della Regione dell’Emilia Romagnaservizi.comune.fe.it/413/attach/raccontinfanzia/docs/intervento...

13
Buongiorno a tutti, ringrazio tantissimo il Comune di Ferrara di avermi data l’opportunità di partecipare a questa bellissima giornata. Stamattina, quando sono uscito di casa in bicicletta con tanta pioggia in testa per raggiungere il convegno “Che aria tira in giardino”, ho pensato che la giornata diventerà sicuramente bella, perché là dove c’è acqua, c’è vita. Senza acqua non c’è nessuna forma di vita. L’acqua trasforma tutto, cambia i semi in piante, le piante crescono per diventare alberi, gli alberi fioriscono e creano i frutti ed i semi….. Ascoltando i relatori che mi hanno preceduto, ho visto tante piante cresciute rispetto a cinque anni fa, quando avevano cominciato a lavorare sul tema del gioco all’aperto e mi fa molto piacere vedere una cultura che è in forte trasformazione e crescita, proprio grazie alla pioggia. La pioggia rappresenta per noi una difficoltà, un problema, ma grazie a questa difficoltà abbiamo avuto l’occasione per cambiare, per crescere, e il confronto con i cambiamenti porta ad ogni persona un pensiero e ragionamento diverso. Persino dopo il terremoto siamo cresciuti, perché abbiamo imparato ad affrontare problemi molto più seri, anche se tale cambiamento era troppo violento. I problemi perdono la problematicità se impariamo ad affrontarli, magari prima che avvengano. Bene, quando mi è stata chiesta la disponibilità di partecipare a questo convegno, ho detto subito di sì, soprattutto perché mi è piaciuto molto il titolo inizialmente proposto per questa giornata, che purtroppo non è diventato il titolo definitivo. Il titolo proposto era: “che aria tira lì fuori?”, leggermente diverso rispetto al titolo definitivo: “che aria tira in giardino?”. Appena avevo letto il titolo proposto, subito mi è venuto in mente una foto inserita nella pubblicazione “Il gioco – Io gioco”, che documenta l’omonimo progetto realizzato negli anni scorsi insieme al Comune di Ferrara. La bambina della foto che guarda fuori si pone la domanda: “che aria tira lì fuori?”. La parola “lì” significa che chi fa la domanda sta dentro. Ma se guardate meglio questa immagine, vedete l’immagine riflessa della bambina. Questa seconda bambina, che sembra stare fuori, che domanda fa: “E là dentro, che aria tira?” Forse l’aria dentro non è molto buona.

Transcript of della Regione dell’Emilia Romagnaservizi.comune.fe.it/413/attach/raccontinfanzia/docs/intervento...

Page 1: della Regione dell’Emilia Romagnaservizi.comune.fe.it/413/attach/raccontinfanzia/docs/intervento dr_ stefan von... · c’è qualcuno di voi che non educa? Sappiamo che è una cosa

Buongiorno a tutti, ringrazio tantissimo il Comune di Ferrara di avermi data l’opportunità di partecipare a

questa bellissima giornata.

Stamattina, quando sono uscito di casa in bicicletta con tanta pioggia in testa per raggiungere il convegno

“Che aria tira in giardino”, ho pensato che la giornata diventerà sicuramente bella, perché là dove c’è

acqua, c’è vita.

Senza acqua non c’è nessuna forma di vita. L’acqua trasforma tutto, cambia i semi in piante, le piante

crescono per diventare alberi, gli alberi fioriscono e creano i frutti ed i semi…..

Ascoltando i relatori che mi hanno preceduto, ho visto tante piante cresciute rispetto a cinque anni fa,

quando avevano cominciato a lavorare sul tema del gioco all’aperto e mi fa molto piacere vedere una

cultura che è in forte trasformazione e crescita, proprio grazie alla pioggia. La pioggia rappresenta per noi

una difficoltà, un problema, ma grazie a questa difficoltà abbiamo avuto l’occasione per cambiare, per

crescere, e il confronto con i cambiamenti porta ad ogni persona un pensiero e ragionamento diverso.

Persino dopo il terremoto siamo cresciuti, perché abbiamo imparato ad affrontare problemi molto più seri,

anche se tale cambiamento era troppo violento. I problemi perdono la problematicità se impariamo ad

affrontarli, magari prima che avvengano.

Bene, quando mi è stata chiesta la disponibilità di partecipare a questo

convegno, ho detto subito di sì, soprattutto perché mi è piaciuto molto il titolo

inizialmente proposto per questa giornata, che purtroppo non è diventato il

titolo definitivo. Il titolo proposto era: “che aria tira lì fuori?”, leggermente

diverso rispetto al titolo definitivo: “che aria tira in giardino?”. Appena avevo

letto il titolo proposto, subito mi è venuto in mente una foto inserita nella

pubblicazione “Il gioco – Io gioco”, che documenta l’omonimo progetto

realizzato negli anni scorsi insieme al Comune di Ferrara. La bambina della foto

che guarda fuori si pone la domanda: “che aria tira lì fuori?”. La parola “lì”

significa che chi fa la domanda sta dentro. Ma se guardate meglio questa

immagine, vedete l’immagine riflessa della bambina. Questa seconda bambina,

che sembra stare fuori, che domanda fa: “E là dentro, che aria tira?” Forse

l’aria dentro non è molto buona.

Page 2: della Regione dell’Emilia Romagnaservizi.comune.fe.it/413/attach/raccontinfanzia/docs/intervento dr_ stefan von... · c’è qualcuno di voi che non educa? Sappiamo che è una cosa

Nella giornata di oggi abbiamo parlato molto del “fuori”, del giardino, dell’aperto, della strada, mentre la

realtà della scuola comprende sempre un fuori/dentro, un esterno/interno, due facce della stessa

medaglia. Purtroppo ultimamente si sente parlare solamente di un aspetto della problematica. Oggi si parla

quasi solo di “Outdoor Education”, perché le parole inglesi sembrano più eleganti, più moderni. Su sito

della Regione dell’Emilia Romagna:

(http://www.regione.emilia-romagna.it/infeas/documenti/progetti/infanzia_natura/outdoor_edu ) trovate

nella pagina sull’educazione alla sostenibilità una spiegazione di cos’è l’outdoor education: “L’outdoor

education è un insieme di pratiche educative che si basano sull’utilizzo dell’ambiente esterno come spazio

privilegiato per esperienze di bambine e bambini.” La settimana scorsa sono stato a Cento per fare

formazione presso un nido, ho suonato al campanello, il personale addetto alla pulizia mi ha aperto la porta

chiusa chiedendomi: “Ah, lei è l’esperto dell’outdoor education?” Ho risposto: “Sì, sì, in questo momento

sono outdoor, però mi piacerebbe tanto entrare e diventare anche l’esperto dell’indoor education”. Nel

sito della regione non ho trovato niente che parla dell’indoor education. Esiste soltanto l’outdoor

education?

