Dalla poesia delle origini al...

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1 Dal Medioevo latino al Rinascimento La poesia delle origini Tutto l'alto Medioevo, dalla caduta dell’impero romano d’occidente fino a circa l’anno 1000, nella parte occidentale dell'Europa, è un periodo in cui la cultura predominante è quella ecclesiastica, che si esprime in latino (diverso da quello classico, sia nella sintassi che nel vocabolario) e si tramanda nelle biblioteche dei monasteri. Questa situazione culturale rimane invariata fino alla fine dell’XI secolo, quando in Francia si afferma la prima letteratura volgare: la letteratura cortese. Questa forma di letteratura dà vita a nuovi generi letterari che sono appannaggio di una classe feudale che cerca di assumere una nuova veste culturale. La Francia si impone come modello e riesce così ad affermare i propri valori attraverso la propria lingua. La cultura feudale e i valori cavallereschi che la animano si diffondono in tutta l’Europa. Dopo l’XI secolo nasce l’epica francese in lingua d’oil con le Chansons de geste, che parlano delle gesta dei cavalieri. Si tratta di un tipo di poesia narrativa destinata alla lettura in pubblico; tra le varie chansons de geste vi è quella dedicata al ciclo carolingio e cioè a Carlo Magno e ai suoi paladini, intitolata Chansons de Roland, che esalta i valori della classe dei cavalieri. Un altro genere in lingua d’oil è il romanzo cavalleresco che cerca di affermare i valori della classe sociale feudale. Se nell’epica delle chansons de geste si raccontano le imprese militari collettive, il romanzo concentra invece la sua attenzione su un personaggio, il quale, mosso dalla passione per la donna amata e dalla necessità di autorealizzarsi, compie numerose imprese. Il romanzo cavalleresco ruota attorno al ciclo bretone, cioè racconta le avventure e le leggende di re Artù, Tristano e Isotta, Parsifal, cavaliere puro per eccellenza che cerca il sacro Graal, e Lancillotto, che incarna i valori dell’amore cortese. Il protagonista dei romanzi cerca un bene

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Dal Medioevo latino al Rinascimento

La poesia delle origini

Tutto l'alto Medioevo, dalla caduta dell’impero romano d’occidente fino a circa

l’anno 1000, nella parte occidentale dell'Europa, è un periodo in cui la cultura

predominante è quella ecclesiastica, che si esprime in latino (diverso da quello

classico, sia nella sintassi che nel vocabolario) e si tramanda nelle biblioteche dei

monasteri.

Questa situazione culturale rimane invariata fino alla fine dell’XI secolo, quando in

Francia si afferma la prima letteratura volgare: la letteratura cortese. Questa forma di

letteratura dà vita a nuovi generi letterari che sono appannaggio di una classe feudale

che cerca di assumere una nuova veste culturale. La Francia si impone come modello

e riesce così ad affermare i propri valori attraverso la propria lingua. La cultura

feudale e i valori cavallereschi che la animano si diffondono in tutta l’Europa.

Dopo l’XI secolo nasce l’epica francese in lingua d’oil con le Chansons de geste, che

parlano delle gesta dei cavalieri. Si tratta di un tipo di poesia narrativa destinata alla

lettura in pubblico; tra le varie chansons de geste vi è quella dedicata al ciclo

carolingio e cioè a Carlo Magno e ai suoi paladini, intitolata Chansons de Roland,

che esalta i valori della classe dei cavalieri.

Un altro genere in lingua d’oil è il romanzo cavalleresco che cerca di affermare i

valori della classe sociale feudale. Se nell’epica delle chansons de geste si raccontano

le imprese militari collettive, il romanzo concentra invece la sua attenzione su un

personaggio, il quale, mosso dalla passione per la donna amata e dalla necessità di

autorealizzarsi, compie numerose imprese. Il romanzo cavalleresco ruota attorno al

ciclo bretone, cioè racconta le avventure e le leggende di re Artù, Tristano e Isotta,

Parsifal, cavaliere puro per eccellenza che cerca il sacro Graal, e Lancillotto, che

incarna i valori dell’amore cortese. Il protagonista dei romanzi cerca un bene

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supremo, che coincide con l’amore, ma si tratta di un amore irraggiungibile, perché

adultero, che ci consuma fuori dalla norma sociale e trova legittimazione solo in sé:

Lancillotto è dominato dal dio amore e non può fare a meno di amare Ginevra, la

quale non si può negare a colui che la ama. L’amore cortese diventa un valore ed

implica assoluta fedeltà.

Alla nascita del romanzo in lingua d’oil, si accompagna un altro fenomeno letterario:

intorno all’XI-XII secolo si afferma in Aquitania e in Provenza un nuovo genere

lirico in lingua d’oc. Questa lirica, affidata alla voce sapiente dei “trovatori” (dal

verbo provenzale trobar che significa “comporre”), crea il primo grande codice della

poesia d’amore, esprimendo in modo nuovo la passione dei soggetti e gli effetti

misteriosi del desiderio, della passione sull’io individuale. Legati alle corti di

Provenza ed Aquitania, i trovatori provengono da un’estrazione sociale molto varia:

sono principi e signori feudali, sono cavalieri o esponenti della piccola nobiltà.

Il modello dell’amore cortese caratterizza fortemente la poesia trobadorica, che canta

la gioia che scaturisce dall’amore perfetto e dalla volontà di esaltare e lodare la donna

amata, spesso identificabile con la signora feudale. Nei confronti della donna-signora

feudale l’amante è in posizione di vassallo, pronto a servirla in modo assoluto e

disinteressato. La bellezza della donna è tale da porre una certa distanza tra lei e il

suo amante che si sente indegno di tanto onore. Il canto del poeta sottolinea questa

distanza che lo separa dalla donna amata e nello stesso tempo è animato dalla

tensione a colmarla, cercando continuamente il dialogo con la donna, spesso in toni di

vibrante sensualità. La donna rimane comunque irraggiungibile e spesso minacciata

dalla maldicenza di coloro che non sono in grado di comprendere il volare

dell’amore. Scaturiscono da questo intreccio di situazioni una serie di passioni che

alternano sofferenza e godimento.

