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24 CRITICAsociale 3-4 / 2012 Libia riteneva inoltre che una forma di colo- nizzazione fatta nel modo giusto avrebbe po- tuto rappresentare una buona opportunità sia per gli occupanti che per gli occupati. Dall’al- tra parte, Turati ( a differenza di Treves, che però subiva l’autorità del leader) non aveva mai mostrato un particolare interesse per la po- litica estera, e soprattutto non aveva nel suo DNA (almeno fino a quel momento) la voca- zione a rotture sulla sua sinistra e quindi con l’ala ‘rivoluzionaria’ del partito. Lo scontro si ripropose alla riunione con- giunta del gruppo parlamentare e della dire- zione del partito dell’8 febbraio 1912, che pre- ludeva al dibattito alla Camera, del 23 succes- sivo, per la conversione del RD sull’annessio- ne della Tripolitania e della Cirenaica, quando il gruppo socialista dichiarò il proprio voto contrario, mentre, nel segreto dell’urna, tredici deputati del PSI votarono a favore. Subito do- po Bissolati si dimetteva da deputato. Il 14 marzo un altro episodio metteva in evidenza la frattura ormai in atto: lo stesso Bissolati, in- sieme a Bonomi e Cabrini, si recavano al Qui- rinale per congratularsi con il re per essere scampato all’attentato organizzato dall’anar- chico Antonio D’Alba: un gesto che suscitò la reazione violenta di tutta la sinistra, con Mus- solini tra i critici più accesi. La resa dei conti avvenne al congresso di Reggio Emilia, tra il 7 e il 12 luglio, del 1912, dove la sinistra del partito, rafforzata anche dai contrasti in seno ai riformisti, si presentò con il 55% delle deleghe, puntando decisamente al- l’espulsione dei riformisti di Bissolati, accusati da Mussolini di “gravissima offesa allo spirito della dottrina e della tradizione socialista”. Pur non risparmiando critiche a Bissolati, Treves tenne una posizione più accomodante, temendo il rischio di una frattura, e allo stesso modo si pronunciò, su sollecitazione dell’ami- co, anche Turati, che si dichiarò contrario al- l’espulsione invocando ragioni di coscienza, ragioni che risultarono deboli di fronte alla vo- lontà della nuova maggioranza. Si arrivò così all’espulsione del gruppo dei riformisti di ‘destra’ (Bissolati, Bonomi, Cabri- ni e Podrecca), condannando all’isolamento la componente di Turati e Treves, che fino a quel momento aveva conservato l’egemonia nel par- tito e che dimostrò poi di non avere una politica riformista di ricambio. Gli espulsi andarono a formare il Partito socialista riformista italiano, con un suo nuovo giornale : “Azione sociale”. La scissione ebbe conseguenze tragiche per il socialismo riformista. Nonostante conser- vassero la maggioranza all’interno del sinda- cato, i riformisti, divisi in due tronconi, ven- nero ridotti praticamente all’impotenza,con conseguenze gravi per il futuro del Paese: dall’indebolimento del governo Giolitti all’in- certezza della politica di fronte alla crisi euro- pea del 1914. La guerra di Libia fece quindi precipitare le contraddizioni del riformismo socialista. Rifiutando le ragioni degli interessi nazionali, Turati e Treves rimasero succubi dell’ala intransigente, che avrebbe condannato il socialismo a un’opposizione sterile fino alla scissione del PCd’I del 1921, quando il futuro della democrazia in Italia era ormai largamen- te compromesso. Una amara conclusione per una forza politica e culturale, quella appunto del riformismo socialista, che negli anni pre- cedenti aveva dato un contributo importante al progresso materiale e sociale del Paese. Gli eventi degli anni successivi avrebbero dimo- strato che le parole di Bissolati, pronunciate nel 1910, erano giuste: il partito era ormai un “ramo secco”, incapace di reggere il confronto con le drammatiche prove che attendevano l’Italia e il movimento dei lavoratori. s Aldo Giovanni Ricci C osì com’è avvenuto per il dibat- tito pubblico, anche la storio- grafia ha continuato fino a que- sti ultimi anni ad avallare ricostruzioni parziali quando non ideologicamente viziate. Contem- poraneamente sono stati pubblicati alcuni stu- di circostanziati, ma poco approfonditi. Diverse ipotesi si sono susseguite nel corso del tempo, alcune chiaramente funzionali a ne- gare o minimizzare quanto più possibile un coinvolgimento dei vertici del PCI attribuendo la responsabilità dell’eccidio a un’iniziativa personale di «Giacca», o identificando nei mandanti dell’eccidio i soli sloveni. Per lungo tempo sono prevalse versioni tendenziose, pie- ne di omissioni quando non di vere e proprie falsificazioni storiche. Soprattutto, si è voluto ridurre Porzûs a un episodio di violenza (ome tanti altri, evitando di inquadrarlo nella particolare situazione del confine orientale, che non può essere ricondotta nei termini di una contrapposizione tra fasci- smo e antifascismo: qui emerse nel modo più evidente la triplice contrapposizione tra fascisti, antifascisti democratici e antifascisti comunisti e il carattere internazionalista del PCI, che su- bordinava la liberazione del paese all’obiettivo dell’instaurazione di un regime socialista. Nelle opere di più largo respiro di autori vi- cini al PCI, la scelta è stata quella di omettere l’eccidio di Porzûs o di considerarlo un episo- dio di scarso rilievo. Abbiamo già accennato alla scelta di Pavone di accennarvi in una nota, ma anche Paolo Spriano nella sua Storia del Partito comunista italiano non ne parla, pur ricordando la lettera di Togliatti a Bianco. 1 Roberto Battaglia a sua volta nella Storia della Resistenza italiana relega in una nota la descrizione dell’eccidio sostenendo, sulla base della sentenza della Corte di Assise di Lucca, che «l’omicidio ebbe per causale non il tradi- mento osovano e garibaldino, ma l’odio poli- tico divampato dall’anticomunismo di Bolla» che si sarebbe scontrato con «l’animosa intol- leranza di fanatici avversari». 