L’educazione riguarda sempre sia l’indoor, che con l’outdoor education, il “dentro”, all’interno e il “fuori”,

all’esterno. Le due parole “indoor” e “outdoor” hanno qualcosa in comune: Door - la porta, alla quale

diamo tanta importanza. Perché abbiamo bisogno dell’educazione con le porte? A cosa servono le porte? A

chi servono le porte? Chi ha messo le porte?

La porta non sempre è utile al bambino. Il bimbo della foto, che si appende al maniglione antipanico della

porta d’uscita, si pone le seguenti domande: “ Perché c’è questa porta? Quando si apre? Quando si

chiude?” Al momento siamo noi adulti ad aprire la porta per fare finalmente outdoor education. Se non

l’apre la porta, si rimane dentro e si fa indoor education. Guardano il bambino della foto non sappiamo se

vuole uscire per giocare all’aperto o se preferirebbe giocare dentro. Ma questa immagine mette in

discussione il concetto di porta, che divide lo spazio scolastico in dentro e fuori, in outdoor education e

indoor education, in due mondi separati.

Visto che ci piacciono le parole inglesi, possiamo giocare con l’inglese e le parole indoor – outdoor. Se

metto davanti a “outdoor” la parola “with” e aggiungo una s finale, ottengo l’espressione “Without doors”,

ovvero “senza porte”. Ma voi potete immaginarvi la vostra scuola senza porte? Una casa senza porte?

Osservando le vostre espressioni noto qualche dubbio. Ma è proprio questo dubbio che è l’oggetto di

discussione ogni giorno nell’educazione del bambino. Quando aprire e quando chiudere!

Se faccio lo stesso gioco con la parola indoor, mettendo davanti alla parola “in” la parola “with”, ottengo la

parola “within doors”, “within “significa “all’interno”, “interiore”. Due parole che in inglese esistono, ma in

questa combinazione non hanno un significato. Se invece cambiamo l’ordine “doors within” si ottiene

un’espressione con un significato importante: “Doors within” sono le porte interiori, quelle chiusure

presenti in ognuno di noi, i nostri timori, le nostre paure ed insicurezze che ci chiudono verso qualcosa di

nuovo da affrontare, verso il cambiamento, verso la crescita. Quindi abbiamo a che fare non solo con le

porte fisiche, le quali vorremmo ridurre nelle nostre scuole, ma soprattutto con porte interiori, con i timori

e con le paure che accompagnano le persone adulte, quando devono educare i bambini. Ridurre o

abbattere le porte interiore significa ridurre o abbattere i timori verso il cambiamento, verso l’apertura.

Quindi piuttosto che parlare di “educazione all’aperto”, è meglio parlare di: “aprire l’educazione” o “aprirsi

all’educazione”. Si tratta quindi non solo di una questione di dentro-fuori, ma soprattutto di un dentro-fuori

nostro, un nostro chiudersi – aprirsi difronte al bambino.

A questo punto è auspicabile una scuola con meno porte o persino senza porte. Ma le attuali normative

sulla sicurezza, che chiedono sempre più “porte” e restrizioni e che sono in forte contrasta con il modello

della scuola “aperta”, rendono difficile la realizzazione dell’apertura, ma non impossibile. Lavorando a

piccoli passi conquistati mediante una buona didattica aperta, aprendo ogni giorno singole porte, una

nuova scuola sarà possibile nel futuro. La scuola con meno porte o senza porte è un obiettivo, o meglio una

Page 3: della Regione dell’Emilia Romagnaservizi.comune.fe.it/413/attach/raccontinfanzia/docs/intervento dr_ stefan von... · c’è qualcuno di voi che non educa? Sappiamo che è una cosa

direzione di un percorso. Il percorso inizia con l’abbattimento costante delle nostre porte interiori, quelle

che ci impediscono di fare le scelte giuste e quelle che mettono al centro non il bambino ed i suoi bisogni,

ma le nostre paure o le prescrizioni insensati.

Come si può fare e come possiamo aprici? Questa è la domanda. Il “come” ha a che fare con il gioco e il

giocare. Se noi giochiamo troviamo tante soluzioni, perché chi gioca ha tanti vantaggi: chi gioca non ha

tanta paura dell’insuccesso e senza paura è più facile affrontare i cambiamenti. Nei corsi di formazione su

come abbattere queste porte interiori e quelle fisiche siamo sempre partiti dal gioco, perché il gioco è una

proprietà naturale dei bambini. È un bellissimo punto di partenza per qualsiasi progetto.

Il gioco è qualcosa di dinamico, che cambia costantemente il contesto del bambino, il nostro contesto. A

questo punto il gioco cambia il titolo della seconda parte della mia relazione: “Educazione al gioco, dentro e

fuori”. Parlando ad adulti non dovrebbe essere difficile rispondere alla domanda: “cos’è la educazione?” o

c’è qualcuno di voi che non educa? Sappiamo che è una cosa molto difficile, soprattutto quando si tratta di

bambini. La parola “Educare” deriva dal latino “educere”, “condurre fuori quello che è dentro”.

La parola educare non va confuso con la parola “insegnare”, ovvero fornire, dare o trasmettere da parte di

chi insegna. Educare non significa fornire qualcosa al bambino, ma condurre fuori quello che è già dentro al

bambino. Basta condurre i bambini all’aperto o alla natura e senza alcuna richiesta dell’adulto, i bambini

cominciano a “mettono dentro” quello che è fuori, toccando il mondo, annusando, leccando, guardandolo,

ascoltandolo. I bambini si auto-nutriscono dal contesto oppure si aprano volentieri al contesto.

