuno.I suoli delle aree in cui si coltiva ilPinot nero sono caratterizzati da unaelevata frazione di argilla, quindi ten-denzialmente pesanti, arricchiti dauna componente di frammenti roccio-si grossolani che garantiscono unbuon drenaggio ed evitano il ristagnoidrico.

QUALITÀ DAL VIGNETO ALLA CANTINAGli impianti di Pinot nero presentanouna densità compresa tra 1300 e oltre6000 piante per ettaro, con una media

nazionale di 2733 piante per ettaro,a cui ha corrisposto nel corso dellavendemmia 2008 una produzionemedia di 2,6 chilogrammi di uva perpianta. Molta importanza viene riser-vata alla gestione della chioma, percui si eseguono normalmente il dira-damento dei germogli, la defogliazio-ne – finalizzata a favorire la diffusio-ne della luce e a impedire lo sviluppodelle malattie fungine – nonché il dira-damento dei grappoli, qualora il loronumero sia in eccesso rispetto allepotenzialità produttive della pianta.L’epoca di vendemmia viene decisaoltre che con le analisi chimiche sucampioni di uva, anche con il control-lo dell’evoluzione del grado di matu-razione degli acini tramite l’assaggio;le visite in vigneto degli agronomi sifanno via via più frequenti quanto piùci si avvicina al momento della rac-colta.L’uva viene vendemmiata sia manual-mente che meccanicamente, cercan-do di mantenere il più possibile inte-gri gli acini, e rapidamente condottain cantina. Dopo la pigiatura e la dira-spatura - nel caso della raccoltamanuale – viene eseguita generalmen-te una macerazione pre fermentativaa freddo, al fine di iniziare ad estrar-re dalle bucce le sostanze aromatichee gli antociani.La fermentazione, che avviene in cister-ne d’acciaio, è in genere sostenuta dai

lieviti selezionati inoculati e solo in alcu-ni casi dai lieviti selvatici naturalmen-te presenti sull’uva e negli ambienti dicantina; questa seconda opzione, alme-no per parte della produzione, è comun-que in espansione, dato che consentedi ottenere un’espressione organoletti-ca con picchi aromatici meno intensima decisamente più ampia.Nel corso del processo fermentativo,che dura mediamente 7-8 giorni e rag-giunge 30-32°C, vengono eseguiti 3-4 rimontaggi o follature giornaliere;al termine della fermentazione si ese-gue una macerazione post fermenta-tiva al fine di aumentare l’estrazionedi polifenoli. Come tutti i rossi neoze-landesi, anche il Pinot nero soggiacealla fermentazione malolattica, chepuò partire spontaneamente oppurea seguito dell’inoculo dei batteri lat-tici, la quale rende il prodotto più mor-bido.L’invecchiamento avviene prevalente-mente in barrique francesi ed ha unadurata compresa tra 9 e 18 mesi, dopodi che si procede all’imbottigliamen-to; dopo un affinamento in bottigliavariabile da 3 a 6 mesi il vino vieneimmesso in commercio.

UN VITIGNO, MOLTI TERROIRIl Pinot nero della Nuova Zelanda sidistingue da quelli prodotti nelle altrearee viticole del mondo per intensitàe pienezza delle sensazioni organolet-

� Wine Shop a Martinborough � Marlborough, vigneti

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tiche che riesce a esprimere; almomento della degustazione il Pinotnero neozelandese solitamente iniziaa stupire già dal colore, sorprenden-temente intenso per questo vitigno.Da qualche anno è in atto uno sfor-zo, sia da parte dei produttori che deiricercatori, finalizzato a mettere inrisalto e a valorizzare le differentiespressioni che questo vitigno con-sente di ottenere nelle varie regioni diproduzione.

MARLBOROUGH REGIONNella Marlborough region, dove si indi-viduano la Wairau Valley, l’AwatereValley e le Southern Valleys (Omaka,Brancott e Waihopai), il clima è ingenerale marittimo, caratterizzato peròda una marcata variabilità della tem-peratura da un giorno all’altro.Il Pinot nero proveniente da questaregione ha un profilo aromatico cherientra prevalentemente nello spettrodei frutti rossi, con sensazioni gusta-tive che richiamano intensamente illampone ma anche la prugna; la strut-tura è lineare, sorretta da un tanni-no fine e garbato. Risponde a queste caratteristiche ilPinot nero prodotto nella WairauValley, la quale si caratterizza per ilmicroclima moderatamente secco epiù caldo della regione nonché per iterreni di neo formazione scarsamen-te fertili. Nelle Southern Valleys inve-

ce, il microclima fresco e secco, asso-ciato a suoli di antica formazione emediamente fertili, porta a un Pinotnero che si distingue per sensazioniolfattive che rientrano nello spettro diquelli che sono definiti “dark fruits”,tra cui rientrano more, ribes nero,amarene e prugne, nonché per l’in-tensità e la pienezza delle sensazionigustative. L’Awatere Valley, che ha ilmicroclima più fresco e più secco dellaregione e suoli di recente formazione,mediamente fertili, consente di pro-durre un Pinot nero le cui caratteri-stiche organolettiche sono interme-die tra quelle della Wairau Valley edelle Southern Valleys.

CENTRAL OTAGO REGIONE’ la regione viticola più a sud delMondo, caratterizzata da clima con-tinentale poco piovoso, con bassaumidità relativa, reso particolare daun elevato numero di ore di sole eda giorni molto lunghi. I suoli sono diorigine morenica, eolica – Loess – non-ché alluvionali, generalmente comun-que ricchi in rocce che li rendono nonsoggetti al ristagno idrico. Nell’ambitodi questa regione si individuano diver-se sottoregioni ovvero Gibbston,Bendigo, Alexandra, Bannockburn eLoburn. Per quanto concerne lo stile, i Pinotnero della Central Otago region sonointensamente profumati, corposi, con

sentori di “dark fruits” e speziati; quel-li della Gibbston Valley si presentanomorbidi e fruttati, con sentori di lam-pone, fragola, erba fresca e speziatimentre le zone di Bannockburn eLoburn, che presentano i microclimipiù caldi della regione, danno un Pinotnero più corposo e tannico, con sen-tori di ciliegia e una leggera nota ditimo essiccato.

WAIRARAPA/MARTINBOROUGHIl clima si presenta simile a quellodella Marlborough region, anche secon una primavera leggermente piùfresca e umida, temperature diurneleggermente superiori durante l’esta-te e notti più fresche in autunno; i ter-reni sono alluvionali, anche in que-sto caso ricchi di scheletro.Il Pinot nero di questa regione richia-ma frutti dolci, con sentori che rien-trano nello spettro della prugna matu-ra e del cioccolato particolarmenteintensi. Sotto il profilo gustativo sicaratterizzano per il tannino rotondo,importante per controbilanciare lesensazioni gustative morbide.

CANTERBURY/WAIPARAQuesta regione si caratterizza per unclima con bassa piovosità, moderatainsolazione e autunni secchi e lun-ghi, confacenti a una lenta e buonamaturazione. I suoli sono depositi dirocce grossolane del fiume Waiparanei fondovalle e argillo-limosi alle pen-dici delle colline. La combinazione pedoclimatica portaall’ottenimento di un Pinot nero moltointenso sotto il profilo gustativo chesi distingue per i sentori di frutti rossie di prugna, con una leggera nota spe-ziata e di pepe. Ai sentori fruttati sicontrappongono una buona freschez-za e una buona acidità.

NELSONGrazie alla protezione offerta dallemontagne a sud, ovest ed est, il climasi presenta temperato e soleggiato,tanto che Nelson è la regione più caldain cui sia coltivato il Pinot nero. I suolisono in prevalenza limosi e ricchi discheletro, con una frazione variabiledi argilla.Il Pinot nero di questa regione risul-ta essere fragrante, caratterizzatoda una buona complessità e da unatessitura morbida, con sentori inten-si sia di ciliegia sia di prugna.

