Deducibilità Fiscale delle Perdite sui Crediti - Studio Legale Pandolfini Assistenza Legale Imprese

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Servizi di Assistenza Legale alle Imprese dello Studio Legale Pandolfini: La Deducibilità Fiscale delle Perdite sui Crediti

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La deducibilità fiscale delle perdite su crediti

SOMMARIO: 1. Premessa. 2. La deducibilità fiscale delle perdite definitive su crediti. 2.1. Perdite su crediti derivanti da processo valutativo. 2.2. Perdite su crediti derivanti da atti realizzativi. 2.3 Crediti di modesto importo. 2.4 Procedure concorsuali. 2.5. Perdite su crediti esteri. 3. Svalutazione dei crediti. 4. Recupero dell’IVA.

1. Premessa

La situazione di crisi economica che interessa l’economia globale e quindi direttamente anche le imprese, rende ancor più attuale l’argomento della deducibilità fiscale delle perdite sui crediti, ovvero della possibilità per le imprese di dedurre il relativo costo. La problematica in oggetto si pone sotto un doppio profilo:

il primo è di tipo reddituale,con riferimento alla possibile rilevazione di perdite su crediti deducibili dal punto di vista fiscale;

il secondo è relativo all’IVA, e cioè attiene alla possibilità di recuperare l’imposta addebitata e versata sulle fatture dalle quali scaturiscono i crediti in sofferenza.

In questo breve contributo riassumeremo gli aspetti essenziali di tali tematiche, segnalando che lo Studio è a completa disposizione per un esame più approfondito delle singole situazioni.

2. La deducibilità fiscale delle perdite definitive su crediti La discrezionalità che caratterizza le vicende che interessano i crediti, sia in fase di valutazione che di gestione e realizzo, ha indotto il legislatore tributario a introdurre disposizioni specifiche che disciplinano il trattamento fiscale dei componenti negativi che ne scaturiscono. Tali disposizioni sono contenute negli artt. 101, comma 5, e 106 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi, di seguito TUIR), che trovano la loro ratio nell’esigenza di introdurre maggiori condizioni di certezza nella determinazione del reddito imponibile, in un ambito caratterizzato da forti elementi di opinabilità. Le due norme introducono dei criteri ad hoc per regolare le modalità con cui gli oneri derivanti dalla gestione dei crediti commerciali (che derivano cioè da cessioni di beni e prestazioni di servizi di cui all’art. 85, comma 1,del TUIR) devono concorrere al reddito ai fini fiscali. Tali norme si applicano a due distinte ipotesi, a seconda che la perdita sul credito possa ritenersi “definitiva” - cioè si possa escludere l’eventualità che in futuro il creditore riesca a recuperare, in tutto o in parte,

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il credito), o “potenziale” – cioè sia possibile ritenere che l’inesigibilità del credito rappresenti una condizione solo temporanea, non sussistendo i requisiti di “definitività” della perdita. In particolare:

l’art. 101, comma 5, del TUIR indica i requisiti di natura probatoria al ricorrere dei quali sono deducibili, senza limiti, gli oneri derivanti dalla mancata esigibilità di crediti, o di parte di essi, divenuta “definitiva”;

l’art. 106 del TUIR stabilisce una misura forfettaria di deducibilità degli oneri derivanti dalla inesigibilità dei crediti che, se pur probabile, si presenta ancora come “potenziale”.

Il legislatore prevede quindi due meccanismi di deducibilità diversi a seconda del grado di certezza del componente negativo, analitico in caso di inesigibilità “definitiva” e forfettario in caso di inesigibilità “potenziale”, meccanismi che, in entrambi i casi, possono comportare il mancato riconoscimento, o il riconoscimento solo parziale, delle risultanze contabili. La deducibilità fiscale degli oneri derivanti dalla inesigibilità definitiva dei crediti è disciplinata, in via generale, dalla prima parte del comma 5 dell’art. 101 del TUIR, secondo il quale “le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso, per le perdite su crediti, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali o ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”. Tale norma prevede quindi che le perdite su crediti sono deducibili solo se:

risultano da elementi certi e precisi;

il debitore è assoggettato a procedure concorsuali.

