Daniel Guérin - Fascismo e Gran Capitale, pt.1-3

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Daniel Guérin Fascisme et grand capitai Paris 1945 (1965) traduzione di Giorgìo Galli (aggiornamento redazionale a cura della Erre emme) INDICE TI fascismo oggi di R Massari Premessa all'edizione del 1945 Premessa all'edizione del 1965 Premessa all' edizione italiana del 1956 1. I finanziatori 2. Le truppe 3. Mistica innanzitutto 7 29 31 45 49 55 87 120 4. La demagogia fascista 143 5. La tattica fascista 175 6. Grandezza e decadenza dei plebei 217 © copyright 1994, coop. Erre emme edizioni Redazione: via Flaubert 43 - 00168 Roma Versamenti su c.c.p n. 24957003 Stampa: Editorgrafica - Roma Prima ed. in Italia: Schwarz, Milano 1956 Seconda ed. in Italia: Bertani, Verona 1979 Prima ed. Erre emme (rivista): aprile 1994 In copertina: Il modello rosso (1935) di René Magritte Retro: Golconda (1953) di René Magritie ISBN 88·85378-54-4 7. La vera «dottrina» fascista 8. TI fascismo contro la classe operaia 9. La politica economica del fascismo 10. La politica agraria del fascismo 11. lllusioni da dissipare 257 277 321 391 424

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Il fascismo e il nazismo furono utilizzati dai grandi capitalisti e dai grandi latifondisti agrari come un'arma contro i lavoratori.

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Daniel GuérinFascisme etgrand capitai

Paris 1945 (1965)traduzione di Giorgìo Galli(aggiornamento redazionalea cura della Erre emme)

INDICE

TI fascismo oggi di R Massarihenre~aall~d~wnedcl1~6

Premessa all'edizione del 1945Premessa all'edizione del 1965Premessa all' edizione italiana del 1956

1. I finanziatori

2. Le truppe

3. Mistica innanzitutto

729314549

55

87

120

4. La demagogia fascista 143

5. La tattica fascista 175

6. Grandezza e decadenza dei plebei 217

© copyright 1994, coop. Erre emme edizioniRedazione: via Flaubert 43 - 00168 RomaVersamenti su c.c.p n. 24957003Stampa: Editorgrafica - RomaPrima ed. in Italia: Schwarz, Milano 1956Seconda ed. in Italia: Bertani, Verona 1979Prima ed. Erre emme (rivista): aprile 1994In copertina: Il modello rosso (1935) di René MagritteRetro: Golconda (1953) di René MagritieISBN 88·85378-54-4

7. La vera «dottrina» fascista

.Ò 8. TI fascismo contro la classe operaia

9. La politica economica del fascismo

10. La politica agraria del fascismo

11. lllusioni da dissipare

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PREMESSA ALLA PRIMA EDIZIONE

(luglio 1936)

In questo libro, si è tentato di definire la natura del fasci­smo, perseguendo tale obbiettivo attraverso lo studio del feno­meno là dove esso si è manifestato in maniera assolutamentecaratterizzata e dove riveste, per così dire, la sua forma piùclassica: in Italia e in Germania. I

Questo libro non è una storia del fascismo in quei due pae­si; non è nemmeno un'analisi comparata tra i due fenomeni,ovvero un bilancio dei loro caratteri comuni e di quelli specifi­ci. Volutamente, le differenze sono state trascurate nel tentativodi individuare, al di là delle contingenze proprie a ciascuno deidue paesi, Wl certo numero di elementi generali, ossia - se inpolitica è lecito esprimersi in termini scientifici - un certo nu­mero di leggi.

In politica, tuttavia, le leggi possono interessare solo nellamisura in cui è possibile ricavarne delle conclusioni pratiche.Questo libro si ripropone di convincere il lettore che esiste Wl

solo mezzo veramente efficace per sbarrare la strada al fasci­smo: abbattere il capitalismo.

«Il fascismo, scriveva Clara Zetkin già nel 1923, è il castigoche colpisce il proletariato per non aver proseguito la rivoluzio­ne cominciata in Russia>/

Il fascismo potrebbe essere domani il nostro castigo, se noilasciassimo passare l'ora del socialismo.

J Dalla relazione di Cla ra Zetkin nella sessione del giugno 1923, a Mosca,del Comitato esecutivo allargato dell 'Internazionale comunista.

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AWER'nNZA

Per tutto ciò che non risulta da opere più complete e organi­che', si fa frequente riferimento al quotidiano Le Temps, gene­ralmente bene informato sugli avvenimenti d'Italia e di Germa­nia, come è stato possibile constatare verificando talune sueaffermazioni. Ma naturalmente sono state rifiutate le interpre­tazioni, sovente tendenziose, che Le Temps dà dei fatti che ri­ferisce, soprattutto per quanto concerne l'Italia.

D. G.

1 I numerosi riferimenti a libri e riviste forniti da Guérin nelle noteraccolte alla fine del suo lavoro - e qui poste a piè di pagina per comoditàdel lettore - sono molto scarni . In particolare, non indicano luoghi diedizione né pagine di collocazione, rendendo praticamente impossibilel'individuazione di tutti i brani citati. Di alcune opere, ormai di difficilereperimento, non viene a volte indicato il titolo originario, ma solo latraduzione francese. Tutto ciò è il riflesso delle difficoltà che incontrava, inquegli anni, lo studioso costretto alla vita serniclandestina del militantepolitico. Tranne brevi interventi di chiarificazione e aggiornamento,abbiamo quindi lasciato le note come nell'originale In.d.r.J

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PREMESSA ALLA SECONDA f:.'D/Z/ONE

(marzo 1945)

Cominciai a scrivere Fascismo c gran capitale nel 1934,all'indomani del tentato putsch fascista del 6 febbraio. 1/ librofu poi pubblicato nel luglio 1936. Era possibile ripubbli~arlo .­oggi - tale e quale, oppure bisognava completarlo con un 'anali­si che arrivasse agli inizi del 1945?

La data alla quale avevo deposto la penna era indubbia­mente prematura. 1/ fenomeno fascista era allora, soprattuttoin Germania, ancora in piena evoluzione. Alcuni caratteri nonne risultavano ancora sufficieniemente definiti. Sembravaquindi necessario spingersi più avanti.

Ma c'era forse Wl inconveniente, ad andare oltre. L'oggettodi questo libro è, se così si può dire, lo studio del fenomeno fa­scista allo stato puro. Orbene, a partire dal 1939, il fenomenofascista tende a confondersi con il grande sommovimento del~a

guerra imperialistica. Niente assomiglia di più a Wl pa~s: lfl

guerra di Wl altro paese aneli 'esso in guerra. Le caratteristicheessenziali del fascismo vengono in gran parte - non del tutto ­cancellate da quelle, già note, del militarismo sfrenato edell'economia di guerra.

Certo, anche Wl 'interpretazione materialistica della guerradev'essere tentata l, assieme a un'interpretazione materialistica

I Hcnri Claude, De la crise économique à la guerre mondiale. /929-1'l39,Paris 1945.

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del fascismo. Ma a voler troppo abbracciare si finisce col nonstringere nulla. Volutamente, perciò, mi .l'OlIO limitato allo stu­dio del fenomeno fascista considerato in quanto tale.

Probabilmente mi si obietterà che il fascismo e lo guerra co­stituiscono un tutto unico, che la guerra non è altro che il mo­struoso prodotto del fascismo. Ma ciò è proprio quanto io con­testo. Esiste, indiscuubiimente, uno stretto legame tra lo guerrae il fascismo. Ambedue allignano su Wl medesimo humus, eambedue sono il portato, ciascuno a suo modo, del sistema ca­pitalistico nella fase del suo declino. L'uno e l'altra discendo­no dal medesimo vizio fondamentale del sistema, ossia dall'in­compatibilità tra il formidabile sviluppo delle forze produttive e1) la proprietà privata dei mezzi di produzione, 2) la divisionedel mondo in Stati nazionali.

Anche se per vie differenti, l'uno e l'altra mirano a spezzareil cerchio di ferro delle contraddizioni in cui è stretto il sistema,e identico è il loro scopo, che è quello di restaurare il profittocapitalistico messo in pericolo.

Non solo. Oltre a questi rapporti di carattere generale, inItalia e in Germania è possibile notare un collegamento ancorapiù diretto tra guerra e fascismo. Esso consiste nel fatto chequesti due paesi .l'OlIO privi di materie prime e di sbocchi com­merciali; che appaiono come nazioni «affamate» di fronte allealtre, alle nazioni «privilegiate»; che lo crisi nella quale l'insie­me del sistema capitalistico si dibatte assume entro le loro[rontiere Wl carattere d'acutezza peculiare; che essi si danno ­contrariamente agli altri paesi, o semplicemente prima degli al­tri - uno «Stato forte».

Ed è proprio allo scopo di sottrarre alle nazioni «privilegia­te» una parte del loro bottino e di ottenere, con la forza dellearmi, una nuova spartizione del mondo, che essi si comporta­no da potenze «aggressive», mentre i loro avversari, opponen­dosi a una simile spartizione, assumono l'atteggiamento di po­tenze «pacifiche».

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Tra la guerra e il fascismo esiste dunque un legame. Maquesto legame non si identifica in un rapporto causale. Soppri­miamo, in via d'ipotesi, il fascismo: non avremmo comunqueabolito le cause degli antagonismi e delle guerre imperialisti­che. Durante quattro anni, dal 1914 al 1918, due gruppi digrandi potenze si sono contesi il controllo del mercato mondia­le. In nessuno dei due campi era schierato alcun paese -fasci­sta».

In realtà, il fascismo e la guerra sono due diverse conse­guenze di una medesima causa: pur se i due fenomeni s'intrec­ciano fra loro, pur se a volte sembrano confondersi - o, tenden­ziosamente, si cerca di confonderli - essi hanno un'esistenzadistinta e implicano quindi l'esigenza di analisi separate.

Quanto è accaduto a partire dal 1939 illumina forse oggi diuna luce nuova il fenomeno fascista?

Pur rischiando d'apparire presuntuoso o attestato su posi­zioni preconcette, credo che gli avvenimenti di questi ultimi an­ni non siano valsi a modificare sensibilmente le conclusionidel mio libro. La sola cosa che, dopo il 1939, il fascismo hasaputo ancora produrre sulla sua scena è la prova, rinnovata,amplificata, della sua barbarie. Ma chi poteva dubitarne dato ilmodo in cui, già prima di prostrare l'Europa, aveva prostrato ilproletariato italiano e quello tedesco?

Oltre a ciò, la guerra e poi l'occupazione tedesca, consen­tendoci d'osservare più da vicino il fenomeno, ci hanno inse­gnato ciò che già avevamo sospettato: che il regime fascista ­nonostante le sue pretese «totalitarie» - non è affatto omoge­neo. Esso non è riuscito a fondere in un'unica lega i diversi ele­menti di cui si compone. I suoi ingranaggi non riescono a fun­zionare senza scricchiolii.

Per quanto Hitler si sia applicato per anni a ricercare unaformula di compromesso, il partito e l'esercito - la Wehrnzacht- da un lato, la Gestapo e le Sol', dall'altro, continuano irriduci-

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bilmente a asteggiarsi. Dietro a questo conflitto si delinea, inuna certa misura, una questione di classe. Il regime fascista, aonta delle apparenze che si compiace di mostrare, non è riusci­to a ridurre alla docilità lo borghesia.

Alcuni anni or sono, quando sostenevo lo tesi che il fasci­smo è uno strumento al servizio del gran capitale, mi si obietta­va che, sia in Italia che in Germania - ma soprattutto inquest'ultima - il grande capitale si era messo al passo con il re­gime. Ma ciò non era e non è esatto.

La borghesia capitalistica è rimasta, dentro allo Stato tota­litario, una forza autonoma, che continua a perseguirvi i proprifini particolari. Essa ha fatto indossare agli altri la camiciabruna - perché le squadre hitleriane le erano pur necessarie perschiacciare il proletariato - ma non l'ha mai indossata in pri­ma persona, salvo i casi, se ve ne sono stati, in cui l'ha fatto perragioni di facciata. Hennann Rauschning non ci ha detto la ve­rità nella sua tesi, secondo cui la classe dirigente sarebbe stataeliminata a opera dei plebei nazisti, «nihilisti» e senza alcun ri­spetto per niente e per nessuno': Senza dubbio, non sarannomancati casi isolati di grossi borghesi maltrattati e anche co­stretti ad espatriare. Ma il grande capitale, nel suo insieme, nonha mai corso il minimo rischio di essere spazzato via dalla ma­rea bruna...

Da sempre, l'esercito rappresenta lo strumento per eccellen- .za della classe dirigente. La sua relativa autonomia nei con­fronti del regime e il suo rifiuto di lasciarsi interamente nazisti­ficare esprimono l'autonomia del gran capitale, e della grandeproprietà fondiaria, di fronte al regime fascista, ne esprimono ilrifiuto di lasciarsi caporalizzare. Certo, Hitler ha operato all'in­terno del suo stato maggiore dei tagli profondi, eliminando unodopo l'altro i generali più indocili.

1 Hermann Rauschning, La Révolution du nihilisme, traduzione franceseabbreviata, 1939.

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E tuttavia, proprio questa continua «epurazione» non fa checonfermare la resistenza opposta dall'esercito e, dietro ad esso,dalla grande borghesia alla nazistificazione integrale.

Dopo il 20 luglio 1944, in seguito all'attentato contro Hitler,furono impiccati o fucilati generali, grandi borghesi, Junker. Il20 luglio 1944, in Germania, allo stesso modo che il 25 luglio1943 in Italia (giorno in cui il maresciallo Badoglio e il re fece­ro arrestare Mussolini) costituiscono la prova più inconfutabileche la classe dirigente non si è lasciata assorbire dal sedicenteStato totalitario. Dopo aver finanziato il fascismo e averlo por­tato al potere, la borghesia ha solo tollerato, nonostante gli in­convenienti secondari che ciò comportava, l'invasione delloStato da parte della plebe nazista: essa trovava in quest'opera­zione il proprio interesse. Ma dal giorno in cui le è apparsochiaro che gli inconvenienti del regime stavano per sopravanza­re i vantaggi, non ha esitato a sbarazzarsene, con l'ausiliodell'esercito.

Già dal 1936, nelle conclusioni di questo libro, avevo avan­zato una simile ipotesi. E la manovra è già riuscita in Italia. E'fallita invece, per alcuni anni, in Germania. Tuttavia, dallabomba del 20 luglio, Hitler è ormai virtualmente finito. Il grancapitale e le alte gerarchie dell'esercito non lo seguono più.«Dopo l'attentato, scrive un giornalista americano, Hitler sache... la nobiltà e la casta militare, i grandi industriali, i ban­chieri... sono contro di lui». La sua sopravvivenza non è che unfenomeno d'inerzia, il prodotto dell'inaudito terrore esercitatosull'intera popolazione e fin dentro all'esercito dalla polizia edalle Ss di Himmler e della paura della classe dirigente di sca­tenare una guerra civile aperta in piena guerra contro il nemicoesterno. Quest'ultimo episodio della sua storia prova che, gra­zie al formidabile strumento di repressione che si è forgiato, ilfascismo riesce a conservarsi ancora, in pur labili condizioni disopravvivenza; oltre il momento in cui il ~an ca~itale l'ha ~b~

bandonato. Il piombo delle pallottole destinate al lavoraton glI

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può allora servire anche per bucare la pelle di qualche borghe­se. Ma un simile stato di cose non può durare a lungo.

Nessun regime politico può govemare contro la classe chedetiene il potere economico. E sarebbe ridicolo se ciò affligges­se ancora qualche puro d'animo: le vecchie leggi che, da sem­pre, hanno retto i rapporti tra le classi nemmeno questa voltavengono eluse. Il fascismo non è riuscito a sospenderle con uncolpo di bacchetta magica. Tra fascismo e gran capitale il lega­me è così intimo che il giomo stesso in cui quest'ultimo lo pri­va del suo sostegno, immediatamente per il fascismo cominciala fine.

Nelle conclusioni di questo libro, avevo insistito sulla stra­ordinaria capacità di tenuta del fascismo. L'accanita, dispera­ta resistenza che ancora - nel momento in cui scrivo queste ri­ghe - riesce a opporre al suo scontato destino superaevidentemente ogni previsione. E nondimeno il fenomeno sicomprende; basti ricordare che il fascismo non è soltanto unostrumento al servizio del gran capitale ma anche, al tempo stes­so, una mistica sollevazione della piccola borghesia pauperiz­zata e scontenta. La cocente delusione delle classi medie, chehanno portato il fascismo al potere, non ha coinvolto la basedei militanti. Nell'enorme apparato burocratico dello Stato fa­scista, molti sono gli approfittatori e i corrotti, ma esistono ac­canto a loro gli autentici fanatici, per i quali difendere il regimenon significa soltanto difendere la propria posizione sociale, ola propria vita, ma soprattutto battersi per un ideale nel 'qualecredono con fede incrollabile, fino alla morte

(Annotiamolo qui, per inciso: non è senz'altro con la forzabruta, con la forza delle baionette straniere, che sarà veramentepossibile disintossicare i cervelli.]

Nei paesi in cui si è affermato, il fascismo tende a lasciareprofonde tracce dietro di sé anche per un'altra ragione. Sianell'ora del suo declino che in quella del suo avvento, esso de-

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ve molto alla compiacenza dei suoi «avversari»: lo Stato «de­mocratico» che gli succede è ancora completamente infetto delmorbo fascista, così come lo Stato «democratico» che l'avevapreceduto era già tutto infettato dallo stesso morbo. L '«epura­zione» non è che una mera commedia: per rendere realmente'sterile lo Stato borghese bisognerebbe svuotarlo e spezzarlo. Glialti gradi dell'amministrazione, l'esercito, la pol!zi,!, .la .n:a/f­-stratura rimangono quasi interamente nelle mani di ausiliari e'di complici del regime, di quegli stessi che già, in altri tempi,hanno consegnato al fascismo le chiavi del potere. In Italia, ilmaresciallo Badoglio è l'uomo che vent'anni fa ha messo a di­''SjJo sizione delle «camicie nere» i quadri e le risorse dell:e~erci~

'th. E' allora possibile stupirsi che, succeduto a Mussolini, egll;/asci scappare il Duce dalla propria prigione? Bonomi è l'uo.­'mo che, negli anni 1921-1922, ha preparato il terreno al fasci­imo. Può fare perciò meraviglia che nel 1945, durante il suogovemo e con la complicità dei suoi funzionari, il generale fa­'~Cista Roatta riesca anche lui ad evadere?

C'è forse un punto nelle conclusioni di questo libro, al qua­le non è stato dato sufficiente risalto: è il cammino sotterraneocompiuto dalla lotta di classe sotto la spessa coltre fascista.i/:" accento è stato messo soprattutto - e bisognava farlo - sui ter­nbili metodi posti in atto dai regimi totalitari per disgregare, per;'1" _ •

«aJomizzare» il movimento della classe operata, per traviare, ''diciamo, scientificamente e schiacciare in embrione ogni forma'di opposizione. Ma, mano a mano che la pesante cortina fasci­sia'si ritira, ci accorgiamo che la lotta di classe, chemolti pre­i~:;'devano liquidata per sempre, ha continuato il suo cammi­~o. Nel momento in cui vengono scritte queste righe, l'Italial'Settentrionale non è ancora stata liberata. Nondimeno, già ci è'giunta l'eco dello spirito rivoluzionario che anima i lavoratoridi Milano, di Torino, delle grandi città industriali sulle quali,nel '20, fu alzata a sventolare la bandiera rossa. Questi vent'an-

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ni e più di dittatura fascista non sono riusciti a cambiare l'ope­raio italiano.

In Germania, l'influenza assoggettatrice del regime e il ter­rore poliziesco sono stati infinitamentepiù forti. Tuttavia, a on­ta del bavaglio premuto sulla bocca del popolo tedesco, sta og­gi rivenendo alla luce, sopravvissuta, un'avanguardiarivoluzionaria, soprattutto nei campi e nelle prigioni. Il fasci­smo non ha interrotto la marcia inarrestabile dell'umanità ver­so la propria emancipazione. L 'ha soltanto sospesa, sulla car­ta, provvisoriamente.

Era davvero necessario ripubblicare questo libro, proprioora che la rovina di Mussolini e di Hitler sembra di per sé suffi­ciente a scoraggiare ogni loro imitatore in altri paesi? Al di làdell'interesse retrospettivo che può offrire, riesce ancora - que­sto libro - a presentarsi in termini d'attualità?

Rileggendolo, ho l'impressione che, in fondo, esso trattamolto meno del fascismo che del socialismo. In buona sostan­za, che cos'è infatti il fascismo se non il prodotto diretto dell'in­sufficienza del socialismo? Dietro il fascismo, l'ombra del so­cialismo è presente a ogni istante. Personalmente, ho studiatoilprimo soltantoper rapportarlo al secondo.

In varie occasioni, mentre scrivevo queste pagine, il fasci­smo mi è servito d'elemento di contrasto e mi ha consentito didefinire meglio, in contrappunto, taluni aspetti essenziali delsocialismo. Il giomo in cui, come dobbiamo sperare, il fasci­smo non sarà più che un brutto ricordo, di questo libro non ri­marrà d'utile che il tentativo di situare il socialismo in rapportoa ciò che fu, per un certo numero di anni, il suo più terribiie av­versario. A questo titolo, forse, Fascismo e gran capitale noninvecchierà troppo in fretta.

E tuttavia, al dunque, è poi così certoche l'epidemia fasci­sta sia oggi definitivamente sotto controllo? Certo, me lo augu­ro; non ne sono comunque sicuro. Che la sconfitta dell'eAsse»

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suoni, nel mondo intero, come campana a morto sul cadaveredel fascismo é forse un'illusione troppo diffusa.

Le grandi «democrazie» non dicono sempre la verità. Essehanno combattuto contro Hitler non tanto per la forma autori­taria e brutale del regime nazionalsocialista - come oggi hannola pretesa di affermare - quanto perché l'imperialismo tedescos'è a un certo momento spinto a contendere loro l'egemoniamondiale. Troppo spesso vien dimenticato il fatto che Hitler èstato innalzato al potere con la benedizione della borghesia in­ternazionale e che, durante i primi anni della sua dittatura, nongli è mancato l'esplicito appoggio del capitalismo anglosasso­ne, dai Lords britannici a Henry Ford. Egli era visto comel'euomo forte», come il solo capace di ristabilire l'ordine in Eu­ropa e di preservare il continente dal bolscevismo.

Soltanto molto più tardi la borghesia dei paesi «democrati­ci», minacciata nei suoi interessi, nei suoi sbocchi commercia­li, nelle sue fonti di materie prime dall'irresistibile espansionedell'imperialismo tedesco, ha cominciato a predicare contro ilnazionalsocialismo, a denunciarne la natura «immorale» e«anticristiana». E tuttavia, perfino allora, taluni grandi borghesie principi della Chiesa, più preoccupati di scongiurare il perico­lo «rosso» che quello nazista, hanno continuato a nutrire undebole per il gendarme tedesco dell'Europa.

Oggi, le grandi «democrazie» si proclamano «antifasciste».Non hanno che questa parola sulle labbra. L'antifascismo, in­fatti, è loro necessario per riuscire a battere il rivale tedesco:sfruttando soltanto il tradizionale sciovinismo, esse non avreb­bero potuto ottenere la piena adesione delle masse popolari al­la lotta contro l'hitlerismo. A dispetto delle apparenze, l'epocadelle guerre nazionali è finita. La lotta di classe, la guerra so­ciale dominano il nostro tempo. Le masse operaie potevanoessere indotte a sacrificarsi per l'Europa soltanto se i loro senti- imenti d'ordine sociale fossero stati risvegliati, se si fosse fattoappello al loro istinto di classe. Ed ecco che, sceso in campo

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dapprincipio come discepolo di Maurras, Charles de Gaulle hapoi saputo stringere molto opportunisticamente nella sua lamano di Stalin.

Ma, domani, le grandi «democrazie» potrebbero riporre contutta naturalezza l'antifascismo nel magazzino degli attrezziusati. Già fin d'ora, questa parola magica, che ha fatto insorge­re i lavoratori contro l'hitlerismo, viene considerata con sospet­toe avversata non appena serve a riaggregare tra loro gli avver­sari del sistema capitalistico.

In Belgio, in Grecia, gli Alleati non hanno minimamenteesitato a colpire con rigore quella stessa Resistenza che avevaloro reso per il passato tanti benaccetti servizi. Per ristabilirel'eordine», arriveranno presto o tardi - e già ci sono arrivati inGrecia - ad assicurarsi dei punti d'appoggio in seno alle popo­lazioni liberate e sosterranno, contro l'avanguardia popolare,formazioni più o meno fasciste. Certo, queste ultime verrannobattezzate - com'è già accaduto - con altro nome, ché quello difascista è ormai un nome «bruciato».

Ma, sotto la nuova etichetta, la mercanzia è ancora quellavecchia. Il fascismo, con qualunque nome lo si chiami, ha insé tutti i numeri per restare l'arma di riserva del capitalismo indeclino.

In tal modo, sulla base del più recente evolversi degli avve­nimenti, trova conferma la conclusione essenziale cui approdaquesto libro: che il fascismo, frutto dell'insufficienza del socia­lismo, non può essere efficacemente combattuto e definitiva­mente sconfitto se non attraverso la rivoluzione proletaria.Qualsiasi «antifascismo» che la rifiuti non è che chiacchieravana e imbroglio. La sventura nostra è d'aver consentito che selo accaparrassero i democratici borghesi.

Questi signori temono certamente il flal;ello fascista, ma te­mono almeno altrettanto il potere operaio. Per conciliare que­ste due sorte di paura, la loro fantasia ha concepito una solu-

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zione ibrida, quella dei -fronti popolari». I portavoce dei frontipopolari declamano contro il fascismo, ma si guardano benedal prendere qualsiasi radicale misura atta ad estirparne le ra­dici reali.

Nonostante le loro tirate demagogiche contro le «duecentofamiglie» e contro i arusts», essi fanno bene attenzione a nonsciupar nulla del capitalismo, e anzi - cosa ancor più grave ­rendono più acute con la loro politica economica e sociale lecause di frizione tra il proletariato e le classi medie, rigettandoin tal modo queste ultime verso il fascismo da cui affettavanoinvece la pretesa di distoglierle. .

La minaccia del fascismo ha fatto scoprire a molti il pro­blema delle classi medie. Per il passato, i partiti di sinistra nonvi avevano saputo vedere che una fedele e facile clientela elet­torale. Ma dal giorno in cui è apparso chiaro che le loro oscil­lazioni, amplificate dalla crisi economica, potevano condurlefin nel campo opposto, che esse potevano tutte insieme diven­tare preda di una follia collettiva e indossare camicie nere obrune, questi stessi partiti hanno cominciato a soffrire le ango­sce della chioccia minacciata di perdere i propri pulcini e aporsi la questione di come trattenere nel proprio campo le clas­si medie.. Disgraziatamente, non hanno capito, o voluto capire, niente

di tale problema. In questo libro, esso non è trattato che moltoincidentalmente, cosa per la quale devo senz'altro al lettoredelle scuse. Il fatto è che la logica della mia analisi mi ha con­dotto, piuttosto che a ricercare come il socialismo avrebbe po­tuto sviare le classi medie dal fascismo, a illustrare come e per­ché lo stesso fascismo sia invece riuscito a conquistarle. Illettore vorrà per questo consentirmi, nelle poche righe che se­guono, una breve digressione.

Le classi medie e il proletariato hanno, contro il grande ca­pitale, taluni interessi in comune. Ma non ne hanno soltanto di

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questo genere. Il loro modo di essere «anticapitalisticis è tutt'al­tro che omogeneo. Certo, la borghesia sfrntta e aggrava a piace­re queste divaricazioni d'interessi; nondimeno, essa non giungea crearle di sana pianta. E' perciò impossibile riunire ilproleta­riato e la borghesia attorno a un programma comune che sod­disfi appieno ambedue. Una delle due parti deve fare delle con-

• •cesstoru.E anche il proletariato può, beninteso, farne qualcuna, im­

pegnandosi ad evitare che i colpi che intende portare contro ilgrande capitale colpiscano in pari tempo i piccoli risparmiato­ri, gli artigiani, i commercianti, i contadini. Ma, su alcuni puntiessenziali, esso deve rimanere intransigente, poiché se cedesse ­per usare qualche riguardo alle classi medie e rassicurare botte­gai e agricoltori - rinuncerebbe a inferire al capitalismo i colpidecisivi.

E' appunto ogni qual volta il proletariato è mancato allapropria missione di abbattere il capitalismo, ogni qual voltanon ha saputo spingere il proprio vantaggio fino in fondo, che ­incastrate tra un grande capitale rimasto in condizione di nuo­cere e una classe operaia su posizioni soltanto rivendicative - leclassi medie, rabbiosamente, si sono volte al fascismo.

Insomma, per il proletariato non si tratta di accattivarsi leclassi medie rinunciando al proprio programma socialista, maal contrario di renderle convinte della sua capacità di condurrela società su una via nuova, con la forza e la sicurezzadell'azione rivoluzionaria. Ecco, precisamente, ciò che gli in­ventori dei fronti popolari non vogliono comprendere. Essi nonhanno in mente che un'unica idea: attrarre le classi medie alloro amo. E ci si ingegnano con tanto maldestro accanimentoche puntualmente finiscono per risospingerle verso l'esca fasci­sta.

L'antifascismo potrà trionfare soltanto' smettendo di farsitrascinare al rimorchio della democrazia borghese. Diffidiamo

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di tutte le formule «anti». Esse sono sempre insufficienti, per­ché puramente negative. Non è possibile vincere un principio senon opponendogliene un altro, un principio superiore. Losconvolto mondo di oggi non è alla ricerca soltanto di una for­ma di proprietà adeguata al carattere collettivo e alle dimensio­ni titaniche della produzione modema: esso ricerca anche unaforma di govemo capace di sostituire al caos un ordine razio­nale, liberando in pari tempo l'uomo. Il parlamentarismo bor­ghese non gli offre che una caricatura di democrazia, semprepiù impotente e sempre più corrotta. Deluso, rassegnato, essorischia di abbandonarsi allo Stato forte, all'uomo provviden­ziale, al «Fuhrerprinzip».

Sul piano delle idee, l'estirpazione del fascismo non saràtotale e definitiva che il giomo in cui noi presenteremo all'uma­nità - e faremo trionfare con l'esempio - una forma nuova digovemo degli uomini, una democrazia autentica, totale, diretta,in grado di associare tutti i produttori all'amministrazione dellecose.

Questo tipo nuovo di democrazia non è una chimera, non èuna pura invenzione dello spirito. Esiste realmente. La grandeRivoluzione francese ha cominciato a delinearne le prime trac­ce. La Comune del 1871 ha segnato il primo tentativo di darlepratico corso, come hanno magistralmente dimostrato Marx eLenin. I soviet rossi del 1917, in maniera indimenticabile, nehanno proposto il modello al mondo intero. Da allora, la de­mocrazia sovietica ha conosciuto in Russia, per ragioni che inqueste righe sarebbe troppo complesso delineare, lunghi annid'eclissi. E quest'eclissi è andata di pari passo con l'ascesa delfascismo.

Oggi, il fascismo è a mal partito. Noi gli daremo il colpo digrazia provando con la nostra azione che la democrazia vera,la democrazia del tipo fondato sulla comune o sul soviet è at­tuabile ed è superiore a ogni altro tipo di governo degli uomini.Tutto il potere ai soviet, diceva Lenin.

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Mussolini ha trasformato in caricatura questa parola d'or­dine per fame lo slogan dello Stato totalitario: Tutto il potereal fascismo.

Lo Stato totalitario è un mostro che barcolla. E noi riusci­remo a liberarcene per sempre soltanto facendo trionfare la suaantitesi: la repubblica dei consigli dei lavoratori.

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PREMESSAALLA TERZA EDIZIONE

(1965)

Dopo la presa del potere da parte di Hitler, agli inizi del1933, e dopo il tentativo di putsch fascista del 6 febbraio 1934 aParigi, mi lasciai persuadere da alcuni amici, tra cui SimoneWeil, a contribuire alla lotta contro il fascismo usando lo stru­mento delle cosiddette ricerche «erudite».