Accanto alla tematica amorosa, la lirica provenzale riflette sulla condizione sociale

del poeta, su motivi morali e politici, sulla guerra e sui valori feudali e militari. Si

esprime, inoltre, attraverso diversi stili o modi di comporre: trobar ric (in cui si

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notano i virtuosismi tecnici ), trobar clus (di difficile interpretazione, oscuro) e

trobar leu (facile e scorrevole di limpida lettura).

Ci cono pervenuti circa 400 nomi di trovatori, il più antico è Guglielmo IX, duca di

Aquitania, ricordiamo anche Jaufrè Raudel (cantore dell’”amore da lontano”) e

Arnauld Daniel (maestro del trobar clus).

All’inizio del XIII secolo la poesia provenzale ha una crisi improvvisa causata dalla

Crociata contro gli Albigesi, dal nome della città di Albi, centro propulsore

dell’eresia catara. Questa guerra mette fine a molte delle corti provenzali. Papa

Innocenzo III ordina il massacro di coloro che si riconoscevano nel Catarismo, una

dottrina ereticale che polemizzava contro la Chiesa di Roma e si faceva promotrice di

un rinnovamento morale fondato sull’antitesi tra il bene e il male, tra lo spirito e la

materia. Molti trovatori trovarono rifugio in Italia e influenzarono la nascente lirica

siciliana.

I Siciliani (“fenomenologia dell’amore”)

In Sicilia, intorno al XII secolo sorgono imitatori della poesia trobadorica, ma la

lingua usata è il volgare siciliano. La poesia siciliana riprende i temi, gli stili e la

metrica dei modelli provenzali, anche se viene meno l'accompagnamento musicale.

Accanto alle tematiche amorose, non compaiono più componimenti ad argomento

politico, perché il contesto in cui questa poesia si sviluppa è diverso da quello delle

corti provenzali. La poesia siciliana si sviluppa infatti presso la corte sveva di

Federico II. Nominato imperatore nel 1220, Federico II crea attorno alla propria

corte un ambiente culturale laico e raffinato, in cui la poesia riveste un ruolo molto

importante, perché diventa l’espressione del prestigio dell’aristocrazia di corte. Per

questo l’imperatore si fa promotore di una produzione poetica ispirata ai modelli

provenzali, ma scritta in volgare siciliano.

Per la corte sveva e la scuola siciliana la poesia non è più impegno civile, ma un

gioco raffinato ed aristocratico, che si avvale delle tematiche amorose della lirica

provenzale: l’amore cortese che viene ulteriormente stilizzato e privato di

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concretezza; l’omaggio che il cavaliere deve alla donna; l’inferiorità e indegnità

dell’amante verso la donna; l’amore adultero e segreto. Rispetto alla poesia

provenzale, la lirica siciliana tende a soffermarsi maggiormente sulla natura e sugli

effetti dell’amore. Ciò comporta uno spostamento verso l’interiorità del poeta e

una tendenza ad analizzare l’esperienza d’amore intellettualizzata, sotto la lente delle

scienze naturalistiche, con accostamenti al mondo animale e vegetale.

Gli autori di questa poesia sono per lo più funzionari statali, notai, giudici e

magistrati. Possiamo ricordare: Giacomo da Lentini, Guido delle Colonne, Rinaldo

d’Aquino, Pier delle Vigne, Stefano Protonotaro da Messina e Jacopo Mostaci.

I rimatori toscani di transizione

Dopo la dispersione della Scuola siciliana, in seguito alla sconfitta della casa sveva,

in Italia si sviluppa una poesia di argomento religioso, in Toscana e prevalentemente

in Umbria. Questa poesia prende il nome di lauda, approfondisce contenuti di natura

religiosa e moraleggiante, ha tra i suoi maestri Iacopone da Todi ed è stilisticamente

molto semplice dal punto di vista formale, infarcita di lemmi che derivano dal

dialetto umbro e di latinismi.

Accanto a questa lirica religiosa, comincia a farsi strada, in Toscana, una lirica

moraleggiante che prende in esame temi di natura amorosa o politica. Maestro di

questa nuova scuola, che attinge dai Siciliani e si definisce Siculo-toscana o

Guittoniana, è Guittone d’Arezzo, poeta di liriche che trattano argomenti amorosi e

politici. Celebre è la canzone Ahi lasso in cui il poeta aretino si lamenta per la

sconfitta di della battaglia di Montaperti, in cui i guelfi fiorentini furono messi in fuga

dai gihibellini senenesi, il 4 settembre 1260.

I Guittoniani si riallacciano apertamente alla tradizione precedente della lirica

siciliana anche nella scelta del metro da usare: compongono infatti sonetti e canzoni.

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Lo Stilnovo (“filosofia dell’amore”)

È in questo panorama che si colloca, intorno agli anni 80 del XIII secolo, la prima

grande svolta della nostra letteratura. Tra Bologna, Firenze e altri centri della

Toscana si sviluppa un nuovo modo di fare poesia. Una nuova scuola che sarà poi

chiamata Stilnovo da un verso del Purgatorio di Dante (verso 57, canto 24). Lo

Stilnovo inventa un nuovo modo di fare poesia e combina in maniera differente lo

stesso materiale tematico tramandato dalla poesia siciliana. Lo Stilnovo, però, pur

recuperando all’apparenza le stesse tematiche dalla Scuola siciliana, le rielabora

diversamente dall’interno attraverso una maggiore cura formale, dal punto di vista

stilistico e attraverso la sovrapposizione di contenuti filosofici ai contenuti amorosi. I

poeti protagonisti di questa svolta sono uomini colti, appartenenti al ceto mercantile,

intellettuale e giuridico. Giuristi sono infatti Guido Guinizzelli, notaio bolognese,

Lapo Gianni e Cino da Pistoia; intellettuali politicamente impegnati ed educati alle

scuole di teologia e filosofia sono Guido Cavalcanti e Dante Alighieri. Questa nuova

generazione di poeti presenta una diversa sensibilità, una raffinatezza formale nuova

ed elegante, impreziosiscono i loro testi con un linguaggio scelto che si possa

adeguare alla tematica d’amore, arricchita da elementi spirituali e speculativi.