Giusto il disposto dell’art. 106, comma 2, del TUIR, le perdite sui crediti sono deducibili, con riferimento al valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi, limitatamente alla parte che eccede l’ammontare dell’eventuale relativo fondo svalutazione presente in bilancio. Prima di imputare a conto economico una perdita su crediti, è dunque necessario utilizzare il relativo fondo svalutazione, laddove sia stato stanziato, fino ad esaurimento dello stesso. Secondo l’indirizzo prevalente in giurisprudenza, le perdite su crediti devono essere integralmente dedotte nell’esercizio di competenza, intendendosi per tale quello in cui si manifestano per la prima volta gli “elementi certi e precisi” dell’irrecuperabilità del credito; il creditore non può quindi scegliere l’esercizio più vantaggioso in cui operare la deduzione, considerato che la legge fiscale prevede espressamente il principio di competenza. Il generico riferimento alla ricorrenza degli elementi certi e precisi implica la necessità di ricorrere ad una valutazione caso per caso della idoneità di tali elementi a dimostrare la definitività della perdita, tenendo conto dello specifico contesto in cui la stessa è maturata. Tuttavia, sulla base

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della prassi e delle posizioni espresse dalla giurisprudenza, è possibile ricostruire alcune linee guida per individuare quando si è in presenza o meno di tali condizioni di deducibilità. A tal fine, è opportuno distinguere tra le perdite determinate tramite un processo valutativo interno e le perdite originatesi a seguito di un atto realizzativo. 2.1 Perdite su crediti derivanti da processo valutativo Con riferimento alle perdite su crediti determinate internamente, attraverso un procedimento di stima, la “definitività” della perdita può essere verificata solo in presenza di una situazione oggettiva di insolvenza non temporanea del debitore, riscontrabile qualora la situazione di illiquidità finanziaria ed incapienza patrimoniale del debitore sia tale da fare escludere la possibilità di un soddisfacimento della posizione creditoria. Tale situazione può senz’altro essere verificata in presenza di un decreto accertante lo stato di fuga, di latitanza o di irreperibilità del debitore, ovvero in caso di denuncia di furto d’identità da parte del debitore ex articolo 494 c.p. o nell’ipotesi di persistente assenza del debitore ai sensi dell’articolo 49 c.c. Al di fuori di tali ipotesi, possono considerarsi come sufficienti elementi di prova ai fini della deducibilità della perdita, tutti i documenti attestanti l’esito negativo di azioni esecutive attivate dal creditore (ad esempio, il verbale di pignoramento negativo), sempre che l’infruttuosità delle stesse risulti anche sulla base di una valutazione complessiva della situazione economica e patrimoniale del debitore, assoluta e definitiva. Un altro utile elemento di prova, a corredo di ripetuti tentativi di recupero senza esito, può essere rappresentato dalla documentazione idonea a dimostrare che il debitore si trovi nell’impossibilità di adempiere per un’oggettiva situazione di illiquidità finanziaria ed incapienza patrimoniale e che, pertanto, è sconsigliata l’instaurazione di procedure esecutive. Tale documentazione consiste, in particolare:

nell’infruttuoso invio di diffide ed intimazioni ad adempiere;

nell’avvenuto protesto dei titoli;

nello stato di irreperibilità accertata del debitore;

nel verbale di pignoramento negativo o di esito infruttuoso delle aste del pignorato;

nella dichiarazione di rinunzia all’eredità da parte degli eredi del debitore defunto;

nei casi di truffa dichiarata e conclamata. Qualora il creditore-imprenditore valuti eccessivamente oneroso attivare una procedura esecutiva per il recupero di un credito, rispetto all’entità dello stesso (da intendersi nel senso che le spese legali superano l’ammontare recuperabile del credito stesso e non si palesano recuperabili), sarà, pertanto, legittimato a portare in deduzione dal reddito la conseguente perdita. L’Amministrazione Finanziaria ha, tuttavia, precisato che l’accertamento di tale carattere va condotto con riferimento alle specifiche condizioni in cui l’operazione si concretizza, allo scopo di verificare che la stessa realizzi effettivamente una scelta di convenienza per l’impresa.