Esporre le vere ragioni della vittoria fascista, smascherare,senza mezzi termini, i cedimenti dei partiti operai vinti (che al­tri s'ostinavano invece a voler camuffare), convincere il lettoreche non sipoteva combattere il fascismo aggrappandosi al fra­dicio relitto della democrazia borghese e che era dunque neces­sario scegliere tra fascismo e socialismo...: ecco quel che miproponevo di fare.

Ma, per riuscire a condurre in porto una simile impresa. erainnanzituuo necessario diagnosticare la vera natura del fasci­smo. Ai miei occhi, il fascismo era una malattia. Per descrivereun male nuovo e ancora poco conosciuto, un medico non di­spone d'altra risorsa se non quella di compararne minuziosa­mente i sintomi osservati su pazienti diversi In questo senso co­minciai a lavorare. I mieipazienti furono, ovviamente, l'Italia ela Germania e, al di là dei dissimili aspetti particolari di questidue paesi, tentai di riteneme i soli tratti comuni del comune fe­nomeno fascista.. I testi che mi hanno guidato nella vasta opera di compara­

zione alla quale mi accingevo sono stati gli scritti di Trotsky,

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sulla Germania e sulla Francia l• Essi mi hanno aiutato a com­

prendere il complesso problema delle classi medie, oscillantitra il proletariato e la borghesia, e che, da un lato la crisi eco­nomica, dall'altro le carenze strategiche dei partiti operai riget­tavano tra i desperados dell'estrema destra. Quei testi mi han­no indicato anche la via giusta per riuscire a descrivere come ilfascismo, una volta al potere, eliminasse i più radicali dei suoi«plebei» e, dopo aver operato questo genere di purga, giungesseinfine a presentarsi, almeno per una certa misura, come unadittatura militare epoliziesca di tipo classico.

Altre due opere mi sono state di grande aiuto: la prima, unaprecisa e molto documentata analisi teorica del fascismo ita­liano, assai notevole per la lucidità e lo stile che vi si esprimo­no, pubblicata in tedesco, durante l'emigrazione svizzera, daIgnazio Silone sotto il titolo Der Faschismus2

La seconda, uno scritto del discepolo spagnolo di Trotsky,Andrès Nin: Le dittature del nostro tempo, che Pierre Navilleaveva tradotto in francese e del quale egli stesso mi aveva con­segnato il manoscritto (rimasto poi inedùo)>

E' stato proprio da Nin che ho imparato a conoscere i ruolirispettivamente avuti dall'industria leggera e dall'industria pe­sante nella marcia del fascismo verso il potere e le ragioni perle quali; ad aver bisogno dello «Stato forte», era soprattutto il«gran capitale» rispetto a ogni altro gruppo economico di pres-

•stone.

1 Lev Trotsky, Problèmes de la Révoluiion allemande, 1931; La seule voie;1932; Et maimenantt, 1932 (questi tre scritti pubblicati in Ecrits, III); Où vala France, 1934 (ripubblicato in Ecrus, Il); La QuaJribne intemationale et laguerre, 1934; l'articolo «Bonapartìsme et Faseisme», in La Vérité, agosto1934 (non fumato, ma molto verosimilmente di Trotsky) [Trad. it (sparse invarie antologie): La crisi della Germania e l'avvento dlllitJer (1930-1933);La sola via; E ora?; Dove va la Francia?; La Quarta internazionale e filguerra; . e fascismo) .2 Der Faschismus. Seine Entstehung und seine Entwicklung, EuropaVerlag, Zuricb 1934, è a tutt'oggi inedito in italiano [n.d.r.].

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Quanto agli innumerevoli fatti che mi è stato necessarioriunire e catalogare, mano a mano che la malattia fascista se­guiva il suo decorso, li ho raccolti - oltre che dai ritagli del quo­tidiano Le Temps, conservatore ma assai ricco di notizie - dadue periodici dotati di una buona documentazione: i fascicolimensili che l'Istituto per lo studio del fascismo (estalinista»)pubblicava a Parigi sotto il titolo: Etudes sur le fascisme; e ilbollettino d'informazione (<<riformista») pubblicato adAmster­dam dalla Federazione intemasionale dei lavoratori dei tra­sporti e diretto dal suo segretario generale, Elido Fimmen, sottoil titolo: Fascisme.

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1. I FINANZIATORI

1. In Italia: per strappare al proletariato le concessioniaccordate subito dopo la guerra, i magnati dell'industriapesante e gli agrari sovvenzionano i fasci. - 2. Le bande fascisteal servizio del nazionalismo: l'avventura fiumana. - 3.A questapolitica si contrappone quella dell'industria leggera. - 4. Lacrisi compromette le fonti del profitto capitalistico: i magnatilanciano il fascismo alla conquista del potere. - 5. Il <piano» diGiolitti. Il capitalismo italiano concorde finanzia la «marcia suRoma». - 6. In Germania: per strappare al proletariato leconcessioni accordate subito dopo la guerra, i magnatidell'industria pesante e gli agrari sovvenzionano i «corpifranchi». - 7. I «corpi franchi» al servizio del nazionalismo:Baltikum, Reichswehr nera ecc. - 8. A questa politica sicontrappone quella della Fertigindustrie. 9. La crisicompromette le fonti del profitto capitalistico: i magnatilanciano il nazionalsocialismo alla conquista del potere. - lO.Il <piano» di Brùning e di Schleicher. Il capitalismo tedescoconcorde consegna il potere a Hitler.

.Lo Stato, da quando esiste, è lo strumento di dominio diuna classe sociale su altre classi sociali. Quando uno Statoassume un diverso carattere, quando un regime politico so­stituisce un altro, la prima domanda da formulare è dunquela seguente: che cosa avviene sulla scena della storia? Si trat­ta di una nuova classe che assume il potere?» Ma quando uncerto numero di dati non equivoci indica che è tuttora la

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stessa classe che governa lo Stato, il problema è diverso: qua­le interesse può avere la classe dominante a questo muta­mento?

Il regime politico della maggioranza degli Stati modernievoluti era, sino a oggi, la «democrazia», la pseudodemocra­zia: democrazia parlamentare e non democrazia diretta, de­mocrazia borghese e non democrazia proletaria, democraziamanipolata e non democrazia autentica. Molto spesso, se lasi esamina più attentamente, questa «democrazia» si rivelavapersino fortemente intinta di cesarismo. Ma, a grandi linee,si può affermare che, negli Stati evoluti, essa era sino a oggila formula politica più generalmente adottata.

Ora, in due grandi paesi dell'Europa occidentale, l'Italiae la Germania, questo regime è stato sostituito da un assettonuovo, che modifica sensibilmente quello precedente: il fa­scismo. Poiché si è attuato per la prima volta in Italia, gli si èdato un nome di origine italiana, ma esso non ha nulla di spe­cificamente italiano: il fenomeno è di carattere universale,

• • •non giunge ovunque a maturazione, ma ovunque se ne mam-festano per lo meno forme embrionali.

Sino a questi ultimi anni, si riteneva che la «democrazia»fosse per la classe dominante, la borghesia capitalistica, il re­gime politico preferibile. In due paesi, e non tra i minori, laborghesia ha mutato parere. Altrove, esita e tasta il terreno.Quali ne sono le cause?

I rivoluzionari hanno la tendenza naturale a ricondurreogni cosa alla propria posizione. Essi hanno l'impressioneche la borghesia ricorra alla soluzione fascista unicamenteper stornare la minacciante rivoluzione proletaria. Evidente­mente in questa spiegazione vi è qualcosa di vero, ma, a no­stro avviso, essa è troppo semplicistica. La borghesia ha sen­za dubbio paura della rivoluzione e sovvenziona bande dibravi per tenere a freno gli operai. Ma non è soltanto per sof- ,focare la rivoluzione che essa si decide a consegnare il pote- .

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re al fascismo. Né in Italia né in Germania vi è il pericolo im­mediato di una rivoluzione nel momento in cui il fascismo siimpadronisce dello Stato. La borghesia ricorre alla soluzionefascista per proteggersi, più che contro le pressioni dellapiazza, contro le contraddizioni del suo stesso sistema eco­nomico. Il male che si tratta di evitare è un pericolo internopiù che un pericolo esterno. .

Il profitto è la legge del sistema capitalistico. Durante tut­to un periodo che potrebbe essere definito la fase ascenden­te del capitalismo, la borghesia ha trovato nello sviluppo in­cessante della produzione, nel continuo ampliarsi dei suoisbocchi, nonostante le crisi periodiche di crescenza, una fon­te di aumento incessante dei suoi profitti. Dopo la guerra1914-18 che fu a un tempo la conseguenza e la prima mani-, .festazione delle sue interne difficoltà, si può dire che il capi-talismo, nel suo insieme, è entrato in una fase discendente.

• • •Le crisi economiche cicliche fanno luogo a una cnsi cromca,una crisi permanente del sistema. Il profitto capitalistico èminacciato nei suoi stessi fondamenti.

Durante il periodo precedente, la «democrazia» presen­tava molti vantaggi per il capitalismo. Il ritornello è ben noto:la democrazia è la forma di governo meno cara; lo spirito diiniziativa non si può esprimere che nella libertà; i diritti poli­tici accordati alle masse funzionano come valvola di sicurez­za e prevengono gli urti violenti; la «democrazia» aum~nt.a

gli sbocchi del capitalismo, sviluppand? nelle.masse nu~Vl bi:sogni e dando loro in qualche misura I meZZI per soddisfarliecc. Quando il banchetto è abbondante, si può tranquilla­mente lasciare che il popolo ne raccolga le briciole.

Ma nel periodo attuale, nella fase di declino del capitali­smo la classe dominante tende a confrontare sulla bilancia i, .vantaggi e gli inconvenienti della «democrazia»; perplessacome l'asino di Buridano, esamina i due piatti ed esita. In ta­luni paesi e in date circostanze, le sembra che gli inconve-

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nienti siano superiori ai vantaggi. Quando la crisi economica- ciclica e cronica a un tempo - si manifesta in forma partico­larmente acuta, quando il tasso di profitto tende a zero, essanon vede altra via d'uscita, altro mezzo per rimettere in mar­cia il meccanismo del profitto, se non quello di vuotare sinoall'ultimo soldo le tasche - già poco fornite - dei poveracciche costituiscono la «massa». E" quella che un borghesedall'eloquio brillante, Joseph Caillaux, definiva la «grandepenitenza»: brutale riduzione dei salari, degli stipendi e deicarichi sociali, aumento delle imposte, e in primo luogo delleimposte di consumo. Col ricavato di questa razzia nelle ta­sche della povera gente, lo Stato rianima le imprese sull'orlodel fallimento, le sostiene artificialmente a forza di sovven­zioni e di esoneri fiscali e mediante commesse di lavori pub­blici di armamenti; in una parola, lo Stato si sostituisce alcliente privato e al risparmio, che fanno difetto.

Ma il regime «democratico» si presta mediocremente allarealizzazione di un tale piano. Fin che sussiste la «democra­zia», le diverse categorie sociali che costituiscono il popolo,benché abbondantemente ingannate e defraudate, hannopurtuttavia qualche mezzo per difendersi dalla «grande peni­tenza»: libertà di stampa, suffragio universale, diritti sindaca­li, diritto di sciopero ecc. Mezzi insufficienti, senza dubbio,ma che pongono qualche remora alle esigenze illimitate dellepotenze del denaro. E' soprattutto la resistenza del proleta­riato organizzato che rende abbastanza difficile il massacrodei salari

Per queste ragioni, in taluni paesi e in date circostanze,allorché i suoi profitti sono particolarmente minacciati equando una brutale «deflazione» le sembra necessaria, laborghesia liquida la «democrazia» tradizionale e sollecita,coi suoi voti e coi suoi sussidi, uno Stato forte: uno Stato forteche privi il popolo di tutti i suoi mezzi di difesa e che lo con­segni, mani e piedi legati, a chi vuoI vuotarne le tasche.

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Scrivo specificamente «in taluni paesi e in date circostan­ze»: si tratta, in concreto, di nazioni che hanno rivendicato ilproprio «posto al sole» quando tutte le buone piazze eranogià occupate e che mancano sia di materie prime che disbocchi per i loro prodotti. In altri paesi meglio dotati, chedispongono di risorse economiche e fmanziarie maggiori, laborghesia è riuscita non già a scongiurare defmitivamente lacrisi, ma almeno ad attenuarne provvisoriamente l'acutezza.Essa ha potuto far nuovamente funzionare, in una certa mi­sura, il meccanismo del profitto, adottando espedienti chenon hanno richiesto la sostituzione del regime «democrati­co» con un regime di aperta dittatura. Il metodo impiegato è,in sostanza, il medesimo: il capitalismo privato è stato rimes­so a galla dallo Stato, rianimato mediante grandi lavori pub­blici e massicce commesse militari. Ma grazie alle ricchezzeaccumulate dalle precedenti generazioni, non è stato neces­sario vuotare con altrettanta brutalità le tasche dei lavoratori.Il manganello fascista è risultato inutile e il New Deal diRoosevelt più che sufficiente.

In Francia, ci siamo trovati in una situazione intermedia:poiché siamo meno ricchi degli americani, l'esperimentoBlum, caricatura del New Deal, non è stato sufficiente e la«deflazione» è risultata piuttosto brutale. Ma la situazionerelativamente prospera del capitalismo francese - vecchietradizioni di risparmio, esistenza di un impero coloniale - ciha evitato una «penitenza» troppo feroce. Negli anni cheprecedettero la guerra del 1939, abbiamo scongiurato il ran- .dello totalitario, limitandoci a subire - ed era già troppo - ilcesarismo di Daladier.

Non basta affermare che, per le ragioni ora indicate, laborghesia, in taluni paesi quali la Germania e l'Italia, ha sov­venzionato il fascismo e l'ha messo al potere. Una tale asser-

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zione non sarebbe del tutto esatta. Contrariamente a quel

che spesso si ritiene, la borghesia capitalistica non è assoluta­

mente omogenea. Senza dubbio, quando sono minacciati i

suoi essenziali interessi di classe, essa forma un blocco grani­

tico. Ma, al di fuori di queste circostanze eccezionali, il bloc­

co rivela notevoli incrinature. Taluni gruppi capitalistici, in

conseguenza dell'attività economica alla quale si dedicano,

devono difendere interessi che si contrappongono a quelli di

altri gruppi capitalistici. E' vero che questi gruppi hanno tra

loro relazioni più o meno strette, per cui non è facile traccia­

re una linea di demarcazione, ma la contrapposizione degli• ••interessi esiste.

E' dunque importante analizzare se, in Italia e in Germa­

nia, è la borghesia nel suo insieme che ha invocato la dittatu­

ra, che ha sovvenzionato il fascismo, o se queste tendenza ca­

ratterizza particolarmente taluni gruppi di essa. Occorre

ricordare che i vari partiti borghesi non sono che il riflesso, o

più esattamente gli strumenti, dei diversi gruppi capitalistici.

Prima del 1939, era facile distinguere sui banchi della Came­

ra francese, gli uomini del Comité des Forges e quelli della

Banca di Parigi., I rapporti reciproci dei partiti politici nel periodo che

precede l'ascesa al potere di Mussolini e di Hitler sono mu­

tevoli, complessi e possono portare fuori strada. Si potrà va­

lutare il ruolo da essi svolto precisamente analizzando l'at­

teggiamento dei diversi gruppi capitalistici nei confronti del

.fascismo.Questo capitolo intende dimostrare che il fascismo, in

Italia e in Germania, è stato sovvenzionato e appoggiato so­

prattutto dai magnati dell'industria pesante (metallurgica e

mineraria) e dai banchieri che avevano interessi nell'industria

pesante. Anticipiamo per un momento le conclusioni del li­

bro: lo studio minuzioso e obbiettivo del fascismo italiano e

del nazismo tedesco ci dimostrerà che in entrambi i casi l'in-

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dustria pesante, il «grande capitale», sono i principali e addi­

rittura i soli beneficiari del regime fascista.

Torniamo alla nostra analisi. Per quali ragioni i magnati

dell'industria pesante sono inizialmente i soli, o quasi, che fi­

nanziano e incoraggiano il fascismo? Perché invece gli altri

gruppi capitalistici, e particolarmente quelli che si possono

raggruppare nella definizione di industria leggera o industria

di trasformazione, assumono, nei confronti del fascismo na­

scente, un atteggiamento di riserva e talvolta persino di ostili-

t , ?a.Questa osservazione non vale soltanto per l'Italia e per la

Germania: l'industria pesante e quella leggera non hanno

identici interessi economici e una analoga strategia sociale e

politica. I conflitti tra i due settori sono continui: l'industria

leggera spesso protesta contro l'egemonia di quella pesante,

I che la costringe a pagare un grave tributo fornendole a prez­

zo di monopolio macchine e materie prime; sul piano della

politica estera l'industria pesante, che vive in gran parte di

commesse militari sia dello Stato che di nazioni «amiche)" è

per lo più favorevole a una politica di forza, di «prestigio», di

avventura imperialistica; l'industria leggera, interessata

all'esportazione di prodotti per uso civile, non ha nulla da

guadagnare dalla guerra e dall'autarchia. Essa è inoltre mag­

giormente legata dell'industria pesante al capitalismo inter­

nazionale, alla fmanza internazionale, ed è dunque in linea di

massinia favorevole a una politica di «collaborazione interna-. al 1zion e».

1 Tuttavia, le reciproche posizioni dei diversi gruppi d'interessi non sono

sempre quelle ora descritte: per esempio in Francia, durante la Seconda

guerra mondiale, per ragioni che sarebbe troppo lungo esporre in questa

nota, l'industria pesante è stata in genere piuttosto favorevole al

compromesso con la Germania e alla «pace» hitleriana, mentre altri gruppi

capitalistici legati alla finanza internazionale erano favorevoli alla guerra ad

oltranza

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L'industria pesante e quella leggera adottano metodi no­tevolmente diversi anche nei confronti della classe operaia. Idirigenti delle imprese metallurgiche e minerarie si distin­guono per il loro atteggiamento autoritario, per la loro men­talità di «padroni duri». La loro volontà di potenza si basasulle dimensioni delle loro imprese, sul ruolo preponderanteche esse svolgono nell'economia e nello Stato. Ma bisognacertamente individuarne la ragione anche in ciò che Marxdefinisce la composizione organica del capitale delle impresestesse: il rapporto tra capitale costante (investito in mezzi diproduzione, materie prime ecc.) e capitale variabile (costodella manodopera) è molto più alto nell'industria pesanteche negli altri settori.

Ne consegue che i margini entro i quali la produzione èremunerativa sono, per l'industria pesante, particolarmenteristretti': se le grandi imprese metallurgiche non possono uti­lizzare una percentuale sufficientemente elevata del loro po­tenziale produttivo, le «spese fisse» d'ammortamento delleloro installazioni si ripartiscono su una quantità insufficientedi prodotti, per cui l'utile risulta compromesso/; se avvieneuno sciopero, il minimo arresto del lavoro si traduce perqueste imprese in perdite di milioni3

. Se la congiuntura eco­nomica è sfavorevole, poiché non si possono ridurre le spesefisse non rimane che comprimere le spese di mano d'opera;la drastica riduzione dei salari diviene quindi un'imperiosa. ,necessità.

Nei confronti delle loro maestranze, gli imprenditoridell'industria leggera assumono invece, in via generale, un at-

1 Marx, Capitai (traduzione Molitor), X.2 Il ruolo delle «spese fisse » è stato particolarmente messo in luce dalprofessore tedesco Schmalenbach, in una conferenza tenuta a Vienna nelgiugno 1930.3 Prof. Bonn, Das Schicksal des deutschen Kapitalismus [Il destino delcapitalismo tedesco), (trad. francese), 1930.

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teggiamento in qualche misura diverso; la composizione or­ganica del loro capitale è meno elevata, le spese fisse sonominori e anche il loro orgoglio è meno smodato. La maggiorparte di essi preferisce alla maniera forte ciò che definisce la«collaborazione tra le classi», la «pace sociale» - che altronon è, in realtà, che una forma più ipocrita e più insidiosaper cloroformizzare il proletariato.

Non può dunque sorprendere che, nei due paesi in esa­me, l'industria pesante e quella leggera siano state ben lonta­ne dall'assumere un identico atteggiamento di fronte al fasci­smo nascente. L'industria pesante vuoI perseguire la lotta diclasse sino a che non abbia schiacciato il proletariato; l'indu­stria leggera crede ancora di poter sistemare tutto con la«pace sociale». L'industria pesante esige una politica esterabellicistica, l'industria leggera ne auspica una conciliante;l'industria pesante aspira a consolidare la sua egemonia eco­nomica con l'aiuto di uno Stato dittatoriale, e l'industria leg­gera teme precisamente questo consolidamento.

Ma - non si insisterà mai abbastanza su questo punto - igruppi capitalistici dell'industria leggera si rivelano comple­tamente incapaci di resistere al fascismo: non ne desideranoil trionfo, ma non fanno assolutamente nulla per sbarrargli lastrada. Si tratta di individuarne le ragioni: innanzitutto, il fa­scismo è un movimento «nazionale», vale a dire al serviziodelle classi possidenti, e merita, sotto questo profùo, la sim­patia o per lo meno l'indulgenza di tutti i possidenti; inoltrequesti gruppi non credono alla possibilità di una dittatura fa­scista «totalitaria» e considerano il fascismo come un qua­lunque movimento politico che essi possano manovrare e an­che utilizzare a loro piacere. Per questo, nei due paesi, gliuomini politici liberali che hanno legami molto stretti con gliambienti dell'industria leggera assumono un atteggiamento

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benevolo nei confronti del fascismo. Fedeli alla loro abitualetattica della «pace sociale», ritengono che il fascismo, unavolta che sia addomesticato e parlamentarizzato, farà da con­trappeso alle forze proletarie. In tal modo, favoriscono la suaaffermazione.

Il giorno in cui il fascismo, con loro grande sorpresa, è di:ventato una forza politica considerevole, che persegue finisuoi propri, un movimento di massa che non può più esserecontenuto a meno di non far intervenire l'esercito, allora l'in­dustria leggera e i politicanti «liberali» sono indotti dalla so­lidarietà di classe ad accantonare ogni divergenza d'interessi.Essi non vogliono versare il sangue di «patrioti» e si rasse­gnano al trionfo del fascismo. Il capitalismo nel suo insiemesi accorda per installare il fascismo al potere.

Il che - tra parentesi - è un monito per quegli antifascistiche credono di poter contare non su se stessi, ma sul «capita­lismo di sinistra», sulla borghesia «liberale», per sbarrare lastrada al fascismo.

Esaminiamo ora in dettaglio, prima per l'Italia e poi perla Germania - seguendo il metodo adottato in questo libro ­l'atteggiamento dei diversi gruppi capitalistici nei confrontidel fascismo. Per facilitare la valutazione, l'analisi è statasuddivisa in due fasi successive:

1. Inizialmente, il grande capitale non pensa di spingere ilfascismo alla conquista del potere. Esso si serve delle bandefasciste assoldate solo in qualità di milizie antioperaie. All'in­domani della guerra 1914-18, il padronato, in entrambi i pae­si, per evitare un'autentica rivoluzione socìale, è stato co­stretto ad accordare alla classe operaia importanti con­cessioni. Risoluto a strappargliele nuovamente al momentopropizio, esso ha l'idea, del tutto nuova, di affidare a band~armate e militarizzate, specializzate nella lotta antioperaia il

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compito di attaccare il proletariato organizzato e di indeboli­re la sua resistenza. Agli industriali si uniscono i grandi agra­ri che ricavano il loro reddito da uno sfruttamento illimitatodel proletariato rurale: anch'essi hanno dovuto rassegnarsi aconcessioni e sono impazienti di riguadagnare il terreno per­duto.

Ma i loro fmanziatori affidano un secondo compito allebande armate di Mussolini e di Hitler. L'Italia e la Germania 'si trovano, alla fme della Prima guerra mondiale, nella condi­zione di paesi vinti e umiliati di fronte alle grandi potenze«satolle», I grandi industriali, avidi di commesse belliche, in­coraggiano con le loro sovvenzioni la lotta contro gli «ingiustitrattati» e in questa lotta scavalcano il governo legale permezzo delle bande fasciste.

2. Ma il giorno in cui una crisi economica acuta minacciai loro profitti, per cui solo uno «Stato forte» sembra loro ingrado di assicurare nuovi utili alle loro imprese, essi decido­no di compiere un ulteriore passo: lanciano le bande fascistealla conquista del potere politico. Essi instaurano col loroconcorso una nuova forma di dittatura.

1

In Italia, alla fine della Prima guerra mondiale, si assiste aun autentico sviluppo rivoluzionario di massa. Operai e con­tadini, anche se non si orientano, per insufficiente maturità .politica, verso la conquista del potere, strappano, grazie allaloro combattività, miglioramenti considerevoli. Nell'industriai lavoratori ottengono salari più elevati, la giornata di ottoore, la generalizzazione dei contratti collettivi, una rappre­sentanza all'interno dell'impresa mediante le commissioni in-

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terne di fabbrica', Gli scioperi si succedono senza posa (1663nel 1919, 1881 nel 1920). A Genova e nei grandi porti i'por:tuali, saldamente organizzati, dettano legge agli armaton. Glioperai metallurgici fanno anche di più: nel settembre 1920trasformano un semplice conflitto salariale in una grandebattaglia di classe: poiché i magnati dell'industria pesanteavevano deciso la serrata, 600.000 metallurgici occupano lefabbriche, gestiscono essi stessi la produzione mediante iconsigli di fabbrica, non esitano a violare il sancta sanctorumdel padronato aprendo le sue casseforti, che rivelano i segre­ti, così gelosamente custoditi, dei ricavi e dei profitti. Il con­flitto termina a favore degli operai, che ottengono, almenosulla carta, un diritto di controllo sulla gestione delle impre-

'1 II . 2se: l «contro o operaio» .I contadini non sono meno combattivi. Reduci dalle trin­

cee chiedono la «divisione delle terre» che era stata loropro~essa e, non ottenendola, occupano essi ~tessi il. suolodesiderato. Un decreto del governo deve sanzionare il fattocompiuto; purché organizzati in cooperative, si riconosce lo­ro il diritto di rimanere per quattro anni sulle terre occupate(decreto Visocchi del 2 settembre 1919).

I mezzadri riescono a migliorare notevolmente le clausoledei loro contratti. I braccianti, appoggiandosi alle ammini-

! strazioni dei comuni rurali conquistati dai socialisti e che di­vengono altrettante roccaforti proletarie, si organizzano sal­damente nei loro sindacati, le famose «leghe rosse»,discutono coi grandi proprietari da pari a pari, e strappanoanch'essi contratti collettivi.

1 In realtà, i primi casi di commissioni interne si hanno anche prima dellaguerra [n.d.t.]. .2 Sulla carta, perché il progetto di legge sul c~ntrollo ~peralO no~ vennemai attuato. Gli industriali presero a pretesto l .ac~ta. cnsl. econ~mlc.a ~lla.fine del 1920 per ottenere il rinvio a tempi migliori, E I tempi migliorifurono costituiti dal trionfo del fascismo,

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Queste conquiste minacciano direttamente, nei loro inte­ressi e nella loro autorità, i due poteri feudali che governanol'Italia: la feudalità industriale e quella agraria. La prima è diformazione recente, è soltanto nel corso del primo decenniodel secolo che l'industria metallurgica si afferma in Italia. Inun paese che non possiede né ferro né carbone, essa non puòessere che parassitaria e può divenire redditizia solo sotto­mettendo tutte le forze economiche e politiche del paese, ta­glieggiando le industrie di trasformazione e i consumatori, vi­vendo di protezione doganale e di commesse statali. Laspedizione di Libia (1911-1912) e la Grande guerra l'hannoconsolidata. Avendo ammassato enormi fortune fabbricandostrumenti di morte, alcuni industriali metallurgici quali i Per­rone e gli Agnelli aspirano, all'indomani dell'armistizio, a do­minare la vita economica delpaese. Solo sotto una pressionemassiccia e per evitare un'autentica rivoluzione, essi hannofatto concessioni ai loro operai, ma sono ben decisi a ripren­dersi il più presto possibile quello che hanno accordato. So­prattutto l'occupazione delle fabbriche ha costituito per loroun campanello d'allarme, hanno avvertito nell'aria la minac­cia dell'espropriazione.

2

Superata la crisi, essi e i loro alleati, in particolare gli ar­matori di Genova, sono decisi a ricorrere a qualsiasi mezzopur di sottrarsi al «controllo operaio» e alla partecipazionedei lavoratori alla gestione delle imprese.

La feudalità agraria non è meno decisa a riconquistare ilterreno perduto. In Italia, la vecchia aristocrazia è rimastaproprietaria del suolo; animata da una forte coscienza di

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classe essa è organizzata, sin dal 1908, in una potente Asso­ciazione agraria e la guerra l'ha rafforzata con nuove catego­rie di proprietari terrieri.

A Genova, ai primi d'aprile del 1919, grandi industriali eagrari stipulano una santa alleanza contro il «bolscevismo».

«Questo convegno - scrive Rossi - è il primo passo verso unariorganizzazione delle forze capitalistiche per fronteggiare laminacciosa situazione»1. Il 7 marzo 1920 si riunisce a Milano laprima Conferenza nazionale degli industriali italiani e si crea laConfederazione generale dell'Industria. Viene elaborato un pianocompleto e preciso per un'azione comune e tutto vi è previsto, sinoalle specifiche forme di lotta contro i sindacati operai. Poco dopo, il18 agosto, si costituisce la Confederazione generale dell'Agri­coltura. «Industriali e agrari - osserva Rossi - non hanno intenzionedi battersi in ordine sparso».

Ma né la feudalità industriale né quella agraria possono .esse stesse scendere in lotta contro il proletariato organizza­to nelle fabbriche e nei campi, perciò affidano questo compi­to a bande armate, in particolare ai «fasci» di Benito Musso­lini, che si defmiscono organi del «fronte unicoantibolscevico»; queste bande devono attaccare la classeoperaia, indebolire la sua capacità di resistenza e di lotta, inmodo da consentire agli industriali e agli agrari di riguada­gnare il terreno perduto.

Nell'aprile 1919 Mussolini invia il suo saluto all'assembleadelle «organizzazioni economiche- e offre il suo appoggio,che non viene rifiutato. Ma è soprattutto verso la fine del1920, dopo l'occupazione delle fabbriche, che le sovvenzionidei grandi industriali e degli agrari aumentano considerevol­mente.

Vi è una seconda ragione che, alla fme della guerra 1914­18, spinge i magnati dell'industria italiana a sovvenzionare e

l Rossi, La naissance du [ascisme , Paris 1938 [A, Rossi (Angelo Tasca),Nascita e avvento del fascismo. L'Italia dal 1918 011922, Firenze 1959 e Bari1965 (n.d.r.)).

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ad equipaggiare bande armate. Il giovane imperialismo ita­liano è apparso troppo tardi sulla scena di un mondo nelqual~ t'?tte le ~)llone posizioni erano già occupate; a malape­na gli SI è lasciata una briciola del festino, i deserti di sabbiadella Libia. L'Italia, alla vigilia della guerra, è, secondol'.espression~del nazionalista Corradini, la «grande proleta­na», Tale rimane anche dopo l'armistizio: l'Intesa le avevapromesso «compensi» territoriali, ma le promesse non ven­gono mantenute. I magnati dell'industria pesante hanno uninteresse diretto a impegnare il loro paese in una politicaestera nazionalistica e aggressiva, che permetterebbe loro dicontinuare ad arricchirsi con le commesse militari dello Sta­to e nello stesso tempo di aprire con la forza nuovi sbocchialle loro industrie.

Scavalcando il governo italiano, essi sovvenzionano e ar­mano bande di ex combattenti e di avventurieri e poiché laConferenza della pace ha rifiutato all'Italia la città di Fiume1

. . 'eSSI suggenscono a queste bande un gesto simbolico: le spe-discono a occupare la città agli ordini di D'Annunzio (17 set­tembre 1919). Alla fine dell'anno, i grandi industriali forni­scono a Mussolini i mezzi necessari per condurre su IlPopolo d'Italia - divenuto giornale a grande tiratura - unamassiccia campagna per suggerire grandi armamenti navali eaerei. Nel numero del 23 dicembre, Mussolini annuncia chesta per intraprendere anche una campagna per una politicaestera espansionistica.

l Dal luglio 1919 Fiume [Rijeka], che non era stata assegnata né all'Italiané alla Jugoslavia, era amministrata da una commissione militareinternazionale.