� Pinot Nero in degustazione presso la sede della NZ Winegrowers di Auckland

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L’etilometrouno strumento

per autogestirsi

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L’Associazione italiana sommelier metterà a dispo-sizione dei soci e di coloro che parteciperannoalle degustazioni organizzate dall’Ais etilome-

tri omologati. La decisione fa parte del programma vara-to da tempo dal presidente nazionale Terenzio Medri edalla Giunta esecutiva nazionale per sensibilizzare tuttigli enoappassionati sul tema del bere consapevole. “Glietilometri saranno utilizzati al termine delle degusta-zioni – ha detto Medri – prima di mettersi al volante pertestare il proprio tasso alcolico, per non provocare inci-denti e per non incorrere così nella decurtazione deipunti della patente e in multe assai salate. E’ insom-ma uno strumento che l’Ais mette a disposizione perautogestirsi e valutare se si può guidare oppure no.L’associazione è d’accordo con chi intende combatterele stragi del sabato sera con misure rigorose, che nondeve punire chi beve un bicchiere di vino a pasto ed èsobrio, ma deve fronteggiare chi mette a repentagliola sua vita e quella degli altri assumendo in maniera

sconsiderata ed indiscriminata alcolici e superalcolici”.Su questa linea si è schierato anche il ministro dellePolitiche agricole Luca Zaia: «Bisogna finirla di consi-derare ubriaco chi beve due bicchieri: è in atto una cri-minalizzazione del vino che non ha senso alcuno eche sta uccidendo uno dei comparti più pregiati delmade in Italy». In un'intervista a Quattroruote il mini-stro entra nel merito del dibattito sui limiti di tassoalcolemico per chi guida, attaccando i sostenitori dellatolleranza zero: «Non credo nella cultura del proibizio-nismo – commenta il ministro – il limite attuale, 0,5grammi di alcol per litro di sangue è ragionevole e stra-digerito dall'opinione pubblica, entro questi livelli si èsobri e perfettamente in grado di guidare. Corrispondea due bicchieri di un vino che abbia non più di 11 gradi,diciamo uno spumante o un rosso non strutturato».Zaia invita a guardare con attenzione le statistiche sugliincidenti: solo il 2,09 per cento è causato da guidatoriin stato d'ebbrezza, cioè ben al di sopra dello 0,5: «Nonvedo perché dovrei rinunciare a bere con intelligenza emoderazione, solo perché ci sono irresponsabili che siubriacano», osserva Zaia. «E perché non si guarda con altrettanta severità – con-clude il ministro – alle altre cause degli incidenti?Vogliamo parlare del fumo o dei farmaci che danno son-nolenza? Degli antistaminici che migliaia di italianiprendono in primavera per combattere le allergie? Odei tranquillanti? Temo siano più pericolosi dei fatidi-ci due bicchieri, ma nessuno se ne occupa».

(P.P.)

� Il ministro dellePolitiche agricoleLuca Zaia si opponeal proibizionismo asostegno della cul-tura del “bere con-sapevole”

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Prosecco uguale vino spumanteitaliano. Negli ultimi anni, nelmercato internazionale, si è

diffusa questa equazione. Dalla pros-sima vendemmia, però, cambierà ilmondo del Prosecco che assumeràuna chiara identità. Si prepara,infatti, una vera rivoluzione per unodei vini che in questi anni ha regi-strato i maggiori consensi. Il 17 luglio2009 è stato pubblicato il Decretoministeriale che sancisce il riconosci-mento della Doc Prosecco e della Docgper Conegliano Valdobbiadene e ColliAsolani. Dalla prossima vendemmia,dunque, il panorama dei migliori vinid’Italia, rappresentati dalle Docg, siarricchirà di due nuove “bollicine” eil Prosecco Igt diventerà Doc.Con la nuova normativa, dunque, ilnome Prosecco diverrà sinonimo divino a Denominazione di origine pro-dotto esclusivamente nel nord estd’Italia. Un risultato non da poco, se si pensaa fenomeni che in questi anni hannoscosso il mercato come la lattina pub-blicizzata da Paris Hilton o i blendimprobabili come il Prosecco rosé oil Prosecco Moscato, proposti inalcuni mercati. Ecco cosa accadrà.

L’area storica presenta la nuova identità Dalla prossima vendemmia il Prosec-co di Conegliano Valdobbiadene, areastorica di produzione, diverrà Cone-gliano Valdobbiadene Docg e il pro-dotto sarà commercializzato dall’apri-le 2010. Anche la confinante zonadei Colli Asolani, oggi Doc, diverràDocg. I produttori di Conegliano Val-

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La rivoluzione

del Proseccodi Silvia Baratta

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dobbiadene potranno scegliere seusare il solo nome di territorio o asso-ciarlo anche alla parola Prosecco perle tipologie frizzante e tranquillo, Pro-secco Superiore per lo spumante. Per aiutare il mercato a riconoscer-lo, ogni bottiglia dovrà riportare illogo identificativo della denomina-zione. Il passaggio a Docg per l’areastorica di produzione, che compren-de 15 comuni fra le cittadine di Cone-gliano e Valdobbiadene, è stato com-plesso. Grazie anzitutto all’impegnodel Mipaaf e al lavoro del Consorziodi tutela, delle istituzioni e delle asso-ciazioni di categoria, si è creato peròun dialogo con tutto il comparto, rap-presentato da 2.913 viticoltori, 454vinificatori e da 166 case spumanti-stiche, che produce ogni anno oltre57 milioni di bottiglie. Ma quali sono le novità? Per il Cone-gliano Valdobbiadene Docg si man-terranno le regole applicate oggi allaDoc. Per i più virtuosi vi sarà peròl’introduzione delle Rive, ovvero leselezioni di singolo vigneto, che leaziende potranno decidere di produr-

re. In questo caso, le rese sarannodi 130 q.li/ha e l’origine delle uvedovrà essere esclusivamente di quellavigna. In etichetta sarà riportato ilnome del territorio, ad esempio “Conegliano Valdobbiadene Docg –Rive di Solighetto”. Con le Rive si potrà evidenziare inetichetta il nome del comune o dellafrazione di origine delle uve, permettere in luce le località, che neltempo hanno dimostrato particola-re vocazione o pregio. Il toponimoverrà preceduto dal termine tradizio-nale “Rive”, che sta a indicare ivigneti posti in collina nel gergolocale.“Le Rive sono i vigneti che tuttivogliono vedere e nessuno vuole col-tivare” afferma il Presidente del Con-sorzio di tutela Franco Adami. Sitratta, infatti, delle vigne più virtuo-se, poste in alta collina, dove è dif-ficile anche stare in piedi senzacadere. Al vertice della piramide qua-litativa si manterrà il Cartizze, spu-mante della storica sottozona del“Superiore di Cartizze”, un’unica

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collina di circa 100 ettari di vignetofra le località di Santo Stefano,Saccol e San Pietro di Barbozza, incomune di Valdobbiadene. “Comunicare la Docg sarà una

nuova sfida e dovremo quindi rinno-vare la nostra strategia – afferma ilDirettore del Consorzio di TutelaGiancarlo Vettorello – E’ stato quindiavviato uno studio di comunicazio-ne con la Robilant & Associati diMilano. Obiettivo del lavoro sarà valo-rizzare gli elementi di identità cheaccomunano i produttori, lascian-do poi ai singoli l’espressione delledifferenze che rendono così interes-sante e ricca la denominazione”. Oltrea individuare il messaggio da dare,sarà importante mettere in campoazioni di promozione mirate, ancheavviando sinergie con le altre Docg.La prima attività sarà un evento ainizio anno, a New York e Chicago,dove il Conegliano Valdobbiadene sipresenterà con Nobile di Montepul-ciano, Brunello di Montalcino eChianti Classico, vino simbolo del-l’enologia italiana.

LE REGOLE DI PRODUZIONE DELLA DOCG� Come al momento dell’ottenimen-

to della Doc, nel 1969, la zona diproduzione sarà limitata ai 15comuni collinari tra Conegliano eValdobbiadene.

� Il vino viene prodotto con il tagliodi uve del vitigno Glera (nuovonome del Prosecco) al minimodell’85% e per un massimo del15% di uve Verdiso, Bianchetta,Boschera, Glera lunga varietà pre-senti da secoli nelle colline diConegliano-Valdobbiadene.

� La produzione è di 135 q.li/ha,come l’attuale Doc.

� I produttori potranno evidenziarein etichetta il nome del comune odella frazione di origine delle uve,per mettere in luce le località diparticolare vocazione o pregio. Inquesto caso il toponimo verrà pre-ceduto dal termine tradizionale“Rive. La produzione è di 130q.li/ha, con l’obbligo della rac-colta manuale delle uve e dell’in-dicazione del millesimo. Per le“Rive” è prevista la sola tipologiaspumante.

