Da Boezio a Valla.

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EDUCAZIONE. Giornale di pedagogia critica, III, 1 (2014), pp. 7-28. ISSN 2280-7837 © 2014 Editoriale Anicia, Roma, Italia. Da Boezio a Valla. Sulle variazioni storico-semantiche di «persona» Francesco Mattei Università degli Studi Roma Tre Department of Education Via Manin, 53 - 00185 Roma [email protected] Lo scenario otto-novecentesco su cui si muove l’elaborazione del concetto di persona e, insieme, i la- bili contorni semantico-concettuali che tendono a so- vrapporre individuo e persona, sono notoriamente par- te di contesti antichi. Ed è facile verificare, sfogliando fonti laiche e religiose, che i termini individuo e perso- na hanno subito risemantizzazioni radicali e dai confini non sempre ben definiti. Questo il motivo per cui mi sembra utile gettare uno sguardo non distratto sulla di- namica dei termini. E voglio aggiungere, e credo non inutilmente, che l’uso di quei termini ha pesantemente condizionato le relazioni dell’individuo (o persona) nei suoi rapporti con la società e con lo Stato, riconoscendo, volta a volta, la sua primarietà originaria o quella di uno degli altri due termini – basti pensare, ad esempio, allo Stato etico di derivazione hegelo-fichtiana e ai suoi rapporti con l’individuo. Ma un altro motivo mi ha spinto a tornare su que- ste fonti antiche. Avendo lavorato, in questi ultimi an- ni, sui testi del collega Manno, studioso dall’andatura storico-filosofica anche in ambito di pedagogia e di fi- losofia dell’educazione, mi è sembrato utile fare un

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EDUCAZIONE. Giornale di pedagogia critica, III, 1 (2014), pp. 7-28. ISSN 2280-7837 © 2014 Editoriale Anicia, Roma, Italia.

Da Boezio a Valla. Sulle variazioni storico-semantiche di «persona»

Francesco Mattei

Università degli Studi Roma Tre Department of Education

Via Manin, 53 - 00185 Roma [email protected]

Lo scenario otto-novecentesco su cui si muove l’elaborazione del concetto di persona e, insieme, i la-bili contorni semantico-concettuali che tendono a so-vrapporre individuo e persona, sono notoriamente par-te di contesti antichi. Ed è facile verificare, sfogliando fonti laiche e religiose, che i termini individuo e perso-na hanno subito risemantizzazioni radicali e dai confini non sempre ben definiti. Questo il motivo per cui mi sembra utile gettare uno sguardo non distratto sulla di-namica dei termini. E voglio aggiungere, e credo non inutilmente, che l’uso di quei termini ha pesantemente condizionato le relazioni dell’individuo (o persona) nei suoi rapporti con la società e con lo Stato, riconoscendo, volta a volta, la sua primarietà originaria o quella di uno degli altri due termini – basti pensare, ad esempio, allo Stato etico di derivazione hegelo-fichtiana e ai suoi rapporti con l’individuo.

Ma un altro motivo mi ha spinto a tornare su que-ste fonti antiche. Avendo lavorato, in questi ultimi an-ni, sui testi del collega Manno, studioso dall’andatura storico-filosofica anche in ambito di pedagogia e di fi-losofia dell’educazione, mi è sembrato utile fare un

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percorso a ritroso, per ritracciare un contesto storico-semantico preliminare all’uso che egli ha fatto, nel suo Personalismo critico, del concetto di persona come metafora1. Perciò mi sembra opportuno ricordare alcu-ni passaggi teorici significativi sul concetto di persona e sull’uso (e abuso) che ne è stato fatto. E perciò ac-cenno al contesto personalistico francese in cui, nel Novecento, nascono la filosofia personalistica e il suo côté pedagogico. Ma è del tutto evidente che Maritain e Mounier sono soltanto gli ultimi anelli di una lunga catena semantica che Gilson vedeva riannodarsi, a ragio-ne, con la speculazione scolastica del XIII-XIV secolo, nella disputa trinitario-boeziana di Tommaso d’Aquino e Bonaventura da Bagnoregio, Scoto e Riccardo di S. Vittore. Perciò vi accenno. E ricordo anche, ed è snodo non secondario, quel Lorenzo Valla che, in fase di pro-rompente umanesimo, vide quella concatenazione sto-rico-semantica corrotta dall’interpretazione boeziana della persona. E lo stesso Valla antiboeziano e anti-sco-lastico fu, malgré lui, come autorevoli interpreti riten-gono, il grimaldello che aprì le porte alla speculazione antitrinitaria e anabattista di Serveto2, che tragicamente decostruì, in tempi di Riforma, le sistematizzazioni ope-rate all’interno della dottrina trinitaria tra natura e persone divine.

Questo il tracciato minimo che mi è sembrato utile ricostruire. E potrebbe forse rivelarsi prezioso, questo scavo storico, per discutere in modo più distaccato e

1 M. Manno, La persona come metafora. Itinerari di una metafi-

sica personalistica, Brescia, La Scuola, 1998. 2 Di Michele Serveto: De Trinitatis erroribus libri septem, Per

Michaelem Servetum, alias Reves ab Aragonia, Hispanum, Hagenau, 1531; Dialogorum De Trinitate duo. De Iustitia regni Christi, capitula quatuor, per Michaelem Servetum, alias Reves, ab Aragonia Hispa-nus, Haguenau, 1532; Christianismi Restitutio, Vienne, 1553.

