Declino Tendenziale Del Saggio Di Profitto Di Riccardo Achilli

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Il declino tendenziale del saggio di profitto, di Riccardo Achilli bentornatabandierarossa.blogspot.it /2012/11/il-declino-tendenziale-del-saggio-di.html L’illustrazione di Marx Il tema della legge marxiana della caduta tendenziale del saggio di profitto è, non a caso, insieme alla questione della trasformazione dei valori in prezzi, il più dibattuto e controverso della teoria del grande pensatore di Treviri. Non è un caso: dall'accettazione o confutazione di tale legge discende l'accettazione o confutazione dell'idea di una estinzione del capitalismo per via della sua stessa contraddizione interna fondamentale, ovvero la declinante capacità di valorizzare il capitale investito, fatto salvo, ovviamente, l’indiscutibile argomento per cui il capitalismo terminerà soltanto quando sorgerà la classe sociale che lo abbatterà. Nei termini più semplificati possibili, Marx afferma che l'incremento continuo di investimento in macchinari e strumenti di produzione, mirato ad accrescere la produttività del lavoro, produce una tendenza alla caduta del tasso di profitto, anche quando ciò accresce il saggio del plusvalore. L'effetto depressivo derivante dall'incremento del capitale costante, infatti, più che compensa l'aumento del plusvalore. Formalmente: - sia q la composizione organica del capitale, ovvero q = Cc/Cv, dove Cc è il capitale costante, ovvero il valore-lavoro (lavoro morto) incorporato nella massa di macchinari e strumenti per la produzione, e Cv è il capitale variabile, ovvero il valore-lavoro necessario per la riproduzione della forza-lavoro (approssimabile con il monte-salari); - sia s il saggio del plusvalore, ovvero s = Pv/Cv, dove Pv è il plusvalore estratto dal capitalista; - sia p il saggio di profitto, ovvero p = Pv/(Cc + Cv). Se dividiamo numeratore e denominatore del saggio di profitto per Cv, otteniamo: p = s/(q + 1) Pertanto, un incremento della composizione organica del capitale q, derivante da un investimento in nuovi macchinari di produzione, se superiore al conseguente incremento del saggio di plusvalore s, associato alla maggiore produttività dovuta al migliore equipaggiamento tecnico di produzione, comporta evidentemente una riduzione del valore del saggio di profitto p. Tuttavia lo stesso Marx circonda di notevole circospezione tale legge, onde evitare irrealistici meccanicismi. Nel libro III del Capitale, infatti, viene detto che tale legge rappresenta una tendenza generale, cioè di lungo periodo, mentre nel breve operano “fattori contrastanti”, ed in particolare Marx ne cita sei (un più intenso sfruttamento del lavoro, che fa crescere oltremodo s, la riduzione dei salari al di sotto del valore di riproduzione della forza-lavoro, la riduzione del valore di elementi di capitale costante, una crescita dell'esercito industriale di riserva, il commercio estero, che può ridurre il costo degli input produttivi, l'aumento della condivisione del capitale, che ne trasferisce il costo su altri soggetti).

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Economia

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  • Il declino tendenziale del saggio di profitto, diRiccardo Achilli

    bentornatabandierarossa.blogspot.it /2012/11/il-declino-tendenziale-del-saggio-di.html

    Lillustrazione di Marx

    Il tema della legge marxiana dellacaduta tendenziale del saggio diprofitto , non a caso, insieme allaquestione della trasformazione deivalori in prezzi, il pi dibattuto econtroverso della teoria del grandepensatore di Treviri. Non uncaso: dall'accettazione oconfutazione di tale leggediscende l'accettazione oconfutazione dell'idea di unaestinzione del capitalismo per viadella sua stessa contraddizioneinterna fondamentale, ovvero la declinante capacit di valorizzare il capitale investito, fatto salvo,ovviamente, lindiscutibile argomento per cui il capitalismo terminer soltanto quando sorger la classesociale che lo abbatter.Nei termini pi semplificati possibili, Marx afferma che l'incremento continuo di investimento inmacchinari e strumenti di produzione, mirato ad accrescere la produttivit del lavoro, produce unatendenza alla caduta del tasso di profitto, anche quando ci accresce il saggio del plusvalore. L'effettodepressivo derivante dall'incremento del capitale costante, infatti, pi che compensa l'aumento delplusvalore. Formalmente:- sia q la composizione organica del capitale, ovvero q = Cc/Cv, dove Cc il capitale costante,ovvero il valore-lavoro (lavoro morto) incorporato nella massa di macchinari e strumenti per laproduzione, e Cv il capitale variabile, ovvero il valore-lavoro necessario per la riproduzione dellaforza-lavoro (approssimabile con il monte-salari);- sia s il saggio del plusvalore, ovvero s = Pv/Cv, dove Pv il plusvalore estratto dal capitalista;- sia p il saggio di profitto, ovvero p = Pv/(Cc + Cv).Se dividiamo numeratore e denominatore del saggio di profitto per Cv, otteniamo:

    p = s/(q + 1)

    Pertanto, un incremento della composizione organica del capitale q, derivante da un investimento innuovi macchinari di produzione, se superiore al conseguente incremento del saggio di plusvalore s,associato alla maggiore produttivit dovuta al migliore equipaggiamento tecnico di produzione,comporta evidentemente una riduzione del valore del saggio di profitto p.Tuttavia lo stesso Marx circonda di notevole circospezione tale legge, onde evitare irrealisticimeccanicismi. Nel libro III del Capitale, infatti, viene detto che tale legge rappresenta una tendenzagenerale, cio di lungo periodo, mentre nel breve operano fattori contrastanti, ed in particolare Marxne cita sei (un pi intenso sfruttamento del lavoro, che fa crescere oltremodo s, la riduzione dei salari aldi sotto del valore di riproduzione della forza-lavoro, la riduzione del valore di elementi di capitalecostante, una crescita dell'esercito industriale di riserva, il commercio estero, che pu ridurre il costodegli input produttivi, l'aumento della condivisione del capitale, che ne trasferisce il costo su altrisoggetti).

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  • Nei sistemi capitalistici maturi: tendenziale declino del saggio di profitto nel lungo termine, esua tendenziale stabilit nel breve e medio termine

    In questo paragrafo, cercher di dimostrare che esiste, in linea con le previsioni di Marx, una tendenzadi lungo periodo del saggio di profitto a scendere. Tale tendenza viene frenata, e parzialmentecontrastata, ma solo nel breve e medio periodo, dalla struttura produttiva stessa del capitalismomaturo, ovvero dalle sue caratteristiche oligopolistiche e finanziarizzate.Purtroppo i dati statistici non aiutano: la ricostruzione omogenea dei profitti su serie storiche lunghe molto difficile, gli stessi risentono di artifici contabili e fiscali messi in opera dalle imprese, laricostruzione dello stock di capitale di un'economia nazionale presenta notevoli difficolt, lacomposizione settoriale dell'economia influisce esogenamente, e per lunghi periodi, sul valore delprofitto aggregato, ecc.L'esercizio condotto da Perri (2010), tramite i dati Ocse, sembrerebbe evidenziare una tendenza al calodel saggio di profitto lordo, fra gli anni Sessanta ed oggi, per Italia, USA e Giappone, mentre perFrancia e Germania l'andamento della curva inconclusivo. Peraltro, poich i salari sono a prezzicorrenti e non costanti, il decremento del saggio di profitto calcolato da Perri potrebbe dipendere da uneffetto inflazionistico sui salari. L'economista marxista Robert Brenner evidenzi, in modo molto pirobusto,a un calo del tasso di profitto netto statunitense fra 1948 e 1999, dovuto esclusivamente alcomparto manifatturiero, mentre il comparto non manifatturiero mostra un andamento stagnante deltasso di profitto (fig. 1). Per l'Italia, da una personale stima sui dati Istat, che utilizza il risultato lordo digestione come proxy del profitto, evidenzio che il saggio lordo di profitto deflazionato segue unandamento effettivamente decrescente, con il valore che passa dall'11,3% nel 1970 al 6,6% nel 2009(fig. 2). Ma tale discesa in parte alimentata da componenti del risultato lordo di gestione, come lerendite, che sono strutturalmente in calo (anche se incidono marginalmente). I dati statistici, quindi, sembrano supportare una tendenza di lungo periodo verso il calo tendenziale del tasso di profitto, ma evidente che il suo ritmo troppo lento per poter far pensare ad un crollo del capitalismo in un futuroprevedibile.