Un’altra parola per “mettere dentro” è la parola “esplorare”. Esplorare è nient’altro che entrare in contatto

con quello che non conosco, mettendo dentro quello che era fuori attraverso i diversi sensi. Ogni

esplorazione porta ad una azione oppure ad una risposta a “cosa posso fare con quella cosa lì?”. Questo

significa condurre fuori un’idea o un piano d’azione motoria, che il bambino aveva in mente. In

quest’istante l’esplorazione si trasforma in gioco. Ogni gioco, ogni attività di gioco, porta ad una nuova

esplorazione, perché durante il gioco le cose si trasformano, si spostano, si bagnano, si spezzano e ogni

nuova esplorazione porta ad una azione di gioco. Si tratta di un processo circolare nel quale è difficile

definire l’inizio e la fine. Esplorare e giocare all’infinito.

Questo processo relazionale tra esplorare e giocare produce dentro al bambino apprendimento, lo mette in

relazione con il contesto fisico e sociale. È un processo altamente dinamico, non si ferma un secondo, va

avanti, va avanti ogni momento, va avanti da solo, autoalimentato dal contesto. Se in questo processo

circolare sono coinvolte più bambini, l’esplorazione e il gioco possono subire un ulteriore potenziamento e

dinamicità. L’esplorazione di un bambino può essere l’osservazione da un altro bambino che sta giocando,

mentre la sua imitazione del gioco da parte dell’altro, diventa oggetto di osservazione del bambino che

stava giocando.

Stamattina abbaiamo visto una bellissima sequenza di foto che mostravano bambini che esploravano e

giocavano. L’esplorazione e il gioco avveniva in qualsiasi contesto ambientale. La circolarità e la continua

alternanza tra esplorare e giocare, tra “mettere dentro” e “tirare fuori” produce esperienze, le quali

confluiscono nell’apprendimento. L’apprendimento a sua volta modifica la struttura del cervello del

bambino.

Il cervello è stato a lungo escluso dalla pedagogia. Il cervello era una questione dei medici. Invece è proprio

il cervello che gestisce l’interazione tra l’esplorazione e il gioco. È il luogo dove vengono raccolte ed

elaborate le esperienze ed è soprattutto il luogo in cui vengono prodotto le emozioni, che possono

rafforzare notevolmente lo sviluppo del cervello. Se l’emozione è bella o bruttissima, abbiamo una buona

probabilità che l’esperienza, che l’ha prodotto, rimane a lungo nella nostra memoria. A Ferrara ci

ricordiamo probabilmente per tutta la vita dell’esperienza negativa del terremoto, perché l’emozione molto

negativa funge da “colla” dentro il nostro cervello.

Page 4: della Regione dell’Emilia Romagnaservizi.comune.fe.it/413/attach/raccontinfanzia/docs/intervento dr_ stefan von... · c’è qualcuno di voi che non educa? Sappiamo che è una cosa

Quindi se la scuola offre ai bambini materiali e ambienti da esplorare fonti di forti emozioni oppure che

invitano ad essere esplorati ancora di più, sarà molto probabile che le esperienze vissute rimarranno a

lungo nella memoria. Abbiamo bisogno di scuole che producono emozioni, soprattutto quelle belle.

Talvolta anche le esperienze negative, non traumatiche, possono servire al bambino per ricordare che ci

sono pericoli e per trovarsi maggiormente preparato al prossimo pericolo che incontrerà.

Grazie alle nuove tecnologie, oggi è possibile vedere il cervello in attività, anche durante la fase di sviluppo.

Il cervello umano dispone alla nascita di circa 100 miliardi neuroni. Questi neuroni per funzionare bene

devono essere cablati attraverso le sinapsi che stabiliscono le connessioni tra i neuroni. Per ogni neurone si

possono sviluppare fino a 1000 sinapsi per ogni neurone. Gran parte delle connessioni neurali si sviluppano

nei primi anni di vita.

Nell’immagine di Sebastian Seung, dal libro “Connettoma - La nuova geografia della mente” 2013 (pagina n.

147, fig.25), si può vedere come si moltiplicano con grande velocità le connessioni neurali nei primi due

anni di vita. Mettendo in relazione il tempo trascorso e le sinapsi che si possono sviluppare, si ottiene come

risultato che in ogni secondo si possono sviluppare quasi un milione di sinapsi. Un milione di sinapsi al

secondo nella vita di un bambino equivale ad “un’esplosione” di crescita cerebrale. Però dopo il secondo,

terzo anno di vita succede qualcosa di strano. Si riducono le connessioni neurali e vengono illimitati diversi

collegatmenti. Il bambino non può aprirsi in modo indifferenziato al mondo per troppo tempo. A bisogno di

specializzazione per sopravvivere, e questa specializzazione dipende molto dal contesto al quale il bambino

è esposto. Se nel suo contesto trova qualcosa d’importante, quei collegamenti rimangono e si rafforzano.

Se incontra qualcosa che non ha importanza, il cervello dice: “non ti serve, riduco i collegamenti e disattivo

le connessioni”. Se poi a vent’anni ti accorgi che ti serve matematica, ma non sei stato potenziato da

piccolo, potresti incontrare grande difficoltà, perché i conti non quadrano.

È molto importante capire come si può allargare la piattaforma delle connessioni neurali che non si devono

perdono ed è altresì importante di prevenire che abilità utili per il futuro del bambino non vengono

depotenziato per mancanza di opportunità. Ciò significa che la conoscenza relativa all’educazione, che

produce potenziamento in tutti i bambini nei primi sei anni, è fondamentale per risolvere problemi

complessi, come ad esempio quello del nostro debito pubblico. Una futura generazione che da piccolo ha

esplorato e giocato liberamente, che pensa e che ragiona con riferimento al contesto in cui vive, troverà o

si inventerà un modo per risolvere problemi complessi.

“Lo sviluppo del cervello dipende da come e perché lo usiamo” dice il neuroscienziato Gerald Hüther nel

suo libro “Il cervello compassionevole” (2013). Questo vale per noi grandi, così come per i bambini. Il nostro

ragionamento dipende in parte da come abbiamo usato il nostro cervello fino ad oggi. Secondo Hüther, se

noi vogliamo bambini intelligenti, dobbiamo smettere di “ potenziarli”, di organizzare corsi d’inglese, di

ballo, di musica o di computer. Dobbiamo invece semplicemente farli usare il loro cervello in forma

intelligente.

Cos’è l’intelligenza e come si manifesta del bambino?

In questa immagine vediamo un esempio di intelligenza.

L’intelligenza ha soprattutto a che fare con “fare”. Bambini

che fanno, che costruiscono, sono intelligenti. Proviamo

scrivere su un foglio tutti i verbi che voi associate

all’intelligenza. Vi basta un foglio? Come pure esempio

presento alcuni verbi da associare all’intelligenza del

bambino: creare, prevedere, calcolare, contare, produrre,

immaginare, risolvere, suddividere, sperimentare,

associare, inventare, provare, ricercare…..