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avvertito del personalismo (anche di quello critico) del Novecento. Un personalismo ora forse declinante, ma legato un tempo ad una lunga e consolidata tradizione re-ligiosa, filosofica e pedagogica dal respiro antico. 1. Persona e individuo in Maritain

La persona sta dunque tra Scilla e Cariddi. Essa non

sarà, nella speculazione cattolica novecentesca, né l’in-dividuo platonico-aristotelico né l’individuo storico-concreto determinato di ascendenza o discendenza hege-lo-marxiana. Compito non facile, perciò, l’essere e il di-venir persona, perché compito legato al dinamismo della personalità e al dinamismo dell’educazione – ma dinami-ca era anche la concezione aristotelica del sinolo (sÚno-lon) che passava dalla potenza all’atto, come pure l’ascesi platonica dell’ánthropos verso l’essere (eἶnai) e il bene (¢gatÒn)3. A questo dinamismo è legata la “per-sona” pensata da Maritain. E così, per un verso egli fissa l’individuo nella sua naturalità; per un altro, proietta la persona in un dinamismo di essenza ed esistenza che solo un’educazione dinamica può portare a reale esistenza. Scrive Maritain: «L’uomo è nella sua interezza indivi-duo e al tempo stesso persona: è una “persona” per la spirituale sussistenza della sua anima, ed è un “indivi-duo” in ragione di quel principio di diversificazione

3 L’in-dividuo (in-dividuus) traduce alla lettera il greco ¥-tomon

(da a-tšmnw). Platone parla di eἶdoj ¥tomon o p©n ¥tomon (Soph., 16, 229 D sgg.). E Aristotele scrive: ¥nqrwpoj kaˆ †ppoj ¥toma tù gšnei (Metaph., X, 8-9, 1018 b 5-6). Ma, tanto in Platone quanto in Aristotele, non si dà scienza dell’individuo, giacché non si può dare scienza che dell’universale.

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non specifica che è la materia e che rende i membri di una stessa specie differenti gli uni dagli altri (c.m.)»4.

Dunque, un’equiparazione esplicita, secca, delimi-tante, di individuo-naturalità e persona-spiritualità. E lo sviluppo educativo segue lo stesso doppio binario: «Io posso svilupparmi nel senso della personalità, cioè nel senso della padronanza e dell’indipendenza proprie allo spirito per il quale sussisto; oppure posso svilup-parmi nel senso dell’individualità, cioè nel senso del-l’abbandono alle tendenze che sono presenti in me in virtù della materia e dell’eredità»5. Un dualismo natu-ra-spirito fin troppo esplicito, e da cui consegue un di-chiarato monito per l’educatore: «(…) alcuni educatori confondono la personalità con l’individualità e pren-dono per sviluppo della personalità il semplice svilup-po dell’individualità»6.

In definitiva, una institutio minor, quella dell’in-dividualità; e una institutio maior, quella della personali-tà. Questa è legata all’«interiorità a se stessi», all’au-tonomia, alla ragione e alla libertà; quella all’istinto e ai desideri dei sensi. Dice Maritain: «Ma l’individualità, nello stretto senso aristotelico in cui uso questo termine, significa l’ego materiale, lo sviluppo del quale consiste nel dare libero corso agli impulsi irrazionali che lo abita-no. Così, pur diventando il centro di ogni cosa, l’ego è in realtà disperso tra bassi desideri o irresistibili passioni, e, infine, si sottomette al determinismo della materia»7. Ma così, per un verso siamo quasi all’homme machine o al contemptus mundi sive de miseria humanae conditionis;

4 J. Maritain, L’educazione al bivio, Brescia, La Scuola, 198121, p. 55 (ed. or. Education at the Crossroads, New Haven, Yale Univer-sity Press, 1943).

5 Ibidem (c.m.). 6 Ibidem. 7 Ibidem.

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per un altro, ad una chiara matrice spiritualistica ormai fuori stagione, e che sottovaluta, a me sembra, – ma sembra anche a molte filosofie non dualistiche e ad ese-gesi bibliche poco amiche dei dualismi platonici –, l’u-nità della persona o dell’individuo. Ma è chiaro che qui Maritain detta le sue semantiche. E quelle semantiche i lettori liberamente possono interpretare. 2. Passaggi medioevali: la Scolastica su Boezio e persona

Ma dov’era nata, e come, quest’ultima stagione

della “persona”? Dico ultima perché lunga è stata la storia del termine e certamente destinata a continuare, tra (supposte e folgoranti) evidenze fenomenologiche e mai esauriti nascondimenti di senso.

L’antico termine greco prÒswpon, da cui solitamen-te si fa derivare persona, dice volto, maschera, personag-gio, e per l’etimo ci si richiama all’etrusco phersu, pher-suna. Il mondo latino da lì l’ha mutuato e ha detto perso-na la maschera teatrale che raffigurava i personaggi e na-scondeva le “persone-attori”. Ha anche aggiunto, alla sua dimensione storico-semantica, un possibile per-sonare, richiamando la fattualità dei vasi di rame (ºceon, da ºcšw, risuono, faccio risonare) che si ponevano nella ca-vea degli antichi teatri greco-romani per far risuonare più chiaramente la voce degli attori in scena. Hanno poi affi-nato il significato di persona lo stoicismo di Panezio, il prestito ciceroniano del De officiis, la mutuazione paoli-na8, le dispute teologico-trinitarie conciliari del IV e V

8 Così Paolo usa il termine in II Ad Corinthios, 1,11: «ἵνα ἐκ

πολλῶν προσώπων τὸ εἰς ἡμᾶς χάρισμα διὰ πολλῶν εὐχαριστηθῇ ὑπὲρ ἡμῶν». Reso nella Vulgata: «ut ex multorum personis eius quae in nobis est donationis, per multos gratiae agantur pro nobis» (c.m.).

