Dante, la Ludla - Il dialetto romagnolo in linea

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la Ludla 1 “Poca favilla gran fiamma seconda” Dante, Par. I, 34 la Ludla (la Favilla) Periodico dell’Associazione “Istituto Friedrich Schürr” per la valorizzazione del patrimonio dialettale romagnolo in collaborazione con il Comune di Ravenna - Assessorato alla Cultura Autorizzazione del Tribunale di Ravenna n. 1168 del 18.9.2001 Società Editrice «Il Ponte Vecchio» Anno XXIV • Maggio 2020 • n. 5 (204°) SOMMARIO La Rumâgna e i su vacabuléri - XV ...tata tata e spizirì di Marcella Gasperoni Scheda di Bas-ciân Tu quoque Olinde? di Enrico Berti Corrispondenze (riflesse): e’ þúgh dla cucéra Testo e foto di Erika Corbara Olindo Guerrini: e’ prem food waste warrior e taste hunter dla Rumâgna di Silvia Togni I balli di una volta - IV: E’ Sòtis di Alberto Giovannini Guido Lucchini (1925 - 2019) di Carla Fabbri I matti di Seguno - La ciða di Ruffillo Budellacci E’ dop! di Claudio Casadei Illustrazione di Giuliano Giuliani E’ giuböt Testo e xilografia di Sergio Celetti I giovani e il dialetto - IV Francesca Viola Mazzoni di Veronica Focaccia Errani Parole in controluce: stória di Addis Sante Meleti La poesia nei tempi del Corona - II I scriv a la Ludla - Pri piò znen Al rizët dla sgnora Maria Lidiana Fabbri - Tra lóm e scur di Paolo Borghi p. 2 p. 3 p. 4 p. 5 p. 6 p. 7 p. 7 p. 8 p. 9 p. 10 p. 11 p. 12 p. 14 p. 15 p. 16 Maggio 2020 - N. 5 Gli eventi culturali al tempo del Coronavirus hanno subìto un colpo d’ar- resto epocale, in piccola parte mitigato con la creatività di chi da casa si è affidato al web. Ma si è sentita la mancanza del contatto diretto con il pub- blico: quel rapporto di scambio di emozioni e reazioni che si crea tra ascol- tatori e chi parla, recita, canta o comunque comunica agli altri. Per quanto riguarda la nostra Associazione, che come tutti ha subìto la for- zatura della restrizione, possiamo affermare di avere fortemente voluto continuare il rapporto con i nostri soci pubblicando “la Ludla” nel rispet- to, per quanto possibile, delle uscite mensili previste. Ci sono state d’aiu- to in questo frangente le moderne tecnologie che hanno agevolato il lavo- ro dei componenti della redazione, ognuno rigorosamente da casa pro- pria, con fantasia e spirito d’adattamento. Il concorso biennale e’ Sunet inizierà a breve il suo percorso ed entro il quarto trimestre del 2020 prevediamo di portare a termine la terza serie di Romagna slang, come da progetto approvato dalla Regione Emilia-Roma- gna. Altra notizia importante è che l’Assemblea annuale, già programma- ta per il 18 aprile, si terrà il prossimo 4 luglio nei locali della sede: convo- cazione e ordine del giorno si trovano nel Notiziario allegato a questo numero. Di contro abbiamo dovuto cancellare tanti appuntamenti che erano già stati programmati e comunicati, vale a dire il pranzo sociale e il trebbo di primavera a Cesena, le serate dei lunedì di marzo in collaborazione con la Berton a Faenza, il corso di teatro a Sant’Alberto, la serata in collaborazio- ne con l’Auser di Forlimpopoli, la presentazione della seconda serie di Romagna slang a Solarolo. In questi ultimi giorni di maggio si comincia a respirare un’aria di ripresa che ci fa ben sperare per un ritorno alla normalità, anche se ancora per molto nulla sarà come prima. Nel numero scorso abbiamo pubblica- to qui a fianco un’immagine inver- nale della nostra sede circondata dagli alberi spogli; oggi, in segno di buon auspicio, replichiamo lo stes- so soggetto in veste estiva. Le due foto sono dell’amica Erika Corba- ra che qui ringraziamo. Aria di ripresa

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la Ludla 1

“Poca favilla gran fiamma seconda”Dante, Par. I, 34

la Ludla(la Favilla)

Periodico dell’Associazione “Istituto Friedrich Schürr”per la valorizzazione del patrimonio dialettale romagnolo

in collaborazione con il Comune di Ravenna - Assessorato alla CulturaAutorizzazione del Tribunale di Ravenna n. 1168 del 18.9.2001

Società Editrice «Il Ponte Vecchio» Anno XXIV • Maggio 2020 • n. 5 (204°)

SOMMARIO

La Rumâgna e i su vacabuléri - XV...tata tata e spizirìdi Marcella GasperoniScheda di Bas-ciân

Tu quoque Olinde?di Enrico Berti

Corrispondenze (riflesse): e’ þúghdla cucéraTesto e foto di Erika Corbara

Olindo Guerrini: e’ prem food wastewarrior e taste hunter dla Rumâgnadi Silvia Togni

I balli di una volta - IV: E’ Sòtisdi Alberto Giovannini

Guido Lucchini (1925 - 2019)di Carla Fabbri

I matti di Seguno - La ciðadi Ruffillo Budellacci

E’ dop!di Claudio CasadeiIllustrazione di Giuliano Giuliani

E’ giubötTesto e xilografia di Sergio Celetti

I giovani e il dialetto - IVFrancesca Viola Mazzonidi Veronica Focaccia Errani

Parole in controluce: stóriadi Addis Sante Meleti

La poesia nei tempi del Corona - II

I scriv a la Ludla - Pri piò znen

Al rizët dla sgnora Maria

Lidiana Fabbri - Tra lóm e scurdi Paolo Borghi

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Maggio 2020 - N. 5

Gli eventi culturali al tempo del Coronavirus hanno subìto un colpo d’ar-resto epocale, in piccola parte mitigato con la creatività di chi da casa si èaffidato al web. Ma si è sentita la mancanza del contatto diretto con il pub-blico: quel rapporto di scambio di emozioni e reazioni che si crea tra ascol-tatori e chi parla, recita, canta o comunque comunica agli altri. Per quanto riguarda la nostra Associazione, che come tutti ha subìto la for-zatura della restrizione, possiamo affermare di avere fortemente volutocontinuare il rapporto con i nostri soci pubblicando “la Ludla” nel rispet-to, per quanto possibile, delle uscite mensili previste. Ci sono state d’aiu-to in questo frangente le moderne tecnologie che hanno agevolato il lavo-ro dei componenti della redazione, ognuno rigorosamente da casa pro-pria, con fantasia e spirito d’adattamento. Il concorso biennale e’ Sunet inizierà a breve il suo percorso ed entro ilquarto trimestre del 2020 prevediamo di portare a termine la terza serie diRomagna slang, come da progetto approvato dalla Regione Emilia-Roma-gna. Altra notizia importante è che l’Assemblea annuale, già programma-ta per il 18 aprile, si terrà il prossimo 4 luglio nei locali della sede: convo-cazione e ordine del giorno si trovano nel Notiziario allegato a questonumero.Di contro abbiamo dovuto cancellare tanti appuntamenti che erano giàstati programmati e comunicati, vale a dire il pranzo sociale e il trebbo diprimavera a Cesena, le serate dei lunedì di marzo in collaborazione con laBerton a Faenza, il corso di teatro a Sant’Alberto, la serata in collaborazio-ne con l’Auser di Forlimpopoli, la presentazione della seconda serie diRomagna slang a Solarolo. In questi ultimi giorni di maggio si comincia a respirare un’aria di ripresa

che ci fa ben sperare per un ritornoalla normalità, anche se ancora permolto nulla sarà come prima. Nelnumero scorso abbiamo pubblica-to qui a fianco un’immagine inver-nale della nostra sede circondatadagli alberi spogli; oggi, in segno dibuon auspicio, replichiamo lo stes-so soggetto in veste estiva. Le duefoto sono dell’amica Erika Corba-ra che qui ringraziamo.