Guido Guinizzelli, con la sua canzone Al cor gentil rempaira sempre Amore, è

considerato il maestro di questo nuovo modo di poetare. Tema cardine del

componimento è la nobiltà d’animo intesa come virtù indipendente dal ceto sociale,

come qualità individuale e ricchezza interiore. L’argomento è inconsueto per una

lirica amorosa, perché illustra, attraverso un procedimento speculativo molto

raffinato, il rapporto esistente tra la gentilezza d’animo e la capacità d’amare: l’amore

trova la sua collocazione congeniale solo nel cuore di chi è capace di “gentilezza” e

cioè di nobile virtù. Alla donna spetta il compito fondamentale di rendere attiva

questa virtù, per mezzo della sua bellezza. La canzone procede attraverso una

elaborata argomentazione aristotelica, filosofica e speculativa e fonde la poesia con la

scienza e la filosofia. Il componimento non è altro che un ragionamento filosofico sul

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ruolo della donna e sulla nobiltà d’animo, espresso attraverso metafore e immagini

che attingono dalla natura.

La scuola stilnovista è elitaria. La fruizione dei suoi componimenti è riservata a

pochi, a coloro che sanno di filosofia che sono nobili per virtù e raffinati per

educazione. La poesia diventa così comunicazione tra gente eletta, che si riconosce in

un ideale di amicizia.

Questa nuova poesia trasforma il codice cortese, che si sposta dal piano fisico al

piano spirituale: l’omaggio del cavaliere alla donna si identifica con il riconoscimento

delle sue virtù; la lode diventa un atto d’amore e una riflessione che il poeta fa sulla

propria esistenza; la nobiltà si identifica con il valore spirituale di chi è degno, per la

sua elevata moralità, di provare amore, senza necessariamente appartenere al ceto

aristocratico. Il poeta non si limita e descrivere gli effetti che l’amore provoca in lui,

ma si interroga sulle cause, riflette sul fenomeno e approfondisce l’aspetto

psicologico della situazione di chi ama. La donna si connota come un “angelo”, un

essere soprannaturale.

I problemi dottrinali, scientifici, teologici e morali, che si discutevano nelle scuole di

teologia e di filosofia, entrano a far parte della poesia e danno una nuova dimensione

alla poesia d’amore, che diventa testimonianza di una meditazione esistenziale.

L’anima del poeta è sospesa in uno stato di contemplazione, che risente anche della

nuova sensibilità religiosa inaugurata dal misticismo francescano.

Dante

Profondamente immerso nel clima e nella cultura stilnovista è Dante. Sono

numerosissimi i fenomeni politici e culturali che intervengono nella sua formazione,

non solo culturale, ma anche politica e spirituale. Studia con Brunetto Latini la

retorica e nutre profondo interesse per il rapporto tra etica e politica, tema caro a

Cicerone e alla cultura latina. Dante si forma non solo alla scuola di retorica di

Brunetto, ma anche presso le scuole religiose dei Domenicani di Santa Maria Novella

e dei Francescani a Santa Croce. Conosce profondamente il pensiero di san Tommaso

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d’Aquino che aveva riorganizzato, sotto la spinta della filosifia di Aristotele, tutto il

sapere teologico; è esperto non solo di teologia scolastica, ma anche della corrente

mistica di san Bonaventura da Bagnoregio; ha letto e studiato benissimo alcuni

grandi poeti della latinità classica, ma ignora la maggior parte della cultura greca

antica.

Latinità classica, teologia scolastica, mistica, filosofia e conoscenza della realtà

storica e sociale del suo periodo storico sono i quindi i pilastri della formazione

dell’Alighieri.

Tutti questi elementi confluiscono nella scrittura della Commedia, che cerca di dare

una riposta alla crisi esistenziale di quegli anni. Concepito come un itinerario mistico

che ha per protagonista il poeta stesso, il poema affronta, attraverso personaggi

storicamente vissuti o appartenenti al mito, una vastissima gamma di problematiche

morali, esistenziali, politiche e sociali. Trama del poema è il viaggio che Dante

compie nell’aldilà, durante il periodo pasquale del 1300, anno giubilere. Questo

viaggio è per lui un percorso di salvezza e contemporaneamente di espiazione. Il

poeta narra ponendosi dal punto di vista di che ha sperimentato l’intera vicenda e può

allora illuminare il passato e dare pieno significato a quello che è accaduto. Il poeta

rappresenta se stesso come il discepolo pieno di remore e di errori, man mano istruito

della sue guide, Virgilio e Beatrice, fino a diventare degno della visione di Dio, che è

la meta del viaggio. Il genere letterario delle visione sull’oltre tomba e dei viaggi

nell’aldilà era molto diffusa nel Medioevo, ma sempre affidato a protagonisti astratti

e molto lontani dalla loro realtà storica. Il personaggio di Dante è invece

profondamente concreto e contestualizzato nella realtà storica di quegli anni, che

emerge fortemente nel poema. Dante incarna il simbolo dell’uomo che, perduto nella

selva del peccato, impedito dalle tre fiere, simbolo dei mali morali e sociali, riesce a

riprendere il cammino della salvezza grazie all’intervento della Grazia di Dio. Tutto il

viaggio è una meditazione sulle pene destinate ai dannati e ai purganti e sulle gioie

delle anime beate. Virgilio, simbolo della scienza umana, accompagna il poeta

attraverso l’Inferno e il Purgatorio, fino al Paradiso Terrestre, in cima al Purgatorio,

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dove al poeta latino subentra Beatrice, simbolo della teologia, che accompagna il

poeta fino alle soglie dell’Empireo. L’ultima guida è san Bernardo di Chiaravalle,

simbolo dell’ascesi e mistica, che conduce Dante alla visione di Dio. Il processo da

Virgilio a san Bernardo indica un’ascesa che va dall’umano al divino, dalla scienza

umana alla teologia fino alla mistica, perché alla visione di Dio non si arriva per

ragionamento umano, ma solo con l’abbandono mistico, in cui la volontà dell’uomo

si annulla in quella di Dio e da Lui riceve senso.

Reso sapiente dalle sue guide, Dante può diventare maestro per l’uomo che vuole

migliorarsi e salvare la propria esistenza.

Petrarca

Sulla scia della nuova poesia toscana si colloca anche l’opera di Francesco Petrarca,

che per primo racchiude in un Canzoniere organico i suoi componimenti poetici,

tracciando una sorta di storia dell’anima. Attraverso le varie poesie sono infatti

descritti i momenti salienti della sua vita spirituale. Petrarca rinuncia alle tematiche

stilnoviste della donna- angelo, tramite tra Dio e l’uomo, e pone in primo piano il

dramma interiore del poeta che rimpiange l’errore della sua vita, che si può

sintetizzare nella incapacità di rinunciare alle lusinghe della terra, dalla gloria

all’amore per Laura. Per questo il Canzoniere presenta una serie di componimenti che

illustrano l’amore del poeta per la donna e per il desiderio di gloria, insieme al

percorso di pentimento per il suo legame con i piaceri terreni e si conclude con la

preghiera alla Vergine, affinché implori per Petrarca la grazia divina.