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sec., fino a Calcedonia, che a lungo hanno dibattuto at-torno alla natura e alle relazioni (in-creazione, genera-zione, processione) delle persone trinitarie. Dopo la for-mazione di quel Credo, il simbolo niceno-costanti-nopolitano, nulla più rimase immutato nell’uso del ter-mine9. E la scolastica del XII e XIII sec. non offrirà che un solido supporto filosofico-teologico a quella ri-flessione semantico-ontologica.

Qui, giustamente, penna raffinata e filologicamen-te efficace, è tornato Gilson. Erano i primi decenni del Novecento, e si apriva così, in un movimento cattolico che sulla scia di Renouvier “cercava filosofia”10, una riflessione non scontata sul personalismo cristiano, da Gilson visto albeggiare, molti secoli addietro, nel pen-siero filosofico medioevale11.

Dice dunque Gilson, ricostruendo la genealogia del concetto di individuo e persona: «(…) per non aver mai negato la realtà dell’individuale, i Greci hanno reso possibile il riconoscimento da parte del cristianesimo del valore eminente della persona». E «non solo non l’hanno impedito, o semplicemente ritardato, ma vi hanno effi-

9 Cfr. M. Pohlenz, La Stoa, Milano, Bompiani, 2005; L. Stefani-ni, F. Riva, Persona in Enciclopedia filosofica, vol. 9, Milano, Bom-piani, 2006. Scrive Pohlenz: «(…) i Greci avevano da tempo esteso il termine prÒswpon, “faccia”, “maschera”, all’uomo rappresentato, e i Romani, traducendo prÒswpon con persona, tennero loro dietro» (M. Pohlenz, L’uomo greco, Milano, Bompiani, 2006, p. 301).

10 C. Renouvier, Le personnalisme, Paris, F. Alcan, 1903; Id., Les derniers entretiens, Paris, J. Vrin, 1930. Sull’argomento, cfr. F. Turlot, Le personnalisme critique de Charles Renouvier. Une philoso-phie française, Strasbourg, Presses universitaires de Strasbourg, 2003.

11 Cfr. E. Gilson, Il personalismo cristiano, in Id., Lo spirito del-la filosofia medioevale (19322), Brescia, Morcelliana, 1969. Di deri-vazione cristiana, nel senso evolutivo sopra indicato, il concetto di persona si laicizzerà nel tempo, fino a sfibrarsi notevolmente e poi tentare una nuova vita: cfr. M. Clavel, Chi ti ha fatto uomo?, in Miste-ro e senso della persona, «Communio», 1982, marzo-giugno, p. 75.

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cacemente contribuito»12, anche se si sono fermati al piano morale, evitando di «elevarsi a una metafisica della persona»13. Eppure essi disponevano, visti i nomi di assoluta grandezza – si pensi a Platone, Aristotele, Seneca, Epitteto, stoici e epicurei –, di tutti gli stru-menti teorici necessari al compito incompiuto.

Dunque, pur con i limiti auto-impostisi, non sarebbe stato possibile, a parere di Gilson, elaborare senza di loro un concetto metafisico dell’individualità e della persona. E da lì hanno attinto prestiti preziosi i primi padri (greci) della Chiesa e i primi apologeti, che con quegli stru-menti hanno cominciato ad organizzare il complesso edificio teologico del neonato cristianesimo. È ciò che ha fatto, ad esempio, il dimenticato Atenagora (II sec. d.C.) nel De resurrectione mortuorum: «Ma ciò che ha ricevuto il pensiero e la ragione, è l’uomo, e non l’a-nima per se stessa. Bisogna dunque necessariamente che l’uomo, composto dell’anima e del corpo, sussista sem-pre, ed esso non può sussistere se non risuscita»14.

Naturalmente, non interessa qui il tema della re-surrezione, ma interessa, ed appare di grande delicatez-za teorica, la concezione dell’individuo-persona nella sua totalità ed interezza, fino al punto che, nella causa fi-nale della creazione dell’uomo, non si contempla la so-la sua anima, ma l’uomo intero15. Si tratta dunque, per i filosofi medioevali, di dar fondamento razionale alla speranza cristiana. E, insieme, di dar fondamento al-l’esistenza dell’individuo.

12 E. Gilson, Il personalismo cristiano, cit., p. 243. 13 Ibid., p. 244. 14 Atenagora, De resurrectione mortuorum, cap. XV, cit. in ibid., p.

246. 15 Chiosa Gilson: «(…) tanto che per parlar propriamente non c’è

in realtà un fine dell’anima, ma solo un fine dell’uomo» (ibidem).

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Ma come nasce questa elaborazione? Due le vie tentate per sostenere l’«individuazione» dell’individuo. L’una, quella di Scoto, ricerca quella individuazione nella forma in quanto forma, e vede in essa il principio ultimo dell’individuazione della haecceitas16. Ma così si finirebbe con il perdere la specie dell’umanità, tanto essenziale e centrale nella prospettiva aristotelica. Ed è perciò che Tommaso sceglie un’altra via, meno sem-plice ma più aderente alla dottrina di Aristotele, che qui fa da guida alla riflessione teorica sull’individuo.