2 Nello stesso tempo accenna solamente al passaggio della Natisone al IX Korpus attribuendolo non alla politica degli sloveni e alla subordinazione del PCI a Tito, ma alla necessità del momento: es- so fu «imposto dalle circostanze, dopo che il terribile rastrellamento del novembre le [alla Natisone] [aveva] lasciato solo questa via di scampos». 3 La versione accreditata da Battaglia secondo cui la responsabilità ultima dell’ eccidio sareb- be da imputare all’acceso anticomunismo de- gli stessi osovani e al clima di tensione tra ga- ribaldini e autonomi ebbe largo seguito nelle principali ricostruzioni successive e su di essa si sarebbero attestati la maggioranza degli au- tori. Nella sua Storia dell’Italia partigiana, Giorgio Bocca, pur condannando l’eccidio, ne addossa la colpa a Bolla, reo di aver denuncia- to le «mene slavo-comuniste»: Gli autonomi della Osoppo hanno commes- so l’imprudenza di mettere a Porzùs un distac- camento comandato da un certo Bolla (Fran- cesco De Gregari) uomo sbagliato nel luogo sbagliato. Un piccolo reparto «verde» in mez- zo al mare «rosso» potrebbe sopravvivere solo al prezzo di un’attività militare tale da meritare la stima e da incutere rispetto; purtroppo, Bol- la è un. attendista afflitto da grafomania, il quale invece di difendere l’italianità del luogo sui campi di battaglia, scrive in continuazione rapporti al CLN di Udine sulle mene slavo-co- muniste. L’alleanza fra gli slavi e i garibaldini è un fatto reale, la politica internazionale im- pone al PCI di sacrificare in parte gli interessi nazionali, volenti o nolenti i garibaldini devo- no piegarsi ad accettare una certa supremazia titina. Ma Porzùs non deriva da un ordine titi- no, Porzùs è una faccenda italiana, le accuse e le denunce di Bolla, ripetute al CLN di Udine, mettono in allarme i rappresentanti comunisti, da essi parte l’avviso al Comando della Divi- sione Natisone: risolvete in qualche modo la grana Bolla. li Comando di divisione esegue: Bolla sarà messo a tacere in quel modo che non ha rimedio, la morte. 4 Al contrario di quanto ha sostenuto Bocca, Porzûs non è una «faccenda italiana». Oltre al- la documentazione da noi citata altri elementi mostrano la rilevanza internazionale dell’ epi- sodio, come i rapporti, che finora non sono sta- ti adeguatamente sottolineati, tra Toffanin «Giacca» e alcuni «elementi del servizio in- formazione e sicurezza dei partigiani sloveni» dopo il 1943, elemento che dovrebbe avere una certa rilevanza. 5 Non solo, ma alcuni autori hanno messo sul- lo stesso piano la subordinazione dei comuni- sti alle tesi jugoslave con l’anticomunismo de- gli osovani, riconducendo l’eccidio allo scon- tro tra due estremismi entrambi esecrabili. Giampaolo Gallo ad esempio, che pur condan- na nettamente le responsabilità indirette del Partito comunista nell’eccidio, scrive che «da una parte [...] i comunisti triestini e isontini rompono col CLN e aderiscono alle tesi jugo- slave [...] dall’altra [...] i partiti moderati giu- liani, e anche friulani, cedono a un crescente inquietante di risentimento antislavo, naziona- lista e anticomunista, in pericolosa assonanza con quello fascista e tedesco. 6 Facendo un passo ulteriore, altri autori si so- no concentrati poi sui contatti tra gli osovani e la X MAS nei mesi precedenti all’eccidio, circostanza che avrebbe se non giustificato quanto meno reso comprensibile la reazione degli uomini di Toffanin. Su questo aspetto ha insistito ad esempio Alberto Buvoli, oggi Di- rettore dell’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione. Secondo Buvoli, L’efferatezza dell’ eccidio e l’animosità che ne fu alla base furono probabilmente una co- munque ingiustificata e violenta risposta al comportamento a volte equivoco di alcuni co- mandanti dell’Osoppo, che, nonostante i ripe- tuti richiami degli organi dirigenti della Resi- stenza italiana, non si peritarono di prender contatti e di dimostrarsi disponibili ad accordi con il nemico, con comandanti tedeschi e con esponenti fascisti locali e della X MAS, con- tatti che avevano come obiettivo anche un ca- povolgimento di fronte in funzione antislove- na e anticomunista. 7 Tali accuse, che arrivano fino ad attribuire alle «Osoppo» la volontà di passare dalla parte dei fascisti e dei tedeschi contro i titini, non so- no mai state provate, ma sono riuscite a oscu- rare il carattere antifascista delle formazioni delle «Osoppo» e a delegittimarne l’azione. 8 Sulla stessa linea, anche se in tono minore, le valutazioni di Pierluigi Pallante, secondo cui l’uccisione fu decisa non dai dirigenti - vi- sto che non c’è alcun ordine scritto che la pro- vi - ma da Giacca e dai suoi, per reazione ai contatti degli osovani con i repubblichini. 9 Alessandra Kersevan ha addirittura adombrato la responsabilità nell’ eccidio di rappresentati dei servizi segreti americani, che avrebbero operato per dividere al suo interno la Resisten- za italiana in combutta con i membri della «Gladio», che peraltro non era ancora nata. 10 Naturalmente, tali considerazioni non si basa- no su alcun solido apparato documentario. Non sembra innanzitutto ammissibile met- tere sullo stesso piano la connivenza dei co- munisti italiani con un regime dittatoriale co- me quello titino, che mirava a sottrarre all’Ita- lia pezzi importanti del paese, con l’anticomu- nismo che faceva parte del portato ideale dell’«Osoppo». Non solo perché tale equipa- razione è moralmente inaccettabile, ma anche perché l’anticomunismo dell’«Osoppo», a dif- ferenza di quanto avvenne per i comunisti, non È MOSCA CHE IMPONE AL PCI DI SACRIFICARE GLI INTERESSI NAZIONALI “PORZUSNELLA STORIOGRAFIA LA OSOPPO E IL MANCATO ROVESCIAMONETO DI FRONTEElena Aga Rossi