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E’ dunque fondamentale il poter fornire la prova dell’esistenza di un evento oggettivo che dimostri l’insolvibilità del debitore, ovvero la certezza della perdita. In tal senso, è opportuna la conservazione di idonea documentazione consistente:

nelle lettere di sollecito e di intimazione ad adempiere inviate dal creditore e/o dal legale di quest’ultimo;

in un parere scritto, da parte del legale, che, all’esito di un’analisi effettuata caso per caso circa la situazione del singolo debitore, sconsigli l’adozione di azioni legali le quali determinerebbero soltanto costi senza concrete speranze di soddisfacimento del credito

2.2 Perdite su crediti derivanti da atti realizzativi Nel caso di perdite derivanti non da un processo di valutazione ma da atti di natura realizzativa – ovvero che producono il realizzo o l’estinzione del credito – è possibile verificare la deducibilità della perdita anche alla luce degli effetti che tale atto o evento producono. In particolare, gli atti realizzativi idonei a produrre una perdita assoggettabile all’art. 101, comma 5, del TUIR sono i seguenti:

cessione del credito che comporta la fuoriuscita, a titolo definitivo, del credito dalla sfera giuridica, patrimoniale ed economica del creditore;

transazione con il debitore che comporta la riduzione definitiva del debito o degli interessi originariamente stabiliti quando motivata dalle difficoltà finanziarie del debitore stesso (se invece l’origine della transazione è differente, ad esempio deriva da una lite sulla fornitura, il relativo onere non costituisce una perdita su crediti ma una sopravvenienza passiva);

atto di rinuncia al credito. Premesso che anche in caso di atti realizzativi la deducibilità di una perdita su crediti deve essere valutata caso per caso e supportata da elementi probatori volti alla dimostrazione della definitiva inesigibilità del credito, è possibile individuare alcuni elementi in presenza dei quali tale dimostrazione può dirsi verificata. Con riguardo all’ipotesi di cessione del credito, si verificano i requisiti di deducibilità della perdita richiesti dall’art. 101, comma 5, del TUIR quando il credito è ceduto a banche o altri intermediari finanziari vigilati, residenti in Italia o in Paesi che consentano un adeguato scambio di informazioni, che risultano indipendenti (ai sensi dell’art. 2359 c.c.) rispetto al soggetto cedente ed al soggetto ceduto. Inoltre, una perdita è deducibile se di ammontare non superiore alle spese che sarebbero state sostenute per il recupero del relativo credito, sempre che il creditore abbia esperito almeno un tentativo di recupero del credito (raccomandata di sollecito etc.). Al fine di verificare tale condizione, occorre che il soggetto cedente dimostri in modo oggettivo il costo che avrebbe sostenuto per il recupero del credito (prezzi mediamente praticati sul mercato per l’attività di recupero di crediti della stessa natura), tenuto anche conto dei costi di gestione interni (se desumibili dalla contabilità aziendale) oltre che dei tempi per la riscossione. Occorre inoltre considerare che l'art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, introdotto dal D.lgs. n. 358/1997, ha riconosciuto all'Amministrazione finanziaria il potere di disconoscere i vantaggi tributari conseguiti in operazioni di cessioni di crediti poste in essere senza valide ragioni economiche allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio d'imposta. Può quindi essere ritenuta elusiva la cessione pro soluto di un credito effettuata da un cedente che non necessita di liquidità, per un valore di cessione marcatamente inferiore al valore nominale del titolo