Il problema è sempre lo stesso: evidenziare la fun-zione della materia e della forma. E se la materia appa-re necessaria per l’individuazione, passaggio notoria-mente “saltato” da Scoto, la forma risulta invece ne-cessaria per la definizione dell’individualità17. «In questo senso – commenta Gilson –, la materia individuante è tale solo in virtù della sua integrazione all’essere della sostanza totale; e, poiché l’essere della sostanza è quel-lo della sua forma, bisogna necessariamente che l’indi-vidualità sia una proprietà della forma tanto quanto della materia»18. La materia individualizza allora la forma, ma una volta individualizzata, «proprio la forma è indi-viduale», e «la sussistenza di questa forma individuale,

16 «Quoad hoc ista realitas individui est similis realitati specificae,

quod est actus determinans illam realitatem speciei quasi possibilem et potentialem. Sed quoad hoc dissimilis, quia ista numquam sumitur a forma addita, sed praecise ab ultima realitate formae» (Duns Scoto, Opus Oxoniense, lib. II, dist. 3, qu. 5 e 6).

17 Dice Gilson riferendosi a Scoto in tema di individuazione per mezzo della sola forma: «Basta ammettere che, presa in sé stessa e nella sua realtà fondamentale, l’anima è individuale e causa l’indi-vidualità. Da sé, e per ciò che la definisce in proprio, essa non è solo una anima, ma quella anima, e la sua individualità essenziale rende individuale, colla materia del suo corpo, l’uomo intero» (E. Gilson, op. cit., p. 249).

18 Ibid., pp. 252-3.

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conferendo alla materia la sua propria esistenza, per-mette all’individuo di sussistere»19.

Una volta guadagnata l’individuazione dell’indivi-duo (tramite la forma), non resta che riflettere sulla sua peculiarità. E questa si manifesta nella sua razionalità. Perciò si definisce la persona, sulla scia del Boezio (475-525) del De duabus naturis, come «la sostanza individuale di un essere ragionevole»20. Ma questa ra-zionalità si identifica e si confonde, a sua volta, e in modo sostanziale, con il principio di libertà.

La sintassi teologico-metafisica del soggetto è allora

schematicamente completata: individuo, individualità; persona, personalità; razionalità, libertà. La tradizione cristiana ha fatto fiorire qui le radici greche e ad esse ha aggiunto la specificità del lascito ebraico-cristiano, che ha visto nel Dio di Abramo, come dice Bonaventura, la fonte dell’Essere e della persona: «Ecce personalis di-

19 Ibidem. Così Tommaso: «Individuum compositum ex materia

et forma habet quod substet accidenti ex proprietate materiae. Unde et Boetius dicit in lib. De Trinitate, cap. II: forma simplex subjectum esse non potest. Sed quod per se subsistat (scil. individuum) habet ex pro-prietate suae formae, quae non advenit rei subsistenti, sed dat esse ac-tuale materiae, ut sic individuum subsistere possit. Propter hoc ergo hypo-stasim attribuit materiae, et usiosim, sive substantiam, formae, quia mate-ria est principium substandi, et forma est principium subsistendi» (Sum. Theol., I, 29, 2, ad 5). E ancora: «Anima illud esse in quo ipsa subsistit, communicat materiae corporali, ex qua et anima intellectiva fit unum, ita quod illud esse quod est totius compositi, est etiam ipsius animae; quod non accidit in aliis formis, quae non sunt subsistentes» (Sum. Theol., I, 76, 1, ad 5).

20 «Persona est rationalis naturae individua substantia», dice Boezio, un Boezio ripreso tanto da Bonaventura (In I Sent., dist. 5, art. 2, qu. 1, Resp.) quanto da Tommaso (Sum. theol., I, 29, ad 1m). Ma così la modifica, in sintonia con Scoto, Riccardo di San Vittore: «Persona est in-tellectualis naturae incommunicabilis existentia» (De Trinitate, lib. IV, cap. XXII).

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stinctio: Exodi tertio, ego sum qui sum»21. E da qui par-tiranno, per lunghi secoli, le discussioni e le interpreta-zioni più varie sul soggetto e sulla persona. Alcuni reste-ranno saldi a questa lectio medioevale, altri la svuoteran-no del substrato teologico-metafisico. Ma è questa, ap-punto, l’avventura del soggetto (o la sua disavventura). E sempre sarà sottoposto, quel soggetto, a spinte di an-nichilimento o di esaltazione parossistica. Ma sempre rimarrà in tensione dialettica, talvolta drammatica, con gli altri elementi della relazione: Dio, l’altro, la società, lo Stato.

Questo il motivo della breve rammemorazione della pagina medioevale. Del resto, essa è sempre pre-sente quando al soggetto-persona si tenta di dare fonda-mento o di leggerlo all’interno della tradizione ebraico-cristiana. Ma è anche presente, più o meno esplicita-mente, quando da essa si prescinde e si vede in essa una scissione pericolosa e una adulterazione indebita della più antica dizione greca.

21 Bonaventura, Com. in Joan., VIII, 38. Sulla posizione di Bo-

naventura, in fatto di individuazione, sono rimaste in piedi diverse in-terpretazioni: qualcuno vi legge latenze prescotiste, altri vi scorgono la causalità necessaria della materia. Così Bonaventura: «Individuatio igitur in creaturis consurgit ex duplici principio» (In II Sent., lib. II, dist. 3, p. 1, art. 2, qu. 3, resp.). E ancora: «Individuatio per additionem si-ve appositionem contrahentem» (In I Sent., XXV, 1).