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Libia riteneva inoltre che una forma di colo-nizzazione fatta nel modo giusto avrebbe po-tuto rappresentare una buona opportunità siaper gli occupanti che per gli occupati. Dall’al-tra parte, Turati ( a differenza di Treves, cheperò subiva l’autorità del leader) non avevamai mostrato un particolare interesse per la po-litica estera, e soprattutto non aveva nel suoDNA (almeno fino a quel momento) la voca-zione a rotture sulla sua sinistra e quindi conl’ala ‘rivoluzionaria’ del partito.

Lo scontro si ripropose alla riunione con-giunta del gruppo parlamentare e della dire-zione del partito dell’8 febbraio 1912, che pre-ludeva al dibattito alla Camera, del 23 succes-sivo, per la conversione del RD sull’annessio-ne della Tripolitania e della Cirenaica, quandoil gruppo socialista dichiarò il proprio votocontrario, mentre, nel segreto dell’urna, tredicideputati del PSI votarono a favore. Subito do-po Bissolati si dimetteva da deputato. Il 14marzo un altro episodio metteva in evidenzala frattura ormai in atto: lo stesso Bissolati, in-sieme a Bonomi e Cabrini, si recavano al Qui-rinale per congratularsi con il re per esserescampato all’attentato organizzato dall’anar-chico Antonio D’Alba: un gesto che suscitò lareazione violenta di tutta la sinistra, con Mus-solini tra i critici più accesi.