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sottoscritto dal debitore con alto grado di solvibilità, ad un cessionario che gode di esenzioni fiscali o che chiude l'esercizio in perdita. Per evitare che i vantaggi tributari derivanti da un’operazione di cessione possano essere disconosciuti in quanto ritenuti elusivi, è quindi opportuno:

effettuare tale operazioni solo quando sussistano valide ragioni economiche, sia per il cedente (sotto forma immediato incasso di un corrispettivo, pur modesto, e di risparmio di costi da sostenere per acquisire in altro modo gli elementi certi e precisi per la deducibilità delle perdite su crediti) che per il cessionario (sotto forma di conseguimento di un realizzo positivo, derivante dalla differenza tra il prezzo della cessione e l’importo recuperato dei crediti ceduti); in particolare, è opportuno che vengano ceduti solo crediti di difficile o dubbia esigibilità (ad esempio, di importo relativamente basso e/o frazionato, o nei confronti di debitori esteri), e che tale situazione sia debitamente documentata, anche attraverso il parere di un legale;

cedere i crediti ad un soggetto, intermediario finanziario autorizzato e operante professionalmente nel settore (società di factoring), non avente alcun rapporto commerciale con il cedente;

cedere i crediti non a titolo gratuito bensì a titolo oneroso, pur se ad un prezzo relativamente esiguo (data la difficile recuperabilità dei crediti).

Dal punto di vista fiscale, l’impresa attraverso la cessione del credito pro soluto può:

portare a costo, nel conto economico, l’importo derivante dalla differenza tra valore nominale del credito e corrispettivo di realizzo, tenuto conto dell’esistente fondo svalutazione crediti;

ridurre il reddito d’esercizio dell’impresa cedente o aumentare la perdita d’esercizio a seconda se, prima dell’operazione di cessione di credito, l’impresa stessa “chiudeva” con un risultato reddituale positivo o negativo.

Per quanto concerne la transazione con il debitore, si verificano le condizioni di deducibilità della perdita ai sensi dell’art. 101, comma 5, del TUIR quando il creditore e il debitore non sono parte dello stesso gruppo e la difficoltà finanziaria del debitore risulta documentata (ad esempio, dall’istanza di ristrutturazione presentata dal debitore oppure dalla presenza di debiti insoluti anche verso terzi). Anche in caso di transazione, inoltre, la perdita su crediti può essere giustificata sotto il profilo della convenienza economica, allo stesso modo ed in presenza delle stesse condizioni che sono state previste in caso di cessione del credito. Nel caso di rinuncia o remissione del debito, invece, sebbene si sia in presenza dell’estinzione giuridica del credito in capo al creditore, nonché dell’esclusione di ogni futuro effetto economico - patrimoniale del credito in capo al medesimo, la perdita rilevata deriva da un atto unilaterale e può pertanto rappresentare un atto di liberalità indeducibile ai fini fiscali. Conseguentemente, la deducibilità ai sensi dell’art. 101, comma 5, del TUIR di una perdita evidenziata a seguito di un atto formale di remissione o di rinuncia al credito può essere riconosciuta solo se la stessa risulti inerente all’attività d’impresa (e non appaia quindi come una liberalità). Tale inerenza può ritenersi verificata, in linea di principio, se sono dimostrate le ragioni di inconsistenza patrimoniale del debitore o di inopportunità della azioni esecutive.

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Lo “stralcio” di crediti inesigibili attraverso la rinunzia al credito dovrà quindi essere accompagnato dalla conservazione della documentazione comprovante:

I tentativi infruttuosi di recupero del credito (sia pure solo stragiudiziale), come ad es. la spedizione di solleciti ed intimazioni di pagamento tramite raccomandata, il carteggio con il legale cui si è dato mandato per il recupero del credito;

il parere (documentato) del legale che sconsigli di intraprendere eventuali azioni, in rapporto al costo delle stesse rispetto agli incerti esiti.

2.3. Crediti di modesto importo In ordine ai crediti di modesto importo è intervenuta una recente e rilevante modifica legislativa.

La L. n. 134 del 7 agosto 2012, che ha convertito il D.L. n. 83/2012 (c.d. “Decreto Sviluppo”), ha

infatti stabilito che, a partire dal periodo d’imposta 2012, possono essere dedotte in ogni caso le

perdite su crediti qualora sussistano entrambe le seguenti condizioni:

devono essere decorsi 6 mesi dalla scadenza del pagamento del credito;

il credito deve essere di importo inferiore a 5.000,00 Euro per le imprese “di più rilevante

dimensione”, e inferiore a 2.500,00 Euro per le altre imprese.