Page 5: della Regione dell’Emilia Romagnaservizi.comune.fe.it/413/attach/raccontinfanzia/docs/intervento dr_ stefan von... · c’è qualcuno di voi che non educa? Sappiamo che è una cosa

I verbi elencati rappresentano tutti azioni che il bambino dovrebbe fare ogni giorno al nido, alla scuola

materna e alle scuole elementari. La domanda che si pone è quella del materiale, degli spazi, dei tempi e

dell’organizzazione dei gruppi, che possono al meglio “condurre fuori” dal bambino queste azioni che sono

sinonimo di intelligenza.

Sempre in tema di intelligenza un altro autori che ci aiuta ad aprire l’educazione è Howard Gardner.

Secondo lui non abbiamo una intelligenza, ma ne abbiamo almeno 10 intelligenze, le cosiddette intelligenze

multiple (Howard Gardner: Educazione e sviluppo della mente. Intelligenze multiple e apprendimento;

2005). Non tutti le abbiamo tutte, ma possiamo incontrare in qualsiasi persona intelligenze diverse: da

quella logico-matematica, quella linguistica, quella spaziale e della gestione lo spazio, quella musicale,

quella cinestetica e del movimento, un bravo giocatore di pallavolo ha una bellissima intelligenza

cinestetica, quella interpersonale, e quella intrapersonale, quella naturalistica, quella etica e alla fine quella

filosofica.

Come si possono promuovere tutte le intelligenze in tutti i bambini fin dalla nascita?

Semplice, l’intelligenza si crea attraverso un contesto educativo intelligente, che riesce condurre fuori le

diverse potenzialità intrinseche in ogni bambino. E come vedete in queste belle immagini, non occorrono

materiali super costosi o ambienti super allestiti, ma un contesto educativo intelligente e aperto a tutti i

bambini. Occorre un contesto educativo aperto che sollecita le potenzialità e che è in sintonia con i bisogni

di ogni bambino. A questo punto vediamo quali sono i bisogni del bambino ai quali dobbiamo adattare il

contesto.

I bambini hanno bisogno di un contesto stimolante che nutra tutti i loro sensi.

I bambini hanno bisogno di un contesto plurisensoriale, che stimola non solo la vista, ma tutti i sensi. La

percezione è sempre plurisensoriale. La percezione plurisensoriale è come un frullatore, che crea un unico

frullato da tutti gli ingredienti provenienti dai diversi organi sensoriali. Se mettiamo nel frullatore un solo

frutto, ad esempio il limone, si ottiene un frullato che sa solo di limone. Il limone è rappresentativo per la

vista. Una scuola pieno di colori, luci e forme visive, crea percezioni non plurisensoriali, ma monosensoriali.

Se i bambini si nutrano solo di limoni, ovvero solo con stimoli visivi, difficilmente riescono alimentare le

intelligenze multiple. Maggiore è la presenza di stimoli multisensoriali, maggiore è la probabilità che ogni

bambino trova quelli per i quali è maggiormente sensibile. Quindi i contesti plurisensoriali contengono

materiali da guardare, da ascoltare, da toccare, da annusare, da leccare, nonché che permettono di sentire

gli stimoli vestibolare, come oscillare, dondolare, saltellare, rotolare. Anche materiali e spazi che

coinvolgono tutto il corpo e che permettono le sensazioni cinestesiche, il sentire il proprio corpo nelle

diverse posizioni, rientrano nelle caratteristiche plurisensoriali.

I bambini hanno bisogno di un contesto che alimenti la curiosità e inviti ad essere esplorato e scoperto.

Non siete voi a dire: “ bambini adesso dovete uscire ed esplorare il giardino!”. È il materiale stesso e lo

spazio che dice al bambino: “vieni qui, scoprimi! Chi sono? Come sono fatto? Cosa puoi fare con me?”. I

bambini hanno bisogno di questo contesto, sia fuori, che all’interno.

Come si vede in questa foto è sufficiente per un bambino piccolo di incontrare un buco in un oggetto come

questo rotolo. Subito si attiva l’esplorazione ed in seguito qualche forma di gioco.

I bambini hanno bisogno di un contesto che lasci spazio e tempo alla riflessione.

Come un lago che riflette il paesaggio e che gioca con la luce deformandola e cambiando il suo colore,

come la montagna che rifletto i suoni emessi dalle persone giocando con il tempo di ritardo e creando gli

echi, anche gli spazi ed i tempi educativi devono rispondere alle azioni dei bambini e devono riflettere le

loro azioni e tracce, in modo da invitare i bambini di approfondire le loro esperienze e di esplorare e di

giocare nuovamente. La risposta e la “riflessione” deve essere fornita principalmente dal materiale e dal

Page 6: della Regione dell’Emilia Romagnaservizi.comune.fe.it/413/attach/raccontinfanzia/docs/intervento dr_ stefan von... · c’è qualcuno di voi che non educa? Sappiamo che è una cosa

contesto e non dalla persona adulta che spiega o insegna. Questo è un esempio di un contesto che offre ai

bambini spazio e tempo di riflessione: una pozzanghera e il vetro di una finestra sono sufficiente, niente di

più!

I bambini hanno bisogno di un contesto che lasci spazio all’immaginazione.

Come sono stati creati i due cerchi che vedete in questa immagine? Semplicemente con mele cadute da un

albero. Il centro del cerchio interno ha sfumature più scure create con le mele marce, che diventano una

cosa meravigliosa. Gli adulti, che hanno acquisito le conoscenze, fanno più fatica ad apprezzare le cose

quanto sono in uno stato alterato, non perfetto o diverse rispetto alla loro conoscenza. Disprezzano il

mondo dei bambini, definendo ad esempio l’acqua “sporca” e la mela “marcia”. Fanno più fatica ad

immaginare, perché la conoscenza spesso rappresenta una barriera per l’immaginazione.

Dare valore a quello che non sembra avere valore, è un’azione a costo zero e che può cambiare il mondo.

Materiali che il mondo commerciale e convenzionale considera rifiuto, resti o avanzi, vengono trasformati

dai bambini, ovvero dai piccoli maghi, in materia pima per la costruzione di nuovi mondi fantastici, grazie al

potere di immaginazione illimitata dei bambini.