La resa dei conti avvenne al congresso diReggio Emilia, tra il 7 e il 12 luglio, del 1912,dove la sinistra del partito, rafforzata anche daicontrasti in seno ai riformisti, si presentò conil 55% delle deleghe, puntando decisamente al-l’espulsione dei riformisti di Bissolati, accusatida Mussolini di “gravissima offesa allo spiritodella dottrina e della tradizione socialista”.

Pur non risparmiando critiche a Bissolati,Treves tenne una posizione più accomodante,temendo il rischio di una frattura, e allo stessomodo si pronunciò, su sollecitazione dell’ami-co, anche Turati, che si dichiarò contrario al-l’espulsione invocando ragioni di coscienza,ragioni che risultarono deboli di fronte alla vo-lontà della nuova maggioranza.

Si arrivò così all’espulsione del gruppo deiriformisti di ‘destra’ (Bissolati, Bonomi, Cabri-ni e Podrecca), condannando all’isolamento lacomponente di Turati e Treves, che fino a quelmomento aveva conservato l’egemonia nel par-tito e che dimostrò poi di non avere una politicariformista di ricambio. Gli espulsi andarono aformare il Partito socialista riformista italiano,con un suo nuovo giornale : “Azione sociale”.

La scissione ebbe conseguenze tragiche peril socialismo riformista. Nonostante conser-vassero la maggioranza all’interno del sinda-cato, i riformisti, divisi in due tronconi, ven-nero ridotti praticamente all’impotenza,conconseguenze gravi per il futuro del Paese:dall’indebolimento del governo Giolitti all’in-certezza della politica di fronte alla crisi euro-pea del 1914. La guerra di Libia fece quindiprecipitare le contraddizioni del riformismosocialista. Rifiutando le ragioni degli interessinazionali, Turati e Treves rimasero succubidell’ala intransigente, che avrebbe condannatoil socialismo a un’opposizione sterile fino allascissione del PCd’I del 1921, quando il futurodella democrazia in Italia era ormai largamen-te compromesso. Una amara conclusione peruna forza politica e culturale, quella appuntodel riformismo socialista, che negli anni pre-cedenti aveva dato un contributo importante alprogresso materiale e sociale del Paese. Glieventi degli anni successivi avrebbero dimo-strato che le parole di Bissolati, pronunciatenel 1910, erano giuste: il partito era ormai un“ramo secco”, incapace di reggere il confrontocon le drammatiche prove che attendevanol’Italia e il movimento dei lavoratori. s

Aldo Giovanni Ricci

C osì com’è avvenuto per il dibat-tito pubblico, anche la storio-grafia ha continuato fino a que-

sti ultimi anni ad avallare ricostruzioni parzialiquando non ideologicamente viziate. Contem-poraneamente sono stati pubblicati alcuni stu-di circostanziati, ma poco approfonditi.

Diverse ipotesi si sono susseguite nel corsodel tempo, alcune chiaramente funzionali a ne-gare o minimizzare quanto più possibile uncoinvolgimento dei vertici del PCI attribuendola responsabilità dell’eccidio a un’inizia tivapersonale di «Giacca», o identificando neimandanti dell’eccidio i soli sloveni. Per lungotempo sono prevalse versioni tendenziose, pie-ne di omissioni quando non di vere e propriefalsificazioni storiche.