� Al vertice qualitativo della Deno-

minazione Garantita rimane il“Superiore di Cartizze”, con resadi 120 q.li/ha e la produzionedella sola tipologia spumante.

Al lavoro per l’ottenimento della Docgsi è affiancato quello per la protezio-ne internazionale del Prosecco, resapossibile grazie al tavolo di concer-tazione, creato dalla filiera vitivini-cola trevigiana presso la Camera diCommercio di Treviso, con il suppor-to della Regione Veneto. Il progettoha avuto proporzioni eccezionali,coinvolgendo nella sola provincia diTreviso più di 10.000 produttori.Ecco nel dettaglio cosa accadrà.

Prosecco proprietà intellettualedell’ItaliaCon l’ottenimento della Doc Prosec-co, ogni bottiglia che porterà in eti-chetta il nome Prosecco dovrà sotto-stare a regole precise come la prove-nienza delle uve, il rispetto dellaresa/ettaro, il controllo di filiera el’analisi organolettica prima dell’im-missione sul mercato.La Doc Prosecco riguarderà nove pro-vince di Veneto e Friuli Venezia Giuliae il vino qui prodotto si chiamerà Pro-secco Doc. Solo la provincia di Trevisoe quella di Trieste potranno indica-re in etichetta “Prosecco di Treviso”e “Prosecco di Trieste”. Questo perchéTreviso è l’area più antica e impor-tante per la produzione (oltre il 90%)e in essa si trova la denominazionestorica di Conegliano-Valdobbiade-

ne. Trieste è invece importante perchérappresenta la provincia in cui sitrova la località di Prosecco, luogostoricamente collegato all’origine delvitigno. Treviso e Trieste, nell’ottenimentodella Doc, hanno dunque avuto unruolo fondamentale, grazie all’unio-ne della tradizione produttiva diTreviso con l’origine toponomasticadella località di Prosecco. La nuova Doc imporrà che le uve pro-vengano dalle sole province auto-rizzate. Anche l’imbottigliamentodovrà avvenire nelle 9 provinceappartenenti alla Denominazione, adeccezione dei produttori fuori dallazona di coltivazione che dimostrinodi avere già prodotto questo vino perun numero congruo di anni.Nella nuova Doc si avranno le tipo-logie: Prosecco Tranquillo, ProseccoFrizzante, Prosecco Spumante. Lanuova denominazione sarà sottopo-sta ai parametri previsti dalle Doc tracui il controllo di filiera in vigneto ein cantina, l’analisi chimica e orga-nolettica necessaria prima dell’en-trata in commercio del prodottoimbottigliato.

LE REGOLE DI PRODUZIONE DELLA DOC� Provenienza delle uve e imbotti-

gliamento nelle nove provinceautorizzate.

� Il vino viene prodotto con il tagliodi uve del vitigno Glera (nuovonome del Prosecco) al minimodell’85% e per un massimo del15% di Pinot Chardonnay.

� La produzione passa da 250 q.li/ha previsti attualmente dall’Igta 180 q.li/ha.

Ecco, quindi, quali novità aspettano ilmercato. “Prosecco” dalla vendemmia2009 diverrà dunque Denominazioneriferita a un vino e proprietà intellet-tuale di uno Stato Membro della UE,l’Italia. La sua protezione sarà garan-tita dalla normativa dei prodotti diqualità della Comunità Europea equesto tutelerà l’immagine non soloin Italia ma anche in tutto il mondo,eliminando così produzioni in altri paesio in altre regioni d’Italia. La sfida, ora,sarà comunicare al consumatore questonuovo assetto e i sommelier avrannoun ruolo fondamentale.

� Il Prosecco in lattina pubblicizza-to da Paris Hilton. No comment!

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C’era una volta una storia diusurpatori e regine, dimisteri e furti, di barbari e

Paesi lontani. Di abbinamenti piùo meno azzeccati. C’era una volta…(ma per fortuna c’è ancora) la pizzaMargherita. Perché al centro di unintrigo che ha tutti gli ingredienti diuna spy story c’è proprio il più cono-sciuto e diffuso dei piatti italiani, chequest’anno compie 120 anni. Questosecondo alcuni perché se pasta,mozzarella, pomodoro, olio e basi-lico mettono d’accordo tutti a tavo-la, altrettanto non si può dire sul“test di paternità”. Andiamo però conordine. L’11 giugno a Napoli si è festeggiatoil compleanno della pizza Margherita.Rievocazioni storiche, figuranti inabiti ottocenteschi e una sfilata cheha accompagnato in giro per il capo-luogo campano una bella modelladagli occhi azzurri in candido vesti-to bianco su una carrozza d’epoca.Ruolo della ragazza, interpretare unanovella Margherita di Savoia. Giuntoin piazza del Plebiscito il corteo, con-dotto dall’assessore provincialeall’Agricoltura uscente FrancescoEmilio Borrelli, si è diretto verso la“Pizzeria Brandi”. Dove, leggendavuole, c’è esposto “l’atto di nascita”della madre, per fama, di tutte lepizze. Su un documento ingiallito fir-mato dal Gran capo dei servizi ditavola di casa Savoia si legge l’ap-prezzamento della regina per l’ali-mento inventato dal popolo napole-tano. Fu allo storico indirizzo che nel1889 due “marinai” offrirono la pie-

tanza alla sovrana che, dopo averlapiegata a “portafoglio”, la mangiòrigorosamente con le mani. E que-sto è il mito.

��� LA STORIA DIETRO AL MITOPoi c’è anche la storia, o almeno unadelle molte cronache tramandate neltempo. Nel 1889 Umberto I e la con-sorte Margherita di Savoia si recaro-no in Campania. Un viaggio diplo-matico nell’ex Regno delle Due Sicilie,annesso nel 1860, ma anche un tourgastronomico per assaggiare ladecantata cucina partenopea. Fin dal1800 le pizze più famose di Napolierano tre: la pizza alla mastunicola(più o meno l'odierna pizza bianca),la pizza alla marinara (olio, pomodo-ro, origano, aglio e cecenielli e cioèalici) e la pizza pomodoro e mozza-rella (con l’aggiunta di olio) . I sovra-ni in viaggio si fermarono a Palazzoreale, dove vennero convocati due deipizzaioli più conosciuti della città,Raffaele Esposito e sua moglie RosinaBrandi. Dopo aver fatto assaggiaremastunicola e marinara ai nobili, idue cuochi offrirono anche il terzo“must”, la pomodoro e mozzarella,ma con l’aggiunta di basilico, in onoredel tricolore della neonata Italia. Allaregina Margherita il piatto piacquecosì tanto che si complimentò conEsposito, il quale diede alla pizza ilnome della sovrana. Tutti felici e con-tenti?

��� LA POLEMICAMentre da “Brandi” assessore, figu-ranti e turisti festeggiavano leccan-

di Daniele Urso

La Regina Margherita al 120°compleanno della pizza

I 120 petali della

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dosi le dita dopo un trancio di pizza,a Napoli l’11 giugno è scesa in piaz-za anche una contromanifestazio-ne. A organizzarla il movimento neo-borbonico che mal sopporta l’acco-stamento di uno dei simboli di Napolia una “usurpatrice” sabauda. Lapizza pomodoro e mozzarella per loroè nata sotto la dinastia Borbonicae quello della regina Margheritasarebbe solo un “falso storico”. Emmanuele Rocco, infatti, autore di“Usi e costumi di Napoli e contorni”(1866, 23 anni prima della data-zione del documento esposto daBrandi), presenta gli ingredienti,basilico compreso, del piatto che daquasi un secolo si mangiava in città:“le pizze più ordinarie, dette conl'aglio e l'olio”, fermo restando ilpomodoro, “vi si sparge, oltre il sale,l'origano e spicchi d'aglio trinciatiminutamente”, recita il filologo. Altreinvece “sono coperte di formaggiograttugiato e condite con lo strutto evi si pone di sopra qualche foglia dibasilico” con “delle sottili fette di moz-zarella”. Apriti cielo. Secondo il Movi-mento in questo testo, “è descrittachiaramente la Margherita perché leliste di mozzarella sono disposteappunto come nel fiore”. Da ciò sidedurrebbe che il piatto sia “storica-mente antecedente alla conquista pie-montese” e non debba “essere colle-gata alla moglie di un re usurpato-re”. Ma non basta. I neoborbonici nelloro comunicato hanno anche invi-tano le “pizzerie napoletane a crea-re la Margherita borbonica per sop-piantare quella filosabauda e far spa-rire un'altra favola risorgimentale”.Magnifiche contraddizioni del Bel-paese, dove la divisione non è più traNord e Sud, ma tra Savoia e Borbo-ne… Per rimescolare ancora un po’ le cartebasta girare indietro di qualche altrosecolo le lancette della macchina deltempo. La parola pizza, infatti, derive-rebbe secondo alcuni dal termine diorigine greca “pitta”, evolutasi poi in

