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1 Humana musica, a cura di Giangiuseppe Bonardi, MiA, Musicoterapie in Ascolto Humana musica, a cura di Giangiuseppe Bonardi, MiA, Musicoterapie in Ascolto 1 HUMANA MUSICA a cura di Giangiuseppe Bonardi HTTP://MUSICOTERAPIEINASCOLTO.COM/EBOOK/413-HUMANA-MUSICA-A-CURA-DI-GIANGIUSEPPE-BONARD 10 MARZO 2016 MiA Musicoterapie in Ascolto

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“Humana musica”, a cura di Giangiuseppe Bonardi, MiA, Musicoterapie in Ascolto

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HUMANA MUSICA

a cura di Giangiuseppe Bonardi

HTTP://MUSICOTERAPIEINASCOLTO.COM/EBOOK/413-HUMANA-MUSICA-A-CURA-DI-GIANGIUSEPPE-BONARD

10 MARZO 2016

MiA Musicoterapie in Ascolto

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PRESENTAZIONE

L’“Humana musica”, riattualizzando il pensiero di Severino Boezio nella prassi

musicoterapica, esplora la prima musica che viviamo e ascoltiamo

quotidianamente e che, in musicoterapia, è spesso regina.

L’e-book è diviso in tre parti.

La prima parte, scritta dal curatore, delinea alcuni concetti utili a definirla,

“annotarla”, interpretarla.

La seconda parte si avvale di molti contributi dei Colleghi che testimoniano la

loro esperienza d’ascolto, d’accoglienza, e di riflessione dell’“humana musica” nei

propri contesti di lavoro.

La terza parte, grazie ancora una volta al prezioso contributo dei Colleghi,

analizza il rapporto biunivoco che sussiste tra l’“humana musica” e quella

“instrumentalis”, evidenziando plausibili e impensati percorsi di senso.

MiA Musicoterapie in Ascolto

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INDICE

5 Che cosa è l’“humana musica”?

6 L’“humana musica” in musicoterapia

6 Nominare i vissuti

7 Il lessico dei vissuti

7 Sensazioni, emozioni, sentimenti, vissuti

7 Sensazione

8 Emozione

8 L’inganno dell’intensità

9 Sentimento

10 Vissuti

11 La valutazione del carico emotivo

15 Mentre osservo Luca, imparo ad ascoltare me stessa

19 Un viaggio musicoterapico verso… se stessi

22 Puzze ed emozioni

26 Emozioni vissute e condivise nel tempo dell’incontro con Marcello

33 Puzza, pazzo, pizza, t’ammazzo, ovvero le parole dell’amore 35 Ascoltando la musica ‘dolce e amara’ delle mie tonalità emotive…

40 Musica “instrumentalis”

41 La ‘musica’ di Danilo

46 “L’incantesimo della chitarra”

49 Clelia ‘suona’… le sue emozioni

56 L’humana musica di Pierangelo

62 Biblio-sitografia

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HUMANA MUSICA PARTE TEORICA

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CHE COSA È L’“HUMANA MUSICA1”?

Di Giangiuseppe Bonardi2 «Già teorizzata nell’antichità da Severino Boezio3, la “musica humana” è formata dall’insieme dinamico e multiforme dei vissuti che costituiscono la personale dimensione emozionale… la nostra anima. Come una colonna sonora onnipresente, l’“humana musica” intona quotidianamente ogni momento che viviamo, essendo, di fatto, l’invisibile, ma udibile, “seconda pelle… sonora”. La possiamo ignorare, ma lei risuona incessantemente, avviluppandoci totalmente. Se decidiamo di ascoltarla, iniziamo, con fatica, ad accoglierla, cercando di percepire le qualità “acustiche” che la compongono, assegnando il nome a ogni singolo vissuto esperito. Nominando i vissuti, intraprendiamo il cammino verso la difficoltosa accoglienza degli stessi, scoprendo altresì che ogni vissuto si traduce, analogicamente, in gesto o in suono, diventando, di fatto, la vera, autentica “musica instrumentalis”. In questo viaggio introspettivo troviamo quindi l’importante connessione che sussiste tra la dimensione “humana” e quella “instrumentalis” per cui l’una può rimandare all’altra… vicendevolmente, in un costante interscambio che può essere compreso solo quando siamo disposti ad ascoltarci e ad ascoltare.» 1 “Humana musica”, dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi. Voce pubblicata da

MiA, Musicoterapie in Ascolto, il 19 novembre 2014, http://musicoterapieinascolto.com/87-humana-

musica

2 Musicoterapista, formatore e supervisore, http://www.aiemme.it/chi-siamo/registri-

professionali/professionisti-della-musicoterapia/

Ideatore e responsabile di MiA, Musicoterapie in Ascolto, http://musicoterapieinascolto.com/homepage

3 Boezio S. Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Severino_Boezio

Fubini E., L’estetica musicale dall’antichità a settecento, Einaudi, Torino 1976, pp. 73, 74.

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L’“humana musica” in musicoterapia La prima musica che incontriamo in musicoterapia è quella “humana”. Non è fatta da suoni o da ritmi, ma da percezioni soggettive che evocano, con maggiore o minore precisione, ciò che viviamo durante l’incontro con l’altro. Sono nomi acustici che indicano, a seconda dei casi, le sensazioni corporee, le emozioni e i sentimenti provati. Per cui termini come paura, ansia, timore, ecc. insieme ad altri, maggiormente gioiosi, quali il piacere, il benessere, la soddisfazione, ecc., possono costituire la gamma dei vissuti esperiti durante l’incontro con l’altro. Possiamo resistere ai richiami dell’“humana musica”, cercando di “tappare le orecchie”, considerandola inutile o poco funzionale al nostro intervento, oppure, ci apriamo al suo ascolto. A noi rimane questa scelta: ignoriamo o accogliamo la nostra “humana musica”? Per fare una scelta ponderata è bene sapere che i nostri vissuti, specialmente quelli spiacevoli, se non sono ascoltati da noi, di fatto, superano qualsiasi limite corporeo e ci avvolgono, creando lentamente un’invisibile barriera che ci richiude, isolandoci. In questo caso, avviluppati nei nostri vissuti non accolti, di fatto, relazioniamo solo con noi stessi senza, peraltro, esserne molto consapevoli. Se vogliamo ascoltare l’altro non ci rimane altro da fare che iniziare ad accogliere noi stessi, ascoltando i nostri vissuti. Nominare i vissuti Questa decisione non è indolore, ma è, giocoforza, necessaria. La prima difficoltà che incontriamo nella nostra introspezione auditiva è quella di dare il nome “giusto” al vissuto provato. Nominare i vissuti è un’attività esclusivamente personale che non possiamo demandare ad altri poiché solo noi li possiamo definire con precisione. Gli altri, gli amici che ci vogliono aiutare in questa impresa, sostituendoci, di fatto, non ci danno nessun tipo di aiuto, in quanto, ciò che ci comunicano non è nostro, ma riguarda loro. La nomina dei nostri vissuti è quindi solo una nostra, irrinunciabile, faticosa ricerca; una ricerca difficile fatta da scelte continuamente affinate. Dobbiamo appellarci a noi stessi, alla nostra autostima, solo così riusciremo a definire con precisione i nostri vissuti, riconoscendoli, nominandoli e, in tal modo, impediremo loro di agire su di noi. Se in una situazione particolarmente difficile proviamo, ad esempio, paura, ma cerchiamo di ignorarla, certamente in una situazione analoga questo vissuto si ripresenterà magari con maggior intensità, bloccandoci sicuramente, trasformandosi magari in… panico.

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Se, in un’altra situazione, proviamo un attacco di panico e, per una frazione di secondo, scegliamo di accoglierlo, riconoscendolo e annotandolo, dopo l’incontro, scegliendo il nome che riteniamo maggiormente idoneo a definirlo, molto probabilmente quando ci troveremo in un’analoga situazione, riusciremo ad ascoltar meglio ciò che proviamo, sentendo meno sgomento. Il lessico dei vissuti Cercando, scegliendo e nominando con cura, seduta dopo seduta, i nostri vissuti, creeremo il lessico dei nostri vissuti, ossia una mappa sonora delle nostre introspezioni. Scrivendo i nostri vissuti su di un foglio, giorno, dopo giorno, realizziamo la “mappa” della nostra ’“humana musica”. Una “mappa” perfettibile che, di fatto, ci permette di ri-ascoltare quanto viviamo. Scegliendo il colore, la forma, la dimensione di ciascun vissuto provato, riusciamo a far uscire da noi, simbolicamente, ciò che proviamo e, in tal modo, possiamo ri-accostarci sempre di più all’essenza acustica dello stesso, ossia alla sua eco. Così riusciamo ad iniziare ad ascoltare e accogliere, in special modo, i vissuti alquanto spiacevoli che, provati, ma non accolti, agiscono nel nostro spirito e nel nostro corpo. Sensazioni, emozioni, sentimenti, vissuti Se la nostra “humana musica” è formata da sensazioni, emozioni e sentimenti, mi pare importante chiedersi il significato dei tre termini. Sensazione4 «Esperienza soggettiva rilevata mediante gli organi di senso. La sensazione è la “... modificazione che la coscienza avverte in sé come prodotta da stimoli esterni o interni sugli organi di senso5...”». La definizione riportata, con un linguaggio decisamente accademico, sottolinea la dimensione soggettiva e indiscutibilmente corporea sottesa all’atto percettivo. In questa prospettiva, termini come frescura, calore, sonnolenza, tachicardia, sudore, gonfiore, affanno, brivido, contrazione, lacrimazione, sorriso, risata, ecc., evocano sensazioni certamente corporee che, a parer dello scrivente, sono il radicamento fisico delle emozioni e dei sentimenti. Le sensazioni sono quindi percezioni dello stato del proprio corpo o di parti di esso, avvertite dalla nostra coscienza, ma senza una profonda consapevolezza.

4 “Sensazione”, dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi. Voce pubblicata da MiA,

Musicoterapie in Ascolto, il 1 agosto 2011, http://musicoterapieinascolto.com/147-sensazione

5 AA. VV., Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana, Garzanti, Milano 1987, p. 1776.

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Emozione6 «Le emozioni sono “... esperienze soggettive d’intensità rilevante, accompagnate sempre da modificazioni fisiologiche e spesso da modificazioni comportamentali ed espressive dell’organismo7...”». Come nella sensazione, la soggettività dell’esperienza emotiva è radicata nel corpo, poiché il vissuto emozionale è accompagnato sempre da modificazioni fisiologiche e, talvolta, da mutamenti comportamentali ed espressivi dell’individuo. La percezione del grado di intensità delle emozioni, sottolineato nell’enunciazione presa in esame è definita: rilevante. In realtà l’intensità della percezione emotiva, a parere dello scrivente, è connaturata alla capacità della persona di aprirsi all’ascolto. Se una persona ha iniziato da poco ad ascoltarsi, percepirà emozioni poco intense. Al contrario, se una persona coltiva abitualmente l’introspezione, aumenterà sensibilmente la propria intensità percettiva. L’inganno dell’intensità In una particolare situazione, una persona afferma di provare un po’ di paura; un’altra persona, vivendo un’analoga situazione, afferma di provare una forte paura. In entrambe i casi, la persone coinvolte pongono in risalto l’intensità e lasciano in secondo piano l’emozione provata. Sebbene l’intensità percepita sia stata lieve o intensa, le due persone hanno avvertito la paura. Nell’ascolto-accoglienza delle emozioni non è fondamentale indicare anche l’intensità delle esperienze soggettive, ma è essenziale concentrarsi sulla presenza di uno specifico dato emozionale. In una fase iniziale del processo introspettivo e importante avvertire, ad esempio, il piacere, la rabbia, la calma, la tensione, il sollievo, ecc., ossia le emozioni eventualmente provate, piuttosto che cercare di individuarne l’intensità, altrimenti perdiamo l’attenzione sul dato emotivo da rilevare.

6 “Emozione”, dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi. Voce pubblicata da MiA,

Musicoterapie in Ascolto, il 27 giugno 2011, http://musicoterapieinascolto.com/128-emozioni

7 AA. VV., (2006), Enciclopedia tematica. Vol. 14 - Filosofia A-M, RCS Quotidiani, su licenza Garzanti,

Milano 2006, p. 302.

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Se ci concentrassimo a valutare l’intensità percepita correremmo il rischio di sottovalutare la ricezione della paura, quando l’avvertiamo poco, oppure la enfatizziamo, quando la percepiamo eccessiva. In altre parole si rischia di aprirsi o chiudersi all’ascolto a nostro piacimento, perdendo di vista il vero obiettivo, ossia l’ascolto dell’emozione. In un secondo momento, quando siamo avvezzi a nominare ciò che proviamo con maggior precisione, presteremo attenzione anche al grado di intensità e scopriremo che, in verità, è strettamente correlato alla nostra capacità d’ascolto. Parafrasando Antonio Damasio non dobbiamo dimenticare che le emozioni costituiscono: “… l’incessante accompagnamento musicale della nostra mente, inarrestabile mormorio della più universale delle melodie: una melodia che si spegne nel sonno, un mormorio che si trasforma in un coro di trionfo quando siamo pervasi dalla gioia, o in un requiem malinconico quando a prendere il sopravvento è il dolore.”8 Le emozioni possono essere intese quindi come un “mormorio inarrestabile”, un’“universale melodia”, la nostra prima vera musica, l’“humana musica” che intoniamo ogni giorno e che chiede, incessantemente, di essere ascoltata; spetta solo a noi accoglierla. Come le sensazioni le emozioni sono perlopiù vissute a livello corporeo, senza una vera e propria consapevolezza. Sentimento9 Il termine sentimento: “... dal latino medievale sentimentu(m), derivazione del classico sentīre, ‘sentire’, (ossia)... avere coscienza di un proprio stato interiore, di una determinata situazione emotiva ... (e/o sensoriale)10” è, di fatto, un’ulteriore livello percettivo in quanto presuppone che una persona senta con consapevolezza la propria emozione e/o sensazione corporea per cui prova una dimensione qualitativa unica, totalmente soggettiva, quasi intraducibile. Non per nulla, quando vogliamo descrivere un sentimento provato utilizziamo perifrasi e metafore linguistiche che hanno in sé una dimensione poetica.

8 Damasio A., (2003), Alla ricerca di Spinoza: emozioni, sentimenti e cervello, Adelphi, Milano 2003, p.

13.