Aria di ripresa

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la Ludla2 Maggio 2020 - N. 5

Non lasciatevi ingannare dal titoloquanto mai oscuro, né dal fatto cheMarcella Gasperoni è nota come poe-tessa dialettale le cui opere sono statepremiate o segnalate in vari concorsi.È successo anche a noi in redazionequando, aprendo il libro appena arri-vato e non vedendo poesie, ci siamotrovati ad esclamare “Ma è un voca-bolario!”.Ed è anche un vocabolario di pregioche raccoglie termini attuali e desuetidel dialetto di Bellaria - Igea Marinao, più propriamente, di quest’ultimalocalità perché, pur facendo parte diun unico comune, le due parti che locostituiscono presentano nel dialettovarianti significative. Anzi, l’autrice –di Igea Marina – circoscrive ulterior-mente l’area di raccolta dei vocabolichiarendo che l’opera è improntatasulla parlata della sua famiglia.Quanto alle finalità: «Questo libro èstato scritto con l’intento di fareconoscere ai giovani una piccolaparte di quel linguaggio locale cherappresenta la nostra identità e lenostre radici, e anche per riportarloalla memoria di coloro che l’hannoaccantonato. Quel fraseggio a voltefaceto che fa sorridere nella suaespressività, quel lessico un po’ biz-zarro e sorprendente, dalla pungenteironia, dalla fonetica tenace e pene-trante, ecco... lo scopo di questolavoro è quello di mettere insiemetutte quelle parole un po’ bizzarre oparticolari, di cui a volte è difficileintuire il significato, come per esem-pio pidariùl ‘imbuto’ oppure scarmi-nèl ‘riga fra i capelli’, e quelle espres-sioni idiomatiche, spesso colorite, avolte apparentemente dissacratrici ovolgari, ma giustificabili per la loroschiettezza poiché forgiate dalla sag-gezza popolare.»Per quanto riguarda la grafia, l’autri-ce si è affidata alla consulenza diDavide Pioggia, massimo conoscitoree studioso della cosiddetta “area deidittonghi”, che comprede i comunidi Savignano, Santarcangelo, SanMauro Pascoli e altre località limitro-fe come Bellaria - Igea Marina. L’ope-ra si va dunque a collocare accanto alDizionario di dialetto romagnolo, come siparla e si scrive a Savignano sul Rubico-ne e dintorni di Bruno Sacchini di cui

si è parlato su queste pagine nelnumero di Maggio del 2016.

Venendo ad esaminarne più da vici-no la struttura, il dizionario è artico-lato in quattro parti: Lessico, Modi didire, Intercalari, Modi di dire legati allacredenza popolare. Il lessico occupa gran parte del libro:220 pagine. Ogni lemma è presenta-to in modo molto semplice, senzaalcuna classificazione di tipo gram-maticale; segue la spiegazione, ingenere accompagnata da una fraseesemplificativa che contestualizza iltermine. Nella stragrande maggioran-za le voci non superano le quattrorighe a stampa.Si eccettuano i quattro verbi Fae‘fare’, Dae ‘dare’, Es ‘essere’ e Avoi‘avere’ che presentano ricchissimefraseologie: circa 140 per fae, una

ottantina per dae, una cinquantinaper es e poco meno di 30 per avoi. Ecco qualche esempio tolto dallemma fae ‘fare’:Fae ciapàe la curìra ‘fare prendere lacorsa, quando un cibo o una bevandahanno proprietà lassative’.Fae di céch ‘fare qualche goccia, quan-do inizia a piovere con poche gocce’.Fae e’ vintsèt ‘fare il ventisette, rimpro-verare, riprendere severamente qual-cuno’.Fae so ‘raccogliere un filo in un gomi-tolo, arrotolare qualcosa intorno’.Fae l’avdéoda ‘fare la veduta; ma inquesto contesto l’avdéoda è l’insiemedi gesti, di sorrisi e di belle parole cheesprimono la gioia di ritrovarsi; insostanza è una dimostrazione di gioianel vedere una persona, farle unafestosa accoglienza. Anche gli anima-li a loro modo fanno l’avdéoda, comelo scodinzolare del cane’.Alla sezione del lessico segue quelladei Modi di dire. «Il nostro dialetto – scrive MarcellaGasperoni – si esprime con detti emodi di dire, bellissime metafore dicui ho voluto fare una piccola e pecu-liare raccolta. Tutto questo per scon-giurare un’irreversibile perdita diquesto nostro patrimonio culturaleche rappresenta una ricchezza da sal-vaguardare.» È un elenco piuttostostringato, tant’è che l’autrice si è sen-tita in dovere di avvertire: U j n è dj’ilt‘Ce ne sono degli altri’.Ecco uno fra i detti meno comuni o,forse, più dimenticati:.U t à liché la vaca? ‘ti ha leccato lavacca?’

La Rumâgna e i su vacabuléri - XV

...tata tata e spizirìparóli e módi ad döi de’ mi dialet

di Marcella Gasperoni

Scheda di Bas-ciân

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la Ludla 3Maggio 2020 - N. 5

L’espressione era rivolta al ragazzinoche si pettinava bagnando i capellicon l’acqua o ungendoli con la “bril-lantina”, lisciandoli bene. Per simili-tudine, come il vitellino appena nato,il quale, bagnato e con i residui di pla-centa, viene leccato e lisciatodalla vacca. La “brillantina” eraun preparato a base di olio, alcole aromi, usato per dare lucentez-za ai capelli. All’epoca era famo-sa la “Brillantina Linetti”.

Proseguendo, nella sezione degliIntercalari, oltre all’immancabilepanromagnolo ció, troviamofinalmente (siamo nelle ultimepagine) la spiegazione del curio-so titolo scelto da MarcellaGasperoni per il suo libro....tata tata e spizirì ‘e via dicen-do...’ Un modo di dire creatodalla fantasia, vivace e astruso, lacui collocazione è sempre sulfinale di una conversazione,avendo il potere di chiudere undiscorso: “e via dicendo”, “e cosìvia”, “e finiamola lì”, “e al diavo-lo tutto”.Dall’ultima sezione Modi di direlegati alla credenza popolare,abbiamo scelto il fischio alleorecchie.U m fés-cia un’urècia ‘mi fischia

un orecchio’. Il fischio alle orecchiesignificava che qualcuno stava parlan-do di noi. Se fischiava l’orecchio sini-stro erano chiacchiere benevole, men-tre se era quello destro erano maldi-cenze.

Chiudiamo, come abbiamo semprefatto nelle altre puntate di questarubrica, con la riproduzione della voceebi, per fornire un termine di raffron-to con i vocabolari presentati in prece-denza.

EbiTrogolo, vasca in muratura odi legno (tronco scavato) adibi-ta ad abbeveratoio per gli ani-mali. Inoltre era anche la man-giatoia per i suini, verso laquale si spingevano con unimpeto tale da entrarci dentroanche con le zampe anterori.Da questo, prende originel’espressione: baràca si pì t l’ébi‘abbuffata con i piedi nel tro-golo’. Si usa dire per eguagliarelo stesso appetito e la stessaconcitazione nel contesto diuna grossa scorpacciata e bevu-ta di un gruppo di persone.

Scheda tecnica

Marcella Gasperoni. ...tata tatae spizirì. paróli e módi ad döi de’mi dialet. Rimini, Panozzo Edi-tore, 2019. Pp. 260 con illustra-zioni a piena pagina tratte dafoto in gran parte risalenti aglianni ‘50 del secolo scorso.

Tu quoque Olinde?

di Enrico Berti

Io, che non posso sopportare gli italianismi nel dialetto(ovviamente quando i termini dialettali esistono ma sisono dimenticati), mi sono accorto che anche nei Sonet­ti Romagnoli del nostro amatissimo Olindo Guerrinicompaiono alcune, seppure rare, contaminazioni conuna lingua “straniera” (il dialetto bolognese); sicura­mente la lunga permanenza del nostro nella città felsi­nea poteva aver introdotto nel suo lessico dialettaleromagnolo (anzi santalbertese) qualche parola del dia­letto petroniano.Nel sonetto “Grand Hotel Miravalle” (n° XXIV dellasezione “E’ viazz”) e nel sonetto “E’ mur in cmon” (nella

sezione “Interludi”) il termine “bottiglia” viene tradottocon la parola dialettale bolognese “buteglia” ma inRomagna, da Imola a Rimini, si dice “böcia”. Inoltre nelsonetto “Venezia I” (n° XXXIX della sezione “E Viazz”)e nel sonetto “Frera” (n° XLIX della sezione “E Viazz”)per l’articolo determinativo maschile di terza personasingolare davanti a consonante viene usato il bolognese“al” (“al dom”, cioè il duomo) invece del romagnolo “e”(“e dom”). E nel sonetto “Venezia II” (n° XXXIX di “EViazz”) anche la preposizione articolata “del” è scrittaalla bolognese : “dal dom”, cioè del duomo) invece delromagnolo “de dom”. Nel sonetto “E’ salsaminteri”sezione “i Dscurs”) la parola “carne” che nel dialetto diSant’Alberto e in gran parte della Romagna è “chêrna”compare nella forma petroniana “cheren”; (solo nelfaentino si trova “chêran” e nell’imolese, forse, anche“chêren”, ma Imola confina col bolognese).

Bellaria, 1947. Venditrice ambulante di meloni.

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la Ludla4 Maggio 2020 - N. 5

U i jera ’na tribù d indjãn d Ameri­ca ch la cardeva ch un dé a saresumpasé in cvela ch ló i la ciamêva eradi spèc: la sareb stêda un’èpuca fataad imagini ṣvarsedi che cun tot chiẓugh ad luṣ, ombri e arflès la s avrebimbarbajé.George Orwell pu, ẓa stãnt’èn fa, inte’ cvarẽntanôv, u scrivepp un livar1

ch a lé par lé i n e tulepp da ’d bõn,mo via via ch i jèn i paseva u gvin­tepp sẽmpar pió impurtẽnt e cnusú.Orwell l arcuntepp d un arẓím tuta­literi ch u spieva la ẓenta d’in dẽntraal ca, d un arẓím a partì onich e’ cuiubietív l era cvël ad mantnêr e’ pijncuntröl sora la pupulaziõn e par fêcvest i contruleva gnacvël e u n sparmiteva a la ẓenta ’d pinsê da parse. La lẽngva ch i druveva pu, lajaveva la funziõn ad ’rvultê i fèt: u ijera acsé e’ Ministér dla Peṣ ch ufaṣeva chép agl uperaziõn ad gvëra,e’ Ministér dla Varité ch u purteva’vãnti la prupagãnda e u scanzlevacal nutizi ch li n andaṣeva bẽn a e’partì, e’ Ministér dl Amôr ch l era’rspunsèbil dla sicureza e cvéldl’Abundãnza par l’ecunumia. Ẓacun al parôli i pinsìr i jentreva a larvers. E intãnt ch a scurẽm adOrwell u s a neca da dí ch l’idea degrãnd fradël (e’ big brother) ch u tgvêrda e u t cuntròla indapartot lapartepp propri da che su livar ch alé. E int i TG, a e’ dé d incù, s a fai? I sa ẓa ’bitué cun e’ scors dla gvëraparvantiva, dla difeṣa di paìṣ de têrz

mond par no dê cont ch i i ja ocupé,dla “flessibilità” int e’ lavôr a e’ pòstdla precarité e avãnti acsé...mo stecapítul ad stôria u sareb pió longhad che poch parché ẓa chi ẓuvan chiprutasteva contra a la gvëra in Viet­nam i scriveva bombing for peace islike fucking for verginity.2

E cum s u n fos a basta i jè salté furaadës cun sta stôria de “distanzia­mento sociale”. A staṣẽma a distãn­za, a la lèrga l õn da cletar, o a staṣẽ­ma insẽm, in suzieté? Aristotele, dumela cvatarzẽnt èn fa,u geva ch e’ s­ciãn l è un ζῷον πολι­τικόν (zóon politikón), un animêlsuziél: ζῷον u vo dí animêl e πολιτι­κόν l è un agetív ch l a a che fê cunla πόλις (pόlis), la città­stato, lasuzieté. Par Aristotele, dònca, e’ s­ciãn l è un animêl suziél ch u n èbõn ad campê s l a da stê da par se.E cum a la mitẽmja alôra cun ste“distanziamento sociale”? U l s pòciamêr ossimoro, la s pò ciamê sicu­rezza, sé, u s pò neca druvê tot dó aldafinizioni, mo a dila s­cèta stacumbinaziõn ad parôli la m pêr èsarscapêda da e’ livar ad Orwell.Da burdèl, parò, un cvël a l avẽmsẽmpar savú: a ẓughê cun la cucérau n è ch u s avdess un etar cvël, moe’ fat curioṣ l era che e’ mond l eraṣvarsé a gãmbi pr eria. E alôra ẓo apruvê cun un cvël, cun cletar, a ’vlêravdêr e’ zil int la basa e la zẽnta chla camineva int e’ sufét sẽnza cas­chê par tëra, a gvardê a e’ mond a larversa e e’ bël l era propri cvel ch alé. A savẽma che gnacvël l era ’rvul­té e e’ ẓúgh l era fat. O, par dila dageometra, a savẽma che cvel ch u s

avdeva l era da ’rbaltê ad 180 gred.I 180 gred i jè cumpãgna ’na rèta chla va int la diraziõn upòsta, i jè e’cuntréri ch in lingvistica e vẽn necaciamé antonimìa, in retorica antìtesie in cuṣena sora i furnèl i l a sẽmparciamé farteda ṣvarseda. E alôra, cunl’espariẽnza dla cucéra concava aputẽm arleẓar al nutizi par cvel chagl jè: e’ distanziamento sociale l èl’iṣulaziõn di s­ciãn, la sicurezzasociale la n è gnint’etar ch l’insicu­rezza individvela, e’ prublẽm stesse’ gvẽnta la suluziõn e l’asicuraẓiõnsanitêria la jè cvèla ch la sta dri almalatéj... mo cvi ch i ji ciãma filèn­trup s a sarai mai?

Note

1. George Orwell. Nineteen Eighty­Four. (1949)

2. Bumbardê par la peṣ l è cumpagna a

fê l amôr par la varginité.

Corrispondenze (riflesse):

e’ þúgh dla cucéra

Testo e foto di Erika Corbara

Dialetto di Voltre

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la Ludla 5Maggio 2020 - N. 5

- Cus’ël? Me a saveva ch’l’era un poveta.- E invezi no, l’era un “suldê di avenz dlacuðena”, un sparagnin de’ magnê.- E pu? S’a j ël scret dop? - Ch’l’era “un cazador ad gost”, una bocabona, insoma.- A me, tra cazadur e suldé u m pê ad cia-carê d’guera… mo invezi a m’arcurd cheStechetti e’ faðeva rìdar da bon!Già, perché Stecchetti, o meglioOlindo Guerrini (1845–1916), èconosciuto pressoché unicamentecome l’autore degli indimenticabili“Sonetti romagnoli”, il burlone man-giapreti che ha creato personaggicome Mingôn e la sgnora Marietta otutt’al più el Sgner Pirein, l’esilarantevecchio petroniano padre della‘povera’ Argia Sbolenfi. Tuttavia, prima dei celebri sonetti,venne pubblicato, sempre postumonel 1918, il suo trattato “L’arte di uti-lizzare gli avanzi della mensa”, unricettario in tono indubbiamentepolemico verso l’amico borghese Pel-legrino Artusi, autore de “La scienzain cucina e l’arte di mangiar bene”.Artusi, infatti, dichiarava aperta-mente che le sue ricette, caratte-rizzate dalle più svariate speri-mentazioni gastronomiche, eranodedicate alle signore e ai signoridella buona borghesia, ritenendoche ai poveri proletari giovasseun’estrema sobrietà della tavola.Nel corso dei suoi viaggi in bici-cletta per l’Italia in qualità diconsole del Touring Club Italia-no, Guerrini ebbe modo diassaggiare molte specialità regio-nali italiane e raccolse oltre 250ricettari, illustrando invece unacucina da ‘stecchetto’, allusivaforse al suo stesso regime alimen-tare, dignitoso ma del tuttomodesto, considerando lo sti-pendio da bibliotecario pressol’Università di Bologna e i pro-venti delle sue pubblicazioni perlo più occasionali.In tredici capitoli Guerrini, dun-que, va a perorare la causa delleaþdore del tempo, suggerendoloro come adoperare gli avanzidi un pasto che, oltre che adovvie ragioni economiche,rispondeva - e risponde tuttora -anche a necessità gastronomi-

che, dato che ciò che se ne ricavavaaveva la bontà di un piatto nuovo.Ecco che questo avuchêt dagli aþdori, adistanza esatta di un secolo, finiscealla ribalta delle cronache in veste difood waste warrior, letteralmente il‘guerriero degli scarti di cibo’, antici-patore delle moderne politiche anti-spreco.Il libro, pressoché unico nel suo

genere e che lo stesso autore definì ilpiù utile dei suoi scritti, è articolatoin 770 ricette, che non tralascianonessun ingrediente né portata, distri-buite come segue: Esordio, Salse,Pane e Polenta, Minestre, Manzo,Vitello, Maiale, Castrato e Agnello,Pollame, Caccia, Pesce, Ortaggi,Uova e Latticini, Varie. Il tutto con-dito con osservazioni acute, pensieri

scherzosi e giudizi personali chefanno di lui un provetto taste hun-ter, un vero esploratore del palatoe di nuovi gusti, un mestiere chetanto va di moda al giorno d’oggi.Ecco di seguito un chiaro esem-pio di queste ‘ricette da riciclo’:

Pallottole di avanzi di polloSi pestano nel mortaio fino afarne una pasta, incorporandovimidollo di pane (mollica) inzup-pata nel latte, un pezzo di burro,sale, pepe, alcuni rossi d’uovo ealbumi sbattuti a neve. Si rotolala pasta ottenuta come una cordae si taglia a pezzetti che verrannoridotti a pallottole allungate, dapassare in farina e fare bollire ser-vendole con salsa a piacere, peresempio di pomodoro. Se più pic-cole si possono anche fare bollirenel brodo e servire come mine-stra. Si possono infine, una voltabollite, mettere in burro fuso conun bicchiere di panna, un uovointero, punte di asparagi, olivedisossate e funghi. Dopo averlelasciate cuocere per una decina diminuti a fuoco dolce, si possonoaggiungere uova sode a pezzetti, origaglie, o animelle avanzate.

Olindo Guerrini

e’ prem food waste warrior

e taste hunter dla Rumâgna

di Silvia Togni

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la Ludla6 Maggio 2020 - N. 5

Quando si pensa al folklore e alledanze che animavano le feste dellenostre piazze, viene spontaneo pen-sare che ogni zona possieda un reper-torio che la contraddistingue inmodo univoco dalle altre. Questaidea, come abbiamo visto, è moltolontana dal reale stato delle cose e ladanza di cui si parlerà ne è ottimoesempio. In Italia, infatti, il nomescottish, da cui deriva direttamente ilnostro ballo, è stato riformulatodiversamente in base alla località incui si trova. In Gallura è infatti scot-tis, in Toscana sciortis e u’ scozjë inAlto Salento. Da noi la combinazio-ne tra la rianalisi del fonema sc- pala-tale nella romagnolissima s- e la dege-minazione di t- conduce all’esitosòtis. Di nostro, dunque, vi è solo lapronuncia.Si tratta di una danza generalmentein 2/4 e popolarissima tra la fine del‘700 e l’inizio dell‘800. Nata, mancoa dirlo, in Francia, prende il nomedi écossaise perché si tratterebbe diun tentativo di emulazione di anti-che contraddanze scozzesi. Attornoal 1850 questo ballo si diffondeanche in Inghilterra conil nome di polka tedesca,denunciandone il trami-te germanico. InAustria, infatti, questadanza era molto popola-re anche in ambitocolto, tanto che autoricome L. van Beethoven,F. Schubert e J. N. Hum-mel contano nei lorocataloghi numerose écois-saises. L’abbandono delnome polka tedesca, stan-do alle fonti, risulta esse-re successivo alla PrimaGuerra Mondiale quan-do, per evitare riferi-menti alla Germania, sipreferì passare al piùneutro Scottish. In Romagna la diffusio-ne del sòtis pare esserelegata principalmenteall’influenza toscana.Non sembra, infatti,casuale che la maggiorparte della documenta-zione a riguardo sia stata

recuperata presso paesi situati lungole principali strade che valicano l’Ap-pennino. Tra le varianti che sono state rico-struite, al momento tre sono quelleriferibili a località precise: il sòtis diStrada San Zeno, il sòtis di Castel delRio e quella di Premilcuore. Laprima di queste, di cui è informatoreprincipale ‘Cencio’ Rossi, è sicura-mente quella che più si rifà al ritmooriginale, caratterizzato dai duetempi di polka e i quattro liberi. Lavariante di Castel del Rio, ricostruitaa partire da ricerche di Battilani e

Grassi su Renato Quercia, pur man-tenendo un eco della struttura, sidiscosta non poco per impiantomelodico. Quella di Premilcuoreinvece è legata ad un’altra tipologiadi scottish, comunque molto diffusa,e si presenta con ritmo più orientatoverso i 4/4 rinunciando alla marca-tura iniziale del passo. A questevanno aggiunte le due versioni regi-strate da Gori e Gala nell’importan-te pubblicazione sui vecchi balli diRomagna.Come nel caso di molte altre danze,non vi è una regola fissa su come bal-

lare e risulta consolidatoche i passi e le formazio-ni varino di località inlocalità. In alcune zonerientra tra i balli staccati,in altre tra quelli di cop-pia. È, una volta in più, evi-dente come gli spuntiprovenienti da fuori,dalle regioni contermini,dalla Francia ma anchedalla Mitteleuropa, sianostati sviluppati in modooriginale dai suonatoridi Romagna che lihanno rimodulati secon-do la sensibilità persona-le. Possiamo dunqueconcludere che il sòtisnon è una danza autoc-tona, ma le varianti chesono a nostra disposizio-ne sono frutto del lavoroe della maestria dei musi-cisti che hanno animatole piazze e le strade delnostro territorio fino apochi decenni fa.

I balli di una volta - IV

E’ Sòtis

Rubrica a cura di

Alberto Giovannini

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la Ludla 7Maggio 2020 - N. 5

Esattamente un anno fa, il 9 giugno‘19, ci lasciava Guido Lucchini ilnoto drammaturgo e poeta riminese.Nato il 2 aprile 1925, era stato opera-io specializzato presso le OfficineGrandi Riparazioni delle Ferroviedello Stato. Da ragazzo abitava nelBorgo di San Giuliano, ma presto sitrasferì a San Giuliano Mare, nellasua Barafonda, a cui ha dedicato unlibro di poesie e ricordi.Nel 1973 Lucchini fu tra i fondatoridella compagnia dialettale “E’ teatrerimnes” e come autore e regista hacollezionato premi e riconoscimentida far invidia alle compagnie più bla-sonate, anche a livello nazionale, delcosiddetto “teatro serio”.Ha pubblicato quattro libri di poesiein dialetto: “Barafonda”, “Remin ePu Piò”, “Raconta Remin, Racon-ta...”, “Vécia Palèda”, nei qualiapprofondisce a suon di rime i temiprincipali delle sue commedie: lavita, i luoghi e i personaggi dellaRimini di un tempo. Nel 1993 pub-blica “E’ Teatre Rimnes: vent’anni diteatro dialettale”, che racconta l’espe-rienza vissuta durante la realizzazionee la regia delle sue commedie.In tutto ha scritto 43 commedie, chegli hanno consentito di essere insigni-to di numerosi riconoscimenti epremi tra i quali quattro primi premial concorso “Tribunato di Romagna”di Faenza.In virtù di quanto aveva operato infavore del nostro dialetto, nel 2014 lanostra Associazione gli conferì lo sta-tus di socio onorario.Lo ricordiamo ai nostri lettori attra-verso una poesia inviataci dal figlioDaniele, che il padre gli aveva dedica-to e che - come si comprende dal con-tenuto - gli è particolarmente cara.

Una careza longa longa

E quand t’caminerèse bateint de mer…Te mumeint che l’åndala s spaca sla riva,tra s-cioma biencae mela e mela bulicinich’al s-ciupleta atorna i tu pid schelzcumè una longa carezaarcordti, arcordti sempreche quela e sarà la mi careza,la careza de ba.

Una lunghissima carezza

E quando tu cammineraisulla battigia del mare...Nel momento in cui l’ondasi infrange sulla riva,fra schiuma biancae mille e mille bollicine,che scoppiettanointorno ai tuoi piedi scalzicome una lunga carezzaricordati, ricordati sempreche quella sarà la mia carezza,la carezza del babbo.

Guido Lucchini (1925 - 2019)

di Carla Fabbri

La þent ad Ðgun la s laminteva che lacisa l’era tröpa znina e i n i stasevapiò, j avleva una ciða nôva e piò grân-da. I bajoch i n j era. Un dè e’ pritturnend da Zivitëla e’ dgè: “Burdel,incu a jò scors cun e’ geometra Têlsora e’ problema dla ciða, e u m’àsugerì la manira par ðgrandêla. Sedmenga a vnì tot a la mesa a la ðlar-

ghem senza ‘vé dal speði.” Difati tot jandè a la mesa. E’ pàruch l’aveva mesuna fila ad pânch tot longh al quàtarmuraj. E’ faðè mètar in ðdé tot quentcun i pì pugé al muraj; a un su cmândtot i duveva caichê. I n spustè almuraj, mo al pânch sé e ló i fo cun-vent d’avé ðlarghê la ciða e i fot totben cuntent!

I matti di Seguno

La ciÝa

di Ruffillo Budellacci

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la Ludla8 Maggio 2020 - N. 5

“QUOTA 100”. E ma quéla am seraduvù arend! A eva tolt sò i mi libred’ingles, quei ad meccanica, quel diaforismi e al Vousi ad Pedretti ch’umféva cumpagnia tla “pausa pranzo”quand i culega i dscureva a palòm eme an eva njint da dì. Alè! Tut t’unscatulòn s’al mi stilografiche di cinèsch’al custeva do bajoc e ch’l’im spur-cheva i dèda; via tot da cla scrivaniach’la n’era piò la mia: lundè avriadurmì e la sveglia finalment zeta! E padron quasi um dmandeva pèr-don ch’e dè ch’ um dgeva cl’era oradla pension. “Dai Gino, al so che t siancora brév mo l’è ora ad smet.Godte la pension, viaza, va in bicicle-ta, lez di libre. T’cì ancora in forma,t’an é bsògn ad nisoun!” Me invecead e dòp a eva una pavura bistcéla. Apena andè in pension Gigi di Maza-sèt l’era casc sla bici da cursa e l’erasora una caruzeina che biastmiva tote dè contra cla volta ch’i l’eva mandin pension. Toni d’Birel dop ad tremés u s era divis da la moj. Lino l’evaciap un ad ch’i malaz e e’ feva drentae fora da l’uspidel. Mirco, e profesor,l’era dvent vec a l’impruvis, stort ecanud com’e mi non. Ma me cla pension l’am feva pensè ean mi virgogn ad dei che sè, me anvleva propi andei! Comunque che dèus era fat terd e a eva cius l’ufizi. Cherg la mi machina, a sera partì mona vers chésa: am sera aviè vers ebusch ad Tino. Ogni tent al févaquand’a sera incazè.Tra al piente u jera un slerg e propi t’e mez un culd’arvòra brusida da un luzne. Ammitiva d’asdè ilè sora e a guardeva idisegn dagl’ombri cli féva i rag de soltra al rèmi e al foje. Um feva ben, amrilaseva e isè am arfeva ‘na muliga.Cla sera an sera tranquel, an stevabén. Um’eva ciap una tristéza chemai, e a eva una gran voja ad piegn. A n e so se a insugneva o s’a serasveg, mo an un cert punt daventi meus era vert com una gran porta. Ad làus vidiva a sinestra dli novle isè nirech’e pareva e vles piov da un minuda cl’elt, e sota una tromba d’eriach’la feva un dol isè fort da duvèciud agl’ureci s’al meni. A destrainvece la brileva una lusa culor orche la deva quasi fastidie m’i oc daquand la era forta.

Mased da cla lusa, apena fora laporta un ombra dasdè sora una pan-china, un vec mazapégul s’una berbabienca longa ch’an vi deg, un nesgros, stort e pein ad bugn gros cumed’i deda. Tlà testa un caplaz cheormai l’eva pers e su culor ros. Umguardeva e e ridiva, e pareva cl’avesvoja a dei qualchi cò! T’e mez dlatromba d’eria e cla lusa culor or, dielt mazapégul che i salteva e i ridivae i butiva dla roba t’una fugaraza cheogni volta la gambieva culor. Me anpudeva capì csa érla cla roba. E vicèt um guardeva da un po’, a uncert punt um dmanda: “Di ciò, t’écapì o no csa el che suzed ilà drenta?”

Me ch’am sera anche un po’ spa-vént, a ho fat segn ad nò sla testa.“Guerda mej dai!” um’ha det “totacla lusa la ven da sta piramide ch’lan è fata ad madoun, t ved? La è fataad pachet cume quej di rigai sla cher-ta e e nastre culor or. T ved? I perpropi di madoun mo jà e culor ad laricheza. Jè alghed sa di nastre prezioscume quel c’uje drenta. L’è i rigaiche ut eva fat la vida e te t’é fat fintaad nijnt, t’an gne vlù. Drenta ognipachet u jè un sogn che t’é las perd,una roba cmenza e mai fnida, unaprumésa mai mantnuda, un obietivche t’an gne la é fata a zentrè! U jè ilavur ch’i bsugneva e che t an é mai

E’ dop!di Claudio Casadei

Dialetto di San Clemente RN

Illustrazione di Giuliano Giuliani

Racconto presentato al concorso e’ Fatorganizzato dalla nostra Associazione

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la Ludla 9Maggio 2020 - N. 5

fat, i libre che t’é compre e t an émai let, i rigai che t’è compre et’an’è mai dè. T’ved quanta roba t’elas indrè? Ujè al volte che duvevtedmandè scusa e te fat finta ad nijnt,i amor che t’e pers senza cumbat, alvolte che t’è manchè d’rispet m’j vece t’an’è dmand scusa. Ujè i bes chet’an è vlu mai de, tot i at voj ben! chet’è preferì nu dì. Al volte che t’at cìzirì da cl’elta perta e inveci t putev-te fe qualchi cò. T la ved? L’è namuntagna ad or, un tesor che ad totla tu vida t’è las perd e che l’è tentgrand che un ti bastaria campè dovolte per fnì tot, per fé tot, per deun sens ma cla mijera ad idei chet’an è port a frut.” Me, sora che cul ad légn, a seradvent come una statua, um parevada nu feglia piò a movme. A stevasnò a sintì, cume i fa i burdel s’alfoli piò beli o quand la ma la i gridae la ha rasòn. Lo intent e deva un tir ma la peppae l’arcmenzeva: “Ti ved chi set

mazapégul ch’i rid e i baia in tondma la fugaraza? Jè tot i mi anvu-dein, javrà zinc, seizent an. Je d’iburdlaz, jè zovne e jè content adscuvrì csa el ch’u jè drenta ognipachet. I bota e pach drenta latromba d’eria che quand la capiscus ch’uj è drenta, cus te las perd,uj girà e vent sempre piò fort, la faun rog, la distrug e pach, la spargo-ja e cuntenud e la spuda e nastre.Lor i l’arcoj e il bota drenta t’e fog.Sgond a è culor de fom i capis adquel che l’è fat a menc e i rid a la tufaza, it ciapa per e cul. T’ved? Unnastre che fa e fom verd l’era unaspirenza che t’e pers, un nastre ch’efa un fom blu l’era un viaz chet’an’è fat, un nastre ch’e fa un fomrosa l’era un quel s’una dona, unnastre ch’e fa un fom color zal l’èun piaser che t’an è fat m’un amig.Lor i smet da rid snò quand enastre e fa un fom ros! E ros l’è eculor ad al pasion, al robe ad cor, eben che t’vlevte ma qualchi d’on. I

pensa che tè za sufert abastenza edla soferenza lor jà rispet.” A che punt am sera incort ch’a eva ilagrimon mi oc e a am dmandevacom a pudeva fe a rimediè. Avrì mechi nastre guardè csa el ch’uj eradrenta i pachet. E mentre a pinsevaisè am mi ni sera incort che a seragià me vulent e a guidiva vers chesa. La prima tapa a la ho fata ma la cisada e pret “Don, me a so un ch’avmazaria ma tot. Mo da lundè, se avibsogn ciamem”. La sgonda da la mi ma a dgej cheades avrja avù piò temp per lea. La terza d’e mi fiol a dej che e chenades agl’avria port me a spas, in fondognun l’ha i avnudein ch’us merita.A sera arvat a cà, csa dei ma la mimoj? Mo cume sempre la ha parlèprima lea “Tci in pension finalment!Dmatena a tajem l’erba t’e zardein, epu u jè i garage da met a post.” Vigliacaza miseria, ch’am fos scordma chesa i pachet piò sfighè? U mmancheva za la mi scrivania.

La mi mâma la javeva ðmachinê unbël pô cun la màchina da cuðì e a lafen e’ saltè fura e’ chêp-lavor: la mmitè adös un giuböt e la m dmandès’u m piaðeva. A m gvardè int e’ spëce l’era pröpi un bël giuböt, cun almustreni, cun e’ carrè a spron e ‘nafebia d’uton par strènþal int la vita.A l’arnuvè la dmenga dop andend ae’ marchê in piaza, a incuntrèssumdagli amighi dla mi mâma ch’al glifaðè i cumpliment parchè la javevafat pröpi un bêl lavor.Agli vlet savé in dov ch’la javevatruvê e’ mudël e in dov la javes truvê

cla bëla stofa e li ridend la dgè chela l’aveva fat ðmuntend e’ capöt de’pôvar Pirelli ch’l’era un nòstaravðen ad ca e ch’l’era môrt du miðprema, E’ pôvar Pirelli l’era un vëc ch’e’purteva sempr un capöt longh, e’camineva striscend i pi apugièndas aun baston e l’aveva sèmpar la gozla ae’ nêð che s’la’n cascheva par tëra us la sugheva cun la mânga de’ capöt.Nuìtar burdel a javema paura ad lòparchè qvand ch’e’ travarseva e’ cur-til, e no a sema int e’ mëþ cun inòstar þugh, par fês e’ pas e’ ðvarghe-va in qua e in là cun la þaneta dgenddal parulazi. Qvand ch’a turnèssum a ca da e’marchê me a m cavè sòbit e’ giuböte a l butè sora ‘na scrâna e a dgè che,sicom ch’l’era fat cun e’ capöt de’pôvar Pirelli, me a n l’avreb maipurtê. La mi mâma la s mitè a rìdare la dgè che la l’aveva scuðì tot, la

l’aveva lavê ben ben, la l’aveva arvul-tê e ch’l’era ad stofa bona e l’era unpchê a no purtêl. La m prighè ch’a lfaðes par li, par tot e’ temp ch’laj’aveva lavurê mo u n i fo vers, alorala s’instizè e la fo alè par dêm du s-ciafon, mo a la fen la s rasignè a riga-lêl a un burdël dla campâgna.

E’ giuböt

Testo e xilografiadi Sergio CelettiDialetto forlivese

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la Ludla10 Maggio 2020 - N. 5

Che rapporto hai con il dialetto,Francesca?Purtroppo fatico a parlarlo, ma locapisco bene. Mi è molto caro, lo col-lego ai miei nonni, con cui ho avutoun rapporto fortissimo, e ho ancora,con mia nonna Pina, partigiana, unvero esempio di coraggio per me. Leiparla in dialetto, per cui riuscire amasticare il suo idioma significa, perme, riappropriarmi un po’ della suaessenza. Inoltre, da persona che lavo-ra con le parole, mi rendo conto che,mentre sono del tutto intransigentecon chi in italiano sbaglia un con-giuntivo, non lo sono altret-tanto quando sento il famoso“ho rimasto”, ad esempio.Per il mio orecchio, istintiva-mente quella non è una stor-piatura fine a sé stessa, mauna sorta di tratto distintivo,cui strizzo l’occhio con bene-volenza.

Nella tua professione, sia diattrice sia di scrittrice, leparole rivestono un ruolofondamentale, come dicevi.Ritieni che il dialetto abbiaancora oggi un potenziale,in termini di efficacia comu-nicativa?Assolutamente sì, il dialettoha delle espressioni che,

secondo me, hanno una capacità dicreare immagini ed un’incisività,proprio a livello fonetico, che nontrovano eguali in italiano. Colgonosubito nel segno, risuonano inmaniera più efficace, più potente.Penso anche che nel dialetto sia insi-ta una schiettezza che l’italiano nonha, una capacità di andare al cuoredel discorso senza perdersi in inutilisofismi, un pragmatismo che perso-nalmente apprezzo molto.

Cosa pensi che possa muovereattualmente le generazioni deiventi-trenta-quarantenni verso ildialetto?Credo ci sia un disperato bisogno diavere dei punti di riferimento. Nelmondo in cui ci troviamo è tutto cosìveloce, tutto in divenire, tutto cosìfacilmente sostituibile, che ci sentia-mo spesso persi, quindi ci aggrappia-

mo alle poche cose certe che abbia-mo, che non ci possono essere tolte,come le nostre radici. “Non so dovevado, non so che strada percorrerò,ma almeno so da dove vengo”, ecco:è qualcosa che può darci molta forza.

Ritieni possa esserci unfuturo per la nostra lingualocale?Su questo non sono fiducio-sa. A volte mi interrogo sucosa potrei fare anch’io, nelmio piccolo, col mio lavoro,per salvaguardare questopatrimonio. Sarebbe già unabuona impresa riuscire ascardinare il vecchio stereoti-po che vede nel dialetto unalingua rozza, ignorante. Se sivuole tentare un’operazionedi recupero e tutela della lin-gua, comunque, penso siaimportante saper giocarecon la leggerezza: l’ironia sirivela molto spesso un’armavincente.

Ospite di questo mese, per lanostra rubrica, è Francesca

Viola Mazzoni, attrice escrittrice ravennate.

Delle sue origini, in partetoscane, in parte romagnole,

Francesca parla spesso efieramente, con un misto di

orgoglio e di affetto palpabili.E quando si parla di radici,di identità, la lingua gioca

ovviamente un ruolosignificativo.

Ecco cosa è emerso dallanostra chiacchierata.

I giovani e il dialetto - IV

Francesca Viola Mazzoni

Rubrica a cura di

Veronica Focaccia Errani

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la Ludla 11Maggio 2020 - N. 5

stória, sturiéla, spesso al plur.: inital., stòria, storiella. Il termineacquista vari significati che vanno danóva ‘nuova’ o ‘novità’, a fóla, ‘fòla’,‘racconto poco credibile’, o ‘giustifi-cazione maldestra’.1 Si dice appunto:agli è toti storii; oppure: basta constal storii (o foli)2 o ch ’a ’n avnivaa dìð só dal storii che incó u ’n licred gnenca i burdèl pió indur-ment. Ma nelle veglie, int al sturiélici si sguazzava, anche in quelleincredibili. Ne venne fuori anche ilmodo di dire u saréb ’na storialonga…, che induceva a credere checi sarebbe stato ben altro da aggiun-gere, con la variante a dila tota, aque u s’ faréb e’ dé, in bocca a chiera combattuto tra la fretta d’an-darsene e la voglia di raccontare3. Aparecchi veniva la voglia d’allungareessi stessi il racconto e di far credereche gli asini volano: Asinus in téguliscome scrive Petronio, Satyr. LXXVI,e forse più di uno alza il naso alcielo. Ma per altri ui vó di fèt e nodal fóli ‘favole’, factum, non fabula! Efanno eco senza saperlo proprio aPetronio. Anzi, fóla deriva proprioda fabula, a sua volta da un verbo un

po’ strano – fari – che in origineequivaleva a ‘parlare con solennità’,derivando da esso anche il ‘Fato’ o‘destino’; ma che poi indicò il ‘chiac-chiericcio’ a vuoto, e’ ciaciaré, pardè èria ai dent.4 Nello stesso tempodì o fè dal stórii significa pure‘accampare pretesti’ per rimettere indiscussione un contratto, o ali-mentare una lite.L’etimo di stória ‘stòria’ viene dallat. historia, a sua volta dal greco,dove significava ‘indagine’,apparentata con la radice del greco‘idea’ e col verbo lat. vidére, vdé: fèsun’idea ad quaicósa, dop avéiguardé par ben, e pu dila só; vléimeti e’ nèð... Invece, con studgé la stòria – qua elà con l’accento sulla ò come in ita-liano – almeno a Civitella è ‘studiarela storia’ scolastica, quella deglistorici di professione. La dupli-cazione del termine – stória e stòria,come se quella scritta fosse immuneda falsità5 – è entrata nell’uso conl’istituzione della scuola pubblicapostunitaria.6

Note

1. Dimentichi dei nostrani nóva o‘nuova’ o nuvéla, oggi i giornalisti cipropinano anche le news di casa nostra,come se il termine inglese ne garantissela verità. Invece sono solo rumors! Visono termini più inutili per noi?2. Plauto, Bàcch. 158: Satis historiarum’st(a n’ho sa! o a’n ho asé ad stal storii!):‘ne ho già abbastanza di storie’.3. Plauto, Most. 1103: nimio plus sapio,sedens (se siedo, la so più lunga, anchetroppo): e, quindi, ‘se non avessi fretta,chissà che ròbi ch’u m’ scapareb ad dì!4. Ne deriva anche il lombardo fatüo ofatüòt: ‘fatuo’. Fari ‘parlare’, da cui vieneanche fatum ‘fato’, ha tra i derivati ancheil verbo fatéri e cum+fiteri ‘confessare’,‘ammettere’, e poi cumfsiòn ‘confes-sione’. Fari era ambivalente: in originesignificò ‘pronunciare oracoli’ ispiratoda un dio, da invasato, alla greca entheos,da cui entusiàsum; ma valeva anche per‘farneticare’, ‘vaneggiare’, ‘dire coseinsensate’. Per il miscredente – ch’u ’ncred gnenca int e’ pen ch’u magna –queste cose sono tutt’uno. Fatuus era untitolo di Fauno, il dio dei boschi propriodei Latini con zampe e corna di capro; le

fronde mosse dal vento ne riportavanole parole. Fatua era sua moglie; ma l’agg.fatuus già in latino finì per conservarel’accezione peggiore. Giovenale, Sat. IX:…et fatuos non ìnvenit (e non trova deglisciocchi). Riferito al cibo, poteva signifi-care anche ‘insipido’ come in Marziale,Epigr., XIII 13: Ut sapiant fatuae, fabrorumprandia, betae / o quam saepe petet vinapiperque cocus! (O quanto spesso il cuocochiederà [di usare] vini e pepe, perchésappiano di qualcosa queste insulse [fatu-ae] bietole, adatte a cibar artigiani[fabri]!) Il vino e il pepe si usano insiemeancor oggi nel fare i salumi.E sfarfuié ‘farfugliare’? La prima parte è*ex+fari, “parlar fuori…”: così sfarfuié inuna sorta di frequentativo è il ‘chiac-chiericcio’ insistente, che non comunicanulla, ma ricorda i rumori ovattati deiboschi frequentati da Fauno. Ma nellatino orale forse ci fu *farfulium; matutto era partito da un’onomatopeica f!Tira è fié (sempre f!), si dice al chiac-chierone che, per parlare, non respiranemmeno.5. Si obiettava: Com u fa un quél a noéss vera, s’ i l’ ha scrett int e’ giornèl! Larisposta era spesso: e’ giornèl u l’ scriv ifurb, par fèl lèþ ai imbezél!6. Già da piccolo all’asilo dalle suoreOrsoline cominciò a piacermi la storia,quando nei brutti pomeriggi invernaliuna suorina ci raccontava tutto suNerone che cantava mentre Roma bru-ciava; su s. Tecla, s. Agnese, s. Perpetua,s. Lucia, s. Tarcisio, s. Sebastiano, s.Pancrazio, s. Lorenzo, ecc.; uccisi inmille modi. Tutto era illustrato damelense stampe affisse in alto sopra leporte e cambiate ogni volta. I più atten-ti il sabato pomeriggio erano ammessiin cucina a mangiare i ritagli delle ostiepreparate per il giorno dopo: acsé lisparagneva enca int al caraméli! Ma, incortile col bel tempo tra di noi ci tirava-mo i giaról. A qualcuno ogni tanto cor-reva in testa un rivolo di sangue. Unavolta la Biciona, che aiutava le suore, cisgridò: ma, burdèl, chi v’ha insignì a fèi catìv e a tirév tra vuìter dal sasèdi?Uno di noi, nella sua ingenuasfrontatezza rispose: L’è stè chi birichìndi pagani! Anche le belle storie dei santimartirizzati possono insegnare a fare ilmale, specie se il diavolo c’induce atifare per Nerone. E poi non esitano adire: Historia est magistra vitae!

Rubrica curata daAddis Sante Meleti

Civitella 1936 - Forlì 2019

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la Ludla12 Maggio 2020 - N. 5

Al mascarin

di Arrigo Casamurata - Forlì

I conta ch’ l’è sucës a e’ pôr Pirin;ch’ e’ sipa, ad bòta, ad tësta, turnê indrì.Ló, ch’ e’ faseva, in zir, i marcadindi lìvar vêc, l’ è stê, ciô! purtê vi.

Adës l’arcôrda sol i “giurnalin”di su témp, cun Bibò e cun Bibì;e, quând ch’ l’ha vest ch’ j ha tot al mascarin,u n’ sa quel ch’ l’è sucës e l’è invurnì.

L’ è andê fura de mond e l’ha paura.Nénca da sveg, l’è mëz indurmintê:e’ ved Mandrake cun la su muntura,

e Cino e Franco... U n’ fa êt’ che sugnê’i vec “fumet”; tot quent u j tira fura;mo, pió che êtar “l’Óman Mascarê”

Le mascherine

Raccontano che è successo al povero Pietro; / che abbia avuto ladisgrazia di essere colpito da “Demenza Senile”. / Lui, che eser-citava, nei vari “mercatini”, / il venditore di vecchi libri, è stato,purtroppo, ricoverato. // Adesso ha in mente solo i giornaletti /dei suoi tempi con Bibò e Bibì; / e (da) quando ha visto cheindossano tutti una mascherina, / non capisce cosa sia successoed è sbalordito. // Si trova fuori dal mondo ed ha paura. /Anche da desto è in uno stato di dormiveglia: / vede Mandrakenel suo solito abbigliamento; // e Cino, e Franco… Non fa altroche sognare / i vecchi “fumetti”; tutti li rivede; / ma, più chealtro, l’Uomo mascherato.

Intènt e mi fiôm…

di Alessandro Casali - VerucchioU m’è vnù un pansir trèstquend ch’a sò‘rvanz mèst:‘e fiôm u’s n’andéva lizìrvers e’ mer, e e’ mônd intìr.

Mintri po’ che la naturala incantèva ogn’arvoura,

la’s spusèva si su culoure sé: l’am cambièva e’ côr.

Intènt ch’a sera srè e strètt,luntén da tôtt i mi’ affètt,in tla prisoun de mi’ pansìr,la louna cuntèva i respìr.

Lia, la m’aspiteva al nòvtott i de, e po’ ènch ‘d’arnôv,chèra e dolz cm’e la mi’ mamasn’abraz dolz, d’i quei ch'i t’ama.

Dop du meis a j’ho pù pruvèad scapè, ad corr, ad camnè,e cl’erba stila, fresca ad taj,l’era prounta par e via vai.

E fiôm gentil l’era dalong,l’era carghé d’i sogn de’ mônd:u m’ha fina dett (s’an mi sbaj)ch’la primavera la n mor mai.

Intanto il mio fiume...

Mi è venuto un pensiero triste / quando sono rimasto mesto: /il fiume se ne andava leggero / verso il mare, e il mondo intero.// Mentre poi che la natura / incantava ogni anfratto / si spo-sava con i suoi colori / e sì: mi cambiava il cuore. // Intantoche ero chiuso e stretto, / lontano da tutti i miei affetti, / nellaprigione dei miei pensieri, / la luna contava i respiri. // Lei, mi

La poesia nei tempi

del Corona - II

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13la Ludla Maggio 2020 - N. 5

aspettava alle nove / tutti i giorni, e poi anche di nuovo, / carae dolce come la mia mamma / con un abbraccio dolce, di quel-li che ti amano. // Dopo due mesi, ci ho potuto provare / aduscire, a correre, a camminare, / e quell'erba sottile, fresca ditaglio, / era pronta per il via vai. // Il fiume gentile era lì diste-so / caricato dei sogni del mondo: / mi ha persino detto (se nonvado errato) / che la primavera non muore mai.

La scampagneda

di Checco Guidi - Serravalle di San Marino

Adès spieghél vuilt a m’e’ mi chén,che l’ha un giudizji piò ch’u n è un cris-cén,ch’u j è e’ coronavirus ma cli strèdie ch’l’è pruibid camnè ... fè al pasigédi!

Adès pruvèi vuilt, j i a l’ho già fàt,mo lu um guèrda cum ch’a fos dvènt màt ...el gira, um strésa, um léca ... um vin d’intànda,sa j ucc e sa la còuda u s’aracmànda.

A circ at tot i mòdi at fèm capì:“Ui vo’ pacinza ... u j è la pandemì ... U n s vid un chén in gir gnènca a paghéle te chi t’ pèns da èsa ... tcì e’ piò bèl?”

Mo lu l’arpènsa ma cli scampagnédi,quand l’anusèva ... e e fèva cént pisèdi,e a volti a c’imbatimji sna cagnina ...e u i lasèva j ucc quand la era blina!

Adès al vég ‘vilid a t’el giardoine u m guèrda mèl s’a m fèrmi s’u scaloin,e furs at stè mumènt at cunfusiòunl’ansogna da ciarchés un ènt padroun!

La scampagnata

Adesso spiegatelo voi al mio cane, / che ha giudizio più cheun cristiano, / che c’è il coronavirus su quelle strade / e cheè proibito camminare ... fare le passeggiate! // Adesso prova-

teci voi, io l’ho già fatto, / ma lui mi guarda come fossi diven-tato matto ... / gira, striscia, mi lecca ... mi viene intorno, /con gli occhi e con la coda si raccomanda. // Cerco in tuttele maniere di farmi capire: / “Ci vuole pazienza. ... c’è lapandemia ... / non si vede un cane in giro neanche a pagar-lo, / e tu chi credi di essere ... sei il più bello?” // Ma luiripensa a quelle scampagnate, / quando annusava ... e face-va cento pisciate, / e a volte incontravamo una cagnolina .../ e le lasciava gli occhi quando era bella! // Adesso lo vedoavvilito nel giardino / e mi guarda male se mi siedo sullo sca-lino, / e forse in questo momento di confusione / sogna di cer-carsi un altro padrone!

Il virus Covid-19

di Lia Fabi - Forlì

L’è arivè all’impruvisa, cun ‘na fulèda ad vent, zirend par tot e’ mond a tota câna, lasend i óman ad sas e spavinté,pinsend ad dei una lezion. Mo ló j è i là chi stugia tót insene i truvarà e’ môd ad mandêl vi, parchè i óman bon i sarà par sèmpar i gvargien dla tëra e i la tnirà strèta int e’ su cor!

Il virus Covid-19

È arrivato, all’improvviso, / con una folata di vento, / girandoper tutto il mondo / veloce e silenzioso, / lasciando gli uominiimpietriti / e spaventati, / pensando di dar loro una lezione. /Loro, però, sono là che studiano / tutti insieme / e troverannoil modo / di sconfiggerlo, / perché gli uomini buoni / saranno,per sempre, / i custodi della terra / e la terranno protetta / nelloro cuore!

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la Ludla14 Maggio 2020 - N. 5

A proposito del bellissimo articolo diGiorgio Paganelli sul viaggio di AlanLomax in Romagna, del quale ho siail cd che il libro del Saggiatore, nelladocumentazione dei due ricercatorila mancanza del supporto di filmati èuna lacuna evidente mentre è ricca difotografie e naturalmente di registra-zioni sonore. Di questo se ne crucciòpoi in seguito lo stesso Carpitella inspecial modo per le danze. Infattidisse che le danze oltre che ad essereeseguite dai gruppi, a Longiano quiin Romagna, erano eseguite sponta-neamente anche da persone che sierano avvicinate ai suonatori durantela registrazione. Un vero peccato.

Franco Baldisseri - Imola

Da mia Nonna Silvia Zannoni(soprannome della famiglia “I Catù-ra”), nata in Via Cogollo a Bagnaca-vallo nel 1892, ho ereditato questimodi di dire.• Di una persona molto avara sidiceva: U n t’dà gneanch un Crest dabaðê “È così avaro/a ed insensibileche non ti fa neppure baciare ilcrocefisso del rosario”, ma si pote-va dire anche di un prete, piùincline all’interesse che al propriomagistero.• A proposito di un fiero bestemmia-tore: E’dgeva dal biastemm ch’l’apiéva lapepa “Diceva delle bestemmie tali etante da accendere la pipa”.

• Un oggetto molto costoso: E’ gostal’occ d’un sguerz! “È tanto costoso eprezioso quanto può esserlo l’unicoocchio sano per un guercio”.• Una persona superba, altezzosa osupponente e piena di sé L’è sèmpar apéra di cop! “Vuol sempre essere all’al-tezza dei coppi”, cioè del tetto.• In periodi molto duri per le condi-zioni di vita precarie (carestie, guerre,momenti economici difficili) si dice-va: Bsogna tnì e’ cul impët a l’ësa. “Biso-gna tenere il sedere di fronte all’asse”.È un detto molto antico, sembrascurrile, volgare , ma era pronunciatocon molta serietà. Rende visivamentechi cerca di stare seduto e spingerecon tutto il suo peso sull’asse dellamadia? Sull’asse della panca perchénon c’è nulla da fare? Sull’asse di uncarro per andarsene o fare San Marti-no (essere trasferiti a lavorare sottoaltro padrone)? Spingere con il sederecontro l’asse per tener chiuso unrecinto, perché non fuoriescano ani-mali da cortile o non entri qualcunoa rubare? Purtroppo il significato nonè mai stato chiaro, né spiegato, masembrava sempre un’amara e fatalenecessità a cui bisognava adeguarsisenza replica, né scampo.

Oretta Minguzzi - Cesena

Nove indovinelli in dialetto. Alcuni sonosemplici, altri più difficili. Pensate benealla soluzione e se non ci riuscite provatea chiedere l’aiuto di un adulto.

1.La j ha una schéna dura a baléna,la pôrta l’alèss, l’aròst e e’ stufê;la sént l’udôr mo la n’ pò magnê’.2.Zènt pió zènt e zènt incóra,e pu sânta e zencv par þontapar ciumpì’ tota la conta;mo ignatânt i n’ basta e alóraa i n mët un êtar sóra.3.Piluson e’ guêrda e’ guêrdachi bel quel lighei int al trêv:s’e’ tirèss ‘na scòssa ‘d vent,Piluðon e’ sarep cuntent.4.Lo e’ va e li la ven.5.Qui ch’ la fa, i la fa da vèndar;qui ch’ la compra i n’ la drôva;qui ch’ la drôva i n’ la ved.

6.U j è do surëli ch’al s’ guêrda sèmpare a n’ s’ariva mai.7.E’ sgnor Pir e la sgnora Pira,lo u s’ va a lët e li la s’ liva;e, par fëj un bon dispët,lo u s’ liva quând che li la s’ va a lët.8.Cs’ël che cvël che e’ dè l’è in parsone la nöta in libartê?9.Cun pió ch’u j n’ècun mânch i sorgh i mâgna.

Pagina a cura di Rosalba Benedetti

Pri piò

znen

1) La têvla; 2) I dè dl’ân; 3) Gat e salèm; 4)Grân e farena; 5) La casa da môrt;6) Al riv de’fös; 7) Sol e lona; 8) E’ pè; 9) I buð de’ furmaj.

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la Ludla 15Maggio 2020 - N. 5

Quel ch’u i vô

Chëpar: qui ch’i sta int un pogn ben screch da la su acvaAciugh: ona o doPidarsul: una bona dôðaBaðelg: una quica fojaZola: un biðininAj: giost l’udor

Cuma ch’u s fa

Tridì ben ben tot j ingredient fena a fê quesi una papina esol adës slunghila cun ôli bon e sugh ad limon. Sta sêlsa lasta ben ben cun l’ales e cun e’ pes o sora di crusten comaantipast.

Sêlsa verda

Al rizët dla sgnora Maria

Crustin ad figatin e aciugh

Quel ch’u i vô

Figatin ad pol: duAciugh sota sêl: ona

Cuma ch’u s fa

Purtì vi senza ròmpal e’ sachitin de’ fél da i figatin e laviiben ben. Mitij a cùðar cun e’ butì a fugh bas e quând ch’iavrà surbì e’ butì bagnii cun un pô d’brôd aþunþend unapreða ad pévar, ma gnint sêl. Tridii insen cun l’aciuga lavê-da e pulida. Purtì e’ batu int e’ tigiamin indo’ ch’a ‘vi cöt ifigatin e mitil a fugh bas bas cun de’ butì e scaldil senza fêlbulì. Adës l’è pront par i crustin.

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la Ludla16

«la Ludla», periodico dell’Associazione Istituto Friedrich Schürr • Editore «Il Ponte Vecchio», Cesena • Stampa: «il Papiro», CesenaDirettore responsabile: Ivan Miani • Direttore editoriale: Gilberto Casadio

Redazione: Paolo Borghi, Roberto Gentilini, Giuliano Giuliani • Segretaria di redazione: Veronica Focaccia Errani

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Qualcuno, magari in modo estemporaneo ma sotto deter-minati aspetti accettabile e non troppo lontano dai fatti,asserisce che l’uomo - tanto più se scrittore o poeta - altronon è che il prospetto del suo modo d’esprimersi, e que-sto considerando che proprio la facoltà di comunicarenon soltanto per mezzo di segnali visivi, sonori e olfattivi,bensì tramite un effettivo linguaggio è, in sostanza, ciòche più adeguatamente lo contraddistingue e lo qualifica.Ne forniscono conferma i versi di questa pagina 16 neiquali Lidiana Fabbri mette in luce le sue afflizioni serven-dosi di un personale e sintomatico corpo di parole, capa-ci senza alcun dubbio di porre in oggettivo risalto non unepidermico compendio di rimostranze magari confutabi-li, bensì un insieme assiduo di consuetudini e di incom-benze esplicite, grevi e all’altezza di rendere spesso e volen-tieri malaccette agli interessati - nel caso corrente, tuttavia,solo al presunto sesso debole - le funzioni e le responsabi-lità implicite nel vivere quotidiano.Il tema affrontato scaturisce dal proposito, più che deter-minato nell’autrice, di considerare da quella visuale adampio raggio che da sempre si manifesta quale privilegio

specifico della poesia, le vicissitudini che colmano la con-venzionalità caparbia di un’esistenza coniugata al femmi-nile, sublimando in versi le tensioni e i disinganni insitisenza tregua nella concretezza frustrata di tutti i giorni.È il dialogo sconsolato e deluso, questo, di una donna chevede le proprie aspettative e i connessi ideali allontanarsisenza remissione, incalzati e angariati dal grigiore di untrantran disadorno e gravato da un cumulo di faccendeordinarie che si replicano all’infinito, confermando il tra-collo ineludibile di gran parte delle precedenti ed intrin-seche aspirazioni. L’insieme simboleggiato dal luogo in cui vanno a finiretante lacrime disilluse, quell’anacronistica “scafa” emble-ma di un ruolo dimesso, pseudo-elettivo, e in linea di mas-sima accollato a una platea muliebre, che tale fardellosarebbe senz’altro disposta quanto meno a condividere.Tutto ciò fa della poesia in oggetto un mezzo in grado diappagare in forma esaustiva la necessità, perentoria nel-l’autrice, di aprirsi e in fin dei conti di tener duro, facen-do fronte in tal modo ai turbamenti dell’esistenza e algeneralizzato grigiore che identifica, a tratti, specificiaspetti dei suoi percorsi. Questo in virtù di un colloquio finalizzato a stimolare l’in-trospezione, e sorretto da una presa di coscienza consape-vole e affatto consona all’intento di inquadrare e porre inoggettivo risalto, compositi aspetti di una realtà femmini-le quantomeno sottaciuta. Paolo Borghi

Di dè

U i sarà stè di dè che ò det ad séinvici a vliva dì ad nà.

U i è stè di dè che an vlivane’ stirè ne’ parcè.

Dièlt dè a vliva andè a spasma po’ a so’ arvènza dèntra chésa.

A t’e’ zur, quand i dulur is mucèvai èra una masa i guzlùnch’i caschèva dentra e’ scafòninsem sla s-ciomma dl’aquaintènt ch’ a lavèva i piat…

Dei giorni Ci saranno stati dei giorni che ho detto di sì / invece volevo dire di no. // Ci sono stati dei giorni che non volevo / né stirare néapparecchiare. // Altri giorni volevo andare a spasso / ma poi sono restata a casa. // Te lo giuro quando i dolori si ammucchiavano / eranotante le lacrime / che cadevano dentro il lavandino / assieme alla schiuma dell’acqua / mentre lavavo i piatti…

Maggio 2020 - N. 5

Lidiana Fabbri

Tra lóm e scur