“pinza” e finalmente nella modernapizza. Una focaccia piatta (su model-lo della “maza” egizia) originariamen-te diffusa nel Balcani, in Turchia esparsa per tutto il Mediterraneo. Laparola “pizza” si sentiva già pronun-ciare nell’undicesimo secolo nelleMarche e in Campania. E ce ne sareb-be una trascrizione scritta nel Codicediplomatico gaetano, già nel 997 dopoCristo.Secondo il professore FrancescoSabatini a portarla nel Paese potreb-bero essere stati i Longobardi checonobbero la pitta greca nellaPannonia (regione che oggi compren-de Ungheria, una parte dell’Austria,nord della Croazia e qualche chilo-metro di Slovenia), la loro terra primadella calata in Italia. Se lo sapesse laLega nord… Napoli, comunque, nonfu mai conquistata dai Longobardima il buon cibo varca più facilmen-te le frontiere di un’armata. Certo,non avevano pomodoro, mozzarella ebasilico, ma questa è un’altra storia.

��� LA VERA PIZZA MARGHERITAFalsi storici e manifestazioni a parte,il centoventesimo compleanno dellaregina delle pizze è stato tribolatoanche per l’allarme lanciato daColdiretti, che ha denunciato le trop-pe pizze tarocche piene di ingredien-ti di dubbia provenienza. Imitazionialle quali Napoli ha cercato di met-tere un freno con un lungo percor-so iniziato con gli studi della IIUniversità di Napoli, Cattedra diFisiologia della Nutrizione, che hatracciato il primo disciplinare scien-tifico di produzione della pizza napo-letana. Su questa base nel 1998 l’ammini-strazione del capoluogo campano haregistrato il marchio di possesso,seguito dalla norma Uni 10791, incui è sancito il carattere artigiana-le della pizza, con lavorazione amano (ma il disciplinare non boccial’impastatrice) e utilizzo del forno amattoni refrattari alimentato a legna.

Per i puristi su una Margherita deveesserci esclusivamente olio extra ver-gine d'oliva, pomodoro tipo SanMarzano e mozzarella di bufala Dopcampana e basilico italiano. Il disci-plinare del 2004 è di manica un po’più larga. La “pizza Napoletana” Stg(Specialità tradizionale garantita)riconosce la Margherita extra e laMargherita. Non sono obbligatori iSan Marzano, ma il pomodoro fre-sco sì. La extra si fa solo con moz-zarella di bufala campana, mentreper la “normale” basta il fior di lattedell’Appennino meridionale.

��� COSA BEVO?Finalmente la Margherita arriva intavola, ma qui si apre un nuovodiscorso. Meglio accompagnarla conil vino o con la birra? La disquisizio-ne assomiglia pericolosamente aquella sulla sesso degli angeli, quin-di meglio accantonarla in fretta.Basti notare che in pizzeria è deci-samente più facile vedere una pinta,che un calice. Questo però nonesclude la possibilità di berci delvino. Basta che sia quello giusto. Cihanno provato ripetutamente con ilProsecco di Valdobbiadene, ma inapoletani si sono rivoltati: “Se pro-prio volete le bollicine l’abbinamen-to ideale è con un Asprinio d’Aversaspumante”, si è sentito urlare aipiedi del Vesuvio. Meglio quindimuoversi con cautela, perché in ogniregione c’è chi è convinto di produr-re il perfetto vino da abbinare allapizza Margherita. Per non far tortoa nessuno, si può individuare il pro-dotto ideale in un bianco fresco,sapido e profumato. Restando inCampania magari un Falerno delMassico bianco. Qualcuno ci potreb-be veder bene anche un rosso pocostrutturato e poco alcolico, magariquel Gragnano che già Totò decan-tava in “Miseria e Nobiltà”. Un po’Lambrusco e molto partenopeo.Difficile però mettere tutti d’accor-do: se non c’è riuscita una regina…

Margherita

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Even

ti

Chi abbia portato il Tai Rossosui Colli Berici rimane anco-ra un mistero. Potrebbero

essere stati i monaci Cistercensi,nel quattordicesimo secolo, di ritor-no da un viaggio ad Avignone, allo-ra sede del papato. Oppure, moltopiù tardi, qualche migrante in Fran-cia potrebbe aver viaggiato con alcu-ne barbatelle. Quel che è certo è cheil Tai (ma molti in loco lo chiamanoancora Tocai, con buona pace degliamici ungheresi che ne hanno vie-tato l'uso) altro non è che Grena-che. Ovvero la quarta varietà piùcoltivata al mondo, l'uva più diffu-sa nel bacino mediterraneo. La stes-sa che in Spagna viene chiamataGuarnacha o Alicante, in SardegnaCannonau, in Umbria Gamay Tra-simeno, nelle Marche Vernaccia diSerrapetrona, in Campania Guar-naccia. E l'elenco potrebbe prosegui-re con decine di altre denominazio-ni legate ciascuna ad una zona diproduzione. Nel sud della Francia,dove è alla base dell'uvaggio del pre-stigioso Châteauneuf-du-Pape, èsemplicemente Grenache. Di questa“famiglia allargata” si è parlato a“Tai Rosso chiama mondo, primosimposio dei terroir del Grenache”organizzato a Vicenza su iniziativadi Qualithos, associazione che riu-nisce tre produttori di Tai Rosso (leaziende agricole Le Pignole, Piove-ne Porto Godi e Dal Maso) e unadistilleria che ne produce la grappa(la distilleria Brunello). Un'iniziati-va resa possibile grazie al patroci-nio di Ais Veneto. E proprio il pre-

sidente di Ais Veneto, Dino Marchi,ha introdotto il tema dell'incontro,sottolineando l'importanza di attin-gere a nuove argomentazioni persostenere la funzione di comunica-tore del sommelier. “Oggi il vino –

ha spiegato – è criminalizzato: allatelevisione si parla ormai solo diabuso e di incidenti d'auto. Dobbia-mo riappropriarci di argomentazio-ni costruttive, che parlano di tradi-zioni, di cultura, di rapporti tra

Tai rossochiama Mondo

Grenachee i territori del

rispondono

� Grappa e Tai Rosso Qualithos

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popoli e che hanno nel vino un pro-tagonista”. In questo senso la ricer-ca di parentele tra vitigni con unforte radicamento culturale nel pro-prio territorio permette di aprirenuove prospettive per la loro comu-nicazione. Per confrontare tradizio-ni, approcci alla coltivazione e allavinificazione. Da chiarire quindi itermini della parentela tra questivitigni. Si tratta semplicemente dellastessa varietà che assume nomidiversi a seconda del luogo? Peralcuni anni questa è stata la spie-gazione prevalente, inducendo moltivivaisti a confondere l'uno con l'al-tro. I più recenti studi di geneticaperò hanno accertato il contrario:Attilio Scienza, ordinario di Viticol-tura all'Università di Milano, ha pre-cisato che "oggi più che di sinonimiè preferibile parlare di un vitigno col-lettivo, cioè di varietà simili chehanno attraversato una storia diben 500 anni di diversificazionegenetica". In altre parole, siamo difronte a un vitigno che è migrato diregione in regione: dall'Aragona alRodano, dalla Catalogna alla Sar-degna, dalla Linguadoca ai ColliBerici. Nel suo perigrinare si è adat-tato ai diversi climi, modificando lapropria genetica. Ne consegue chesarebbe quanto mai un errore con-siderare l'uno per l'altro questi viti-gni e piantare Cannonau per Ali-cante o Grenache per Tai Rosso. “Ilrigore – ha spiegato Scienza – deveanimare vivaisti e viticoltori”. Unlegame con il territorio non solodovuto alla genetica. Ne ha parlato