9 “Sentimento”, dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi. Voce pubblicata da MiA,

Musicoterapie in Ascolto, il 28 luglio 2011, http://musicoterapieinascolto.com/148-sentimento

10 AA. VV., Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana, Garzanti, Milano 1987, p. 1778.

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Nel provare sentimenti si realizza, probabilmente, la perfetta armonizzazione tra il corpo e la mente, sperimentando, una dimensione cairologica11 molto particolare “… nel quale qualcosa di speciale accade12”. Un qualcosa di intraducibile e di intimo, che a volte ci sembra, ad esempio, sublime e meraviglioso, altre ci può apparire, ad esempio, malinconico e nostalgico. Vissuti “I vissuti13 sono l’insieme delle sensazioni, delle emozioni e dei sentimenti, siano essi piacevoli o spiacevoli, provati dalla persona durante una situazione di vita, denominati dalla stessa con estrema cura e precisione al fine di poterli... accogliere.” In buona sintesi l’“humana musica” è formata quindi da vissuti. Possono essere categorizzati, in sensazioni, in emozioni e sentimenti, ma, di fatto, per noi musico terapisti è importante ascoltarli, accoglierli. Definire se, ad esempio, la paura sia una sensazione, un’emozione o un sentimento, non è compito dei musicoterapisti, ma questa scelta spetta al variegato mondo degli operatori delle scienze psicologiche e di quelle afferenti, come la fenomenologia ad esempio, che decidono cosa è e cosa non è una sensazione, un’emozione e un sentimento. I musicoterapisti sono solo chiamati ad ascoltare quella variegata “mappa” di vissuti, scegliendoli con estrema cura, nominandoli con pazienza, trovando il termine che li rappresenta meglio, cercando parole poco ambigue, ma possibilmente chiare e soddisfacenti, non tanto agli altri, ma a se stessi. È una attività difficile e lenta, ma necessaria perché, dopo ciascun incontro, costruiamo la “mappa” dei nostri vissuti, ossia il lessico da cui attingere, dopo ciascuna seduta, per definire ciò che viviamo, differenziandoci nettamente da quanto l’altro sta vivendo, evitando di proiettare sull’altro ciò che in realtà noi proviamo.

11 “Kairos”, dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi. Voce pubblicata da MiA,

Musicoterapie in Ascolto, il 14 gennaio 2012, http://musicoterapieinascolto.com/135-kairos

12 Freier M. (2006) “Time Measured by Kairos and Kronos” Mark Freier (2006) "Time Measured by

Kairos and Kronos" http://it.wikipedia.org/wiki/Kairos

13 “Vissuti”, dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi. Voce pubblicata da MiA,

Musicoterapie in Ascolto, il 1 luglio 2011, http://musicoterapieinascolto.com/154-vissuti

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La valutazione del carico emotivo14

14 Contributo tratto da: Bonardi G., Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul

Metauro (PU) 2007, pp. 40-42.

Tabella A Seduta I° II° III° Vissuti esperiti dal/la

musicoterapista durante la seduta:

N G

1) astenia; - 1 - 2) benessere; + + 2 M 3) contrazione muscolare; - 1 - 4) gioia; + 1 - 5) inadeguatezza; - 1 - 6) intesa; + + 2 M 7) piacere; + + + 3 + 8) preoccupazione; - - 2 M 9) soddisfazione; + 1 - 10) sollievo; + + 2 M 11) sudorazione; - 1 - 12) tensione. - 1 M Somma 3 6 9 Livello energetico, provato

dal musicoterapista, espresso mediante la

somma algebrica +1 +2 +1 + M Carica energetica - 3 + 0 - M Scarica energetica +

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Nella scheda di rilevazione presa in esame, il musicoterapista esperisce vissuti di carica (piacevoli = segno +) e di scarica energetica (spiacevoli = segno -). La lettura analitica dei vissuti evidenzia che solamente l’adeguatezza è costantemente rilevata nell’arco delle tre sedute prese ad esempio (tabella a). Da quanto emerge nella tabella A si presuppone che il musicoterapista reputi se stesso una persona sufficientemente idonea a svolgere il compito osservativo. Il benessere, l’intesa, la preoccupazione e la tensione, esaminate nella tabella esemplificativa, hanno una media (segno M) incidenza di rilevazione, in quanto presenti in due sedute su tre. In tale situazione, il musicoterapista sente l’altro, ma contemporaneamente è preoccupato e teso. L’astenia, la contrazione muscolare, la gioia, l’inadeguatezza, la soddisfazione, il sollievo e la sudorazione hanno invece una minima (-) incidenza di rilevazione, in quanto sono rilevate in una sola seduta. In questo caso, i vissuti provati dal musicoterapista hanno una ridottissima probabilità di ripresentarsi. La registrazione costante dei vissuti piacevoli (+) e spiacevoli (-) effettuata dal musicoterapista, permetterà allo stesso di realizzare una valutazione in merito al proprio carico emotivo vissuto in ciascuna seduta. Sommando algebricamente i vissuti (piacevoli, spiacevoli) si ottiene un numero che esprime il livello di carica o scarica energetica esperito durante l’intera seduta. Per calcolare i gradienti di valutazione si devono individuare le tre fasce omogenee (che contengono la stessa quantità di valori numerici) indicative del:

gradiente minimo;

gradiente medio;

gradiente massimo. A titolo esemplificativo prendiamo in esame il numero totale dei vissuti provati dal musicoterapista durante l’ultima seduta (tabella A). In questo incontro il musicoterapista prova ben 9 vissuti. Il numero 9 è riportato nella casella somma della tabella A. Scomponendo il numero 9 in 3 fasce omogenee otteniamo:

9 1, 2, 3 4, 5, 6 7, 8, 9

MINIMO MEDIO MASSIMO

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Si desume da ciò che i valori ottenuti indicheranno un gradiente di valutazione, da:

1 a 3 minimo (-);

4 a 6 medio (M);

7 a 9 massimo (+). Poiché il livello energetico provato dal musicoterapista nella seduta presa in esame è espresso dal numero algebrico +1, mettendo in rapporto +1 con i valori numerici dei gradienti di valutazione scopriamo che, in questo caso, il terapista vive un carico emotivo denotante una minima carica energetica.

Seduta I° II° III° Somma 9 Livello energetico provato dal musicoterapista espresso mediante la

somma algebrica +1 + Carica energetica M - 0 - Scarica energetica M +

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HUMANA MUSICA APPLICAZIONI

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15MENTRE OSSERVO LUCA, IMPARO AD ASCOLTARE ME STESSA

Di Roberta Andrello16

Il ruolo chiave dei miei vissuti nella relazione musicoterapica con Luca Il processo musicoterapico individuale si caratterizza per la compresenza di due persone che vi partecipano con tutto il loro essere. Preoccupato dall’ansia di cogliere tutte le manifestazioni della persona (paziente), molto spesso il musicoterapeuta corre il rischio di “dimenticare” se stesso, quale altra persona coinvolta e polo ricevente di quella che Melanie Klein17 definisce identificazione proiettiva18, nella quale, secondo Bion19, ha le sue basi il controtransfert. In tal modo il musicoterapeuta confonde e scambia per propri i vissuti della persona (paziente), perdendo l’opportunità di sfruttare l’alto valore comunicativo del controtransfert: sapendo separare ciò che lui stesso prova da ciò che la persona (paziente) vuole fargli sentire, invece, il musicoterapeuta si trova nella condizione ideale per entrare in empatia con l’altro (paziente), mantenendo nel contempo un distacco da questi vissuti, necessario per salvaguardare la propria parte sana. In quanto uno dei poli diadici coinvolti nella relazione terapeutica, ho ritenuto di fondamentale importanza rivolgere sempre un’attenzione particolare ai miei vissuti, poiché è proprio con essi che ho dovuto “fare i conti” e misurarmi continuamente, fin dalla prima volta che ho visto Luca20.

15 Andrello Roberta, Mentre osservo Luca, imparo ad ascoltare me stessa, MiA, Musicoterapie in

Ascolto, 28 giugno 2010, http://musicoterapieinascolto.com/temi/385-andrello-roberta-mentre-osservo-

luca-imparo-ad-ascoltare-me-stessa

16 Andrello Roberta, psicologa, psicoterapeuta, diplomata in flauto traverso e in musicoterapia persso il

Cep di Assisi (PG), [email protected]

17 Klein M., Contributions to Psyco-Analysis, Hogart Press, London, 1948.

18 Nell’accezione Kleiniana l’identificazione proiettiva è uno dei meccanismi di difesa messi in atto dal

bambino che si trova nella posizione schizoparanoide (prima del quarto mese di vita), quando la visione

dell’oggetto è parziale, in quanto esso è scisso in “buono” e “cattivo”, come anche il suo Io.

Il bambino proietta quindi parti di sé nel corpo materno per poterlo possedere, controllare con la sua

presenza e al limite danneggiare.

19 Bion R. W., Esperienze nei gruppi, Armando, Roma, 1971.

20 Nome di fantasia in ottemperanza alla legge della privacy.

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Nei fatti, il grande rischio che ho corso è stato quello di essere “accecata” dall’entusiasmo e dalla voglia di effettuare un intervento musicoterapico di questo calibro, innescando in tal modo una sorta di reazione a catena, il cui esito finale era il “non vedere” quanto accadeva. L’euforia e l’entusiasmo coprivano, forse nel tentativo di difendermi, le molteplici emozioni esperite ogni volta che ero in presenza di Luca. Ciò mi impediva di affrontare serenamente le varie situazioni e di dare loro il giusto significato, necessario per proseguire l‘attività senza ostacoli tra me e Luca. Soprattutto durante le prime osservazioni, quando percepivo la presenza di Luca come fortemente invadente, aggressiva, travolgente e sentivo l’angoscia che il suo comportamento trasmetteva, avevo molta difficoltà ad ammettere di non sentirmi a mio agio, di avere paura di non farcela, di essere inadeguata alla situazione, tant’è che negavo tutto ciò affermando di “stare bene”. Non mi è stato facile, col tempo, ammettere questi stati d’animo, ma posso affermare che questo è stato un primo passo che ho compiuto anche nella direzione della conoscenza di me stessa: grazie a questa esperienza ho avuto modo di misurarmi con il mio modo di essere, ho imparato a percepire, ad ammettere e poi faticosamente ad accettare le emozioni, in special modo quelle spiacevoli. Col passare del tempo la loro presenza mi ha fatta sentire sempre più una persona viva, “a tutto tondo”, nonostante fossero comunque dolorose. Durante il tempo trascorso con Luca, dunque, è come se io avessi affinato le mie capacità “autopercettive”, diventando progressivamente più capace di ascoltarmi in tutte le mie sfaccettature. Questa apertura mi ha consentito di avere una maggiore consapevolezza dei movimenti controtransferali, evitandomi così, almeno in parte, di attribuire a Luca emozioni e sensazioni che scaturivano da me e, cosa più importante, mi ha facilitato il difficile compito di riconoscere e di distinguere le situazioni in cui ero oggetto di una identificazione proiettiva da quelle in cui non lo ero. Prestando una vigile attenzione ai miei vissuti, paradossalmente ho potuto essere più attenta a Luca, imparare a conoscerlo, ma soprattutto a cogliere di volta in volta quanto lui mi trasmetteva attraverso il suo modo di essere e di esprimersi nel contesto musicoterapico, riuscendo così, seppure con molta fatica, a trovare il modo adeguato in quel momento per “agganciarlo” ed entrare in “contatto” con lui. Penso che sul piano concreto sia questa l’esperienza che si vive, quando si afferma che ”… nella relazione d’aiuto … lo stesso terapeuta cambia … per diventare un miglior terapeuta.”21 In tal caso ho la sensazione di aver appena iniziato un cammino tanto tortuoso quanto affascinante, che probabilmente proseguirà senza fine …

21 Cherubini G., Zambelli F., La Psicologia dei costrutti personali, ed. Patròn Bologna,1987, p. 40.

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Osservare Luca, mantenendo la “giusta distanza” L’osservazione di Luca è stata non solo la fase durante la quale ho raccolto le informazioni necessarie alla valutazione della necessità dell’intervento musicoterapico e alla sua strutturazione, ma anche un’occasione di riflessione e di crescita personale e professionale. Se è vero infatti, come affermano Brutti e Scotti, che “ … l’apprendimento dell’osservazione è basato sulla pratica dell’osservazione e non sulla teoria dell’osservazione”22, la realtà che mi sono trovata ad affrontare è stata un’esperienza importante di apprendimento, durante la quale tutte le nozioni teoriche studiate hanno cominciato a sostanziarsi. In primo luogo ho sperimentato la necessità e al contempo la difficoltà di prendere come oggetto me stessa, quale condizione necessaria per evitare di parlare, di muovermi, di agire, di interpretare, ovvero di ostacolare l’osservazione, creando invece le condizioni per raggiungere Luca. In modo particolare ho vissuto il passaggio dalla teoria alla pratica nella difficile applicazione di quelle che Brutti e Brutti hanno chiamamato ‘regole paradosse’23, riconoscendo in esse un sostanziamento della ‘reverie’24 materna descritta da Bion25:

“... calarsi nella situazione con un’attitudine accogliente, senza agire, mantenendo un’attenzione fluttuante;

porsi a una giusta distanza dall’oggetto;

attivare una visione binoculare;

mettere tra parentesi, per quanto possibile, le nostre teorie di riferimento e la nostra esperienza;

sospendere ogni giudizio;

osservare senza memoria e desiderio;

cogliere, oltre il vedere, il non visto.” Queste sette regole sono state il mio punto di riferimento nella realizzazione dell’osservazione, ma spesso le particolari situazioni nelle quali mi sono venuta a

22 Brutti C., Scotti F., Osservazione-conflitto-bisogni, in: Quaderni di psicoterapia infantile, n.4, Borla,

Roma, 1981, p. 27.

23 Brutti C., Parlani R., “ Uso e abuso dell’osservazione”, in: Quaderni di psicoterapia infantile, n.33,

Borla, Roma, 1996, pp. 16-17.

24 Con “reverie” materna, Bion intende l’attitudine materna in grado di cogliere la proiezione del

bambino, capire cosa egli prova e rispondere in modo idoneo; la madre quindi raccoglie e contiene gli

elementi che il bambino ha proiettato e li restituisce spogliati degli aspetti più insostenibili, in modo che il

bambino possa cominciare a contenere sentimenti sgradevoli, in una forma per lui tollerabile.