    Fig. 1 Andamento del saggio di profitto netto nel comparto manifatturiero e non manifatturiero ed extragricolo degli USA, 1948-1999

    Fonte: Robert Brenner, 2002

    Fig. 2 Andamento del tasso di profitto lordo inItalia nel periodo 1970-2009

    Fonte: mia elaborazione su dati Istat

    La conseguenza operativa di tali evidenze che il saggio di profitto declina, ma nel lungoperiodo, mentre occorre considerare, nel mediotermine, l'intuizione di Sweezy e della Mosszkowska relativa alla tendenza del saggio di profitto versola stagnazione, pi che verso la sua riduzione (ovviamente stiamo ragionando di medio periodo; nellungo periodo, levidenza statistica per la riduzione). Da un lato, infatti, l'incremento di produttivitconsentito dall'introduzione di innovazione tecnologica, e quindi dall'aumento di capitale costante,controbilancia la spinta a ridurre il tasso di profitto; dall'altro, l'aumento di produttivit pu anche ridurreil valore dei nuovi beni capitali introdotti, cosicch ad un aumento del volume fisico di capitale costantenon corrisponde sempre, automaticamente, un aumento del suo valore per unit di lavoro e diprodotto, e quindi della composizione organica del capitale (che per l'appunto in valore). Tali effetti moderano, anche se non eliminano, la tendenza verso la riduzione del tasso di profitto,rendendola molto lenta. Contrariamente all'opinione di una parte degli economisti marxisti, per cuil'attuale fase di oligopolizzazione e trustificazione dell'economia, avviatasi dagli anni Cinquanta,

  • porterebbe ad una accelerazione della caduta del saggio di profitto, in realt la concentrazioneoligopolistica del capitale ilrimedio contro la caduta del tassodi profitto perch, da un lato, comesottolineano Gillmann ePietranera, tale fase ha consentitodi ottenere innovazioni diprocesso a forte effettoincentivante sulla produttivit,economie di scala e rafforzamentodel potere contrattuale neiconfronti del lavoro e dei fornitoridi materie prime e semilavorati.D'altro lato, la trustificazione ha ridotto la concorrenza, stabilizzando il prezzo e quindi i profitti ed haportato, come sottolinea Sweezy, a curve di domanda tendenzialmente di tipo angolare, tipiche dimercati oligopolistici, nelle quali il prezzo si stabilizza ad un livello pari al costo pieno, con oscillazionipoco rilevanti, perch se l'impresa, in presenza di curva di domanda angolare, cerca di ridurresignificativamente il prezzo per aumentare la quota di mercato, viene immediatamente imitata daiconcorrenti, senza quindi riuscire ad aumentare la sua quantit venduta. Se invece aumentasse ilprezzo al di sopra del costo pieno in misura consistente, perderebbe immediatamente il suo mercato.In tale situazione, poich il prezzo di equilibrio basato sul principio del costo pieno, nel breve emedio periodo il profitto tende a stabilizzarsi, a smorzare la sua caduta, poich fissato come mark-updel prezzo. Quindi, poich il prezzo non pu aumentare per via della curva di domanda ad angolo, laconcorrenza oligopolistica si sposta sempre pi sulla qualit finale del prodotto e sul controllo dei costidi produzione interni in rapporto alla produttivit.Tali fattori, sempre nellimmediato, tendono a stabilizzare, se non ad accrescere, il profitto complessivodel sistema produttivo, poich la maggiore qualit giustifica una parziale uscita dalla condizione diangolarit della curva di domanda, aumentando il prezzo senza necessariamente pregiudicare ilprofitto delle imprese concorrenti (perch l'impresa che fa qualit si sposta su una nicchia di mercatonon concorrenziale, un po' come la Mercedes che non fa concorrenza diretta alle berline della FIAT,perch i segmenti di consumatori sono diversi). D'altro canto, una riduzione dei costi di produzioneinterni rispetto alla produttivit dei fattori consente di ottenere maggiori profitti a parit di fatturato e diquota di mercato, anche in questo caso, quindi, senza pregiudicare il profitto dei concorrenti.

    Fig.3 curva di domanda concorrenziale ed oligopolistica (angolare)

    Infine, l'oligopolizzazione dellestrutture produttive e di mercato alla base della finanziarizzazionecrescente del capitalismo che, apartire dagli anni Ottanta,contrasta il declino del saggio diprofitto, tramite la realizzazione diprofitto fittizio sui mercatifinanziari. Infatti, la levafondamentale per lo sviluppo dellafinanziarizzazione data propriodalla rendita da oligopolista,ovvero l'extra-profitto ottenibile dal maggiore potere di mercato e dalla riduzione della concorrenza chel'oligopolista spunta, rispetto ad una condizione di concorrenza perfetta. Inoltre le crescenti

  • interrelazioni azionarie fra imprese industriali e banche, innescate dai processi di crescitadimensionale e concentrazione oligopolistica, facilita ulteriormente l'accesso ai mercati finanziari daparte delle societ industriali. Non un caso che l'esplosione dei profitti finanziari delle grandi impreseprivate si verifichi proprio a partire dagli anni Sessanta, quando la struttura oligopolistica dei mercatidiviene evidente: la quota dei profitti finanziari sui profitti totali delle societ private statunitensi passadall'11% nel 1966 al 22% nel 1974. Nei vent'anni precedenti, tale quota era rimasta invecerelativamente stabile (era infatti pari all'8% nel 1948). La crescita prosegue poi fino ad un picco del 45%nel 2002 per poi ridiscendere al 15% nel 2009, a causa dell'esplosione della bolla finanziaria (datiBureau of Economic Analysis).Per innegabile che il capitalismo sia in una profonda crisi di sistema, non certo dentro unaoscillazione ciclica. Il problema dell'analisi della crisi del capitalismo va quindi spostato, almeno inparte, verso valle, ovvero dalla tradizionale sfera marxiana della produzione verso quella delladistribuzione. Con una struttura di mercato sempre pi oligopolistica, in cui la concorrenza si sposta daiprezzi alla qualit ed al controllo del rapporto fra costi e produttivit dei fattori di produzione, i profitti,per periodi brevi o medi di tempo, tendono a stabilizzarsi, ed anche a crescere, anche senza lanecessaria presenza di accordi di cartello. Il potere di mercato sui fornitori di materie prime e suilavoratori accresciuto, possibile effettuare grandi investimenti in innovazione che aumentano laproduttivit riducendo il valore unitario del capitale costante sul prodotto finale, quindi senza scaricarsisull'aumento della composizione organica del capitale, mentre possibile accedere a crescentieconomie di scala ed a redditizi profitti da investimento finanziario.Tra l'altro chi, come Samir Amin, fa notare che la concentrazione oligopolistica genera problemi dicrescita del profitto complessivo perch deprime quello delle piccole e medie imprese, omette diconsiderare il fatto che la quota delle PMI nei processi di accumulazione, e quindi di generazione diprofitto, oramai sempre pi marginale. In Italia, patria della piccola impresa, il valore aggiunto perimpresa generato dalle piccole imprese extragricole di circa 12 euro, contro un valore medio di 59euro per ogni impresa medio-grande. Il 48% del valore aggiunto extragricolo italiano generato dallo0,6% delle imprese pi grandi. Nelle altre economie capitalistiche a minor presenza di piccola impresa,tali dati sono ancora pi sperequati.Ovviamente, la sfera produttiva quella che genera la caduta tendenziale del saggio di profitto nellungo termine, e che si riscontra nelle evidenze statistiche sopra illustrate. Infatti, il profitto finanziariogenera irrimediabilmente bolle causate da una distorsione fondamentale nella legge del valore, equindi nei processi di accumulazione, e la struttura oligopolistica, da un lato irrigidisce la strutturaproduttiva, rendendola sempre meno capace di reagire a shock di domanda, daltro lato contribuisce apropagare le crisi finanziarie allintera struttura economica ed a tutti i Paesi, a causa delle moltepliciinterrelazioni societarie e produttive tipiche di un capitalismo oligopolistico, che costruisce veri e proprireticoli globali di relazioni. In sostanza, la struttura stabile del capitalismo che porta, in tempi lunghi,al declino del saggio di profitto.

    Dalla sfera della produzione a quella del realizzo

    Nel medio termine, per, le tensioni pi rilevanti sul saggio di profitto non si verificano nella sferaproduttiva, ma in quella successiva del realizzo della produzione. Le oscillazioni negative, anche moltoforti, che il saggio di profitto sperimenta nel breve periodo, al di l della sua tendenza declinante dilungo termine, possono essere spiegate quasi interamente dallandamento della domanda effettiva,definita come sommatoria di consumi privati e pubblici, investimenti (anche qui privati e pubblici) edesportazioni al netto delle importazioni. Un andamento particolarmente negativo della domandaeffettiva pu infatti controbilanciare le gi analizzate spinte di breve e medio periodo allastabilizzazione del saggio di profitto, derivanti dalloligopolizzazione e finanziarizzazione dei sistemiproduttivi. Un brusco calo della domanda effettiva, generato ad esempio da uno shock sui mercatifinanziari che produce una contrazione del risparmio, della propensione al consumo, del creditobancario e quindi degli investimenti, pu quindi controbilanciare gli effetti stabilizzanti di breve e medioperiodo forniti dallassetto del sistema produttivo.Il problema centrale diventa quindi quello della domanda effettiva. L'enorme surplus realizzatosi negli

  • anni Sessanta dal capitalismo oligopolistico si riversa, gi dagli anni Settanta, ed ancora pi in seguito,nell'investimento finanziario, dando risposta alla famosa domanda posta da Sweezy e Baran, nel loroCapitale Monopolistico, ovvero per che cosa spendere?La concentrazione del capitale e la sua finanziarizzazione, che sono aspetti strettamente legati fra loro,come detto in precedenza, comportano necessariamente un rallentamento della crescita delladomanda effettiva, al di sotto del suo trend potenziale. La concentrazione oligopolistica deprime ladomanda perch il modello concorrenziale che si sposta dal prezzo al controllo del rapporto fra costi eproduttivit tende a deprimere la crescita dei salari reali, in particolare in quelle economie, come l'Italia,in cui le condizioni strutturali del contesto produttivo (infrastrutture, capacit di ricerca ed innovazione,efficienza della P.A., rilevanza dell'economia sommersa ed illegale, livelli di formazione del capitaleumano, ecc.) generano diseconomie esterne che abbattono la crescita della produttivit. In Italia, ilreddito reale per lavoratore dipendente cresce soltanto del 18,3% fra 1977 e 2009, mentre laproduttivit del lavoro cresce del 48,9%, con una riduzione di reddito rispetto all'apporto produttivofornito di oltre 15 punti percentuali. E' evidente che la maggiore ricchezza prodotta tramite l'incrementodella produttivit non trova riscontro in una crescita parallela dei redditi, quindi della capacit diconsumare ed assorbire tale ricchezza prodotta, generando strutturalmente una problema crescente dicrisi da realizzo. Tale crisi viene affrontata mediante lo sbocco delle esportazioni (infatti la nostra un'economiafortemente orientata all'export) ma tale situazione trova, prima o poi, un limite nel fatto che il divario fracrescita della produttivit e dei redditi da lavoro riguarda tutti i sistemi capitalistici, non solo il nostro, equindi ad un certo punto diviene impossibile dare sfogo alla sovrapproduzione nazionale sui mercatiesteri. Il costo del lavoro per unit di prodotto, in termini reali, scende, fra 2001 e 2011, da 0,68 a 0,637negli USA, da 0,717 a 0,683 in Germania, da 0,69 a 0,689 in Francia, da 0,694 a 0,614 in Spagna, da0,663 a 0,594 in Giappone (dati Ocse), come effetto del divario crescente fra produttivit e redditoreale, fenomeno che riguarda quindi tutti i Paesi capitalisti, e non solo il nostro, e che quindi tende adestendere all'intero capitalismo globale la crescente condizione di sovrapproduzione come differenzacrescente fra ricchezza prodotta e redditi percepiti dai produttori (solo che ovviamente, in terminiassoluti e non relativi, i redditi crescono di pi dove la produttivit cresce maggiormente, ceterisparibus).E' chiaro che quando la sovrapproduzione estesa a tutti i Paesi capitalisti maturi, anche lo sfogodell'export diventa meno rilevante. Nel momento in cui uno shock esogeno (come una bolla finanziaria)abbatte una domanda effettiva la cui crescita gi limitata, nellambito della condizione strutturale disovrapproduzione, il saggio di profitto tracolla anche nel breve periodo.