Roberto Cipresso, winemaker disuccesso, prima di diventare anchescrittore, secondo il quale ci trovia-mo di fronte a una delle varietà vini-cole più plastiche, assieme al PinotNero. Significa che per il Grenachel'influenza del terroir è centrale;molto più che nel Cabernet o nelMerlot, nei quali l'aspetto varietaleconserva una centralità maggiore.“Il terroir – ha spiegato Cipresso –è l'insieme dei fattori di suolo, vento,luce, temperatura, altitudine. Lascelta dell'uomo deve tendere adarne un'interpretazione insolita,unica, geniale. Come diceva Mada-me Le Roy, titolare del DomaineRomanée Conti, Il miglior Pinot Neroè quello che non sa di Pinot Nero”.Un tema, quello del terroir, che stamolto caro ai padroni di casa, i pro-duttori del gruppo Qualithos. “Il TaiRosso – ha spiegato Tomaso Piove-ne, dell'azienda Piovene Porto Godi– rappresenta per i Colli Berici il viti-gno della tradizione. Oggi noi siamoalla ricerca di nuove strade per dareespressione alla vocazione di que-sto territorio che costituisce unmicroambiente con caratteri origi-nali e unici”. La scelta dei tre pro-duttori è quella di ottenere un vinostrutturato e longevo, che prevedeun periodo di affinamento in legno.“Con Qualithos – ha proseguitoNicola Dal Maso, dell'azienda agri-cola Dal Maso - non solo abbiamocreato un marchio di garanzia peril consumatore, ma ci siamo datianche un codice di autodiscplina”.“Occasioni come quella del simpo-

sio – ha concluso Paolo Padrin, del-l'Azienda Le Pignole – rappresenta-no un momento di confronto conaltri territori che permette a tutti dicrescere. Oggi si deve ragionare peril mercato globale, soprattutto pervini legati a un territorio locale”. Ilsimposio si è chiuso con la promes-sa di costituire un tavolo permanen-te di riflessione e confronto sul Gre-nache.

VINI E GRAPPE PER CONOSCERE UN “VITIGNO COLLETTIVO”

La ricerca di somiglianze e differen-ze nei vini prodotti con il Grenachedei diversi territori ha mosso la degu-stazione di otto vini e due grappe. A introdurla e guidarla sono stati irispettivi produttori. Si è partiti coni tre Tai Rosso Colli Berici Doc, ovve-ro: Torengo 2007 Le Pignole presen-tato dall'enologo Domenico Frigo;Colpizzarda 2007 Dal Maso pro-posto da Nicola Dal Maso; Thovara2007 Piovene Porto Godi, introdot-to da Tomaso Piovene. Quindi Vinio-la Riserva 2006 Cannonau di Sar-degna Doc della Cantina di Dor-gali, introdotto da Leone Braggio;Châteauneuf-du-Pape Aoc Domai-ne du Banneret, spiegato da AudryVidal; Finca la Cinta Socarrats 2008Doc Priorat Bodega Alvaro Palaciose Propiedad 2007 Alfaro Doc RiojaBodega Palacios Remondo, presen-tati da Ricardo Perez Palacios. Hachiuso la serie dei vini un MauryAoc Vin Doux Naturel del Domai-ne Arguti, vino fortificato della regio-ne del Roussillon prodotto con il100% di Grenache, proposto dalvigneron Ugo Arguti. Un ultimocapitolo è quindi stato dedicato allagrappa. Giovanni Brunello, titolaredella distilleria che produce la grap-pa di Tai Rosso Qualithos, ha pre-sentato i risultati di una ricerca con-dotta da “Veneto agricoltura” com-parando la grappa di Tai a quella diCannonau per scoprire se alcunedelle caratteristiche attribuite nor-malmente ai vini fossero presentinel distillato. Il panel-test ha datouna risposta positiva, individuan-do in tutte e due sensazioni di pic-coli frutti rossi e floreali. Quindi sen-sazioni più vegetali nella grappa diTai e più balsamiche nella grappadi Cannonau. Similmente a quan-to era stato riscontrato nei rispetti-vi vini.

� Vigneti dei Colli Berici

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Una delle prime buone notizie per l’Abruzzo viene proprio dal vino.Mentre la regione sta vivendo la fase di ricostruzione dopo ilterremoto del 6 aprile non mancano i segnali positivi. La Doc Tullum

ne è la dimostrazione. Presentata ufficialmente a inizio estate,Tullum sarà una delle Doc più piccole d’Italia: insiste, infatti,

esclusivamente sul comune di Tollo, in provincia di Chieti,4.200 abitanti, quasi tutti viticoltori. La denominazione nasceper valorizzare, certo, un territorio, ma anche per

dimostrare il valore dimostrato dal vino nel risollevare ilpaese, distrutto completamente dai bombardamentidella Seconda Guerra Mondiale. Tullum è quindi il simbolo della rinascita e, perché no, unsegno di speranza per tutte le aziende abruzzesi colpitedal terremoto. Tullum avrà poi l’obiettivo di inaugurareun nuovo percorso per l’enologia regionale, che perquaranta anni ha comunicato quasi esclusivamenteTrebbiano d’Abruzzo e Montepulciano d’Abruzzo.Volutamente Tullum non comunicherà questi vitigni. Attualmente sono in commercio le tipologie TullumBianco, Tullum Pecorino, Tullum Passerina. Per il TullumRosso e Tullum Riserva bisognerà attendere l’inizio delprossimo anno. La particolarità è che le singoletipologie dovranno provenire dalle specifiche zone delmappale. Quest’ultima è una scelta estremamenterigorosa, frutto di un lungo studio, che non solo individuai confini della Doc ma anche i fogli mappali dove èautorizzato l’uno o l’altro vitigno. Proprio le varietà sonouna novità perché, per la prima volta, Tullum rende docgli autoctoni Pecorino e Passerina. La resa per ettaroper Pecorino e Passerina sarà al massimo di 90 quintaliper ettaro e la densità di impianto sarà di almeno 3.300ceppi per ettaro. Sono esclusi i vigneti di fondovalle al disotto degli 80 m slm. La vinificazione potrà essereeffettuata esclusivamente in zona. Regole rigide, perfare capire la vocazione di un territorio già noto inepoca romana.

Doc Tullum,il simbolo della rinascita abruzzese

� I vip intervenuti alla presentazione ufficiale della Doc

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ASSOCIAZIONEITALIANA

SOMMELIERS

CONVOCAZIONE ASSEMBLEA GENERALE

ORDINARIA

L’Assemblea Generale Ordinaria è convocatain conformità all’Art. 6 dello Statuto Sociale, inprima convocazione alle ore 6.00 del giorno gio-vedì 1 Ottobre 2009 e in seconda convocazionealle ore 15.30 del giorno venerdì 2 Ottobre 2009presso la Sala del Trono, Castello di Melfi, Melfi(PZ)

per la trattazione del seguente

ORDINE DEL GIORNO

Relazione del PresidenteDibattito e interventi degli Associati

Conclusioni del Presidente

Giunta Esecutiva Nazionale

Il PresidenteTerenzio Medri

COL SAN MARTINO

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Nell’anno del suo ufficiale riconoscimento da partedell’Unesco quale “patrimonio mondialedell’umanità”, Cortina ha ospitato quest’anno, il 3 e 4settembre, la settima edizione di VinoVip Cortina,l’evento biennale che per trenta ore richiama nellasplendida conca ampezzana gran parte del Gothadel vino italiano di pregio e della filiera politica,scientifica, mediatica e commerciale del suoaffascinante mondo. Due giornate particolarmentevivaci di incontro e di discussione.A confrontarsi con il palato di 1.500 operatori italianie stranieri, soprattutto centroeuropei, sono stati i vinidei 58 produttori e distillatori invitati all’evento chehanno presentato ciascuno quattro vini del lorosplendido carnet, più un quinto se è una novità insenso assoluto o come anticipazione del “millesimo”di prossima immissione sul mercato. Tutto questo nelpomeriggio di venerdì 4 settembre nella frizzanteatmosfera dei 2.100 metri di cima Faloria per l’ormaicelebratissimo “Wine-Tasting delle Aquile”.Questo evento clou è stato preceduto, nellamattinata dello stesso giorno, da due degustazionitematiche di grande attualità, organizzaterispettivamente in collaborazione con la Regione