25 Bion R. W., Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, Armando, Roma, 1970.

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trovare hanno richiesto molto impegno ed energia per riuscire, anche solo minimamente, a rispettarle. Le difficoltà maggiori sono state rappresentate dal fatto che inizialmente sentivo il peso dell’invadenza di Luca: era come se lui cercasse di “risucchiarmi”, proiettando in me parti di sé, nel tentativo di controllarmi. Durante l’osservazione nel contesto educativo, e ancor più in quella musicoterapica, Luca cercava tutte le strategie possibili per farmi giocare, parlare, muovere, ma non liberamente: il suo desiderio insistente era che io facessi ciò che voleva lui, secondo le modalità e nei tempi da lui definiti. Mi sentivo come il “prolungamento del suo braccio”, l’oggetto del suo delirio di onnipotenza. Queste situazioni mi rendevano molto difficile riuscire a mantenere la “giusta distanza”, a trovare un punto di osservazione dal quale avere una visione chiara e “binoculare”. Fino a che punto ciò che stavo osservando era “offerto” dalla realtà osservata, e cosa, invece, era frutto della mia mente? Le emozioni che provavo erano negative, mi sentivo a disagio, inadeguata, incapace di affrontare la situazione … eppure avevo il forte desiderio di continuare, perché mi rendevo conto che la negatività del mio sentire era in parte una mia personale reazione al comportamento di Luca, in parte qualcosa che Luca metteva dentro di me, ma tutto ciò non coincideva con il mio sé. In questa complessa situazione il fatto di avere degli indicatori da rilevare ha limitato la mia tendenza iniziale a cercare di dare frettolosamente una spiegazione ad ogni evento sulla base delle teorie apprese, e mi ha facilitata nel prestare maggiore attenzione ad aspetti chiave del comportamento di L. che richiedevano, al di là della pura rilevazione, la mia comprensione. Seppure con grande sforzo, e grazie al continuo monotoraggio delle mie emozoni, durante ogni seduta di osservazione ho mantenuto la “lucidità” necessaria per trovare una mediazione tra ciò che avrei dovuto fare, nel rispetto delle regole, e le richieste di Luca, in modo da evitare situazioni estreme nelle quali si sarebbe interrotta o addirittura resa impossibile l’osservazione. Ciò mi ha consentito di riuscire a calibrare i miei comportamenti a seconda delle situazioni, pur mantenendo invariati gli indicatori dell’osservazione, della quale è possibile attestare l’attendibilità.

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UN VIAGGIO MUSICOTERAPICO VERSO… SE STESSI26

Di Daria Cavallini27

Da circa un anno condivido con Flavia28 gli incontri di musicoterapia. Poco meno

di trent’anni non ha mai vissuto una relazione sentimentale, ha bisogno di tenere

tutto sotto controllo per contenere il più possibile la sua ansia e la sua profonda

solitudine. Diffidente, teme sempre di essere allontanata, meglio “abbandonata”

perché l’abbandono è il suo cruccio… anche un appuntamento mancato per un

imprevisto è per lei un abbandono. Ha bisogno di affetto e carezze, ma tutto il suo

corpo si irrigidisce se la si abbraccia. Fa fatica ad accogliere le sue emozioni e,

spesso, ‘vive’, quelle delle persone a lei particolarmente care, in maniera

possessiva. Se coglie un sentimento di natura amorosa verso qualcuno, si dà per

vinta in partenza e, parole sue,: “Me faccio passare!”. Quest’universo di emozioni

dimora con sofferenza nel suo profondo a discapito di un’autenticità che la

porterebbe a essere amata, cercata e compresa.

C’è voluto molto, molto tempo prima che iniziasse ad “accogliere” ciò che il cuore

le diceva e… finalmente un giorno arrivò al suo incontro dicendomi che non

aveva portato nulla; ciò capitava quando era nervosa e si controllava

emotivamente. Mi chiese un evento musicale eseguito col pianoforte purché sia

forte e imponente. Rimasi un attimo in “ascolto” di me stessa, respirai

profondamente… aspettai che nella mia mente affiorasse il titolo del brano ed

26 Cavallini Daria, Un viaggio musicoterapico verso… se stessi, 15 giugno 2013, MiA, Musicoterapie in Ascolto, http://musicoterapieinascolto.com/esperienze/242-cavallini-daria-un-viaggio-musicoterapico-verso-se-stessi 27 Insegnate di sostegno, in un istituto professionale, alterna l’attività di educatrice con quella di musicoterapista, utilizzando una metodica musicoterapica elaborata personalmente, fortemente incentrata sull’ascolto, esposta in… Cavallini Daria, Musicoterapia con gli adolescenti, 12 giugno 2013, MiA, Musicoterapie in Ascolto, http://musicoterapieinascolto.com/ebook/160-cavallini-daria-musicoterapia-con-gli-adolescenti [email protected] 28 Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy.

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ecco che apparve chiaro e nitido: Studio n.10 op.12 di Chopin, La caduta di

Varsavia.

https://www.youtube.com/watch?v=rbofPf3FH4k

Durante l’audizione le chiesi di ascoltare in particolare cosa vivesse il suo corpo.

Rimase un attimo sorpresa, non si aspettava tale invito, ma avevo deciso di

variare leggermente lo schema “rassicurante” dei nostri incontri, inducendole,

con questa richiesta, una lieve forma di ansia perché ritenni che fosse giunto il

momento opportuno per variare la dinamica relazionale dei nostri appuntamenti.

Si sedette sul divano. Con le gambe accavallate e la bocca lievemente contratta,

guardò i fogli con le schede da riempire e, più rivolta a se stessa che a me,

sussurrò: ”Non lo so…”.

Il brano iniziò con tutta la sua forza; lei rimase ferma… con gli occhi chiusi fino

alla fine... poi cominciò a raccontare:

“Ho provato disorientamento e affanno più mentale che fisico.

Sensazione di correre, correre e non arrivare.

Sentivo, non lo stomaco, ma la pancia… contratta e, quasi al termine, si è

riempita d’aria.

Dopo tanto correre all’improvviso uno squarcio! Intorno grigio scuro al centro

arancione con delle nuvole bianche e un’aquila che batte le ali. sentivo l’aria e

andava verso il centro arancione che non aveva termine… non era una

sensazione negativa, sentivo che andava verso qualcosa di bello… di libero!”. Le

chiesi come si sentisse fisicamente e cosa avesse colto. Rifletté un attimo e

rispose: “Niente… ho le braccia un po’ indolenzite…”.

Avevo la sensazione di averla davanti ai miei occhi

Sentii una morsa allo stomaco, una contrazione di emozioni e mi accorsi di

vibrare come se potessi visualizzare il flusso delle mie energie… pensai… sarà lei

l’aquila?

L’arancione poteva essere la sua essenza che si stava concedendo di iniziare a

“veder-si”?

Le sue braccia erano indolenzite e l’aquila volava.

Non so se la mia intuizione fosse giusta, ma sentii fluire le energie e le chiesi di

descrivermi l’aquila.

“Solitaria, piccola e forte, sovrastante tipo un re; volteggia e prende quello che

vuole; burbera, non t’ispira tenerezza; mi viene brutta, ma non è brutta; un po’

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bacchettona… no in realtà ho pensato alla signorina Rottermaier di Heidi, con

la testa piccola, gli occhietti e… quel becco…”.

Ero strabiliata!

Si stava descrivendo senza rendersene conto!

Come aiutarla?

Forse stava parlando proprio di lei?

Le chiesi cosa pensasse della sua ‘visione’.

Mi disse che l’aquila era reale, come se lei (Flavia) non fosse sul divano seduta,

ma in “un’altra dimensione…”.

La invitai a descriversi.

Mi guardò un po’ stupita e rifletté.

...

La invitai ad “andare di pancia”.

Iniziò a parlare poi, all’improvviso, si fermò.

Sbarrò gli occhi ed esclamò: “L’aquila sono io... le braccia… le ali!”.

Avvertii un’emozione fortissima… una grande gioia e silenziosamente ringraziai il

“tempo dell’universo” perché, lasciando fluire tutte le energie, Flavia si era

finalmente concessa di ‘accogliere’ se stessa… la guardo con tenerezza e le risposi:

“ Sì”.

Mi disse che non aveva provato sensazioni negative, anzi andava verso qualcosa…

come uno spazio infinito… però lei non si prendeva tutto quello che voleva, come

l’aquila, perché aveva paura. Era come se, dopo aver aperto 99 cancelli, si

fermasse all’ultimo e tornasse indietro.

Le risposi che forse questa volta aveva abbassato la maniglia del centesimo

cancello.

Rimase in silenzio, mi guardò e il suo viso s’illuminò.

... Credo che quell’arancione rappresenti la sua parte più profonda negata per anni dal grigio contorno. Flavia non ne era ancora consapevole di quanto aveva fatto, ma questo… è un altro viaggio. Il kairos… ha il suo tempo.

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PUZZE ED EMOZIONI29

Di Chiara Delogu30

Le emozioni sono in rapporto con gli organi di evacuazione,

perché le emozioni sono rifiuti. Aristotele31

Michele32 percuote lievemente la conga. E inizia il nostro gioco di sguardi. Mi provoca, vuole vedere dove voglio arrivare. E poi d’improvviso un peto. Sonoro. Una risata maliziosa e negli occhi un guizzo di magia. Michele c’è. È lì mi sta regalando un pezzo aereo di sé. Quel suo essere così minuto, fragile, magro e ossuto, parla di sé, quel bimbo è capace di decidere come, quando e perché. Mi destabilizza e dentro di me, quel suono rompe il silenzio che ci divide. Di fronte a lui mi sento piccola e uguale. Vibriamo per simpatia come due viole d’amore, perché ci riconosciamo, perché riconosco l’umano e l’ironico che c’è in lui. Non siamo tanto dissimili. Mi sta comunicando simpatia, (sun-patere, patire con, partecipo con lui di lui e di un noi. Le sue puzze, sono i suoi suoni sonori e triviali. Leggo il grottesco che mi abita e partecipo con tutta la mia umanità, con tutto il mio essere materia. Ad oggi sono divertita ripensando a quanto mi accade. Divertita perché il messaggio è fuori dagli schemi, clownesco e irriverente. Gli occhi che brillano di furbizia e un sorriso sdentato mi accompagnano. Quanto è

29 Delogu Chiara, Puzze ed emozioni, MiA, Musicoterapie in Ascolto, 10 marzo 2010,

http://musicoterapieinascolto.com/temi/374-delogu-chiara-puzze-ed-emozioni

30 Chiara Delogu, giornalista televisiva, laureata in lettere ad indirizzo musicale, diplomata in

musicoterapia al Cep di Assisi, ha studiato viola sino quasi al diploma dello strumento.

[email protected]

31 Aristotele, Sull’anima, Adelphi, 1992.

32 Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy.

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meraviglioso il volto dell’intelligenza e il volto del cuore. Senza regole, senza schemi, senza costrizioni. “Fra tutte le cose generate da questo mondo, non ve n’è alcuna che sia di per sé impura: ditevi soltanto che il vostro cuore dispone della libertà di accettare o respingere tutte le manifestazioni della vita a seconda delle sue capacità di sublimazione. Persino gli escrementi generati da ogni cibo denso non meritano disprezzo alcuno, non appena se ne comprende la funzione: essi non sono sporcizia ma trasformazione, non sono decadenza ma piuttosto un potenziale di rigenerazione. Essi sono il supporto di ciò che consente alla natura fisica di perpetuarsi e di trovare, in seguito, un certo equilibrio. Lo stato di marcescenza e di decomposizione è una fase necessaria nella meravigliosa avventura della Vita che viene offerta, ma non appena la prossimità fisica di questo evento sfiora la vostra vista, vi sentite in imbarazzo. Se la materia in decomposizione, di per se stessa, non è affatto vile, essa non va comunque mischiata da vicino a ciò che vive alla luce del sole; vedete infatti che una pianta muore se le sue radici conoscono un contatto diretto con il letame. Il giusto atteggiamento è quello della corda, che da sempre vi viene tesa fra due cime.”33 In questo senso vivo e ascolto le puzze-suoni di Michele. Come qualcosa che attraversa, che lascia, fuoriesce, perché fa parte di un’emozione. Esse stesse sono emozioni. Dogana34 sostiene che una teoria proposta per chiarire l’origine del linguaggio è quella mimico-gestuale. Secondo tale teoria esisterebbe un rapporto naturale tra i suoni emessi e lo stato organistico attivato da particolari vissuti emotivi: il suono sarebbe una specie di traduzione vocale del gesto e le sue qualità acustiche sarebbero in qualche modo isomorfe con le qualità mimiche in cui si esprime l’azione. Osservo Michele e scopro che è sempre in tensione. L’esercizio mentale che mi impongo è quello di immedesimarmi in lui per cercare di capirlo meglio e scopro che entrano in gioco le sinestesie. Il corpo percepisce i suoni, i suoni avvengono per parlare di una tensione, del coraggio di dire in maniera differente. L’odio e l’aggressività, caratterizzate da una mimica contratta, tesa, spasmodica, si traducono in espressioni verbali in cui predominano i suoni “duri”, quali le occlusive sorde e le fricative. Secondo Platone, nel Cratilo, i fonemi S, PS, F, Z equivalgono a aspetti specifici dei referenti, ciò vale a dire, che i fonemi in questione equivalgono a sensazioni di soffio e moto, mentre per Court de Gebelin, le sibilanti S/Z richiamano a fischi e sibili. Grammont coniuga le due riflessioni e definisce una fonetica impressiva caratterizzata da rumori di soffio, sibilo e ronzio e una fonetica espressiva, caratterizzata da velocità e levigatezza. Se per i cratiliani il 33 Meurois-Givaudan D. , Givaudan A., L’incontro con lui, ed. Amrita, Torino 1990., p. 98. 34 Dogana, Suono e senso, Franco Angeli, Milano, 1998.