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A questa politica dei magnati dell'industria pesante sicontrappone quella degli imprenditori dell'industria leggera,soprattutto del settore tessile, ramo che ha preceduto in Ita­lia l'industria pesante. L'industria tessile è fmanziata da ungrande istituto di credito, la Banca Commerciale. Alla vigiliadell'entrata in guerra dell'Italia, durante e dopo le ostilità, siera sviluppata tra i due gruppi una lotta assai vivace: i fratelliPerrone, esponenti del trust metallurgico Ansaldo, da unaparte, e Toeplitz, direttore della Banca Commerciale, dall'al­tra.

L'industria leggera teme più di ogni altra cosa un'egemo­nia dell'industria pesante, le cui conseguenze sarebbero unprotezionismo doganale a oltranza e la costrizione ad acqui­stare a prezzo di monopolio le macchine che le necessitano.Nei confronti della classe operaia l'industria leggera è dispo­sta a un atteggiamento conciliante: l'abilità del suo leaderpolitico, Giolitti, consiste nel tenere tranquillo il proletariatomediante la «collaborazione tra le classi».

Nel 1915 l'industria leggera e Giolitti si sono opposti va­namente all'intervento in guerra dell'Italia, ma nel luglio1919 Giolitti torna al potere, propone alla Camera un'inchie­sta sui profitti di guerra - misura chiaramente diretta control'industria pesante - liquida, nel dicembre 1920, l'avventurafiumana e attua una politica di collaborazione internazionale;infine, durante l'occupazione delle fabbriche, egli svolge unruolo di mediazione, non sostiene a fondo né industriali néoperai, frena le velleità rivoluzionarie dei secondi, ma obbli-ga i primi a fare concessioni. .

Dal canto loro, i dirigenti della Banca Commerciale assi­curano alla federazione degli operai metallurgici (Fiom) laloro benevola neutralità.

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Ma ben presto i magnati dell'industria pesante non mira­no più solamente a indebolire il proletariato organizzato uti­lizzando le bande fasciste. Essi si propongono di lanciare ilfascismo alla conquista del potere; aspirano allo «Stato for­te», mediante il quale imporre direttamente la loro volontà.

Nel 1921 una grave crisi economica prosciuga sempre dipiù le loro fonti di profitto. Grazie alla guerra, le loro impre­se hanno avuto uno sviluppo prodigioso. Si sono costituitigrandi complessi come l'Ansaldo, che comprende varie im­prese metallurgiche e siderurgiche come l'Uva, che inglobanumerose imprese minerarie e metallurgiche e una compa­gnia di navigazione'.

Si è persa ogni nozione dei costi di produzione, si sonocreate industrie artificiali, parassitarie, si è iniziato nuova­mente lo sfruttamento di miniere abbandonate da lungo tem­po: le commesse militari hanno fatto credere a una indefinitapossibilità di collocamento della produzione, a un indefmitoaumento di profitti.

Ma, con la pace, le commesse belliche cessano da ungiorno all'altro, il mercato interno si dissolve e, nello stessotempo, i previsti sbocchi esterni vengono a mancare: non so­lamente l'Italia si vede negare i «compensi» promessi dall'In­tesa, ma si chiudono i mercati conquistati a fatica, prima del1914, nell'Europa orientale e nel vicino Oriente.

Come troveranno remunerazione gli enormi capitali inve­stiti nell'industria pesante? Come è possibile ridurre il poten-

.

l L'Ansaldo ha, in quest'epoca, un capitale azionario di mezzo miliardodi lire e un capitale obbligazionario di 100 milioni. L'lIva ha un capitaleazionario di 300 milioni e un capitale obbligazionario di 146 milioni. Cfr.Perroux, «Economia corporativa e sistema capitalistico» in Revued'Economie politique, sett.-ott. 1933. '

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ziale produttivo di un'industria che avev~ ass~to un ritm~

tanto caotico? Crollano uno dopo l'altro l grandi mastodontimetallurgici, l'Uva, l'Ansaldo, e la loro banca, la Banca diSconto. Nel gennaio 1921 vi sono già 600.000 disoccupati.

I magnati sono giunti al punto in cui solo il concorso delloStato può rendere nuovamente redditizie le loro industrie: loStato deve aiutarli a spezzare la resistenza operaia e a ridur­re i salari, lo Stato deve dare nuova linfa alle loro impresestagnanti, accordando sovvenzioni ed esoneri fiscali, deve a:>­sicurare una maggior protezione doganale e mantenerle m 'vita con commesse militari. Tra i responsabili del crollo dellaBanca di Sconto, scrive Rossi, «vi sono molti fmanziatori delfascismo e del nazionalismo, che vorrebbero essere salvati aspese dello Stato» (op. cit.).

Ma lo Stato non è, nelle loro mani, uno strumento del tut­to docile: gli uomini politici al potere - Giolitti e i suoi luogo­tenenti - rappresentano, più che i loro, gli interessi dell'indu­stria leggera. E soprattutto le libertà democratiche in unacerta misura permettono, alle masse lavoratrici, di tutelare leloro condizioni di vita. Se le organizzazioni operaie sono sta­te indebolite e i loro aderenti demoralizzati dalle feroci «spe­dizioni punitive» delle bande fasciste l , il Partito socialista ela Cgl continuano tuttavia a rappresentare una forza con laquale occorre fare i conti.

Rimane una soluzione: annientare radicalmente le libertàdemocratiche, spezzare le organizzazioni operaie, .a!fidare ladirezione dello Stato a uomini completamente docili. Le ban­de fasciste non svolgeranno più soltanto la funzione di milizieantioperaie. Al loro congresso di. Roma..(7-10 nove":lb~e1921) i fasci si trasformano in partito politico, Al ~O?-Sl~Onazionale di Firenze (20-21 dicembre 1921) Mussolini da alpartito la nuova parola d'ordine: la conquista del potere.

1 Si veda, avanti, il capitolo V.

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Come abbiamo visto, l'industria leggera non ha nulla dasperare dal trionfo del fascismo, ma gli uomini di Stato cheda essa dipendono trattano benevolmente il fascismo perchéè un movimento «nazionale». Giolitti ritiene che dopo averimbrigliato il proletariato organizzato e impedito che l'occu­pazione delle fabbriche sfociasse in rivoluzione, egli sarà ingrado di imbrigliare nello stesso modo il fascismo, che, unavolta «parlamentarizzato», servirà da utile contrappeso alleforze proletarie.

Nella primavera del 1921 egli scioglie la Camera e, proce­dendo a nuove elezioni, ingloba il fascismo in un «blocco na­zionale» di partiti governativi. In tutta Italia, i candidati fasci­sti si presentano con l'appoggio del governo e Giolitti fa cosìeleggere trenta deputati fascisti, tra i quali Mussolini.

«Consideravo ciò estremamente vantaggioso - scriverà poi nellesue Memorie - perché il fascismo rappresentava ormai una forzareale nel paese e, secondo il mio antico principio che tutte le forzedel paese devono esser rappresentate nel Parlamento e trovarvi laloro espressione, era utile che anch'esso avesse la sua rappre­sentanza parlamentare».

Ritenendo di aver imbrigliato a un tempo socialisti e fa­scisti, Giolitti tenta di riconciliarli: il suo luogotenente, Bono­mi, fa loro firmare, il3 agosto, un «patto di pacificazione».

Ma il piano di Giolitti porta a un risultato del tutto oppo­sto a quello da lui perseguito: invece di addomesticare il fa­scismo, gli ha fornito, sostenendo i suoi candidati alle elezio­ni, il migliore dei trampolini.

Invece di metter fme alla guerra, il «patto di pacificazio­ne» procura a Mussolini il respiro indispensabile, da unaparte per rassicurare l'opinione pubblica media, resa mal di­sposta dalle violenze fasciste e, dall'altra per disciplinare e

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coordinare un movimento sviluppatosi troppo rapidamente.Raggiunto questo doppio risultato, Mussolini si affretta a

denunciare il patto (novembre 1921).

«Era stato utile e necessario concluderlo - scrive lo storico Volpe ­era ora utile e necessario romperlo»].

La guerra civile riprende ancor più implacabile.All'inizio del 1922 gli uomini dell'industria leggera, e an­

che la Corona, intimamente legata alla Banca Commerciale,comprendono che il fascismo è divenuto un~ forza au~onoma

che non può più essere contenuta, a meno di non far mt~rv~­

Dire l'esercito. Ma gli interessi generali della classe capitali­stica esigono che le forze «nazionali» non si scontrino tra lo­ro. Inoltre, sul piano economico, si è prodotto un fattonuovo: dopo il crollo dei grandi consorzi metallurgici e dellaBanca di Sconto, la Banca Commerciale ha acquistato unaparte delle partecipazioni industriali ~ q~e.sto i~tituto, per !cui i nuovi interessi di cui è compartecipe Si identificano conquelli dell'industria pesante. Ormai, non soltanto quest'ulti­ma, ma anche la Banca Commerciale spingono Mussoliniverso il potere: nell'ottobre 1922 i magnati della Confedera­zione dell'Industria e Toeplitz forniscono insieme i milioninecessari per la Marcia su Roma2

l Volpe, Storia del movimento fascista , Roma 1935 (in francese). . .2 Il 28 ottobre, a Milano, racconta Rossi [Tascal, «hanno .luogo intensrscambi di vedute tra Mussolini... e i capi della Confederazione generaledell'Industria, i deputati A. Stefano Benni e Gin? <?!ive.tti. I dirigentidell'Associazione bancaria. che avevano versato venti milioni per la Marciasu Roma, i dirigenti della Confederazione dell'lndustr!a e della Confed~­

razione dell'Agricoltura. telegrafano a Roma ~r ~pn.mere a Salandra Ilparere che la situazione non comporta altra Via d USCita che un ~ovemo

Mussolini». Il senatore Ettore Conti, grande industriale elettrico, invia untelegramma analogo a Facta. «Mussolini è... il candidato della plutocrazia edelle associazioni economiche» (op. CIL).

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Anche in Germania la fine della guerra è caratterizzatadallo slancio rivoluzionario delle masse operaie e contadine.Nel novembre 1918, mentre si disgrega il militarismo prussia­no, in poche ore si delinea spontaneamente un nuovo centrodi potere: i consigli degli operai e dei soldati, trasposizione inGermania dei soviet russi. Per qualche giorno, i consigli sonola sola autorità legale esistente nel Reich, in ogni città l'as­semblea dei consigli degli operai e dei soldati delega i suoipoteri a un consiglio esecutivo. A Berlino, il governo centraledei «commissari del popolo» è una semplice emanazione delComitato esecutivo dei consigli berlinesi.

TI tradimento della socialdemocrazia da una parte, lamancanza di educazione e di tradizione rivoluzionaria dellemasse dall'altra, compromettono l'esperimento e ben prestola repubblica dei consigli si trasforma in una repubblica de­mocratico borghese. Ma, nel suo ambito, operai e contadiniconseguono importanti vantaggi politici ed economici: esten­sione del suffragio universale ai due sessi, giornata di ottoore, generalizzazione dei contratti collettivi, assicurazionecontro la disoccupazione, consigli d'impresa eletti dalle mae­stranze ecc. Dal canto loro, i braccianti al servizio dei grandiproprietari dell'Est ottengono il diritto di associazione, af­fluiscono in massa nei sindacatil , strappano migliori condi­zioni di lavoro, contratti collettivi, l'assicurazione contro ladisoccupazione, il diritto di eleggere consigli anche nelle im­prese agrìcole'',

l La Federazione dei lavoratori della terra passa da 10.000 iscritti, a metàdel 1918, a 700.000 nel 1920.2 Tuttavia, i vantaggi conseguiti dai braccianti sono assai minori di quellieonlJ.uistati dagli operai dell'industria. ~er esempio s.i può el.e~ere u~consiglio d'impresa solo dove questa abbia almeno 20 dipendenti, mvece di

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Queste conquiste compromettono a un tempo gli interes­si e l'autorità dei due feudalesimi che governano in Germa­nia: il feudalesimo industriale e quello agrario.

li primo è, in Germania, assai più antico che in Italia.Molto tempo prima della guerra i Krupp, i Thyssen, i Kir­dorf, i Bòrsig ecc. si comportavano come padroni «duri»,trattavano i loro salariati come servi.

«Lo Stato militare e burocratico - scrive il professor Bonn • nontrattava coi suoi sudditi, impartiva loro ordini. Nella stesso modo, ilcapitalismo tedesco giunto al potere tenta di governare i suoidipendenti con l'autorità e di imporre loro il punto di vista delpadrone» (op. cit.).

«Noi - dichiara Krupp al suo personale - vogliamo soltan­to operai fedeli, che sentano per noi riconoscenza per il paneche facciamo loro guadagnare» 1.

Molto tempo prima della guerra, i metallurgici assicura­vano enormi sovvenzioni all'«Unione tedesca per la lottacontro la socialdemocrazia».

Per qualche giorno i magnati dell'industria pesante avver­tono nell'aria la minaccia dell'esproprio, Ma essi si riprendo­no ben presto e la paura provata non fa che decuplicare laloro volontà di rivincita. Sono ben decisi a ritogliere al piùpresto alla classe operaia le concessioni accordatele per evi­tare un'autentica rivoluzione sociale. In un'intervista del feb­braio 1919 Stìnnes dichiara:

<<1 grandi industriali, tutti i capi della vita economica, recupe­reranno un giorno la loro influenza e il loro potere. Essi verranno

lO come nell'industria; la giornata di lavoro è di lO ore in agricoltura, inluogo delle 8 nell'industria; una parte del bracciantato è praticamenteesclusa dall'assicurazione contro la disoccupazione e gli addetti a lavoridomestici per esempio, non dispongono di contratto collettivo. Cfr.Steinbe~r, Die AgrarpolitiJc cles Nationalsozialismus (La politica agrariadel naziona1socialismo), 1935.1 Cito da G. Raphaél, Krupp e Thyssen, 1925.

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richiamati dal popolo prostrato1

mezzo morto di fame, che avràbisogno di pane e non di parole» .

Fritz Thyssen afferma nel 1924: «La democrazia in Ger­mania non vuol dir nientev', L'ex ministro Derburg si fa in­terprete del grande padronato allorché dichiara: «Le ottoore sono i chiodi della bara nella quale è chiusa la Germa­nia». I magnati rimangono profondamente ostili ai consiglid'impresa, che sono ora solo una pallida caricatura de~ au­tentici consigli del novembre 1918; essi sabotano le leggi co­siddette di «socializzazione», non «collaborano» che appa­rentemente col loro personale, attendono il giorno nel qualepoter dire di nuovo: «il padrone S,O?O io»., , .,

Ancor peggiore è la mentalita degli agran propnetandelle grandi tenute a oriente dell'Elba. In Germania, come inItalia la vecchia aristocrazia possiede ancora la terra e con­serva' un concetto medioevale della sua autorità, abituatacom'è a trattare da schiavi i braccianti che sudano sui suoi la­tifondi, che fino alla guerra erano privi di ogni diritto, chedovevano votare per il partito conservatore come il loro si­gnore e padrone oppure «far fagottov', Un a~to~e te~escoha descritto in modo impressionante queste regrom a orientedell'Elba nelle quali vige ancora il diritto feudale col suo iusprimae noctii. Occorre collocarsi in questa atmosfera percomprendere il furore col quale gli agrari, alla fine dellaguerra, hanno dovuto rassegnarsi alle modeste concessionifatte ai loro dipendenti.

Ma né gli imprenditori industriali né quelli agricoli posso­no scendere essi stessi in lotta contro il proletariato organiz­zato, nelle fabbriche e nei campi. Essi affidano dunque que-

1 Stinnes intervista alla Deutsche Tageszeitung, 25 febbraio 1919.2 Thysse~, dichiarazioni ~IJoumalclesDéb~, 7 febb~io 1924. .3 Landarbeiter oda Kleinenbauer? (Bracciante o piccolo coltivatore"),opuscolo di propaganda nazista 1932.4 Erwin Topf, Die Grùne Front (11 fronte verde), 1933.

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sto compito a bande armate - «corpi franchi», «leghe di com­battimento» - specializzate nell'«antibolscevismo». I corpifranchi divengono, secondo l'espressione del professor Gum­bel', «le guardie del corpo del capitale», essi sono incaricatidi lottare contro il proletariato organizzato delle città e dellecampagne, di colpirlo, di indebolirlo. Una di queste bandeprende, a Monaco, il nome di «Partito nazionalsocialista» eha per capo, a partire dal 1920, Adolf Hitler.

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Una seconda ragione induce i magnati tedeschi a sovven­zionare bande armate all'indomani della fme della guerra.L'imperialismo tedesco, giunto troppo tardi, ha fallito neltentativo di imporre con le armi una nuova spartizione delmondo. Il trattato di Versailles l'ha privato di fonti di materieprime - Lorena, Saar, Alta Slesia ecc. - e dei suoi domini co­loniali. La Germania viene costretta a disarmare e a pagareai vincitori, a titolo di «riparazioni», la somma astronomicadi 132 miliardi di marchi oro.

I magnati dell'industria pesante, sia per riconquistare glisbocchi perduti sia per sottrarre il paese all'obbligo del di­sarmo che li priva di una enorme fonte di profitti, sia persbarazzarsi del fardello delle riparazioni che grava sui lorocosti di produzione, impegnano la Germania in una politicaestera aggressiva e nazionalistica.

Scavalcando il governo, sovvenzionano bande armatecomposte di smobilitati e di avventurieri. Così, nel giugno

l Gumbel, Les crimes politiques en Allemagne: 1919-1929, traduzionefrancese, 1931.

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1919, inviano il «Baltikum», corpo mercenario di 50.000 uo­mini, a guerreggiare in Lettonia contro l'esercito sovietico.Nel 1923, si avvalgono di innumerevoli corpi franchi e leghedi combattimento per opporsi all'occupazione francese dellaRuhr. La «Reichswehr nera», termine che comprende tuttequeste diverse formazioni, ha il compito di trasformare in«resistenza attiva» quella che per il governo ufficiale è «resi­stenza passiva». Il 25 settembre 1923 tutte queste leghe dicombattimento si fondono in un'unica organizzazione la cuidirezione viene affidata ad Adolf Hitler! .

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Alla politica dei magnati dell'industria pesante si con­trappone, come in Italia, quella dei dirigenti della Fertigindu­strie (industria di prodotti finiti), soprattutto dei settori elet­trotecnico e chimico. Alla fme della guerra, l'antagonismotra i due gruppi è particolarmente violento: da un lato Stin­nes, Thyssen, magnati dell'industria pesante, dall'altro Ra­thenau, presidente della potente Aeg. (Società generale dielettricità). La Fertigindustrie si oppone all'egemonia dell'in­dustria pesante che le fa pagare a prezzi di cartello le mate­rie prime che le necessitano. Rathenau denuncia pubblica­mente la dittatura che la grande industria mineraria emetallurgica impone agli altri settori: come i feudatari delmedioevo non si curavano dell'Impero e frantumavano laGermania in granducati, così i magnati dell'industria pesantela suddividono in ducati economici «nei quali si pensa soltan-

l Konrad Heiden, Storia del nazionalsocialismo, trad. francese 1934(edizione ridotta).

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to al carbone, al ferro, all'acciaio e si trascurano o piuttostosi subordinano, le altre industrie»1

Dal punto di vista sociale la Fertigindustrie, a seguito delrapporto di composizione organica del suo capitale, è orien­tata verso una linea conciliante. Mentre gli Stinnes e i Thys­sen aspirano a ritogliere al proletariato le concessioni accor­dategli e sovvenzionano milizie antioperaie, Rathenausviluppa un piano di «co~orativismo» e di collaborazionetra imprenditori e salariati .

Mentre i primi tollerano a malincuore la repubblica diWeimar e sognano la dittatura, Rathenau entra come mini­stro nel governo «democratico» del Reich. Sul piano dellapolitica estera l'industria pesante, benché anch'essa condi­zionata dall'esportazione, manifesta prevalentemente ten­denze nazionalistiche e protezionistiche. La Fertigindustrie,orientata soprattutto verso il commercio estero e strettamen­te legata con la grande società americana General Electric,che possiede un'importante partecipazione nella Aeg tede­sca, è a favore del libero scambio e della collaborazione in­ternazionale. Rathenau firma con la Francia gli accordi diWiesbaden, con l'Urss il trattato di Rapallo, accetta il princi­pio delle riparazioni. Egli diviene in tal modo l'uomo piùodiato dalla frazione più reazionaria del capitalismo tedesco.E' significativo che quando, nel giugno 1922, venne assassina­to da giovani nazionalisti, fu dimostrato che l'auto degli as­sassini era stata messa a loro disposizione da un grande indu­striale sassone3

.

1 Dichiarazioni di Walter Rathenau, luglio 1919, citate da Beaumont eBerthelot, L'Allemagne, lendemains de guerre et de révolution, 1922.2 Rathenau, La triplice rivoluzione (raccolta di saggi), trad. francese,1921.3 Gumbel, op. cit:

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Dal 1924 al 1929 i magnati dell'industria pesante sovven­zionano le bande fasciste solo in misura tale da farle appenasopravvivere: non ne hanno più un bisogno immediato e vo­gliono semplicemente tenerle di riserva: infatti in questi anniessi si impegnano in un massiccio sforzo di riorganizzazioneindustriale con l'aiuto del capitale straniero, sforzo che esige,provvisoriamente, una politica conciliante; conciliante al­l'esterno con l'Intesa, con la fmanza anglosassone, e all'inter­no con le organizzazioni operaie.

Quando il marco è definitivamente stabilizzato, entra infunzione il piano Dawes e i capitali americani cominciano adaffluire in Germania. Il «più massiccio investimento dellastoria finanziaria» l prosegue sino al 1931, sino a raggiungerela cifra di 30 miliardi di marchi oro.

Ma questa audace operazione porta a una catastrofe eco­nomica egualmente senza precedenti. Con i dollari avuti inprestito a un tasso assai elevato, l'industria tedesca ha accre­sciuto di un terzo il suo potenziale produttivo ed è attrezzataper provvedere ai bisogni del mondo intero; manca una solacosa, il consumatore. All'interno, il potere d'acquisto dei sa­lari è aumentato in proporzione ben minore della capacitàproduttiva; d'altra parte una frazione crescente della manod'opera è stata eliminata dalla «razionalizzazione» e ridottaalla disoccupazione: questa disoccupazione tecnologica simanifesta nel 1927, e nel gennaio 1929 vi sono già più di duemilioni di disoccupati. Infme la cartellizzazione sempre piùaccentuata, permettendo ai grandi monopoli di rialzare arbi­trariamente i prezzi di vendita, ha taglieggiato il consumato­re, riducendo la sua capacità di acquisto. Ma i magnati fanno

1 Knickerbocker, Allemagne:[aascisme ou communisme?

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soprattutto affidamento sul mercato estero: essi riduconoall'estremo i loro prezzi d'esportazione e, a spese dei consu­matori interni, preparano un gigantesco dumping.

Ma, bruscamente, proprio mentre è completata la messain opera del nuovo potenziale produttivo, mentre i prodottifiniti cominciano ad accumularsi nei magazzini, l'acquirentestraniero viene meno: inizia la crisi mondiale. Mentre l'indicedi produzione (1928 = 1(0) scende bruscamente, negli StatiUniti, da 106,3 nel 1929, a 64 alla fine del 1931, esso precipitaparallelamente in Germania da 101,4 nel 1929 a 60 alla finedel 1931. Nel febbraio 1930 il numero dei disoccupati superai 4 milioni. Ben presto, il gigantesco apparato produttivomarcerà alla metà delle proprie capacità.

La crisi industriale è aggravata da quella finanziaria.Mentre gli Stati Uniti, prudentemente avevano concesso lamaggior parte dei crediti a breve termine, le banche tedescheli avevano ritrasmessi ai loro clienti a lungo termine. L'an- ,nuncio del progettato accordo doganale austrotedesco (19marzo 1931), che provoca l'opposizione dell'imperialismofrancese e dei suoi satelliti, scatena l'ondata dei crolli. Falli­sce per prima la Credit-Anstalt di Vienna (11 maggio) checoinvolge nella rovina i crediti delle banche tedesche. Co­mincia la fuga dal Reich dei capitali stranieri investiti a brevetermine. Le banche, esposte con crediti a lungo termineall'industria, devono sospendere i pagamenti e il 13 luglio fal­lisce la Danatbank.

L'innalzamento del tasso di sconto a una percentuale as­solutamente proibitiva completa la paralisi dell'economia te­desca; la formazione di capitale s'interrompe, le società ano­nime non distribuiscono più dividendi e molte di loro sonosulla via del fallimento: il saggio di profitto tende a zero.

I magnati dell'industria pesante sono particolarmentecolpiti da questo dissesto; l'enorme disponibilità di impiantiimpone loro spese di ammortamento assai alte, di cui devono

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sopportare il peso anche quando le macchine non girano. Es­si sono giunti al punto in cui solo l'aiuto dello Stato può assi­curare loro i profitti: lo Stato deve aiutarli a ridurre i salarioperai, aumentati nei giorni dell'apparente prosperità della«razionalizzazione»; ma per diminuire i salari bisogna innan­zitutto infrangere il sistema dei contratti collettivi, che, nel1931, si applicano a 10 milioni di operai e a circa 2 milioni diimpiegati; bisogna ridurre all'impotenza non soltanto l'orga­nizzazione sindacale, ma anche il suo strumento nella fabbri­ca, il consiglio d'impresa. Lo Stato deve comprimere le «spe­se sociali» che provocano un eccessivo ftscalismo, devesostenere le imprese vacillanti e mantenerle in vita con le suecommesse. La crisi non è meno profonda nell'agricoltura e igrandi proprietari fondiari esigono dallo Stato «soccorsi dicrisi» uno dopo l'altro, protezioni doganali una dopo l'altra.

Ma lo Stato non è uno strumento del tutto docile nellemani dei grandi industriali e degli agrari. Uomini come ilCancelliere Briining o il Cancelliere von Schleicher rappre­sentano, più che gli interessi dell'industria pesante, quellidella Fertigindustrie, e in particolare dell'industria chimicagrandemente interessata all'esportazione. Briining continuaad essere favorevole alla «collaborazione» col proletariatoorganizzato e Schleicher tratta amichevolmente coi dirigentiriformisti dei sindacati, mentre ventila, contro l'industria pe­sante, progetti di «socialismo di Stato» che si ispirano, più omeno, a Rathenau. Briining non si uniforma a tutte le esigen­ze degli agrari, prepara un piano di «colonizzazione» che mi­naccia, sia pure in modesta misura, i loro privilegi; Schlei­cher non accorda loro i contingentamenti d'importazione chepretendono! e, fatto per loro ancor più spiacevole, fa scop-

l Il governo von Papen (giugno-novembre 1932) aveva promesso agliagrari questi contingentamenti. Ma le industrie elettrotecnica e chimica,temendo rappresaglie che avrebbero compromesso i loro mercati esteri,reagirono al progetto di von Papen, obbligandolo a lasciare il potere.

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piare lo scandalo dell'Osthilfe (<<soccorso di crisi» per le re­gioni orientali).

Briining ha, senza dubbio, promulgato un certo numerodi decreti legge che riducono i salari operai e comprimono le«spese sociali», ma queste misure sono insufficienti. Von Pa­pen ha tentato di ridare linfa all'attività economica con sov­venzioni ed esoneri fiscali concessi all'industria, ma non è ab­bastanza. D'altro canto, i dirigenti della socialdemocrazia edei sindacati che hanno avallato quei decreti legge sonogiunti all'estremo limite delle concessioni: se cedessero anco­ra, rischierebbero di essere scavalcati dalle masse.

Resta una soluzione, cioè che i magnati dell'industria pe­sante e gli agrari controllino completamente lo Stato, che neaffidino la direzione a uomini dal pugno di ferro. Essi traggo­no dunque il nazismo dall'oscurità nella quale lo avevano la­sciato vegetare per alcuni anni e lo lanciano alla conquistadel potere. Fritz Thyssen, che non ha mai abbandonato il suoamico Hitler, il vecchio Emil Kirdorf, padrone del potenteconsorzio metallurgico Gelsenkirchen, «ammiratore» di Hi­tler sin dal 19271 e numerosi altri aumentano le loro sovven­zioni. A partire dall'estate 1930 la maggior parte dei magnatidell'industria pesante - e dei banchieri ad essa legati - sov­venzionano il partito nazista, gli forniscono mezzi materialiformidabili, che gli permettono di conquistare la vittoria elet-

1 Più tardi, il I" maggio 1936, Emi! Kirdorf farà questa dichiarazione:«Quando penso alla mia vita, non sarò mai abbastanza grato a Dio diavermela concessa tanto lunga... permettendo così di venire in aiuto alnostro amato Fuhrer al momento opportuno...» (Pubblicato da DerRuhrarbeiter, organo del Fronte del Lavoro, I" maggio 1936, cito daFascisme, bollettino d'informazione della Federazione internazionale deitrasporti, Amsterdam, 30 maggio 1936.)

L'8 aprile 1937 Hitler visiterà Kirdorf a Duisburg in occasione del suonovantesimo compleanno e lo decorerà con l'ordine dell'Aquila del Reich,la più alta decorazione del regime. Infine, il 16 luglio 1938 il Fiìhrerpresenzierà personalmente ai funerali di Kirdorf a Gelsenkirchen e deporràuna corona sul suo feretro.

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torale del settembre 1930 e di ottenere 107 seggi al Rei­chstag. Molto più tardi, rievocando in un discorso i momentidi questa «formidabile campagna», Hitler inviterà i suoiascoltatori a pensare a «ciò che significa quando mille orato­ri hanno un'automobile ciascuno e possono tenere in un an­no centomila riunioni pubblìchev'. Nel 1931 e nel 1932 le !sovvenzioni continuano ad affluire sempre più abbondantinelle casse del partito.

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La Fertigindustrie non desidera il trionfo del nazismo; es­sa teme sempre più di ogni altra cosa l'egemonia dell'indu­stria pesante; ma gli uomini politici ad essa legati considera­no benevolmente il nazismo perché si tratta di un movimento«nazionale». Il cancelliere Brììning ritiene che dopo aver im­brigliato i socialisti, sarà in grado di imbrigliare allo stessomodo anche il nazismo, che, una volta «parlamentarizzato»,potrà servire da utile contrappeso alle forze proletarie. Nellaprimavera del 1930 egli scioglie il Reichstag, ma riesce sol­tanto ad accrescere il prestigio di Hitler, fornendogli l'occa­sione per un grande successo elettorale. Ciononostante siostina nel suo errore tenta di avvolgere Hitler nelle sue tra­me, di moderarlo, di «portarlo ai piedi del presidente delReich come una preda preziosa, come il capolavoro della suapolitica»2. Nel gennaio 1932, nel corso di un colloquio conHitler, tenta di abbindolarlo, ma il suo piano fallisce. Qual­che mese più tardi, anche Schleicher fallisce nel tentativo di

1 Hitler, discorso a Coburgo, 19 ottobre 1935.2 Heiden, op. cù:

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ammorbidire l'ala moderata del nazismo (Gregor Strasser) .per riconciliarla con l'ala moderata del movimento operaio(Leipart). . .

La Fertigindustrie comprende infme che il nazismo è di­venuto una forza autonoma che non può più essere contenu­ta, a meno di non far intervenire l'esercito. Ma gli interessigenerali della classe capitalistica esigono che le forze «nazio­nali» non si scontrino tra loro. Così, il 30 gennaio 1933 il can­celliere Schleicher si tira in disparte ed è il capitalismo tede­sco nel suo insieme che tiene a battesimo il Terzo Reich1

1 L'ascesa di Hitler al potere era stata decisa 9ualche gio~o prima, il ~gennaio, nel corso di un colloquio tra Papen e Httl~r, svoltosi nell!! casa diun grande banchiere di Coloni!!, von Sc~roeder, ID st.retta ,re~on~ cc;>nl'industria pesante della Renania-Westfalia. Cfr. Benoist-Méchin, Histoirede l'armée allemande, II, 1938.