I bambini hanno bisogno di un contesto che permetta di sviluppare tutte le competenze e abilità di ogni

bambino, inclusi i bambini con disabilità.

Ci sono bambini meno curiosi, meno coraggiosi, bambini che hanno difficoltà sia nell’esplorazione, che nel

gioco. Ma tutti i bambini dedicano il loro tempo all’opportunità di affrontare una difficoltà e di

sperimentare il rischio. Quando si cammina su un tronco rovesciato, come quello esposto in questa foto,

esiste un rischio reale di cadere. Ma il rischio e l’eventuale caduta servono al bambino per sviluppare la

giusta attenzione quando si esplora in autonomia il mondo. La riduzione del rischio da parte dell’insegnante

consiste nella verifica se il tronco non sia appoggiato sul cemento. Il tronco della fotografia è appoggiata

sull’erba e sulle foglie, quindi si tratta di un contesto che permette esplorazione e gioco autonomo.

L’autonomia e il rischio riguardano anche e soprattutto gli spazi interni. “Non è a norma di legge” oppure

“non si può fare, perché non è conforme alla legge” sono le due risposte che sento spesso, quando

propongo agli insegnanti una riflessione sulla trasformazione degli spazi e dei materiali nelle scuole. La

legge non può eliminare tutti i pericoli, che i bambini potrebbero incontrare durante l’esplorazione e il

gioco libero. Dall’altra parte, se il bambino non impara gestire i pericoli, non cresce, non evolve. È compito

dell’educazione offrire ai bambini problemi incontra a scuola, devono essere gestibile da parte dei bambini

con la “giusta attenzione”. Anche bambini piccolissimi possono essere attenti, soprattutto quando

esplorano e scoprano le difficoltà, soprattutto quando giocano.

I bambini hanno bisogno di un contesto che offra libertà di azione e possibilità di scelta.

Aprirsi all’educazione significa, che noi adulti dobbiamo programmare di meno, non decidere o decidere di

meno dove devono andare i bambini, dove possono giocare, con chi possono giocare. I bambini possono

Page 7: della Regione dell’Emilia Romagnaservizi.comune.fe.it/413/attach/raccontinfanzia/docs/intervento dr_ stefan von... · c’è qualcuno di voi che non educa? Sappiamo che è una cosa

scegliere in libertà, il luogo, il tempo e le persone. Questo vale non solo all’aperto, dove lo spazio offre

generalmente più opportunità di libertà, ma anche all’interno, dove i bambini possono scegliere cosa fare,

con chi e dove giocare, se sul tavolo, se sul pavimento, se sul mobiletto o dentro il mobiletto.

I bambini hanno bisogno di un contesto dinamico che si modifichi.

La natura è una forza dinamica incredibile ed un creatore

di tanti e bellissime cose. Quindi non c’è bisogno di

preparare o allestire il giardino, ci penserà la natura, la

pioggia, la neve, il ghiaccio, il sole, il vento. Quindi appena

c’è il primo fiocco di neve: fuori! La prima pioggia: tutti

fuori! Fuori c’è un contesto dinamico, che piace ai

bambini, perché il cambiamento invita a nuove

esplorazioni. Appena toccano la neve, la pestano, essa

cambia a sua volta. Questo contesto dinamico

rappresenta per i bambini la “bottega dei maghi” e le loro

mani e piedi sono come la bacchetta magica.

I bambini hanno bisogno di un contesto che possa essere modificato.

Se tutta la scuola è coperta di cementato, se lo spazio esterno è integralmente coperto con un manto

erboso, quale possibilità di modificare il contesto rimangano ai bambini? Quindi, la mancanza di erba, la

mancanza di cemento, permette ai bambini di fare buche. La buca è un prodotto del bambino, creato

mediante la sua intelligenza. La buca non va richiusa subito dall’adulto, che magari considera il buco un

pericolo, altrimenti si segnala ai bambini che le loro opere non hanno valore.

Anche all’interno, negli spazi chiusi, i bambini devono avere la possibilità di poter modificare, di avere le

opportunità di plasmare e di trasformare i materiali, di avere il permesso di modificare la posizione e

l’orientamento degli arredi, quando lo desiderano. Non piace più quell’angolo? Nessun problema, il

bambino, oltre ad essere un piccolo mago, e anche un piccolo architetto. Mette insieme tavoli, sedie, per

crearsi un suo spazio nuovo, a misura di bambino e non a misura di norma o di standard. I bisogni di ogni

singolo bambino non possono essere normati.

I bambini hanno bisogno di un contesto che rafforzi l’autonomia e la fiducia in sé.

Quando un bambino riesce risolvere un compito o un problema, che lui stesso ha cercato ed iniziato, cosa

pensa di se stesso? Sono stato capace, sono bravo!! Non ha bisogno della lode dell’insegnante, sono il

materiale o il contesto che lodano il bambino, quando affronta i problemi. Non c’è nessuna differenza tra i

problemi che il bambino risolve da solo fuori, da quelli che risolve da solo all’interno. Qui vedete bambini

nella falegnameria, uno spazio dedicato per l’attività con gli strumenti e le attrezzature appropriate. Nella

foto vedete tre bambini, che collaborano in autonomia e con fiducia reciproca. Infatti, ci vogliono tre

bambini per tenere fermo il legno e usare il martello in sicurezza, perché questi tre bambini compongono

una squadra. Insieme hanno scelto ed organizzato la loro attività e il successo del loro lavoro è un successo

condiviso, che rafforza la fiducia in sé di ogni bambino.

I bambini hanno bisogno di avere la possibilità di incontrare gli altri.

La libertà di scelta dell’azione, maggiormente presente in uno spazio esterno, ha un effetto positivo anche

sulla socializzazione. Dobbiamo organizzare la scuola in modo che i bambini si possano incontrare

liberamente ancora di più con gli altri e non soltanto quando gli adulti concedono ai bambini il tempo

libero. In molte realtà dei nidi e della scuola d’infanzia le occasioni del gioco libero vengono collocati in

momenti in cui l’insegnante non ha la dovuta attenzione rivolta ai bambini, cioè i bambini sono liberi di

giocare nella fase di preparazione del pranzo, alla mattina nell’accoglienza o al pomeriggio in attesa

Page 8: della Regione dell’Emilia Romagnaservizi.comune.fe.it/413/attach/raccontinfanzia/docs/intervento dr_ stefan von... · c’è qualcuno di voi che non educa? Sappiamo che è una cosa

dell’arrivo dei genitori. No, non sono liberi! Sono liberi di giocare quando l’insegnate è libero di osservare il

gioco! L’osservazione è indispensabile per garantire mediante i dovuti adattamenti didattici che tutti i

bambini possano trovano un contesto che permette la socializzazione, la relazione e il potenziamento delle

intelligenze presente nel gruppo. La libertà di giocare e di scegliere gli amici del gioco deve essere di tutti i

bambini, inclusi quelli con difficoltà o con disabilità. Solo quando l’insegnante ha la mente libera, ovvero

quando al centro della sua attenzione c’è il bambino, i bambini hanno la possibilità di organizzarsi

liberamente.