Friuli Venezia Giulia e con l’Istituto della Vite e del Vino di Palermo. La prima, “Eadesso… si parla Friulano”, ha permesso di degustare, guidati dai singoli produttori,undici esemplari selezionati del nuovo vino che, rivisitato dagli esperti enologi diqueste prestigiose aziende, hanno rivelato quelle sfumature che danno identità a ognisingolo prodotto; la seconda – “I love you, Sicily: terra vocata alle lingue del mondo” –ha testimoniato, con il competente, personale coinvolgimento di altri undici produttorisiciliani, il convincimento isolano, confortato dal parere scientifico di insigni studiosi edal parere tecnico dei professionisti della vigna e del vino, non solo isolani, che laSicilia vinicola non è un’isola ma un Continente proprio per le condizioni ambientali epedoclimatiche che assicurano un habitat naturale privilegiato ai vitigni di tutto ilmondo.A monte di queste eccezionali opportunità per preziose scoperte enoiche, il Wine-Tasting delle Aquile e i dueSiparietti tematici, si è discussodel mercato e dei suoiproblemi nel corso di unseminario organizzato dallaFiera di Verona che daquest’anno gestisce lacomplessa tematicadell’evento cortinese, unapartnership molto significativaperché conferma la crescitadell’evento stesso fino ameritarsi l’avallo prestigiosodella struttura che daquarant’anni, con il suoVinitaly, “comunica” ai cinqueContinenti il ruolo del vinoitaliano nel mondo.

La qualità ad altaquota di VinoVip

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Creatività, professionalità e spirito di iniziativasono le peculiarità che la giuria del PremioInternazionale “Innovazione nella professione” hatenuto in considerazione nella scelta dei vincitoridel prestigioso riconoscimento, promosso da VillaSandi in collaborazione con l’Ais.Giunto alla nona edizione, il concorso dallapassata stagione è stato esteso a tutti i giovanisommelier che lavorano all’estero. Due dei trevincitori di quest’anno sono infatti attivi oltre inostri confini: Daniel Marzotto è assistantmanager head sommelier presso l’Osteriadell’Angolo a Londra; Diego Meraviglia ricopre ilruolo di vice presidente e direttore del portfoliopresso la Fourcade & Hecht Wine Selections,azienda di distribuzione e importazione di vinonegli Stati Uniti con sede a Los Angels; RiccardoSgarra è chef sommelier alla Locanda del BorgoAntico a Barolo (CN).Il premio è stato consegnato nel corso di una

serata di gala nella sede dell’azienda diCrocetta di Montello (TV) lo scorso 7 settembre inpresenza della giuria, composta da TerenzioMedri, presidente AIS, Giancarlo MorettiPolegato, presidente di Villa Sandi, e daigiornalisti Nicola Dante Basile, Mauro Remondino,Paolo Pirovano e Alberto Schieppati.“Coinvolgere i sommelier che lavorano fuoridall’Italia – ha sottolineato il presidente Medri – èstata un’idea brillante, accolta con entusiasmodai nostri giovani associati che vivono e lavoranoall’estero. Abbiamo ricevuto parecchi curricula emai come quest’anno la scelta è stata difficile,perché la maggior parte dei concorrentipresentava requisiti ed esperienza ad altissimolivello”. Il concorso, come consuetudine, è statorivolto ai sommelier professionisti di età inferiore aiventinove anni che si sono particolarmentedistinti per spirito d’iniziativa e originalitànell’esercizio della loro professione.

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È IL TITOLO DEL CONVEGNO NEBBIOLO E PINOT NEROIN PROGRAMMA NELLE LANGHE A METÀ NOVEMBRE

Che cosa hanno in comune il Nebbiolo di Langa e il Pinot nero di Borgogna? L’intimorapporto tra territorio, vitigno e lavoro dell’uomo, che dà origine a vini straordinariespressione del terroir. Se ne parlerà a “Le Loro Maestà – Il Nebbiolo e Le Pinot Noir”, inprogramma il 21 e 22 novembre a La Morra, nel cuore delle Langhe. L’evento, ideatoda Artevino, riunirà per la prima volta venti tra i migliori produttori di Borgogna e ventitra le più significative aziende delle Langhe. L’evento, che offrirà la possibilità di degustare i vini di due aree mito dell’enologia,nasce in modo originale. Nel 2006, infatti, l’équipe di Artevino decide di immergersiper due mesi nella Borgogna. Obiettivo: scrivere un libro su questa regioneaffascinante con un taglio personale, creando una raccolta di storie di uomini edemozioni, quasi un diario di viaggio. Da qui nascono i rapporti con i più importantiDomaines e l’idea dell’evento. Il 21 e 22 novembre “Le Loro Maestà” non vedrà lacompetizione tra le due aree ma, al contrario, risponderà al desiderio di entrambe diconoscersi meglio e fare squadra. In un mondo sempre più globale e competitivo,aziende che lavorano con la stessa filosofia, unendosi pur mantenendo le proprieidentità, non possono che uscirne rafforzate. La manifestazione vedrà comemomento più importante le degustazioni, dove sarà possibile incontrarepersonalmente grandi produttori. Non mancheranno però i momenti di confronto.“Le Loro Maestà” si aprirà sabato 21 alle ore 14 ad Alba, presso la sede del ConsorzioTutela Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Roero con il convegno “Cru: parola sintesidi valori”, organizzato in collaborazione con il Consorzio di Tutela. Non si tratterà di un convegno ma di un dialogo Italia Francia aperto a tutti,produttori, sommelier, appassionati, istituzioni e giornalisti. Obiettivo? Capire meglio ilvalore della parola “cru”, divenuta oggi sinonimo della migliore espressione enologicadi un territorio. Una direzione che le Langhe stanno seguendo con decisione. In questaoccasione, infatti, il Consorzio di tutela presenterà la cartografia delle menzionigeografiche aggiuntive del Barbaresco e del Barolo e farà il punto sull’iter perl’approvazione del testo del nuovo disciplinare. Dopo anni di studi e discussioni tra iproduttori, infatti, recentemente in Langa si è legiferato in termini di cru. Il Consorziotutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Roero ha definito ufficialmente le menzionigeografiche aggiuntive del Barbaresco, entrate a fare parte del Disciplinare di

produzione nel febbraio2007 e quelle del Barolo,che saranno inserite nelDisciplinare non appenariceveranno l’approvazione delMinistero.Dopo il convegno,l’evento si sposterà allaSala Polifunzionale di LaMorra per il bancod’assaggio. Sabato dalle17 alle 19 sarà riservato allastampa mentre domenicadalle 10 alle 17 sarà apertoanche al pubblico conl’acquisto del biglietto inprevendita al sitowww.leloromaesta.it.

“Le Loro Maestà”di scena a La Morra

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Duemila imbarcazioni ogni anno, quasi undicimila persone, 41anni di storia: sono i numeri della Barcolana, la regata che sisvolge nel Golfo di Trieste rigorosamente nella secondasettimana di ottobre. Per Trieste è la festa del mare, la regata dove si dannoappuntamento velisti di professioni e non, imbarcazioni grandie piccole, grandi campioni e appassionati: per una interasettimana le Rive di Trieste diventano un grande villaggio delmare, dove stand, animazione, enogastronomia si unisconoalla città per celebrare la più attesa festa della vela.La delegazione triestina dell'Associazione italiana sommelierdel Friuli Venezia Giulia non poteva certamente mancare auno degli appuntamenti clou della città: la “regata di tutti”,quella dove la parola chiave è, “c'ero anch'io”.Quest'anno la delegazione sarà infatti presente dal'8 all11ottobre con uno “Stand-Enoteca” nel Villaggio Barcolana sullerive di Trieste. Sarà l'occasione per la delegazione triestina dioffrire, non solo i vini di punta del territorio, con l'affiatatissimo“gruppo servizi sommelier”, ma anche di fornire informazioni sulricco e ghiotto calendario delle attività programmate dall'Aisprovinciale e regionale e suii nuovi corsi cheprenderanno il via inautunno. Una festa, dunque, ancheper la delegazione triestinadell'AIS, che da qualchemese si fregia di un nuovodelegato, Federico Trost.“Essere presenti allaBarcolana – commenta ilnuovo delegato – èsicuramente una di quelleoccasioni da non perderesia in mare sia da terra perlo spettacolo unico che laregata offre. Infatti, è piùuna festa del mare che unaregata, dove i velisti delladomenica possonoveleggiare a fianco deiprofessionisti dell'America'sCup. Invito, pertanto, tutti icolleghi sommelier e i loro amici a venire in visita nella nostrasplendida città e al nostro "Stand - Enoteca" sul fronte mare diTrieste, le Rive, dove saranno ormeggiate le barche più belle.Potranno così assaporare il gusto di un'esperienza senza egualiassistendo alla regata più affollata del Mediterraneo, eavranno pure l'occasione di degustare i grandi vini della nostraregione”.Arrivederci, dunque, in autunno a Trieste, tra mare, vele e vino!