Decisivo e importantissimo è il contributo del poeta per la rinascita della cultura

classica latina. A lui si deve il rinnovato interesse per la poesia antica e il recupero

della lingua latina di cui si serve per varie opere: Epistole familiari, Vite degli uomini

illustri , che ricalcano due generi letterari molto in voga nell’antichità. Il Secretum,

invece, pur essendo scritto in latino, si discosta molto dal tenore dell’antichità

classica, perché risente della sensibilità medievale. Il trattato si configura come un

dialogo tra sant’Agostino e Francesco, che altri non sono se non le due anime dello

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stesso Petrarca che configgono tra loro, l’una anelante al cielo e staccata dalle cose

terrene, l’altra legata al mondo e alle sue lusinghe. Il conflitto non si sana e rimane

tale.

Con Petrarca comincia una nuova stagione culturale che vede gli intellettuali

impegnati nel recupero dei manoscritti della latinità classica, dimenticati perlopiù nei

monasteri. La scoperta di nuove opere, unita alla necessità di leggere i testi antichi

secondo le intenzioni del loro autore e non alla luce dell’interpretazione metaforica

del Medioevo, pian piano darà vita ad una nuova sensibilità artistico-letteraria:

l’Umanesimo.

Boccaccio

Grazie all’opera di Boccaccio il volgare toscano viene usato anche per un genere

letterario diverso: la narrativa. L’autore si cimenta con la prosa fiorentina prima

scrivendo due romanzi giovanili, Filocolo e Fiammetta, e poi componendo il

Decameron, una raccolta di cento novelle organizzate all’interno di una cornice

narrativa e divise per giornate, ad ogni giornata corrisponde un tema. Lo stile del

Decameron offre per la prima volta un esempio di prosa volgare duttile, che ben si

può adattare a più registri: infatti le novelle spaziano dal comico al tragico.

Boccaccio racconta di un gruppo di 10 giovani fiorentini, che rappresentano la società

ideale, in cui predominano le virtù dell’ingegno, della cortesia e della parola, che per

sfuggire alla peste, si rifugiano in un bosco nelle vicinanze di Firenze e decidono di

passare 10 giornate a raccontare ognuno una novella.

Ogni giorno viene nominato un re o una regina che stabilisce il tema della giornata,

che sarà l’argomento delle 10 novelle. Le narrazioni che i giovani raccontano parlano

della realtà concreta e non idealizzata della società mercantile e borghese di quegli

anni e dei vari casi che la vita può presentare, dagli eventi lieti a quelli tragici. I

personaggi sono realistici e profondamente analizzati dal punto di vista psicologico,

nelle più svariate situazioni che la vita può presentare. Boccaccio, infatti, considera

tutte le esperienze, anche le più sconce, e le racconta servendosi di uno stile

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classicheggiante e formalmente molto elaborato. Gli argomenti licenziosi non

mancano nel Decameron e questa scelta rivela la spregiudicatezza del narratore, che

non vuole scandalizzare, ma vuole, attraverso l’arte della parola, raccontare ogni

aspetto della vita della nuova società dei comuni.

Importantissimo e fondamentale è il ruolo della “parola”, che diventa segno distintivo

della condizione civile, perché permette lo scambio di vedute che libera l’uomo dalla

sua bruttura e comunica i valori predominanti nella società. È anche gioco dilettevole

e piacevole.

Umanesimo

Nel corso del XIV secolo i centri urbani assumono man mano i caratteri di città Stato.

Le strutture politiche dei comuni cominciano a sfaldarsi e si rafforza il potere delle

grandi e ricche famiglie. Si fa strada così un nuovo modello di vita civile e culturale.

Le grandi famiglie aristocratiche cercano di consolidare il proprio potere politico

avvalendosi dell’opera di grandi artisti e letterati. La letteratura di quegli anni guarda

con grandissimo interesse alla cultura classica, di cui si sente figlia, e si adegua alle

esigenze della nuova città-stato, della sua organizzazione politica, economica e

sociale.

Nonostante la diversità dei vari centri italiani, si diffonde in ognuno di essi, grazie

alla riscoperta dell’antico e al suo recupero, un modello culturale comune, promosso

dagli intellettuali umanisti. Questi intellettuali devono la loro formazione non tanto

allo studio dei testi sacri e della teologia, quanto alle opere dei poeti, degli storici e

degli oratori antichi.

Durante il periodo dell’Umanesimo, la letteratura latina riacquista il primato su quella

volgare e si diffonde per tutta l’Italia grazie agli intellettuali che sono i protagonisti

degli scambi culturali.

A Milano si rafforza la signoria dei Visconti. Presso la loro corte si raggruppano

umanisti che nutrono interesse per gli studi giuridici, storiografici ed etici.

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Molto importante è il ducato di Ferrara, retto dagli Estensi. Qui fiorisce un centro di

studi che si orienta verso il recupero dei classici.

A Firenze si rafforza il potere oligarchico di alcune importanti famiglie, prima fra

tutte i Medici, ma la forma politica è sempre quella repubblicana, che permette lo

sviluppo di importanti studi sul ruolo civile dell’uomo e sulle istituzioni e sulla

politica. Tra i numerosi dotti bisogna ricordare Coluccio Salutati, storiografo e

politico, che mette in risalto il valore delle lettere nella formazione dell’uomo.

Lo Stato della Chiesa raggruppa attorno a sé numerosi intellettuali che si interessano

di grammatica, retorica ed erudizione.

I vari intellettuali umanisti sono perfettamente integrati nella struttura dello Stato,

svolgono importanti funzioni diplomatiche e di insegnamento nelle famiglie

aristocratiche. La loro opera cerca di dare stabilità al nuovo ordine politico-sociale.