I bambini hanno bisogno di un contesto che sia pieno di problemi da risolvere

Nella foto accanto si possono notare tanti problemi da

risolvere, un vero contesto di “problem solving”. Problemi

risolvibile in autonomamente ed in sicurezza da parte dei

bambini rappresentano opportunità di apprendimento e di

crescita. Come è possibile? Come possono risolvere i

problemi in autonomia e sicurezza? Con contesti e

strumenti giusti e adatti alle capacità del bambino: il

morsetto, la lima, i guanti di pelle. Questi bambini se la

cavano con strumenti “super pericolosi” del papà, gestibili

in totale autonomia, perché qualcuno ha insegnato che ci

sono delle regole precise per affrontare i pericoli: “Prima ti

metti i guanti e solo dopo puoi toccare lo strumento. Con il guanto sei protetto, magari metti il legno nel

morsetto, così non scivola”. Il problema non sono la lima, la sega o il martello, ma il problema è come

aprirsi l’educazione!

I bambini hanno bisogno soprattutto di gioco e di giocare liberamente.

Giocare liberamente significa liberare la mente dei bambini, farli giocare secondo le loro regole e le loro

fantasie. Se osserviamo i bambini, vediamo che gran parte del loro tempo è occupato dal gioco, sia da soli

che con altri bambini o altri adulti. Giocano di giorno, giocano di notte. Quindi si pone la domanda, perché i

bambini giocano? La risposta possiamo trovare in questa foto:

Perché il gioco è fonte di felicità! Guardate quello che noi adulti chiamiamo “pozzanghera”, questa è la

fonte della felicità dei bambini. Questa fonte di felice ha tanti effetti collaterali: crea divertimento, gioia,

piacere. Troviamo nella pozzanghera la medicina naturale per il benessere del bambino e non solo. Quindi,

Page 9: della Regione dell’Emilia Romagnaservizi.comune.fe.it/413/attach/raccontinfanzia/docs/intervento dr_ stefan von... · c’è qualcuno di voi che non educa? Sappiamo che è una cosa

alla prossima visita dal pediatra, la pediatra, quando vede un bambino non felice, di scarsa salute, cosa

dovrebbe prescrivere per primo alla mamma di questo bambino infelice? Risposta della pediatria che cura il

benessere del bambino: “Prescrivo gioco libero per dodici ore al dì, per tutto l’anno, sia dentro che fuori,

con il sole, con la pioggia, con la neve e il vento! Anche se non sono certo se le ricerche lo confermano, ma

credo che si possano risolvere o ridurre tanti problemi di salute in generale. Una persona - un bambino

felice rafforza le proprie autodifese e dispone di maggiore energia positiva per contrastare le difficoltà. Una

persona che si diverte a risolvere problemi mentre gioca affronta, diversamente le sfide che incontra fuori

dal gioco.

Invece quando arrivano al pomeriggio i genitori a ritirare i propri figli, quali sono le domande più frequenti?

“ Ha mangiato? È stato cambiato? È rimasto al calduccio o ha preso del vento? Quando mai i genitori

chiedono al loro bambino: “Ti sei divertito ad esplorare il mondo?” “Sei felice?” oppure si pongono la

domanda se il loro bambino ha giocato abbastanza durante la giornata oppure se gli insegnanti hanno

rispettato pienamente la libertà del bambino durante il gioco?

I bisogni materiali, mangiare, vestirsi, avere un tetto sopra la casa sono più importante rispetto ai bisogni

immateriali tipo quelli psichici, cognitivi, spirituali? Sì o no? Possiamo alimentare, vestire un bambino e

offrire un alloggio, ma se questo bambino rimane senza relazione, senza affetto e senza gioco, diventa una

persona con gravissimi problemi comportamentali psicologici e con scarsa motivazione. Quindi non bastano

vestiti belli, mangiare tantissimo, avere una bella casa, ma ci vogliono altri valori che hanno lo stesso valore

del mangiare.

Il gioco è quindi un bisogno innato di ogni bambino!

Il gioco è un bisogno innato che forma l’identità della persona. Il modo in cui questi bisogni sono soddisfatti

e la maniera in cui le risposte fornite loro sono apprese dall’individuo, vanno a fondere la sua identità,

ovvero il “chi sono io?”. Il “chi sono io” è il prodotto delle esperienze vissute. Il bambino in gran parte del

suo tempo fa queste esperienze attraverso il gioco. Se il bambino attraverso il gioco raggiungo la felicità,

dichiarerà verbalmente al mondo o mediante la comunicazione non verbale se non parla: “IO sono felice”.

Questa bambina può staccare il gioco fissato sul bordo del tavolo? È un suo diritto di staccare questa gioco?

Giocare è un diritto? Nella relazione precedente di Donatella Mauro abbiamo saputo che il gioco è un

diritto. È un diritto dichiarato nella Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e della adolescenza. Il

testo integrale della Convenzione è scaricabile dal sito dell’UNICEF

http://www.unicef.it/doc/2018/pubblicazioni/convenzione-sui-diritti-dellinfanzia.htm .

Page 10: della Regione dell’Emilia Romagnaservizi.comune.fe.it/413/attach/raccontinfanzia/docs/intervento dr_ stefan von... · c’è qualcuno di voi che non educa? Sappiamo che è una cosa

Ogni tanto conviene riguardarsi il testo particolarmente l’articolo 31:

“Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo ed allo svago, a dedicarsi al gioco e ad attività

ricreative proprie della sua età, ed a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica che dà l’obbligo

agli stati parti di riconoscere al fanciullo il diritto al riposo, allo svago, al gioco, alle attività ricreative e

partecipare liberamente alla vita culturale e alla vita artistica”.

La seconda parte di questo articolo stabilisce: “gli Stati devono riconoscere e promuovere questo diritto in

condizioni di uguaglianza”.