A parere di Gilson, è proprio Bonaventura ad aver discusso con penna felice sul concetto di persona e personalità. Perciò il filosofo di Bagnoregio gli appare come uno dei migliori interpreti del personali-smo cristiano, e lo pone tra coloro che hanno messo a fuoco con acu-tezza i concetti di individuo, persona, dignità dell’individuo (cfr. E. Gilson, op. cit., p. 264, n. 37).

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3. Passaggi umanistici: Valla su Boezio e persona

Le pagine che precedono, tentano dunque di offri-re uno schizzo veloce, e si spera non troppo infedele, della lunga controversia sviluppatasi attorno al tema della persona. Alla fine, l’accasamento aristotelico di Tommaso costituirà per molti pensatori (non necessa-riamente cristiani), e per molti secoli, la formalizzazio-ne riconosciuta delle posizioni ufficiali della ecclesia e della christiana civitas. E così anche Boezio, grazie a Tommaso, conoscerà i suoi secoli di gloria e di ricono-sciuta magisterialità concettuale.

Tutto funziona bene, grosso modo, fino alla metà del Quattrocento, quando Lorenzo Valla, in pieno re-cupero della cultura umanistica, metterà mano filologi-co-grammaticale22, ma non solo, nelle sue schede di pulizia critico-terminologica23, anche al concetto di per-sona così come inteso da Boezio: un Boezio assimilato da Valla ai dialectici (verso cui mostra radicale avversità)

22 È nota l’espressione di Valla nella prefazione alle Elegan-

tiae:«(…) magnum ergo Latini sermonis sacramentum est, magno pro-fecto numen…».

23 Per il recupero della concezione quintilianea sulla “grammatica” e per l’assimilazione delle theologicae litterae alle humanae litterae, cfr. S.I. Camporeale, Lorenzo Valla. Umanesimo, Riforma e controrifor-ma. Studi e testi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2002, p. 54 e sgg. Scrive in proposito Camporeale: «(…) nel libro I delle Dialecti-cae disputationes l’Umanista sottoponeva a revisione critica, appunto “grammaticale”, la terminologia dei predicamenti e dei trascendentali su cui si reggeva il linguaggio categoriale e ontologico della Scolastica aristotelica; e in seguito, nelle Adnotationes, assumerà i criteri filologi-ci, enunziati dalla Institutio, come base dell’esegesi neo-testamentaria. Di qui la critica valliana nei confronti dei giuristi e dei dialettici, dei filo-sofi come dei teologi, i quali tutti per aver disdegnato la “grammatica” sono caduti nella più completa “litterarum imperitia”, e fino al punto che non soltanto ignorano lo stesso linguaggio della propria disciplina – “verba scientiae suae”» (ibid., p. 57).

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e troppo lontano dalla ricchezza storico-linguistica dei lit-terati24. Da qui la sua contrarietà per i precedenti para-digmi ermeneutici e per la loro strumentazione euristico-metodologica. E dunque, contrarietà per la scolastica co-me costruzione logico-argomentativa; contrarietà per una parte del corpus aristotelico; e contrarietà, in extenso, per quell’aristotelismo di dottrina che si mostrava ormai lo-goro e “catechistico”. Ma la confutazione non avveniva, come si potrebbe oggi pensare, sul versante della visione scientifico-naturalista di quella concezione, ma sulla formalizzazione estrema del sermo, che risultava, nella sua logica, troppo isterilito25.

La cosa più interessante, poi, è che in questa polemi-ca anti-aristotelica e anti-tomistica, il massimo della fran-chezza e dell’esplicitazione sia stata espressa dal Valla proprio nell’Encomion S. Thomae (1457). Chiamato in-fatti dai padri Domenicani a celebrare l’illustre teologo e filosofo alla Minerva di Roma, nel cui Studium Valla era lettore di Retorica, egli non perdeva l’occasione ghiotta

24 Scrive ancora Camporeale in merito ai dialectici e ai litterati:

«(…) le formulazioni sillogistiche, estranee al “vulgaris sermo” e avulse dall’integrità e coerenza interna della lingua, hanno perso to-talmente il senso e l’efficacia del discorso argomentativo. In base a simili osservazioni, l’Umanista può concludere che la conseguenza immediata della manipolazione – operata da Aristotele e da Boezio come dai loro seguaci antichi e moderni – del linguaggio quale è dato nel parlare comune corrente è di aver reso la logica di difficile appren-sione e comprensione…» (ibid., p. 65).

25 A proposito della trasformazione del Verbum in sermo, ma in senso differente da quanto qui proposto dal Valla, è nota la posizione di Erasmo, che traduce l’incipit del prologo di Giovanni con «In prin-cipio erat sermo». Cfr., in materia, le ricche e puntuali pagine di F. De Michelis Pintacuda, Tra Erasmo e Lutero, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2001, p. 18 e sgg., dove si documenta come la filologia del termine lÒgoj separi Erasmo da Lutero, ma, insieme, si dà conto dello sforzo filologico interpretativo degli umanisti.

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per esaltare Tommaso e per stroncare il rinascente neo-tomismo quattrocentesco.

Tommaso, sostiene Valla, era stato certamente un modello storico inarrivabile per la teologia speculativa (e siamo alla scientia quintilianea); ma il tomismo era del tutto improponibile come “sistema teologico” della con-temporaneità (e siamo alla refutatio della Institutio)26. Ma allora, se questa è la posizione di Valla verso Tommaso e verso il tomismo, come poter pensare che egli potesse salvaguardare Boezio e la sua “grecità”27 o, almeno, guardare alla sua filosofia con positiva accoglienza e be-nevolenza?