Le lettere vengono usate per combattere la cultura attardata del Medioevo, ma nello

stesso tempo sono funzionali a giustificare il nuovo organismo civile. La retorica,

intesa come arte della comunicazione e della persuasione, assume grande importanza

per l’uomo, perché lo mette in grado di poter svolgere un ruolo prevalente nella

società. Lo studio delle forma del linguaggio e l’aspirazione ad un modello di

perfezione identificato con gli scrittori della repubblica romana e del principato di

Augusto modificano il gusto e il senso estetico di quegli anni. Il concetto di bellezza

si lega sempre più alla cultura classica, perché gli umanisti sono convinti della

superiorità degli antichi che hanno raggiunto un grado di perfezione insuperabile. Ai

moderni spetta quindi solamente il compito di imitare quella perfezione.

Con l’Umanesimo si dà molta importanza alla concretezza dell’uomo e alla sua vita

sulla terra: l’uomo è al centro della storia, la modella e la indirizza, è padrone del suo

destino, ma deve conoscere le virtù degli antichi ed imitarle. Alle lettere spetta quindi

un compito pratico di educazione civile, per questo motivo si dà grande importanza al

genere storiografico. Si riscoprono le grandi storiografie del passato: Livio, Tacito,

Sallustio, Cesare, Svetonio, il loro modello agisce nel modo di impostare la

narrazione storiografica, che diventa attenta alle lotte politiche e alle vicende militari,

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ma influisce anche per quel che riguarda lo stile che si conforma a questi autori. Il

genere cronachistico, che registrava gli avvenimenti in base alla loro risonanza e alla

curiosità che suscitavano, cede il posto alla storiografia che cerca di narrare fatti e

avvenimenti importanti, di indagarne le cause, di considerarli come conseguenza

dell’azione e della volontà dell’uomo. Prevale, quindi, la considerazione dell’uomo

politico, inserito nel corso degli eventi in cui domina la fortuna, ma in cui si può

intervenire. La storiografia si avvicina molto all’oratoria. L’umanista mira a

ricostruire le vicende storiche evocando i protagonisti, a loro spetta il compito di

pronunciare discorsi eloquenti che ne illustrino il carattere, i vizi e le virtù. La

storiografia diventa in questo modo una raccolta di esempi significativi da imitare, di

argomenti e di riflessioni sull’esistenza. Può così diventare uno strumento ideologico,

che serve per precise finalità politiche.

Centro pulsante per la storiografia è Firenze. Iniziatore del genere si può considerare

Leonardo Bruni che scrive la Histroriae fiorentini populi. L’opera tende a nobilitare

le origini della città, collegandole a quelle di Roma e spiega come la costituzione

della repubblica e la partecipazione popolare al governo dello Stato abbiano

salvaguardato la libertà.

Un genere diverso di storiografia è quello che inizia con Biondo Flavio da Forlì,

presso la Curia romana. Attraverso un’opera grandiosa, formata da 32 libri,

l’umanista affronta tutta la storia dell’Occidente a partire dalla caduta dell’impero

romano, e si avvale di una grande ricerca erudita, attraverso l’analisi dei documenti

del passato e dei monumenti, dando molta importanza alla topografia. Le sue opere

L’Italia illustrata e La Roma instaurata segnano l’inizio degli studi di antiquaria.

Il genere delle biografie viene ripreso da Vespasiano da Bisticci, che era libraio e

fornitore di manoscritti. Dalla sua esperienza di lettore e dalla sua attività

scaturiscono le Vite degli uomini illustri del secolo XV, opera in volgare che raccoglie

molti aneddoti riconducibili agli uomini dell’epoca e delinea una vivace

rappresentazione della vita di quel periodo.

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Lo studio dei classici e la lettura delle opere antiche influenzò notevolmente

l’atteggiamento mentale degli umanisti. Fece sviluppare un metodo critico di lettura

delle opere del passato fondato sulla verifica scientifica del patrimonio culturale che

il Medioevo aveva trasmesso. Nasce un nuovo metodo scientifico che cerca di

recuperare la scrittura originaria di un testo in modo che rispetti quanto più possibile

la volontà dell’autore. Questa nuova scienza prende il nome di “filologia” e dà

impulso alla ricerca e alla scoperta di nuove opere e nuovi manoscritti e si ripropone

di ricostruire il pensiero autentico degli antichi liberandolo dalla lettura deformante

che il Medioevo aveva condotto.

Un grande scopritore di codici antichi è Poggio Bracciolini, tra le sue scoperte si

annovera il De reurm natura di Lucrezio. Bracciolini era profondamente convinto

che la lingua latina potesse essere usata come lingua di comunicazione e non solo

come lingua di scrittura. Tra le sue opere spiccano una serie di prose in dialogo che

considerano una pluralità di argomenti morali, e un raccolta di Facezie latine, motti e

brevi racconti arguti e ridicoli.

Il più grande fra i filologi umanisti è Lorenzo Valla che con la sua opera cercò in tutti

i modi di estirpare i pregiudizi della cultura tradizionale, combattendo l’ignoranza e

le false credenze dovute all’assenza di un metodo razionale. Frutto del suo acume

critico e filologico è la smentita di autenticità della donazione di Costantino che

legittimava il potere temporale dei papi. L’impegno filologico di Valla è soprattutto

legato ai sette libri delle Eleganze della lingua latina che elogiano la grandezza di

Roma e la perfezione della sua lingua, offrendo una vera e propria grammatica del

latino.

La collocazione dell’uomo nel tessuto cittadino e nella realtà storica che lo circonda

sollecita l’interesse per la realtà terrena, pian piano si viene affermando la distinzione

tra il destino celeste e il destino terreno dell’uomo.

L’amore per il mondo antico è segno della nuova importanza che si dà alla centralità

dell’uomo. L’educazione nel Medioevo era finalizzata alla preparazione del chierico,

nell’Umanesimo si fa strada invece un nuovo concetto di educazione che dà

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importanza alla conoscenza e all’azione concreta per vivere bene la vita terrena. Non

si disprezza più il corpo, lo si rivaluta: l’ideale dell’equilibrio fra lo sviluppo delle

doti del corpo e le doti dell’anima è il tema ricorrente di tutta l’educazione

umanistica. Tra i vari intellettuali umanisti, Leon Battista Alberti è forse il più

esemplare. Egli cerca l’universalità del sapere e della conoscenza, per la sua

molteplice esperienza di letterato, filosofo e architetto. Alberti propone nuovamente

l’uso del volgare per i suoi trattati, primo fra tutti i libri Della famiglia, che parlano

dell’educazione della famiglia mercantile ad opera del padre, dell’amicizia, del ruolo

della fortuna nella vita dell’uomo, delle difficoltà economiche, dell’educazione dei

giovani, del rapporto fra i coniugi, della “masserizia” che non riguarda solo

l’economia della casa, ma si identifica con la virtù della prudenza, della moderazione

che si può trasferire dal piano economico a quello politico.