Cosa significa in condizione di uguaglianza? Per tutti i bambini! Tutti?

Cosa succede quando qualche bambino fa fatica a giocare all’aperto. Ci sono anche i bambini con disabilità!

Quindi anche la bambina sulla sua carrozzina può entrare in una pozzanghera e giocare? Perché no?

Dipende se l’insegnante si è aperta all’educazione inclusiva sia all’aperto che all’interno.

Anche i bambini con disabilità vorrebbero giocare per raggiungere la felicità e divertirsi, come tutti gli altri

bambini. Le diverse intelligenze del bambino con disabilità devono essere potenziato, in modo particolare

la sua “intelligenza adattiva”, intelligenza non compresa nelle 10 intelligenze di Howard Gardner. Definisco

questa intelligenza come capacità di raggiungere la felicità, la libertà e l’autonomia in un contesto spesso

non ottimale per una persona con disabilità.

Avere un contesto educativo adatto ai bisogni particolari di una persona con disabilità non è un optional,

ma un altro diritto internazionale stabilito nella Convenzione sui diritti delle persone con disabilità,

pubblicata dall’ONU nel 2006 e ratificata in Italia nel 2009. Di cosa parla questa convenzione? Articolo 24:

“il diritto al pieno sviluppo del potenziale umano, dell’autostima, della libertà fondamentale e della diversità

umana”. La Convenzione può essere approfondita all’indirizzo:

http://www.osservatoriodisabilita.it/index.php?lang=it&Itemid=133 .

Tutti i bambini devono essere liberi e avere il diritto allo sviluppo della propria personalità, dei talenti, della

creatività, come pure delle proprie abilità fisiche e mentali, sino alle loro massime potenzialità. Tutti i

bambini, inclusi quelli con disabilità. Il gioco libero è quindi un diritto, perché se andiamo ancora più

indietro possiamo citare la Convenzione sui diritti umani 1948. I diritti umani includono i diritti innati all’

esistenza, il diritto all’ identità e all’autodeterminazione. Il bambino, anche di un anno, può decidere a

non voler mangiare gli spinaci? Il bambino al nido, che decide di voler giocare con il suo fratello della scuola

d’infanzia, può liberamente giocare oppure il giardino condiviso delle due scuole è separato da una rete

metallica, perché qualcuno considera pericolosa la convivenza di bambini di età diversa? Hanno il diritto di

volere e di non volere?

Chiaramente ci sono situazioni in cui i bambini sono esonerati dall’autodeterminazione, quando ad esempio

devono assumere un farmaco indispensabile per la loro salute. Purtroppo, chi educa rischia di entrare

spesso in conflitto con l’autodeterminazione del bambino, soprattutto in contesti educativi non adatti o

non “aperti”. Ogni bambino è nato con il diritto di decidere da solo e l’ambito del gioco libero è il contesto

per eccellenza per conquistare l’autonomia e la libertà, senza particolari interferenze da parte di chi educa,

e per preparassi a diventare cittadino autonomo e libero che difende non soltanto se stesso, ma anche e

soprattutto la libertà degli altri.

I diritti naturali dei bambini

Stamattina Sabrina ha citato Gianfranco Zavalloni e invito tutti di consultare il manifesto dei “diritti naturali

dei bambini” (http://scuola.regione.emilia-romagna.it/focus-scuola/i-diritti-naturali-dei-bambini/diritti-

naturali-di-bimbe-e-bimbi...perche-un-manifesto ).

Page 11: della Regione dell’Emilia Romagnaservizi.comune.fe.it/413/attach/raccontinfanzia/docs/intervento dr_ stefan von... · c’è qualcuno di voi che non educa? Sappiamo che è una cosa

Si tratta di un elenco di 10 diritti naturali:

1. Il diritto all’ozio

Il diritto di avere il proprio tempo: lasciate ai bambini la possibilità di autodeterminare il tempo, questo

vuol dire anche modificare la programmazione della giornata tipo. Ad esempio al nido “Il cavallino a

dondolo” e alla scuola d’infanzia “Al Cinema” a Bologna è stata abolita la mensa ed è stato introdotto il

ristorante. Si va mangiare non ad un orario fisso, ma si lascia al bambino o ai gruppi dei bambini una certa

libertà di scegliere il momento più opportuno, come voi scegliete il momento per andare al ristorante

secondo il vostro tempo personale. Il bambino può autodeterminare quando finire il gioco e quando andare

a mangiare. Questo significa dare tempo al bambino, anche il tempo per guardare le nuvole. “Sono le

11,30? Ancora mezzora di nuvole, perché questo è più importante per la mia felicità, piuttosto che

mangiare quel pasto della cooperativa, che oggi mi interessa di meno”.

2. Il diritto di sporcarsi

Se esiste il diritto di sporcarsi, ci vuole un contesto che permette lo sporcarsi. In questa foto vedete una

pozzanghera permanente, dove la scuola garantisce che avrà l’acqua tutto l’anno, non soltanto quando

piove. Quindi c’è la possibilità di sporcarsi con il fango anche durante l’estate.

3. Il diritto agli odori

Spesso, durante i momenti di formazione faccio annusare alle insegnanti il materiale che propongono ai

bambini. In questo modo gli insegnanti si accorgono che i giochi di plastica colorata non odorano, ma

“puzzano” in forma indistinta. Molti odori nella scuola sono costanti e quando lo stimolo è costante per

molto tempo, il nostro sistema sensoriale non lo averte più, si adatta. Quindi molti giocatoli di plastica

perdono l’odore, ovvero perdono il “colore olfattivo”, mentre ad esempio il metallo, quando entra in

contatto con la mano calda, emana delle molecole che si attaccano alla mano e per un po’ di tempo si sente

che la mano ha toccato il metallo. Alcuni materiali lasciano al bambino una traccia, un promemoria. Questo

significa che a scuola i bambini hanno bisogno di materiali con tanti “colori olfattivi” diversi.

4. Il diritto al dialogo

Il diritto al dialogo è universale, occorre però particolare attenzione ai bambini con disabilità comunicativa,

con problemi linguistici, con problemi relazionali-familiari, che sono chiusi dentro in sé. Il diritto ad essere

ascoltati, anche quando non parlano, può essere realizzato mediante l’osservazione del loro

comportamento. Essere ascoltato e essere osservato, questo è il diritto di dialogo. Non soltanto

chiacchierare con i bambini, ma soprattutto ascoltare. Ascoltare le parole e i suoni prodotti dai bambini,

osservare il comportamento, sentire la loro pelle, se è fredda o calda, se è umida o secca, se l’odore del

bambino è un odore cattivo o dolce, l’odore di un bambino che ha giocato e sudato. Gli odori si sentono.