La delegazione di Triestealla Barcolana,la festa del mare

Federico Trost, delegato Ais di Trieste

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Lib

ri

SULLO SCAFFALE di Natalia Franchi

L’accorata prefazione al volume è di uno dei cuo-chi più discussi del secolo: quel Ferran Adrià acui si deve l’invenzione della cucina molecolareche ha negli ultimi mesi ha provocato roventipolemiche per i suoi presunti effetti nocivi. A parlare, oltre alle ricette, sono infatti le foto-grafie (alcune scattate dallo stesso Roncero) diquesti piatti, definiti parte di una “cucina inminiatura”, evoluzione delle tradizionali Tapasspagnole. Diverse le scuole di pensiero circa l’ori-gine delle Tapas: da Alfonso X di Castiglia, dettoil Saggio (1221-1284), costretto per ragioni disalute a mangiare solo piccole porzioni; alla fettadi salume che veniva appoggiata sul bicchiere osulla caraffa perché non vi cadessero dentro degliinsetti; alla più semplice necessità di “tappare”la fame fino all’ora delpasto principale.Quale che sia l’origi-ne dell’andare a pren-dere una tapa, èindubbio che in tuttele regioni spagnolesia usanza comune,radicata a tal puntoda giustificare vere eproprie gare di tapascome quella che sitiene a Valladolid efino a diventare unsimbolo di identitàdella cucina spagnola a livello mondiale.Ed è con lo spirito dell’entusiasta che PacoRoncero raccoglie in questo libro, frutto del con-tributo di vari colleghi, la tradizione delle origi-ni per declinarla lungo i più recenti sentieri dellacucina dei “sensi”, che attribuisce alle tapas nongià e non più dignità di solo aperitivo, ma di cibovero e proprio: cibo della “cucina in miniatura”.Perché, afferma lo chef “oggi, gusti e tendenzepercorrono un cammino di ricerca per conosce-re e accostare nuove e diverse consistenze, sen-sazioni e materie prime”. Il tutto coadiuvato dallenuove tecniche culinarie e dall’influsso di altreculture, prima tra tutte, quella orientale.

I piaceri della vita vanno assaporati in piccole dosi.

TAPAS, LA DELIZIOSA CUCINASPAGNOLA IN MINIATURA

Autore: Paco RonceroEditore: CalderiniPrezzo: 39,00 euro

Il termine clone rievoca di primo acchito altri temi di benaltra valenza morale e religiosa: la possibile clonazioneumana e tutte le implicazioni etiche a essa connesse con-tribuiscono a conferire al termine un appannaggio di“mistero” che, nel caso della vite, oltre a mancare, è allabase dell’eccellenza qualitativa e sanitaria dei vini servitisulle nostre tavole.Ad accompagnare la viticoltura per migliaia di anni, eraall’inizio la selezione massale, che consentiva l’origine dinuove piante utilizzando parti di sarmenti prelevati da unao più viti (propagazione per via agamica), arrivando così aun lento miglioramento geneticodelle produzioni. Ciò era reso pos-sibile dalla connaturata dote dellavite che consente di trasmettere,inalterate alla discendenza, lecaratteristiche genetiche dellapianta madre dalla quale vieneprelevato il materiale di moltipli-cazione (sarmento) e, quindi, diconservarne gli aspetti positiviper i quali è stata selezionata.Aspetti positivi che, nei secoli,privilegiavano le potenzialità pro-duttive, mentre le caratteristichequalitative delle uve erano lascia-te in secondo piano, in linea con un mercato che premia-va la produttività e non la qualità dei prodotti.La selezione massale presentava dunque dei limiti intrin-seci, primo tra tutti, l’assenza di una valutazione dellostato sanitario della vite, delle malattie da virus cui isarmenti potevano essere portatori. Ecco dunque fare ilsuo ingresso, tra le più recenti esigenze produttive e qua-litative del settore vitivinicolo, la selezione clonale che, purmantenendo le basi fisiologiche e genetiche del migliora-mento genetico per via vegetativa, ha risposto in modo effi-cace al fortunato futuro di centinaia di vitigni. La sua intro-duzione, regolata dalla direttiva CEE 68/193, compie que-st’anno 40 anni. Da allora, accurati protocolli di selezio-ne clonale cui i Costitutori (Università, Enti ragionali,aziende vivaistiche private) devono attenersi per arrivareall’omologazione di un candidato clone, garantiscono lasicurezza e la valorizzazione di uve che andranno a deli-ziare palati sempre più esigenti di ogni parte del pianeta.La gamma di materiale clonale presentato nel volume supe-ra il centinaio di tipologie, tra vitigni a diffusione interna-zionale, nazionale, regionale e locale. Per ognuno, unaaccurata scheda descrittiva completa di zona d’origine,anno di omologazione, peso del grappolo, contenuto zuc-cherino, attitudine enologica.

La scienza al servizio della natura.

CATALOGO DEI CLONI

Autore: Giulia TamaiEditore: Edagricole

Il Sole 24 Ore Business MediaPrezzo: 10,00 euro

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Un libro dedicato alla storia di Trieste e del Carso,con un’attenzione particolare alle produzioni loca-li di una terra unica, tra le rocce calcaree e ilmare, spazzata dalla frustate di bora. Un tribu-to d’amore da parte dell’autore, Stefano Cosma,triestino doc e affascinato dal nonno, agronomo,enologo e appassionato cultore della flora carsi-ca.Un raro esempio di analisi – bilingue – su Triestee il Carso, al centro di innumerevoli pubblicazio-ni storico-economiche, che di questa terra svelai segreti agroalimentari.Protagonista del volume, la Vitovska, un vitignoa bacca bianca diffuso nella provincia di Triestee nella vicina Slovenia sul territorio del Carso.Slovene le origini del nome, dove è chiamatoVitovska Grganja. LaVitovska può essere rite-nuta varietà autoctona:non esistono infatti intutta l’area mediterraneavarietà assimilabili adessa, capace di passareindenne, nelle terre rossedel Carso, bora, freddiinverni e siccità nellastagione calda.Che il vino fosse di pri-maria importanza per ilterritorio triestino lo sicomprende da moltidocumenti storici, tra cui quello del 1253 con cuiil vescovo Volrico cedeva per denaro al Comunedi Trieste il diritto di esigere la collettura del vino.Anche gli Asburgo colsero la valenza del vino perl’economia dei Triestini, il cui sostentamentodipendeva per la maggior parte dalla coltivazio-ne delle vigne: nel 1551 l’imperatore Ferdinandoordinava che i mercanti potessero condurre viniforestieri per terra ma non per mare, e comun-que al solo scopo di venderli fuori Trieste. I seco-li a seguire fanno registrare analoga fortunaper il vino di questo territorio, fino ad arrivare al1985, con l’istituzione della denominazione diorigine controllata “Carso-Kras”.Da allora, un cammino non propriamente in sali-ta, ma apprezzato dai veri estimatori.

Il microcosmo carsico svelato.