    Fig. 4 Andamento della produttivit e del reddito del lavoro in termini reali, fra 1977 e 2011

  • Fonte: mia elaborazione su dati Istat

    Conclusione

    Lanalisi sin qui condotta conduce a ritenere che esista, in linea con le previsioni di Marx, una tendenzadi lungo periodo del saggio di profitto a scendere, basata, ancor una volta secondo la teoria marxiana,sulle contraddizioni in sede di struttura produttiva. Tale tendenza viene frenata, e parzialmentecontrastata, nel breve e medio periodo, dalla struttura produttiva stessa del capitalismo maturo, ma alcosto di generare condizioni sistemiche di sovrapproduzione, che esplodono in vere e proprierecessioni, nel momento in cui uno shock esogeno colpisce una domanda effettiva gi di per pi bassadel suo livello potenziale. Pertanto, mentre il declino del saggio di profitto nel lungo periodo spiegabile con le tradizionali spiegazioni marxiane di tipo produttivo, le sue oscillazioni nel medioperiodo sono spiegabili dallandamento della domanda effettiva.Da tutte queste considerazioni, ne conseguono a mio avviso alcune indicazioni operative:1) nel medio termine, il capitalismo reagir allattuale recessione operando un cambiamento delle suecaratteristiche, come ne ha operati altri in passato, imperniato sulle seguenti direttrici:- nei Paesi capitalistici maturi, macelleria sociale sui salari e la domanda, accompagnato da una fortespinta verso una maggiore produttivit dei fattori rispetto al loro costo, perch la configurazioneoligopolistica assunta in tali capitalismi maturi impedisce, come si visto, la concorrenza di prezzo, edimplica, come unico strumento di ripristino di una profittabilit minima, la compressione dei costi deifattori rispetto alla loro produttivit. Ci a sua volta implica, per tenere sotto controllo le conseguentireazioni sociali, derive autoritarie e tecnocratiche che progressivamente estinguono i nostri sistemidemocratici tradizionali, per sostituirli con una soft dictatorship;- sviluppo dei capitalismi emergenti, per ricostruire in tali Paesi i bacini di domanda atti a ricostituire unincremento di domanda effettiva che riduca la condizione di sovrapproduzione sistemica, il che, comeben dice Amin, corrisponde ad una lentissima uccisione degli Stati Uniti da parte della Cina, ed alsorgere, molto lento e progressivo, di un nuovo ordine monetario, commerciale e politico mondiale,