Una mamma di un bambino piccolo comunica attraverso il contatto corporeo e la comunicazione non

verbale e paraverbale, non solo a parole. Quindi il dialogo è spesso corporeo. Non si può non comunicare,

ogni movimento è comunicazione, ogni relazione è comunicazione.

5. Il diritto di usare le mani e i piedi

Occorrono materiali a scuola che possono essere usati con le mani, che lasciano traccia sulle mani: qui

vedete una semplice bacinella con acqua e terra che crea fango, che noi chiamiamo fango. Queste sono

materie di apprendimento per i bambini, questo è un laboratorio di scienze, perché tutte le consistenze

della materia sono incluse in questa vasca.

Page 12: della Regione dell’Emilia Romagnaservizi.comune.fe.it/413/attach/raccontinfanzia/docs/intervento dr_ stefan von... · c’è qualcuno di voi che non educa? Sappiamo che è una cosa

6. Il diritto del bambino al buon inizio

Nella relazione precedente della pediatra si è parlato di inquinamento. Noi abbiamo lasciato ai nostri

bambini un mondo inquinato, un debito pubblico di duemila miliardi, che ci produce tagli e riduzioni nella

scuola, togliendo le risorse per l’infanzia. Cos’è il diritto della presente e futura generazione al buon inizio?

Il diritto a iniziare il proprio ciclo di vita in un mondo sano, dove la cura e il rispetto per l’ambiente e per la

natura è prioritario, dove il cibo che si mangia è sano e buono, senza debito pubblico o altri problemi

lasciati dalla generazione precedente. Non è sufficiente mettere in ordine la sezione a fine giornata per

garantire a tutti i bambini un buon inizio il giorno dopo!

7. Il diritto alla strada.

Abbiamo parlato stamattina tanto dei progetti sui

giardini, ma dove vediamo qui a Ferrara una strada

con questo famoso cartello che vediamo in

Germania, in Danimarca e in Svezia e che dà

precedenza assoluta ai bambini. Quando arriva la

macchina il conducente deve aspettare finché i

bambini hanno liberta la strada. Il diritto di

precedenza dei bambini porta ad una ri-educazione

degli automobilisti, che evitano quella strada, perché

sanno che i bambini ci mettono del tempo finire il

loro gioco. Dopo aver lavorato a lungo sulla apertura

delle scuole propongo di passare anche all’apertura dei quartieri e della città. Occorre contribuire allo

spostamento politica urbana, che deve mette al centro della sua azione i bambini e le famiglie. Questo non

significa aumentare il numero dei vigli davanti le scuole che regolano il traffico durante l’arrivo e la

partenza dei bambini, ma aumentare la rete dei percorsi pedonali e delle piste ciclabili sicure e privilegiati,

in modo che il percorso a scuola diventa fattibile per i bambini in totale autonomia e sicurezza, a partire

dalla prima elementare!

8. Il diritto al selvaggio

La natura ordinata si chiama “giardino” o “parco”, la natura selvaggia di chiama “natura”. Purtroppo

troviamo sempre meno natura sia fuori dalla scuola, che dentro. La natura selvaggia è una natura libera,

senza interferenze da parte dell’uomo. Anche nel gioco libero possiamo ritrovare la dimensione del

selvaggio: gioco libero – gioco selvaggio, ovvero un gioco dove “l’essere bambino naturale” non subisca

particolari interferenze, salvando così il diritto del bambino al selvaggio.

9. Il diritto al silenzio

Stamattina abbiamo visto una bellissima sequenza fotografica di bambini che giocavano in natura. La

sequenza fotografica era purtroppo accompagnata con musica di sottofondo. Le immagini dei bambini mi

sono piaciute tantissimo. Mi è anche piaciuta la musica, ma accompagnare le immagini con la musica è

come servire insieme le due specialità ferraresi, mescolando i cappelletti in brodo con un po’ di salamina da

pentola, ottenendo qualcosa che togli valore ad entrambe le cose. Quando osserviamo i bambini occorre

silenzio, perché parlano loro, parlano mediante la loro espressione, il loro comportamento e il loro stupore

quando scoprono il mondo. I bambini hanno diritto al silenzio, ad un mondo non già riempito di suoni, di

rumori e di musica. Se un bambino non vuole guardare, chiude gli occhi o guarda da un’altra parte. Se non

vuole sentire, non ha la stessa possibilità. Il rumore è diventato la principale fonte di inquinamento, non

solo nelle scuole, ma anche nelle città. Il bambino ha il diritto al silenzio!

Page 13: della Regione dell’Emilia Romagnaservizi.comune.fe.it/413/attach/raccontinfanzia/docs/intervento dr_ stefan von... · c’è qualcuno di voi che non educa? Sappiamo che è una cosa

10. Il diritto alle sfumature

Non esiste il giusto e lo sbagliato, non esiste il bello e il brutto, non esiste un bianco e un nero. Il mondo del

bambino è composto da infinite sfumature, che cambiano ogni giorno in base alle sue esperienze nei diversi

contesti. Grazi alle sfumature, grazie alle verità non assolute potrebbe essere possibile per il bambino

sperimentare nuove regole e risolvere tanti conflitti.

Tutti questi diritti possono essere realizzati attraverso il gioco libero, sia a scuola che a casa. Per gli

insegnanti esiste una vasta offerta di aggiornamento e di formazione sul gioco e sulle attività all’esterno,

occorre includere maggiormente nelle iniziative formative anche i genitori, soprattutto con formazione

pratica su come riscoprire mediante il gioco, insieme ai propri figli, la felicità, la gioia e il divertimento nelle

cose piccole e senza particolare valore. Le cose piccole e apparentemente senza valore si trovano senza

limiti dentro e fuori le case di tutti.

Un ulteriore ambito di azione potrebbero essere quello dei campi giochi pubblici, attrezzandoli con meno

strutture costose, che offrono principalmente opportunità di movimento, e progettando più occasioni di

gioco libero, di scoperta e di possibilità di poter modificare e trasformare il campo giochi. Quando il gioco

libero è possibile a scuola, a casa, in città e fuori città, possiamo rispondere alla domanda principale di

questo convegno: