DANTE ALIGHIERI. rime...rtf

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DANTE ALIGHIERI. rime... seguiranno commenti su dante e le sue opere... dal fiore. TRASCRIZIONE ELETTRONICA - PER I NON VEDENTI - CURATA DA: EZIO GALIANO. L'amante. Quand'io vidi i marosi s 'nforzare Per lo vento a Provenza che ventava, Che alberi e vele e ncole fiaccava, E nulla mi valea il ben governare, Fra me medesmo comincia' a pensare Che era follia se pi navicava, Se quel maltempo prima non passava Che dal buon porto mi fac' alungiare: S che io allor m'ancolai a una piaggia, Veggendo che io non potea entrar in porto: La terra mi parea molto salvaggia. Io vi vernai co molto disconforto. Non sa che mal si sia chi non asaggia Di quel d'Amor, ond' io fu' quasi morto. dalle rime... La vecchia. E s'ella nonn- bella di visaggio, Cortesemente lor torni la testa. E s lor mostri, sanza far aresta. Le belle bionde treccie d'avantaggio. Se non son bionde, tingale in erbaggio E a l'uovo e po' vada a nozze e a festa; E, quando va, si muova s a sesta Che al su' muover nonn-abbia punt'oltraggio. E gentamente vada balestrando Intorno a ss cogli occhi a chi la guarda, E 'l pi che puote ne vad'acrocando. Faccia sembianti che molto le tarda Ched ella fosse tutta al su' comando. Ma d'amar nullo non fosse musarda. a ciascuana alma... A ciascun'alma presa, e gentil core, nel cui cospetto ven lo dir presente, in ci che mi rescrivan suo parvente, salute in lor segnor, cio Amore. Gi eran quasi che atterzate l'ore del tempo che onne stella n' lucente, quando m'apparve Amor subitamente, cui essenza membrar mi d orrore. Allegro mi sembrava Amor tenendo meo core in mano, e ne le braccia avea madonna involta in un drappo dormendo. Poi la svegliava, e d'esto core ardendo lei paventosa umilmente pascea: appresso gir lo ne vedea piangendo. o voi... O voi, che per la via d'Amor passate, attendete e guardate s'elli dolore alcun, quanto 'l mio, grave; e prego sol ch'audir mi sofferiate, e poi imaginate s'io son d'ogni tormento ostale e chiave. Amor, non gi per mia poca bontate, ma per sua nobiltate,

mi pose in vita s dolce e soave, ch'io mi sentia dir dietro spesse fiate: Deo, per qual dignitate cos leggiadro questi lo core have?W Or ho perduta tutta mia baldanza, che si movea d'amoroso tesoro; ond'io pover dimoro, in guisa che di dir mi ven dottanza. S che volendo far come coloro che per vergogna celan lor mancanza, di fuor mostro allegranza, e dentro dallo core struggo e ploro. piangete... Piangete, amanti, poi che piange Amore, udendo qual cagion lui fa plorare. Amor sente a Piet donne chiamare, mostrando amaro duol per li occhi fore, perch villana Morte in gentil core ha miso il suo crudele adoperare, guastando ci che al mondo da laudare in gentil donna sovra de l'onore. Audite quanto Amor le fece orranza, ch'io 'l vidi lamentare in forma vera sovra la morta imagine avenente; e riguardava ver lo ciel sovente, ove l'alma gentil gi locata era, che donna fu di s gaia sembianza. morte... Morte villana, di piet nemica, di dolor madre antica, giudicio incontastabile gravoso, poi che hai data matera al cor doglioso, ond'io vado pensoso, di te blasmar la lingua s'affatica. E s'io di grazia ti vi far mendica, convnesi ch'eo dica lo tuo fallar d'onni torto tortoso, non per ch'a la gente sia nascoso, ma per farne cruccioso chi d'amor per innanzi si notrica. Dal secolo hai partita cortesia e ci ch' in donna da pregiar vertute: in gaia gioventute distrutta hai l'amorosa leggiadria. Pi non vi discovrir qual donna sia che per le propiet sue canosciute. Chi non merta salute non speri mai d'aver sua compagnia. cavalcando... Cavalcando l'altr'ier per un cammino, pensoso de l'andar che mi sgradia, trovai Amore in mezzo de la via in abito leggier di peregrino. Ne la sembianza mi parea meschino, come avesse perduta segnoria; e sospirando pensoso venia, per non veder la gente, a capo chino. Quando mi vide, mi chiam per nome, e disse: Io vegno di lontana parte, ov'era lo tuo cor per mio volere;

e rcolo a servir novo piacereW. Allora presi di lui s gran parte, ch'elli disparve, e non m'accorsi come. ballata... Ballata, i' vo' che tu ritrovi Amore, e con lui vade a madonna davante, s che la scusa mia, la qual tu cante, ragioni poi con lei lo mio segnore. Tu vai, ballata, s cortesemente, che sanza compagnia dovresti avere in tutte parti ardire; ma se tu vuoli andar sicuramente, retrova l'Amor pria, ch forse non bon sanza lui gire; per che quella che ti dee audire, s com'io credo, ver di me adirata: se tu di lui non fossi accompagnata, leggeramente ti faria disnore. Con dolze sono, quando se' con lui, comincia este parole, appresso che averai chesta pietate: Madonna, quelli che mi manda a vui, quando vi piaccia, vole, sed elli ha scusa, che la m'intendiate. Amore qui, che per vostra bieltate lo face,come vol,vista cangiare: dunque perch li fece altra guardare pensatel voi, da che non mut 'l coreW. Dille: Madonna, lo suo core stato con s fermata fede, che 'n voi servir l'ha 'mpronto onne pensero: tosto fu vostro, e mai non s' smagatoW. Sed ella non ti crede, d che domandi Amor, che sa lo vero: ed a la fine falle umil preghero, lo perdonare se le fosse a noia, che mi comandi per messo ch'eo moia, e vedrassi ubidir ben servidore. E d a colui ch' d'ogni piet chiave, avante che sdonnei, che le sapr contar mia ragion bona: Per grazia de la mia nota soave reman tu qui con lei, e del tuo servo ci che vuoi ragiona; e s'ella pel tuo prego li perdona, fa che li annunzi un bel sembiante paceW. Gentil ballata mia, quando ti piace, movi in quel punto che tu n'aggie onore. tutti li miei pensier... Tutti li miei pensier parlan d'Amore; e hanno in loro s gran varietate, ch'altro mi fa voler sua potestate, altro folle ragiona il suo valore, altro sperando m'aporta dolzore, altro pianger mi fa spesse fiate; e sol s'accordano in cherer pietate, tremando di paura, che nel core. Ond'io non so da qual matera prenda; e vorrei dire, e non so ch'io mi dica: cos mi trovo in amorosa erranza.

E se con tutti vi far accordanza, convnemi chiamar la mia nemica, madonna la Piet, che mi difenda. con l'alre donne... Con l'altre donne mia vista gabbate, e non pensate, donna, onde si mova ch'io vi rassembri s figura nova quando riguardo la vostra beltate. Se lo saveste, non pora Pietate tener pi contra me l'usata prova, ch Amor, quando s presso a voi mi trova, prende baldanza e tanta securtate, che fre tra' miei spiriti paurosi, e quale ancide, e qual pinge di fore, s che solo remane a veder vui: ond'io mi cangio in figura d'altrui, ma non s ch'io non senta bene allore li guai de li scacciati tormentosi. ci che m'incontra... Ci che m'incontra ne la mente, more, quand'i' vegno a veder voi, bella gioia; e quand'io vi son presso, i' sento Amore che dice: Fuggi, se 'l perir t' noiaW. Lo viso mostra lo color del core, che, tramortendo, ovunque p s'appoia; e per la ebriet del gran tremore le pietre par che gridin: Moia, moiaW. Peccato face chi allora mi vide, se l'alma sbigottita non conforta, sol dimostrando che di me li doglia, per la piet, che 'l vostro gabbo ancide, la qual si cria ne la vista morta de li occhi, c'hanno di lor morte voglia. spesse fiate... Spesse fiate vgnonmi a la mente le oscure qualit ch'Amor mi dona, e vnnemi piet, s che sovente io dico: Lasso! avvien elli a persona?W; ch'Amor m'assale subitanamente, s che la vita quasi m'abbandona: cmpami uno spirto vivo solamente, e que' riman, perch di voi ragiona. Poscia mi sforzo, ch mi voglio atare; e cos smorto, d'onne valor vto, vegno a vedervi, credendo guerire: e se io levo li occhi per guardare, nel cor mi si comincia uno tremoto, che fa de' polsi l'anima partire. donne ch'avete intelletto... Donne ch'avete intelletto d'amore, i' vo' con voi de la mia donna dire, non perch'io creda sua laude finire, ma ragionar per isfogar la mente. Io dico che pensando il suo valore, Amor s dolce mi si fa sentire, che s'io allora non perdessi ardire, farei parlando innamorar la gente: E io non vo' parlar s altamente, ch'io divenisse per temenza vile; ma tratter del suo stato gentile

a respetto di lei leggeramente, donne e donzelle amorose, con vui, ch non cosa da parlarne altrui. Angelo clama in divino intelletto e dice: Sire, nel mondo si vede maraviglia ne l'atto che procede d'un'anima che 'nfin quass risplendeW. Lo cielo, che non have altro difetto che d'aver lei, al suo segnor la chiede, e ciascun santo ne grida merzede. Sola Piet nostra parte difende, ch parla Dio, che di madonna intende: Diletti miei, or sofferite in pace che vostra spene sia quanto me piace l ov' alcun che perder lei s'attende, e che dir ne lo inferno: O malnati, io vidi la speranza de' beatiW. Madonna disiata in sommo cielo: or vi di sua virt farvi savere. Dico, qual vuol gentil donna parere vada con lei, ch quando va per via, gitta nei cor villani Amore un gelo, per che onne lor pensero agghiaccia e pre; e qual soffrisse di starla a vedere diverria nobil cosa, o si morria; E quando trova alcun che degno sia di veder lei, quei prova sua vertute, ch li avvien ci che li dona salute, e s l'umilia ch'ogni offesa oblia. Ancor l'ha Dio per maggior grazia dato che non p mal finir chi l'ha parlato. Dice di lei Amor: Cosa mortale come esser p s adorna e s pura?W Poi la reguarda, e fra se stesso giura che Dio ne 'ntenda di far cosa nova. Color di perle ha quasi in forma, quale convene a donna aver, non for misura; ella quanto de ben p far natura; per esemplo di lei bielt si prova. De li occhi suoi, come ch'ella li mova, escono spirti d'amore inflammati, che fron li occhi a qual che allor la guati, e passan s che 'l cor ciascun retrova: voi le vedete Amor pinto nel viso, l 've non pote alcun mirarla fiso. Canzone, io so che tu girai parlando a donne assai, quand'io t'avr avanzata. Or t'ammonisco, perch'io t'ho allevata per figliuola d'Amor giovane e piana, che l ove giugni tu dichi pregando: Insegntemi gir, ch'io son mandata a quella di cui laude so' adornataW. E se non vuoli andar s come vana, non restare ove sia gente villana; inggnati, se puoi, d'esser palese solo con donne o con omo cortese, che ti merranno l per via tostana. Tu troverai Amor con esso lei; raccomndami a lui come tu dei. amore e 'l cor gentil...

Amore e 'l cor gentil sono una cosa, s come il saggio in suo dittare pone, e cos esser l'un sanza l'altro osa com'alma razional sanza ragione. Flli natura quand' amorosa, Amor per sire e 'l cor per sua magione, dentro la qual dormendo si riposa tal volta poca e tal lunga stagione. Bieltate appare in saggia donna pui, che piace a gli occhi s, che dentro al core nasce un disio de la cosa piacente; e tanto dura talora in costui, che fa svegliar lo spirito d'Amore. E simil fce in donna omo valente. negli occhi... Negli occhi porta la mia donna Amore, per che si fa gentil ci ch'ella mira; ov'ella passa, ogn'om vr lei si gira, e cui saluta fa tremar lo core, s che, bassando il viso, tutto smore, e d'ogni suo difetto allor sospira: fugge dinanzi a lei superbia ed ira. Aiutatemi, donne, farle onore. Ogne dolcezza, ogne pensero umile nasce nel core a chi parlar la sente, ond' laudato chi prima la vide. Quel ch'ella par quando un poco sorride, non si p dicer n tenere a mente, s novo miracolo e gentile. voi che portate... Voi, che portate la sembianza umile, con li occhi bassi mostrando dolore, onde venite che 'l vostro colore par divenuto de piet simile? Vedeste voi nostra donna gentile bagnar nel viso suo di pianto Amore? Ditelmi, donne, che 'l mi dice il core, perch'io vi veggio andar sanz'atto vile. E se venite da tanta pietate, picciavi di restar qui meco alquanto, e qual che sia di lei no 'l mi celate. Io veggio li occhi vostri c'hanno pianto, e vggiovi tornar s sfigurate, che 'l cor mi triema di vederne tanto. se' tu colui... Se' tu colui, c'hai trattato sovente di nostra donna, sol parlando a nui? Tu risomigli a la voce ben lui, ma la figura ne par d'altra gente. E perch piangi tu s coralmente, che fai di te piet venire altrui? Vedest pianger lei, che tu non pui punto celar la dolorosa mente? Lascia pianger a noi e triste andare (e fa peccato chi mai ne conforta), che nel suo pianto l'udimmo parlare. Ell'ha nel viso la piet s scorta, che qual l'avesse voluta mirare sarebbe innanzi lei piangendo morta. donna pietosa...

Donna pietosa, e di novella etate, adorna assai di gentilezze umane, che era l 'v'io chiamava spesso Morte, veggendo li occhi miei pien di pietate, e ascoltando le parole vane, si mosse con paura a pianger forte; E altre donne, che si fuoro accorte di me per quella che meco piangia, fecer lei partir via, e appressrsi per farmi sentire. Qual dicea: Non dormireW, e qual dicea: Perch s ti sconforte?W Allor lassai la nova fantasia, chiamando il nome de la donna mia. Era la voce mia s dolorosa e rotta s da l'angoscia del pianto, ch'io solo intesi il nome nel mio core; e con tutta la vista vergognosa ch'era nel viso mio giunta cotanto, mi fece verso lor volgere Amore. Elli era tale a veder mio colore, che facea ragionar di morte altrui: Deh, consoliam costui,W pregava l'una l'altra umilemente; e dicevan sovente: Che vedest, che tu non hai valore?W E quando un poco confortato fui, io dissi: Donne, dicerollo a vui. Mentr'io pensava la mia frale vita, e vedea 'l suo durar com' leggero, pinsemi Amor nel core, ove dimora; per che l'anima mia fu s smarrita, che sospirando dicea nel pensero: - Ben converr che la mia donna mora! Io presi tanto smarrimento allora, ch'io chiusi li occhi vilmente gravati, e furon s smagati li spirti miei, che ciascun giva errando; e poscia imaginando, di conoscenza e di verit fora, visi di donne m'apparver crucciati, che mi dicean pur: - Morrti, morrti -. Poi vidi cose dubitose molte, nel vano imaginare ov'io entrai; ed esser mi parea non so in qual loco, e veder donne andar per via disciolte, qual lagrimando, e qual traendo guai, che di tristizia saettavan foco. Poi mi parve vedere a poco a poco turbar lo sole ed apparir la stella, e pianger elli ed ella; cader li augelli volando per l're, e la terra tremare; ed omo apparve scolorito e fioco, dicendomi: - Che fai? Non sai novella? morta la donna tua, ch'era s bella -. Levava li occhi miei bagnati in pianti, e vedea (che parean pioggia di manna) li angeli che tornavan suso in cielo, ed una nuvoletta avean davanti,

dopo la qual gridavan tutti: ~Osanna~; e s'altro avesser detto, a voi dirlo. Allor diceva Amor: - Pi nol ti celo; vieni a veder nostra donna che giace. Lo imaginar fallace mi condusse a veder madonna morta; e quand'io l'avea scorta, vedea che donne la covran d'un velo; ed avea seco umilit verace, che parea che dicesse: - Io sono in pace. Io divenia nel dolor s umile, veggendo in lei tanta umilt formata, ch'io dicea: - Morte, assai dolce ti tegno; tu di omai esser cosa gentile, poi che tu se' ne la mia donna stata, e di aver pietate e non disdegno. Vedi che s desideroso vegno d'esser de' tuoi, ch'io ti somiglio in fede. Vieni, ch 'l cor te chiede.Poi mi parta, consumato ogne duolo; e quand'io era solo, dicea, guardando verso l'alto regno: - Beato, anima bella, chi te vede! Voi mi chiamaste allor, vostra merzede.W io mi senti'... Io mi senti' svegliar dentro a lo core un spirito amoroso che dormia: e poi vidi venir da lungi Amore allegro s, che appena il conoscia, dicendo: Or pensa pur di farmi onoreW; e ciascuna parola sua ridia. E poco stando meco il mio segnore, guardando in quella parte onde venia, io vidi monna Vanna e monna Bice venir invr lo loco l ov'io era, l'una appresso de l'altra maraviglia; e s come la mente mi ridice, Amor mi disse: Quell' Primavera, e quell'ha nome Amor, s mi somigliaW. vede perfettamente... Vede perfettamente ogne salute chi la mia donna tra le donne vede; quelle che vanno con lei son tenute di bella grazia a Dio render merzede. E sua bieltate di tanta vertute, che nulla invidia a l'altre ne procede, anzi le face andar seco vestute di gentilezza d'amore e di fede. La vista sua fa ogne cosa umile; e non fa sola s parer piacente, ma ciascuna per lei riceve onore. Ed ne li atti suoi tanto gentile, che nessun la si pu recare a mente, che non sospiri in dolcezza d'amore. s lungiamente... S lungiamente m'ha tenuto Amore e costumato a la sua segnoria, che s com'elli m'era forte in pria, cos mi sta soave ora nel core. Per quando mi tolle s 'l valore

che li spiriti par che fuggan via, allor sente la frale anima mia tanta dolcezza, che 'l viso ne smore, poi prende Amore in me tanta vertute, che fa li miei sospiri gir parlando, ed escon for chiamando la donna mia, per darmi pi salute. Questo m'avene ovunque ella mi vede, e s cosa uml, che nol si crede. li occhi dolenti... Li occhi dolenti per piet del core hanno di lagrimar sofferta pena, s che per vinti son remasi omai. Ora, s'i' voglio sfogar lo dolore, che a poco a poco a la morte mi mena, convnemi parlar traendo guai. E perch me ricorda ch'io parlai de la mia donna, mentre che vivia, donne gentili, volontier con vui, non vi parlare altrui, se non a cor gentil che in donna sia; e dicer di lei piangendo, pui che si n' gita in ciel subitamente, e ha lasciato Amor meco dolente. Ita n' Beatrice in l'alto cielo, nel reame ove li angeli hanno pace, e sta con loro, e voi, donne, ha lassate: no la ci tolse qualit di gelo n di calore, come l'altre face, ma solo fue sua gran benignitate; ch luce de la sua umilitate pass li cieli con tanta vertute, che f maravigliar l'etterno sire, s che dolce disire lo giunse di chiamar tanta salute; e flla di qua gi a s venire, perch vedea ch'esta vita noiosa non era degna di s gentil cosa. Partssi de la sua bella persona, piena di grazia, l'anima gentile, ed ssi gloriosa in loco degno. Chi no la piange, quando ne ragiona, core ha di pietra s malvagio e vile, ch'entrar no 'i puote spirito benegno. Non di cor villan s alto ingegno, che possa imaginar di lei alquanto, e per no li ven di pianger doglia; ma ven trestizia e voglia di sospirare e di morir di pianto, e d'onne consolar l'anima spoglia, chi vede nel pensero alcuna volta quale ella fue, e com'ella n' tolta. Dnnomi angoscia li sospiri forte, quando 'l pensero ne la mente grave mi reca quella che m'ha 'l cor diviso; e spesse fiate pensando a la morte, vnemene un disio tanto soave, che mi tramuta lo color nel viso. E quando 'l maginar mi ven ben fiso, gignemi tanta pena d'ogne parte,

ch'io mi riscuoto per dolor ch'i' sento; e s fatto divento, che da le genti vergogna mi parte. Poscia piangendo, sol nel mio lamento chiamo Beatrice, e dico: - Or se' tu morta? -; e mentre ch'io la chiamo, me conforta. Pianger di doglia e sospirar d'angoscia mi strugge 'l core ovunque sol mi trovo, s che ne 'ncrescerebbe a chi m'audesse: e quale stata la mia vita, poscia che la mia donna and nel secol novo, lingua non che dicer lo sapesse. E per, donne mie, pur ch'io volesse, non vi saprei io dir ben quel ch'io sono, s mi fa travagliar l'acerba vita; la quale s 'nvilita, che ogn'om par che mi dica: - Io t'abbandono -, veggendo la mia labbia tramortita. Ma qual ch'io sia, la mia donna il si vede, ed io ne spero ancor da lei merzede. Pietosa mia canzone, or va piangendo, e ritruova le donne e le donzelle, a cui le tue sorelle erano usate di portar letizia; e tu, che se' figliuola di trestizia, vatten disconsolata a star con elle. venite a 'ntender... Venite a 'ntender li sospiri miei, oi cor gentili, ch piet 'l disia: li quai disconsolati vanno via, e s'e' non fosser, di dolor morrei; per che gli occhi mi sarebber rei, molte fiate pi ch'io non vorria, lasso! di pianger s la donna mia, che sfogasser lo cor, piangendo lei. Voi udirete lor chiamar sovente la mia donna gentil, che si n' gita al secol degno de la sua vertute; e dispregiar talora questa vita in persona de l'anima dolente abbandonata de la sua salute. quantunque volte... Quantunque volte, lasso! , mi rimembra ch'io non debbo giammai veder la donna ond'io vo s dolente, tanto dolore intorno 'l cor m'assembra la dolorosa mente, ch'io dico: - Anima mia, ch non ten vai? ch li tormenti che tu porterai nel secol, che t' gi tanto noio, mi fan pensoso di paura forte -. Ond'io chiamo la Morte, come soave e dolce mio riposo; e dico: - Vieni a me - con tanto amore, che sono astioso di chiunque more. E si raccoglie ne li miei sospiri un sno di pietate, che va chiamando Morte tuttavia: a lei si volser tutti i miei disiri, quando la donna mia

fu giunta da la sua crudelitate; perch 'l piacere de la sua bieltate, partendo s da la nostra veduta, divenne spirital bellezza grande, che per lo cielo spande luce d'amor, che li angeli saluta e lo intelletto loro alto, sottile face maravigliar, s v' gentile. ~Primo cominciamento~... Era venuta ne la mente mia la gentil donna che per suo valore fu posta da l'altissimo Signore nel ciel de l'umiltate, ov' Maria. ~Secondo cominciamento~... Era venuta ne la mente mia quella donna gentil cui piange Amore. Entro 'n quel punto che lo suo valore vi trasse a riguardar quel ch'eo facia. Amor che ne la mente la sentia, s'era svegliato nel destrutto core, e diceva a' sospiri: Andate foreW; per che ciascun dolente si partia. Piangendo uscivan for de lo mio petto con una voce che sovente mena le lagrime dogliose a li occhi tristi. Ma quei che n'uscian for con maggior pena, venian dicendo: Oi nobile intelletto, oggi fa l'anno che nel ciel salistiW. videro li occhi miei... Videro li occhi miei quanta pietate era apparita in la vostra figura, quando guardaste li atti e la statura ch'io faccio per dolor molte fiate. Allor m'accorsi che voi pensavate la qualit de la mia vita oscura, s che mi giunse ne lo cor paura di dimostrar con li occhi mia viltate. E tlsimi dinanzi a voi, sentendo che si movean le lagrime dal core, ch'era sommosso da la vostra vista. Io dicea poscia ne l'anima trista: Ben con quella donna quello Amore lo qual mi face andar cos piangendoW. color d'amore... Color d'amore e di piet sembianti non preser mai cos mirabilmente viso di donna, per veder sovente occhi gentili o dolorosi pianti, come lo vostro, qualora davanti vedtevi la mia labbia dolente; s che per voi mi ven cosa a la mente, ch'io temo forte no lo cor si schianti. Eo non posso tener li occhi distrutti che non reguardin voi spesse fiate, per desiderio di pianger ch'elli hanno: e voi crescete s lor volontate, che de la voglia si consuman tutti; ma lagrimar dinanzi a voi non sanno. l'amaro lagrimar...

L'amaro lagrimar che voi faceste, oi occhi miei, cos lunga stagione, facea lagrimar l'altre persone de la pietate, come voi vedeste. Ora mi par che voi l'obliereste, s'io fosse dal mio lato s fellone ch'i' non ven disturbasse ogne cagione, membrandovi colei cui voi piangeste. La vostra vanit mi fa pensare, e spavntami s, ch'io temo forte del viso d'una donna che vi mira. Voi non dovreste mai, se non per morte, la vostra donna, ch' morta, obliareW. Cos dice 'l meo core, e poi sospira. gentil pensero... Gentil pensero che parla di vui, sen vene a dimorar meco sovente, e ragiona d'amor s dolcemente, che face consentir lo core in lui. L'anima dice al cor: Chi costui, che vene a consolar la nostra mente ed la sua vert tanto possente, ch'altro penser non lascia star con nui?W Ei le risponde: Oi anima pensosa, questi uno spiritel novo d'amore, che reca innanzi me li suoi desiri; e la sua vita, e tutto 'l suo valore, mosse de li occhi di quella pietosa che si turbava de' nostri martriW. lasso!... Lasso! per forza di molti sospiri che nascon de' penser che son nel core, li occhi son vinti, e non hanno valore di riguardar persona che li miri. E fatti son che paion due disiri di lagrimare e di mostrar dolore, e spesse volte piangon s ch'Amore li 'ncerchia di corona di martri. Questi penseri, e li sospir ch'eo gitto, diventan ne lo cor s angosciosi, ch'Amor vi tramortisce, s glien dole; per ch'elli hanno in lor, li dolorosi, quel dolce nome di madonna scritto, e de la morte sua molte parole. deh! peregrini... Deh! peregrini che pensosi andate, forse di cosa che non v' presente, venite voi da s lontana gente, com'a la vista voi ne dimostrate, che non piangete quando voi passate per lo suo mezzo la citt dolente, come quelle persone che neente par che 'ntendesser la sua gravitate. Se voi restaste per volerlo audire, certo lo cor de' sospiri mi dice che lagrimando n'uscireste pui. Ell'ha perduta la sua beatrice; e le parole ch'om di lei p dire hanno vert di far piangere altrui. oltre la sfera...

Oltre la sfera che pi larga gira, passa 'l sospiro ch'esce del mio core: intelligenza nova, che l'Amore piangendo mette in lui, pur s lo tira. Quand'elli giunto l dove disira, vede una donna che riceve onore, e luce s che per lo suo splendore lo peregrino spirito la mira. Vedela tal, che quando 'l mi ridice, io no lo intendo, s parla sottile al cor dolente che lo fa parlare. So io che parla di quella gentile, per che spesso ricorda Beatrice, s ch'io lo 'ntendo ben, donne mie care. TRASCRIZIONE ELETTRONICA, PER I NON VEDENTI, A CURA DI EZIO GALIANO. DANTE ALIGHIERI. dalle Rime. (Guido, i' vorrei...). Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento e messi in un vasel che ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio, s che fortuna od altro tempo rio non ci potesse dare impedimento, anzi, vivendo sempre in un talento, di stare insieme crescesse il disio. E monna Vanna e monna Lagia poi con quella ch sul numer delle trenta con noi ponesse il buono incantatore: e quivi ragionar sempre d'amore, e ciascuna di lor fosse contenta, s come i' credo che saremmo noi. (Deh, Violetta..). Deh, Violetta, che in ombra d'Amore negli occhi miei s subito apparisti, aggi piet del cor che tu feristi, che spera in te e disiando more. Tu, Violetta, in forma pi che umana, foco mettesti dentro in la mia mente col tuo piacer cho vidi; poi con atto di spirito cocente creasti speme, che in parte mi sana l dove tu mi ridi. Deh, non guardare perch a lei mi fidi ma drizza li occhi al gran disio che m'arde, ch mille donne gi per esser tarde sentiron pena de l'altrui dolore. (Deh peregrini..). Deh peregrini che pensosi andate, forse di cosa che non v' presente, venite voi da s lontana gente com'a la vista voi ne dimostrate, che non piangete quando voi passate per lo suo mezzo la citt dolente, come quelle persone che neente par che 'ntendesser la sua gravitate? Se voi restaste per volerlo audire, certo lo cor de' sospiri mi dice

che lagrimando n'uscireste pui. Ell'ha perduta la sua beatrice e le parole che om di lei p dire hanno vert di far piangere altrui. (Sonar bracchetti..). Sonar bracchetti, e cacciatori aizzare, lepri levare ed isgridar le genti, e di guinzagli uscir veltri correnti, per belle piagge volgere e imboccare assai credo che deggia dilettare libero core e van d'intendimenti. Ed io, fra gli amorosi pensamenti, d'uno sono schernito in tale affare, e dicemi esto motto per usanza: "Or ecco leggiadria di gentil core, per una s selvaggia dilettanza lasciar le donne e lor gaia sembianza. Allor, temendo non che senta Amore, prendo vergogna onde mi ven pesanza. (Cos nel mio parlar voglio esser aspro). Cos nel mio parlar voglio esser aspro com' ne li atti questa bella petra la quale ognora impetra maggior durezza e pi natura cruda, e veste sua persona d'un diaspro tal che per lui, o perch'ella s'arretra, non esce di faretra saetta che gi mai la colga ignuda, ed ella ancide e non val che om si chiuda n si dilunghi d colpi mortali, che, com'avesser ali, giungono altrui e spezzan ciascunarme: s cho non so da lei n posso atarme. Non trovo scudo ch'ella non mi spezzi n loco che dal suo viso m'asconda: ch, come fior di fronda, cos de la mia mente tien la cima. Cotanto del mio mal par che si prezzi quanto legno di mar che non lieva onda, e 'l peso che m'affonda tal che non potrebbe adequar rima. Ahi angosciosa e dispietata lima che sordamente la mia vita scemi, perch non ti ritemi s di rodermi il core a scorza a scorza com'io di dire altrui chi ti d forza? Ch pi mi triema il cor qualora io penso di lei in parte ov'altri li occhi induca, per tema non traluca lo mio penser di fuor s che si scopra, ch'io non fo de la morte, che ogni senso co li denti d'Amor gi mi manduca: ci che il pensier bruca la lor vertu, s che n'allenta l'opra. E m'ha percosso in terra, e stammi sopra con quella spada ond'elli ancise Dido, Amore, a cui io grido merz chiamando, e umilmente il priego: ed el d'ogni merz par messo al niego. Egli alza ad ora ad or la mano, e sfida

la debole mia vita, esto perverso che disteso a riverso mi tiene in terra d'ogni guizzo stanco: allor mi surgon ne la mente strida; e il sangue, ch' per le vene disperso, fuggendo corre verso lo cor, che il chiama; ond'io rimango bianco. Elli mi fiede sotto il braccio manco s forte che il dolor nel cor rimbalza; allor dico: S'elli alza un'altra volta, Morte m'avr chiuso prima che il colpo sia disceso giuso. Cos vedess'io lui fender per mezzo lo core a la crudele che il mio squatra; poi non mi sarebb'atra la morte, ov'io per sua bellezza corro: ch tanto d nel sol quanto nel rezzo questa scherana micidiale e latra. Om, perch non latra per me, com'io per lei, nel caldo borro? ch tosto griderei: Io vi soccorro; e fareil volentier, s come quelli che ne' biondi capelli che Amor per consumarmi increspa e dora metterei mano, e piacere'le allora. S'io avessi le belle trecce prese, che fatte son per me scudiscio e ferza, pigliandole anzi terza, con esse passerei vespero e squille: e non sarei pietoso n cortese, anzi farei com'orso quando scherza e se Amor me ne sferza, io mi vendicherei di pi di mille. Ancor ne li occhi, ond'esccon le faville che m'infiammano il cor, che io porto anciso, guarderei presso e fiso, per vendicar lo fuggir che mi face, e poi le renderei con amor pace. Canzon, vattene dritto a quella donna che m'ha ferito il core e che m'invola quello ond'io ho pi gola, e dlle per lo cor d'una saetta: ch bell'onor s'acquista in far vendetta. tanto gentile... Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia, quand'ella altrui saluta, ch'ogne lingua deven tremando muta, e li occhi no l'ardiscon di guardare. Ella si va, sentendosi laudare, benignamente d'umilt vestuta; e par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare. Mstrasi s piacente a chi la mira, che d per li occhi una dolcezza al core, che 'ntender no la pu chi non la prova: e par che de la sua labbia si mova un spirito soave pien d'amore, che va dicendo a l'anima: Sospira!W seguono commenti su dante e le sua opere...

TRASCRIZIONE ELETTRONICA, PER I NON VEDENTI, A CURA DI EZIO GALIANO. DANTE ALIGHIERI. da LA VITA NOVA. Nacque a Firenze nel maggio 1265 da nobile famiglia guelfa che contava fra gli antenati un Cacciaguida, cavaliere crociato morto in Terrasanta nel 1147. Dante era ancora fanciullo quando gli mor la madre Bella, e non aveva ancora vent'anni quando perdette il padre, Alighiero secondo. Fece i suoi primi studi presso i francescani di Santa Croce e pot in seguito trarre profitto dalle dotte conversazioni di Brunetto Latini, letterato e cancelliere fiorentino. Fu amico, fra gli altri, di Guido Cavalcanti . All'et di nove anni - ed entriamo qui nel suo racconto allegorico incontr una bambina a nome Beatrice, morta poi giovanissima nel 1290. Essa fu l'ispiratrice di gran parte della sua poesia. Nel 1289 Dante combatt a Campaldino contro i ghibellini di Arezzo e assistette, nel medesimo anno, alla resa del castello pisano di Caprona. Dopo la morte di Beatrice, superato un periodo di traviamento, studi filosofia e si iscrisse a una delle Corporazioni delle Arti (quella dei Medici e Speziali), che poteva permettergli di partecipare alla vita pubblica. Probabilmente nel 1295 spos Gemma Donati, da cui ebbe sicuramente tre figli, Pietro Jacopo e Beatrice. Dante, per tradizione familiare, era guelfo. Nel travagliato periodo delle lotte civili fu eletto Priore (1300). Il priorato decr et il bando da Firenze dei capi dei due partiti rivali (i bianchi e i neri), succeduti a quelli tradizionali dei guelfi e dei ghibellini. Dante si schier per la parte bianca. Le contese non terminarono. Sicch i Neri ricorsero all'aiuto di papa Bonifacio ottavo, che invi con l'apparente compito di paciere Carlo di Valois. Forti di questo intervento, i Neri si impadronirono del potere. Cominciarono le proscrizioni. Dante, che si trovava in viaggio di ambasceria presso il pontefice, nel ritornare, apprese che era stato esiliato (1302). Cominci di qui il lungo periodo dell'esilio e delle peregrinazioni presso corti e citt. Fu ospitato, prima, dai signori della Scala a Verona, poi in Lunigiana dai marchesi Malaspina, sempre sperando che l'imperatore Arrigo settimo di Lussemburgo calasse in Italia per rimettere ordin e. Ma nel 1313 Arrigo, dopo un vano tentativo di riconquista dei comuni, mor e le speranze di Dante caddero definitivamente. Poco dopo si rec in quel di Lucca presso Uguccione della Faggiola, e poi nuovamente a Verona da Cangrande della Scala. Gli ultimi anni li trascorse a Ravenna, ospite di Guido Novello. E proprio in viaggio di ambasceria da parte di quel signore fu colto da malattia, e non appena tornato a Ravenna, il 14 settembre 1321, si spense. Fra le opere minori di Dante scritte in volgare, sono la Vita nuova, raccolta di poesie e di prose che formano il romanzo giovanile dell'amore di Dante per Beatrice; le Rime (amorose, morali, satiriche e bizzarre), seguir il Convivio, scritto tra il 1304 e il 1307, di alta divulgazione dottrinaria, Dante scrisse soltanto i primi quattro dei quindici trattati previsti, dosando le canzoni sue pi importanti. Per quanto riguarda le opere in latino, oltre il De Monarchia, dove sono espress e le sue considerazioni politiche, in rapporto anche alla discesa dell'imperatore, si ricorder il De Vulgari Eloquentia, trattato di retorica in cui il poeta cerca al di sopra delle parlate locali i principi universali del linguaggio poetico, e inoltre la Quaestio de aqua et terra, le Epistole, le Ecloghe. La sua opera maggiore, e al tempo stesso una delle sommit della

poesia universale, la Commedia, chiamata poi Divina da Giovanni Boccaccio. /:/ La Vita nuova. Ad intender nella sua precisa cornice storica il libretto giovanile di Dante, occorre ricollegarlo, com' naturale, al movimento poetico dello stil nuovo : e questo, a sua volta, s'intreccia per mille legami a tutta la letteratura dei secoli di mezzo, e non solo d'Italia, com' noto. Ricollocata l'opera nel suo ambiente e nei suoi tempi, mille cose che prima parevan stranezze e misteri inesplicabili si fan limpide e chiare e naturali agli occhi dello studioso. Senonch proprio questa necessaria e tutt'altro che facile preparazion storica fa difetto alla maggior parte degli interpreti: n basta sempre l'intelligenza e la dottrina: occorre anche talora sapersi trasportare in un punto visivo che estraneo al nostro mondo e alle nostre abitudini moderne. D'altronde s' visto, specie in tempi romantici, che un siffatto distacco (e quindi un pi sereno intendimento della Vita nuova) riusciva, meglio che agli eruditi e ai critici, ai giovani innamorati non del tutto digiuni di buone lettere. Nei secoli del Medioevo, per l'influsso essenzialmente della nuova civilt cristiana, che insegna ed impone agli uomini una pi assidua attenzione ai fatti della coscienza, si elabora a poco a poco un sistema di complicate indagini psicologiche, nel quale, insieme con i risultati delle analisi compiute in questo campo dagli Ebrei, dai Greci, dai Latini, dagli Arabi, vengono a confluire il rigore logico e il gusto delle distinzioni sottili degli scolastici, la passione speculativa dei mistici, le lmmagini e le formule dei poeti antichi e recenti, la ricca e varia esperienza degli uomini, e massime di quelli--studiosi e letterati-dotati d'una maggiore sensibilit affettiva. Questo sistema costituito da un patrimonio, complesso ed eterogeneo, di definizioni e di divisioni, di paragoni e di riferimenti; il quale non rimane ristretto ai dotti, bens diventa a poco a poco, sia pure in modo inconsapevole e non senza confusione, bene pubblico: e gi ai tempi di Dante era largamente diffuso anche in ambienti di non raffinata cultura. Questo lavoro di indagine psicologica, portato nei terreni pi diversi e lontani, acquista un pi singolare rilievo e diviene oggetto di una curiosit pi estesa e varia quando s'attacca a studiare e definire la passione di amore. Si muove dapprima, in questo campo, dai libri notissimi di Ovidio, che vengono tradotti discussi commentati a pi riprese: ma il cristianesimo aveva introdotto nella storia un nuovo concetto della charitas che, pur distinto in s e nella sua nobilt dall'amore terreno ed umano, si svolgeva con forme e modi paralleli ed analoghi al processo di sviluppo di quello. Donde da un lato, nei filosofi e nei mistici, il vezzo d'adoperare le espressioni della passione pi sensuale e carnale per descrivere le esperienze e i concetti dello spirito; e dall'altro lato, nei letterati e ni poeti, quello di trasportare alle loro umane vicende frasi e soprattutto il tono di passione ardente ma rarefatta dei libri mistici. La storia di questa fusione e dello sviluppo d'un concetto insieme umano e divino assai complessa ed intricata ed implica la conoscenza d'una mole immensa di scritti, che vanno dalle traduzioni e dai rifacimenti dell'Ars amatoria ai trattati d'amore, alle opere dei filosofi, dei vittorini, dei francescani, alla poesia erotica e mistica di tutta l'Europa occidentale fino al Petrarca. storia comunque ancor quasi tutta da fare, n possibile altro qui se non dare al lettore un'idea almeno della sua verit e della sua importanza. Negli ultimi provenzali, come ha mostrato in alcuni studi notevolissimi il De Lollis, il concetto d'amore diviene oggetto d'uno studio pi alto e sottile: s'insiste da essi soprattutto sull'influsso del sentimento amoroso, in quanto esso eleva moralmente e raggentilisce e

nobilita gli animi che ne son tocchi. Da questi poeti derivano, attraverso il Guinizelli, gli scrittori del dolce stil nuovo : i quali si staccano consapevoli e risolutamente da tutte le grossolanit della pi vecchia maniera e, poggiati sul fondamento d'una cultura pi ampia e raffinata, trovano, nel campo della psicologia, distinzioni pi sottili, definizioni pi delicate. L'analisi delle vicende d'amore, che nei poeti anteriori era tutta intrinseca o quasi, disgregata e frammentaria, espressa per mezzo d'immagini esteriori ed inadeguate, diventa con i poeti del dolce stil nuovo pi intima, coglie con maggior immediatezza la realt dell'animo, trova immagini pi incorporee ed aeree pi tenui e fragili, meglio aderenti al contenuto tutto spirituale che esse vogliono esprimere. proprio questo carattere d'interiorit che ha tratto molti critici in inganno. Si direbbe che essi abbiano dimenticato che l'amore , infine, un sentimento, un fatto dello spirito, come gi sapevano i lirici della scuola siciliana del Dugento, e non solo un contatto corporeo sensuale: e che propria veramente dell'amore (se pur non ne costituisce l'essenza) quella funzione di elevamento morale, di raggentilimento dei costumi, su cui si soffermarono, in modo speciale e quasi esclusivo, i poeti del dolce stil nuovo ), e `della quale molto pi tardi doveva discorrere in maniera non troppo diversa, in un suo canto celebre, Giacomo Leopardi. Guardando quelle donne tutte angeliche e spirituali, i critici cui accennavo danno sfogo al loro scetticismo pi povero e grossolano e non tentano neppure di rievocare i ricordi degli anni giovanili, che pure potrebbero insegnar loro molte cose. Soprattutto non badano che i poeti fiorentini della fine del Dugento mirano piuttosto ad esprimere l'influsso della donna, e ancor pi dell'amore in s, sul loro animo, che non a lasciarci dell'amata un ritratto pi o meno verosimile: e questo ritratto delineano se mai soltanto in modo indiretto, attraverso il dramma spirituale, com' proprio d'altronde d'una pi alta poesia, che non sa contenersi nei limiti d'una mera descrizione esteriore. Centro di questo mondo lirico dialtronde non la donna, di cui si esalta l'azione beatifica e purificatrice, bens il poeta stesso con la sua singolare esperienza fatta di alte gioie e di angoscie profonde, di esultanza solitaria e di segreta tristezza. In un certo senso anche noi, giunti a questo punto, potremmo chiamar simboli le donne degli stilnovisti, nelle quali la creatura terrena cos pallida e lontana: simboli non per d'alcunch d'esterno e diverso, bens della potenza stessa d'amore: idee vagheggiate e accarezzate nella mente, quasi sintesi d'una nuova e migliore condizione della coscienza. Il poeta stesso in qualche modo anche lui un simbolo: rappresenta l'uomo su cui la passione damore opera perfezionandolo moralmente. E intorno a lui e alla donna--creature a mezzo tra l'allegoria e la realt--si muovon le minori personificazioni: Piet, Mercede, la coorte degli spiritelli. Questi gli schemi (talora artificiosi e monotoni) attraverso i quali s'esprime questa poesia psicologica. Schemi non diversi nella sostanza, se pur lontanissimi nelle forme, da quelli cui obbediscono i letterati moderni: e necessari in qualche modo anche, come quelli che costituiscono l'atmosfera rarefatta e irreale, di cui una tal poesia aveva bisogno per nascere e vivere. Anche la Vita nuova un'espressione poetica del dolce stile. E non , neppure nella sua forma estrinseca di narrazione ordinata e compiuta d'una storia d'amore, qualcosa di molto singolare e nuovo. (Non sarebbe difficile infatti elencare altri esempi consimili nella letteratura del Dugento). Non pu quindi essere interpretata senz'altro veristicamente, quasi fosse la trascrizione precisa e documentabile di un brano di realt vissuta. Ma neppure il caso di chiuder gli occhi alle chiare e sicure testimonianze che ci additano una sostanza di verit alle origini e nel nucleo essenziale del racconto. Gli stessi artifi:

ci retorici e dottrinali, la pesantezza medesima--astratta e numerica--dei simboli, ci mostrano lo sforzo durato dal poeta per trasportare un episodio della sua vita sul piano diverso e pi alto, se non della poesia, almeno della letteratura. Ne risulta un contrasto pi accentuato, un pi stridente gioco di luce e di ombra, fra` gli episodi e i particolari desunti dall'esistenza comune e quotidiana da un lato, e dall'altro le visioni, i dialoghi tra le facolt dell'animo, le dissertazioni didascaliche, i complicati giochi numerici per fissare la data di questo o quell'evento. Alle radici del romanzo sta di certo un nucleo umano, ed anzi autobiografico; senonch Dante, all'uso de' suoi tempi, non ha voluto offrircelo nella sua immediata e grezza realt e neppure ha saputo farlo diventare poesia senz'altro senza passare per la strada della letteratura. Anzi tutto si deve tener conto del fatto che egli un giovane e l'arte sua ancora agli inizi; e poi, cosa di solito dimenticata o ignorata dai pi, che egli si trova a vivere in tempi di letteratura raffinata e colta, sottile e non priva di pedantetia. La storia del suo amore prende perci, nella Vita nuova, aspetto tipico e generale, assoluto e filosofico: diventa la descrizione della vicenda d'amore in se stesso, degli effetti che quel sentimento produce nell'animo dell'amante, della trasformazione morale che vi opera. Inoltre l'esperienza del giovane Dante era stata troncata tragicamente dalla morte della donna: e forse proprio in conseguenza di questa morte o forse anche per influssi anteriori, dopo un periodo di smarrimento e di angoscioso brancolare, egli aveva sentito crescere nel suo animo quella vigorosa potenza di fede, che doveva costituire poi la sostanza pi intima della sua vita e della sua poesia. Perci il romanzo dell'amor perfetto, che in altri stilnovisti umano e drammatico, prende in lui quel caratteristico colore religioso, quell'intonazione celeste che tutti sanno. L'uomo toccato dall'amore ne deriva anzitutto un miglioramento generale, un'elevazione dei costumi, una nuova gentilezza dell'animo: cui corrisponde d'altro canto un affinamento e struggimento fisico. Senonch egli preso dapprima da rispetto umano: teme i discorsi altrui, teme di mostrare agli altri la sua nuova, pi nobile ma anche pi strana, coscienza: e intanto cerca di persuadersi che necessario che la sua passione rimanga occulta perch non sia deformata e avvilita dai contatti esterni: donde l'episodio delle donne-schermo. Liberatosi da codesti infingimenti e rinunziato ad ogni contatto esteriore, e persino al saluto, l'amante--nella sua platonica solitudine--tocca, insieme con un profondo dolore, una altezza spirituale e morale mai raggiunta; che si rispecchia nella canzone della lode. Ma interviene la morte della donna: momento di paurosa angoscia, dal quale l'innamorato esce dapprima smarrito ed incerto: cerca un rifugio di consolazione, di piet: la Donna Gentile. Poi, allontanandosi nel tempo la data dolorosa, incomincia a riflettere su se stesso, a prender chiara coscienza di ci che gli avvenuto, a intenderne il significato pi alto e segreto. Allora s'avvede che non la presenza della donna, e neppur la sua immagine reale, o anche solo la lode di lei come donna, il contenuto pi profondo del sentimento che ha trasfigurato tutta la sua vita. Il sentimento palpito in s puro e infinitamente vasto, che sussiste, esaurite anche tutte le condizioni esteriori tra le quali e per le quali pareva esser nato. La donna ormai una santa nel cielo--essa che parve angelo in terra. E al cielo si rivolge, con il suo amore purificato, l'amante che, mosso dalla passione terrena, giunto in modo misterioso ed esemplare al sommo apice della chartas divina. [...] Sotto gli schemi un p rigidi del trattato dell'amor perfetto , troveremo un dramma umano, che di tutti i tempi: finch almeno vi saranno al mondo giovani con i loro amori vergini e contemplativi, e purificazioni e conversioni nate dall'angoscia e dalla morte. A suo

modo dunque anche la Vita nuova , come il Convivio, un'opera didattica: nella quale per allegoria e spiegazione, parola e insegnamento sono strettamente e stranamente fusi e quasi forman tutt'uno Non la storia di Beatrice, n il suo ritratto umano, dovremo cercarvi E se la donna ci parr troppo lontana, e le linee della sua figura pallide ed incerte, dovremo pensare che la vediamo sempre soltanto indirettamente, nello specchio vivo e mobile in cui l'ombra di lei si riflette. Personaggio centrale del romanzo il poeta che racconta la sua angoscia tormentosa e la difficile conquista della sua purezza. E tutto il romanzo vuol essere interpretato cos (a quel modo stesso che ogni altra opera del dolce stil nuovo ) come un tentativo di sottile complicata e raffinata psicologia. Qualcosa che sta a mezzo tra la vita e la letteratura, tra la poesia e la scienza: della vita e della poesia tengon gli slanci sinceri, pur nella loro delicata fralezza, del sentimento; alla letteratura, alla scienza si debbono invece gli schemi esteriori, i simboli, e, pi in generale, l'atmosfera un p trasognata ed astratta, nella quale il dramma si svolge, rimanendone alquanto deformato e sommerso. Solo da un punto di vista siffatto possibile dare della Vita nuova una valutazione estetica positiva: mentre un critico realista dovr alla fine riconoscerla povera ed insufficiente secondo il suo gusto; e il mistico e il simbolista poi escludono a priori, sia pure inconsapevolmente, ogni valore di poesia. Invero la Vita nuova non tutta una lirica compatta ed omogenea e neppur soltanto un gioco allegorico e didascalico: opera complessa e multiforme, nella quale la poesia vivace e calda spesso si trova accanto ad una prosa ancora ampollosa e squallida, la sincera espressione degli intimi affetti erompe con difficolt attraverso il gergo manierato del giovane poeta ancor sottomesso ed impacciato dalle regole della sua scuola. Cosicch non hanno avuto torto quei critici (tra i quali, con maggior chiarezza, il Croce) che hanno sentito nel romanzo qualcosa di artificioso, d'immaturo, d'acerbo: e hanno quindi posto tra esso e la Commedia un profondo distacco. E veramente, se al maggior poema la Vita nuova si riattacca per l'animo religioso che gi la pervade, ne lontanissima come opera di poesia. L'arte del dolce stil nuovo , cui essa appartiene (insieme con tutte le altre correnti della lirica interiore--amorosa e mistica--del Medioevo) sulla strada che conduce all'analisi complicata e raffinatissima del Petrarca: ma la Commedia rimane al di fuori di questa linea, e pi in alto. Occorre distinguere ancora pi da vicino, nel senso stesso del libro, le parti scritte in versi da quelle in prosa. Le prime ci offrono, in confronto delle altre, una rappresentazione pi immediata degli stati sentimentali che le hanno ispirate. Non del tutto immediata per: perch gi in esse gli affetti s'esprimono secondo i modi e le formule della scuola poetica, cui Dante aderiva. Tuttavia esse furono concepite, le pi almeno, ciascuna a s, senza idea di legame e continuit con le altre, all'infuori d'ogni velleit preconcetta d'inquadramento sistematico Perci sono unite ancora per mille vincoli alla realt umana donde son mosse, e contengono particolari inutili od estranei allo schema narrativo quale fu poi fissato nella prosa. La quale invece stata immaginata e scritta tutta ad un tempo, secondo un piano definito chiaro e fermo. In essa perci, all'atmosfera astratta e di sottile psicologia caratteristica del dolce stil nuovo , s'aggiunge anche il proposito dimostrativo e didattico: cosicch essa, ed essa sola, costituisce la trama logica ordinata e compatta, ma anche un p astratta e talora pedantesca, del romanzo. Il che non toglie che essa contenga brani di poesia nuova [...], brani nei quali il primo abbozzo lirico d'una canzone o d'un sonetto s'illumina d'una luce pi raffinata e pi intensa, sotto l'influsso della nuova e pi chiara coscenza che il poeta ha acquistato della sua vicenda d'amore. In questo senso si

pu e si deve dire che la parte scritta in prosa rappresenta un pi alto grado di maturit umana, e in qualche modo anche poetica: ed essa infine che d il tono all'opera tutta, creando quel clima mistico e devoto, quell'atmosfera di chiusa e singolare esaltazione, che tutti pi o meno i lettori debbono avervi sentito. Poesia s certamente: ma tale da richiedere in chi legge uno stato d'animo speciale, una singolare comunione di sentimenti, una attitudine di commosso rapimento: poesia delicata e fragile tanto che a toccarla con mano men che leggera, c' pericolo di vederla subito gualcirse appassire. NATALINO SAPEGNO: Da La Vita nuova di Dante , in Pegaso, secondo (1930). /:/ La lingua di Dante. Dante teorico [...] saldamente legato al mondo nel quale la cultura italiana e la fiorentinit si erano venute svolgendo. Firenze non ha ancora n pretesa n potere di dettar legge in materia di lingua. Ma se la sua tesi del volgare illustre non significa un superamento e una sintesi di dialetti, non rappresenta nemmeno un passaggio a un riconOScimento del fiorentino per ragioni che fossero diverse dalle storico-culturali. Si pu certo dire che la Divina Commedia una commedia e non tragedia n canzone. Sta di fatto che la sua lingua, come ha dimostrato N. Zingarelli in un lavoro fondamentale, il fiorentino, che accoglie i latinismi, gallicismi e dialettismi italiani pet ragioni che non sono affatto quelle di renderlo pi elevato: forme condannate nel De vulgari eloquentia come i barbarismi pisani in -onno, appaion, nientemeno, nel Paradiso (ventottesimo, 15): ...terminonno ; volgarismi fiorentini come manicare, introcque per mangiare e intanto nell'Inferno (trentatreesimo, 60 S.) ... pensando che i'l fessi per voglia / di manicar ; (ventesimo, 130): s mi parlava ed andavamo introcque . Ma i latinismi come appropinquare, cernere, digesto, igne non arrivano a cinquecento e sono quasi sempre giustificati da ragioni tecniche o stilistiche. I gallicismi come masnada, miraglio, vengiare sono poche decine. I dialettismi come brolo per orto e burlare per cadere dal settentrione, o sorpriso dal meridione sono ancor meno. Tutti insieme non giustificano l'imagine n di una lingua di Dante sopradialettale n di accoglimenti occasionali e bizzarri. La Divina Commedia scritta in fiorentino. Dante si dunque contraddetto . Ma la contraddizione, che infirma l'argomentazione logica, non ha nessun pesosul terreno estetico e storico-culturale Nello scrivere la Divina Commedia, Dante non ha agito in quanto teorico della lingua, ma in quanto artista, che nello strumento linguistico fiorentino ha trovato una realizzazione pi adeguata per le sue intuizioni. Felice contraddizione che ci risparmia di misurare artifici e complicazioni di una poesia scritta in volgare illustre, sottomessa a regole esteriori, quasi oggi, da un sostenitore di una lingua internazionale, si aspettasse per coerenza un'opera di poesia scritta in esperanto se non in basic english. Le condizioni storico-politiche che mutano definitivamente la posizione di Firenze corrispondono ai due primi decenni della vita di Dante. Si capisce che la capacit di espansione di Firenze risale al dodicesimo secolo, dalla morte della contessa Matilde nel 1115 agli inizi della sottomissione del contado nel 1197. Sta di fatto che dopo la sconfitta di Montaperti nel 1260 per opera dei Senesi ghibellini, gli avvenimenti determinanti sono stati la rivincita sui Senesi a Colle nel 1267, la sconfitta dei Pisani per opera dei Genovesi alla Meloria nel 1284, la vittoria fiorentina di Campaldino sugli Aretini nel 1289.

Le condizioni storico-culturali si verificano subito dopo. Nelle arti, S. M. Novella si inizia nel 1278. Nel campo delle lettere la prosa del Boccaccio salda la tradizione latineggiante con la giovane fiorentina e affianca al modello dantesco un tronco di tradizione prosastica solido e insieme suscettibile di svolgimento ordinato. Il nobilitarsi del fiorentino appare nella sua grandezza se si pensa che nelle carte commerciali, a mezzo il secolo quattordicesimo, compaiono barbarismi toscani che in quelle del tredicesimo erano assenti. Questo perch, come mi suggerisce A. Castellani, lo spazio vitale fiorentino si dilatato al punto da accogliere nelle carte d'affari formule caratteristiche di persone in maggioranza provinciali. Nel secolo tredisecimo i barbarismi erano imposti da un prestigio qualitativo che veniva di fuori, nel quattordicesimo dal peso numerico di classi inferiori. Le osservazioni del Bembo alla fiorentinit di Dante non sono fondate. La fiorentinit ha significato per Dante aderenza al suo tempo in una forma che due secoli dopo si ritrovava superstite nel solo contado, non pi nella metropoli, per lo stesso motivo: la metropoli, aperta a tutte le correnti spirituali e perci linguistiche del periodo d'oro della nostra cultura, si disfa di tutto quello che s genuino, ma pu apparire a un certo momento come zavorra grossolana, resto di situazioni e ambienti tramontati facile dunque definire nei manuali l'italiano come il fiorentino elevato a dignit di lingua letteraria per le sue virt intrinseche nell'ambito dei dialetti italiani, quasi si trattasse di un fatto prevedibile, automatico, fatale. Vorrei invece aver sgombrato il terreno da questi formalismi e da questi semplicismi e aver mostrato un travaglio: il dramma di una tradizione linguistica universale come la latina, isolata in Etruria, e, all interno dell'Etruria, solcata da forze centrifughe, isolata in Firenze, non per prestigio, ma per povert e lontananza dalle grandi strade. Dopo di che, raddrizzate le cose da un punto di vista politico, dall'opera di un uomo del vecchio mondo, Dante, ha potuto prender principio una tradizione nuova, quella che durata secoli, quella che ci permette oggi, italiani di tutte le regioni d'Italia, nel nome di Firenze e del suo pi grande cittadino, di intenderci. GIACOMO DEVOTO: Da Dalla lingua latina alla lingua di Dante , in Storia della civilt fiorentina. Il Trecento, Firenze, Sansoni, 1953, pp. 51-53. /:/ La romanicit del linguaggio dantesco. La poesia della Commedia si qualifica nel linguaggio, che d la consistenza delle cose reali, disegno, rilievo, prospettiva, luci, ombre alla mirabile fantasmagolla di immagini, paesaggi e idee, che si displega di canto in canto. [...] Tutta l'opera, nelle notazioni particolari e nel simbolismo concettuale delle immagini, nelle figure verbali, nelle esposizioni dottrinrie, in tutto il congegno rappresentativo del veduto , si integra in un linguaggio unitario, in un unico stile, il cui carattere dominante costituito da una fedelt al reale, cos piena e compiuta da postulare una tipica forma della mente, la quale riesce a configurare l'invisibile con la stessa nettezza ed evidenza del visibile. Se si considera l'arte di Dante nei rapporti`e legami con le arti del suo tempo, ci si svela una fondamentale comunione di atteggiamenti interiori, i quali caricano di significati le rappresentazioni particolari. La forma interna della poesia dantesca , certo, assai affine a quella che anima i vari aspetti dell'arte romanica. Nessuno dubita che l'essenzialit del linguaggio della Commedia e la carica simbolica del

segno sono sulla stessa linea del realismo simbolico, che costituisce il modo di vedere e di esprimere proprio di tale arte. , certamente, romanica l'istanza di verit che compenetra le pi audaci e libere creazioni fantastiche, s che la cosa rappresentata (il giudice Minosse che sta orribilmente con il grande corpo e la coda smisurata all'ingresso dell'Inferno, o Matelda che va cogliendo fiori per i prati del paradiso terrestre in un'aurea di primavera), pi che rappresentata, presente . Le figure della Commedia, come quelle della scultura romanica, ignorano una distinzione di verit fra il reale esperito e quello fantastico, poich il vedere con gli occhi della mente non meno vero di ci che gli occhi possono vedere: la fantasia soltanto il mezzo per guardare nell'invisibile, conoscere ci che al di l della capacit dei nostri sensi; fra il visibile e l'invisibile non c' soluzione, e la fantasia poetica altro non fa se non porre sul piano del sensibile ci che ne lontano, perch sia presente a pari titolo con le cose vedute. La necessit del reale investe come istanza di organicit il creare dantesco, s che nell'opera personaggi, paesaggio, episodi, dati dottrinari, ragionamenti prendono corpo nella struttura del poema, coscome nella basilica romanica le sculture nascono, come suol dirsi, dentro l'architettura, si integrano nel muro, realizzando con esso il significato religioso e morale dell'edificio. La libert con cui l'artista romanico attinge da ogni fonte i mezzi del suo esprimere la stessa libert che informa il linguaggio della Commedia, libero dalle inibizioni implicite nel preziosismo stilnovistico. Come per una vigorosa rivincita della natura sul costume e della poesia sulla poetica, la lingua di Dante si allarga in un poderoso respiro creativo, che investe il diacronico e il sincronico, e non ammette altra limitazione se non quella intrinseca al fine del comunicare. Esperienze sensibili e acquisizioni culturali sono parimente attratte e fuse nel circolo incandescente della creazione poetica, che le plasma come forma di una presenza effettiva di cose e di sentimenti. Il linguaggio di Dante ignora il non funzionale, il superfluo, l'esornativo. La misura del realismo poetico dantesco meglio risulta al confronto con il linguaggio di altri grandi poeti. In quello shakespeariano, ad esempio, metafora, analogia, similitudine coloriscono poeticamente, adornano una realt concreta di personaggi, discorsi ed eventi, la cui esistenza percepibile come ossatura sotto la splendida fioritura delle parole e delle immagini: la realt diventa immagine poetica nell'atto stesso che viene avvolta nella nebbia calda e traslucida del discorso. In Dante, invece, l'immagine gi fatto, racconto; la metafora, la similitudine sono elementi essenziali della narrativa, non distinguibili e non separabili da essa. Esasperando le differenze, potr dirsi che, mentre il barocco del linguaggio shakespeariano assume la materia, il veduto e il pensato, negli spazi iridescenti della fantasia, perch vi si animi di colori poetici, la romanicit di quello dantesco assume il fantastico, l'irreale e l'astratto nello spazio del reale, del concreto, perch si conformi al ritmo vitale delle cose vere. innegabile che nel linguaggio di Dante vi sia una conscia ansia di verit reale e di chiarezza, che costituisce una novit nei confronti dell'arte romanica; vi come un nuovo rispetto della natura nei confronti delle inquietanti deformazioni di quella sorta di fabulistica vegetale, animale e poi umana che popola la decorazione romanica. La fedelt alla figura esplicitamente affermata dal poeta in pi di un luogo; e baster ricordare il senso di angoscia che da lui attribuito a chi guarda le figure umane, contratte e rattrappite, poste dagli architetti a sostegno di capitelli e architravi, Purgatorio,decimo,130 ss.: Come per sostantar solaio o tetto, / Per mensola talvolta una figura / Si vede giugner le ginocchia al petto, / La qual fa del non ver vera rancura / Nascere in chi la vede... . La associazione di natura e arte, su cui il poeta insiste sul piano teorico (cfr. specialmente Inferno, undicesimo, 97 SS. e

Convivio,quarto,nono, 11), cnone valido per il suo creare. C', certo,da chiedersi se in siffatto atteggiamento sia da vedere un'apertura verso la forma interna del gotico, come per solito si ritiene o non piuttosto un avvio o un preludio alle istanze estetiche, che si faranno valere nell'arte e nella cultura dell'et seguente. ANTONINO PAGLIARO: Da Ulisse. Ricerche semantiche sulla Divina Commedia, MessinaFirenze, D'Anna, 1966, pp. 812-816. /:/ Dante e Guinizelli: novit e continuit. di roncagli... Di donne angeliche formicola gi la poesia italiana anteriore allo stil nuovo . Angelica figura ha la donna del Notaro, angeliche bellezze quella di Mazzeo di Rico, angelico viso quella di Monte Andrea, angelica sembianza ancora quella di Guittone, addirittura sovrangelica sembianza quella di Pucciandone Martelli. Ma il paragone non ha altro significato che materiale; altro non pretende che esaltare la bellezza fisica, corporea, della donna, come evidente nella precisazione di Guittone: Angel de Deo sembrate in ciascun membro. Non c' bisogno di- scendere agli ultimi trovatori perrovare paragoni simili nella poesia provenzale. Gi nell'et d'oro la donna da cui Guglielmo di Saint-Didier attende gioia sembra un angelo del cielo ; mentre allo scanzonato Rambaldo d'Orange il sorriso della donna d maggiore beatitudine che il sorriso di quattrocento angeli, e sembra addirittura il sorriso di Dio. Con la solita intemperanza Peire Vidal va anche pi in l, e paragona la donna direttamente a Dio: Bona domna, Dieu cuig vezer quan lo vostre gen cor remir! La stessa intemperanza si ritrover nei siciliani, per esempio in Rinaldo d'Aquino: S forte mio Dio siete che d'altro paradiso gi mai non metto cura! N Guittone sar da meno: Voi me' Deo sete, e mea vita e mea morte ch, s'eo so 'n terra o 'n mare in periglioso fare, voi chiamo com'altri fa Deo; ma poi in un'altra canzone d'ispirazione pi propriamente moralistico-religiosa, condanner l'irriverente iperbole e intoner una palinodia: O tu, di nome Amor, guerra di fatto, peggio che guerra... ch l'omo perde in te discrezione che el misconosce Dio, e crede e chiama sol Dio la donna che ama. Quanto al Guinizelli, egli non attender nemmeno l'occasione d'una

palinodia, e Si mostrer cosciente dell'irriverenza del paragone nell'atto stesso di ripeterlo: Donna, Deo me dir: Che prosumisti? siando l'anima mea a lui davante Lo ciel passasti, e sino a me venisti, e desti vano amor me per sembiante Dir li por: Tenea d'angel sembianza che fosse del to regno... . In conclusione, l'angelicazione o divinizzazione della donna nella poesia provenzale e nella poesia italiana anteriore a Dante una semplice metafora, senza significato spirituale religioso: e rischia anzi dapparire irriverente alla riflessione degli spiriti pi sinceramente religiosi, proprio perch sovrappone all'immagine profana della donna immagini tratte dal mondo sacro della religione. Questa sovrapposizione n n ha nulla di nuovo n di sorprendente. Il cristianesimo la religione dell'amore e uno stesso vocabolo designa l'amore religioso e l'amore profano. Si pu contrapporre l'amor mundi all'amor Dei, come fa, per esempio, sant'Agostino; si pu distinguere dallo schietto amor l'equivoco amar (che significa insieme amare e amaro ), come fa, per esempio, Marcabruno. Ma la contrapposizione riguarda il diverso oggetto, non l'intrinseca natura della forza spirituale che ad esso si volge. Questa medesimezza di natura, questa identit di vocabolo, permettono in qualsiasi momento la trasposizione metaforica d'immagini dal linguaggio religioso al linguaggio profano, il richiamo etico dall'esperienza profana all'esperienza religiosa. E tutta la tradizione della lirica provenzale solcata da un filone di metafore tratte dal mondo feudale cavalleresco. ipoi del tutto logico e naturale che i poeti borghesi lascino cadere quegli aspetti della metafora feudale che pi non rispondevano a un'esperienza viva, e scavino invece dentro la metafora religiosa. Ma in ci non pu ancora leggersi il segno d'una spiritualizzazione mistica del loro amore e della loro poesia. Dov' dunque la novit del Guinizelli? La sua novit consiste nell'approfondimento intellettuale dello scavo: nell'interpretazione della metafora tradizionale donna-angelo alla luce dell'angelologia teorizzata dai filosofi con l'equazione tra angelo e intelligenza. Come le intelligenze angeliche, la donna ha una funzione attualizzatrice: essa traduce in atto, cio in amore, la potenza del cor gentile. Aveva dunque ragione il Vossler di cercare alla novit del dolce stile dei fondamenti filosofici. La stessa intensificazione dell'elemento visivo, luminoso, cos caratteristica degli stilnovisti, con quelle loro donne che fanno tremar di claritate l'aere , nasce non da una casuale propensione della sensibilit, ma da presupposti concettuali, filosofici. Dietro le immagini luminose ( vedut'ho la lucente stella diana , ed in fra l'altre par lucente sole , che tutta la rivera fa lucere, e ci che l' d'incerchio allegro torna ) c' l'estetica metafisica della luce, che si annette alla poesia della donna-angelo, cos come s'era sposata nella speculazione filosofica al tema dionisiano dell'illuminazione gerarchica delle intelligenze angeliche. Dio luce, e quanto pi si avvicinano a lui, tanto pi le creature sono luminose. Propriissime enim Deus lux est, et quae ad ipsum magis accedunt, plus habent de natura lucis , come dice san Bonaventura. Attraverso lo splendore della loro luce le creature superiori agiscono sulle inferiori. La contemplazione della luce divina nelle intelligenze angeliche il principio motore dei cieli: Splende in la intelligenza de lo cielo Deo creator, pi che a' nostr'occhi il sole: quella li 'ntende so fatto oltra 'l cielo

e 'l ciel volgiando a lui ubidir tole. Solo ci che manca di luce si sottrae a questa influenza: Omne illud quod caret lumine privatum est a ratione influentiae, sicut terra. Ex quo sequitur terram elementorum faecem esse , come dice il Liber de intelligentiis; ed la spiegazione puntuale dei versi guinizzelliani: Fere lo sole il fango tutto il giorno: vile riman. Ma il cuore che ha in s la luce dellgentilezza s'accende alla luce con cui la donna lo irradia: Cosi lo cor, che fatto da Natura esletto, pur, gentile, donna, a guisa de stella, lo innamura. Ci permette anche di precisare meglio in che direzione adano cercati i presupposti filosofici del dolce stil novo . Occorre guardare non tanto alla scolastica tomistica, quanto piuttosto alIa mistica speculativa raccolta dai francescani, con i suoi elementi d'ascendenza neoplatonico-agostiniana. Occorrer pensare in particolare a quell'importante opera, composta in Francia intorno al 1230, che il Liber de intelligentiis o Memoriale rerum difficilium. E si potr fare ancora un altro passo, e ricordare che gli insegnamenti di questo trattato, con la sintesi fra il tema delle gerarchie angeliche e la metafisica della luce, ripresi occasionalmente da san Bonaventura, ispirano tutto il trattato De luce del francescano Bartolomeo da Bologna, che fu maestro di teologia a Parigi e successore di Matteo d'Acquasparta come rettore della scuola teologica bolognese nella seconda met del XIII secolo. Si tratta dunque di motivi che erano d'attualit nella Bologna del Guinizelli, negli ambienti universitari e culturali che egli frequent. Insomma, la chiave dello stil novo dantesco non va cercata a Tolosa, fra gli epigoni del trobadorismo cortese, ma a Bologna, negli ambienti universitari aperti alle novit filosofiche venute di Francia. Va per detto subito che per il fatto d'essere filtrata attraverso l'interpretazione intellettualistica d'uno spirito aperto alla cultura filosofica del tempo, anzich venire accettata superficialmente e ripetuta meccanicamente come per il passato, la metafora della donna-angelo non perde la sua natura di metafora. L'immagine resta immagine e si arricchisce come tale. L'intellettualismo e la cultura del Guinizelli hanno solo una funzione mediatrice tra l'immagine tradizionale e l'immagine nuova, arricchita da nuove risonanze. Checch ne sia stato detto, l'amore cantato dal Guinizelli non spiritualizzato in senso religioso. Non un amore da cui proceda castit e che per sua natura escluda il peccato. Al contrario Guinizelli ha vivissimo sia il senso del desiderio carnale, sia il senso del peccato. Si pensi al sonetto Chi vedesse a Lucia un var cappuzzo, con quella sua chiusa di slancio ardente, subito seguita dal pentimento: Ah, prender lei a forza, oltra su' grato, e baciarli la bocca e 'l bel visaggio e li occhi suoi che'n due fiamme di foco! Ma pentomi, per che m'ho pensato ch'sto fatto pora portar dannaggio e altrui despiacera forse non poco. Si pensi allo smarrimento del peccato nel sonetto Pur a pensar mi par grameraviglia:

e per credo solo che 'l peccato accieca l'omo e s lo fa smarrire che vive come pecora nel prato. Nessuna meraviglia, dunque, se la stessa metafora della donna-angelo si ripiega di fronte all'esplicito rimprovero divino in un timido tentativo di giustificazione. Come Dio fa beata l'intelligenza che mirando direttamente nella sua luce lo serve, volgendo il cielo, cos la donna dovrebbe dare beato compimento all'innamorato che, illuminato dalla sua bellezza, le manifesta la sua soggezione: fino a questo punto il Guinizelli aveva usato svolgere la metafora tradizionale. Ma subito se ne fa rimproverare da Dio, come di un'audacia eccessiva: Donna, Deo me dir: Che prosumisti? , siando l'anima mea a lui davante, Lo ciel passasti e sino a me venisti e desti in vano amor me per sembiante . L'audacia del paragone non cambia la natura dell'amore, che pur sempre vano amor , affetto terreno. E il tentativo di giustificazione scopre, dietro l'apparente audacia, la sua sostanziale timidezza: Dir li por: Tenea d'angel sembianza che fosse del to regno... . Tenea d'angel sembianza : somigliava a un angelo; ma non dice era un angelo ! Gli spunti offerti dalla poesia guinizelliana sono raccolti in maniera diversa dai diversi stilnovisti. Alcuni, fra i pi tipici, sono raccolti solo da Dante. Ed Dante che dalla canzone Al cor gentil raccoglie il messaggio implicito nel potenziamento intellettuale della metafora, vi avverte l'aspirazione istintiva al passaggio non ancora realizzato dalla metafora alla realt, vi intuisce come in una rivelazione la possibilit di trasferire effettivamente l'immagine dal piano metaforico al piano metafisico. Quella che in Guinizelli era stata soltanto un'ardita comparazione, ardita sino a slSorare l'irriverenza nei confronti della divinit ( e desti in vano amor me per sembiante ), diviene per Dante l'intuizione di una verit superiore ed essenziale ( Beatrice, loda di Dio vera ). Quella che per Guinizelli era soltanto verit ottativa nell'ambito d'una suggestiva analogia ( cos dar dovra al vero la bella donna... : analogamente dovrebbe operare la donna sul cor gentile dovrebbe cio dargli la beatitudine; ma dar dovra , dovrebbe are, non e d ! ) diviene per Dante verit ontologica, metafisica certezza ( Donna di sopra che m'acquista grazia ). Cos egli supera quell insoddisfazione, quell'inquietudine, che il Guinizelli non riusciva, tormentandosene, a superare, e che il Cavalcanti, con irritata malinconia, teorizzava pessimisticamente insuperabile. Vano amore e solo quello che pretenda beato compimento da un bene imperfetto ( che non fa l'uom felice ), e a questo arresta il suo impulso senza guardare oltre, e troppo ad esso s'abbandona . Vano amore e solo quello che non sa riconoscere in se stesso, e non soltanto riconoscere, ma stabilire in uno slancio di tensione mistica, la medesima natura spirituale di quell'amore che muove il sole e l'altre stelle (Felici gli uomini, se il loro animo sar governato dallo stesso amore che governa i cieli: O felix hominum genus Si vestros animos amor quo caelum regitur regat!

cos aveva cantato, fin dalle soglie del Medioevo, Boezio). Vano amore , insomma, soltanto quello che non sa trascendere la donna terrena, la donna che tale rimane anche se abbia d'angel sembianza nella celeste Beatrice, splendor di viva luce etterna . Proprio dal riconoscere che il Guinizelli non aveva saputo compiere questo superamento dell'amore terreno, Dante trae il pretesto strutturale per collocarlo nelle fiamme che purificano i lussuriosi, sull'ultima cornice del Purgatorio; cos come vi colloca il provenzale Arnaldo Daniello, il quale una volta aveva affermato di non conoscere uomo, fosse pure eremita, monaco o chierico, tanto devoto a Dio, quanto lui, Arnaldo, alla donna del suo canto. Ma nel medesimo tempo che segna cos il distacco e la superiorit della propria concezione d'amore, Dante si compiace di sottolineare esplicitamente la continuit della tradizione che lo lega ad Arnaldo e al Guinizelli: e rlconosce ed esalta nel trovatore provenzale il pi grande artista in lingua volgare, il miglior fabbro del parlar materno , quegli che versi di amore e prose di romanzi / super tutti , dunque un insuperato modello di stile; e riconosce e venera nel poeta bolognese il padre suo e degli altri... che mai / rime d'amore usar dolci e leggiadre , il caposcuola dei nuovi poeti, che conseguirono intima musicalit e raffinato sentire perch si mossero a poetare, come lo stesso Guinizelli aveva poetato, con gran diso pensando lungamente / Amor che cosa sia ; pi ancora: il saggio dai cui versi, dal cui approfondimento intellettuale della metafora tradizionale, per la prima volta era balenato a lui, Dante, il raggio della rivelazione poetica, l'intuizione del " salto" decisivo dal piano metaforico al piano metafisico. Questo " salto", questa spiritualizzazione religiosa dell'amore, la novit di Dante e soltanto di Dante, per il quale la poesia diviene cos un impegno totale. I famosi versi che sciolgono il nodo in cui consiste la superiorit dello stil novo rispetto alla poesia precedente --Io mi son un che quando Amor mi spira, noto, ed a quel modo che e' ditta dentro, vo significando-non s'intendono se non si sottintende l'assoluta fede dantesca nella trascendenza dell'ispirazione amorosa, s che l'esercizio della poesia diviene ascesa spirituale ad una contemplazione sempre pi pura dell'essenza d'Amore: quell'Amore da cui muove non la sola poesia, ma tutta la vita morale dell'uomo, tutta la vita dell'universo, dall'istinto delle minime creature fino alla circolazione delle sfere celesti. Forse a qualcuno, abituato all'interpretazione romantica, la quale leggeva in questi versi solo una dichiarazione di sincerit sentimentale, parr strano che dove Dante parla di pi immediata adesione al dettato d'Amore ( io veggo ben come le vostre penne / di retro al dittator sen vanno strette ), si debba pensare a complicazioni d'ordine metafisico Non si tratter di complicazioni escogitate dalla critica e arbitrariamente sovrapposte al senso, in apparenza cos ovvio, delle parole dantesche? Questo dubbio s' fatto strada anche tra i critici dei nostri giorni. Lo ha ripreso e svolto, in modo particolarmente esplicito, Silvio Pellegrini. Secondo le sue conclusioni, il succo della terzina, messo in discorso comune privo di figure e colori retorici, si restringe all'affermazione: " io sono di quelli che, quando sono innamorati, fedelmente manifestano quanto hanno nell'animo ". Nulla pi [ ... ] Dante sembra contrapporre il poetare proprio, inserito nella corrente dell'amore veramente sentito, a un poetare convenzionale d'altri, fra i quali appunto sarebbero il Notaro, Bonagiunta e Guittone . Ma anche quest'ultimo--osserva ancora il Pellegrini--aveva dichia-

rato: " trovare non sa, n valer punto, uomo d'Amor non punto "; e se qualcosa gli si pu rimproverare, di avere coltivato una poesia semmai persino troppo ancorata alla sua esistenza privata [...] Sicch [...] la ripulsa dantesca appare senza fondamento, se presa alla lettera. Il fatto si che [ ... ] la risposta a Bonagiunta priva di valore teorico speciale e non fornisce alcun sussidio atto a determinare il concetto storiografico per cui invalso il nome di dolce stil novo . A me non pare. Mi sembra piuttosto che lo stesso corollario, il quale degrada sul piano banale della rivalit letteraria la ripulsa dantesca della maniera guittoniana, dovrebbe metterci in guardia contro la speciosa fallacia del teorema. Una semplice dichiarazione di maggiore sincerit sentimentale mi sembra, oltre tutto, anacronistica rispetto alle poetiche medievali. Nel quadro della loro storia, l'adesione al dettato d'amore, di cui parla Dante, un'adesione mistica che corona uno sforzo conoscitivo: lo sforzo di chi, avendo meditato lungamente e con gran desiderio sulla natura d'amore, con gran diso pensarldo lungamente / amor che cosa sia , consegue finalmente il premio d una rivelazione e si sente illuminato dalla sua luce, privilegiato dalla sua grazia, posseduto-dalla sua verit. Lo sforzo conoscitivo, il richiamo alla cultura, un presupposto dal quale non si pu prescindere. Se n'era ben accorto, tra i vecchi commentatori, Jacopo della Lana, che proprio all'accoppiamento di natura e scienza riconduce la novit del canto: Quando la natura s'accoppia e congiunge con la scienza, necessario conviene che quello che in tale essere parli diritto, pulito e nuovo... e per segue che il dicitore scienziato, se ello innamorato, dice troppo pi amoroso che li altri . Cos l'interiorit del dettato d'Amore non l'interiorit romantica del sentimento individuale, al limite l'originalit irripetibile e incomunicabile delle esperienze cantate dal moderno solipsismo poetico; e nemmeno si limita ad essere autosufficienza del poeta in-un amore che non pi colloquio, perch rinuncia a chiedere un minimo di corresponsione e soddisfacimento. iinvece l'interiorit dell' homo interior contrapposto all' homo exterior , l'interiorit agostiniana che spalanca le porte della trascendenza alla conquista della verit assoluta. In interiore homine habitat veritas , e in interiore homine habitat amor : nella spiritualit dell' homo interior abita la verit dell'amore: quell'amore vero che si contrappone al vano amor della tradizione trobadorica e guinizzelliana. Che la chiave della definizione dantesca di stil novo sia in questa interiorit dell'amore, intesa come spiritualit e svolta con rigore consequenziario a trascendenza metafisica, apparir pi chiaro da una analisi di tale definizione in rapporto ai suoi precedenti retorici, letterari e propriamente filosofici. Prendiamo l'immagine di amore che detta. Essa non nuova. La troviamo gi, e pi d'una volta, in Ovidio: Tu amor mihi dictasti iuvenalia primus , mea carmina / purpureus quae mihi dictat amor , dictatis ab eo feci sponsalia verbis . La troviamo addirittura in una iscrizione popolare sui muri di Pompei: scribenti mi dictat amor mostratque Cupido ; ci che mostra come, gi in epoca antica, l'espressione fosse diventata proverbiale: un luogo comune, un topos diffuso dalla scuola e ormai alla portata di tutti. Dante la riprende da Ovidio, ma ricordando certo anche la tradizione scolastica medievale e le variazioni cristiane che contrappongono alla materialit esteriore dello scrivere la spiritualit interiore del dettare (fin da Tertulliano: nihil potest manus scribere quod non anima dictaverit , e Agostino: Cum scribimus litteras, facit eas primo cor nostrum, et deinde manus nostra ) e sostituiscono la charitas all'amore pagano (gi in Ennodio: Verba in penetralibus conscientiae charitate magistra dictantur`). Su questa linea, gi Notkero il Balbo, in pieno secolo IX, aveva parlato di Amore che

detta, intendendo l'amore in senso religioso ed esprimendo l'idea che l'altezza del canto dipende dalla grazia che amore concede: Talia dictat amor. verus respondet amator. Ingratus taceat; gratus ad alta canat. Non voglio dire che Dante conoscesse il distico di Notkero; voglio soltanto indicare la tradizione cui si ricollegano i suoi versi: tradizione in cui l'immagine classica era gi stata reinterpretata dallo spirito cristiano in forme e con un significato da cui Dante non sostanzialmente lontano. Ancor pi vicino a Dante, e probabilmente presente alla sua mente, infine un passo di Riccardo di San Vittore, segnalato gi dal Casella. Come parler d'amore--chiede Riccardo-un uomo che non ama, che non conosce la forza dell'amore? Di tutto il resto si pu trovare nei libri abbondante materia; ma di questo o tutta dentro di noi, o non da nessuna parte. L'amore, infatti, non induce le sue segrete dolcezze dall'esterno all'interno, ma le traduce dall'interno all'esterno. Solo, dunque, pu degnamente parlar d'amore chi compone le sue parole secondo l'intimo dettato del cuore. AURELIO RONCAGLIA: Da Dante e Bologna nei tempi di Dante, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1967, pp. 21-29. /:/ Dante e il mondo classico. Lo storico moderno che compie una ricerca su Dante e il mondo classico incontra sul suo cammino temi che ancor n'on sono stati risolti, o addirittura non sono stati affrontati. Il pi grave, e tuttavia dimportanza capitale, il seguente: conobbe Dante (seppur indirettamente) la lex de imperio Vespasiani? Questa lex la pi significativa epigrafe dell'et romana imperiale, per ci che riguarda il diritto pubblico; taluni indizi han fatto pensare che Dante, teorico e storico della monarchia imperiale, ne avesse forse conoscenza (indiretta, non gi diretta); ma problema che sinora aspetta, non pur una soluzione, ma persino una semplice impostazione scientifica. Per altri aspetti, lo storico moderno si trova dinanzi a una problematica che solo ora comincia a delinearsi. [...] Mentre Cicerone e Livio avevano esaltato le virt romane, Agostino e Orosio avevano mostrato le miserie della storia romana--pur ritenendo che l'impero romano fosse voluto dalla divina provvidenza. Dante afferma non solo che la grandezza di Roma fu voluta da Dio (questa era gi dottrina di Orosio ed Agostino), s anche che il popolo romano combatt (come aveva detto Cicerone) per amore di pace e per il bene del mondo, ed ebbe l'impero (come aveva insegnato Livio) per le sue virt. un tentativo di sintesi fra Cicerone e Livio da una parte, Agostino e Orosio dall'altra; sintesi, per certi aspetti, di opposti (o quasi), se si vuole; ma c', in questa sintesi, l'intuizione dantesca del mondo classico in quanto storia provvidenziale di Roma-cio, con un termine moderno, la dantesca filosofia della storia . Possiamo seguire cos, attraverso l'opera di Dante, il vario atteggiarsi degli esempi di virt troiana e romana, che l'antichit classica aveva tramandato. A cominciare, naturalmente, da Enea. Dice Dante nella Monarchia (secondo 3, 6-7): Il nostro divino poeta Virgilio attesta che il glorioso re Enea fu padre del popolo romano, in tutta l'Eneide, per ricordo eterno; Tito Livio, egregio scrittore delle gesta romane, lo conferma nella prima parte del suo volumen, cominciando dalla caduta di Troia. Non posso dire nei particolari quanta fosse la nobilt di quel padre invittissimo e piissimo, nobilt per la quale si

considerano non solo la sua virt, ma anche quella dei suoi progenitori e quella deUe spose, s che da entrambi i rami la nobilt conflu in lui per diritto ereditario . Ed infatti, questa nobilt gi di Anchise, anche egli pio: s pia l'ombra di Anchise si porse . facile trovare, in tutta l'opera di Dante, l'eco delle virt romane celebrate da Cicerone, da Livio, e dalla tradizione classica in genere. Gli Orazi. uccisi i tre combattenti Curiazi, e due dei Romani (leggiamo ancora nel secondo 9, 15 della Monarchia) la palma della vittoria, sotto re Ostilio, tocc ai Romani: lo racconta diligentemente Livio nella prima parte, ed Orosio lo conferma . Il volere intero di Muzio Scevola accoppiato, in due celebri versi di Paradiso quarto, con quello del martire san Lorenzo: come tenne Lorenzo in su la grada e fece Muzio a la sua man severo . (Com' noto, accoppiamenti di figure pagane con corrispondentigure cristiane sono caratteristici nell'opera di Dante). Nella Monarchia (secondo 4, 10) anche celebrata, per esempio, Clelia: a prigioniera nell'assedio di Porsenna,pezate le catene, sorretta dal mirabile aiuto di Dio, pass a nuoto il Tevere, come ricordano quasi tutti gli storici di Roma . C' dunque, nel pensiero di Dante, stretta connessione fra virt romane e provvidenza divina (il mirabile aiuto d Dio a Clelia). Naturalmente, la sintesi di queste idee sulla virt romana si trova nel Secondo della Monarchia (che gi abbiamo citato, in alcuni punti); e altres nel sesto del Paradiso, dove Giustiniano rievoca la storia del sacrosanto segno. [...] Ma gi il quarto trattato del Convivio contiene una precisazione, ed esposizione, della virt e benignit romana nel suo sviluppo storico. Per che, con ci sia cosa che a quello [l'impero] a ottenere non sanza grandissima vertude venire si potesse, e a quello usare grandissima e umanissima benignitade si richiedesse, questo era quello popolo che a ci pi era disposto. Onde non da forza fu principalmente preso per la romana gente, ma da divina provedenza, che sopra ogni ragione... La forza dunque non fu cagione movente s come credeva chi gavillava, ma fu cagione instrumentale...; e cos non forza ma ragione, [e] ancora divina, essere stata principio del romano imperio .. assai manifesto la divina elezione del romano imperio per lo nascimento de la santa cittade che fu contemporaneo a la radice de l progenie di Maria [cio, fu in uno temporale che David nacque e nacque Roma ]... Non pur per umane, ma per divine operazioni and lo suo processo [cio, la formazione dell'impero romanO]... Se noi consideriamo poi che per la maggiore adolescenza sua, poi che da la reale tutoria fu emancipata, da Bruto primo consolo infino a Cesare primo prencipe sommo, noi troveremo lei essaltata non con umani cittadini, ma con divini... E chi dir che fosse sanza divina inspirazione Fabrizio infinita quasi moltitudine d'oro rifiutare, per non volere abbandonare sua patria? Curio, da li Sanniti tentato di corrompere, grandissima quantit d'oro per carit de la patria rifiutare, dicendo che li romani cittadini non l'oro, ma li possessori de l'oro possedere voleano? e Muzio la sua mano propria incendere perch fallato avea lo colpo che per liberare Roma pensato avea? Chi dir di Torquato, giudicatore del suo figliuolo a morte per amore del publico bene sanza divino aiulorio ci avere sofferto? e Bruto predetto similemente? Chi dir, de li Deci e de li Drusi, che puosero la loro vita ,per la patria? Chi dir del cattivato Regolo, da Cartagine mandato a Roma per commutare li presi cartaginesi a s e a li altri presi romani, avere contra s per amore di Roma, dopo la legazione ritratta, consigliato, solo da umana, e non da divina natura mosso? Chi dir di Quinzio Cincinnato, fatto dittatore e tolto da lo aratro, e dopo lo tempo de l'officio, spontaneamente quello rifiutando a lo arare essere ritornato

? Chi dir di Cammillo, bandeggiato e cacciato in essilio, essere venuto a liberare Roma contra li suoi nimici, e dopo la sua liberazione, spontaneamente essere ritornato in essilio per non offendere la senatoria autoritate, senza divina ist igazione? O sacratiSSimo petto di Catone, chi presummer di te parlare?... Non puose Iddio le mani proprie, quando li Franceschi, tutta Roma presa, prendeano di furto Campidoglio di notte, e solamente la voce d'una oca f ci sentire? E non puose Iddio le mani, quando per la guerra d'Annibale avendo perduti tanti cittadini che tre moggia d'anella in Africa erano portati, li Romani volse ro abbandonare la terra, se quele Benedetto Scipione giovane non avesse impresa l'andata in Africa per la sua franchezza? E non puose Iddio le mani quando uno nuovo cittadino di piccola condizione, cio Tullio, contra tanto cittadino quanto era Catellina la romana libert difese? Certo S. Per che pi chiedere non si dee, a vedere che spezial nascimento e spezial processo, da Dio pensato e ordinato, fosse quello de la santa cittade (Convivio quarto 4/11- 5/20). La santa citt , detto di Roma, come anche, nel quindicesimo dell'Inferno, la sementa santa di que' Roman che vi rimaser (per la fondazione di Firenze), poi nel diciassettesimo del Paradiso, il santo uccello , e nel sesto del Paradiso il sacrosanto segno : in queste espressioni, santo ha un valore semantico che si congiunge direttamente alla repubblica santa di Livio; ma riecheggia, indirettamente, espressioni tipiche del mondo classico romano, soprattutto l'idea romana che l'imperium d la sanctitas. La migliore illustrazione di siffatta terminologia liviana (e dantesca) ci viene dalla ricerca di un romanista, Pietro De Francisci, il quale ha mostrato che nella concezione romana anche il pontefice titolare di imper