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fonosimbolismo sarebbe un fenomeno primario, autoctono, insito per natura nelle caratteristiche della sostanza fonica, quindi universale e necessario, per Saussure il fonosimbolismo è un fenomeno secondario, dipendente dal senso. È il significato a creare i valori espressivi e così ne deriva la teoria secondo cui uno stesso suono può assumere simbolismi differenti a seconda del contesto semantico in cui è inserito. Dogana, inoltre, propone una classificazione dei fatti fonosimbolici: prelinguistico o fonetico , a cui attribuiamo valori espressivi a singoli fonemi o gruppi di fonemi non ancora strutturati in un significante linguistico; linguistico o fonologico, che riguarda le onomatopee e le parole espressive; poetico o fonoestetico, dove i fenomeni espressivi sono spesso creati autonomamente dal poeta, mediante l’orchestrazione e il gioco delle allitterazioni. Secondo questa lettura Michele privilegia fatti fonosimbolici prelinguistici, sottolineando con suoni duri e peti le tensioni emotive. La prospettiva gestaltica sostiene che i caratteri espressivi sono fin dall’inizio e autoctonamente presenti nelle configurazioni percettive al pari delle qualità primarie e secondarie. I fatti espressivi vengono dunque percepiti come qualsiasi altro dato percettivo e lo scambio tra interno ed esterno, tra soggettivo e oggettivo, che in essi viene alla luce e da cui traggono il significato, si fonda non su una estrinseca ed arbitraria aggiunta di senso, ma su un intimo e strutturale isomorfismo tra i due livelli dell’esperienza. Le corrispondenze sinestesiche derivano quindi da analogie strutturali o isomorfiche, che vengono colte in forma immediata. Ciò ci porta a definire le differenti forme di espressività fonetica: simbolismo ecoico, il suono richiama a qualche aspetto sonoro del designato, come le onomatopee; simbolismo sinestesico, quando il suono evoca caratteristiche dei designati pertinenti ad altre modalità sensoriali; simbolismo fisionomico, quando il suono evoca caratteristiche emotive e psicologiche. È proprio nel simbolismo fisionomico, che secondo me, Michele dimostra tutta la sua voglia di esprimere il non verbale e forse anche il verbale. Le qualità di un suono hanno diverse polarità quali acuto grave, forte debole, dolce aspro, vivo morto, leggero pesante, pungente soffice, sordo risonante… secondo tale prospettiva, le qualità acustiche dei fonemi possiedono in se stesse certe qualità espressive, e se tali qualità venissero applicate anche alle puzze di Michele, cosa ne verrebbe fuori? Su questo simbolismo primario si innestano altre traduzioni sinestesiche: piccolo è isomorfo a leggero, sottile… E a livello fisionomico ciò che è piccolo, leggero e luminoso è percepito come delicato, grazioso, gentile, fine.

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“La reazione emozionale corporea resta in ogni caso una traccia ineludibile inscritta nel vissuto corporeo del paziente e comunque comunicata nella relazione empatica.” 35 Secondo quanto proposto da vari autori il rapporto tra struttura musicale ed emozioni evocate si può classificare secondo alcuni parametri musicali. A noi interessano le espressioni di rabbia, che vedono protagonisti questi parametri musicali:

metro rapido;

livello sonoro alto;

contrasti relativamente aspri tra note lunghe e corte;

assenza di rallentando finale;

articolazione per lo più non legata;

attacchi molto secchi;

timbro brusco;

note distorte. Michele nelle sue espressioni tipicamente musicali dimostra di far parte di questa categoria. Le sue puzze assumono caratteristiche differenti a seconda delle giornate. Se per la produzione musicale, il leit motiv è la rabbia, manifestata attraverso i parametri musicali sopraccitati, per quanto riguarda i peti, questi assumono caratteristiche diverse di volta in volta: possono essere fragorosi se iniziali e spontanei; silenziosi quando ci guardiamo negli occhi; improvvisi per farmi uno scherzo; sibilanti per raccontare l’ansia, faticosi se indotti volontariamente. E l’intensità del forte e del debole varia in prossimità del desiderio di comunicare con me. È il processo dinamico delle emozioni, che si coniuga in modi diversi ogni volta.

35 Postacchini in postfazione a Ginger Clarkson, “Ho sognato di essere normale”, Cittadella editrice, p.

166.

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36EMOZIONI VISSUTE E CONDIVISE NEL TEMPO DELL’INCONTRO CON MARCELLO

Di Astrid Converso37

Nonostante che all’apparenza sembrasse una persona gentile e sorridente, Marcello38 non si lasciava avvicinare da nessuno. Per tutto il primo ciclo dei trattamenti musicoterapici (un anno), Marcello si manteneva lontano dagli strumenti e da me in modo tale che non lo potessi toccare nemmeno accidentalmente. Se durante i trattamenti lo sfioravo casualmente, lui immediatamente si ritraeva, si girava dall’altra parte o si allontanava dalla sedia, come se volesse scappare. Suonava alcuni strumenti musicali, variandoli in continuazione, scegliendo ora i tamburi, ora i sonagli con anelli, oppure percuoteva le piastre dello xilofono. Gli strumenti li prendeva con una tale rapidità che a fatica riuscivo a osservare il suo spostamento. Non mi guardava mai in volto. Se provavo a guardarlo alzava gli occhi al cielo sbuffando, ridendo, guardandomi di sbieco come per farmi capire che non era pronto, non in quel momento. Probabilmente il contatto visivo, per lui, era ancora troppo intenso. Chiaramente mi sentivo angosciata per il suo comportamento, non riuscivo ad entrare nel suo “guscio”. Se stavamo suonando o ascoltando musica, o “accompagnando” un brano musicale che avevo deciso di far ascoltare, Marcello interrompeva continuamente l’attività, parlando di tutt’altro, raccontandomi cosa aveva mangiato a pranzo o dove doveva andare al termine della giornata “comunitaria”. Io non sapevo che fare. Mi sembrava, “tutto”, una grande perdita di tempo. Marcello era fin troppo loquace. 36 Coverso Astrid, Emozioni vissute e condivise nel tempo dell’incontro con Marcello, 9 febbraio 2010, MiA, Musicoterapie in Ascolto, http://musicoterapieinascolto.com/temi/372-converso-astrid-emozioni-vissute-e-condivise-nel-tempo-dell-incontro-con-marcello 37 Musicoterapista, educatrice, diplomata in musicoterapia al Cep di Assisi.

[email protected]

38 Nome di fantasia; in ottemperanza alla legge della privacy.

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Ero sempre più in allerta, ormai era passato un anno e la situazione non accennava a migliorare, sentivo il mio lavoro un completo fallimento, e più continuavano queste sedute di “vuoto terapeutico e vuoto musicale”, più il tempo con lui diventava insostenibile, e mi ritrovavo a guardare l’orologio ogni dieci minuti. Non ero ancora riuscita a “comprenderlo”, c’erano molti aspetti di lui che mi erano oscuri. Sapevo che in lui c’era molto, ma non sapevo qualitativamente determinarlo. Non c’era nessuna “scintilla d’intesa”, nessuna “lampadina accesa”. Se non c’era la musica come supporto, iniziava a parlare incessantemente, di tutto ciò che aveva fatto; che faceva e che avrebbe fatto nel corso della giornata. Anche se c’era musica agiva in uguale maniera, ma la frequenza dell’eloquio si riduceva. Talvolta, con il capo chino, percuoteva due tamburi, suonandoli con tanta veemenza che avevo timore che si facesse male. Non riuscivo a farlo smettere nemmeno, catturandolo con il suono di qualche strumento. Mi sentivo inadeguata. Ero arrivata alla conclusione che sicuramente alla base del mio intervento ci fosse qualcosa che non andava. Sapevo che Marcello aveva una sua musica preferita, un cantautore preferito, ma lui non se lo ricordava. Tramite la psicologa, chiesi alla famiglia, non molto collaborante, informazioni inerenti i gusti musicali di Marcello. Dopo un interminabile tempo ottenni ciò che per me in seguito si trasformò in “oro colato” . A Marcello piaceva moltissimo Adriano Celentano, ma non sapevo quale fosse la sua canzone preferita. Provai subito a proporgli numerosi ascolti e vidi subito che il suo interesse iniziò a mutare, a crescere. Mi guardava in modo differente, come se avessi trovato la prima di una lunga serie di “serrature d’accesso” per mettermi in comunicazione con lui. Tutto questo non bastava, finiva la canzone, e lui tornava nel suo stato di ombrosa diffidenza. Pensavo che fosse tutto tempo sprecato, lui non collaborava, io non riuscivo, se non attraverso minime cose, ad entrare in contatto con lui. Non mi sentivo all’altezza del compito, l’attesa era snervante, soprattutto nei confronti del personale comunitario. In sede d’équipe ogni volta che si presentava il “caso” clinico di Marcello, mi sentivo a disagio, potevo dire che da quando avevo iniziato era rimasto tutto immutato? Che non ero riuscita ad aprire una “piccola breccia” nella sua dura corazza?

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Che dopo tutto questo tempo non si riscontrava nessun tipo di risultato? Nel frattempo continuavo a provare con innumerevoli proposte musicali inerenti Celentano, fino a quando trovai la fatidica canzone: il brano che avrebbe cambiato il processo musicoterapico: “Quello che non ti ho detto mai” (di Celentano A., Mogol e Bella G.), https://www.youtube.com/watch?v=0wZXDCLMfHA

Quello che non ti ho detto mai Adriano Celentano Mogol – Bella

Non ti ho detto mai veramente quello che tu sei per me

è difficile spiegare quello che ti riempie gli occhi e il cuore

e dà senso alla tua vita.

Nessun uomo, sai e nessuna donna può dividerci è una palla di cemento oramai

questo nostro sentimento che stringiamo tra le dita.

Questi giorni sai

belli o brutti sono sempre belli e noi siamo pieni di incertezze ma ci sei

con le tue carezze, tu... A volte in mezzo al mare anche noi rischiamo di affogare dentro ai guai

ci sappiamo consolare, come sai rimanendo lì distesi

ad occhi chiusi ad una nuvola appesi.

Io non so se poi

il destino avrà un suo ruolo su di noi tale da riuscire a separarci o no

ma io prego sin da adesso

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che il futuro sia lo stesso.

Ma se un bivio un dì ci aspettasse per dividerci così

che restassimo da soli tu già sai che vivrei per aspettarti

io ti proteggerei lo sai con il vento piano ti accarezzerei con il primo raggio io ti sveglierei

ed io spero di saperti lì con qualcuno, che possa amarti.

http://www.italianissima.info/testi/quellono.htm Durante l’audizione, per la prima volta, Marcello iniziò a canticchiare qualcosa, guardandomi negli occhi. Furono piccoli, brevi momenti, ma molto intensi. La cosa che mi incuriosì più di tutte fu il testo, così particolare e anche leggermente ambiguo. Nella canzone si parla dell’amore tra un uomo e una donna, certo, ma quando la cantava Marcello, sembrava che la cantasse al fratello morto. Così, per la prima volta si confidò e mi parlò di suo fratello; di come era morto e di quando sarebbe andato al cimitero con la madre a trovarlo. Rimasi allibita, Marcello si stava confidando con me? “Avevo il cuore che batteva a mille”. Non solo, ma Marcello aveva paura. In particolare era terrorizzato che il tempo potesse scorrere inesorabilmente, giungendo verso la morte. Ogni volta che si avvicina il suo compleanno manifestava uno stato di profondo malessere: si incupiva e ripeteva incessantemente, quasi fosse una stereotipia: “… sono vecchio… il tempo passa, … arriverà la morte… tutti invecchiano prima o poi vero?” Prima non c’era alcun modo di rassicurarlo. Lentamente, con dolcezza e pazienza, sono riuscita a stabilire anche un minino dialogo dove riuscivamo a parlare non solo del fratello, ma anche di altre tematiche a lui particolarmente care e, in particolare, il tempo e la morte. Sono riuscita a rassicurarlo e penso che mi abbia ascoltato poiché le sedute successive si prospettarono in modo molto diverso. Non si alzava continuamente per raggiungere la finestra, ma rimaneva più vicino a me senza allontanarsi di scatto e usava gli strumenti in maniera costruttiva.

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La paura di invecchiare era sempre presente, ma in modo maggiormente più contenuto. In una incontro d’équipe, la psicologa manifestò la sua soddisfazione, rivelando come le sedute di musicoterapia fossero state d’aiuto a Marcello. Era nota a tutti l’irruenza di Marcello, ma da quando aveva iniziato il trattamento con me la sua aggressività era diminuita. La Psicologa mi disse che aveva notato che Marcello aveva imparato a riversare la sua collera non più sulle persone, ma sugli oggetti. Al riguardo, la collega raccontò un episodio da lei vissuto in prima persona. In uno scatto d’ira, Marcello aveva cercato di colpire la psicologa e alcuni ragazzi della comunità, ma, all’ultimo momento, scaricò la sua collera colpendo gli armadietti. Il fatto in sé poteva essere letto come un episodio accidentale, ma il fatto eccezionale e “nuovo” era la canalizzazione della scarica aggressiva di Marcello. Mi venne subito in mente l’attività che avevo cercato di fare con lui. Suonavamo tamburi, bonghi e cembali, cercando, quando Marcello li percuoteva, di imitare la sua forza, per poi incanalarla e riportarla da un livello meno intenso. Quindi tutto questo tempo non era andato perso? Quindi in tutto questo tempo lui mi aveva seguito? Io avevo avuto forse troppa poca pazienza; non avevo saputo aspettare i suoi tempi? Doveva essere andata così, perché nonostante fossi poco paziente e l’attesa ogni volta era pesante da sopportare, non mi sono mai stancata di stargli vicino, ho sempre cercato di dare il massimo, e non mi sono mai arresa. Le sedute finirono poco prima della pausa estiva e, all’ultimo incontro, Marcello mi fece un regalo davvero prezioso, che mi lasciò senza parole… una cosa che penso non facesse da molto tempo soprattutto nell’ambiente della comunità…: mi abbracciò. Riflettendo sul mio percorso a fianco di Marcello, mi sono giunti in mente i mille dubbi, i mille interrogativi sul tempo, sull’ attesa e sulla pazienza. La percezione che abbiamo del tempo determina profondamente il nostro modo di agire. A volte si percepisce il passare del tempo come più rapido per cui "il tempo vola", significando che la durata appare inferiore a quanto è in realtà; al contrario accade anche di percepire il passare del tempo come più lento "non finisce mai". Il primo caso viene associato a situazioni piacevoli, o di grande occupazione, mentre il secondo si applica a situazioni meno interessanti o di attesa (noia), quest’ultimo mi ricorda molto il mio incessante guardare l’orologio per constatare la fine dell’incontro. A volte avvertiamo in modo più o meno rapido il passaggio del tempo, ma il tempo non può essere toccato, e ovviamente non emette né suoni né odori. Del tempo si può parlare in molti modi, il tempo ci trasforma continuamente.