In base all’art. 27, comma 10, del D.L. n. 185/2008, le imprese si considerano “di più rilevante

dimensione” quando conseguono un volume d’affari o ricavi superiori a 100 milioni di Euro.

La modesta entità va individuata considerando il valore nominale del credito e prescindendo da eventuali svalutazioni effettuate in sede contabile e fiscale. Laddove l’impresa sia subentrata nella titolarità del credito per effetto di atti traslativi, occorre far riferimento al corrispettivo riconosciuto in sede di acquisto del credito, essendo quest’ultimo il valore fiscalmente deducibile come perdita ai sensi dell’art. 106, comma 2 del TUIR. La verifica del limite quantitativo della modesta entità deve essere effettuata considerando anche l’IVA oggetto di rivalsa nei confronti del debitore. Non assumono rilevanza, invece, gli interessi di mora e gli oneri accessori addebitati al debitore in caso di inadempimento, poiché fiscalmente deducibili in maniera autonoma rispetto al valore del credito. L’individuazione della modesta entità del credito assume connotati particolari nel caso in cui esistano più posizioni creditorie nei confronti del medesimo soggetto debitore. Al riguardo, l’agenzia delle Entrate ha precisato che la verifica del limite quantitativo (2.500 Euro o 5.000 Euro se l’impresa è di più rilevanti dimensioni) deve essere effettuata in relazione al singolo credito corrispondente ad ogni obbligazione posta in essere dalle controparti, indipendentemente dalla circostanza che, in relazione al medesimo debitore, sussistano al termine del periodo d’imposta più posizioni creditorie. Ciò in presenza di obbligazioni riconducibili a rapporti giuridici autonomi e non anche nella diversa ipotesi in cui l’obbligazione derivi da un rapporto giuridico unitario tra le controparti (come, ad esempio, nei contratti di somministrazione o nei premi ricorrenti di una polizza assicurativa).

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Ad esempio, se un’impresa di rilevanti dimensioni al termine del periodo d’imposta vanta nei confronti di un medesimo debitore due crediti scaduti da almeno sei mesi con un valore nominale pari a 3.000 Euro e 4.000 Euro, la verifica del limite quantitativo per singolo credito consente di rispettare, per entrambi i crediti, il requisito della modesta entità.

La L. n. 134/2012 ha inoltre stabilito che possono essere sempre dedotte le perdite relative a

crediti prescritti, di qualunque importo.

2.4. Procedure concorsuali La seconda ipotesi di deducibilità prevista dal TUIR si verifica quando il debitore sia assoggettato a procedure concorsuali, ovvero a fallimento, liquidazione coatta amministrativa, concordato fallimentare o concordato preventivo, oppure quando sia stato concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182-bis L. fall. L’art. 101, comma 5 del TUIR dispone che le perdite crediti sono automaticamente deducibili, senza necessità per il creditore di produrre ulteriore documentazione comprovante la definitività della perdita, quando il soggetto debitore è sottoposto a procedure concorsuali. In tal caso vige infatti una presunzione assoluta di certezza della perdita, in quanto l’impresa può dedurre automaticamente la perdita su crediti. In caso di procedure concorsuali il legislatore considera integrati i requisiti di deducibilità “dalla data” della sentenza o del provvedimento di ammissione alla specifica procedura o del decreto di omologa dell’accordo di ristrutturazione. Pertanto, una volta aperta la procedura, l’individuazione dell’anno in cui dedurre la perdita su crediti avviene secondo le ordinarie regole di competenza. 2.5. Perdite su crediti esteri Le perdite realizzate su crediti esteri non trovano nel nostro ordinamento una disciplina peculiare e pertanto ricadono nell’ambito di applicabilità dell’art. 101, comma 5 del TUIR. Quando la perdita deriva dall’inesigibilità di crediti vantati nei confronti di soggetti esteri, l’assolvimento dell’onere probatorio posto a carico del contribuente può essere molto gravoso poiché non sempre gli ordinamenti stranieri prevedono strumenti effettivi che consentono il recupero del credito vantato da un soggetto estero. L’Agenzia delle Entrate ha tuttavia chiarito che, al fine di attribuire carattere di definitività e certezza alla perdita realizzata su crediti esteri, è sufficiente che l’inesigibilità del credito risulti da apposita dichiarazione emessa dalla SACE S.p.A. (società per i Servizi Assicurativi del Commercio Estero posseduta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze) per i crediti da essa garantiti: la dichiarazione di insolvenza del debitore estero emessa dalla SACE può, infatti, costituire idonea documentazione ai fini della deducibilità della perdita su crediti esteri dal reddito d’impresa. L’orientamento espresso dagli Uffici Finanziari è stato successivamente confermato dalla Corte di Cassazione, la quale ha precisato che non è necessario che il creditore fornisca la prova di essersi positivamente attivato per conseguire una dichiarazione giudiziale di insolvenza del debitore, essendo sufficiente che le perdite risultino documentate in modo certo e preciso.