Impresa impossibile. E per ragioni da lui sempre perseguite. Boezio appare infatti a Valla come il tradutto-re della classicità greco-latina al servizio della “filosofia teologica”. Detto più esplicitamente: per un verso Valla guarda al modus theologandi derivante dalla Patristica greca e latina, e dunque fedele alle orme di Paolo e degli

26 Dice Valla, distaccandosi dai laudatores del sistema teologico

tomistico e della filosofia o metafisica ad esso subordinate: «Non me fugit quosdam, qui (…). Cur autem eumdem possint omnibus praepo-nere hinc demostrabant, quod dicerent eum ad probationem theologiae adhibere logicam, metaphysicam atque omnem philosophiam, quam superiores doctores vix primis labiis degustassent» (Encomion s. Th.). E lontano dalla dissimulatio, non infrequente in quei decenni, e lonta-no anche da Napoli, per i domenicani la “Provincia Aragonese”, dove Valla era stato sottoposto ad inquisizione, dice apertamente: «At lingua a corde dissentiet. Quoniam huc ascendi non mea sponte, sed exhortatus a fratribus nec tacere mihi integrum est, non committam ut quisquam putet me scientem esse mentitum» (Ibidem). Che tradotto dice: grande e genuino Tommaso; inservibile il tomismo contempora-neo; e lo dico chiamato dai padri domenicani a tessere l’elogio, l’en-comion appunto, dell’Aquinate.

27 È evidente, qui, la distanza del Valla dagli Scolastici. Mentre l’uno respinge la grecizzazione della pagina cristiana, gli altri, gli Sco-lastici, come evidenziato da Gilson, tentano proprio di cristianizzare la grecità e di farsene eredi.

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apostoli come «vere in templo Dei columnae» (la chri-stiana religio); per un altro, critica una teologia tomistica, e soprattutto neotomistica, troppo vincolata ai lacci filo-sofici che strutturano in profondità il discorso teologico. Che gli appare troppo condizionato dalla logica e dal-l’ermeneutica aristotelica e con uno statuto scientifico che così statuisce: «neminem posse sine dialecticorum, metaphysicorum, caeterorum philosophorum praeceptis evadere theologum»28.

Ma per Valla è veramente troppo. E allora, se la filo-sofia deve ergersi a strumento necessario della teologia e per la teologia, come evitare di criticare radicalmente Boezio, che, insieme ad Aristotele, è visto come pietra angolare della Scolastica classica e di quella neo-scola-stica che, a metà del Quattrocento, tenta di riprendere quota e ridarsi vigore?

La risposta è netta: l’operazione è impossibile. Da qui la critica di Valla al De consolatione philosophiae, considerato testo eminentemente “pedagogico” e stru-mento principe di quella piegatura filosofica del discorso teologico che proprio in Boezio aveva trovato il suo ini-ziatore29. E da qui la ripresa costante del tema in altri to-poi valliani: il De libero arbitrio, il De vero falsoque bo-no, il proemium al lib. IV delle Elegantiae. Tutti luoghi in cui si esercita con radicalità la critica valliana come critica anti-filosofica della Scolastica e a favore di una “teologia umanistica” alternativa. La christiana religio non ha affatto bisogno del praesidium philosophiae. Le è

28 Encomion s. Thomae. 29 Scrive Camporeale riferendosi al De consolatione: «In esso

infatti, secondo il Valla, alla strumentazione funzionale della filosofia succede in realtà la scomparsa del discorso propriamente teologico, e ciò nel caso d’una istanza singolare e fortemente significativa: la pro-blematica della prassi e della libertà del cristiano» (S.I. Camporeale, op. cit., p. 178).

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sufficiente l’esempio degli «imperiti et inermes» apostoli e il loro annuncio kerigmatico, annuncio e semplicità del tutto oscurati dalla teologia sistematica messa in opera dalla Scolastica: che ha sempre disconosciuto quella auc-toritas; che ha preferito «novam viam ingredi»; e che ha trascurato, isterilendosi, la «imitatio Apostolorum».

In verità, si tratta di una via non del tutto nuova. Es-sa era già stata tracciata nei secoli XI e XIII. E segnata-mente da Pier Damiani, primo sostenitore di rilievo delle posizioni anti-boeziane30. Ma mentre il discepolo dello Studium parmense usava, per dire il mistero cristiano, la critica anti-filosofica di categorie logico-metafisiche – pensando ad un ritorno alla imitatio Christi e alla esem-plarità apostolica –, il Valla sostituisce la strumentazione boeziano-tomistica con il metodo quintilianeo della Insti-tutio. Che costituirà il novum organon filologico e cate-goriale: per la lettura-dizione scientifica della Scrittura e per l’elaborazione della teologia come scientia fidei.

Valla riconosce allora Tommaso come grande e irri-

petibile novatore. Gli imitatori quattrocenteschi sono in-vece da lui ritenuti fuori tempo e fuori contesto. E le loro “riprese” appaiono del tutto inadeguate per dire il mes-saggio della fede cristiana, perché troppo diverse e troppo “nuove” appaiono le fratture teorico-concettuali della humanitas quattrocentesca.

E a proposito della posizione di Tommaso sul rap-porto con Boezio, Valla non si esime dall’esaminare con scrupolo, e secondo una critica filologica a cui abbiamo fatto veloce cenno, la quae. II, art. 3 della Summa Th.,

30 Pier Damiani non è il solo ad esprimere queste riserve. Lo af-

fiancano Bernardo, i Vittorini e non pochi Maestri domenicani di teo-logia a Parigi. Dice Eudes di Chateauroux ai filosofi: «seipsos vendunt filiis Graecorum, id est philosophis».