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Mutano le nostre fattezze e anche dentro di noi avvengono continui cambiamenti. Forse la vera saggezza sta nel porsi dalla parte del bisogno, che muta di continuo, cercando di risolverlo in modo adeguato alle esigenze umane, dando per scontato che ad ogni bisogno risolto se ne porrà un altro. In tal senso il tempo che bisogna vivere è solo il presente. È proprio nel “qui” ed “ora”, nel “presente”, dell’incontro musicoterapico che vivevamo, nella lunga fase iniziale, la nostra dimensione temporale. Paradossalmente, io e Marcello eravamo intenti a cercare il nostro tempo: “… la forma del senso interno, ossia l'intuizione di noi stessi e del nostro stato interno…”39(E. Kant). Solo nella seconda fase del trattamento con Marcello quando, grazie all’adozione della canzone di A. Celentano “Quello che non ti ho detto mai”, abbiamo condiviso il tempo, e Marcello ha comunicato i suoi sentimenti. Ciò è stato raggiunto poiché “… nessuna delle cose più grandi si realizza di colpo, non più di quanto accada per un grappolo d’uva o un fico. Se mi dici che desideri un fico, ti rispondo che bisogna dargli tempo. Lasciare che l’albero fiorisca, poi che faccia il frutto, e poi che questo maturi.”40 (Epitteto) Quando alla fine l’albero matura, ottieni i frutti, non importa se la stagione è stata dura, se l’inverno è stato rigido; se il terreno è buono e fertile basta avere pazienza e alla fine il frutto lo ottieni, e devo dire che il mio frutto è maturato. Con Marcello ho imparato ad avere pazienza, a saper aspettare, a dare un po’ di tempo alle persone che mi circondano, perché ho capito che non tutti hanno gli stessi archi temporali determinati. A volte bisogna sedersi e aspettare poiché “… Il tempo spiegherà tutto. È un chiacchierone, e non ha bisogno di essere interrogato per parlare.”41 (Euripide) Ripensando al processo terapeutico intrapreso con Marcello, posso affermare che è stata un’esperienza difficile. Per me che mi baso molto sul contatto fisico, trovarmi di fronte ad una persona che non tollera il contatto, mi ha subito destabilizzata. Lavorare con una persona che si allontana fisicamente o mentalmente e non é più presente, ma si colloca in un altro luogo, mi ha fatto rivalutare tutto il mio lavoro sin dal principio.

39 Kant E. “Critica della Ragion pura”, sesta edizione, Laterza, Bari, 1977, p. 77.

40 Epitteto “Massime di saggezza per la vita di tutti i giorni” Newton & Compton Editori, 2003, pp. 67, 68

41 Euripide “Massime di saggezza per la vita di tutti i giorni” Newton & Compton Editori, 2003, p. 76.

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È stato bello constatare come una persona cresce e matura anche grazie a te, che si apre, si confida e in qualche modo riesce a incanalare i suoi problemi attraverso strumenti che tu hai fornito. In tutto questo le tre parole chiave sono: TEMPO, ATTESA e PAZIENZA. Non tutte le attese sono angoscianti, e molte non lo sono affatto, ma la semplice consapevolezza della necessità della conclusione ci mette in uno stato di tensione, ogni volta che la conclusione tarda rispetto alle nostre aspettative. Riuscire a capire quando è il momento di fermarsi, di attendere, e invece quando è il momento di ripartire, non è semplice. Capire i propri bisogni e quelli dell’altro, capire quando entrare in gioco, e quando starsene in “panchina”. Professionalmente sono cresciuta molto a fianco di Marcello, non credevo di riuscire ad ottenere questi risultati. Bisogna tuttavia saper ascoltare, registrare ogni passo, ogni piccolo, malgrado apparentemente inutile, segno, solo così si potrà disporre di tutti gli strumenti necessari per aiutare l’altro.

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PUZZA, PAZZO, PIZZA, T’AMMAZZO, OVVERO LE PAROLE DELL’AMORE42

Di Chiara Delogu

È pacifico che tutte le passioni ricadono sotto il dominio della pazzia.

Infatti il contrassegno per cui il pazzo si distingue dal savio è che l’uno si lascia governare dalle passioni, l’altro dalla ragione.

Erasmo da Rotterdam, Elogio della pazzia.43

Le parole sono unità del linguaggio umano istintivamente presenti alla consapevolezza dei parlanti. Quotidianamente abbiamo a che fare con le parole, ma ciò che vale per una lingua non necessariamente vale per un’altra. La linguistica, a tutt’oggi, non è riuscita a definire la nozione di parola una volta per tutte. Così la nozione di parola fonologica, non coincide con quella morfologica o sintattica. Verrebbe da pensare che, anche nel caso di Michele, che continua a ripetere le stesse parole che presentano una similitudine fonetica, ci siano diversi gradi di nozione delle parole reiterate. Le parole sorgono primariamente per la designazione delle cose fisiche e concrete e solo successivamente sono portati a significare le cose della mente e dell’anima. Ed è qui che entra in gioco l’isomorfismo tra suono e senso: il significante può rivelarsi come una trasposizione fonosimbolica di certe configurazioni visive o motorie, che accompagnano un determinato contenuto emotivo. Per esempio Michele44 dice “t’ammazzo”, espressione di odio e aggressività, in concomitanza 42 Delogu Chiara, Puzza, pazzo, pizza, t’ammazzo, ovvero le parole dell’amore, 22 aprile 2010, MiA, Musicoterapie in Ascolto, http://musicoterapieinascolto.com/temi/378-delogu-chiara-puzza-pazzo-pizza-t-ammazzo-ovvero-le-parole-dell-amore 43 Erasmo da Rotterdam, Elogio della pazzia, Bur, Milano, 2004.

44 Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy.

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con l’irrigidimento dell’intero organismo nell’atteggiamento che si predispone all’attacco. Le consonanti fricative e affricate riproducono i vari rumori sibilanti di fischio, sibilo, ronzio, nonché quelli aerei, che mi portano a riflettere sul desiderio di eliminare anche fisicamente, matericamente le parole. La componente sibilante, tipica dei suoni percepiti come penetranti e taglienti, nella cui produzione sono spesso implicate azioni molto veloci, assorbe la mia attenzione. Dumas45 è uno dei pochi psicologi che ha trattato dell’espressione fonetica delle emozioni. Ha infatti esaminato quali mutamenti le varie emozioni provocano nella voce umana, mostrando come esse influiscano sul volume, sull’altezza, sull’allungamento o accorciamento dei suoni, sulla posizione degli accenti. Rifletto: Michele utilizza parole con toni acuto e grave, sono presenti rotture e percussioni, rimbombi e risonanze, vibrazioni e attriti, sibili e ronzii, di altezze, timbro e intensità diverse, con una predominanza di spigolosità, velocità e durezza. Forse Michele rimuove simbolicamente da sé, con le parole, i concetti di “t’ammazzo”, riferiti a se stesso in terza persona e a me, di “pazzo”, di “pizza” (suo cibo preferito) e di “puzza”. Forse che le puzze lo liberano dalla pazzia? Non è dato sapere. Ciò che è certo è che l’universo delle “Z” è una costellazione affascinante che cattura la mia attenzione e l’oralità di Michele. Ciò che dà piacere e/o fastidio non sono le cose ma le parole, le parole insite in queste. Come suggerì Zarathustra, ciò che rende le cose rigeneranti sono i nomi e i suoni loro conferiti. Basta una sola parola a trasformare il principe in un ranocchio. Non sono necessarie streghe. Il corpo ha una filosofia sua propria. Per il corpo la realtà non è esattamente ciò che noi in genere indichiamo con questo nome. Non è qualcosa di dato. È piuttosto il risultato di un’operazione alchemica, in cui alle parole si aggiunge una materia senza nome. Così si crea il suo mondo. Questo e solo questo è ciò che si dà al corpo da mangiare. Guimaraes Rosa46 rivelò di avere grande dimestichezza con la saggezza del corpo dicendo che tutto è reale, perché tutto è inventato. E Norman O. Brown47 sostiene che “siamo fatti di sogni…” e allora quello che vomitiamo, facciamo fuoriuscire dal nostro corpo non è una cosa, ma i brutti sogni, gli incubi evocati dalla parola stregata.

45 Dumas, La vie affective, Presses Universitaires de France, Paris, 1948.

46 Guimaraes Rosa, Grande sertao, Feltrinelli, Milano, 1988.

47 Norman Brown, Love’s Body, Vintage Books, New York, 1966.

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ASCOLTANDO48 LA MUSICA ‘DOLCE E AMARA’ DELLE MIE TONALITÀ EMOTIVE…

Di Simona Neri49

“ Il grande dolore soltanto, quel lungo, lento dolore che vuole tempo[…] costringe […]

a discendere nelle nostre ultime profondità […]. Dubito che un tal dolore “renda migliori”;

eppure so che esso ci scava in profondo[…]. Non vorrei alla fine che passasse sotto silenzio la cosa più importante:

da tali abissi, da tale grave malanno […] si torna indietro rinati,

con la pelle cambiata […] con i sensi più giocondi

con una seconda più pericolosa innocenza nella gioia, più fanciulli e al tempo stesso cento volte più raffinati

di quanto mai per l’innanzi ci fosse accaduto.”

50F. NIETZSCHE, La gaia scienza

Torno a casa alla sera dal lavoro, tutto il giorno la musica di altri ha volteggiato e suonato intorno a me, dentro di me. Mi sento impoverita, svuotata, sfinita; mi sento arricchita, felice… sfinita. Le emozioni contrastano in un vortice senza fine. Entro in macchina e accendo la mia musica ma poi la spengo subito, voglio gustare l’odore, il sapore, il suono del silenzio, voglio sentire risuonare dentro me i ricordi, le voci, i visi di chi oggi è passato e dar spazio alle domande che lentamente dal cuore salgono su fino alla ragione. Sento che ho dato tanto ma non basta, o forse basta perché non posso dare tutto… nessuno ci chiede di dare tutto e ogni cosa ci chiede di assaporarne il limite e sapere “che il limite è fondamentale perché la vita degli altri non è nelle nostre mani soltanto, non siamo artefici del loro destino, non è mai del tutto nelle nostre mani la soluzione di una situazione difficile. Ma occorre fare attenzione a non scambiare questa accettazione del limite con la rassegnazione o il fatalismo. Al contrario è corretta l’accettazione del limite solo quando si accompagna all’assunzione della responsabilità di fare tutto ciò che è

48 Neri Simona, Ascoltando la musica ‘dolce e amara’ delle mie tonalità emotive, MiA, Musicoterapie in

Ascolto, 26 aprile 2010, http://musicoterapieinascolto.com/temi/376-neri-simona-ascoltando-la-musica-

dolce-e-amara-delle-mie-tonalita-emotive

49 Musicoterapista, presidente delle Officine Sant’Ermanno, http://officinasantermanno.it/

[email protected], diplomata in musicoterapia al Cep di Assisi, polistrumentista.

50 Iori V., Il sapere dei sentimenti, Franco Angeli, M ilano 2009, p. 67.

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nelle nostre possibilità.”51 (V. Iori 2009). È così che questa esperienza da terapista comincia a farsi largo nella mia vita e le sue sfumature prendono i colori e i suoni di tutte le tonalità emotive. Sto davanti ai volti di chi ogni giorno viene da me e da me si aspetta qualcosa… cosa? Tutto chiede, tutto domanda e so che non posso essere indifferente a questo. “Lo sguardo del cuore è irrinunciabile nelle esperienze d’aiuto, perché solo dalla risonanza emotiva scaturisce la responsabilità del “farsi prossimi” e del prendersi cura.”52 (V. Iori 2009). Osservo la mia crescita, osservo il mio cuore e cerco di dare una definizione a quanto mi accade e mi accorgo che per vedere è necessario togliere il velo dei tanti pregiudizi che mi circondano e degli stereotipi che offuscano il senso e il significato delle cose. Lo sguardo di chi incontro ogni giorno e ogni giorno chiede aiuto da me e dal mio lavoro di musicoterapista mi provoca non mi lascia indifferente verso ciò che appare o verso ciò che viene alla luce, non mi lascia indifferente di fronte al FENOMENO (dal greco phainomenon) dandomi la possibilità di guardare alla realtà per come mi appare togliendo tutto ciò che è per scontato, vano, inutile lasciando che il sentire non sia intrappolato dai pregiudizi. “Vedere è allora accorgersi dell’altro la cui presenza (da sein) non è insignificante, ma costantemente ci interpella a corrispondere e condividere le responsabilità della relazione. Così si presentano infatti le esperienze professionali dell’aver cura: sempre nuove e sempre da inventare “(Iori 2009) 53. Non possiamo essere indifferenti di fronte al fatto che l’essere umano vive costantemente in qualche stato emotivo, ma non sempre ne è consapevole, cerchiamo di dominare le tonalità emotive ma non ci riusciamo e il come rimane misterioso, anche quando cerchiamo di dominarle con la ragione. Ripenso al volto di Franca54, non mi chiede altro che ridare dignità alle sue emozioni e la sua modalità per farlo passa attraverso il canto, attraverso la sua poesia, mi chiede di ascoltarla, mi chiede di accoglierla, come lei cita in una delle sue innumerevoli liriche…

ASCOLTAMI

Ti parlo e tu mi guardi Ti sento e tu mi parli

Io ascolto nel tuo sorriso Una luce dentro me sussurra

Ascoltami perché fai parte di me,

51 Iori V., Op. cit, p. 29.

52 Iori V., Op. cit, p. 12.

53 Iori V., Op. cit, p. 9.

54 Nome di fantasia in ottemperanza alla legge della privacy.

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perché ogni volta che ti penso è come se vivessi dentro un sogno.

Ascoltami o musa, perché del tuo fardello pesante,

io possa diventare cieca. …

Ti vedo e tu mi ascolti, ti parlo e non rispondi

io ascolto nel tuo sorriso una luce dentro me sussurra

… ascoltami perché fai parte di me,

perché ogni volta che ti penso è come se vivessi dentro un sogno.