In latino è scritto il De architectura sul modello di Vitruvio, l’opera mette in

evidenza come l’architettura sia la più alta delle arti e la delinea come una vera e

propria scienza non solo dell’edificazione, ma anche dell’organizzazione sociale,

perché fonda su basi scientifiche la disposizione del tessuto urbano e quindi della vita

civile.

La circolazione dei testi antichi e la conoscenza diretta dei filosofi greci permette nel

Quattrocento la costituzione a Firenze di un vero e proprio centro di diffusione del

platonismo, l’Accademia platonica, grazie all’impulso di Marsilio Ficino. Nella

tradizione platonica confluivano molteplici elementi filosofici dell’antichità e del

cristianesimo e ben si prestava alla ricerca metafisica sulle cause prime, sulle origini

del mondo e sulla riflessione teologica e spirituale. Ad animare i dibattiti

dell’Accademia intervengono vari intellettuali quali Giovanni Pico della Mirandola,

Cristoforo Landino e lo stesso Lorenzo de’Medici.

Il più grande esponente dell’Umanesimo fiorentino è il poeta Angelo Ambrogini,

detto Poliziano, che si forma alla scuola platonica di Marsilio Ficino e orienta la sua

attività di letterato in due direzioni: l’elegia latina e la lirica volgare. Suo capolavoro

sono le Stanze per la giostra, poemetto encomiastico che loda Giuliano, il fratello di

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Lorenzo. L’opera trasferisce nel mito classico l’ideologia umanistica della civiltà

conquistata attraverso le arti e gli studi. Giuliano è descritto come un cacciatore

selvaggio che si trasforma in amante e in eroe, compiendo così un percorso di

miglioramento dall’umano degradato al divino.

Di registro completamente diverso è il Morgante di Luigi Pulci che risente della

tradizione comica e popolare della borghesia di Firenze: in questo poema la materia

cavalleresca si colora di toni buffoneschi, fino al limite della parodia e del ridicolo. I

personaggi del poema sono deformati e pronti a qualunque ribalderia per

sopravvivere, rappresentano l’umanità degradata che popola le taverne e si pone agli

antipodi della società ideale dell’Umanesimo.

Contemporaneamente a Roma nasce l’Accademia romana, fondata da Pomponio

Leto, che si interessa di studi filologici ed eruditi.

A Napoli Antonio Beccatelli, detto il Panormiata, fonda l’Accademia napoletana o

pontaniana. Grazie a questa accademia Napoli torna ad essere un centro importante

per l’Umanesimo italiano, con i suoi studi di morale, retorica e poesia.

Giovanni Pontano è uno degli intellettuali napoletani più importanti, i suoi interessi

spaziano dalla filosofia, alla teologia, all’astronomia. Scrive una serie di trattati

morali che esaminano le virtù sociali dell’uomo per eccellenza: la nobiltà, la

liberalità, la beneficenza, la magnificenza, l’ospitalità; altri trattati esaminano le virtù

politiche: la prudenza, la fortezza, la magnanimità. Pontano si diletta a scrivere brevi

componimenti in latino, le Neniae, dedicate al figlio Lucio. Si cimenta anche nel

genere dialogico, imitando Alberti e l’autore greco Luciano, considerando, tra le

varie tematiche, la stoltezza degli uomini, l’ipocrisia degli ecclesiastici, il ruolo della

parola, il libero arbitrio. Il De sermone è un trattato sulla conversazione in cui

l’umanista espone, attraverso un gran numero di esempi, la varietà dei modi

attraverso cui l’uomo brillate e spiritoso riesce ad affermarsi nella società. La

conversazione è il banco di prova della virtù sociale che è soprattutto arte della

comunicazione, molto importante nella società cortigiana.

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All’ambiente ideale dell’Accademia pontaniana Jacopo Sannazaro dedica l’Arcadia,

un’opera in versi e prosa (prosimetro) e che si rifà agli ambienti pastorali. Il poema

narra le vicende di Sincero, un pastore che è controfigura dell’autore, che per una

delusione amorosa si rifugia in un’Arcadia idealizzata tra i pastori-poeti che risente

dell’influenza di Teocrito.

L’Umanesimo ha consapevolezza della necessità di recuperare il mondo antico per

rigenerare la società. Questa idea che un’epoca nuova si profilasse attraverso la

rinascita del mondo antico si maturò proprio nel secolo XVI.

Rinascimento

A suggerire il mito della rinascita è lo sviluppo delle arti figurative. Lo studio del

passato diventa necessario per l’azione politica del presente.

A contribuire alla diffusione della cultura e delle opere antiche e moderne è

l’invenzione della stampa a caratteri mobili che rivoluziona i modi della produzione

libraria, precedentemente affidati al manoscritto. Il primo libro stampato con questo

sistema è la Bibbia Mazzarina pubblicata fra il 1452 e il 1456, presso la stamperia di

Gutemberg. Da quel momento la stampa si diffonde in Germania, in Italia (1470), in

Svizzera, in Francia, nei Paesi Bassi e in Inghilterra. Accanto al tipografo lavora

l’intellettuale che svolge il ruolo di operatore culturale, presta la sua opera di

consulente, di correttore delle bozze di stampa, di ricercatore dei testi da stampare.

Fra i numerosi tipografi italiani si deve ricordare Aldo Manuzio, che opera a Venezia

e apporta notevoli innovazioni nella stampa: riduce le dimensioni del libro per

renderlo più maneggevole e per permettere che si tenga in mano, introduce un

elegante corsivo facilmente leggibile, stampa le edizioni dei testi dei poeti, ma senza

il commento erudito che appesantiva la lettura del libro. Con Aldo Manuzio

collaborano Erasmo da Rotterdam e Pietro Bembo.

I primi decenni del secolo XVI sono molto importanti per la cultura italiana, sia per il

posto predominate che viene ad assume la lingua letteraria volgare sul fondo

linguistico e letterario toscano, sia per lo sviluppo particolare che assunse la

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riflessione sull’uomo e sulla sua attività mondana. Questi due fenomeni affondano le

proprie radici nell’Umanesimo, che aveva dato molta importanza alla lingua, intesa

come strumento di comunicazione, e alla vita attiva, intesa come partecipazione nel

mondo e nella storia. All’inizio del secolo XVI la tradizione dell’accademie

umanistiche viene meno a causa della particolare situazione politica, e così si

indebolisce pian piano il culto per l’erudizione filologica e per la lingua latina.

La corte rinascimentale si chiude alla vita sociale, si distacca dalla popolazione e si

arrocca sulle proprie posizioni aristocratiche, si chiude nelle proprie manifestazioni

culturali. Nella corte il letterato perde la sua funzione di diplomatico, consigliere ed

educatore e viene relegato al compito subalterno di celebrare, adulando, i fasti del

casato.

La situazione economica degli Stati italiani entra in crisi e ad essa si aggiunge la

debolezza militare. La vita intellettuale si sviluppa, perché storici come Guicciardini,

poeti come Ariosto, trattatisti come Machiavelli approfondiscono i grandi temi

dell’Umanesimo, riflettendo sulla condizione dell’uomo e sulle sue capacità, sulla

grandezza e sui limiti della sua esistenza, sulla virtù e sulla fortuna, ma hanno dinanzi

agli occhi una realtà di sconvolgimenti che essi cercano di dominare in qualche

modo, attraverso l’analisi o attraverso un progetto di rinnovamento politico e morale.

In questi anni si possono evidenziare due principali line di pensiero: da un lato la

cultura fiorentina, che continua ad interrogarsi su problematiche di natura politica,

morale e istituzionale; dall’altro lato si continua la tradizione umanistica che si

evolve, in latino e in volgare, attraverso le forme tipiche del classicismo. Se queste

sono le due correnti culturali dominanti, non bisogna dimenticare che ogni corte

italiana gode di una propria specificità culturale.

A Firenze si succedono una serie di avvenimenti che ne sconvolgono la vita politica;

cade la signoria dei Medici, si istaura le repubblica, segue poi il gonfalonierato a vita

di Pier Soderini, il ritorno definitivo dei Medici, in seguito all’alleanza tra papa

Clemente VII de’ Medici e l’imperatore Carlo V. I Medici si affermano come dinastia

ducale che reggerà per vari anni il governo di Firenze e della Toscana. Questa

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complessa vicenda istituzionale e la partecipazione degli intellettuali alla vita politica

danno notevole impulso alle riflessioni sulla storia fiorentina, sulle ragioni della sua

instabile situazione politica, sugli interventi necessari per sanarla, sulla soluzione dei

suoi contrasti interni, sul sistema di relazioni diplomatiche con gli altri Stati italiani e

stranieri. Per questo in quegli anni sono numerosi i trattati di storiografia e di politica

e matura pian piano l’idea che dalla storia degli antichi si possa imparare per

intervenire nel presente. Si fa strada il concetto che esiste uno stretto rapporto tra

storia e politica.

Durante il gonfalonierato di Pier Soderini e il governo mediceo, gli intellettuali si

riuniscono negli Orti oricellari, presso Bernardo Rucellai, un aristocratico fiorentino,

per parlare di problemi politici ed istituzionali e per discutere sulla lingua volgare e

su quale modello proporre per una rinnovata letteratura. Su questo sfondo si attua la

formazione culturale e l’opera politica e storiografica di Machiavelli, autore di

un’opera sulla costituzione repubblicana, Discorsi sopra la prima deca di Titi Livio, e

di un trattato nuovo sul regime principesco, Il principe, ma anche di una storia

fiorentina e di alcune commedie. Machiavelli cerca un metodo per ristabilire la

situazione politica e lo trova nella storia: è convinto che la storia degli antichi possa

dare preziosi insegnamenti per il presente, per questo essa va imitata.

Scrive un trattato sul principato in cui il principe viene considerato come il principale

artefice dello Stato, il fondatore della comunità civile, ma con un rottura decisiva

rispetto al passato, perché la virtù politica, che porta stabilità di governo, per

Machiavelli non è più legata alla sfera etica, ma è autonoma. Il principe ideale che lui

delinea è dotato di qualità che nella prospettiva etica vengono considerate vizi, perché

rientrano in quella parte della natura umana più vicina all’istinto e alla “bestialità”.

L’astuzia della volpe e la violenza del leone caratterizzano la figura esemplare del

nuovo sovrano. La nuova impostazione del problema politico presuppone la fiducia

nelle capacità dell’uomo di essere artefice del proprio destino, ma affonda le sue

radici nel rapporto tra fortuna e virtù: l’azione attiva dell’uomo è ostacolata dalla

varietà e dalla imprevedibilità delle circostanze, ossia dalla fortuna, a cui l’uomo

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deve resistere. In questo consiste la vera virtù, cioè nella capacità di far convergere a

proprio favore gli eventi attraverso la precauzione, la tempestività e la

spregiudicatezza. L’opera di Machiavelli, quindi, si rifà alla realtà concreta delle

cose, e polemicamente si scaglia contro una tradizione idealizzante che non aveva

nessun riscontro nella realtà concreta.

La stessa relazione fra la diretta esperienza nella vita civile, la riflessione politica e il

ripensamento storiografico si manifesta in Guicciardini, autore di una Storia d’Italia

in volgare e di una raccolta di riflessioni di ordine etico e politico, intitolata Ricordi. I

suoi scritti sostengono costantemente il principio della necessaria duttilità del politico

per salvaguardare la sua posizione. La Storia d’Italia narra gli eventi accaduti in

Italia e in Europa dalla morte di Lorenzo il Magnifico (1492) alla morte di Clemente

VII (1534); l’autore procede con rigore storiografico, ricercando i documenti e

ricostruendo i fatti nella loro realtà nuda e cruda senza alcuna idealizzazione. La sua

attenzione è protesa a descrivere con evidenza i fatti, a valutarne gli aspetti, a

chiarirne il meccanismo reale. Lo studio psicologico dei personaggi serve a penetrare

il movente delle azioni intese come frutto delle passioni e della volontà degli

individui. Guicciardini non rinuncia ai particolari, perché proprio i particolari minuti

illustrano la verità; con l’abilità del narratore riesce a mostrare il gioco sfuggente

della fortuna, che è la vera protagonista della storia.