Soprattutto, si è voluto ridurre Porzûs a unepisodio di violenza (ome tanti altri, evitandodi inquadrarlo nella particolare situazione delconfine orientale, che non può essere ricondottanei termini di una contrapposizione tra fasci-smo e antifascismo: qui emerse nel modo piùevidente la triplice contrapposizione tra fascisti,antifa scisti democratici e antifascisti comunistie il carattere internazionalista del PCI, che su-bordinava la liberazione del paese all’obiettivodell’instaurazione di un regime socialista.

Nelle opere di più largo respiro di autori vi-cini al PCI, la scelta è stata quella di ometterel’eccidio di Por zûs o di considerarlo un episo-dio di scarso rilievo. Ab biamo già accennatoalla scelta di Pavone di accennarvi in una nota,ma anche Paolo Spriano nella sua Storia delPartito comunista italiano non ne parla, purricordando la lettera di Togliatti a Bianco. 1

Roberto Battaglia a sua volta nella Storiadella Resi stenza italiana relega in una nota ladescrizione dell’eccidio sostenendo, sulla basedella sentenza della Corte di Assise di Lucca,che «l’omicidio ebbe per causale non il tradi -mento osovano e garibaldino, ma l’odio poli-tico divampato dall’anticomunismo di Bolla»

che si sarebbe scontrato con «l’animosa intol-leranza di fanatici avversari».2 Nello stessotempo accenna solamente al passaggio dellaNatisone al IX Korpus attribuendolo non allapolitica degli sloveni e alla subordinazione delPCI a Tito, ma alla necessità del momento: es-so fu «imposto dalle circostanze, dopo che ilterribile rastrellamento del novembre le [allaNatisone] [aveva] lasciato solo questa via discampos».3

La versione accreditata da Battaglia secondocui la responsabilità ultima dell’ eccidio sareb-be da imputare all’acceso anticomunismo de-gli stessi osovani e al clima di tensione tra ga-ribaldini e autonomi ebbe largo seguito nelleprincipali ricostruzioni successive e su di essasi sa rebbero attestati la maggioranza degli au-tori. Nella sua Storia dell’Italia partigiana,Giorgio Bocca, pur condan nando l’eccidio, neaddossa la colpa a Bolla, reo di aver denuncia-to le «mene slavo-comuniste»:

Gli autonomi della Osoppo hanno commes-so l’imprudenza di mettere a Porzùs un distac-camento comandato da un certo Bolla (Fran-cesco De Gregari) uomo sbagliato nel luogosba gliato. Un piccolo reparto «verde» in mez-zo al mare «rosso» potrebbe sopravvivere soloal prezzo di un’attività militare tale da meritarela stima e da incutere rispetto; purtroppo, Bol-la è un. attendista afflitto da grafomania, ilquale invece di difendere l’italianità del luogosui campi di battaglia, scrive in continua zionerapporti al CLN di Udine sulle mene slavo-co-muniste. L’alleanza fra gli slavi e i garibaldiniè un fatto reale, la poli tica internazionale im-pone al PCI di sacrificare in parte gli in teressinazionali, volenti o nolenti i garibaldini devo-no piegarsi ad accettare una certa supremaziatitina. Ma Porzùs non deriva da un ordine titi-no, Porzùs è una faccenda italiana, le accuse ele denunce di Bolla, ripetute al CLN di Udine,mettono in allarme i rappresentanti comunisti,da essi parte l’avviso al Co mando della Divi-

sione Natisone: risolvete in qualche modo lagrana Bolla. li Comando di divisione esegue:Bolla sarà messo a tacere in quel modo chenon ha rimedio, la morte.4

Al contrario di quanto ha sostenuto Bocca,Por zûs non è una «faccenda italiana». Oltre al-la documen tazione da noi citata altri elementimostrano la rilevanza internazionale dell’ epi-sodio, come i rapporti, che finora non sono sta-ti adeguatamente sottolineati, tra Toffanin«Giacca» e alcuni «elementi del servizio in-formazione e sicurezza dei partigiani sloveni»dopo il 1943, elemento che dovrebbe avereuna certa rilevanza.5