55(Franca, poesie, edizione inedita)

Mi vengono in mente le parole di Borgna quando sottolinea che “non c’è cura se non si sa cogliere cosa ci sia in un volto, in uno sguardo, in una semplice stretta di mano, e infondo se non si sia capaci di sentire il destino dell’altro come il nostro proprio destino” (Borgna 2001) 56. A volte mi sembra che sia Franca, e tutti gli altri ragazzi che curo, ad accogliere me e così l’esperienza dell’empatia diventa quotidianità ma ha il suo prezzo. Sono esposta alle emozioni che la quotidianità del mio lavoro impone: commozione, rabbia, frustrazione, gioia, tenerezza, insofferenza, disgusto e l’infinita gamma delle tonalità emotive. “Possiamo comprendere la risonanza del sentimento dell’altro in noi e condividere la sua umanità soltanto se abbiamo compreso la nostra umanità. Stare presso l’altro implica, quale condizione necessaria e in un certo qual modo inevitabile, imparare a stare presso di sé. (Iori 2009) 57. Edith Stein afferma che “comprendere empaticamente significa “rivivere” (Nach-erleben) il vissuto dell’altro: lasciar risuonare in sé qualcosa che originariamente non è proprio ma altrui. L’empatia è un’esperienza “ non originaria” (in quanto il dolore o la gioia appartengono originariamente all’altro) che si può tuttavia conoscere dall’interno attraverso un processo di immedesimazione nella situazioni dell’altro (Stein 1998) 58. L’ascolto empatico ci rinvia a noi stessi perché si tratta di una comprensione “dal di dentro” e,

55 Dalle poesie di Franca, nome di fantasia in ottemperanza alla legge della privacy, poesia inedita.

56 Borgna E., L’arcipelago delle emozioni, Feltrinelli, Milano 2001, p. 190.

57 Iori V., Op. cit, p. 31.

58 Stein E., Introduzione alla filosofia, Città Nuova, Roma 1998, p. 89.

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attraverso l’immedesimazione, rende comprensibili i vissuti degli altri solo grazie all’esperienza vissuta comune (Miterleben), alla partecipazione affettiva e non attraverso il pensare” (Jasper) 59. Continuo il mio viaggio ripenso a quanto ho dato a quanto ho ricevuto; le emozioni dei miei assistiti risuonano in me, sento il bisogno di fermarmi per non essere travolta dal fluire delle cose, per cercare le risposte giuste, per esercitare una scelta per andare verso una consapevolezza emotiva indispensabile nel mio, nel nostro lavoro. Posso fare di più… ho fatto tutto quanto era nelle mie possibilità, ecco il dubbio, allora occorre riconoscersi poveri di certezze e tuttavia aperti al poter-essere, anche nel rischio del fallimento, “significa essere bisognosi di apprendere ed abitare anche il negativo, ad accettare e comprendere anche i lati oscuri della propria vita” (Rossi 2006) 60. Anziché tacere le parole della vita emotiva come ostacolo alla professionalità, “ è necessario coltivarle come “ cuore” della relazione per “ sentire” la prossimità dell’altro e rispettarne la dignità. Diventare cuori pensanti, secondo l’espressione di Etty Hillesum 61. Il “ cuore pensante” assume la responsabilità nei confronti dell’Altro che non può essere accolto con la ragione ma con l’etica. Attraverso la decisione e la scelta, ascolta l’appello che viene dall’altro per richiamarmi alla mia responsabilità” (Lévinas) 62. Tutto risuona tutto parla, sono arrivata, spengo la macchina entro in casa cosciente che nulla passa inosservato e che il mio limite è anche la mia forza è lo slancio vitale verso il futuro che ci “svela l’esistenza dell’avvenire, che gli da un senso, che l’apre o lo crea davanti a noi” (E. Minkowski) 63.

59 Iori V., Op. cit., p. 32.

60 Rossi B., Avere cura del cuore, Vita e Pensiero, Milano 2006, p. 109.

61 Hillesum E., Diario 1941-43, Adelphi, Milano 2002.

62 Lévinas E., Totalità e infinito, Jaca Book, Milano 1980, p. 218.

63 Minkowski E., Il tempo vissuto, Einaudi, Torino 1971, p. 38.

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DALL’”HUMANA MUSICA” A QUELLA

“INSTRUMENTALIS”

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“Humana musica”, a cura di Giangiuseppe Bonardi, MiA, Musicoterapie in Ascolto

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“Musica instrumentalis64”

«La “musica instrumentalis”, anticamente teorizzata da Boezio65, è la manifestazione acustica, per cui comunicabile, della “musica humana”. Nella “musica instrumentalis” i vissuti, ascoltati e accolti dalla persona come “musica humana”, sono ora trasformati in respiro, gesto e, finalmente, in... suono... musica.»

64 “Musica instrumentalis”, Dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi. Voce pubblicata da MiA, Musicoterapie in Ascolto, il 3 settembre 2014, http://musicoterapieinascolto.com/104-musica-instrumentalis 65 Severino Boezio – Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Severino_Boezio Fubini E., L’estetica musicale dall’antichità a settecento, Einaudi, Torino 1976, pp. 73, 74.

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“Humana musica”, a cura di Giangiuseppe Bonardi, MiA, Musicoterapie in Ascolto

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LA ‘MUSICA’ DI DANILO66

Di Giangiuseppe Bonardi Comodamente seduto sulla sedia posta di fronte allo xilofono basso, Danilo67 eseguiva la sua ‘musica’. Io ero di fronte a lui, anch’io seduto sulla sedia, con lo sguardo meditabondo, lo ascoltavo, cercando di accogliere ciò che eseguiva. Con il capo chino e lo sguardo fisso sullo strumento, Danilo lo percuoteva con estrema forza, usando i battenti come fossero mazze o martelli. Ben presto quei ticchettii melodici si trasformarono in crepitanti e assordanti suoni che mi perforavano i timpani. Finalmente Danilo si fermò, ma solo per un istante, giusto il tempo per volgere lo sguardo verso il timpano, che si trovava alla sua destra e, gioiosamente, iniziò a percuoterlo, facendo vibrare qualsiasi cosa fosse presente nella stanza, me compreso. L’esecuzione musicale sembrava terminata, ma ancora una volta, l’attenzione di Danilo era catturata dal glockenspiel. Inaspettatamente l’intensità si placò e Danilo, con estrema delicatezza, suonava ogni piastra, prestando un’attenzione meticolosa affinché non dimenticasse nessuna nota. La melodia scalare era spesso interrotta e ripetuta da capo. Finalmente eravamo giunti al termine dell’esecuzione ed io speravo che Danilo alzasse lo sguardo, incrociando eventualmente il mio, dandomi un segno che anch’io esistessi. Con mio estremo rammarico Danilo riprese la sua esecuzione musicale, mentre io cercavo, con garbo, di entrare musicalmente in contatto con lui, ma ogni mio tentativo fu vano. Tutto il tempo del ‘nostro’ incontro fu scandito dalla musica di Danilo; io ero lì, ma vivevo la spiacevole sensazione di essere alla presenza di un’invisibile barriera di suoni che impediva, di fatto, qualsiasi contatto. Al termine dell’incontro ripensavo a ciò che avevo vissuto; ai sentimenti provati che, paradossalmente, assumevano la dimensione del contrasto. Ero appagato e soddisfatto perché Danilo poteva finalmente esprimersi liberamente, ma, al contempo, ero stordito dall’intensità dei suoni percepiti e un senso di esclusione e d’impotenza mi pervadeva poiché non ero riuscito a penetrare la barriera dei suoni che Danilo creava con estrema cura. 66 Bonardi Giangiuseppe, La ‘musica’ di Danilo, 12 giugno 2009, MiA, Musicoterapie in Ascolto, http://musicoterapieinascolto.com/esperienze/274-bonardi-giangiuseppe-la-musica-di-danilo 67 Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy.

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Ormai la musica di Danilo assumeva sempre più l’aspetto di un’eco, ossia di un ricordo, non sbiadito ma vivido. Ripresomi dai vissuti provati, ora riflettevo sulla musica di Danilo che tracciava acusticamente il suo tempo interno. Sostanzialmente, per tutto il tempo della seduta, Danilo eseguiva un’identica successione di timbri strumentali: xilofono basso, timpano, glockenspiel…

L’intensità di esecuzione era fortissima, quando suonava lo xilofono e il timpano, mentre diventava maggiormente delicata, quando percuoteva il glockenspiel. Lo sguardo di Danilo era concentrato esclusivamente sugli strumenti musicali e, per questa ragione, probabilmente ascoltava, di fatto, se stesso. Che cosa ascoltava Danilo con tanta attenzione? La musica di Danilo era quindi ripetitiva, a tratti ossessiva, chiusa in una spirale senza fine. Che cosa esprimeva Danilo percuotendo lo xilofono basso e il timpano, utilizzando i battenti come fossero delle mazze? Perché Danilo, diminuiva l’intensità d’esecuzione quando percuoteva il glockenspiel, utilizzando i battenti con inaspettata dolcezza? Quali emozioni esprimeva Danilo eseguendo la sua musica? Ascoltando la musica di Danilo percepivo la sua rabbia e la sua delicatezza: un contrasto emotivo incessante che, probabilmente, lo ossessionava.

Prima

Dopo

Poi

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Sapendo bene che Danilo non si esprimeva verbalmente, come potevo verificare la veridicità della mia ipotesi interpretativa? Non mi rimaneva che arrendermi al dato di realtà, accontentandomi della mia modesta chiave di lettura? Non ero soddisfatto e, in ragione di ciò, indagai ulteriormente il musicale di Danilo, utilizzando il pensiero schneideriano, concentrandomi, in particolare sull’aspetto timbrico. Ripensavo alla forma degli strumenti musicali suonati da Danilo e notavo che lo xilofono basso e il glockenspiel, visti dall’alto, avevano un profilo trapezoidale, mentre le piastre sembravano costituire i pioli di una scala. Il timpano, dall’inequivocabile aspetto cilindrico, era simile al tamburo pentola.

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Ricordavo perfettamente che Danilo utilizzava i battenti ora come mazze, ora come bacchette. Dall’analisi iniziale, evidenziavo alcuni elementi:

trapezio;

scala;

tamburo pentola;

mazza;

bacchetta (bastone). Le parole chiave ottenute potevano ‘aprire’ nuovi percorsi di senso… opinabili e, ovviamente, perfettibili. Il simbolo del trapezio e della mazza68, per Schneider, è analogo al suono ‘mi’, ossia alla dimensione del dolore e del sacrificio. La scala69 ha una relazione d’analogia con il suono ‘do’, ossia con la dimensione del dualismo. Il tamburo pentola70 e la bacchetta (“… battere o sfregare con un bastone o con la mano…71”) sono analogamente imparentate con il suono ‘la’ ossia, con la dimensione degli affetti e del piacere. Probabilmente la musica di Danilo esprimeva quindi il suo dolore (xilofono basso – trapezio – mazza) che cozzava con il probabile vissuto di piacere (timpano – tamburo pentola – affetto – piacere) vivendo un contrasto stridente (scala – dualismo) che proseguiva, attenuandosi un poco, quando il ragazzo suonava il glockenspiel (trapezio – dolore), percuotendolo delicatamente (bacchetta), per poi riprendere… inesorabilmente da capo. Forse, Danilo suonava la sua richiesta, cercando ossessivamente, una risposta al dolore causato dal contrasto emotivo che lo dilaniava? Quale dolore opprimeva Danilo? La risposta a questo interrogativo avvenne dopo innumerevoli sedute, quando il ragazzo gridò il significato del suo dolore, disarticolando le piastre dello xilofono basso, dicendo disperatamente: “Rotto… tutto… rotto”. Probabilmente Danilo gridava il suo dolore, ossia di rompere ogni cosa che toccava e, contemporaneamente, di percepire la spiacevole sensazione di essere, al contempo, rotto. Era quindi lì il senso della sua dolorosa angoscia, così magistralmente decantata, ed io finalmente non ero più sordo e ascoltavo quella musica, cercando, in tutti i modi di ricomporre le rotture, rimettendo a posto simbolicamente le piastre dello xilofono basso e gli altri strumenti musicali. Sì, perché è bene lenire il dolore piuttosto che alimentarlo.

68 Schneider M., (1946), Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella mitologia e nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986, p. 236. 69 Schneider M., (1946), Op. cit., p. 219. 70 Schneider M., (1946), Op. cit., p. 234. 71 Schneider M., (1946), Op. cit., p. 235.

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“Humana musica”, a cura di Giangiuseppe Bonardi, MiA, Musicoterapie in Ascolto

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Così, nei successivi incontri cambiammo gli strumenti e la loro disposizione; mutò l’intensità espressiva di Danilo e il contrasto emotivo pareva maggiormente integrato. Finalmente anch’io potevo ripetere qualche sequenza timbrica, molto diversa da quella iniziale, e, per il momento ero soddisfatto.

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“L’INCANTESIMO DELLA CHITARRA72”

Di Carla Bonomi73

74Al fine di migliorare la “qualità” delle nostre relazioni sonoro-musicali, ormai orientate in una prospettiva interattiva, nella fase finale, proposi a Costantina75 un nuovo mediatore sonoro: la chitarra. Grazie all’adozione della chitarra rilevai che Costantina si relazionava meglio con me, aumentando la durata delle interazioni canore. Gli strumenti a disposizione mi sembravano pertanto insufficienti a far fronte alle esigenze di Costantina. L’habitat musicoterapico, ad eccezione del nuovo strumento, non ha subito modifiche. Gli incontri avvenivano tre volte la settimana. Durante la prima seduta, lo sguardo di Costantina cadde subito sulla chitarra, la guardava sorridendo, indicandomela con l’indice destro e con la mano sinistra mi chiedeva cosa fosse, mentre, nel frattempo, osservava anche me. Costantina non conosceva la chitarra, il suo timbro. Decisi così di prendere la chitarra ed iniziai a cantare le ‘nostre canzoni’76. Lo sguardo di Costantina era misto d’incredulità e stupore. Dopo aver suonato, collocai la chitarra al suo posto tra le maracas ed il triangolo. Costantina, senza un attimo d’esitazione, incuriosita si alzò, prese la chitarra e tornò a sedersi sulla sedia, vicino alle maracas. Iniziò a suonare, muovendo velocemente la sua mano destra dall’alto verso il basso, mentre la sua mano sinistra impugnava il manico, appoggiando le dita sulle corde. Il suo viso assunse un’espressione appassionata. Costantina iniziò a cantare, adeguando il ritmo della sua esecuzione canora, mentre io “imitavo” con il cembalo la sua scansione ritmica.