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Se i soggetti esteri debitori sono residenti o localizzati in Paesi a regime fiscale privilegiato, la deducibilità delle perdite su crediti è altresì subordinata, oltre che alla sussistenza degli elementi di cui sopra, anche alla dimostrazione dell’effettiva attività commerciale del debitore oppure all’effettivo interesse economico e alla concreta esecuzione dell’operazione, in applicazione dei commi 10 e 11 dell’ art. 111 TUIR.

4. La svalutazione dei crediti Il comma 1 dell’art. 106 dispone che “le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, per l’importo non coperto da garanzia assicurativa, che derivano dalle cessioni di beni e dalle prestazioni di servizi indicate nel comma 1 dell'articolo 85, sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,50 per cento del valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi. Nel computo del limite si tiene conto anche di accantonamenti per rischi su crediti. La deduzione non è più ammessa quando l’ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti ha raggiunto il 5 per cento del valore nominale o di acquisizione dei crediti risultanti in bilancio alla fine dell’esercizio” Pertanto, in ciascun esercizio sono deducibili le svalutazioni dei crediti e gli accantonamenti al fondo svalutazione crediti nella misura dello 0,50% del valore nominale o di acquisizione dei crediti risultanti in bilancio, per l’importo non coperto da garanzia assicurativa, che derivano da cessione di beni e dalle prestazioni di servizi che hanno dato origine ai ricavi dell’impresa. Il totale delle svalutazioni e degli accantonamenti dedotti non deve superare il 5% del valore nominale o di acquisizione dei crediti risultanti in bilancio. In definitiva, la svalutazione fiscalmente ammessa dal comma 1 dell’art. 106 del TUIR si determina secondo un criterio forfettario riferito all’insieme dei crediti iscritti in bilancio, senza alcuna indagine sul grado di esigibilità di ciascuno di essi; per effetto della forfetizzazione ivi prevista, la norma determina la configurazione di un “fondo fiscale” formato da tutte le svalutazioni e gli accantonamenti dedotti ai sensi dell’art. 106 del TUIR. Il medesimo comma 2 dell’art. 106 del TUIR stabilisce, inoltre, che “le perdite sui crediti di cui al comma 1, determinate con riferimento al valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi, sono deducibili a norma dell'articolo 101, limitatamente alla parte che eccede l'ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti dedotti nei precedenti esercizi.” Da ciò discende che il fondo fiscale di cui sopra deve essere utilizzato, in via preliminare, al verificarsi di perdite su crediti che presentano i requisiti di deducibilità di cui all’articolo 101, comma 5, del TUIR. Queste, pertanto, riducono il reddito imponibile dell’esercizio in cui sono rilevate solo per la parte che eccede l’ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti dedotti nei precedenti esercizi. Tale disposizione individua espressamente un criterio di imputazione, riferendo l’utilizzo del fondo in via prioritaria alla parte dello stesso che ha già avuto rilevanza fiscale. In altri termini, in un esercizio la perdita realizzata va prioritariamente imputata al fondo, in quanto capiente, e la determinazione della quota fiscalmente deducibile delle svalutazioni dell’esercizio, così come la valutazione dell’eventuale eccedenza imponibile rispetto alla soglia globale del 5%, deve essere calcolata sull’ammontare dei crediti al netto della perdita. Inoltre, la stessa disposizione prevede che le perdite su crediti devono essere determinate con riferimento al valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi.