Non solo, ma alcuni autori hanno messo sul-lo stesso piano la subordinazione dei comuni-sti alle tesi jugoslave con l’anticomunismo de-gli osovani, riconducendo l’ecci dio allo scon-tro tra due estremismi entrambi esecrabili.Giampaolo Gallo ad esempio, che pur condan-na netta mente le responsabilità indirette delPartito comunista nell’eccidio, scrive che «dauna parte [...] i comunisti triestini e isontinirompono col CLN e aderiscono alle tesi jugo-slave [...] dall’altra [...] i partiti moderati giu -liani, e anche friulani, cedono a un crescenteinquietante di risentimento antislavo, naziona-lista e anticomunista, in pericolosa assonanzacon quello fascista e tedesco.6

Facendo un passo ulteriore, altri autori si so-no con centrati poi sui contatti tra gli osovanie la X MAS nei mesi precedenti all’eccidio,circostanza che avrebbe se non giustificatoquanto meno reso comprensibile la rea zionedegli uomini di Toffanin. Su questo aspetto hain sistito ad esempio Alberto Buvoli, oggi Di-rettore dell’Isti tuto Friulano per la Storia delMovimento di Liberazione.

Secondo Buvoli, L’efferatezza dell’ eccidio e l’animosità che

ne fu alla base furono probabilmente una co-munque ingiustificata e violenta ri sposta alcomportamento a volte equivoco di alcuni co-mandanti dell’Osoppo, che, nonostante i ripe-tuti richiami degli organi dirigenti della Resi-stenza italiana, non si peritarono di prendercontatti e di dimostrarsi disponibili ad accordicon il nemico, con comandanti tedeschi e conesponenti fascisti locali e della X MAS, con-tatti che avevano come obiettivo anche un ca-povolgi mento di fronte in funzione antislove-na e anticomunista.7

Tali accuse, che arrivano fino ad attribuirealle «Osoppo» la volontà di passare dalla partedei fascisti e dei tedeschi contro i titini, non so-no mai state provate, ma sono riuscite a oscu-rare il carattere antifascista delle formazionidelle «Osoppo» e a delegittimarne l’azione.8

Sulla stessa linea, anche se in tono minore,le valutazioni di Pierluigi Pallante, secondocui l’uccisione fu decisa non dai dirigenti - vi-sto che non c’è alcun ordine scritto che la pro-vi - ma da Giacca e dai suoi, per reazione aicontatti degli osovani con i repubblichini.9

Alessandra Kersevan ha addirittura adombratola responsabilità nell’ eccidio di rappresentatidei servizi segreti americani, che avrebberooperato per dividere al suo interno la Resisten-za italiana in combutta con i membri della«Gladio», che peraltro non era ancora nata.10

Naturalmente, tali considerazioni non si basa-no su alcun solido apparato documentario.

Non sembra innanzitutto ammissibile met-tere sullo stesso piano la connivenza dei co-munisti italiani con un regime dittatoriale co-me quello titino, che mirava a sot trarre all’Ita-lia pezzi importanti del paese, con l’anticomu-nismo che faceva parte del portato idealedell’«Osoppo». Non solo perché tale equipa-razione è moralmente inaccet tabile, ma ancheperché l’anticomunismo dell’«Osoppo», a dif-ferenza di quanto avvenne per i comunisti, non

■ È MOSCA CHE IMPONE AL PCI DI SACRIFICARE GLI INTERESSI NAZIONALI

“PORZUS” NELLA STORIOGRAFIALA OSOPPO E IL MANCATO “ROVESCIAMONETO DI FRONTE”

Elena Aga Rossi

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portò mai i suoi membri ad imbracciare le ar-mi contro quelli che erano comunque i loro al-leati nella causa antifascista.

In secondo luogo il tema dei contatti con leformazioni fasciste è assai più complesso dicome si vorrebbe dare a vedere. Rapporti trale forze di resistenza e gli occupanti hanno ca-ratterizzato tutti i teatri europei, e uno dei casipiù clamorosi in questo senso riguarda proprioil campione della resistenza comunista, il ma-resciallo Tito, che arrivò a proporre ai tedeschiun’ alleanza contro i nazionalisti di Mihailo-vié: una soluzione che non si concretizzò soloper intervento diretto di Hitler che impedì aisuoi comandanti di procedere in questo sen-so.11 Nel caso dell’«Osoppo» si trattò soprat-tutto di rapporti incoraggiati dalla Curia perscopi umanitari, o di trattative avviate da uo-mini della X MAS o dei servizi segreti alleatiche, pur se portarono a colloqui tra esponentidelle due parti, non ebbero alcun seguito daparte dei vertici dell’ «Osoppo». Quello che lericostruzioni che insistono su questi aspettinon prendono in considerazione è soprattuttoil fatto che l’ostilità nei confronti degli osovaniaveva ragioni prettamente ideolo giche e pre-scindeva da qualsiasi atteggiamento che questiultimi avessero voluto adottare. Tutt’altra que-stione è rile vare l’inopportunità di questi con-tatti in una situazione già di per sé tesa,12 o ilfatto che la loro conoscenza sia stata utilizzataad arte per confermare le accuse, totalmentein ventate, di una connivenza tra fascisti e oso-vani, e quindi del tradimento di questi ultimi.