72 Bonomi Carla, “L’incantesimo della chitarra”, MiA, Musicoterapie in Ascolto, 8 ottobre 2010, MiA, Musicoterapie in Ascolto, http://musicoterapieinascolto.com/covegno-atti/404-bonomi-carla-l-incantesimo-della-chitarra 73 Musicoterapista, diplomata in pianoforte, musicista. [email protected] 74 Relazione presentata anche al convegno: “Percorsi d'ascolto nelle musicoterapie...” Grosseto 21, 22 giugno 2014, MiA, Musicoterapie in Ascolto, 29 maggio 2014, http://musicoterapieinascolto.com/covegno-atti/236-convegno-percorsi-d-ascolto-nelle-musicoterapie 75 Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy. 76 Bonomi Carla, Intonare... emozioni, 17 agosto 2010, MiA, Musicoterapie in Ascolto, http://musicoterapieinascolto.com/esperienze/394-bonomi-carla-intonare-emozioni

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Con il procedere del trattamento mi resi conto che la chitarra, introdotta all’interno dell’habitat musicoterapico per la mia esigenza di accompagnare la produzione canora di Costantina, era diventata il mediatore strumentale preferito dalla stessa, insieme al jambé ed al tamburo. Nella quarta seduta, che io considero la più rilevante dell’intero trattamento finale, Costantina entrò nella stanza di musicoterapia e si sedette sulla sedia. Era molto triste. Mi chiese subito notizie della sua mamma ed iniziò a piangere. Dopo due minuti, Costantina si alzò e si sedette a terra vicino l’ingresso, appoggiando le sue spalle alla porta. Anch’io mi sedetti di fronte a lei, dopo aver preso la chitarra. Eravamo molto vicine, mentre le sue lacrime continuavano a bagnare il suo viso. Costantina non mi guardava, il suo sguardo era perso nel vuoto. Iniziai a suonare e a cantare con la speranza di alleviarle la sofferenza. Costantina evitava il contatto oculare e sembrava impenetrabile alle mie proposte musicali. Notando la chiusura emotiva di Costantina, decisi così di non suonare. Appoggiai la chitarra sul pavimento e restai seduta a di fronte a lei. Costantina non mi guardava, ma sentivo che in qualche modo era presente. Ripresi la chitarra e ricominciai a suonare. Non volevo richiamare l’attenzione di Costantina, ma sostenerla, comunicarle, in qualche modo, che ero presente… ero lì, vicino a lei. Non potevo fissare lo sguardo di Costantina, allora chiusi gli occhi e cominciai a suonare ciò che sentivo in quel momento. Dopo un’iniziale esecuzione di lente sequenze ritmiche e arpeggi, lasciai cadere a terra il plettro che tenevo stretto tra le mie dita e cominciai, sommessamente a far vibrare più volte a vuoto le corde MI (sesta corda), LA (quinta corda) e RE (quarta corda). Suonai moltissimo, non so per quanto tempo. Avvertivo sensazioni strane. Sentivo di perdere il contatto con tutto ciò che mi circondava ─ la stanza in quel momento era vuota per me ─ e non sentivo più il mio corpo, avvertivo un senso di leggerezza. Aprii lentamente gli occhi, quando sentii “qualcosa” sfiorare delicatamente la mia mano sinistra, che impugnava il manico della chitarra. Aprii gli occhi e mi resi conto che quel “qualcosa” era la mano di Costantina. Per la prima volta Costantina cercava il contatto. Lasciai scivolare lentamente la mia mano sinistra ─ la mano destra di Costantina era appoggiata sopra la mia ─ verso il centro della chitarra. Sfilai lentamente la mia mano, e senza perdere il contatto, l’appoggiai sopra la sua mano, facendo appoggiare le sue dita sulle corde, provocando una leggera pressione per far vibrare le corde ─ MI-LA-RE ─, spostando le mani verso il basso.

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I nostri sguardi per un attimo si incrociarono. Costantina però sollevò lentamente la sua mano e, girandola afferrò la mia, tenendomela stretta. Appoggiai lentamente, con la mia mano destra, la chitarra a terra. Lentamente lasciai scivolare più volte le mie mani, prima sulle braccia di Costantina, e poi sul suo viso, accarezzandola. Lo sguardo di Costantina era “estasiato”, mentre nel frattempo fissa il soffitto. Dopo circa cinque minuti cominciò anche lei ad accarezzarmi prima il viso e poi le braccia. Costantina mi fissava, ma lo sguardo era ancora vuoto, gli occhi mi sembravano quelli di uno spettro. Il contatto durò circa quindici minuti, giunti al termine della seduta, lentamente aiutai Costantina ad alzarsi e l’accompagnai in reparto. L’intera fase del contatto, vissuta con molta tranquillità, era, da me percepita, come un bisogno, molto intenso d’affetto, di aiuto, manifestato da una “bambina”, che cerca il contatto con la mamma. Con la consapevolezza che io ero solo “la sua amica” ed in nessun modo volevo e ne potevo prendere il posto della “sua mamma”, nelle sedute successive decisi di favorire il “risveglio” della consapevolezza, e della separazione delle nostre identità. Improvvisavo ad es. canzoni avvicinandomi a Costantina, toccandola e stringendole le mani; identificavo le nostre attività, cantando il nome di entrambe; inventavo canzoni inserendo anche i componenti della sua famiglia “Batti batti le manine che adesso vien…” Non sono mancati in quest’ultima fase momenti di libera improvvisazione sia strumentale che canora. Man mano che la reciproca fiducia aumentava, le sedute acquistavano una nuova dimensione, attraverso cambiamenti musicali “prudenti”, ma intenzionali sia per la dinamica che per il ritmo. Un mondo di suoni si apriva a Costantina: percuotere il tamburo o il jambé, strimpellare la chitarra divenne per Costantina fonte di gioia. Riusciva ad ottenere suoni piano e forti, ed entrambe la soddisfacevano. Accrebbe progressivamente la durata del contatto oculare, mentre cantava (fino a tredici minuti) o suonava gli strumenti musicali (fino a quattordici minuti). Non mancavano i momenti d’ascolto. Costantina mi chiedeva spesso la canzone preferita: “La Tartaruga Sprint”, indicandomi il lettore cd ed imitando a gesti le parole della canzone. Durante l’ascolto muoveva non solo la testa ma anche il corpo, da una parte e dell’altra, in modo molto più disinvolto, in risposta alla musica ed esprimendo, con il viso, un’espressione felice. L’andatura, pigra ed impacciata, cominciava a prendere slancio: il suo corpo si stava vivacizzando. Durante le improvvisazioni e man mano che il trattamento volgeva al termine la sensazione di fare musica insieme emergeva sempre di più. L’intera espressione corporea e strumentale rivelava Costantina per quello che era: una ragazzina “vivace” che stava uscendo dalla sua... “tana”.

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CLELIA ‘SUONA’… LE SUE EMOZIONI77

Di Daniela Di Sabbato78

Clelia79 rimaneva immobile e, dopo un lungo silenzio, le dissi: «Forse non hai voglia? Forse non ti piace? Forse non ti piaccio?» Poco dopo emise una “eh” piuttosto prolungata e, in quel preciso istante, mise le mani sulla tastiera. Probabilmente si rese conto che, premendo i tasti, realizzava un suono e, fatto importante, quel suono era lei a produrlo. Iniziò a ridere a più non posso, così visibilmente divertita, premeva i tasti simultaneamente, a intervalli quasi regolari, eseguendo sempre le stesse altezze. Difficilmente avrei potuto inserirmi poiché aveva preso possesso di tutta la tastiera, ma il fatto importante era che finalmente Clelia si esprimeva ‘musicalmente’. Rideva con gli occhi, i suoi muscoli erano distesi, mentre casualmente cambiava il timbro della tastiera, inserendo il vibrato, amplificando ulteriormente il suo serafico stato di piacere. Mentre Clelia suonava, ebbi l’impressione che osservasse le mie mani, anzi, il mio dito, allora le suonai do, re e lei, guardando il suo dito indice, lo avvicinò ai tasti, premendone uno, forse a caso, il fa.

77 Relazione presentata al convegno: “Percorsi d'ascolto nelle musicoterapie...” Grosseto 21, 22 giugno 2014, MiA, Musicoterapie in Ascolto, 29 maggio 2014, http://musicoterapieinascolto.com/covegno-atti/236-convegno-percorsi-d-ascolto-nelle-musicoterapie 78 Diplomata in musicoterapia al Cep di Assisi, è una delle pochissime colleghe che sia riuscita ad applicare il pensiero dell’etnomusicologo Marius Schneider nell’interpretazione della “musica instrumentalis” in ambito musicoterapico. [email protected] 3403706751 79 Nome di fantasia, in ottemperanza della legge della privacy, evocante una persona affetta da tetraparesi spastica.

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Suonò l’altezza fa per diverse volte, almeno cinque, con intervalli tali da permettermi di inserirmi e suonare il do. Avvicinando l’altra mano, suonava il si.

Ero sempre io a proporre, mentre in cuor mio, volevo che fosse Clelia a iniziare il ‘dialogo’, allora, durante il successivo incontro, decisi di rimanere in attesa (silenzio). Dopo dieci interminabili minuti, Clelia mi guardò negli occhi, sorrise, sollevò la schiena e avvicinandosi appoggiò la sua testa sulla mia spalla, mentre io le facevo una carezza, che accettava. Iniziò a emettere dei suoni gutturali: «Cu, cu, cu; gh, gh gh… aaaa; mmm, mm», poi, con l’indice della mano destra, suonò, uno dopo l’altra, le altezze si, fa e, con la mano sinistra, eseguì il suono mi. Con l’avambraccio, Clelia eseguì un glissando e, ripetendolo alcune volte, sembrava che suscitasse un effetto liberatorio. Mi inserivo solo quando Clelia lo permetteva, eseguendo le stesse altezze o variandole. Ero incuriosita poiché Clelia, benché cambiassi la disposizione della tastiera, eseguiva nel registro grave sempre le stesse altezze: fa, si, mi. Fa, si, mi? Perché Clelia suonava solamente quelle altezze? Cosa celavano quei suoni? Questi interrogativi mi rimbalzavano in mente. Cercavo risposte, così utilizzando il pensiero schneideriano iniziai a ricercare alcune associazioni analogiche che potessero svelare il senso di quella precisa scelta musicale. Tra le innumerevoli associazioni di analogia, proposte da Marius Schneider80, ne ho scelte alcune che mi sembravano maggiormente idonee a chiarire i possibili

80 Schneider M. (1946), “ Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella mitologia e nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986, pp. 217-240.

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significati sottesi al musicale manifestato da Clelia, confrontandole con il doloroso stato psicofisico ed emotivo vissuto costantemente dalla ragazza:

si l’udito (orecchio) gli organi genitali la malinconia;

fa la vista (occhio) il piede la purificazione mistica l’autorità, il coraggio e la forza;

mi il tatto (mano) l’udito (orecchio) la pelle l’ombelico il ventre il sacrificio violento l’offerta del sacrificio il dolore la vita vegetativa.

Con mia sorpresa scoprii che l’esecuzione musicale di Clelia non era così casuale poiché lei comunicava musicalmente il suo dolore (mi), la costante che caratterizzava la sua esistenza, aggravata dalla presenza di un forte (fa) vissuto malinconico (si), probabilmente legato alla recente morte (fa-si) del padre. Con queste altezze e, con questa musica, mi sembrava che Clelia volesse esprimere le sue emozioni, le sue sensazioni, i suoi sentimenti, il suo malessere interno, ma anche l’accettazione del dato di realtà: l’assenza del padre. Reputando la mia interpretazione verosimile, decisi di proporre a Clelia altre altezze evocanti significati simbolici diversi volti all’accoglienza, alla rinascita, al linguaggio, all’accompagnamento, all’amore, ossia le altezze: do, re, sol, la. In particolare scelsi, per ogni altezza considerata, queste relazioni analogiche81:

do il collo e la spalla vista e olfatto resurrezione e ascensione, porta verso Dio, consapevolezza;

re il gusto (la lingua) il petto, il cuore, il linguaggio;

la il tatto (mano) l’udito la pelle i riti d’amore, l’affetto;

sol l’olfatto il sapere Divino, ossia l’intuizione. In un certo senso mi sembrava di utilizzare i suoni come se formassero le altezze di un rāga “… chiamato a volte semplicemente un “modo” musicale, nel quale si esprimono insieme una ideologia e una disposizione determinata di anima, che sono formulate mediante certi contorni melodici...82” Ho creduto che, utilizzando questi suoni, Clelia avrebbe potuto sentirsi compresa e, contemporaneamente, sollecitata ad esprimersi, relazionando musicalmente con me. Con… tatti emotivi Durante questi successivi incontri ho avuto l'impressione che qualcosa stesse pian piano cambiando non solo in Clelia ma anche in me stessa. Non ebbi più paura, mi sentii più rilassata, più disponibile ed attenta ad accogliere le sue esigenze e le sue modalità di espressione.

81 Schneider M., Op. Cit., pp. 217-240. 82 Schneider M., Op. Cit., p. 37.

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Clelia accettava anche il contatto fisico poiché, quando le accarezzavo le mani, sorrideva, rilassava i muscoli e mi guardava negli occhi. Percepivo che la ‘nostra’ relazione sonora assumeva sempre più la dimensione del dialogo: uno scambio verbale… senza parole. Le musiche che le facevo ascoltare avevano delle piccole variazioni ritmiche e di intensità che creavano poi un andamento melodico, stimolandola e facilitando la sua espressione, favorendo quindi un’importante ‘apertura’ al mondo esterno (il nucleo familiare). La melodia improvvisata, che ho composto per lei, la faceva stare bene e subito dopo averla ascoltata iniziava a suonare.

Mi sono resa conto che, probabilmente, non solo le piaceva ma riusciva ad aiutarla ad esternare ciò che aveva dentro perché si sentiva compresa, accolta, amata. Mi sembrava che la musica le passasse nel corpo poiché modificava l’atteggiamento posturale giacché Clelia riusciva a muovere in modo alternato i piedi. Qualche volta mentre le suonavo la “nostra” melodia appoggiava il suo indice vicino al mio, suonando: la, re, sol. Clelia esprimeva il suo disagio emotivo non solo musicalmente, ma rimanendo in silenzio, ignorando la mia presenza e la tastiera, guardando un punto della stanza. Cercavo di capire ciò che esprimeva con il suo corpo, sforzandomi di raccogliere le sue richieste, i suoi desideri, esprimendole, al meglio delle mie capacità, la mia accoglienza. Rispettavo quindi i suoi lunghi silenzi carichi di emozioni. Avevo il presentimento che stesse ricordando, con estrema nostalgia, qualcosa o qualcuno a lei caro. Clelia alternava quindi stati emotivi di dolore con altri di piacere e, in un momento di benessere, eseguì, prima in modo confuso, suonando simultaneamente più note, poi con molta calma e precisione, il suono sol, soffermandosi per molto tempo, inserendo brevi pause. Rimasi in ascolto perché mi sembrava di “romper” qualcosa, ossia di bloccare la scoperta di Clelia che, finalmente, intuiva (sol) la mia presenza, ponendosi in una dimensione maggiormente relazionale sonoro-musicale. Negli incontri successivi, Clelia era calma, sorridente e disponibile ad accogliere le mie proposte musicali, osservandomi con attenzione, mentre suonavamo le altezze: do, re, la, sebbene il mi facesse ancora capolino.