  • oltre che ad una nuova divisione internazionale del lavoro, in cui l'industria si sposter dai capitalismimaturi a quelli emergenti;- ricostruzione delle condizioni per rigenerare il profitto finanziario, come stabilizzatore della caduta delprofitto reale, il che implica ancora una volta la macelleria sociale nei nostri Paesi maturi, poich laspeculazione finanziaria richiede la stabilit di parametri come i prezzi, i tassi di cambio, i tassi diinteresse, e ci pu essere ottenuto soltanto in economie in cui il debito sotto controllo, non vi sonotensioni inflazionistiche, ecc. Ci implica anche una costante riduzione del ruolo dello Statonell'economia e nella societ, perch il laissez-faire e l'assenza di regolamentazione sono il bacinoideale entro il quale sguazza la speculazione finanziaria globale.2) In queste condizioni, occorre ricostruire una opposizione politica e sociale che sia il pi inclusivapossibile di tutte le componenti della tradizione della sinistra, e senza pregiudiziali. Non posso essered'accordo con le posizioni di Samir Amin e in generale del marxismo pi ortodosso, secondo cui latradizione socialdemocratica sarebbe obsoleta. Ha delle responsabilit gravi per la sua involuzioneblairiana e social-liberista, ma non vero che la socialdemocrazia, nella sua forma pi radicale, vadaabbandonata, poich la sua tradizione pi sana va recuperata. Se, come detto sopra, il capitalismogenera condizioni sistemiche di sovrapproduzione, e la sua finanziarizzazione e liberalizzazioneriducono il ruolo dello Stato nelleconomia, allora il Socialismo del XXI Secolo, se vuole proporre unmodello diverso, deve riappropriarsi di concetti socialdemocratici come la programmazione pubblica, lanazionalizzazione delle imprese strategiche, il sostegno alla domanda effettiva. Se la ristrutturazionedel capitalismo in crisi porta a forme di dittatura tecnocratica, occorre lavorare per la democrazia dalbasso, il che significa coinvolgere, a livello progettuale, la societ, e le sue forme spontanee diassociazionismo, e ricostruire meccanismi di democrazia economica dal basso, di compartecipazionedei lavoratori alle scelte aziendali, di progressiva socializzazione della produzione, di cooperativismo.Questo significa che la lotta di piazza e di movimento non pu non accompagnarsi anche ad una lottadentro le stesse istituzioni democratiche borghesi, in primis nel tentativo di preservarle da unosvuotamento definitivo delle loro sia pur modestissime capacit di rappresentanza e garanzia dei dirittipolitici;3) Occorre rifuggere da forme di nazionalismo, non perch il nazionalismo sia di per s brutto, oevochi chiss quali scenari catastrofici, ma semplicemente perch la ristrutturazione del capitalismoper uscire dalla crisi globale, non nazionale; i centri decisionali che stanno operando per portare atermine questo doloroso processo di ricostruzione prescindono dalle frontiere nazionali. Occorre che ilpanorama dell'azione politica mirata ad imporre un paradigma economico e sociale nuovo siainternazionale, altrimenti rischieremmo di combattere contro i centri di potere globali dal provincialismodelle nostre piccole frontiere. L'Europa, per noi, deve essere un traguardo, non una cosa daabbandonare. Deve essere profondamente trasformata rispetto alla sovrastruttura burocratica edirigista attuale, che lavora solo per opprimere i popoli, deve essere resa un'Europa democratica epopolare, ma rifugiandoci dietro le frontiere nazionali non faremmo altro che dividerci, e fare lotte frapoveri. Se il baricentro del potere economico si sposta dall'Europa, che dovr soltanto impoverirsisempre pi, necessario che l'Europa resista, unitariamente, contro tale destino;4) occorre un forte orientamento antimperialista, occorre un modello di sviluppo armonioso ecollaborativo, non competitivo, che guardi alle speranze di sviluppo e democrazia del Sud del mondocome se fossero le nostre stesse speranze di liberarci da un destino che ci si sta preparando e che,veramente, non affatto bello;5) ad ogni modo la tendenza al declino del tasso di profitto, nel lungo periodo, evidente. Latransizione da un modo di produzione ad un altro per un fatto che, nella sua fase iniziale e pre-rivoluzionaria, dipende dal progressivo emergere di elementi in fieri del nuovo modo di produzioneallinterno di quello esistente. Il modo di produzione schiavistico inizi ad essere superato nel momentoin cui, a partire dal III Secolo, il sistema del colonato pose le basi per il modo di produzione feudale,creando la servit della gleba, il radicamento sulla terra, le prime forme di gerarchia feudale. Ilfeudalesimo inizi ad essere superato quando leconomia mercantile, stimolata dalla colonizzazione,gener le prime forme di accumulazione originaria. Poi naturalmente arrivarono i salti rivoluzionari verie propri, che per si verificarono quando le condizioni erano oramai mature. Questo significa che unprogramma economico di sinistra non pu che stimolare la realizzazione di forme e modi di produzione

  • diversi da quelli capitalistici, anche mediante esperimenti dal basso. Se il capitalismo assume formeoligopolistiche e finanziarizzate, allora occorre lavorare sullautogestione dal basso, sul cooperativismodei piccoli produttori autonomi che producono per s stessi o per forme eque e solidali di scambio.

    Il declino tendenziale del saggio di profitto, di Riccardo Achilli