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che recita appunto: Expositio super librum Boëthii De Trinitate31. Ed è quello stesso Boezio che, per quanto concerne il tema della persona, Valla prende in conside-razione nel notissimo libro VI, capitolo XXXIIII, delle Elegantiae linguae latinae (1441, ed. romana, libri sex, 1449) che così titola: In Boëthium de Persona32.

Non stupirà, allora, un’osservazione fin troppo evi-

dente e scontata. Tanto Tommaso quanto Valla leggo-no Boezio; entrambi interpretano il De Trinitate e il Liber de persona et duabus naturis. Ora, il Liber de persona, nell’edizione della Patrologia latina del Migne, reca scritto: Contra Eutychen et Nestorium33. Ma Euti-che (378-454) è sostenitore del monofisismo (una sola natura in Cristo), e perciò è condannato nel concilio di Calcedonia (451). Nestorio è invece assertore del duo-fisismo, di quella corrente teologica, cioè, che vedeva in Cristo la presenza di due nature (divina e umana) e di due persone. Egli rifiutava dunque l’unione ipostatica in Cristo e perciò fu sottoposto a condanna nel concilio

31 Lo abbiamo già citato nelle pagine precedenti sui passaggi

medioevali sulla persona. Per un’analisi dettagliata del testo rinvio a S.I. Camporeale, op. cit., p. 184 e sgg. Mi limito qui a ricordare che Tommaso si chiede apertamente se «de divinis (...) esse aliqua scien-tia» (a. 2) e se «utrum in scientia fidei, quae est de Deo, liceat rationi-bus philosophicis (…) uti» (a. 3).

32 L. Valla, Elegantiae linguae latinae, in Id., Opera omnia, a cura di Eugenio Garin, voll. 2, Bottega d’Erasmo, Torino 1962, vol. I, pp. 114-115. Sempre interessanti, sul concetto di persona in Boezio, le annotazioni di M. Nédoncelle: Prosopon et personne dans l’antiquité classique: essai de bilan linguistique, in «Revue des sciences religieuses», 22 (1948), pp. 277-299; Id., Les variations de Boèce sur la personne, in “Revue des sciences religieuses”, 29 (1955), pp. 202-233.

33 Così la scansione in capitoli del Liber de persona: caput IV. Contra Nestorium, unam esse personam; caput V. Contra Eutychen, corpus Christi ex Maria vere assumptum.

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di Efeso del 43134. Ma ciò ricordo perché queste dispu-tationes quattro-cinquecentesche sul concetto di persona, come già accadde nel IV-V sec., lasceranno ancora una volta tracce evidenti nell’ambito della riflessione sulla Trinità. E Serveto e L. e F. Socini, tra altri, ne saranno protagonisti attivissimi e vittime non inevitabili35.

Ma torniamo a Valla e alla sua critica al concetto

boeziano di persona. L’incipit è icastico, perentorio. Detto infatti della definizione di Boezio sul concetto di persona, seccamente aggiunge: «Sed huic homini Roma-no ostendam, Romane loqui nescire»36. E il canonico di S. Giovanni in Laterano, quel Valla tanto ostile al neo-scolasticismo quattrocentesco, mostra a Boezio, homi-ni Romano, come debba dirsi e soprattutto “intendersi” il latino.

Come evidente, la purezza ciceroniana presto tra-passa in Valla in vera e propria interpretazione, giac-ché egli vuole confutare in Boezio il concetto di persona in quanto «incommutabilis naturae, individua substan-tia»37. E se Boezio ha ritenuto che la persona fosse so-stanza e non qualitas o altro predicato38, Valla non concorda affatto con quella posizione.

34 Sull’eresia di Nestorio qualche dubbio è stato riaperto dal rin-

venimento (1895) del Liber Heraclidis (cfr. Ch. Freeman, Il cristiane-simo primitivo, Torino, Einaudi, 2010).

35 Scrive Mario Fois S.J.: «Risaputo è pure che gli antitrinitari del secolo XVI si servirono di questa speculazione, più esattamente della sua concezione filologico-filosofica di “persona” esposta nel-l’Eleganze, per suffragare le proprie opinioni» (Id., Il pensiero cristia-no di Lorenzo Valla nel quadro storico-culturale del suo ambiente, Roma, Libreria Editrice Università Gregoriana, 1969, p. 535).

36 In Boëthium de Persona, cit., p. 114. 37 Ibidem. 38 Così Valla: «existimans se argumentatione collegisse, quare non

sit qualitas, nec aliud praedicamentum ullum, sed substantia» (Ibidem).

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Naturalmente, non si tratta solo di astratta filologia accademica. Del resto, il concetto di “sostanza” (l’id quod in se est o l’id quod in se est et per se concipitur spinoziano – Etica, pars 1, def. 3) ha conosciuto rara quie-te nella storia delle idee filosofiche, tanto da diventare, nella Scienza della logica hegeliana, il ciò che è stato, il ciò che effettivamente è divenuto: «Wesen ist was gewesen ist». Ma qui Valla tiene ad elencare minuzio-samente le variazioni sul concetto di persona. Che può indicare, riferita a uomo o dio, qualitas («quaero, qua-mobrem ea non sit qualitas, sive de homine loquimur, sive de deo?»), maschera teatrale39, e i molti aspetti di-versi o le relazioni pertinenti ad un determinato indivi-duo40. Dunque, vi sono più persone in un solo individuo, e persona non può denotare substantia, bensì qualitas («Quo fit, ut adsit mihi multiplex persona, ac diversa, sed una tantum substantia»41).