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Il comma 5 dell’art. 106 del TUIR dispone infine che “le perdite sui crediti di cui al comma 3 e di cui al comma 3-bis, determinate con riferimento al valore di bilancio dei crediti, sono deducibili, ai sensi dell'articolo 101, limitatamente alla parte che eccede l'ammontare dell'accantonamento per rischi su crediti dedotto nei precedenti esercizi”. Le perdite su crediti, quindi, se presentano i requisiti dei cui all’art. 101, comma 5, del TUIR, sono deducibili solo per la parte che eccede l’ammontare degli accantonamenti per rischi su crediti dedotto nei precedenti esercizi.

4. Recupero dell’IVA L’art. 26 DPR n. 633/72 prevede la possibilità, per la parte che ha emesso e registrato la fattura di vendita o prestazione di servizi, di emettere nota di credito con conseguente recupero dell’IVA anticipatamente versata all’Erario.

La disposizione non è applicabile per le operazioni effettuate senza emissione della fattura dai soggetti di cui all’art. 22/633, i cui incassi vengono globalmente annotati nel registro dei corrispettivi. La detrazione potrà essere effettuata fino al termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa al 2° anno successivo a quello in cui si verifica il presupposto per l’effettuazione della variazione in diminuzione. La nota di credito ha validità ai soli fini IVAe non comporta la rinuncia al credito. Nel caso poi, in un secondo tempo, si incassi tutto o in parte tale credito, sarà necessario emettere nota di variazione per restituire l’IVA recuperata.

Nel caso di accordo transattivo con il debitore, l’IVA sulla parte del credito originario non incassabile ed oggetto di transazione può essere detratta solo se non sia trascorso oltre un anno dal momento di effettuazione dell’operazione originaria. La transazione dovrà essere comprovata dalla sottoscrizione per reciproca accettazione tra le parti della proposta transattiva e la variazione IVA dall’emissione, da parte del creditore, di apposita nota di variazione ex art.26 DPR n.633/72. Per altre situazioni (procedure concorsuali, procedure esecutive infruttuose, accordi contrattuali previsti fin dal contratto originario) la normativa vigente prevede che in caso di mancato pagamento di una o più fatture, in tutto o in parte, il cedente del bene/prestatore di servizi ha diritto di operare una variazione in diminuzione dell’IVA tramite l’emissione di una nota di credito (art.26, co. 2, DPR n.633/72). A tal fine, è necessario che l’operazione che ha originato il credito sia stata documentata tramite fattura, e che, nel caso di procedure concorsuali, il creditore abbia partecipato alla procedura(quindi nel caso di fallimento è richiesta l’insinuazione nel passivo fallimentare). La nota di variazione può essere emessa quando il creditore ha “giuridica certezza” dell’irrecuperabilità del credito. Tale momento si identifica, nelle procedure esecutive, nella data del verbale dell’ufficiale giudiziario che attesti l’insussistenza o l’insufficienza dei beni da assoggettare ad esecuzione forzata. Nelle procedure concorsuali, la “giuridica certezza” si acquisisce invece momenti differenti a seconda delle specifiche caratteristiche di ciascuna di esse:

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a) in caso di fallimento, alla scadenza dei termini per proporre reclamo avverso il decreto di chiusura del fallimento ovvero per proporre osservazioni al decreto ove il giudice rende esecutivo il piano di riparto;

b) in caso di concordato preventivo, alla data della sentenza di omologazione e successivo adempimento del debitore agli obblighi assunti in sede concordataria;

c) in caso di concordato fallimentare, alla data di passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato.

Milano, agosto 2013

Avv. Valerio Pandolfini

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