VITOVSKA. I VIGNETIDAL MARE AL CARSO

Autore: Stefano CosmaEditore: Vinibuoni d’ItaliaPrezzo: 40,00 euro

Tutto l’orgoglio e la tradizionale “spigolosità” di un’isolaè racchiusa in questo ampio volume. L’isola in questioneè la bella Sardegna. L’autore, un uomo che del vino hafatto la sua ragione di vita, per trentacinque anni diret-tore tecnico della Cantina sociale della Marmilla, poi acca-demico Nazionale della vite e del vino, infine insignito nel2001 della Medaglia di Cangrande (il prestigioso premioche l’Ente fiere di Verona assegna ai benemeriti dellavitivinicoltura) e attualmente consulente di numeroseaziende vinicole.Punto di forza attorno al quale ruota tutto il volume è ilriconoscimento e la valorizzazione della ricchezza varieta-le del territorio, con 70 diver-si vitigni (biotipi) autoctoni;una risorsa dal valore unicoper la Sardegna, nonchéun’importante difesa control’omologazione del gusto. E’infatti legando la maggiorparte della produzione vini-cola, ma anche agricola, alterritorio, creando un siste-ma di tipicità – che rifuggele produzioni di massa – cheil vino sardo ha tracciato lavia delle produzioni di quali-tà. Una specificità che vedeun predominio quasi assoluto dei vitigni autoctoni (90%circa).Un fattore di sviluppo, quello della tipicità, che potrà esse-re rafforzato e divenire elemento di competitività comin-ciando a stabilire connessioni sempre più strette traproduzione e territorio. Il consumatore deve consumareterritorio, e per consumarlo deve conoscerlo, ed essereinformato.Quale miglior strumento di conoscenza, allora, di questolibro? Un immenso lavoro di ricerca che si snoda lungouna attenta descrizione dei vitigni sardi a bacca bianca,a bacca nera, dei vitigni nobili, fino ad arrivare a un veroe proprio censimento – con relativi commenti, grafici e ana-lisi – dei produttori vinicoli dell’isola, circa 120, divisi trale otto province.Una citazione a parte merita il capitolo “Curiosità vinico-le”, dove, dietro a un titolo accattivante, si celano le rispo-ste che tutti vorremmo avere riguardo all’effetto afrodisia-co del vino (se in grandi quantità assunto, nefasto per l’uo-mo) e alle virtù antisbornia del cavolo.

“Un uomo che beve solo acqua ha un segreto da nasconde-re ai suoi simili”Charles Baudelaire

VINO AMORE MIO

Autore: Enzo BiondoEditore: S.VI.SA. editricePrezzo: 48,00 euro

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C’ è un rischio molto evidente in questa grandecrisi, economico-finanziaria, ma non solo, chesembra mettere in discussione tutte le basi su

cui si è svolto il discorso sul vino da oltre vent’anni a que-sta parte. E’ il rischio che volendo cambiare tutto sifinisca con il gettare via anche il bambino… con l’acquasporca… Intendiamoci, non sarò certo io, che all’esagerata cresci-ta dei prezzi del vino, dovuta anche ai ricarichi allucinan-ti di una certa ristorazione e di una parte, con scarsa ade-renza alla realtà, del mondo degli amici enotecari, maanche a prezzi esageratamente elevati in partenza fran-co cantina, non ho mai creduto, a biasimare il fattoche, in tempi di crisi, i prezzi assurdi di molti vini tenda-no a essere vigorosamente abbassati. Soprattutto i prez-zi dei vini senza storia, fatti con lo “spannometro”, ovve-ro con un calcolo approssimativo, per cui se il vino sim-bolo di una certa zona costa dieci, io che sono nato l’al-tro ieri, posso tranquillamente provare a venderlo a 7-8. E’ la legge del mercato, la stessa legge che in epoca divacche grasse ha portato molti se non ad arricchirsi aportare parecchio fieno in cascina, e ha “giustificato” chetaluni vini venissero commercializzati a prezzi inverosi-mili (non lo aveva prescritto il medico di comprarli ma sesi vendevano vuol dire che avevano una richiesta e unacquirente disponibile), che oggi, quando la Borsa nonè più Toro, ma Orso, rende ineluttabile un ridimensiona-mento, un ritorno a dimensioni più umane del fenome-no vino. Mi va benissimo pertanto che, giustificato più da un dram-matico calo della domanda, che da un’improvvisa loromaturazione e “presa di coscienza”, molti produttori, sol-lecitati a farlo dai loro clienti e dall’invenduto che siammassa in cantina, mentre un’altra vendemmia, pareabbondante, si annuncia, rivedano in basso i loro listi-ni. O meglio, ufficialmente non tocchino nulla, salvo poilavorare su una robusta “scontistica” (compri 10 paghi6 o 7…) e provino a rendere di fatto più commercialmen-te appealing i loro vini. Non mi va bene invece, e concordo in pieno con la defi-nizione che il direttore del Corriere Vinicolo Marco Mancini,in un editoriale pubblicato il 27 luglio ha bollato come“folle battaglia al centesimo”, che questa giusta, sacro-santa e doverosa revisione dei listini, si traduca in unagara a chi, perdonate l’espressione un po’ cruda, “cala dipiù le brache”. Dice bene il presidente dell’Unione ita-liana vini Andrea Sartori, citato nello stesso editoriale,che “le aziende rischiano seriamente di farsi del male.Quando si scende al di sotto di certi prezzi – e si riferiscea “importanti denominazioni svendute sotto i 60 cente-simi al litro e fino a 0,20 euro” – non solo diventa impos-sibile pensare di recuperare in prospettiva certe posi-zioni, ma soprattutto sorge una questione di carattereetico. La rincorsa al ribasso potrà nell’immediato far venderequalche ettolitro di prodotto in più ma alla lunga cause-

rà danni irreparabili”. Crisi terribile, ma siamo davverosicuri che con un simile sbracamento commerciale ilmondo del vino italiano possa risultare credibile e degnodi essere preso in considerazione dai propri interlocuto-ri, siano essi importatori e distributori esteri, oppure ope-ratori del canale Horeca e dagli stessi consumatori? Nonlo credo proprio. So bene che quanto sto per scrivere rischia di apparirestravagante e impopolare, ma sono persuaso che proprioin momenti come questi non si possa fare di tutta un’er-ba un fascio. E che non si possano buttare nello stessocalderone dei “cattivi” da mettere in castigo dietro la lava-gna, il calderone, secondo una generalizzazione beceraed eno-qualunquista, dei “produttori che comunquefregano la gente”, sia le molte piccole e medie aziende chevirtuosamente non si sono mai lasciate prendere dallaspirale del rialzo, del prezzo da eno-boutique e hannosempre mantenuto fede a un correttissimo rapporto prez-zo-qualità che appare super corretto ancora più oggi, siaun universo composito, dove entrano sia grandi aziendesia boutique winery nate per moda e per posa, perchéfaceva “fino” fare vino o c’erano dei miliardi da investire. Anche in tempi di crisi, dove le difficoltà sono numero-se e difficili da superare, occorre ribadire che una certaqualità, quando è reale, quando si traduce in vini chehanno storia e costanza qualitativa e capacità di espri-mere l’unicità dei loro terroir d’origine, che danno lustro,non a parole ma nei fatti, al vino italiano, oppure in vini– si prenda il caso delle Cinque Terre, dove qualcunopotrebbe giudicare cari venduti franco cantina a diecieuro più Iva gli ottimi bianchi che lì vengono prodotti,ma camminate un po’ i vigneti e fatevi un’idea di in qualioggettive difficoltà e con che lavoro e fatica enorme nasca-no! – che sono espressioni di aree eroiche di viticoltu-ra di montagna, non può essere svenduta e che sottodeterminati prezzi, se i vini sono veri, è impossibile scen-dere. Impensabile accettare che possano circolare, come cir-colano, e non è eno-gossip, ma realtà, Barolo, Barbaresco,Brunello di Montalcino, ma anche molti vini figli di Docmeno mediatiche, svenduti, in Italia e all’estero, a pochieuro. Non è serio fare così: la conclusione inevitabile èche molti prezzi ante crisi rappresentassero una meraspeculazione che ha preso per il “naso” il consumatorenegli anni dell’eno-euforia. Per cui sono d’accordo sulribassare i prezzi, sull’eliminare le spese inutili di con-torno (dalle bottiglie griffate o pesanti alle consulenze deiwinemaker Re Mida, alle barrique nuove a ogni vendem-mia, alle cantine stile hollywoodiano) che hanno inutil-mente fatto lievitare le quotazioni. Ma se devo dire cheil vino italiano, anche quello più serio, per restare a galla,per avere un futuro, per fare in modo che coltivare vigne-ti sia ancora remunerativo, deve sbracare e ridursi a pra-ticare prezzi da eno-discount, allora è automatico che io,ad alta voce, pronunci il mio consueto e super convinto“io non ci sto”…

di Franco Ziliani

Con la crisi abbassare i prezziè necessario, sbracare è suicida!

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