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2. LE TRUPPE

1. Le classi medie urbane. Classi medie «antiche» e «nuove».. " . . . . . .Le classi medie contmuano a sussistere, ma SI «paupenzzano»o si «proletarizzano». - 2. il loro calvario al/a fine del/a guerra. ­3. Perché le classi medie in rivolta non si orientano verso ilsocialismo. Punti di disaccordo tra il proletariato organizzato ele classi medie. Carenze del proletariato organizzato. - 4. Icontadini. - 5. Gli et" combattenti. - 6. La gioventù. - 7. I pro­letari senza coscienza di classe. - 8. I capi riflettono i gregari.

Il fascismo non nasce soltanto dalla volontà e dalle sov-venzioni dei magnati capitalisti.

«Affermare - scrive giustamente Silone - che queste organizzazioninon sono che un'invenzione diabolica del capitale finanziario chevuoI salvare la sua egemonia, non è sufficiente per comprendere lanatura di queste forze che sorgono dal profondo della società»].

Senza dubbio, inizialmente, allorché svolgono la sola fun-zione di milizie antioperaie, le bande fasciste reclutano nu­merosi avventurieri dalla mentalità di mercenari. Man mano,tuttavia, che il fascismo si orienta verso la conquista del pote­re, diviene un grande movimento di massa e i motivi che viconducono decine di migliaia di uomini divengono più com­plessi ed esigono un'analisi minuziosa.

I magnati capitalisti non avrebbero mai potuto, con tuttoil loro danaro, mobilitare queste masse se esse non si fossero

1 Ignazio SiIone, Der Faschismus, 1934.•

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già trovate in una situazione di instabilità e di insoddisfazio­ne che le rendeva suscettibili di essere influenzate dal fasci­smo'.

In Italia come in Germania le diverse categorie sociali in­tennedie tra la grande borghesia capitalistica e il proletariatoorganizzato, vittime a un tempo dell'evoluzione e della crisidel capitalismo, sono profondamente insoddisfatte della lorosituazione, sia materiale che morale. Esse aspirano a un cam­biamento radicale. E' necessario capire perché si orientinoverso il fascismo e non verso il socialismo.

1

Esaminiamo anzitutto le classi medie urbane. Il sociali­smo ha per lungo tempo ritenuto che esse fossero condanna­te a sparire per opera della stessa evoluzione capitalistica:concorrenza e concentrazione delle imprese e dei capitaliavrebbero dovuto radicalmente eliminarle.

"Piccoli industriali, commercianti e redditieri, artigiani... tutti isettori più bassi delIe classi medie di un tempo - affermava ilM,anifesto dei comunisti del 1848 - precipitano nelIa condizioneproletaria... Essi vedono approssimarsi l'ora nelIa quale scompa­riranno completamente come frazione indipendente delIa societàmoderna». .

In effetti, l'evoluzione è stata in qualche misura diversa, e,per lo meno, più lenta di quanto il socialismo ritenesse. Leclassi medie hanno risentito gli effetti della concorrenza edella concentrazione capitalistica, si sono impoverite, la lorosituazione si è aggravata, ma non sono sparite. Gli individui

l Trotsky, La seu~e v?~, 1932,1trad; il. in Problemi della rivoluzione cinesee altn scntu su quesuont zntemazlOna!l1924-1940, Torino 1970, pp. 301-423].

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che le componevano non sono «precipitati nella condizioneproletaria», non si sono proletarizzati, ma semplicementepauperizzati e si ostinano, ancor oggi, a voler costituire «unafrazione indipendente della società moderna»: più soffrono epiù si aggrappano all'esistenza.

Alla fine dello scorso secolo Eduard BernsteinI notavache i piccoli industriali, artigiani e commercianti continuanoa sussistere e persino ad aumentare in cifre assolute. Ciò nonvuol dire che la concentrazione industriale e commerciale su­bisca un rallentamento: le grandi imprese si sviluppano assaipiù rapidamente di quanto non aumentino piccoli produttorie piccoli commercianti; la concorrenza dei grandi monopoliè per loro sempre più spietata; ma essi continuano a sussiste­re. Questa resistenza dipende dal fatto che il produttore indi­pendente preferisce la propria situazione, benché divengaogni giorno più precaria, alla condizione proletaria e che,per la medesima ragione, proletari che evadono continua­mente dalla loro classe vengono a ingrossare i ranghi famelicidelle classi medie. '

Ma un secondo fattore ha agito in senso contrario all'evo­luzione prevista dal socialismo: a un certo grado del suo svi­luppo, il capitalismo ha creato classi medie di un nuovo tipo,la cui caratteristica, che le differenzia dalle antiche, è la di­pendenza economica. Diversamente dai piccoli borghesi in­dipendenti, i nuovi non dispongono più della maggior parte.dei loro mezzi di lavoro. Se non sono salariati nel senso pro­prio del termine, tuttavia vengono retribuiti con stipendi,onorari, percentuali/. Kautsky per primo ha sottolineato que­sto fenomeno'', e ha dimostrato come i dirigenti dell'impresamoderna scarichino una parte delle loro funzioni su lavorato-

l Bernstein, Socialismo teorico e socialdemocrazia pratica, lrad. francese1899.2 H. de Man, POUT un pian d'action , 1933. .3 Kautsky, Il marxismo e il suo critico Bemstein , trad. francese 1899.

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ri specializzati: ingegneri, disegnatori, tecnici e impiegati va:"ri, medici e avvocati legati all'impresa. D'altra parte, i grandicomplessi industriali organizzano direttamente il proprio ap­parato di distribuzione e arruolano un vero esercito di com­missionari, agenti, garagisti, addetti alle riparazioni ecc. Ilpiccolo artigiano,. il piccolo commerciante possono sopravvi­vere soltanto rinunciando all'indipendenza e trasformandosiin salariati indiretti: iJ piccolo commerciante diviene gerentedi una succursale di una società, il piccolo artigiano si riducea rifmitore e così via.

Benché non dispongano di alcuna indipendenza econo­mica, le persone che compongono le nuove classi medie nonsono precipitate nella «condizione proletaria». Come scriveLucien Laurat,

«il lavoro che essi svolgono è un lavoro particolarmente qualificatoe se la loro retribuzione assume la forma di stipendio o di salario,non è meno vero che la loro funzione dirigente nel processoeconomico avvicina molti di loro alla classe capitalistica... Unsettore assai vasto di questa categoria sociale... continua per ilmomento a considerarsi al di sopra del proletariato»].

Già molto prima della guerra 1914-18 la condizione delleantiche classi medie continuava a peggiorare. E le nuoveclassi medie, che aumentavano rapidamente, avevano la pe­,nosa sensazione della dipendenza economica e vedevanogiungere, non senza apprensione, il giorno nel quale avreb­bero finito per ridursi a puri e semplici salariati.

1 Laurat, «Le pian et les classes moyennes», conferenza pubblicata ineme et pian, Paris 1935. .

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2

La guerra accelera contemporaneamente la pauperizza­zione delle vecchie classi medie e la proletarizzazione dellenuove. Il conflitto è stato fmanziato, in definitiva, con le eco­nomie dei piccoli risparmiatori: la svalutazione monetaria, laconversione delle rendite hanno falcidiato i loro redditi; ipiccoli contribuenti sono stati schiacciati dalle imposte, glistipendi di funzionari e di impiegati sono stati rivalutati inmisura insufficiente; la diminuzione del potere d'acquistodelle masse ha ridotto il volume d'affari dei piccoli commer­cianti' la concorrenza del capitalismo monopolistico ha, .schiacciato sempre di più i piccoli produttori indipendenti esempre di più i tecnici si sono sentiti schiavi del capitale ano­nimo dal quale dipendono.

Questi sintomi, osservati in tutti i paesi capitalistici, si ma­nifestarono alla fme della guerra, con forza particolare, inItalia e, più ancora, in Germania.

In Ita/ia

La caduta della lira (1919-20) colpisce duramente chi di­spone di un reddito fisso. Ai piccoli redditieri, ai pensionati eimpiegati la loro situazione appare tanto più grave constatan­do che il proletariato organizzato ottiene, grazie all'azionesindacale, una parziale rivalutazione dei salari. Nello st~sso

tempo, la crisi economica conduce al fallimento numerosi ar­tigiani e piccoli commercianti, mentre si accentua la concen­trazione industriale già accelerata dalla guerra.

«Disponendo - scrive Russo - di redditi molt~ in.fe~ori a quelli deisalariati, costretti a sostenere spes~ ben supenon .sla pe! VIvere cheper tentare di elevarsi, la loro VIta [delle classi medie) dopo la

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guerra si er~ tr.as~o~ata i,n angoscia quotidiana. Troppo raffinatiper adattars! al limiti ~ell esistenza proletaria, troppo poveri persop~rtare ti J'l:S0 del preZZ! in quotidiano aumento, essi sisentrvano p~1 IO una tenaglia che lentamente li schiacciava...Sprezzate ~al gove~i, la, cui ultima preoccupazione era q uella disoddlS!are I loro bisogni, sfruttate dai nuovi ricchi che avevanocostru~to le .loro fortune sulla loro rovina... le classi medieavvernvano di star perdendo ogni giorno un po' del loro rango edella loro antica superiorìt à»].

In Germania

, La sorte delle classi medie tedesche è ancor più tragica.Mentre nell'Impero godevano «di una sicurezza materiale edi un prestigio morale considerevoli»2 il totale crollo delm~co.te ridu~e s~ lastrico. Titolari di ~edditi fissi e rispar­~aton sono ridotti alla più nera miseria. Dopo la stabilizza­zione del marco, i prestiti pubblici del Reich dei lànder e dei. . ,c?mum sono rivalutati solo sino alla concorrenza del 12,5%CIrca del loro valore precedente (legge dell'aprile 1925)3.(:Intere categorie ~ociali di stimati professionisti piombano al~vello.del proletariato nonostante una disperata resistenza dismgoli al loro nuovo destino», scrive Moeller van denBruc~\I! co~ffici~ntedi ~valutazione degli stipendi e appan­na~ di .lIDpI~gatI e :unzI~nari è assai più elevato di quellodel salari de~ operai dell'industria, Un professore viene pa­gato meno di un proletario. Dopo l'inflazione il 97% dei te-deschi non possiede più nulla. ' .

Sopravviene in seguito la «razionalizzazione» che si tra­duce in accentuazione della concentrazione e della cartelliz-

l Russo,Mussolini e il fascismo, 1935.2 Hérisson, «II nazionalsocialismo e la protezione delle classi medie» inRevue Economique Intemationale marzo 1934. '3 Rivaud, Les crises allemandes; 1932.4 Moellervan den Bruck, il Terzo Reich, 1923 (trad. francese).

•• • •

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zazione. Le classi medie ne sono danneggiate in quanto con­sumatrici: devono pagare i manufatti a prezzi artificialmenteelevati; i piccoli industriali e artigiani sono sopraffatti dallaconcorrenza dei monopoli e dei cartelli, mentre le bancheaccordano loro crediti solo a un tasso enorme; i piccoli com­mercianti vengono seriamente colpiti dall'estensione deigrandi magazzini e dei magazzini a succursali multiple, dallacomparsa dei magazzini a prezzo unico", Tecnici, liberi pro­fessionisti, si sentono sempre di più i servi del grande capita­le: ridotti al rango di manovali intellettuali, essi non sono piùche «un numero nella fabbrica»2. I piccoli azionisti sonosempre più taglieggiati dai magnati capitalisti: la creazione diazioni privilegiate e a voto plurimo toglie loro ogni mezzo dicontrollo e di espressione della loro volontà, essi non hannopiù voce in capitolo e devono accontentarsi dei dividendi ir­risori che si ha loro la bontà di concedere.

Nel 1929 il ministro Stresemann scrive:

«Se questa situazione si trascinerà per qualche tempo ancora, nonavremo più che monopoli da un lato e milioni di impiegati e dioperai dall'altro... Essa [la classe media) è oggi quasi del tuttoproletarizzatasé, .

Con la crisi del 1930, inizia la terza stazione del calvariodelle classi medie. La crisi incide su di esse più drasticamen-

.

.1 I grandi magazzini come Tietz, Wertheim, Karstadt si dedicano a unnumero crescente di attività (parrucchiere, bagno, vendita di prodottialimentari, di pesce e earne, sala da tè, ristorante, confezione, ri(XIrazione efabbricazione di prodotti vari ecc.). A partire dal 1925 si moltiplicano, nellegrandi e piccole città, i magazzini a prezzo unico. Nel 1931 tre società (unacreata da Karstadt, la seconda da Tietz, la terza dal gruppo americanoWoolworth) possiedono ben 250 magazzini di questo tipo, che ottengonogrande successo grazie ai prezzi economici dei loro articoli, resi possibilidall'acquisto di grandi partite a prezzo vantaggioso e dalla rapida circo­lazione dei loro capitali (Hérisson, op. ciL).2 Fcder, Kampf gegen Hochfinanz (Lotta contro l'alta finanza), raccoltadi articoli e discorsi.3 Cito da Mussat, De Marx à Hitler, 1933.

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te che non sul proletariato, protetto almeno in una certa mi­sura dai contratti collettivi e dall'assicurazione contro la di-"• •soccupazione.

La situazione del piccolo commercio e della piccola indu­stria diviene disperata, gli impiegati e i tecnici vedono le lororetribuzioni scendere spesso al di sotto di quelle degli operaiqualificati e li si licenzia sui due piedi come qualsiasi proleta­rio. E poiché molti di loro sono figli di redditieri già rovinatidall'inflazione, l'antica e la nuova classe media si trovanocoinvolte nello stesso dissesto'. I valori azionari precipitano efanno volatilizzare le piccole fortune ricostituite dopo la sta­bilizzazione del marco.

3

La loro situazione spinge le classi medie alla rivolta, sia inItalia che in Germania. Il piccolo borghese è ordinariamentedi temperamento pacifico, e fmché la sua situazione econo­mica è sopportabile o può sperare che sia suscettibile di mi­glioramento, egli rispetta l'ordine costituito e persegue il mi­glioramento della propria situazione invocando riforme. Maquando deve abbandonare ogni speranza di miglioramentoattraverso vie legali e pacifiche, quando si accorge che la cri­si di cui soffre non è passeggera ma coinvolge tutto il sistemasociale, che non può essere risolta che da una trasformazioneradicale di questo sistema, allora il piccolo borghese divienefurioso ed «è pronto ad abbandonarsi alle misure estreme-é,

1 Cfr. Stemberger, Der Niedergang des deutsches Kapitalismus (Il declinodel capitalismo tedesco), 1932. .2 Trotsky, Où va la France?, 1934 [trad. it. in Scritti 1929-1936, Torino1962, pp. 447-83].

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Ma è ben-noto che la loro eterogeneità, la loro situazione in­termedia tra le due classi fondamentali della società, borghe­sia e proletariato, impediscono alle classi medie di avere unapolitica propria.

La loro rivolta non riveste carattere autonomo e può es­sere orientata o dalla borghesia o dal proletariato.

Questo è il centro della questione: occorre chiarire per­ché le classi medie, rovinate e spogliate dal grande capitale,non tendano la mano al proletariato, la classe rivoluzionariae anticapitalistica per eccellenza, perché insomma esse nondivengano socialiste.

Si deve innanzitutto tener presente che sono sempre esi­stite divergenze di vedute e antipatie tra le classi medie e ilproletariato organizzato, e la borghesia non poteva mancaredi sfruttarle, di mantenerle e ravvivarle con consumata abili­tà. Questo è avvenuto, in particolare, alla fme della guerra.

1. Sin dal sorgere del capitalismo, gli interessi delle classimedie sono state in acuto contrasto con quelli della grandeborghesia industriale e fmanziaria e alla fme delle guerrequeste classi divengono chiaramente anticapitalistiche. M~ illoro anticapitalismo è assai diverso da quello del proletaria­to, che punta al cuore del capitalismo e vuoI distrugg~rne laforza essenziale, lo sfruttamento della forza-lavoro, il furtodel plusvalore. Esso attacca in tal modo il regime capitalisti­co nel suo insieme e si propone come fme ultimo la colletti­vizzazione dei mezzi di produzione. Le classi medie invecenon sono vittime dello sfruttamento del lavoro, ma principal­mente della concorrenza e dell'organizzazione creditizia: illoro anticapitalismo è reazionario, esse non vogliono spinge­re l'evoluzione capitalistica sino alla sua ultima conseguenza:la collettivizzazione dei mezzi di produzione. Esse vogliono

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«far girare indietro la ruota della storia»], «invocano un'economiapoco dinamica, poco progressiva, che viva alla giornata... Voglionoche lo Stato regoli la libertà e l'iniziativa )conomica per ridurre lacapacità concorrenziale dei loro avversari- .

Esse sognano un capitalismo migliorato) una correzionedegli abusi della concentrazione, del credito, della specula­zione3

• Mentre il proletariato vuol spezzare i limiti) divenutitroppo angusti) della proprietà privata) le classi medie si ag­grappano a una concezione arcaica della proprietà. E la bor­ghesia capitalistica, che quotidianamente le espropria senzapietà, si professa tutrice della sacrosanta proprietà, presentacome uno spauracchio per le classi medie il socialismo «ne­gatore della proprietà».

2. D'altro canto) le classi medie sono tenacemente ag­grappate ai loro privilegi di classe e la pauperizzazione cre­scente alla fme della guerra non ha fatto che esasperare que­sta tendenza. La piccola borghesia sente una ripugnanzainvincibile per la classe operaia, per la condizione proletaria.Nel Mein Kampf Hitler si lascia sfuggire questa significativa

• •ammissione:

«Per persone di condizione modesta che hanno superato questolivello sociale, è insopportabile dovervi riprecipitare, sia pure perun momento».

Le classi medie non tollerano di essere proletarizzate.

«Più si sentono minacciate nell 'orgoglio del loro valore sociale, piùsi sforzano di consolidare la loro posizione. Il più misero dei piccolifunzionari, il più indebitato dei bottegai continuano a considerarsi

1 Manifesto dei comunisti, 1848.2 Hérisson, op. cit:3 I tecnici e gli impiegati delle grandi imprese hanno invece aspirazionianticapitalistiche più vicine a quelle del proletariato. «Molti si augurano ­scrive Hérisson - la statizzazione di queste grandi imprese che non riesconoa tenerseli legati. Essi sperano che, come funzionari, guadagneranno invantaggi materiali, in prestigio morale e in sicurezza e dimostrano unanticapitalismo assai più socialista di quello dei commercianti».

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membri di una classe superiore al proletariato, anche seguadagnano rssai meno della maggioranza degli operaidell'industria» . Il «proletario dal colletto bianco» al quale ilpadrone ha inculcato «un falso sentimento di rispettabilitàborghese»2 è ostile all'operaio, vuoi guadagnare più di lui e cercanello stesso tempo di differenziarsene con tutti i mezzi, nonperdona al socialismo proletario di voler sopprimere le classi, valea dire i suoi illusori privilegi di classe. Volendo sfuggire a ognicosto alla proletarizzazione che lo minaccia, il piccolo borghese nonha alcuna simpatia per un regime socialista che, a quanto pensa,finirebbe di proletarizzario, ed è pronto, al contrario, a prestareorecchio a tutti coloro che gli promettono di salvarlo dallaproletarizzazione o, se questa è già avvenuta, che gli promettono di«sproletarizzarlo».

3. La borghesia capitalistica manovra per contrapporre leclassi medie al proletariato organizzato, sfrutta il fatto cheogni aumento di salari conseguito con l'azione sindacale pesamaggiormente sui costi di produzione delle piccole impreseche su quelli delle grandi e il fenomeno per il quale le impo­ste necessarie per provvedere alle «spese sociali», le quote diassicurazione sociale versate dagli imprenditori ecc. incidonoegualmente in misura maggiore sui costi di produzione deipiccoli produttori che non su quelli delle grandi imprese; ilche, sia detto tra parentesi, costituisce la prova che ogni poli­tica sociale progressiva dovrebbe comprendere misure radi­cali contro i monopoli, senza le quali gli operai rischiano dialienarsi l'appoggio delle classi medie. Infme, la borghesiacapitalistica eccita il piccolo negoziante contro le cooperati­ve operaie: è un fenomeno particolarmente importante inItalia e in Germania, paesi in cui le cooperative socialisticheavevano raggiunto un notevole sviluppo dopo la Prima guer­ra mondiale.

4. La nozione di lotta di classe, fondamentale per il socia­lismo proletario è incomprensibile al piccolo borghese. Con-

I De Man, op. cit:2 Déat, Perspectives socialistes, 1930.

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trariamente a quanto avviene per l'operaio, per lui lo sfrutta­mento capitalista «rimane anonimo, inavvertito, celato dietrola cortina delle libere contrattazioni» (ibid.). Quando difen­de i suoi interessi minacciati, il piccolo borghese lo fa conl'identica mentalità del capitalista al quale si oppone: un in­dividuo in lotta con un altro individuo; vi è un conflitto di in­teressi e non lotta di classe. La loro posizione intermedia traborghesia e proletariato spiega altresì perché le classi mediecondannino ogni lotta di classe, sia quella condotta dalla bor­ghesia contro il proletariato che quella condotta dal proleta­riato contro la borghesia. Esse sono convinte che la COllabo­razione tra le classi sia possibile, che esista un interessegenerale al di sopra di quelli antagonistici, e per interesse ge­nerale esse intendono il loro, intermedio tra quello della bor­ghesia e quello del proletariato. Esse sognano uno «Stato aldi sopra delle classi» che non sia controllato né dalla borghe­sia né dal proletariato e che di conseguenza sia alloro servi-

•ZIO.

E mentre il proletariato non dissimula né le sue armi né isuoi obbiettivi e proclama apertamente la lotta di classe, laborghesia conduce la sua propria lotta di classe sotto la ma­schera della collaborazione tra le classi e allontana in tal mo­do dal socialismo le classi medie. Mentre l'operaio, che pos­siede solo la sua capacità di lavoro, «non ha patria», perusare l'espressione di Marx, il piccolo borghese dà il nome dipatria a ciò che possiede. .

Difendere la patria significa per lui difendere la sua pro­prietà: la sua fabbrichetta, il suo negozio, i suoi titoli. Mentreil proletariato proclama apertamente il proprio internaziona­lismo, la borghesia capitalistica, per la quale il denaro non hapatria, si mette una maschera «nazionale», ingannando in talmodo le classi medie.

Dopo la guerra, il nazionalismo delle classi medie è parti­colarmente esagitato, in Italia per la convinzione che vi sia

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stata una «vittoria mutilata» e in Germania per l'umiliazionedella sconfitta. Piccoli borghesi italiani e tedeschi sono per­suasi che la loro miseria abbia come causa principale «gli in­giusti trattati» o il «Diktat» di Versailles, essi odiano non giài veri responsabili della loro rovina, i capitalisti del loro pae­se, ma la «plutocrazia internazionale». Nel loro cervello simescolano anticapitalismo e sciovinismo, liberazione nazio­nale e liberazione sociale. Al contrario, è proprio quello ilmomento in cui i lavoratori, stanchi delle guerre ed entusia­smati dalla Rivoluzione russa, gettano alle ortiche il sangui­noso feticcio della «patria» e affidano le loro speranze all'In­ternazionale.

Tuttavia, nonostante questi malintesi e queste antipatie,accortamente coltivati e ravvivati dalla borghesia capitalisti­ca, il proletariato socialista, in Italia come in Germania,avrebbe potuto indurre alla neutralità e persino trascinare alsuo fianco un largo settore delle classi medie rovinate e in­soddisfatte. Avrebbe potuto farlo senza rinunciare ai suoiprincipi, senza far loro concessioni che avrebbero radical­mente mutato il suo programma, semplicemente restando ri­voluzionario.

Le classi medie si lasciano trascinare facilmente: esseavrebbero superato tutti i loro complessi se la classe operaiasi fosse dimostrata audace, risoluta a trasformare radical­mente l'assetto sociale, a indicare una qualunque via d'uscitaalla loro miserabile situazione. Ma, in Italia come in Germa­nia, i partiti operai non hanno voluto o non hanno saputo im­pegnare precisamente questa lotta a fondo contro il sistema

~ ~

esistente. !

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In Italia

Alla fine della guerra, un settore notevole delle classi me­die duramente provate affidava le proprie speranze al socia­lismo. Nelle elezioni del 1919 i voti dei piccoli borghesi simescolano a quelli dei lavoratori in misura ben superiore chein precedenza. Quando, nel 1920, i metallurgici occupano lefabbriche, sono seguiti con simpatia da una buona parte dellapiccola borghesia. Ma il Partito socialista si rivela assoluta­mente incapace di guidare lo slancio rivoluzionario delle

.masse, Invece di condurle, si fa rimorchiare. Usando le paro­'le di Mussolini, esso non sa «approfittare di una situazionerivoluzionaria che non si ripresenta una seconda volta nella

. 1stona» .

In Germania

Nel 1919 larghi strati delle classi medie votano per la pri­ma volta per la socialdemocrazia, mentre impiegati e ~o­nari aderiscono ai sindacati. Nel 1923, durante l'occupazionedella Ruhr e il crollo della moneta, numerosi piccoli borghesirovinati e disperati accorrono nelle file comuniste. Ma la ri­voluzione proletaria non trionfa in Germania né nel 1919 nénel 1923: nel gennaio 1919 i capi socialdemocratici soffocanonel sangue l'insurrezione spartachista; nell'ottobre 1923 un.nuovo tradimento della socialdemocrazia, cui si aggiunge lapolitica incerta e senza prospettive dell'Internazionale comu­nista, paralizza la combattività delle masse e porta a un nuo-

•vo msuccesso.Infme, a partire dal 1930, nessuno dei due partiti che si ri­

chiamano alla classe operaia, impegnati soprattutto a com-

1 Mussolini, discorso del luglio 1923.

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battersi reciprocamente, approfitta della crisi del capitalismoper distruggere il sistema e per impadronirsi del potere.

Mostrandosi incapace di indicare loro una via d'uscita, ilproletariato delude le classi medie e, d'altra parte, le indi­spone con le sue lotte per le rivendicazioni quotidiane, che,anche quando sono insufficienti per consentirgli di mantene­re i vantaggi conquistati, provocano una situazione di instabi­lità senza apportare alcun rimedio ai mali di cui soffre la so­cietà. Allora le classi medie mutano atteggiamento: conside­rano responsabili della loro miseria non più i soli monopoli,ma anche gli operai. E la Reazione sfrutta' contro il proleta­riato il loro spirito di rivolta.

Ma i partiti borghesi tradizionali - ad esempio quello na­zionalista in Italia, quello nazional-tedesco in Germania ­possono difficilmente svolgere questo ruolo, perché il loroprogramma dichiarato è la conservazione dell'assetto socialeesistente.

Allora la borghesia cambia metodo, si traveste, sovven­ziona una formazione politica di tipo nuovo: il fascismo. Il fa­scismo, lungi dal proclamarsi al servizio dell'ordine costitui­to, afferma di perseguire un rovesciamento e si proclamarivoluzionario, anzi, per meglio ingannare le classi medie, sidefinisce anticapitalista', Così i magnati capitalisti riescono aportare a termine una brillante manovra: utilizzano a loroprofitto quella rivolta delle classi medie che avrebbe dovutoscatenarsi contro di loro e arruolano le loro vittime in orga­nizzazioni il cui autentico scopo è la difesa dei loro privilegi.

1 Si veda avanti il cap. N.

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Esaminiamo ora le classi medie rurali. E' noto che i con­tadini, benché costituiscano una classe omogenea con inte­ressi comuni, hanno raramente una politica propria: la loroposizione intermedia tra le classi fondamentali della società,la loro dispersione, che non consente contatti e riunioni, eanche il loro individualismo, determinano condizioni sfavore­voli alla costituzione di un movimento politico puramentecontadino. Il contadino oscilla tra due poli d'attrazione: ilproletariato socialista e la grande proprietà fondiaria.

Contrariamente al piccolo borghese urbano, egli non hala sensazione di appartenere a una classe diversa da quellaoperaia; anche l'operaio è un ex contadino o un figlio di con­tadini e il contadino sa di appartenere, come l'operaio, al po­polo. Nel suo odio contro la grande proprietà che monopo­lizza la terra e contro il grande capitale che lo taglieggia(monopoli dei concimi, delle macchine agricole, delle se­menti', dell'energia elettrica, grandi speculatori, banche,compagnie di assicurazione), il contadino non è lontano dalsentirsi socialista. Ma la borghesia capitalistica tenta di crea­re ostilità tra contadini e operai, asserisce che il proletariatovuoi socializzare la terra, e il contadino trema per il suo cam­picello; sfrutta il fatto che l'aumento dei salari industriali de­termina un rialzo del costo della vita e che le «spese sociali»dello Stato provocano un aumento delle imposte.

Infine la borghesia tenta di persuadere il contadino che isuoi interessi sono comuni a quelli del grande proprietario,sfrutta la contrapposizione permanente che in regime capita­listico, esiste tra l'agricoltura e l'industria, perché mentre laprima vorrebbe essere protetta da tariffe doganali elevate evendere i suoi prodotti ai prezzi più alti possibili, la secondaè ostile sia ai prezzi elevati dei prodotti agricoli che fanno

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aumentare il costo della vita e gravano per conseguenza suisuoi costi di produzione, sia a un protezionismo a oltranzache, provocando rappresaglie, la priverebbe dei suoi mercaties~erni: In tal modo è relativamente facile per il grande pro­pnetano persuadere il contadino che essi hanno comuni in­teressi da difendere contro l'industria.

In date circostanze il contadino può dunque essere attira­to da ~o dei due blocchi: quello di tutti gli agricoltori, dalcontadino povero al latifondista, e quello di tutte le vittimedel capitalismo, dal contadino povero al proletario. Se il pro­letariato socialista sa impegnare risolutamente la lotta controil feudalesimo agrario e contro i grandi monopoli, se si dimo­stra più dinamico, può nonostante taluni motivi di contrasto. ,~rascmare al suo fianco grandi masse di contadini poveri; seinvece sono i grandi agrari ad assumere l'iniziativa, se sonoessi a dimostrarsi più audaci, atteggiandosi a energici difen­sori degli interessi dei piccoli contadini, saranno loro che tra­scineranno la massa dei piccoli proprietari; è quanto è avve­nuto in Italia e in Germania.

In Italia

I contadini indipendenti sono una minoranza, perchél'Italia è rimasta un paese di grandi proprietà. Circa il ses­santa per cento della popolazione agricola non ha alcuna in­dipendenza economica e può essere assimilata al proletaria­to: si tratta di braccianti e mezzadri. Quanto ai coltivatori«indipendenti», la loro indipendenza è relativa: si tratta o diaffittuari che possiedono gli strumenti di lavoro, il bestiame,un modesto capitale per la gestione, ma non la terra, oppuredi piccolissimi proprietari, tanto poveri da dover lavorare, ol­tre che sul proprio pezzo di terra, nei campi altrui in qualitàdi braccianti.

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Alla fine della guerra il socialismo poteva affiancarsi que­sta categoria piuttosto ristretta di contadini indipendenti, oper lo meno assicurarsene la neutralità, Il piccolo proprieta­rio, l'affittuario aspirano ad allargare la loro terra o ad acqui­starne la proprietà e, rivendicando la divisione delle terre, at­taccano direttamente la grande proprietà agraria.

Ma il Partito socialista non osa impegnare la lotta controi grandi agrari e maschera la sua inerzia dietro una fraseolo­gia ultrasinistra. Non soltanto non appoggia i contadini nellaloro lotta per la conquista della terra, ma sottolinea, al con­trario, che la rivoluzione proletaria toglierà loro la terra chegià hanno'. Così, a un congresso della Federazione dei lavo­ratori della terra un dirigente dichiara che i socialisti italiani«sono più rivoluzionari dei bolscevichi, che hanno tradito ilsocialismo distribuendo la terra ai contadìnìv'.

Il congresso della Cgl del febbraio 1921 adotta, pro for­ma, un progetto per la «socializzazione della terra», ma è del.' .tutto ovvio che questo progetto non potra mai passare mParlamento e, d'altra parte, esso presenta un grave inconve­niente, perché ai piccoli affittuari e mezzadri minacciati diesproprio offre «la sola prospettiva di trasformarsi in prole­tari». Questo progetto aliena al socialismo, come scrive Ros­si, «milioni di famiglie contadine, la maggioranza della popo­lazione rurale italiana»3.

Il risultato è che i contadini si staccano dal proletariatosocialista. I più poveri affluiscono nel Partito popolare cheincanala abilmente la loro agitazione in attesa di consegnarlial fascismo. Gli altri passano direttamente dalla parte deigrandi agrari. Ma se questi ultimi mostrassero il loro verovolto, se appoggiassero un partito conservatore di tipo tradi-

1 Cfr. Nicoletti, Il fascismo contro i contadini, 1923.2 Cit. da Carlo Rossi, La Chiesa e il fascismo. 1933.3 A. Rossi [Tasca] , op. cù:

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zionale, non conquisterebbero molto facilmente i contadini.Perciò adottano un altro metodo, sovvenzionano una forma­zione politica di nuovo genere, i fasci, che si proclamano ri­voluzionari, che riprendono la parola d'ordine demagogica laterra a chi la lavoraI e che vanno anche più in là: in talune re­gioni, racconta Rossi, le associazioni agrarie si lasciano per­suadere dai fasci a cedere in conduzione diretta alcune mi­gliaia di ettari a coltivatori individuali. Naturalmente si trattadei terreni peggiori, ma i fascisti possono proclamare: «Ve­dete? I socialisti vi promettono tutto e non vi danno niente,essi vi impediscono di divenire coltivatori diretti, affittuari. Ifasci hanno sistemato centinaia di famiglie che potranno la­vorare tutto l'anno sulle loro terre» (ibid.). Grazie a questitrucchi, i grandi agrari riescono ad arruolare i contadini nelladifesa dei loro privilegi.

In Germania

La piccola proprietà è assai più diffusa che in Italia e ri­sale agli inizi del XIX secolo (legislazione di von Stein e diHardenberg). Ma circa il 28% della popolazione rurale ­braccianti agricoli - non ha indipendenza economica e circail 55% dei contadini non possiedono più di cinque ettari:questi piccoli proprietari prevalgono nel meridione e in occi­dente. Al contrario a oriente, in Pomerania, Prussia orienta­le, Brandeburgo, Slesia predomina la grande proprietà: circa18.000 agrari possiedono il 20% del suolo tedesco.

Alla fine della guerra il socialismo poteva affiancarsi icontadini tedeschi, o per lo meno assicurarsene la neutralità.Nel gennaio 1919 i piccoli contadini votano in buon numeroper la socialdemocrazia, costituiscono «consigli di contadini»

I Si veda avanti, cap. IV.

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sul modello dei «consigli degli operai e dei soldati». Come inItalia, la loro principale rivendicazione è la divisione delleterre, la Siedlung, la colonizzazione. Rosa Luxemburg e i pri­mi comunisti tedeschi propugnano l'alleanza del proletariatoe dei contadini sulla base della spartizione dei latifondi edell'eliminazione dell'aristocrazia fondiaria', Ma gli sparta­chisti sono sopraffatti e la socialdemocrazia evita di impe­gnare la lotta contro i grandi agrari: nel suo furore volto adannientare il comunismo, si appoggia su tutte le forze dellareazione e soprattutto sull'esercito, vale a dire sulla casta ari­stocratica/,

Così, nel momento decisivo, il proletariato non riesce adaffiancarsi i contadini e, più tardi, l'indifferenza di questi sitrasforma in aperta ostilità. Infatti, a partire dal 1929, l'agri­coltura tedesca cade in una crisi estremamente grave. Per va­lutarne la portata, occorre ricordare che la Germania non èun paese prevalentemente agricolo, le terre fertili vi sono as­sai rare, sono stati necessari sforzi costosi per mettere a col­tura le pianure del Nord dove si sono ~er lungo tempo alter­nate foreste, terreni sabbiosi e paludi . In questo paese dalformidabile sviluppo industriale, l'ineguaglianza di evoluzio­ne tra industria e agricoltura è molto più marcata che in altrenazioni capitalistiche. Alla vigilia della Prima guerra mondia­le questo squilibrio si traduceva in una situazione per cui l'in­dustria era in piena ascesa, mentre l'agricoltura era indebita­ta per oltre sedici miliardi di marchi.

1 Cfr. il numero di Masses dedicato a «Spartakus», 16 agosto 1934.2 Una «legge di colonizzazione» venne promulgata 1'11 aprile 1919. Essa .prevedeva che lo Stato potesse espropriare i due terzi delle proprietà dioltre cento ettari. Ma la burocrazia statale sabota la legge e lasocialdemocrazia non tenta nemmeno di imporne l'applicazione, Inoltreun'ordinanza del Land prussiano del lO marzo 1919 scioglie i fedecorn- ,messi, ma è poco più tardi annullata da un decreto del novembre 1921. Nel1933, soltanto un terzo dei fedecommessi era stato liquidato.3 Rivaud, op. cit.

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Durante la guerra e l'inflazione, l'agricoltura tedesca co­nobbe una transitoria prosperità e si liberò di gran parte deidebiti, ma in seguito l'antico squilibrio tornò a manifestarsi egli agricoltori ricominciarono a indebitarsi. Mentre l'indu­stria fa progressi enormi, l'agricoltura segna il passo. Si insi­ste sulla necessità di una produzione intensiva e i capitalistranieri non mancano; i coltivatori che durante l'inflazionehanno visto dissolversi i loro risparmi devono chiedere pre­stiti a un tasso assai elevato: dopo essere stati taglieggiati siadagli investitori americani che dai banchieri tedeschi, devonopagare un pesante tributo ai grandi monopoli dei concimi edelle macchine agricole. Il rendimento delle coltivazioni au­menta, il bestiame si accresce, ma tutti questi miglioramentisono solo in apparenza remunerativi. «Ogni anno, il caricoche pesa sull'agricoltura si aggrava e la speranza diammor­tizzarlo si attenua» (ibid.). I coltivatori meno favoriti nonpossono nemmeno impegnarsi in questo tentativo di «razio­nalizzazione» e continuano ad adottare gli stessi, arretratimetodi di coltivazione, e si indebitano non già per accrescereil rendimento dei loro terreni, ma semplicemente per fron­teggiare le spese ordinarie e le imposte'.

Il risultato è che l'indebitamento dell'agricoltura cresceogni anno, passando da un miliardo e mezzo nel 1925 a circasei miliardi nel 1928, e a dodici nel 1930. Finché i prezzi divendita, benché insufficientemente remunerativi, rimangonoinalterati, finché l'abbondanza dei capitali esteri permette dipagare vecchi debiti contraendone di nuovi gli agricoltorinon si rendono esatto conto della loro reale situazione. Manel corso dell'estate 1929, i prezzi di vendita cominciano aflettersi assai più rapidamente di quelli industriali. L'agricol­tura tedesca entra in crisi e, fenomeno decisivo, i contadinipiccoli e medi sono assai più colpiti dei grandi agrari. Infatti è

l Sternberger, op. cit:•

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una caratteristica dell'agricoltura tedesca che le colture dicereali e di foraggi vengano adottate soprattutto nelle granditenute, mentre i piccoli contadini si dedicano prevalente­mente all'allevamento e ai prodotti che ne derivano: burro, "uova, latte, formaggio. Mentre i grandi agrari riescono a otte­nere, soprattutto a partire dal 1930, un'energica protezionedoganale sui cereali che impedisce il crollo dei prezzi, i pic­coli allevatori non vengono per nulla protetti, perché l'indu­stria si oppone a ogni rialzo di tariffe su quei prodotti per ti­more di rappresaglie dell'estero. I piccoli allevatori non 'soltanto sono sfavoriti nei confronti dei grandi agrari, ma de­vono da essi acquistare, a prezzi rimasti elevati, il foraggio e icereali necessari all'alimentazione delle loro bestie. Infine igrandi agrari sono sostenuti da ogni sorta di sovvenzioni sta­tali, soprattutto dal famoso Osthilfe, mentre i piccoli contadi­ni vengono abbandonati alla loro triste sorte; le imposte agri- 'cole - un miliardo di marchi nel 1932 contro i 750.000 del :1929 - colpiscono quasi unicamente il contadino piccolo e I

medio. lIn tal modo i contadini tedeschi sono letteralmente rovi­

nati. Ma la loro disastrosa situazione non li riavvicina al pro­letariato: nella Germania di Weimar la socialdemocrazia èpartito di governo, in Prussia è persino al potere, essa rap­presenta il «sistema», le «spese sociali» cui i contadini impu­tano le loro pessime condizioni. Oppressi dalle imposte, per­seguitati implacabilmente dal fisco, costretti a venditeforzose, essi si ribellano al regime esistente1

1 A partire dal 1928, nello Schleswig-Holstein i contadini adottano perinsegna una bandiera nera, si ribellano contro l'apparato statale, l'esattoredelle imposte e l'usciere e impiegano dapprima l'arma della resistenzap'assiva, della non-cooperazione. Lo sciopero delle imposte si allarga a tuttoIl Nord della Germania, sino alla Slesia e alla Prussia orientale. Il governosocialista di Prussia reagisce imprigionando i principali dirigenti delmovimento, che assume allora carattere terroristico. Alcune esattorievengono attaccate e vi sono degli attentati con bombe a mano.

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E' il momento atteso dai grandi agrari per suggerire aipiccoli contadini che tutta l'«agricoltura» deve essere solida­le per difendersi contro l'«industria». Essi promettono ai pic­coli allevatori di aiutarli a ottenere la stessa protezione doga­nale accordata ai loro cereali e tentano di inquadrarli inun'associazione di «difesa contadina», il Grone Front (Fronteverde).

Ma il Fronte verde è un'organizzazione troppo chiara­mente sotto l'egida e al servizio della grande proprietà e con­seguentemente non è molto in grado di attirare i piccoli con­tadini in rivolta.

Allora i grandi agrari, che hanno molte carte nel loro gio­co, adottano una maschera, sovvenzionano una formazionepolitica di tipo nuovo, il partito nazista che afferma di dedi­carsi soprattutto alla difesa e alla salvezza dei piccoli conta­dini; esso si proclama rivoluzionario e anticapitalistico e ri­vendica persino la «colonizzazione» dei latifondi1

• Grazie aquesto trucco, i grandi agrari riescono ad arruolare i piccolicontadini a difesa dei loro privilegi.

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Il fascismo raccoglie adesioni anche tra due categorie so­ciali composte di individui di classi diverse, ma che hanno incomune taluni interessi economici e talune aspirazioni mora­li: gli ex combattenti e i giovani. Gli ex combattenti hanno incomune rivendicazioni materiali da avanzare nei confrontidello Stato (pagamento delle pensioni di guerra), rivendica­zioni che li spingono a raggrupparsi. Ma contribuisce a legar-

1 Si veda avanti il cap. IV.

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li anche un certo numero di sentimenti e di ricordi, il «came­ratismo del fronte», lo «spirito della trincea».

Smobilitati e tornati alle loro case alla fine della guerra,essi sono profondamente insoddisfatti; molti di loro non rie­scono a riadattarsi alla vita civile, anche quando ritrovano leloro antiche occupazioni sono «stanchi, inquieti, delusi»1.

Riesce loro penoso «rientrare nella monotonia di un'esisten­za qualunque, tra il lavoro, la famiglia e la partita a carte alcaffè»2. Ancora in peggiori condizioni sono coloro che nolihanno lavoro o che non avendo terminato gli studi, non han­no nemmeno alcuna professione. Occorre aggiungere gli exufficiali e sottufficiali mandati in congedo: nel 1920, 60.000ufficiali vengono congedati in Italia, molti più che in Germa­nia Infine vi sono coloro che hanno assimilato in guerra unbisogno fisico di violenza, che non riescono più a soddisfarenell'esistenza prosaica del tempo di pace'', Tutti sono ostilialla situazione esistente, si irritano perché non viene loro da­ta, nella nazione che hanno difeso a prezzo del sangue, la po­sizione che speravano, sentono un bisogno confuso di rinno­vamento politico e sociale.

Sotto alcuni aspetti, queste aspirazioni potrebbero avvici­narli al proletariato organizzato, al socialismo. Ma tra essi eil socialismo rimangono serie divergenze: il cameratismo delfronte, nato dall'e dinnanzi alla morte, è di naturaben diversa dal cameratismo proletario, non vuoi sapeme dilotta di classe, che l'ex combattente rimprovera al socialismo.Inoltre, l'odio confuso che l'ex combattente ha conservatoper gli imboscati, è a doppio taglio: quasi socialista allorchéinveste il politicaote borghese responsabile del prolungarsidel grande macello e soprattutto il profittatore di guerra; ma

1 Volpe, Storia del movimauo fascista, Roma 1935, in francese.2 Articolo di Pietro Nenni in Le Peuple. 24 dicembre 1934.3 Cfr., Le capitaine COnaTI (1934) del romanziere francese Vercel.

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antisocialista quando investe i militanti operai accusati di«disfattismo» e di «pacifismo».

Nonostante queste divergenze, il socialismo potrebbeegualmente orientare lo scontento degli ex combattenti. Cer­to, gli sarebbe impossibile senza rinnegare se stesso fare con­cessioni allo «spirito di trincea», anteporre la «solidarietà delfronte», alla solidarietà di classe; né, per affiancarsi gli excombattenti, il socialismo può rinunciare al proprio intema­zionalismo. Ma se avesse dato prova di audacia, se avesse sa­puto legare l'odio per la guerra e per i suoi profittatoriall'ideale rivoluzionario, se si fosse mostrato risoluto ad ab­battere il regime capitalistico responsabile del grande massa- .ero, ad affrettare l'avvento di quella «umanità migliore» perla quale tanto sangue era stato versato in quattro anni, essoavrebbe trascinato nelle sue file numerosi ex combattenti. lisocialismo, però, non fece nulla di tutto questo, si dimostròincapace di agire, e a uomini avidi di trasformazione apparvecome un movimento lento e logoro. E fu il fascismo a presen­tarsi come vindice delle aspirazioni degli ex-combattenti'.

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Anche i giovani hanno in comune una dura condizionemateriale - la disoccupazione - e un'aspirazione morale: chela gioventù venga considerata come un fattore autonomo del­la società.

In tempi normali i giovani borghesi e i giovani proletarihanno ben poco in comune. Lo studente di famiglia borgheseo piccolo borghese rimane infatti sui banchi del collegio o

1 Si veda avanti, cap. III.

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dell'università sino a una età avanzata, spesso oltre i vent'an­ni. In questo lungo periodo di studi, non è integrato nel pro­cesso di produzione, non ha alcuna indipendenza economica,non è lui che mantiene la famiglia, ma è la famiglia che lomantiene, è una specie di parassita e non ancora un uomo.Così ha l'illusione di appartenere a una categoria particolare,si differenzia dagli adulti, crede di avere degli interessi da di­fendere nei loro confronti, delle aspirazioni da formulare, emena gran chiasso sulle «aspirazioni della gioventù». Gli e1e- ·menti caratteristici di questa gioventù studentesca sono sem­pre stati l'impazienza e l'invidia. Il giovane medico, il giovaneavvocato, il giovane artista devono attendere lunghi anni pri­'Ima di affermarsi nella carriera che hanno scelta. Contro glianziani che sbarrano loro la strada, essi costituiscono un sin-•dacato di scontenti.l Per questo in Italia, attorno al 1910, la gioventù intellet­tuale e studentesca era futurista, con Marinetti. Questi giova­ni non riuscivano a definirsi che affermando la loro giovinez­za, scrivendo la parola giovinezza sulla loro bandiera.Conoscevano una sola cosa: l'impazienza verso l'avvenire. Illoro nemico era l'adulto, l'uomo calvo, il «passatista». «I piùvecchi di noi non hanno ancora trent'anni. Dobbiamo affret­.t arci a rifare tutto, bisogna andare contro corrente»t, era illoro leitmotiv.

In Germania, dal 1910 al 1914 la gioventù intellettuale estudentesca si raggruppò nello Jugendbewegung (movimentodella gioventù) per affermare contro «gli uomini maturi»l'autonomia della giovinezza, la missione di cui è investita.Caratteristica è la lettera d'invito al congresso del 1913, tenu­to allo Hehen Meissner, presso Kassel, al quale parteciparo­no 10.000 giovani:

«La gioventù è stata sinora, per le generazioni più anziane, un•

1 Marinetti,II futurismo, 1911.

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semplice accessorio, essa è stata esclusa dalla vita pubblica, ridottaa un ruolo passivo che consiste nell'imparare, segregata in unmondo infantile. Ora la gioventù comincia a prendere coscienza disé, si sforza di costruire essa stessa la vita, indipendentemente dalle .pigre abitudini degli anziani... Essa tende ad agire come fattoreautonomo nella comunità sociale-J,

Al contrario nel giovane operaio il concetto della classeprevale su quello dell'età. Da quando esce dalla scuola ele­mentare, il giovane si differenzia ben poco dall'adulto; sulluogo di lavoro entrambi sono sottoposti all'identico sfrutta­mento, spesso il giovane operaio mantiene la propria fami­glia, passa senza transizione dall'infanzia alla maturità ed ègià un uomo.

Ma, alla fme della guerra, in Italia come in Germania lasituazione dei giovani borghesi e piccolo-borghesi e dei gio­vani proletari è all'incirca eguale: tutti, senza distinzione, so­no vittime della crisi economica.

1. Le condizioni della gioventù intellettuale e studentescadivengono più precarie, e le sue particolari aspirazioni ne ri­sultano esasperate.

In Italia i giovani smobilitati, i cui studi erano stati inter­rotti, così come i nuovi laureati, incontrano le più grandi dif­ficoltà per trovare o ritrovare una sistemazione sociale. Leloro famiglie sono duramente provate dalla svalutazione edal carovita; inoltre la guerra che avevano vissuto come sol­dati, o anche senza esserlo, ha dato loro il gusto dell'avventu­ra, là loro qualità di giovani era stata esaltata: Giovinezza,giovinezza, primavera di bellezza, cantavano gli Arditi. Ora es­si si trovano disoccupati, senza posizione, desiderosi di azio­ne.

In Germania, la crisi economica che inizia alla fine del1929, piomba la gioventù intellettuale e studentesca in un

1 CiI. da R. Patry, «Le origini del Movimento della giovinezza», in Revued'Allemagne, novembre 1927.

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gravissimo disagio. Le famiglie, rovinate, non possono soste­nere le spese per gli studi e i giovani studenti non hannonemmeno la risorsa di un lavoro manuale. I laureati non han­no alcuna speranza di sistemazione sociale. I candidati agliimpieghi statali devono attendere sino a ventisette e anche fi­no a trent'anni e soltanto il 20% delle domande vengono esa­minate. Per 24.000 lauree conseguite, non vi sono che 10.000posti e questi giovani, demoralizzati e scontenti, si ribellano auna società che impedisce loro di sperimentare le loro attitu­dini, che li condanna all'inazione.

2. La disoccupazione colpisce la gioventù proletaria. Pri­vo di lavoro e declassato, respinto dal processo produttivo etrasformato in parassita, il giovane disoccupato si trova inuna condizione economica e morale assai simile a quella delgiovane studente senza prospettive. La solidarietà dell'etàavvicina gli uni agli altri questi giovani ridotti alla miseria ealla disperazione, che si ribellano all'ingiustizia della lorosorte e che esigono un assetto sociale nel quale la gioventùnon venga più sacrificata.

Il fenomeno è particolarmente grave in Germania dove,nel 1932, il 26% dei disoccupati hanno meno di ventiquattroanni. Masse di giovani proletari devono abbandonare la casapatema, vagano per le città e per le strade senza sperare ditrovare lavoro e persino senza aver mai lavorato. Senza lega­mi, declassati, spesso anche traviati, quei giovani vagabondinon sperano più salvezza dall'azione e dalla vittoria della lo­ro classe e raggiungono l'esercito dei giovani disoccupati in­tellettuali.

In Italia e soprattutto in Germania il socialismo avrebbepotuto conquistare gran parte di questa gioventù disperata.Naturalmente gli sarebbe stato impossibile, senza rinnegare isuoi princìpi, di mettersi sul terreno equivoco della «gioventùin quanto tale», di far prevalere il concetto di età su quello diclasse. Ma gli sarebbe bastato mostrarsi forte e audace: i gio-

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vani hanno naturale il gusto del rischio e del sacrificio, losprezzo del pericolo e il movimento più ardito e più idealista,che esige il massimo di sacrifici, ma che si mostra il più ingrado di rovesciare l'ordine esistente, responsabile della lororovina, conquisterebbe la gioventù. Se il socialismo si fossemostrato più dinamico, non soltanto avrebbe impedito ai gio­vani operai di disertare la loro classe, ma avrebbe attiratomolti giovani operai e studenti nelle file dell'esercito proleta-

•no.Ma il socialismo, non mostrandosi rivoluzionario, ha ces­

sato di costituire un polo d'attrazione. E il fascismo, giocan­do abilmente con la mistica della giovinezza, conquistò nonsoltanto la gioventù intellettuale ma anche fenomeno ben piùgrave, numerosi giovani disoccupati declassati.

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Infine il fascismo giunge a reclutare un certo numero diproletari. Se non riesce a incidere sulla grande massa delproletariato, può però staccare dalla loro classe talune cate­gorie di operai mancanti, per ragioni diverse, di coscienza diclasse. In periodo di crisi, un'avanguardia operaia forte e de­cisa raccoglie attorno a sé tutti gli strati del proletariato; mase l'avanguardia manca di energia e di dinamismo la classe sidecompone e si fraziona, ed è quanto si è verificato in Italia ein Germania.

Lo sfaldamento avviene in alto e in basso. In alto, il fasci­smo raccoglie adesioni in quella che viene definita «aristo­crazia operaia», riesce a inquadrare un certo numero di pro­letari imborghesiti che si considerano già fuori dalla loroclasse. Questi individui restano fedeli alle organizzazioni

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proletarie finché è necessario appartenervi per trovare lavo­ro o finché esse assicurano un discreto livello di vita. Maquando tali organizzazioni perdono la loro influenza o nonsono più in grado di assicurare quel livello, essi le abbando­nano e le tradiscono. Soprattutto in Germania il nazismo faproseliti nelle categorie di salariati già privilegiati, che impu­tano alla socialdemocrazia e ai sindacati di non aver saputoattuare il loro ideale piccolo-borghese'. .

In basso, il fascismo influenza i proletari di recente for­mazione: figli di contadini da poco trasferitisi dalla campa­gna e che non hanno avuto il tempo di acquisire una coscien­za di classe; lavoratori che la tecnica moderna ha trasformatoin manovali, che passano indifferentemente da un settore in­dustriale a un altro e che non hanno più né qualifica né fie­rezza professionale, collocati ai margini delle organizzazionioperaie e conseguentemente pronti ad abbandonare la loroclasse/. E' attraverso costoro che il fascismo penetra nellefabbriche sia in Italia che in Germania3

Sempre in basso, il fascismo arruola i disoccupati. Il di­soccupato, respinto dal processo produttivo, si trova ai mar­gini della sua classe, i legami che lo uniscono ai suoi compa- .gni di lavoro si allentano, ben presto tra lui e l'operaiooccupato non vi è più identità, ma contrasto di interessi. Lamiseria e la passività lo demoralizzano e lo avviliscono, eglidispera di se stesso e della propria classe, che diviene prontoa tradire per un tozzo di pane.

Infine il fascismo raccoglie un certo numero di rifiuti del­la classe operaia, i crumiri, gli eterni refrattari all'organizza­zione proletaria, quelli che sono sempre pronti a prostrarsi alpadrone, a fare la spia, ad accettare salari inferiori al mini-

1 Wilhelm Reich, Massenpsychologie des Faschismus, 1933 [Psicologia dimassa del fascismo , Milano 1971].2 Révolution proletarienne, novembre 1932.3 Silone, op. cit:

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mo, a rompere gli scioperi; poi il sottoproletariato, vale a di­re i declassati volontari, coloro che rimangono al di fuori del­la loro classe e che la tradiscono perché non vogliono lavora­re, perché odiano una rivoluzione che costringerebbe tutti alavorare.

In Italia, avanzi di galera e pregiudicati si danno appunta­mento nelle squadre d'azione di Mussolini e vi prendono no­mi di battatpia assai caratteristici: i «selvaggi», i «dannati», i«disperati» . Essi vi possono soddisfare i loro istinti deprava­ti assicurandosi una completa impunità/.

Un vecchio fascista, Aniante, parlando dei suoi ricordidel 1924, scrive:

«Quel giorno, avvertii veramente che Mussolini e il fascismoavevano dovuto far appello alla feccia della società,,3.

Nelle sezioni d'assalto hitleriane si respira la stessa atmo­sfera di bassifondi. Tipico il caso di Horst Wessel, che dasfruttatore di donne viene trasformato in eroe nazionale.

«Tutti coloro che vivono ai margini della società - scrivono D. e P.Bénichou - gli avventurieri, gli apaches, i furfanti sono attratti dalmovimento fascista, li si ritrova alla base e al vertice delleorganizzazioni hitleriane»4.

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Un'osservazione conclusiva. I capi fascisti, a tutti i livelligerarchici, sono l'immagine dei loro gregari. Sono in maggio-

1 Salvemini, Il terrore fascista, 1929.2 Silone, op. cù:3 Aniante, Mussolini, 1933.4 Masses, n. 15 1934.

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ranzaplebei: piccoli borghesi o proletari declassati', Mussoli­ni esordisce come maestro elementare, poi diviene proleta-

•no.

<<A vent'anni - racconta agli operai delle Acciaierie Lombard~ - holavorato con le mie mani, sono stato manovale e muratore» . MaBenito Mussolini è un proletario di un tipo del tutto particolare.Angelica Balabanoff, che l'ha conosciuto in quel periodo, lodefinisce «un vagabondo declassato». Individualista esasperato,egli in fondo non sente che disprezzo per la classe alla qualemomentaneamente appartiene.

Hitler è figlio di un funzionario delle dogane e sogna didiventare architetto. Poi eccolo temporaneamente costrettoa un lavoro manuale. .

«A Vienna - narrano i suoi panegiristi - vive con gli operai, lavora elotta con loro, come garzone e impastatore di calce»fArbeitertum,organo delle cellule di fabbrica naziste, maggio 1933.. Ma è unproletario di genere speciale, al quale i suoi compagni di lavoronon ispirano che disgusto, come ammetterà nel Mein Kampf e cherischia di esser scaraventato da un'impalcatura per essersi rifiutatodi accettare la disciplina sindacale.

•Il Duce e il Fiìhrer sono dunque lo specchio nelle loro

truppe; anche quando hanno raggiunto il successo, conserva­no un andazzo plebeo che lusinga e rassicura i loro partigia­ni. Sentiamo i testimoni oculari:

•«L'impressione d'assieme che ho ricevuto e che mi rimane - scriveDaniel Halévy dopo una visita a Mussolini - resta quella di unuomo assai rozzo, molto popolaresco, acconciato alla meglio e malrasato... il ~ono è rude come la barba che gli inscurisce il viso inpoche ore» .

1 In uno studio pubblicato dalla rivista American political science reviewnell'ottobre 1937, Harold D. Lasswell e Renzo Sereno, documentandolocon accurate ricerche statistiche, giungono alla conclusione che 254 su 308capi fascisti italiani, quadri del partito o dei «sindacati», provengono dallapiccola borghesia. CiI. da Robert Marjolin, «II reclutamento dei capifascisti» , in Europe Nouvelle, 13 agosto 1934.2 Mussolini, discorso del 5 dicembre 1922.3 Halévy, Courrier d 'Europe, 1933.

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E Georges Suarez, dopo aver avvicinato Hitler:

«Aveva raggiunto la stazione con passo pesante... aveva l'ariacomune e volgare... non era che un buon montanaro che nonsapeva dove metter le mani... il suo passo pesante, il suo gestiresenza grazia, ~I .su~ invef?Simije ciuffetto sono tratti nei quali tuttauna nazione SI e nconoscruta» .

, I capi fascisti, a tutti i livelli gerarchici, conservano nonsoltanto l'aspetto, ma anche la mentalità plebea. Sono deiparvenu, detestano cordialmente e disprezzano la grandeborghesia che li sovvenziona, tentano di supplire alle lacunedella loro cultura e della loro educazione richiedendo per leloro persone riguardi di ogni genere. Per questo, quando igrandi capitalisti avranno loro affidato la direzione dello Sta­to, lavoreranno per eliminare il vecchio personale politicodella borghesia ed esigeranno per se stessi tutto il potere.

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3. MISTICA INNANZITUTTO

Il primato della mistica. - 1. Il fascismo è una religione. - 2.Il culto dell'euomo della provvidenza» - 3. Questo culto siidentifica con quello della patria. - 4. Il culto dei morti. - 5. Mi­stica della «giovinezza». - 6. Mistica del «combattentismo». - 7.La propaganda. - 8. Carenze del socialismo sul terreno dellamistica. Solo ridiventando rivoluzionario il socialismo riacqui­sterà il suo potere d'attrazione.

Sappiamo ora quali truppe il fascismo mobiliti. Si trattadi vedere come le conquisti. Esso propone loro innanzituttouna mistica e poi una demagogia sociale.

Varie sono le ragioni di questo primato della mistica. In­nanzitutto le schiere fasciste mancano di omogeneità; ciascu­na delle categorie sociali alle quali il fascismo si rivolge ha ri­vendicazioni e aspirazioni particolari. Senza dubbio esso puòloro propinare una demagogia anticapitalistica «buona a tut­to fare» e vi aggiungerà formule destinate specificamente aiproletari coscienti, ai contadini ecc. Ma tale demagogia,spesso contraddittoria, non basta a creare un legame tra tuttiquesti scontenti. Occorre trovare un connettivo più valido,una mistica deliberatamente vaga e in cui tutti si ritrovino,quali che siano le loro divergenze di interessi o di concezioni;una mistica grazie alla quale, come afferma un nazista1, «i

1 Ernst Krieck, Educazione nazionalsocialista, cit. in Cervelli in uniformeParis 1934.

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numerosi individui di una folla adunata si amalgamino in unaunità spirituale, in una unione sentimentale».

D'altro canto, piuttosto che rivolgersi all'intelligenza, ilfascismo preferisce suscitare una fede. Un partito mantenutodai sussidi del grande capitale e il cui scopo segreto è la dife­sa degli interessi dei possidenti, non ha alcun interesse a farappello all'intelligenza dei suoi adepti, o, più esattamente, ri­tiene più prudente non fare appello alla loro ragione se nondopo averli completamente frastornati: quando il fedele cre­de, nulla è più facile che giocare con la verità e con la logica.Gliene deriverà nuovo slancio e se per caso il fedele aprissegli occhi, è facile richiuderglieli con l'argomento supremo: ècosì perché l 'ha detto il Capo! Inoltre il fascismo ha il vantag­gio di rivolgere il suo appello a gente disgraziata e scontenta.E' un fenomeno psicologico antico quanto il mondo quelloper cui la sofferenza predispone al misticismo. Oltre un certolimite di miseria, l'uomo non ragiona più, non chiede più ri­medi logici ai suoi mali, non ha più il coraggio di tentare disalvarsi da solo: attende un miracolo, invoca un salvatore, èpronto a seguirlo e a sacrificarsi per lui.

Infrne il fascismo ha sul socialismo - per così dire - il van­taggio di disprezzare le masse e non esita a sfruttare i loropunti deboli. Mussolini si è pubblicamente vantato di avereuna conoscenza del popolo che «gli è molto servita», che gliha «permesso di conoscere la psicologia delle folle e di avereper così dire la sensibilità tattica e visiva di ciò che esse vo­gliono e possono» l. Indipendentemente dalla sua esperienzapersonale, egli ha imparato a memoria la Psicologia della fol­la di Gustav Le Bon, e ne cita le massime:

«La folla è ovunque femmina... essa è incapace di avereun 'opinione qualsiasi all 'infuori di quella che le viene imposta...

1 Mussolini, discorso al Senato durante la discussione sulla leggesindacale del 3 aprile 1926.

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Non. è con regole fondate sul puro rigore teorico che si puòtraseinarla, ma trovando ciò che può impressionarla e sedurla... La~olla co~osce solo i sentimenti semplici ed estremi... non si lasciaimpressionare che da immagini».

Hitler ha fatto le stesse constatazioni:

«II p~polo. n.ella su~ grande maggioranza - egli scrive - si trova inuna dlsposU:I~ne.e m ,!no st~to d'~nimo femminile a tal punto chele ~ue opl.mom e : I SUOI. atti. sono determinati assai piùdalllmpr~sslOne prodo~t~ SUI sen~1 che dalla pura riflessione. Lama~... e ~~o .accesslblle a~le Idee ~tratte, mentre la si puòdomm.are piI:' facilmente sul plano sentimentale... Chiunque vogliaconquistare Il cuore delle masse, deve conoscere la chiave che neapre la porta. In ogni tempo, la forza che ha messo in moto nelmondo le rivoluzioni più violente è consistita assai meno nellaaffermazione di un principio scientifico che s'impadronisce dellafolla, che nel fanatismo animatore e nell'autentica isteria chefollemente la pervade» l .

1

Così il fascismo, prima di ogni altra cosa e prima persinodi tentar di definirsi, si presenta come oria religione. E' noto'che la religione deriva dalla paura, dallo sbigottimentodell'uomo davanti alle forze della natura che non sa ancoradominare e che lo spaventano. In seguito, quando l'uomo co­mincia a vivere in società, il bisogno di Dio è perpetuato dal­la miseria nella quale le classi sfruttatrici lo costringono a vi­vere; la speranza della vita celeste è la ricompensa delleprivazioni in terra. Nei tempi moderni, via via che l'uomo èriuscito a meglio dominare la natura e ad alleggerire il suofardello quotidiano, la religione è entrata in crisi. Ma la crisi

1 Hitler, Mein Kampf, trad. francese, 1935.

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finale del capitalismo precipita le masse in una confusione ein una disperazione analoga a quelle che doveva provarel'uomo primitivo davanti alle forze scatenate e incomprensi­bili della natura. E poiché la religione tradizionale, che mo­stra la corda e che è troppo compromessa dai suoi legamicon i ricchi, non riesce sempre a trovare la via del cuoredell'uomo, gli si è fabbricato un surrogato di religione, unareligione ammodernata e adeguata alle nuove esigenze. Mase l'apparenza è nuova la sostanza non muta: è sempre l'anti-

•co OppIO.

«II fascismo è una concezione religiosa» afferma Mussolini l. «Se ilfascismo non fosse una fede, come potrebbe infondere stoicismo ecoraggio nei suoi seguaci?»2. «Non si possono compiere grandiimprese se non si è animati da un amore appassionato, da unmisticismo religioso»3.

A Milano si inaugura una scuola di mistica fascista e ungiornale scrive per l'occasione: «Il fascismo è una emanazio­ne del divino-". «lo credo - afferma il Credo del Balilla - nelnostro Santo Padre, il fascismo».

Credere è l'alfa e l'omega anche della «religione» nazista.Dopo la conquista del potere, Hitler così si rivolge alle sueschiere:

«Voi siete l'avanguardia che da lungo tempo mi ha seguito concuore credente. Voi siete stati i primi che hanno creduto in me... Lavostra fede e non già l'intelligenza che spacca il capello in quattroha risollevato la Germania dalla rovina... Perché siamo gui? Per unordine? No, perché il cuore ve l'ha ordinato, perche una voceinterio re ve l'ha dettato, perché voi credete nel nostro movimento enella sua direzione... Solo la forza dell'idealismo ha potutocompiere questo... La ragione vi avrebbl§ sconsigliato di schierarvicon me e solo la fede ve l'ha comandato» .

1 Mussolini, Il fascismo, dottrina e istituzioni, 1933.2 Mussolini ne nPopolo d'Italia, 19 gennaio 1922.3 Mussolini, discorso del5 ottobre 1931.4 Roma fascista, del 21 giugno 1931.5 Hitler, discorso al congresso di Norimberga, 1933.

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Come tutte le religioni, anche il fascismo esige l'assolutodisprezzo di tutto quanto è «materiale»; come tutte le reli­gioni, incita l'uomo a rassegnarsi alla sua miseria, dando laprecedenza al nutrimento «spirituale» su ciò che riempie lostomaco. Il fascismo, su questo punto, non fa che imitare laChiesa cattolica:

«Che servirebbe [all'uomo] aver trovato... l'abbondanza materiale ­si chiede Leone XII! - se la mancanza di alimenti spirituali mettesse .in pericolo la salvezza della sua anima?»I.

Mussolini scrive che

«il fascismo crede alla santità e all'eroismo, vale a dire alle azioninelle quali non agisce alcun motivo economico prossimo oremoto», esso «respinge l'idea del benessere economico che...trasformerebbe gli uomini in animali che pensano a una sola cosa:essere nutriti e ingrassati»2.

Parallelamente, Hitler afferma:

«L'uomo che per sentirsi soddisfatto non ha bisogno che dimangiare e di bere, non ha mai compreso colui che sacrifica il suopane quotidiano pur di appagare la sete della sua anima e la famedel suo spirito»3.

2

Ma l'ascetismo in sé non è una consolazione sufficiente.La grande abilità del fascismo consiste nel riesumare la for­ma più antica del sentimento religioso: il culto dell'uomo del­la provvidenza. Sotto una leggera vernice di civiltà, gli uomini

1 Leone XIII, enciclica Rerum N ovarum, 1891.2 Mussolini, Il fascismo, donrina e istituzioni, 1933.3 Hitler, discorso al congresso di Norimberga, 1933.

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rimangono idolatri; quelli di un tempo immaginavano divini­tà che erano semplicemente «il riflesso fantastico di se stes­si» I, quelli di oggi sentono il bisogno di creare, secondo ladefinizione di Marcel Martinet

«un mito di salvezza che non è se non una proiezione di loro stessi,ma nel quale trasferiscono i loro rancon, i loro bisogni, i loropensieri e la loro stessa vita»2.

Essi abdicano davanti alla divinità che hanno costruito aloro immagine, essi attendono la loro salvezza dal Duce e dalFiihrer.

Ma questo personaggio mitico non è stato creato sponta­neamente dalle masse: il fascismo le ha instradate con unlungo e paziente lavoro di suggestione. All'inizio abili ciarla­tani, tra i quali anche il futuro idolo, fanno nascere nell'ani­mo popolare l'inconscio bisogno di un Messia. Mussoliniscrive nel 1921 che nel corso dei prossimi decenni «gli uomi­ni sentiranno fortemente il bisogno di un dittatorev'.

«Noi speriamo in un salvatore che ci trarrà dalla nostramiseria, ma nessuno sa da dove verrà», afferma Thyssen nel19224

• «Noi abbiamo bisogno di un Fiìhrer» invoca nel 1923Moeller van den Bruck (op. cit.). E lo stesso Hitler:

«1\ nostro compito è di fornire al dittatore, quando egli verrà, unpopolo che sia maturo per lui»5.

In un secondo tempo arriva il salvatore atteso. Ma è an­cora un uomo come gli altri e lo si divinizza solo per gradi.Egli non può, evidentemente, riuscirvi da solo ma, fortunata­mente per lui, il suo stato maggiore lo aiuta. Dall'alba al tra-

1 F. Engels, Ludwig Feuerbach , 1846.2 Marcel Martinet, «1\ Capo contro l'uomo», in Esprit , l ° gennaio 1934.3 Mussolini ne Il Popolo d 'Italia , cit. da Cambo, Autour du Fascismeitalien, 1925.4 CiI. da Gastone von Rapha él, Krupp e Thyssen, 1925.5 Hitler, Discorsi, 1920-23.

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monto, i suoi adulatori lo indicano alle folle come l'Eletto.Dapprincipio non vengono creduti, i loro tentativi di santifi­carlo sono troppo grossolani e fanno ridere. Ma essi sono pa­zienti e il tempo lavora per loro; dieci volte di seguito hannoproposto senza successo il loro Messia, ma all'undecima ilpiccolo borghese si chiede: «Dopo tutto, non può essere lui ilSalvatore?». Così, in Italia, Farinacci e pochi altri tessono in­stancabilmente il mito di Mussolini, per usare l'espressionedel conte SforzaI. In Germania, sin dal febbraio 1921, Esserconsacra Fììhrer il suo amico Hitler e Rosenberg e Goebbelsproseguono negli anni successivi l'opera da lui iniziata.

Ora l'uomo è promosso al rango di semidio, per usare an­cora i termini di Sforza, viene proclamato infallibile e onni­potente: «Mussolini ha sempre ragione» si afferma nel Deca­logo del legionario, e nel Credo del Balilla: «lo credo nelgenio di Mussolini».

«Adolf Hitler è una personalità geniale e universale», di­chiara Wilhelm Kube. «Non vi è alcun settore dell'attivitàumana nel quale il Fiihrer non regni sovranov'. Goering di­chiara a un redattore del Moming Post:

«Come i cattolici considerano il papa infallibile in tutte le questionidi religione e di morale, così noi crediamo con la stessa profondaconvinzione che il Fììhrer è infallibile in tutte le questioni checoncernono gli interessi morali e sociali del popolo»3.

«C'è una persona al di sopra di ogni critica, il Fuhrer - affermaRudolf He~s - tUjti sanno che egli ha sempre avuto ragione e avràsempre ragIOne» .

Da questo atteggiamento alla devozione non vi è che unpasso che viene compiuto rapidamente. In Italia, la rivista uf-

1 Sforza, I costruttori dell'Europa moderna, 1931.2 Correspondance officielle du Nsdap; pubblicata da Le Temps [d'ora inavanti LT], 15 settembre 1934.3 Moming Posi, 31 gennaio 1934.4 Hess, discorso del giugno 1934.

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ficiale Milizia fascista ammonisce: «Ricordati di amare Dio,ma non dimenticare che il Dio dell'Italia è il Duce» (LT, 19dico 1933). Paul Gentizon, corrispondente de Le Temps daRoma, riferisce:

<<1 contadini e le loro donne si inginocchiavano scorgendo su unacollina lontana la rocca nella quale il Duce era giunto per un brevesoggiorno... Un alone di ideale e di poesia già lo circonda, peralcuni egli diviene un personaggio favoloso. Quando appare inqualche manifestazione, la fisionomia di numerosi spettatori siillumina» (LT, 13 febbr. 1935).,

In Germania, Goebbels si atteggia a gran sacerdote delnuovo culto e scrive che «la fede nel Fiìhrer è avvolta per co­sì dire, in una mistica misteriosa ed enigmatica» 1. Egli si ri­volge a Hitler in uno stile da Padre della Chiesa:

«Nella nostra profonda disperazione, abbiamo trovato in voi coluiche ci indica la via della fede... Voi siete stato per noi il realizzarsidi un misterioso desiderio, voi avete rivolto alla nostra angosciaparole di redenzio~e, voi avete forgiato la nostra fiducia nelmiracolo che verrà» .

Quando il «suo» Fiihrer è diventato il padrone della Ger­mania, Goebbels carica ancora le tinte e gli si rivolge come aun Dio: il 20 aprile 1933, compleanno di Hitler, gli innalzaper radio questa preghiera:

«Oggi Tu devi sapere che dietro a Te, e se è necessario davanti aTe, si trova un esercito compatto di combattenti che in ognimomento sono pronti a tutto sacrificare per Te e per la Tua idea...Noi Ti promettiamo solenneme~eche TU sarai sempre per noi ciòche Tu sei oggi: il Nostro Hitler» .

Roehm lo definisce «nuovo redentore»4. Hess assicurache «quest'uomo guiderà il popolo tedesco senza curarsi di

1 Goebbels, Kampfum Berlin (Battaglia per Berlino).2 Goebbels, lettera a Hitler, cito da Pernot in La Germania di Hitler, 1933.3 Goebbels, Revolution der Deutschen (La rivoluzione dei tedeschi).4 Principe di Hohenlohe, «Son Rédempteur», in Pariser Tageblatt, 16luglio 1934.

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influenze terrene»1 e un panegirista scrive che «la sua volon­tà è veramente la volontà di Dio»2.

3

Ma qualcosa manca ancora a questa religione per poteresercitare sulle masse tutta la sua forza d'attrazione: all'anti­co culto dell'uomo provvidenziale, il fascismo sovrapponequello più recente della patria, la patria «terrificante idolodell'età moderna, - come la definisce Martinet - pseudonimodella stessa massa nel quale la folla adora la sua propria po­tenza» (op. cit.).

E' facile scorgere, il grande vantaggio che deriva al fasci­smo dall'identificazione dei due culti: il capo appare ormaicome l'incarnazione, la materializzazione della nazione, ado­rare l'uomo provvidenziale significa adorare la patria, servirela patria significa servire il capo amato. I fanatici del capo di­vengono automaticamente fanatici dell'idea nazionale e pa­rallelamente i fanatici dell'idea nazionale divengono fanaticidel capo. Quando, infme, il potere sarà conquistato le leggidello Stato saranno ordini personali di Mussolini e di Hitler.

In Italia

«Il fascismo è la religione della patria», scrive Gorgolini'',Alla vigilia della Marcia su Roma, lo stesso Mussolini affer-

1 Hess, discorso a Monaco del 26 febbraio 1934.2 Boettcher, Rasse und Recht (Razza e diritto).3 Gorgolini,ll fascismo , 1921.

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ma: «il nostro mito è la nazione, il nostro mito è la grandezzadella nazione»l.

«Una nuova religione - scrive Gentizon - è nata in Italia... ladivinità è la patria... la venerazione che si manifesta per essaimplica tutta una sacra terminologia. Leggete i giornali fascisti: inogni pagina traboccano le espressioni Italia santa, Italia divina»(LT, 261ugiio 1933).

Il legionario invoca nella sua preghiera quotidiana:

«Signore, tu che accendi tutte le fiamme e fermi tutti i cuori,rinnova in me ogni giorno la mia passione per l'Italia».

E i due culti si fondono in uno solo: la Preghiera dellegio­nario si conclude con questa invocazione:

«Signore, salva l'Italia nel Duce».

In Germania

La parola Deutschland diviene un termine sacro dinnanzial quale tutto il popolo deve inginocchiarsi. Quando Hitler lapronuncia, entra in trance e i suoi discorsi si trasformano in

•sermoni:

«Non posso staccarmi dalla fede nel mio popolo, dalla convinzioneche questa nazione risusciterà, non posso staccarmi dall 'amore diquesto popolo che è il mio, dalla certezza che verrà l'ora in cuimilioni di uomini che stanno dietro a noi vedranno il nuovo Reichtedesco, Reich di splendore, di onore, di forza e di giustizia.Amen!>. (LT, 12 febbr. 1933).

Il professor Hauer scrive che «il popolo e la storia nazio­nale sono una realtà divina» (LT, 28 aprile 1935) e Baldurvon Schirach capo della gioventù hitleriana, celebrando la fe­sta pagana del Solstizio, pronuncia questo giuramento:

1 Mussolini, discorso del 24 ottobre 1922.

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«Davanti alla fiamma ardente, tutti giuriamo di consacrarci alservizio della patria, per la grandezza e per la purezza dell'eternoimpero germanico» (LT, 25 giugno 1935).

Le due mistiche si fondono e il nazismo al potere adottala formula

«Adolf Hitler è la Germania e la Germania è Adolf Hitler>'l.

4

Attorno a questo fulcro mistico, il fascismo organizza unaserie di mistiche di fiancheggiamento. Tipico il culto deimorti: i fascisti caduti nella guerra civile sono oggetto di unavenerazione costantemente ravvivata.

In Italia

«Esiste ormai - scrive lo storico Volpe - una tradizionefondata e rinsaldata dai caduti»2 e Gentizon nota in una suacorrispondenza:

«I morti per la patria e per la rivoluzione delle camicie nere sono imartiri di un ideale di cui erano gli apostoli. Alla loro memoria siinnalzano altari, si accendono fiamme votive, si celebrano riti» (LT,26 luglio 1933).

«lo credo - si legge nel Credo del Balilla - nella comunio­ne dei martiri fascisti». Ad essi viene consacrata una sala

l Formula del giuramento ripetuta a memoria dalla folla nelle riunioninaziste (Le Temps, 2 maggio 1935). .2 Volpe, Stona del movimento fascista, cit.

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speciale della Mostra della Rivoluzione fascista.

«Da una galleria circolare si eleva un canto dolcissimo che esalta ilricordo degli scomparsi,'! .

In Germania

L'inno ufficiale del nazismo, l'Horst Wessel Lied, evocanella prima strofa il ricordo dei morti: I camerati vittime delFronte Rosso e della reazione/ Marciano in ispirito nelle nostrefile.

Rosenberg scrive che «il sacrificio di tutti i caduti del na­zismo ne fa una religione-I,

Come in Italia, questo culto esige pompe grandiose: nel1935, .l'anniversario del putsch di Monaco del 1923 vieneconsacrato non soltanto alle vittime del putsch, ma a tutti i225 morti per il partito:

«ciascuno ha nella strada una lapide con il nome in lettere d'oro.Alla sfilata del corteo, s'accenderà una fiamma nella lampadavotiva alla sommità della lapide ornata di drappi neri), (LT, lO nov.1935).

5

Un'altra mistica è quella della «giovinezza». In Italia, ilfascismo raccoglie abilmente l'eredità del futurismo, in Ger­mania quella del Jugendbewegung. Si esalta la giovinezza in

l Articolo del Dagens Nyheder di Copenaghen, in Lu, lO febbraio 1933.2 Rosenberg, Das WesengefUge des Nationalsozialismus (Le fondamentadel nazismo).

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quanto tale, la si riconosce come «un fattore autonomo nellacomunità sociale», le si promette appoggio nella sua lottacontro gli adulti, contro i «passatisti», contro il vecchio mon­do.

In Italia

Non è un caso che il canto degli Arditi Giovinezza, giovi­nezza/ Primavera di bellezza sia divenuto l'inno ufficiale delfascismo. Lo storico Volpe scrive:

«Vi è, all'origine del fascismo, qualcosa che è al di s~pr~ dellapolitica e dei suoi problemi e che è soprattutto .glOvmezza,giovinezza italiana, giovinezza del dopo~erra, gtovmezza. cheirrompe come se la nazlO!1e stesse per.nngIOVamre. La rivoluzionefascista è per buona meta opera sua, e qUI che nasce Il mito dellagiovinezza in virtù del quale u~ uomo di quarant'anni deve quasichieder scusa di esistere» (op. Clt.).

Gentizon sottolinea che

«il fascismo ha considerato l'adolescenza non soltanto come unafase di passaggio dall'infanzia alla virilità, ma come un periodoparticolare, c\?n caratteri~tiche, esigenze e necessità garticolari.Prima del fascismo la grovrnezza dell 'italiano era, per COSI dire, unazona intermedia tra l'incoscienza dei bambini e la carriera degliuomini. Il fascismo invece , dandole sue proprie leggi, l'ha valorizzatain quanto tale»l.

In Germania

Nel 1921 il saggio di Spengler Prussianesimo e Socialismoapre la serie degli appelli alla gioventù che si ritrovano poi in

l Gentizon, in Le Temps, 26 luglio 1933.

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tutti i discorsi di Hitler dal 1921 al 1923:

«Noi ci rivolgiamo innanzitutto al possente esercito della nostragioventù tedesca... I giovani tederhi saranno un giorno gliarchitetti di un nuovo Stato razzista» .

Più tardi Goebbels scriverà liricamente:

«La rivoluzione che abbiamo fatto... è stata pressoché interamenteopera della gioventù tedesca». «In Germania è la gioventù chegoverna» (LT, 25 ago. e 21 setto 1935).

6

Infme, la mistica del «combattentismo». In Italia, i primigruppi creati da Mussolini nel 1915 si chiamano già fasci dicombattimento2

; e i fasci del 1919 si costituiscono all'insegnadello «spirito di trincea».

«Solo uomini sconosciuti possono salvare il popolo tedesco ­proclama Hitler - ma questi uomini devono provenire dal fronte...devono uscire dalle file di coloro che hanno fatto il loro doveredurante la guerra» (LT, 26 febbr. 1934).

E Rudolf Hess esclama:

«Il Terzo Reich ha trovato il suo fondamento in un'idea sorta dalletrincee» (LT, 13 setto1935).

Il Duce e il Fiihrer vengono presentati come soldati «ano­nimi» della grande guerra: Mussolini pubblica il suo Diariodi guerra, Hitler narra in Mein Kampf le proprie impreseguerresche.

l Hitler, Mein Kampf.2 In realtà erano denominati «fasci interventisti» (n.d.t.).

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7

Ma non basta inventare una mistica, bisogna diffonderlaovunque: il fascismo si forgia uno strumento dalle infinitepossibilità, la propaganda. Prima della conquista del potere,essa è la sua arma principale. Dopo il trionfo, essa assurge afunzione di tale importanza che le viene assegnato un mini­stero speciale affidato a un alto gerarca: il genero del Ducein Italia, Goebbels in Germania.

Nel Mein Kampf, sconcertante manuale dell'agitatore po­litico, che potrebbe avere il sottotitolo «L'arte di conquistarele 'masse», Hitler precisa:

«Mi sono sempre interessato moltissimo all'attività della propagan­da, un'arte che è quasi sconosciuta ai partiti borghesi. Lapropaganda deve precedere di molto l'organizzazione e assicurarleil materiale umano da inquadrare».

Goebbels affermerà più tardi che

«la propaganda è una funzione essenziale dello Stato moderno.Nessuno è riuscito a portare a un tal grado di virtuosismo l'arte didominare le masse. I tentativi di imitarci compiuti da altri paesihanno del diìettantescov".

La propaganda fascista ha per principio fondamentale ildisprezzo per le masse. Hitler consiglia

«La propaganda deve essere mantenuta allivello della massa e nonsi deve misurare il suo valore che dai risultati conseguiti»(MeinKamp/).

E il suo allievo Goebbels ripete cinicamente:

«La propaganda ha un solo scopo: la conquista delle masse. Ebisogn~ usare tutti i mezzi che servono a raggiungere questoscopo» .

Per non superare i limiti del presente lavoro, basterà indi­care alcuni di tali mezzi:

f,!!piego di strumenti tecnici modemi, il che è possibilegrazie alle sovvenzioni degli industriali. Dopo la conquistadel potere, Hitler spiega: .

«Senza autom~bili, senza aerei, S7nza altoparlanti non avremmopotuto conquistare la Germania. Questi tre mezzi tecnicipermisero al nazionalsocialismo di condurre una formidabilecampagna. Alla fine i nostri awersari furono schiacciati perchéa~evano sottovaJutato l'importanza enorme di questi tre strumentidi propaganda» .

Utilizzazione intensiva dei simboli, visivi (fasci littori e cro­ci t.I~cinate), vocali (<<Eia, eia, alalà » o «Heil Hitler») o figu­ratrvi: saluto romano ecc.

La ripetizione: il fascismo fa entrare i suoi slogan nel cra­nio della gente ripetendoli senza posa.

•,

«La fa~ol~à di assimilazione della ~nde massa - scrive Hitler - èassai hmlt3;ta, la ~ua co~prenslone ristretta, grande la suamancanza. di. meJ?ona. O~I propaganda, per riuscire efficace devedunque limitarsi a pochi punti-base che devono essere diffusimedian!e formu!e .stereotip~te per tutto il tempo necessarioaffinche anche I ultimo degli ascoltatori riesca per lo meno adafferrare il concetto» (Mein Kamp/) .

Il procedimento, per quanto grossolano, ebbe pieno suc­cesso. Quando si sono uditi una infinità di volte questi slo­gan, si finisce per ritenerli espressione del proprio pensiero eci si rallegra di ritrovarli nella parola dell'oratore/.

La potenza della paro/a: la propaganda orale è molto piùefficace di quella scritta. Hitler esalta continuamente «la po­tenza magica della parola», legame mistico che nei comizitiene avvinti gli ascoltatori e il tribuno, Egli predilige i grandicomizi, solo mezzo di esercitare una influenza reale, perché

l Discorso al congresso di Norimberga, da Le Temps, 8 settembre 1934.2 Goebbels, Kampfum Berlin.

134

l2

Di~rso a C?burgo d~119 ott,?b~e 1935, daLe Temps del 21 ottobre.Heiden, Stona delnazionalsocialismo, cìt.

135

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personale e diretta, su folle imponenti che possono essereconquistate (Mein Kampf). Grazie alla radio, la parola puògiungere sino al più remoto villaggio.

La suggestione: Mussolini ha imparato da Gustav Le Bonche la folla è eminentemente suggestionabile e che i suoi tra­scinatori esercitano su di essa «un fascino veramente magne­tico»1. Hitler esalta questa «miracolosa influenza che chia­miamo suggestione di massa» (Mein Kampf). Tutta l'abilitàdella propaganda fascista consiste nel mettere in circolazio­ne questo misterioso fluido.

«II modo di parlare di Mussolini - narra Volpe - era un'azione,tanto riusciva a penetrare l'animo degli ascoltatori, tanto li sapevainnalzare a uno stato emotivo... Egli evocava visioni>, (op. cir.).

Un giornalista defmisce Hitler

«medium delle folle tedesche». «Le braccia si levano, le mani siirrigidiscono, i capelli ricadono disordinatamente sulla fronte dovele vene si gonfiano, la sua voce diviene strozzata, una sorta ditrance si impadronisce di lui quando parla con la folla»2.

Le riunioni di massa, la messa in scena da grande spettaco­lo; quando grandi masse di uomini si aggruppano in uno stes­so luogo, e quando un'appropriata messinscena vi dà rilievo,il fluido non deve nemmeno essere trasmesso dall'oratore,ma si sprigiona dalla stessa massa esaltata dalla propria po­tenza. Il fascismo eccelle in tal genere di spettacoli. In Ger­mania si afferma che «il grande capo non sdegna di occupar­sene personalmente, si interessa alle prove e si occupa dellacollocazione delle masse, delle linee e dei colori, del ritmodei movimenti»3

.

l Gustave Le Bon, Psychologie des Foules, 18%.2 Pierre Frederic, Revue des Deux-Mondes, IOmarzo 1934.3 Le Temps, 16 settembre 1935. Un esempio tra gli altri: Hitler si erafatto costruire una specie di tribuna microfonica che serviva allapropagazione dei suoi discorsi. Da questa tribuna, maneggiando una seriedi bottoni elettrici, egli era in grado di aumentare o di ridurre la luce dei

Le sfilate e l'uniforme-feticcio: Lo sfilare delle schiere fa­sciste produce un'impressione analoga: zusammenmarschie­ren, marciare insieme. Ancora una volta il fluido non deve es­sere iniettato, sorge spontaneamente dal flusso d'uomini chel'uniforme fonde al punto che non formano che un corpo so­lo. Essi comunicano questo fluido alla folla che li guarda pas­sare e che, applaudendo, applaude se stessa, idealizzata, su­blimata, trasformata in un esercito in marcia.

8

Concludendo questa analisi, ci si può porre il problemadi che cosa proponga il movimento operaio come antidotoalla mistica fascista. In Italia, come in Germania, il sociali­smo si è trovato in manifesta inferiorità su questo terreno ese ne possono individuare le ragioni. Alcune sono implicitenella stessa natura del socialismo:

.1. Il socialismo non è una religione, ma una concezionescientifica e, per ciò stesso, si rivolge più all'intelligenza e al­la ragione che ai sensi e all'immaginazione. Il socialismo nonimpone una fede che bisogna ammettere senza discutere, maelabora una critica razionale del sistema capitalistico e chie­de a ognuno, prima di un'adesione, uno sforzo personale diragionamento e di giudizio.

Esso si rivolge più al cervello che agli occhi e ai nervi,cerca di convincere a sangue freddo il lettore o l'ascoltatore,non di sorprenderlo, di sconvolgerlo, di ipnotizzarlo. Senza

proiettori e poteva anche mettersi in contatto diretto con gli operatoricinematografici per dare loro il segnale di awiare le macchine da presa (LT,15 marzo 1936). .

136 137

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dubbio, i suoi metodi di propaganda devono essere aggiorna­ti e adeguati allo sviluppo tecnico. Il socialismo deve mettersimaggiormente alla portata delle masse, parlare loro un lin­guaggio chiaro e diretto che possano comprendere; anch'es­so può utilizzare simboli e formule, ma non può senza con­traddirsi, fare appello, come il fascismo, ai peggiori istintidelle folle.

Contrariamente al fascismo, il socialismo non disprezza lamassa, ma la rispetta, la vorrebbe migliore di quanto effetti­vamente non sia, a immagine del proletariato Cosciente di cuiè emanazione, e si sforza non già di abbassarsi ai suo livello,ma di elevare la sua preparazione intellettuale e morale.

2. Il socialismo, che persegue prima di tutto il migliora­mento delle condizioni materiali dei lavoratori, non può, co­me la Chiesa e il fascismo, predicare il disprezzo dei beni diquesto mondo in nome di una cosiddetta «religione».

Ma a queste cause, implicite nella natura del socialismo,se ne aggiungono altre che derivano invece dalla sua degene-

•razione:1. Il socialismo è un movimento vecchio, che ha perso la

sua fiamma originaria. All'inizio, pur mettendo in primo pia­no il miglioramento materiale immediato delle condizioni divita del lavoratore, esso prometteva loro, a scadenza più lon­tana, la «felicità in terra», e proclamava che la conquista deimiglioramenti immediati e del «paradiso in terra» nel futuroesigevano una lotta continua, difficile, che comportava soffe­renze e sacriftci.

Effettivamente, il socialismo delle origini ha richiesto aisuoi pionieri e ai suoi militanti, assai più che qualsiasi altromovimento, wl alto grado di disinteresse e di devozione. Piùdi qualsiasi altro movimento, esso ha avuto i suoi eroi e i suoimartiri. Benché materialisti, i rivoluzionari proletari sono sta-

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ti, secondo l'espressione di Marcel Martinet, «i soli idealistidel mondo moderno» (op. cit.).

Ma gradualmente il socialismo è andato degenerando, siè abbandonato alla convinzione che i vantaggi immediati e il«paradiso in terra» potevano essere ottenuti senza lotta, sen­za sacrifici, con la pratica meschina della «collaborazione diclasse». Per seguire lo sviluppo di questa tendenza occorre­rebbe tracciare tutta la storia del movimento operaio in Italiae in Germania dalla origine sino alla guerra, il che supere­rebbe i limiti di questo lavoro. Occorrerebbe ricordare l'etàd'oro del socialismo italiano, il decennio 1890-1900, caratte­rizzato da una lotta eroica contro la borghesia. «Nell'etàd'oro del socialismo - ammette il fascista Gorgolini - è indub­bio che i giovani accorressero nelle sue file mossi da un im­pulso generoso» (op. cit.). Occorrerebbe in seguito analizza­re il socialismo che affonda a poco a poco nella palude della«pace sociale» e del parlamentarismo, seguire lo sviluppo diuna burocrazia dei sindacati e delle cooperative abbondante­mente retribuita e sempre più conservatrice, la cui unica am­bizione era di portare a termine i suoi affari, di acquisirenuove sovvenzioni e persino, con la guerra, le commesse go-

•vernatrve.Anche per la Germania, occorrerebbe muovere dagli an­

ni eroici 1880-1890, che furono anni di accanita lotta di clas­se, rievocare con Gregor Strasser

«quella fede, quelle ardenti aspirazioni, quell'entusiasmo di milionidi uomini... quel partito fatto grande da un uomo daltem~ramento di fuoco come Bebel, e per il quale si eranpsacnficati migliaia di cuori ardenti e devoti sino al sacrificio» .Esaminare poi la socialdemocrazia degenerare lentamente,adattarsi alla collaborazione di classe, trasformarsi in un qualunquepartito di «riforme democratiche".

1 Strasser, Kampf um Deutschland (Battaglia per la Germania), raccoltadi articoli e discorsi.

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«La Germa~ia marxista - scrive Rosenberg - era priva di miti, nonaveva alcun tdeale al quale credere e per il quale combattere e nondiede più eroi all'armata militante dei lavoratori»].

Occorrerebbe descrivere una burocrazia operaia conser­vatrice e abitudinaria, sistemata nel quadro dell'ordine esi­stente, i bonzi pasciuti e soddisfatti, installati, grazie agli ab­bondanti sussidi dei lavoratori, in sontuosi edifici definiti«case del popolo»: conquistare un mandato legislativo, siste­marsi in un ufficio sindacale, era divenuto regola di vita perquesti capi di un socialismo degenere. Ed essi volevanoiscritti costruiti a loro immagine, uomini senza ideali, attrattisoltanto dai vantaggi materiali.

2. Parallelamente, sul piano dottrinale, il socialismo rive­deva una delle sue concezioni essenziali, il materialismo sto­rico. I primi socialisti erano materialisti nel senso di ritenereche «il sistema di produzione della vita materiale condizionain generale il processo della vita sociale, politica e intellet­tuale»2. Contrariamente agli idealisti per i quali il fattore pri­migenio della storia è una Idea innata di giustizia e di dirittoche l'umanità reca in sé e che attua gradualmente nel corsodei secoli', essi ritenevano che i rapporti di produzione, che irapporti economici degli uomini tra loro, hanno nella storiaun ruolo dominante. Ma i materialisti, pur mettendo l'accen­to sulla infrastruttura economica, in precedenza troppo tra­scurata, non trascuravano affatto le sovrastrutture giuridiche,politiche, religiose, artistiche e filosofiche; affermavano cheesse erano condizionate dalla infrastruttura, ma avevano unapropria validità e costituivano parte integrante della storia edella vita4

l Rosenberg, Da: ?Jythus des XX{ahrluf1!derts (11 mito del XX secolo).2 Marx, Perla cnuca dell 'economia politica, Prefazione del 1859.3 Jaurès, Idealismo e materialismo ne/la concezione della storia 1896.4 Antonio Labriola, Saggio sulla concezione materialistica della storia19()2. '

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Invece i marxisti degenerati ritengono molto «marxista»,e «materialistico», sdegnare i fattori umani e occuparsi solodi quelli materiali ed economici; accumulano cifre, statisti­che e percentuali, studiano con estrema precisione le causeprofonde dei fenomeni sociali, ma trascurano di studiare conlo stesso impegno come queste cause si riflettano nella co­scienza degli uomini e poiché non penetrano nelle animesfugge loro la realtà vivente di tali fenomeni.

Interessandosi soltanto ai fattori materiali, non riesconoassolutamente a comprendere il modo in cui le privazioni su­bite dalle masse si traducono in un'aspirazione religiosa. Noncapiscono perché i piccoli borghesi, i contadini, i giovani in­tellettuali e disoccupati non si schierino dietro di loro che co­noscono la verità marxista, che denunciano con tanta chia­rezza le tare del regime capitalistico, che hanno cosìbrillantemente analizzato le cause economiche del fascismo.Senza dubbio il socialismo non si propone di lusingare esfruttare le tendenze mistiche delle masse, ma al contrario, ,abolendo il sistema capitalistico, fonte della miseria e delcaos, intende distruggere le radici materiali del sentimentoreligioso.

Il mezzo più sicuro per liquidare le mistiche reazionarie ­la religione tradizionale, la religione fascista - è di affrettarela fine del capitalismo e l'avvento del socialismo. Ma in atte­sa di riuscirvi, i socialisti si trovano di fronte a un fatto con­creto del quale devono tenere conto: la sopravvivenza delsentimento religioso.

Essi dovrebbero dunque impegnarsi a fondo in questocampo, impedire a ogni costo al fascismo di sfruttare a suoprofitto queste aspirazioni religiose e vi possono riuscire sol­tanto contrapponendo una loro mistica, una mistica più altae più pura, a quella fascista.

Ma il loro adagiarsi nelle acque stagnanti della collabora­zione di classe, al quale si aggiunge un disdegno cosiddetto

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«materialistico» per il fattore umano, li rende assolutamenteincapaci di contrapporre alla mistica fascista una concorren­za vittoriosa. Migliaia e migliaia di uomini, di donne, di gio­vani che ardono di devozione e di dedizione non potrannomai essere appagati da un socialismo impantanato nel parla­mentarismo più opportunistico, nel corporativismo più me­schino.

Il socialismo potrà ritrovare la sua forza d'attrazione sol­tanto ridiventando rivoluzionario e proclamando ai suoi niili­tanti che la conquista del «paradiso in terra», che è il suo ob­biettivo supremo, esige da parte loro lotte grandiose esacrifici immensi.

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4. LA DEMAGOGIA FASCISTA

Il fascismo suggerisce ai suoi gregari un «anticapitalismo»piccolo-borghese ben diverso dall'anticapitalismo socialista. ­1. L'anticapitalismo trasformato in nazionalismo. - 2.L'anticapitalismo trasformato in antisemitismo. - 3. Il fasci­smo contro la borghesia. - 4. Il fascismo contro il capitalecreditizio. - 5. Il fascismo contro la concentrazione industriale.- 6. Il ritomo al passato: l'autarchia. - 7. Resurrezione delle«corporazioni». - 8. Caso particolare: gli operai coscienti; ilfascismo si presenta loro come più socialista del socialismo. ­9. Si proclama protettore delle organizzazioni di difesa dellaclasse operaia. - lO. Ammette lo sciopero economico. - 11.Lascia una porta aperta verso la socializzazione dei mezzi diproduzione. - 12. E verso una profonda trasformazione dellaproprietà terriera. - 13. Caso particolare: i picèoli contadini, ilfascismo promette loro «la divisione delle terre».

Una mistica non basta, perché non nutre. I componentidelle schiere fasciste non sono tutti egualmente fanatizzati eanche i più fanatizzati non dimenticano i loro interessi mate­riali, che continuano a pungolarli. Per conquistarli e permantenerne la combattività, il fascismo deve loro offrire an­che un rimedio pratico ai mali di cui soffrono. Benché al ser­vizio e al soldo del capitalismo, deve sbandierare un anticapi­talismo demagogico, e questo è ciò che lo differenzia daitradizionali partiti borghesi.

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Ma esaminando da vicino questo anticapitalismo, è facilevederne le enormi differenze rispetto all'anticapitalismo so­cialista: esso è essenzialmente piccolo-borghese. Il fascismoraggiunge così un duplice obbiettivo: da un lato, seduce leclassi medie facendosi interprete fedele delle loro aspirazio­ni retrograde, dall'altro lusinga le masse operaie - e soprat­tutto quelle categorie di lavoratori che mancano di coscienzadi classe - con un anticapitalismo utopistico e inoffensivo chele distoglie dall'autentico socialismo. .

Ma questa demagogia generica non è efficace per tutti:agli operai coscienti, ai piccoli contadini affamati di terra ilfascismo è costretto, non senza qualche incertezza, a rivol­gersi con un linguaggio più radicale.

L'abilità del fascismo consiste nel proclamarsi anticapita­listico senza attaccare seriamente il capitalismo, per cui si in­gegna in primo luogo a trasformare in nazionalismo l'antica­pitalismo delle masse. Impresa agevole, perché si è visto che,sempre, l'ostilità delle classi medie nei confronti del grandecapitalismo si accompagna a un tenace attaccamento al con­cetto di nazione.

" Particolarmente in Italia e in Germania le masse sono di-sposte a credere che il nemico sia il capitalismo straniero, enon già il proprio.

Così il fascismo riesce facilmente a sottrarre i suoi finan­ziatori alla collera popolare stornando l'anticapitalismo dellemasse verso la «plutocrazia internazionale».

1 •

In Italia

Già prima della guerra i sindacalisti soreliani, divenuti inseguito fascisti, abbinano il loro sindacalismo rivoluzionarioa un nazionalismo sempre più accentuato.

Rossoni scopre che «la sorte degli operai italiani è indis­solubilmente legata a quella della nazione italiana»; Labriolareclama per l'Italiail diritto di battere la sua strada e di con­durre una giusta lotta contro l'Europa plutocratical,

Sindacalisti e nazionalisti sono d'accordo nel definirel'Italia la grande proletaria',

Dal 1915 al 1918 Mussolini continua a ripetere che «biso­gna dare alla guerra un contenuto socialev' e più tardi di­chiara che la Società delle Nazioni «è soltanto una specie dipolizza d'assicurazione delle nazioni arrivate contro le nazio-ni proletarie»4

. .

Il ministro Rocco ricorda che «non c'è soltanto un pro­blema interno, ma anche un problema internazionale di piùequa distribuzione delle ricchezze» e contrappone le nazionipovere alle nazioni ricche:

«II proletariato italiano soffre per la condizione di inferiorità in cuila nazione italiana si trova nei confronti delle nazioni concorrenti,ben più che per l'avarizia e per l'avidità dei suoi padroni. Perciò,per migliorare le condizioni di vita delle masse italiane, occorreprima migl!orare la posizione internazionale della "nazioneproletaria"» .

1 Cito da Rosenstock-Franck, L 'économie corporative fasciste, 1934.2 L'espressione è del nazionalista Corradini.3 Volpe, op. cii.4 Cito da Henri Massoul, La le~on de Mussolini, 1934.5 Cito ne La riforma sindacale m Italia, Roma 1926 (in francese).

144 145

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In Germania

Già nel 1919 il fondatore del partito nazista, Drexler, af­ferma: «La Germania lavoratrice è vittima delle avide poten­ze occidentali»1. Moeller van den Bruck riprende la formuladella nazione proletaria:

«II socialismo - egli scrive - non può realizzare l'eguaglianza tra gliuomini se prima non vi è l'eguaglianza tra i popoli. I lavoratoritedeschi devono riconoscere che essi non sono mai stati incondizioni di schiavitù comparabili a quelle odierne imposte dalcapitalismo straniero...La lotta di liberazione che oggi il proletariato conduce quale classepiù oppressa di una nazione oppressa, è una guerra civile che noinon conduciamo più contro noi stessi, ma contro la borghesiamondiale» (op. ciL). .

Il propagandista più brillante e tenace di questa sintesi èGregor Strasser:

«L'industria tedesca, l'economia tedesca nelle mani del capitalefinanziario internazionale significa la fine di ogni possibilità diliberazione sociale, la fine di tutti i sogni di una Germaniasocialista... Noi, giovani tedeschi della guerra, noi, rivoluzionarinazionalsocialisti, noi, ardenti socialisti, ingaggiamo la lotta controil capitalismo e l'imperialismo incarnati nella pace di Versailles...Noi nazionalsocialisti abbiamo scoperto che esiste un legamevoluto dal destino tra la libertà nazionale del nostro popolo e laliberazione economica della classe operaia tedesca. Il socialismotedesco sarà possibile e durevole soltanto quando la Germania saràlibera» (op. CiL). E Goebbels riassume questi concetti in unaformula particolarmente efficace:

«Qual è lo scopo del socialismo tedesco? Esso vuole che, in futuro,in Germania, non vi siano più proletari. Qual è lo scopo delnazionalismo tedesco? Esso vuole, che, in futuro, la Germania nonsia più la proletaria dell'universo. Il nazionalsocialismo èsemplicemente la sintesi di questi due concetti» (op. ciL).

l Cit. da K Heiden, op. cit:

146

2

Oltre che nel nazionalismo, l'anticapitalismo delle massepuò essere trasformato in qualche altra cosa. Israele sarà peril fascismo, là dove le circostanze lo consentiranno, un secon­do capro espiatorio.

L'antisemitismo è già allo stato latente nel subcoscientedelle classi medie: durante tutto il XIX secolo la piccola bor­ghesia, vittima dell'evoluzione capitalistica, ha avuto la ten­denza a ritenere responsabili delle sue sciagure l'usuraio, ilbanchiere o il piccolo commerciante ebreo. Già il franceseToussenel dava come sottotitolo al suo libro Feudalesimo fi­nanziario «I giudei, sovrani della nostra epoca» e scriveva:«Consiglio a tutti i rivoluzionari di togliere le banche agliebrei».

. Dichiarando guerra agli ebrei, il fascismo è sicuro di sod­disfare le classi medie e, nello stesso tempo, storna la collerapopolare dai suoi finanziatori, scatenando verso gli ebreil'anticapitalismo delle masse.

In Italia

In Italia, dove gli ebrei rappresentano un'esigua minoran­za della popolazione, questa demagogia aveva scarse possibi­lità di successo, tuttavia il fascismo non la trascura completa­mente.

Il giornale Il Tevere scrive, dopo la pubblicazione dellaCarta del lavoro, che il tempo del dominio dei banchieri ebreiè finito per sempre', Gli «estremisti» fascisti attribuiscono vo-

l Cit. da Rosenberg, Der Weltkampf des Faschismus (La lotta mondialedel fascismo) , 1927.

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lentieri i dissesti economici provocati dal regime all'azioneebraica della banca internazionale',

In Germania

In Germania l'antisemitismo trova un terreno ben più fa­vorevole. Numericamente gli ebrei rappresentano soltantol'uno per cento della popolazione, ma, all'indomani della Pri­ma guerra mondiale, un afflusso di oltre centomila immigratiebrei provenienti dalla Polonia, dall'Ucraina e dalla Lituaniarimetteva all'ordine del giorno la cosiddetta «questioneebraica». ,

Particolarmente intportante è il ruolo svolto dagli ebreinella vita economica, politica e intellettuale. Nelle direzionidelle banche vi sono ebrei in numero tale da far accettare fa­cilmente dalle masse l'identificazione tra giudaismo e alta fi­nanza. Nelle direzioni dei grandi magazzini a prezzo unico visono ebrei in numero tale da far scatenare contro Israele lacollera dei piccoli negozianti. Nella grande fmanza anglosas­sone vi è un numero di israeliti tale da poter far apparire laGermania debitrice come schiava del giudaismo mondiale.Tra gli speculatori che realizzano buoni colpi in Borsa vi so­no ebrei in numero tale da far si che i piccoli risparmiatoripossano essere indotti a imputare a Israele la loro rovina.

I partiti marxisti hanno dirigenti ebrei in numero tale dapoter denunciare la collusione tra giudaismo e marxismo,perché si possa affermare che banchieri ebrei e militanti ope­rai ebrei lavorano di concerto per la dominazione mondialedella razza ebraica, secondo il piano rivelato dai falsi Proto-

1 CiI. da Valois, Finances italiennes, 1930.Soltanto a partire dal luglio 1938 il fascismo italiano, imitando il suo

alleato tedesco e per stornare l'attenzione dalle difficoltà del momento,aggiunge ufficialmente l'antisemitismo al suo arsenale demagogico.

148•

colli dei saggi di Sion. Infine, e soprattutto, vi sono nelle classimedie, nelle professioni liberali, piccoli commercianti, medi­ci, avvocati, giornalisti, scrittori, artisti ebrei odiati dai loroconcorrenti «ariani» in numero sufficiente perché, al mo­mento buono, si possa scatenare contro di loro il furore po­polare, per proteggerne non soltanto i grandi industriali e ibanchieri «ariani», ma persino i grandi fmanzieri ebrei l

.

L'abilità del nazismo consiste nel trasformare in antisemi­tismo l'anticapitalismo dei suoi seguaci. «Il socialismo - scri­ve Goebbels - non può essere realizzato che contro i giudei enoi siamo antisemiti proprio perché vogliamo realizzare il so-

'alis 2Cl mo»:',

3

Il fascismo scatena dunque le masse popolari soprattuttocontro la «plutocrazia internazionale» e contro gli ebrei, magli è intpossibile, senza smascherarsi completamente, evitaredi attaccare anche la borghesia nazionale. Tuttavia i suoi im­properi contro quest'ultima non hanno nulla di socialista.

Le classi medie,detestano la borghesia in modo del tuttodiverso dalla classe operaia, esse non ne vogliono la dissolu­zione in quanto classe, al contrario vorrebbero esse stesse di­venire borghesi. Quando il fascismo si proclama antiborghe­se, quando denuncia la degenerazione della borghesia, nonintende per nulla liquidare l'assetto sociale esistente, mavuole, al contrario, rinnovare questo assetto con un afflussodi sangue giovane, di sangue plebeo. Esso lusinga così le

1 Cfr. H érisson, op. cis:2 Goebbels, Der Nazi-Sozi, 1931.

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classi medie stornando le masse dalla lotta·di classe, dal so­cialismo proletario.

In Italia

Gorgolini fa dell'ironia descrivendo «questa borghesiasvirilizzata dalla timidezza che affligge sovente le personetroppo raffinate e alle prese con difficoltà di digestione» (op.cit.). Durante l'occupazione delle fabbriche, anche Lanzillosi beffa della «borghesia umiliata, inetta, corrotta e corruttri­ce»'. Ma lo scopo di queste reprimende è quello di ridare al­la borghesia «un po' della sua energia»2 e per questo occorrefare appello afone nuove:

«La legge dinamica della storia sociale - afferma una mozionevotata da un congresso di "sindacati" fascisti ne~l'o.ttobre 1924 :consiste più che in una irriducibile lotta tra le classi... ~n ~na lotla ~I

capacità, vale a dire nella lotta ~~nd~tta da gruppi di ca.teg?n<:sociali che acquistano la capacità di assurgere a funzioni didirezione, contro gruppi di categorie che stanno perdendo tale

• •capacita».

Il che, tradotto in linguaggio chiaro, significa che i bor­ghesi devono trarsi a poco a poco in disparte dinnanzi ai«competenti», cioè dinnanzi ai plebei fascisti.

In Germania

Il borghese è il bersaglio preferito dei nazisti. Hitler nonha nel suo repertorio termini abbastanza violenti per vitupe­rare la borghesia. Egli denuncia la sua proverbiale pigrizia, lasua senilità, la sua corrnzione intellettuale, il suo cretinismo.

l Lanzillo, articolo del 7 settembre 1920.2 · Malaparte, L 'Italia contro l 'Europa, 1927 (trad. francese).

ISO

Ma in seguito appare chiaramente il suo reale pensiero.

«Occorre - scrive infatti - fare in modo che le classi superiorivengano continuamente rinnovate da un apporto di sangue frescoproveniente dalle classi inferiori» (Mein Kompf).

August Winnig dedica un intero libro al concetto secondocui la missione delle masse popolari consiste nel ringiovanireun assetto sociale invecchiato, nel rigenerare una classe diri­gente logorata:

«II proletariato, materia prima vivente, ha il compito di creare in sévalori nuovi e ideali suoi propri e di far penetl!lre queste forzenella vecchia società, TWn per distruggerla, ma pernnnovarlas),

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Tuttavia il fascismo, per non smascherarsi, deve polemiz­zare anche col sistema capitalistico nel suo complesso. Maancora una volta il suo anticapitalismo è ben diverso da quel­lo del socialismo proletario.

Si è visto (al cap. II) che l'anticapitalismo delle classi me­die è ispirato soprattutto dall'organizzazione del credito. Du­rante tutto il XIX secolo, gli ideologi piccolo-borghesi attac­cavano non già il capitalismo produttore, ma quello oziosodell'usuraio e del banchiere.

Toussenel, nel suo Feudalesimo finanziario ha denunciatol'usura che «carica il lavoro nazionale della Francia di un'im­posta di due miliardi all'anno» e chiedeva che lo Stato gestis­se tutto il credito. Proudhon riteneva che

l Winnig, Vom Proletariat zum ~beilertum, 1930. tradotto in francese conil titolo Le prolétariat et l'Etat ouvner, 1943.

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j

I

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«l'interesse _d~1 da~aro... è la ~iù pesante taglia che grava sullavoro, ed e Il prehevo meno giustificato dal punto di vista delconsumo», per cui proponeva la sua soluzione del «mutuo creditotendente a. divenire ~tuito»~ grazie al quale «ogni lavoratorepotrebbe diventare un Imprenditore e un privilegiato».

A sua volta il fascismo concentra i suoi attacchi contro «ilcapitalismo usurario» e interpreta in tal modo l'aspirazionedelle classi medie stornandole da una lotta contro il capitali-smo nel suo insieme. '

In Italia

Ecco alcune rivendicazioni del programma fascista del1919:

«~ci?g1i~ento ~elle .societ~ a~onime e delle società per azioni;eliminazione di Ogni specie ,di speculazione; soppressione dellebanch~ e dell~ borse; credito statale per la creazione di un

, organismo nazionale per la concessione del credito; confisca deired~iti non impiegati; imposta straordinaria progressiva sulcapitale...»,

Commentando questo programma, Mussolini scriveva neIl Popolo d'Italia del 19 giugno 1919:

«Chi. può, .deve pa~re: ecc? la n~tra proposta odierna: o chipossiede SI espropna da se o nOI convochiamo le masse deicombattenti per marciare su questi ostacoli e travolgerli».

,

In Germania

La lotta contro il capitale creditizio occupa un posto fon­damentale del programma nazista del 1920. Vi si esige la sta­tizzazione della Reichsbank e il controllo statale delle ban­che private, la trasformazione dei titoli al portatore prima in

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titoli nominativi e poi in partecipazioni personali, la chiusuradelle Borse ecc. Ma l'idea centrale è quella di Gottfried Fe­der secondo la quale occorre abolire il tasso d'interesse. Fe­der sogna di abolire l'interesse senza abolire il capitalismo:

«II trucco della santità dell'interesse obnubila la nostra visione -egli scrive - l'interesse ha tanto poco rapporto col danaro quantone ha il gozzo con la circolazione del sangue... L'abolizione dellaschiavitù dell 'interesse è... la soluzione della questione sociale ilmezzo per concludere con la liberazione del Lavoro l'immensalotta ingaggiata in tutto il mondo tra Lavoro e Capitale senzaattentare alla proprietà e alla produzione della ricchezza" (op. ciI.).

Così si può mettere fuori causa il capitale industriale perattaccare solo quello creditizio: mentre il buon Krupp muorenel 1926 senza beni di fortuna e mentre il capitale della suasocietà raggiunge la modesta cifra di duecentocinquanta mi­lioni di marchi, il cattivo Rothschild che iniziò la sua carrieracon qualche milione possiede ora quaranta miliardi di mar­chi.

«Bisogna riconoscere apertamente - ne deduce Feder - che non ilsistema capitalistico, non il capitalismo in sé è un flagello perl'umanità, ma l'insaziabile sete di interessi del grande capitalecreditizio, che è una maledizione per tutta l'umanità lavoratrice».

Non è necessaria una rivoluzione quale pronostica il mar-•xismo:

«Il Capitale deve esistere, il Lavoro anche... Il bolscevismo vuoiguarire una malattia con un'operazione chirurgica, mentre la causaè un veleno che occorre eliminare... E' inutile capovolgerel'economia come in Russia, è sufficiente costituire un saldo frontedi tutta la popolazione che produce, dal lavoratore manualeschiacciato dalle imposte indirette, sino ai funzionari e impiegati,agli artigiani, ai contadini, agli inventori e ai dirigenti di azienda,agli intellettuali, artisti e scienziati, fronte diretto contro laschiavitù dell'interesse».

La promessa di una abolizione della schiavitù dell'interes­se si indirizza particolarmente ai piccoli contadini, il cui pez­zo di terra è oberato di ipoteche: quando il nazismo sarà al

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potere, sarà vietata l'ipoteca sulla terra, da proclamarsi inse­questrabile e inalienabile'. Ma quando Feder tenta di spiega­re il modo col quale verrà abolita la schiavitù dell'interessenel quadro del sistema capitalistico, emergono le contraddi­zioni. Egli preventiva il rapido ammortamento del debitopubblico perpetuo e di tutte le obbligazioni e le ipoteche,senza precisare come l'operazione si potrà attuare dal punto

idi vista finanziario. ., E dopo aver cacciato l'interesse dalla porta, lo fa rientra­re dalla fmestra: i dividendi industriali saranno semplicemen­te convertiti in rendita fissa al 5% sotto il controllo dello Sta­to, e speciali «cooperative di credito» a base regionale ecorporativa potranno consentire, a un tasso prefissato, pre­stiti su merci e sulla «forza Iavoro-'.

«Nessuno potrà chiamare schiavitù dell'interesse i pochimarchi di rendita che provengono dalle economie o dallarendita di Statos', scrive Feder nel 1930.

5

Tuttavia il fascismo non può, senza smascherarsi, evitaredi attaccare anche il capitalismo industriale. Ma, ancora unavolta, il suo anticapitalismo è ben diverso da quello del socia­lismo proletario.

Si è visto come le classi medie, contrariamente alla classeoperaia, non aspirino a distruggere la base essenziale del ca-

1 Si veda nel cap. X come il nazismo vittorioso applicherà questoconcetto.2 Cfr. W. Prion, <<I problemi della riforma bancaria in Germania» inRevue Economique Intemationale, giugno 1934. . ,3 Das Programm der Nsdap, edizione 1932.

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pitalismo, lo sfruttamento della forza lavoro, il furto del plu­svalore. Per tutto il XIX secolo e sino a oggi gli ideologi pic­colo-borghesi si affannano a declamare contro la concorren­za, contro la concentrazione industriale e a invocare daipubblici poteri misure che rendano meno nocivi i grandi mo­nopoli e i cartelli.

Riallacciandosi a queste aspirazioni retrive, il fascismoseduce le classi medie e nello stesso tempo allontana le mas­se operaie dal socialismo proletario.

In Italia

Nel 1921 Gorgolini denuncia con parole di fuoco «ma­gnati della grande industria e del grande commercio chehanno affamato l'Italia» (op. cit.), ossia che hanno rovinato leclassi medie; più tardi Bottai scrive:

«Dobbiamo puntare sullo sviluppo e sulla concreta vittoriadell'artigianato in particolare per opporre alla progressivaconcentrazione del capitale... forze che poggino sul principioopposto... Non è escluso che il fenomeno artigiano possafortemente influire sull'evoluzione della nostra industria»!

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In Germania

In Germania, dove' la concentrazione capitalistica è assaipiù sviluppata, la demagogia antimonopolistica gioca un ruo­lo più importante.

«Pochi individui non possono avere il diritto di utilizzarel'economia nazionale contro la nazione - proclama Goebbels ­mentre, in realtà, chi esercita il dominio sono pochi monopoli,pochi individui che hanno accumulato enormi fortune. Questi

1 Bottai, L'organizzazione corporativa dello Stato, 1929.

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individui dispongono di un potere illimitato di strappare al popoloil suo pezzo di pane quotidiano, di privarlo del suo lavoro» .

Perciò il programma del 1920 richiede la statizzasione ditutte le società già anonime. A questo punto l'anticapitalismofascista sembra coincidere con quello socialista. Ma i nazistisi affrettano ad attenuare la loro formula; Feder si sforza dispiegare che questa statizzazione non avrebbe nulla di comu­ne con la collettivizzazione marxista, ma sarebbe la premessadi uno smembramento: «Centomila calzolai indipendenti ­egli assicura - sono più utili all'economia popolare e politicadello Stato di cinque gigantesche fabbriche di scarpe»2. Ilprogramma del 1920 prevede anche che i grandi magazzinisiano prima municipalizzati e poi smembrati per essere affit­tati a prezzi moderati ai piccoli commercianti.

Un giovane studente nazista descrive questo «socialismo»retrogrado in termini particolarmente avvincenti:

«II nazionalsocialismo vuole arrestare il moto meccanico dellaruota capitalistica, fermarla e poi farla girare indietro sino al suopunto di partenza e a questo punto arrcstarla,,3.

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Questo capitalismo corretto e ricondotto alle origini pre­suppone un ritorno all'autarchia di altri tempi. Il nazismoriesuma il progetto - tipicamente piccolo-borghese - di unoStato commerciale chiuso elaborato dal filosofo Fichte nel1800, Stato dal quale verrebbe bandita la malvagia concor-

1 Goebbels, discorso allo Sportpalast, l ° ottobre 1931.2 Feder, Der Deutsche Staat,3 Cito da Maurice Pemot, L 'Allemagne de Hitler, 1933.

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renza. Il prezzo di ogni merce verrebbe fissato dall'autorità enon vi sarebbe alcun rischio di superproduzione o di crisi,perché la domanda e l'offerta avranno garantita una contro­partita, nessuno potrà arricchirsi, ma nessuno cadrà in po­vertà, ogni individuo serve la collettività e riceve la giustaparte dei beni comuni.

Ma una tale economia è possibile soltanto se un simileStato è rigorosamente isolato dall'esterno e protetto dallaconcorrenza internazionale. Così lo Stato deve riservarsi ilmonopolio del commercio estero ed emettere una monetache abbia un corso puramente interno.

Gregor Strasser ha letto Fichte: nelle sue Quattordici tesidella rivoluzione tedesca], egli rifiuta il sistema capitalistico li­berale «la cui distruzione è premessa alla riuscita della rivo­luzione tedesca» e propone, per sostituirlo, un'economia ilcui scopo non sia più la redditività, il profitto, ma il soddisfa­cimento dci bisogni della nazione, o, per usare i termini disuo fratello Otto, «il soddisfacimento del bisogno di vitto, al­loggio e vestiario di ogni membro della comunità»2. L'odiosalegge della domanda e dell'offerta dovrà essere abolita, loStato fisserài prezzi di ciascuna merce ~ verrà assicuratol'equilibrio tra le quantità offerte e quelle domandate. Co­munque i nazisti non si nascondono le difficoltà di attuazionedi questo sistema e intendono per intanto sperimentarlo nelsettore dell'agricoltura, che verrà sottratta per prima all'eco­nomia liberale capitalistica, ma insistono sul fatto che «pre­sto o tardi, gli altri gruppi economici dovranno imitare i con­tadini e adottare i loro princìpis ' .

1 Cito da Konrad Heiden, op. cit., ed tedesca, 1933.2 Otto Strasser, Aufbau des deutscher Sozialismus (La costruzione delsocialismo tedesco).3 Discorso di Darré a Goslar, Le Temps del 20 novembre 1934. Si vedanel cap. X come il nazismo, giunto al potere, metterà in pratica questeconcezioni nel settore agricolo.

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Questa economia è realizzabile solo se si elimina la con­correnza internazionale, essa presuppone l'autarchia, vale adire il blocco doganale. La bilancia commerciale, le esporta­zioni sono «cose che appartengono a un'epoca superata»;«ogni popolo deve crearsi le sue basi di vita sul proprio terri­torio» . Occorre innanzitutto nutrire i cittadini tedeschi esoltanto in seguito pensare all'esportazione/. Le merci tede­sche un tempo esportate verranno collocate sul mercato in­terno. La crisi industriale, affermano i nazisti, non è che unaconseguenza della crisi agricola; grazie alle proibizioni doga­nali, i prezzi delle derrate agricole si rivaluteranno e l'agri­coltura, nuovamente prospera, sarà in grado di assorbire iprodotti industriali.

Ma come attuare questa «economia chiusa»? Affidandoallo Stato il monopolio del commercio estero, creando unanuova moneta avente corso esclusivamente interno e non ba­sata sull'oro:

«Il distacco dall'oro - scrive Feder - è la condizione fondamentaledi una sana economia del Terzo Reich, nella quale il Lavoro avrànuovamente la prevalenza sul Danaro».

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Questo capitalismo corretto implica anche la ricostituzio­ne delle corporazioni', Il fascismo attrae i piccoli borghesi in­dipendenti - artigiani, piccoli commercianti - promettendo

1 Daunderer, Die Ziele der Nsdap (Gli scopi del Partito nazista).2 Georg Strasser, op. eu:3 Cfr. il mio «Le corporatisme fasciste», in Révolution prolétarienne,10-25 dicembre 1935.

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che nel quadro di uno Stato corporativo essi riceverannoadeguata protezione contro la concorrenza, che ritroverannostabilità e sicurezza. Il fascismo attrae nel contempo un certonumero di operai mancanti di coscienza di classe prometten­do loro che nell'ambito delle corporazioni cesseranno di es­sere «proletari», che sarà loro garantito il diritto al lavoro,che riceveranno un giusto salario, la pensione in vecchiaia eche, infme, i loro padroni li tratteranno come i maestri dibottega delle corporazioni medioevali trattavano i loro di­pendenti: su un piano d'eguaglianza, come autentici collabo­ratori della produzione. In tal modo il fascismo allontanaquesti operai dal sindacalismo e dalla lotta di classe.