Si tratterebbe allora di definire il concetto di qua-litas. Questa si identificherebbe in Valla con «attributi o proprietà essenziali» senza le quali la sostanza non potrebbe sussistere. Ora, egli ben sa che i Padri greci fecero uso, per le relazioni trinitarie, dei termini prÒ-swpa e Øpost£seij (personae e substantiae), e i primi

39 «Nam in homine quidem persona significat qualitatem, qua

alius ab alio differimus, tum in animo, tum in corpore, tum in extra positis, quae a rhetoricis enumerantur in attributis personae. Animi, ut quo studio se exerceat, medicinae, an iuris civilis, an militiae. Et qua mente: iracundus, an moderatus: avarus, an liberalis. Corporis: iuve-nis, an senex: pulcher, an deformis: fortis, an imbecillis: mas, an foemina» (Ibidem).

40 «Extra positorum: dives, an pauper: clarus, an obscurus: maritus, an coelebs: parens liberorum, an orbus: & similia. Ideoque figurae, & sig-illa quaedam, quae rostris aut alia corporis parte aquam fontanam emittunt, quia repraesentant varios hominum vultus, & gestus, personae dicuntur» (Ibidem).

41 Ibid., p. 115.

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scrittori cristiani si avvalsero anche del termine oÙs…ai (naturae)42. E così Valla, al seguito di Girolamo, Tertul-liano e Agostino, si muove su queste stesse piste lessi-cali e ne deduce una sua posizione terminologico-concettuale: in Dio c’è una sola essenza divina e tre proprietà o qualità, qualità che alcuni definiscono per-sonae43.

Dunque, le tre personae divine si distinguerebbero per mezzo della qualitas: ossia, per mezzo delle carat-teristiche proprie, individuanti, di ognuna di Esse44. Ma se questa è la conclusione a cui giunge Valla – ed è conclusione in evidente direzione anti-aristotelica e an-ti-boeziana –, è del tutto stravagante, sostiene Fois, l’uso che ne faranno, pochi decenni dopo, gli antitrinitari cinquecenteschi, e soprattutto Serveto e i Socini, che si riferirono al cap. 34 delle Elegantiae e trascurarono le Dialecticae Disputationes. E se così è, e sembra che così sia, non appare del tutto peregrina l’osservazione dello stesso Fois. Che denuncia una distorsione intenzio-nale ed evidente degli attori in campo in questo delicato gioco ermeneutico: gli antitrinitari leggerebbero in modo

42 È lo stesso termine (ÐmooÚsioj / consubstantialis) impiegato

dal Concilio di Nicea per denotare la “stessa sostanza” tra il Padre e il Figlio. Ed è la definizione confluita nel Credo niceno. Dunque, una chiara presa di posizione contro le dottrine di Ario, che riteneva “¢nÒmoioj” (dissimile) il Padre dal Figlio. Il termine “ÐmoioÚsioj”, invece, utilizzato da Eusebio di Cesarea, ne voleva dire la sola “somi-glianza”.

43 «Quanquam Boëthius ipse viderit, quomodo persona est subs-tantia. Sunt autem in deo tres personae, non tres substantias illi adesse intelligamus: praesertim quod neque ulla vox meram substantiam significat, neque ulla res est mera substantia, ut in eodem nostro opere os-tendimus» (In Boëthium de Persona, p. 115).

44 «Sed substantia quidem una, eaque communis omnibus; quali-tas vero atque actio propria singulorum» (L. Valla, Codice Urbinate Latino, 68r).

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“scolastico”, e dunque un po’ arbitrario, un Valla “anti-scolastico” e “anti-boeziano” e ne trarrebbero conseguen-ze indebite45.

L’annotazione metodologica appare pertinente. E lo abbiamo potuto costatare seguendo Valla nel suo itinerario anti-boeziano e anti-neoscolastico. Sta di fat-to, però, che così scrisse Valla e così interpretarono gli antitrinitari (e gli anabattisti). E con quella lettura, di certo simpatetica con Valla46, essi aprirono un dibattito vivace e ricco che impetuosamente attraversò tutto il pa-norama frastagliatissimo del Cinquecento italiano ed europeo. Un dibattito poi sopito, come noto, nel fuoco e nelle tribolazioni dell’Inquisizione romana e, ahimè, an-che grazie alla leva politica della “predestinazione” cal-vinista. E la fine tragica di Serveto, brillante e inquieto medico e teologo, anti-boeziano e anti-scolastico, ne fu testimonianza impietosa.

45 Così Fois: «Non si va (…) lontani dalla verità, se si pensa che

questi antitrinitari lessero con occhi scolastici i termini di un antisco-lastico e antiboeziano» [M. Fois S.J., op. cit., p. 544 (c.m.)]. Per quanto concerne le vicende qui affrontate, sempre prezioso è il Cantimori (1939), Eretici italiani del Cinquecento, Torino, Einaudi, 2002.

46 Questa linearità Valla-antitrinitari (e soprattutto Serveto) è resa esplicita da Fois e da Cantimori. Non così Prosperi, perplesso sulla docu-mentazione non rinvenuta: cfr. A. Prosperi, Introduzione a R.H. Bainton, Vita e morte di Michele Serveto, Roma, Campo dei Fiori, 2012, p. XX.

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S. Castellion, De haereticis an sint persequendi Argentorati, 1610 (ma 1554)