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Il regalo del nonno Il ventesimo incontro fu determinante poiché compresi, con stupore, che il lavoro che stavo facendo era stato riconosciuto anche dai familiari. Ebbi la chiara percezione, che stavo donando a Clelia un ‘mezzo’ per comunicare le sue emozioni, i suoi sentimenti, i suoi stati d’animo. Prima di iniziare la seduta ho conosciuto il nonno con il quale ho parlato per pochi minuti. Quei dieci minuti influenzarono sicuramente il mio stato d’animo in modo positivo, anche se rimasi perplessa perché mi si accavallarono nella mente mille domande. Quel signore dai capelli bianchi, tenendomi le mani con un’espressione dolce ma triste, mi volle ringraziare. Inizialmente non riuscivo a capire, poi mi disse che da quando ero presente nella vita di sua nipote, secondo lui, era avvenuto un grande cambiamento: Clelia, per la prima volta in ventisette anni, iniziò a guardarlo negli occhi, sorridendo. Non lo aveva mai fatto. Era talmente emozionato che quasi non riusciva a parlare e, con fatica, comunicò la sua preoccupazione, la sua ansia… il suo non capire. Lo rassicurai dicendogli che, a parer mio, Clelia era una persona ‘speciale’ da accogliere, cercando di ascoltare ciò che comunicava. Sicuramente, per il nonno, non è stato facile accettare l’handicap della nipote, considerando il fatto che difficilmente ci si pone in maniera ‘aperta’ verso questa problematica e che non c’è nessuna persona in grado di far comprendere che questa dolorosa realtà può svelare anche, insospettabili, luci. Quando rimasi sola con Clelia, ero un po’ pensierosa ma lei, con fatica, si avvicinò e cercò di accarezzarmi. Aveva un’espressione stupenda negli occhi, non saprei descriverla ma in quel momento ho percepito nettamente, anche sulla pelle, che lei aveva compreso tutto.

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Che cosa stava accadendo? Le emozioni provate con il nonno e con Clelia mi hanno nuovamente sollecitata a rielaborare quanto stavo realizzando, valutando, in particolare, se il processo musicoterapico realizzato potesse dare dei risultati volti al raggiungimento dell’obiettivo prefissato. Inizialmente mi è sembrato che gli interventi sonoro-musicali abbiano favorito l’espressione di contenuti affettivi ed emozionali di Clelia. Ci sono stati dei momenti di regressione che forse l’hanno portata in un mondo e in situazioni che apparentemente sembravano sopite, legate al mondo familiare che era ampiamente caratterizzato dalla significativa presenza del padre. Chiesi alla madre se vi fosse stato qualche episodio che la facesse pensare al padre. La madre disse che, pronunciando il nome del papà, Clelia diventava cupa, triste e orientava lo sguardo in un punto fisso della stanza. Clelia quindi esprimeva le sue emozioni e, con me, ’suonava’ il suo dolore emotivo, cercando di accettarlo. Proponendole suoni e musiche, aventi per me significato simbolico opposto al dolore, mi sembrava che l’intervento musicoterapico aiutasse Clelia a integrare gli affetti dolorosi (le emozioni) provati, condividendoli con me, accogliendo maggiormente la presenza dei familiari e degli operatori del centro in cui era inserita. L’educatrice del centro frequentato da Clelia mi comunicò che la ragazza sembrava essere più presente e partecipe alla vita di gruppo. Quando si porgevano alcune richieste, Clelia rideva e, spesso, sorrideva agli altri ragazzi iniziando a far sentire la sua ‘voce’. Il ‘nuovo’ atteggiamento di Clelia è stato notato dagli altri ragazzi che si avvicinavano e le parlavano molto più di prima. Tristezza e… gioia Durante gli ultimi incontri gli occhi di Clelia esprimevano tristezza e, in un certo senso, mi raccontavano la sua storia ma, quando le proponevo la tastiera, visibilmente eccitata emetteva dei suoni gutturali ridendo e dondolandosi. Spesso suonava le altezze sol, la, re e avevo l’impressione che il coordinamento delle mani e delle braccia fosse ora più fluido.

Clelia suonava una sequenza di tre note, mettendo il pollice sempre lontano dai tasti, sotto lo strumento.

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Le piaceva giocare, fingendo di suonare la tastiera rideva fragorosamente, richiamando anche l’attenzione della mamma al punto che, un giorno, entrò nella stanza perché, stupita, non l’aveva mai sentita ridere in quel modo. È stato veramente uno dei momenti più belli: eravamo in perfetta sintonia. In alcuni momenti ebbi l’impressione che non volesse il mio intervento perché copriva la tastiera con entrambe gli avambracci in modo tale da non darmi la possibilità di inserirmi. Siccome lo faceva sorridendo ho pensato che mi stesse chiedendo di essere ascoltata. Assecondavo la sua richiesta. Imparai a rispettare i suoi tempi, a cercare di capire le sue esigenze, le sue richieste e soprattutto a rispettare i suoi silenzi comunque carichi di emozioni (di entrambe) e di sguardi. Commiato Era ormai giunto il termine del nostro ‘viaggio’, io ero triste mentre Clelia era sorridente. Per quell’occasione particolare, la mamma mi chiese il permesso di assistere all’incontro senza essere vista dalla figlia. Mentre noi suonavamo, la signora si commosse nel vedere ‘la sua bambina’ che interagiva con me, pigiando, con le mani, i tasti. Diversamente dal solito, il nostro incontro è stato pressoché privo di interruzioni e di lunghi silenzi. Ricordo che le ultime altezze suonate da Clelia sono state il re (linguaggio) e il la (amore) che ha ripetuto a intervalli regolari per molte volte.

L’ho lasciata sorridente, con gli occhi luminosi, promettendole di andarla a trovare per stare ancora un po’ insieme.

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L’HUMANA MUSICA DI PIERANGELO83

Di Giangiuseppe Bonardi

Quando, sono in ascolto dell’humana musica di Pierangelo84 rimango spesso sbalordito come questo ragazzo, che sostanzialmente non parla, riesca a trasformare il suo stato di dolorosa, angosciante tensione in musica instrumentalis, ascoltandola e comunicandola. Rimango altresì perplesso quando osservo per quanto tempo rimanga in ascolto delle altezze, scelte con estrema cura, mentre schiaccia con maestria i tasti del pianoforte come se fosse un raffinato concertista, avvicinando di tanto in tanto l’orecchio sinistro alla tastiera con l’intenzione di captare i suoni giusti da scegliere. Quando Pierangelo è tranquillo, si siede sulla sedia di fronte a me e tra di noi c’è una conga. La conga è quindi il nostro mediatore relazionale… sonoro-musicale. Con sorrisi, Pierangelo esprime il suo benessere; il piacere di esserci. Richiede alcune canzoni preferite. Solitamente, io gliele faccio ascoltare dopo avergli domandato di suonare il nostro strumento. Durante uno dei nostri incontri, dopo circa mezz’ora di piacevoli condivisioni, le nostre relazioni sonoro-musicali mutarono inspiegabilmente e repentinamente. Improvvisamente Pierangelo diventava cupo in volto forse perché, in quel momento, riaffioravano alla memoria sopiti dolorosi, ma sempre incombenti, vissuti. Il volto si fece teso. Pierangelo farfugliava alcue parole espresse in seconda persona; erano rimproveri che qualcuno (genitori, educatori o insegnanti…), probabilmente esasperato, diceva con foga al ragazzo ed ora lui li ripeteva con la stessa vibrante enfasi:

83 Contributo tratto da… Bonardi Giangiuseppe, In ascolto, 13 luglio 2015, MiA, Musicoterapie in Ascolto, http://musicoterapieinascolto.com/covegno-atti/287-bonardi-giangiuseppe-in-ascolto 84

Nome di fantasia, in ottemperanza della legge della privacy, evocante un adolescente autistico fortemente compromesso dal punto di vista comunicativo-relazionale.

“Lascia stare!”

“Ho detto di

no!”

“Non toccare”

“Basta!”

“Smettila!

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In quel momento, avevo la netta sensazione che Pierangelo vivesse in un altro tempo e in un altro spazio mentre io ero lì, in uno stato di faticoso, teso, ascolto di lui, ma anche di me. L’irato eloquio aumentava d’intensità e l’humana musica di Pierangelo diventava via via sempre più tesa e minacciosa. Pierangelo si alzava di scatto dalla sedia; girava vorticosamente nella stanza come una scheggia. Si fermava momentaneamente da qualche parte, poi ripartiva e gridava… gridava le sue angosce. Io, con fatica, rimanevo in ascolto di quella dolorosa humana musica, sperando in cuor mio che iniziasse un processo di trasformazione. Pierangelo gridava con rabbia altre parole di dolore, poi, si sedette sullo sgabello posto di fronte al pianoforte e, come se non fosse successo nulla, iniziò a comporre una melodia che ripeté più volte, avvicinando alla tastiera ora l’orecchio sinistro, ora quello destro, ascoltando con cura la propria composizione instrumentalis85 (fig 1).

Allegro…

Mi j

Re

j

Do

e

Si

e

:

La e

e

e

e

qQ

Sol#

e Fig. 1

Trascrizione emica dell’evento musicale composto da Pierangelo,

a cura di Giangiuseppe Bonardi e di Paola Montersino

Non era la prima volta che sentivo le composizioni pianistiche di Pierangelo ma, ogni qualvolta ascoltavo le sue musiche minimaliste, eseguite con tanta bravura,

85 Ringrazio la collega Paola Montersino per i preziosi suggerimenti inerenti l’esatta disposizione del profilo melodico dell’evento eseguito da Pierangelo e riportati nella rappresentazione emica proposta nel contributo.

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rimanevo sbalordito perché sapevo con certezza che nessuno gli aveva insegnato a suonare il pianoforte e in cuor mio mi ripetevo:«Ma come diavolo fa a suonare il pianoforte a due mani con tanta disinvoltura, mentre io fatico a seguire le sue dita che si destreggiano velocemente sulla tastiera?» L’atmosfera emotiva era decisamente più calma per cui mi avvicinai al pianoforte per cercare di imitare ciò che il ragazzo faceva. Pierangelo, come in altre circostanze analoghe, mi allontanava delicatamente con la mano. Con il linguaggio non verbale Pierangelo mi comunicava di non disturbarlo poiché quello era il suo momento, il suo spazio dove finalmente poteva esprimere e ascoltare, con il pianoforte, i contenuti per lui inascoltabili e indicibili, ma enunciabili solo con la personale musica artistica.

86“La musica artistica è qualsiasi evento musicale che dipende da «… un metro convenzionale … (e da) un programma estetico elaborato da una determinata cultura87. »”

In tutto quel trambusto compositivo, non mi rimaneva altro da fare che cercare di accogliere, al meglio delle mie capacità, la musica instrumentalis che il ragazzo eseguiva e, contemporaneamente, placare la mia humana musica che pulsava dentro di me come un tamburo battente. La tumultuosa catena di contrasti emotivi riecheggiava nella stanza con sinistra allegria, mentre io cercavo, faticosamente, di ascoltarla. Dal canto suo, Pierangelo, concentrato sulla sua musica, smise di verbalizzare rabbia, tensione e ira… diventando taciturno. Ora l’humana musica di Pierangelo intonava, finalmente, il sospirato sollievo, trasformandosi in musica instrumentalis. Al termine della seduta, dopo una breve salutare pausa, rilessi la melodia, utilizzando alcuni apporti analogici schneideriani88, individuando queste relazioni di somiglianza:

86 Musica artistica, dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi. Voce pubblicata da MiA, Musicoterapie in Ascolto, il 18 luglio 2012, http://musicoterapieinascolto.com/141-musica-artistica 87

Schneider M., La nascita musicale del simbolo, in Il significato della musica, Rusconi, Milano 1970, pp. 96, 97. 88 Bonardi Giangiuseppe, Suoni e significati nel pensiero di Marius Schneider, 12 aprile 2009, MiA, Musicoterapie in Ascolto, http://musicoterapieinascolto.com/percorsi-di-senso/199-bonardi-giangiuseppe-suoni-e-significati-nel-pensiero-di-marius-schneider

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Sol# = angoscia. La = dolcezza, sollievo, benessere, contentezza, delicatezza. Si = tristezza. Do = piacere. Re = espressione. Mi = dolore. Analizzando il frammento melodico con le relazioni analogiche scelte ho ottenuto questa interpretazione (fig. 2)… Con dolcezza (la) Pierangelo suona il proprio dolore (mi), ed è contento (la) di poterlo esprimere (re), probabilmente a sé e a me, con delicatezza (la) e piacere (do). Un triste (si) vissuto appare, ma la fugace presenza dà al ragazzo un effimero sollievo (la), consentendogli di riconoscere quell’angoscia (sol#) che improvvisamente lo assale, arrecandogli tanta pena. Un attimo, giusto il tempo per poterla avvertire, che già svanisce e si trasforma in… fugace benessere (la).

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Allegro…

Mi

Pierangelo

suona il

proprio

dolore

j

Re

di poterlo

esprimere,

probabilmente

a sé e a me,

j

Do

e piacere

e

Si

Un triste

(si) vissuto

appare,

e

:

La

Con

dolcezza

e

ed è

contento

e

con

delicatezza

e

ma la

fugace

presenza

dà al

ragazzo un

effimero

sollievo,

e

Un

attimo,

giusto il

tempo per

poterla

avvertire,

che già

svanisce e

si

trasforma

in…

fugace

benessere.

qQ

Sol#

consentendogli

di riconoscere

quell’angoscia

che

improvvisamente

lo assale,

arrecandogli

tanta pena.

e

Fig. 2

Interpretazione di Giangiuseppe Bonardi dell’evento musicale composto da Pierangelo

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Certamente un’interpretazione non è una verità oggettiva e incontrovertibile, ma dischiude la possibilità di creare percorsi di senso impensati. Un’interpretazione, che fa riflettere, ha raggiunto il suo scopo, ossia quello di stimolare la nostra mente a non cristallizzare il pensiero, ma a renderlo dinamico, fluido, creativo. Se da un lato è innegabile affermare che Pierangelo sia riuscito a trasformare la rabbia della sua humana musica in musica instrumentalis è altrettanto meraviglioso pensare che, con questa composizione pianistica, volesse ringraziare se stesso e me perché finalmente poteva ascoltare, accogliere, integrare nel proprio mondo interno, sebbene per poco tempo, quei contenuti angoscianti che, di tanto in tanto, affiorano nella sua mente e lo fanno stare così male. Mi piace pensare che la composizione di Pierangelo sia un’ode all’ascolto. Sì, perché di ascolto si tratta. Ascolto di sé delle proprie emozioni che, accolte, diventano musica e perciò sono ora fruibili da Pierangelo e, contemporaneamente, comunicabili a… me. Ascolto, da parte mia, della musica di Pierangelo e, contemporaneamente, delle mie risonanze interiori… Se riusciamo quindi a vivere situazioni in cui cerchiamo di ascoltare noi, l’altro e permettiamo all’altro di accogliere (ascoltare) ciò che prova, ritroviamo finalmente noi stessi, l’altro e la nostra essenza, la nostra capacità uditiva più pura perché, molto probabilmente, noi siamo solo… ascolto e null’altro. E che cosa è dunque la musicoterapia se non altro che ascolto?

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