Anche in questo campo il fascismo non inventa nulla,perché per tutto il XIX secolo il rimpianto delle abolite cor- :porazioni ha continuato ad amareggiare i piccolo-boghesi, el'ala più reazionaria della borghesia capitalistica lavorava atenere vivo tale rimpianto. In Francia, i monarchici e la Chie­sa si erano fatti interpreti di queste aspirazioni retrive. Nellaprima metà del XIX secolo una pleiade di scrittori cattolici ­Sismondi, Buchez, Villeneuve-Bargemont, Buret ecc. - avevadenunciato i mali della concorrenza, invocato il ristabilimen­to delle organizzazioni di mestiere. Il conte di Chambord,nella sua Lettera sugli operai pubblicata nel 1865 ricordavache «la monarchia ha sempre tutelato la classe operaia» echiedeva «la costituzione di libere corporazioni». A partiredal 1870 la Chiesa ha accolto ufficialmente il corporativismonella sua dottrina. Nel 1871 il congresso cattolico di Lille af­fermava che

«il solo mezzo dì tornare alle condizioni di tranquillità delle quali lasocietà fruiva prima della Rivoluzione, è di ristabilire, attraverso leassociazioni cattoliche il regno della solidarietà nel mondo dellavoro».

D'altra parte, i riformatori sociali del XIX secolo nonaspiravano soltanto a risuscitare puramente e semplicemente

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le corporazioni medioevali abolite, ma a trasfonderne i prin­cipi nella società moderna. I sansimoniani affermavano che«il principio rigeneratore» della società futura non può avere«principi diversi da quelli che hanno ispirato l'organizzazio­ne medioevale»l . Proudhon, a sua volta, proponeva di «rico­stituire in base a rapporti nuovi i gruppi naturali di lavoro, lecorporazioni operaie»2

.

Né i cattolici, né i monarchici e neanche i riformatori so­ciali del secolo scorso avevano un'idea chiara della netta frat­tura che il capitalismo aveva determinato tra capitale e lavo­ro, tra il padronato e i salariati; oppure, se ne avevanocoscienza, sognavano di colmare tale frattura, di mantenerein vita o di far rinascere artificialmente il piccolo produttoreindipendente.',

I loro successori, i sindacalisti riformisti, hanno, sì, rinun­ciato alle corporazioni dei produttori indipendenti, ma spe­ravano di «sproletarizzare» gli operai con un altro metodo,

1 «Particolari disposizioni legislative avevano lo scopo di porre ordinenel mondo produttivo. Esisteva allora un'istituzione che ha particolarmentecolpito gli spiriti negli ultimi tempi e che rispondeva al bisogno d'unione, diassociazione... nella misura in cui lo permettesse, a quei tempi, la situazionedella società: vogliamo parlare della corporazione... Naturalmente, questaorganizzazione presentava difetti sotto vari punti di vista... Tuttaviaun'organizzazione insufficiente è stata abolita ma nulla ne ha preso ilposto... Poiché vi sono state istituzioni chiamate corporazioni le cuicaratteristiche non ci sono gradite, non bisogna dedurne che coloro chelavorano nell'industria non debbano assolutamente costituire corpicollettivi... Si assiste perciò a tentativi istintivi che tendono chiaramente aristabilire l'ordine avviando verso una nuova organizzazione del lavoro».Doctrine de Saint-Simon, 1829.2 Proudhon, De la Capacité politique des Classes ouvrières, 1864.3 Per questo i sansimoniani usavano il termine industriels per designaretutti i produttori senza distinzioni di sorta, senza precisare cioè se sitrattasse di padroni o di operai. Quando Proudhon parlava di corporazionioperaie, egli intendeva proporre corporazioni che raggruppassero non giàpadroni da un lato e operai dall'altro, o soltanto operai organizzati contro iloro padroni ma piccoli produttori indipendenti, che avrebbero dovutocollegarsi tra di loro per realizzare il «mutua lisrno», il «credito gratuito» ealtri palliativi del genere.

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volevano arrivare alla corporazione per un'altra via attraver­so la pratica della collaborazione di classe nell'ambito delleorganizzazioni professionali dei vari settori. Essi vorrebbero,mediante il parallelo sviluppo del sindacalismo padronale edi quello operaio, mediante l'arbitrato obbligatorio delle or­ganizzazioni professionali, riconciliare i due «indispensabili»fattori della produzione, e aspirano a dividere in parti egualicol padronato la gestione economica prima nell'ambito diciascun settore industriale e poi nel quadro nazionale attra­verso l'istituzione di un parlamento dell'economia'. ..

Il fascismo deriva in tal modo le proprie concezioni siadagli ideologi reazionari che dai sindacalisti riformisti.

In Italia

Mussolini ha il suo modello nella costituzione «corporati­va» promulgata da D'Annunzio a Fiume 1'8 settembre 1920,che peraltro non venne mai applicata. Sotto alcuni aspettiquesta costituzione era nettamente reazionaria e creava nellapiccola città artigiana di Fiume dieci corporazioni obbligato­rie fruenti dell'autonomia «quale venne fissata ed esercitatanel corso dei quattro gloriosi secoli della nostra epoca comu­nale».

Ma il suo redattore, l'ex militante sindacalista Alceste DeAmbris, vi introdusse anche l'idea riformista di un parlamen­to economico composto di sessanta membri eletti dalle cor­porazioni/.

D'altro canto, Mussolini si ispira direttamente ai riformi­stio Quasi nella stessa epoca in cui la Cgl propone che le leggi

1 Cfr. Paul Boncour, Le fédéralisme économique, 1901.2 Ambrosini, «D'Annunzio e la Costituzione sindacale di Fiume», inRevue de dro ùpublic, 1926.

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le corporazioni medioevali abolite, ma a trasfonderne i prin­cipi nella società moderna. I sansimoniani affermavano che«il principio rigeneratore» della società futura non può avere«princìpi diversi da quelli che hanno ispirato l'organizzazio­ne medioevale»1

• Proudhon, a sua volta, proponeva di «rico­stituire in base a rapporti nuovi i gruppi naturali di lavoro, lecorporazioni operaie-' .

Né i cattolici, né i monarchici e neanche i riformatori so­ciali del secolo scorso avevano un'idea chiara della netta frat­tura che il capitalismo aveva determinato tra capitale e lavo­ro, tra il padronato e i salariati; oppure, se ne avevanocoscienza, sognavano di colmare tale frattura, di mantenerein vita o di far rinascere artificialmente il piccolo produttoreindipendente'.

I loro successori, i sindacalisti riformisti, hanno, sì, rinun­ciato alle corporazioni dei produttori indipendenti, ma spe­ravano di «sproletarizzare» gli operai con un altro metodo,

1 «Particolari disposizioni legislative avevano lo scopo di porre ordinenel mondo produttivo. Esisteva allora un'istituzione che ha particolarmentecolpito gli spiriti negli ultimi tempi e che rispondeva al bisogno d'unione, diassociazione... nella misura in cui lo permettesse, a quei tempi, la situazionedella società: vogliamo parlare della corporazione... Naturalmente, questaorganizzazione presentava difetti sotto vari punti di vista... Tuttaviaun'organizzazione insufficiente è stata abolita ma nulla ne ha preso ilposto... Poiché vi sono state istituzioni chiamate corporazioni le cui

. caratteristiche non ci sono gradite, non bisogna dedurne che coloro chelavorano nell'industria non debbano assolutamente costituire corpicollettivi... Si assiste pereiò a tentativi istintivi che tendono chiaramente aristabilire l'ordine avviando verso una nuova organizzazione del lavoro».Doctrine de Saint-Simon, 1829.2 Proudhon, De la Capacité politique des Classes ouvrières, 1864.3 Per questo i sansimoniani usavano il termine industriels per designaretutti i produttori senza distinzioni di sorta, senza precisare cioè se sitrattasse di padroni o di operai. Quando Proudhon parlava di corporazionioperaie, egli intendeva proporre corporazioni che raggruppassero non giàpadroni da un lato e operai dall'altro, o soltanto operai organizzati contro iloro padroni ma piccoli produttori indipendenti, che avrebbero dovutocollegarsi tra di loro per realizzare il «rnutualismo», il «credito gratuito» ealtri palliativi del genere.

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volevano arrivare alla corporazione per un'altra via attraver­so la pratica della collaborazione di classe nell'ambito delleorganizzazioni professionali dei vari settori. Essi vorrebbero,mediante il parallelo sviluppo del sindacalismo padronale edi quello operaio, mediante l'arbitrato obbligatorio delle or­ganizzazioni professionali, riconciliare i due «indispensabili»fattori della produzione, e aspirano a dividere in parti egualicol padronato la gestione economica prima nell'ambito diciascun settore industriale e poi nel quadro nazionale attra­verso l'istituzione di un parlamento dell'economia'. ..

Il fascismo deriva in tal modo le proprie concezioni siadagli ideologi reazionari che dai sindacalisti riformisti.

In Italia

Mussolini ha il suo modello nella costituzione «corporati­va» promulgata da D'Annunzio a Fiume 1'8 settembre 1920,che peraltro non venne mai applicata. Sotto alcuni aspettiquesta costituzione era nettamente reazionaria e creava nellapiccola città artigiana di Fiume dieci corporazioni obbligato­rie fruenti dell'autonomia «quale venne fissata ed esercitatanel corso dei quattro gloriosi secoli della nostra epoca comu­nale».

Ma il suo redattore, l'ex militante sindacalista Alceste DeAmbris, vi introdusse anche l'idea riformista di un parlamen­to economico composto di sessanta membri eletti dalle cor­porazioni/.

D'altro canto, Mussolini si ispira direttamente ai riformi­stio Quasi nella stessa epoca in cui la Cgl propone che le leggi

1 Cfr. Paul Boncour, Le fédtralisme économique, 1901.2 Ambrosini, «D'Annunzio e la Costituzione sindacale di Fiume», inRevue de droit public, 1926.

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vengano elaborate da «corpi sindacali consultivi», egli scrive•a un annco:

«L'avvenire vedrà molteplici parlamenti di cympetenti sostituirsi alparlamento unico degli incompetenti». All'assemblea difondazione dei fasci, il 23 marzo 1919, afferma:

«La rappresentanza politica attuale non ci può bastare; noivogliamo una rappresentanza diretta di tutti gli interessi... Sipotrebbe obbiettare a questo programma che in tal modo noitarniamo al/e corporazioni. E sia!». '

E il programma fascista del 1919 esige infatti «la creazio­ne di consigli tecnici nazionali del lavoro, dell'industria, deitrasporti ecc., eletti dalle collettività professionali».

In Germania

Da Fichte in poi, numerosi scrittori reazionari hanno so­stenuto il ristabilimento in Germania delle corporazioni me­dioevali, soprattutto dopo il 1918.

«Era logico - scrive Moeller van den Bruck - che l'offensiva controil parlamentarismo, condotta dai rivoluzionari con la parolad'ordine dei "consigli", fosse condotta dai conservatori all'insegnadella corporazione... Si trattava di restituire i loro diritti alle.. ., .. . .corporazioru non gra Intese In senso stonco e romantico, maispirandosi a concetti aggiornati» (op. cit.).

Il nazismo riprende queste posizioni, «ha la sua base - co­me afferma Gregor Strasser - nello spirito e nel contenuto delsistema frofessionale delle gilde e delle corporazioni del Me­dioevo» .

Feder si riallaccia ai riformisti con l'idea della «incorpo­razione dei padroni e degli operai dei differenti settori eco­nomici in corporazioni professionali... per orientarle verso lo

1 Mussolini, lettera del 23 aprile 1918.2 Gregor Strasser, discorso del 20 luglio 1925, in op. cit.

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scopo comune della produzione nazionale in un clima di fi­ducia e di reciproca responsabilità» (op. cit.). Nelle corpora­zioni «datori di lavoro e lavoratori collaboreranno con glistessi diritti» 1

• Come i riformisti, anche i nazisti formulanol'idea di un parlamento economico consultivo, di Consiglieconomici regionali di membri eletti che culminano in unasuprema camera economica incaricata di conciliare i diversiìnteressr',

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Per individuare questi fattori essenziali dell'«anticapitali­smo» del fascismo è stato necessario dar loro un certo coor­dinamento. Il fascismo, diversamente dal socialismo non ha enon può avere una dottrina coerente e ben definita.

«Vi è - afferma Pierre Gérome - una demagogia fascista che variasecondo i paesi e in ciascun paese secondo le classi sociali e lecircostanze. Il fascisTo non si cura di accumulare contraddizioninel suo programma" .Perciò «l'anticapitalismox di cui abbiamo individuato gli aspettiessenziali presenta numerose varianti'[.

Soprattutto quando tenta - sia pure vanamente - di con­quistare gli operai coscienti, socialisti, comunisti o iscritti aisindacati, il fascismo è costretto ad adeguare il suo program­ma. Non si limita quindi a proporre loro un vago corporativi-

1 Daunderer, op. cit:2 Programma del Partito nazista, febbraio 1920. Si veda avanti, capp. VIIIe IX, a proposito del vero volto del «corporativismo» fascista.3 Gérome, Qu'est-ce que le fascisme?, 1935.4 Senza contare che il fascismo, via via che si avvicina alla conquista delpotere, continua ad attenuare il suo programma, in attesa di tradirlocompletamente.

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smo da cui non si lascerebbero ingannare, ma adotta una ve­ra e propria terminologia di classe, per cui non solo affermadi non rifiutare i princìpi del socialismo, ma si proclama piùsocialista degli stessi partiti socialisti.

-In Italia

«TI fascismo non si oppone al socialismo in sé - afferma ilVademecum del Fascista Italiano - ma alle sue degenerazioniteoriche e pratiche».

«Non sarà certamente il fascismo- scrive Gorgolini - che impediràal socialismo di camminare per la sua strada e di mantenere le suepromesse, che nella loro sostanza non possono essere respinte».

TI fascismo «è più ardentemente rinnovatore del sociali­smo integrale» (op. cit.).

In Germania

Gregor Strasser parla del «movimento operaio tedesco,movimento del tutto giustificato, che noi riconosciamo e am­mettiamo nel suo contenuto più profondo» I.

«Noi non combattiamo il marxismo - esclama Goebbels - perché èun movimento operaio, ma perché ne è lo snaturamento»,«Noi siamo i soli veri socialisti della Germania, anzi dell'Europa. I .2ìntera» .

l Gregor Strasser, discorso del 14 giugno 1932, in op. cit.2 . Goebbels, Revolution des Deutschen e Die Zweite Revolution,

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9

Agli operai coscienti il fascismo ardisce presentarsi comenaturale protettore dei sindacati operai.

In Italia

«Mussolini - scrive Gorgolini - attribuisce la più grande importanzaal movimento sindacale di classe...Egli è in buoni rapporti coi loro [delle masse operaie] gruppiprofessionali, coi loro sindacati, con le loro cooperative di cui sonogiustamente orgogliosi perché queste istituzioni sono la prova diuno sforzo costante e durevole.Egli apprezza la loro forza, organizzata in solide federazioninazionali e internazionali che esistono da molti anni e cheesprimono non soltanto il desiderio teorico di emancipazione, maanche gli interessi reali del proletariato.Il fascismo non intende privare il proletariato delle sueorganizzazioni» (op. ciI.).

Le conquiste operaie sono intangibili: Mussolini scriveche «nessuno può pensare di riportare le masse operaie incondizioni di lavoro e di esistenza meno buone di quelle di

. loggI» .Ancora alla vigilia della Marcia su Roma, il fascismo af­

ferma nel suo proclama:

«Le genti del lavoro... nulla hanno da temere d~l potere fascista. Iloro giusti diritti saranno sinceramente tutelati» .

l Mussolini, articolo su un discorso di Salandra a Bari, ciI. da Gorgolini,ibid.2 Proclama lanciato nella notte dal 27 al 28 ottobre 1922.

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In Germania

Il nazismo fornisce le stesse assicurazioni, le stesse pro­messe solenni:

«Noi consideriamo un'assoluta necessità l'organizzazione deilavoratori in sindacati nell'ambito del dominante sistemacapitalistico ' - scrive Gregor Strasser - ~oi abbia.mo . semprericonosciuto i sindacati quali rappresentanti necessan del lavora­tori e sempre li rìconosceremc-I.

E August Winnig afferma:

«Oggi più che mai l'esistenza di un~ san~ comunità non èconcepibile senza i sindacati. Bisogna lo SI sappla,,2.

lO

Il fascismo afferma di approvare, se non lo sciopero poli­tico, per lo meno quello economico.

In Italia

«Il fascismo - si può leggere.nel v.a~.ecum. del Fas~istl! Italiano:suggerisce al proletariato di servirsi di tutti I mezzi di l<;>t!a. e ~Iconquista in grado di assicurare lo SVIluppo della collettività e 11benessere dei produttori».

Rossoni dichiara:

«Non si deve condannare a priori il sistema dello sciopero quale

l Strasser discorso del 15 settembre 1929, in op. cito2 Winnig, 'op. CiL Si veda avanti, nel cap. VIII, come il fascismo vittoriosoagirà nei confronti dei sindacati operai.

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armi di lotta, quando è provocato da cause economiche. Quandoun partito come quello fascista ha compiuto una rivoluzione concentomila baionette, non bisogna essere sorpresi se, in talunecircostanze, esso ricorre a mezzi energici per far valere un giustodìritto»",

Nel 1924 Mussolini ammonisce gli industriali che se essinon concorderanno aumenti salariali «gli operai avranno ildiritto di agire di propria iniziativa».

Ma lo sciopero fascista non deve mai essere «politicizza­to». Nel corso della sessione del 24-25 aprile 1925, il GranConsiglio dichiara di

«considerare lo sciopero un atto di guerra al quale si può ricorreresoltanto quando tutti i mezzi pacifici sono stati sperimentati edesauriti... stabilisce una netta differenza tra lo sciopero fascista,eccezionale e avente scopi ben definiti, e lo sciopero socialista che èuna tegola, un gesto di ginnastica rivoluzionaria, con fini lontani eirraggiungibili»,

In effetti, fmché i liberi sindacati non vengono soppressi,il fascismo rivaleggia con loro in materia di scioperi. Nel1924 appoggia lo sciopero dei minatori di San Giovanni Vald'Arno, quello dei 30.000 cavatori di marmo di Carrara ecc.Nel marzo 1925 i «sindacati» fascisti dei metallurgici lancia­no l'ordine di sciopero generale agli operai delle officine To­gni a Brescia e così via.

In Germania

Parallelamente Hitler scrive:

«Fintantoché vi saranno imprenditori privi di comprensione socialeo che non hanno il sentimento del diritto e della giustizia, i lorodipendenti... avranno il diritto e il dovere di difendere gli interessidella comunità contro l'avidità o la sopraffazione di singoli

1 Rossoni, marzo 1925, cito da Hautecoeur, «Le Fascisme», in Annéepolitique, 1926.

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individui. Quando gli uomini vengono trattati in modo indegno... ela resistenza risulta perciò necessaria... solo lo fono risolverà ilconflitto , (Mein Kampi).

Un opuscolo di propaganda pubblicato dalle «cellule difabbrica» naziste afferma con sfrontatezza anche maggiore:

«II nazionalsocialismo, in quanto partito operaio, riconosce senzarestrizioni il diritto di sciopero... E' una vergognosa menzognaaffermare che i nazionalsocialisti, quando avranno conquistato ilpotere... toglieranno ai lavoratori la loro arma più valida, il dirittodi sciopero»I.

Ma lo sciopero deve mantenere un carattere economico enon trasformarsi in politico.

«Per la co~razione nazista - scrive Hitler - lo sciopero non è unmezzo di distruzione e di paralisi della produzione nazionale, maun mezzo per accrescerla e per svilupparla, grazie alla lotta controtutti gli ostacoli di natura antisociale che impediscono l'evoluzioneeconomica delle masse» (Mein Kampfy.

Effettivamente il nazismo, prima della presa del potere,appoggia grandi movimenti di rivendicazioni: nell'ottobre1930 sostiene lo sciopero dei metallurgici berlinesi al qualepartecipano 100.000 operai; nel novembre 1932 scatena insie­me ai comunisti, lo sciopero dei trasporti a Berlin02

.

Ma il fascismo si spinge ancor più lontano. Per attrarregli operai coscienti lascia aperto uno spiraglio verso la ge-

l Gien, Unser Kampf gegen die Gewerkschaftsbonzen (La nostra lottacontro i bonzi sindacali), 1933.2 Si veda avanti, cap. VIII, l'atteggiamento del fascismo vittorioso neiconfronti degli scioperi.

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stione della produzione da parte dei lavoratori.Il fascismo italiano non esclude in modo assoluto la possi­

bilità che un giorno saranno gli stessi lavoratori a gestire laproduzione.

Il programma del 1919 promette alle organizzazioni sin­dacali la gestione dei servizi pubblici e delle imprese «purchéesse ne siano degne moralmente e tecnicamente». Nel suodiscorso per la Fondazione dei fasci (23 marzo) Mussolinitiene un linguaggio volutamente ambiguo:

«Noi vogliamo mettere progressivamente in grado la classe operaiadi dirigere le imprese, magari soltanto per persuaderla che non èfacile condurre un'industria o un commercio».

Durante l'occupazione delle fabbriche, egli non soltantoaccetta il principio del controllo operaio, ma anche la gestio­ne sociale, cooperativa, con questa riserva:

«lo esigo che le fabbriche abbiano una produzione più elevata. Setutto questo mi fosse assicurato dagli operai invece che dagliindustriali, affermerei senza alcuna difficoltà che i primi hanno ildiritto di sostituire i secondi»1.

Dopo la conquista del potere, la gestione proletaria ap­pare soltanto una speranza assai remota:

«II sindacalismo fascista non esclude che, in un lontano avvenire, isindacati di produllori possano essere le cellule essenziali di unnuovo tipo di economia. Ma nega che il prolet~riato sia in grado sinda oggi di creare questo nuovo tipo di civiltà» .

l Mussolini, settembre 1920, cito da Nenni in Lotta di classe in Italia,1926.2 Mussolini, discorso del 17 gennaio 1923 agli operai della SocietàAutotrasporti.

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Infme il fascismo fa balenare davanti agli occhi degli ope­rai coscienti la speranza di una profonda trasformazione deldiritto di proprietà.

In Italia

«Il fascismo - si legge nel Vademecum del Fascista Italiano - sicolloca sul terreno della realtà, che non riconosce un tipo unico nelcampo politico e si dichiara favorevole a tutte le forme, sianoindividualiste, collettiviste o di altra natura, che garantiscono ilmassimo di produzione e il massimo di benessere».

Rossoni precisa in un'intervista:

«Le co~raz:ioni fasc!ste non .hanno alcun pre~udizio per quantoconcerne Il sistema di produzione. Tra capitalismo e comunismo,preferiscono il sistema che garantisce la produzione piùabbondante e decidono secondo le esigenze del momentostorico»]. .

Il professor Ugo Spirito si augura che un giorno le corpo­razioni divengano proprietarie di tutti i mezzi di produzione.Quando il capitale c il lavoro avranno portato a termine ilprocesso di fusione, quando la corporazione sarà detentricedei mezzi di produzione e di scambio, quando i membri dellacorporazione ne saranno gli azionisti, allora la nozione diproprietà nel senso capitalistico della parola sarà «supera­ta» .

1 Cronache sociali d 'Italia, marzo-aprile 1926.2 Ugo Spirito, relazione presentata al Congresso di studi corporativi,Ferrara, giugno 1932.

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In Germania

Gregor Strasser riesuma abilmente «la vecchia concezio­ne germanica della proprietà collettiva della tribù e della na­zione sui mezzi di produzione e sul suolo, proprietà di cuiogni produttore individuale non è che il vassallo al serviziodella comunità», I marxisti, egli precisa, hanno ragione di«rivendicare la proprietà dei mezzi di produzione», ma non èuna sola classe - sia pure la classe operaia - che ne deve ave­re la proprietà, bensì tutta la nazione (op. cit.).

Occorre dunque distinguere tra Eigentum (proprietà) eBesitz (possesso). Solo la comunità popolare deve avere laproprietà delle ricchezze nazionali; i singoli non possono es­serne che i depositari ed essi ne devono rispondere alla col­lettività. In tal modo il possesso delle ricchezze non è imme­diatamente in causa, ma nulla si può affermare perl'avvenire: poiché la nazione è la sola proprietaria ognunopuò sperare che un giorno la ripartizione dei «feudi» tra i«vassalli» possa essere modificatal,

Otto Strasser si spinge ancor più lontano di suo fratello. 'Egli propone che ogni «compagno del popolo» divenga co­possessore dell'economia tedesca.

Per questo è sufficiente che lo Stato, solo proprietario del­la ricchezza nazionale, affidi come «feudo» a ciascun im­prenditore la propria impresa dietro versamento di un'impo­sta pagabile in cinque o in dieci anni. L'impresa èinalienabile.

Il possesso, la direzione, i benefici dell'impresa vengonodivisi in tre parti da assegnarsi rispettivamente all'imprendi-

1 Grel$or Strasser in pratica si ispira a un piano presentato nel 1920 a unacommissione per la «socializzazione» da un industriale berlinese, Krammer:«curioso compromesso che tenta di salvaguardare contemporaneamente idiritti della proprietà individuale e quelle della collettività» (Beaumont eBerthelot, op. C/L , 1922).

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tore, al personale e allo Stato. Il diritto di eredità viene limi­tato: se il possessore di un bene muore senza avere un erede ,maschio giudicato idoneo a succedergli, il feudo ritorna alla :comunità popolare (op. cit.).

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Anche rivolgendosi ai piccoli contadini il fascismo è co­stretto a venare di sinistrismo il suo programma, e afferma difarsi banditore della parola d'ordine della ripartizione delleterre, dichiarandosi più socialista dei socialisti, che in Italia ein Germania non hanno osato toccare la grande proprietà.

In Italia

Il programma fascista del 1919 è categorico:

«Noi vogliamo dare la terra direttamente ai contadini... la terraaffidata ai contadini per essere coltivata direttamente da contadiniassociati».

Ancora nel 1921 Gorgolini dichiara il fascismo

«irriducibilmente contrario alle proprietà troppo vaste». Esso è«c0':ltro il latifondo che, a causa dell'assenteismo improduttivo,lascia Incolte vaste estensioni... I latifondisti che trascurano dicoltivare le loro terre... perdono senz'altro il loro diritto diproprietà» (op. ciL).

Mussolini, in un articolo del 23 marzo 1921, scrive questefrasi infuocate:

«F!a qua.lche mese, l'Italia intera sarà in nostro potere... ci saràaffl?ato l~ compito di re:alizzare l'unica rivoluzione possibile inItalIa: la rivoluzione agrana che deve dare la terra a chi la lavora».

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In Germania

Anche il nazismo comprende nel suo programma lo scor­poro delle grandi proprietà, la cosiddetta colonizzazione.Walter Darré moltiplica i suoi demagogici attacchi contro ilfeudalesimo agrario «comodamente sdraiato sui suoi terrenie sui suoi conti in banca, come la decadente nobiltà romanastigmatizzata da Ferrero»1.

Un altro specialista, il dottor Karl Hartwich dedica un in­tero opuscolo alla questione; egli si attende da Hitler la solu­zione del «problema orientale»:

«Le grandi proprietà dei territori orientali devono per la maggiorparte sparire...E' necessaria una colonizzazione nell'Est. Non SI ~uòmantenere la grande proprietà solo per rispetto alla tradizione» .

Ancora dopo la conquista del potere, il governatore dellaPrussia Orientale, Koch, proclama che «sta per iniziare unagrande evoluzione storica» grazie al «socialismo nell'Est» eannuncia la messa a punto di un grande piano di colonizza­zione da realizzarsi entro un termine da cinque a otto anni(LT, 29 luglio 1933).

Kube, governatore del Brandeburgo, promette un pianoanalogo, «più importante della liberazione dei contadini at­tuata da von Stein»3. La Tiiglie/le Rundschau scrive:

«I veri socialisti, quali il presidente superiore Erich Koch eHelmuth Bnìckner hanno pronunciato in questi ultimi giorniparole che danno il segnale de!la rivoluzione agraria, che faràtabula rasa del capitalismo agrario e di condizioni di proprietàsuperate e non più tollerabili. La reazione rappresentata dai grandicapitalisti e dai grandi agrari sarà travolta dalla marea montante eben presto sarà soltanto un ricordo storico» (LT, 24 giugno 1933).

1 Darré, Neuer A del aus Blut und Bodsn (Nuova nobiltà del sangue e delsuolo), 1930.2 Hartwich, Rittergut 000 Bauendorf? (Grande proprietà o villaggiocontadino?), 1932. .3 Heiden, Geburt der Dritten Reichcs (Nascita del Terzo Reich), 1934.

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Nello stesso tempo, incoraggia segretamente le sue bandea continuare la sanguinosa lotta contro il proletariato: i nazi­sti attaccano ovunque i loro avversari, invadono i loro locali,interrompono le loro riunioni pubbliche. A Berlino, tendonoimboscate nella notte agli operai che fanno ritorno a casa, libastonano e li assassinano. Secondo cifre ufficiali, 51 antifa­scisti vengono uccisi in scontri che si verificano tra il 30 gen­naio e il 5 marzo.

E'impossibile rinviare il colpo di forza all'indomani delleelezioni, perché senza colpo di forza non vi sarebbe maggio­ranza assoluta. Prima de] 5 marzo, bisogna colpire a ogni co- .sto l'immaginazione di coloro che sono ancora indecisi, biso­gna terrorizzare i recalcitranti escogitando qualche straor­dinario colpo di scena.

E nel caso in cui non si ottenesse il numero necessario dimandati, bisogna escludere puramente e semplicemente dalnuovo Reichstag i deputati comunisti. Goering ricorre perciòalla provocazione, riprende il vecchio progetto di Darré e deisuoi amici: servirsi di un putsch comunista prefabbricato co­me pretesto per violare la legalità e per scatenare contro ilproletariato una fulminea offensiva.

1124 febbraio, la polizia organizza una gigantesca perqui­sizione nella sede del Partito comunista, Goering asserisce diavervi rinvenuto documenti che provano l'imminenza di unarivoluzione bolscevica, ma il bottino è così magro che i docu­menti sequestrati non verranno mai pubblicati. La sera delgiorno 26, si scopre un tentativo di incendio nel castello diBerlino, ma il tentativo fallisce; infme, nella notte dal 27 al28, gli uomini di Goering incendiano il Reichstag.

Il governo presenta immediatamente l'incendio come ilsegnale di un'insurrezione comunista e senza perdere un mi­nuto fa firmare dal presidente del Reich un decreto-leggeche abolisce tutte le libertà costituzionali e che proclama lostato d'emergenza.

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In quarantott'ore la polizia si assume tutti i poteri; i mili­ziani nazisti divenuti «poliziotti ausiliari» aggrediscono, ba­stonano, assassinano i militanti operai, le riunioni elettoralidei partiti antifascisti sono vietate, i deputati comunisti arre­stati.

Grazie a questa messa in scena e a questo impiego delterrore, i nazisti riportano una schiacciante vittoria nelle ele­zioni del 5 marzo e ottengono 288 mandati. Per disporre del­la maggioranza assoluta è loro sufficiente mettere fuori leggeil partito comunista e mandare in campo di concentramentoun certo numero di deputati socialisti.

Rimane da sanzionare ufficialmente la dittatura. Il 24marzo il nuovo Reichstag, nell'aula occupata da milizie ar­mate vota, con 441 voti contro 94, una legge che gli conferi­sce i 'pieni poteri, grazie alla quale Hitler può emanare leggi«senza seguire la procedura stabilita dalla Costituzione», va­le a dire mediante semplici decreti-legge. Due mesi più tardi,i partiti operai e i sindacati vengono sciolti o «messi al pas­so»1.

Si tratta di vedere come reagisca il proletariato organiz-•zato come tenti di resistere. Ma è facile constatare come 1,

capi operai si lascino irretire dalla tattica apparentemente le­galitaria del fascismo; essi non lanciano l'ordine di prenderele armi, non scatenano lo sciopero generale insurrezionale esperano invece di prevalere sul fascismo, già installato al po­tere, riportando una vittoria elettorale.

In Italia

I socialisti italiani, sempre incredibilmente ciechi, conti­nuano ad aggrapparsi alla legalità e alla Costituzione. Nel di-

1 Tutti questi particolari sono riferiti da Konrad Heiden, op. ci!

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