I Ricordi riportano la sua riflessione sul problema politico, è un’opera frammentaria

perché procede per brevi testi ed aforismi, ma è profondamente unitaria per quel che

concerne il concetto di fondo, è cioè che non sia possibile formulare un criterio che

valga sempre e comunque per gli uomini, perché ogni situazione dipende da una

complessità di fattori che influenzano la vita di ognuno pur non dipendendo da essa.

Il suo metodo di indagine nega, infatti, ogni sistematicità e mette in evidenza la

necessità di partire sempre dall’esperienza reale, pur nell’impossibilità di

generalizzare e di creare paradigmi di riferimento. Guicciardini invita a considerare

dettagliatamente ogni aspetto della realtà, a non affidarsi a preconcetti o illusioni.

L’azione che l’uomo sceglie di svolgere, per Guicciardini, deve essere il risultato di

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un’analisi precisa della situazione contingente, e quasi un atto di difesa da ogni

possibile attacco: scopo primario diventa la salvaguardia della propria vita e del

proprio onore, esposti entrambi ai colpi della fortuna. La “discrezione” (vale a dire il

discernimento), che indica la facoltà propria dell’intelletto di distinguere i casi

particolari con cui guidare la scelta morale, diventa fondamento della scelta pratica

del politico e dell’uomo in genere, al fine di realizzare nel modo migliore il proprio

utile.

La questione della lingua

Nel secolo XVI la letteratura volgare è ormai consolidata e si tende a scrivere

seguendo i canoni del classicismo. Questo porta gli intellettuali ad interrogarsi su

quale modello e quale lingua prendere in considerazione. La scelta ricade sul toscano.

Nel 1525 Pietro Bembo, veneziano che si era formato alla corte di Lorenzo il

Magnifico, pubblica le Prose della volgar lingua. Si tratta di un trattato che contiene

un progetto di rinnovamento e regolamentazione, sul piano dello stile più che sulla

grammatica, della lingua letteraria. Contrario alla fiducia nella spontaneità che

avrebbe conservato il volgare in posizione subalterna, Bembo additava i classici della

lingua volgare: Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa, e propone di imitarli.

Questa scelta scaturisce dalla necessità di cercare uno stile dolce, secondo il gusto

dell’epoca.

La corte di Ferrara

Il centro di Ferrara si distingue per la predilezione per i generi tipici

dell’intrattenimento di corte: la narrativa e il teatro. La letteratura che si sviluppa in

questo ambiente tende ad imitare il modello classico, ma nello stesso tempo a

gareggiare con esso. Nel Quattrocento Matteo Maria Boiardo aveva composto proprio

a Ferrara un poema cavalleresco, L’Orlando innamorato, raggiungendo risultati

artistici molto alti, superiori agli intenti della corte degli Estensi, signori di Ferrara.

L’opera risponde al programma aristocratico di ricondurre ad un livello di stile

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elevato la materia narrativa dei cicli cavallereschi, allo scopo di dilettare ed essere

svago per la corte.

Il piacere, il diletto e lo svago sono per la corte estense uno strumento politico, perché

vogliono mostrare la magnificenza della corte stessa. Il prodotto letterario deve allora

essere facilmente fruibile, in grado di essere letto e assaporato anche da chi non è un

intellettuale di professione. L’esigenza di adeguare la produzione alla misura classica

della magnificenza cortigiana induceva alla ricerca degli stessi principi che erano a

fondamento della grazia e della bellezza classica: l’unità nella varietà, la regolarità

nel disegno della narrazione, l’ampiezza della composizione. Ad interpretare

magistralmente questa linea espressiva è Ludovico Ariosto.

Ariosto

Ariosto sceglie di continuare la narrazione del suo poema da dove Bioardo aveva

interrotto il suo Orlando innamorato, per collegarsi alla tradizione precedente e ad un

genere molto gradito dalla corte. Il poeta, pur ricalcando la consuetudine propria dei

cantari, di collegarsi ad una storia nota per svilupparla e rimaneggiarla all’infinito,

inventava una storia nuova, sia nella struttura che nel senso complessivo del racconto.

Se Boiardo aveva trasferito sulla figura dell’eroe epico Orlando il tema amoroso,

Ariosto approfondisce il tema ripescando l’argomentazione classica per cui l’amore

porta al furore, alla follia, allo straniamento dell’uomo da sé. L’Orlando furioso

descrive infatti la follia in cui può cadere anche il più saggio tra gli uomini, il

paladino Orlando. Il cavaliere diventa così il simbolo della vita imprevedibile

dell’uomo, sempre sospeso tra la saggezza e la follia, forte e razionale, ma nello

stesso tempo esposto al gioco ingannevole della fortuna.

Il poema sviluppa tantissime tracce narrative, ma mantiene sempre la sua unità e

l’equilibrio tra le varie parti. La follia di Orlando è solo uno dei centri del poema, ma

è forse l’argomento più esemplificativo della condizione esistenziale dell’uomo di

corte e dell’uomo in generale: ogni uomo infatti è alla ricerca di una meta che gli

sfugge, ogni uomo rincorre e ricerca le cose che ha perduto. L’episodio di Astolfo

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che va sulla luna a recuperare il senno di Orlando rappresenta una prova notevole

della satira dell’autore nei confronti della vanità e della stoltezza del mondo.

Il petrarchismo

Un fenomeno letterario che si collega alla vita di corte è anche quello del

petrarchismo. Il petrarchismo sceglie di imitare lo stile di Petrarca e considera il

genere lirico insuperabile. L’autorità del poeta si era affermata soprattutto nella lirica

di corte, in cui la tematica amorosa costituiva il bagaglio culturale più ricco. Questa

lirica dava inoltre la possibilità di scegliere modi e temi dal testo petrarchesco adatti

alle varie circostanze.

L’imitazione di Petrarca diventa lo strumento che permette di sollevare il volgare a

lingua adatta per la letteratura, conferendogli la stessa dignità del latino. Petrarca è

considerato il poeta dell’equilibrio interiore e stilistico, un poeta che contempla la

leggiadria e la dolcezza con la gravità dei pensieri e delle forme. Su questa scia si

muovono vari poeti e poetesse tra cui: Vittoria Colonna, che idealizza la persona

amata scomparsa; Isabella Morra, che recupera le rime religiose di Petrarca; Gaspara

Stampa e Veronica Franco, che prediligono l’argomento amoroso ed erotico.