Nella metà degli anni Novanta sono statipubblicati alcuni resoconti più bilanciati dell’eccidio. Risale al 1996 un primo tentativo, adopera di una giovane studiosa dell’Universitàdi Pisa, Daiana Franceschini, di elaborare unaricostruzione dei fatti basata su un uso rigorosodella documentazione esistente.13 Nel 1997Sergio Gervasutti pubblicò una nuova edizionedel suo volume su Porzùs, nel quale sostenevache «se il Friuli Venezia Giulia alla fine dellaguerra di liberazione è potuto rimanere italianoe appartenere al mondo occidentale, lo si devein buona parte all’Osoppo, i cui combattenti siopposero alla stra tegia del pcr, che avrebbe vo-luto annetterlo alla Federa zione Jugoslava-va».14 Nel 2004 Ugo Finetti ha dedicato am piospazio all’ eccidio e alla sua memoria nel suovolume sulla «Resistenza cancellata».15

Nonostante decenni di polemiche e ricerche,non è comunque tuttora disponibile un’esau-riente ricostru zione che inquadri l’episodio nelsuo contesto, analiz zando l’eccidio in relazioneal tema più generale non solo dei rapporti in-terni alla Resistenza italiana e della poli tica delpcr, ma anche delle relazioni tra le altre forzein campo, i comunisti sloveni e la X Mas, cheanche in contrasto con i tedeschi era accorsanella Venezia Giulia per difenderne l’italianità.A sessant’anni di distanza da gli eventi, si trattadi una lacuna certamente rilevante, alla qualequesto volume cerca almeno parzialmente diporre rimedio per contribuire a una più chiaraconoscenza di quel periodo. La recente pubbli-cazione di alcuni testi su questo tema fa pen-sare però che il raggiungimento di un consensosulla vicenda sia ancora lontano. Emblematicoa questo proposito il Dizionario della Resisten-za edito da Einaudi nel 2000-2001. Qui, accan-to a un equilibrato contributo su Porzûs di Gal-liano Fogar, se ne può leg gere uno firmato daMarco Puppini secondo il quale il 7 febbraio1945 «l’intero comando della I brigata [Osop-po] è arrestato da uomini dei GAP a Porzûs»,senza che si faccia alcun riferimento all’ecci-dio.16 Ultimo a riprendere la versione dei con-tatti tra osovani da una parte fascisti e tedeschidall’ altra, cui si aggiunge una presunta ucci-sione di garibaldini come causa scatenante del-l’eccidio, è stato invece Joze Pirjevec, in un

saggio pubblicato nel 2010 sempre daEinaudi.17 Il libro di Pirjevec mostra comemolto lavoro sia ancora da fare per restituire aicaduti di Porzùs il ruolo che loro spetta di di-fensori dell’italianità di quelle terre.

Nell’agosto del 1945 Pier Paolo Pasolini, ilcui fra tello cadde nell’ eccidio, così ricordòquel crimine:

essendo stato richiesto a questi giovani, ve-ramente eroici, di militare nelle file garibaldi-no-slave, essi si sono rifiutati dicendo di volercombattere per l’Italia e la libertà; non per Titoe il comunismo. Così sono stati ammazzati tut-ti, barbaramente.18

Questa potrebbe essere un’ epigrafe idealeper ricor dare il loro sacrificio, che aspetta an-cora di essere ricono sciuto come parte del pa-trimonio della nazione. s

“L'eccidio di Porzus e la sua memoria”saggio pubblicato in Tommaso Piffer (a curadi) "Porzus. Violenza e Resistenza sul confineorientale" edito da Il Mulino, 2013, 15 euro.

NOTE

1 P. Spriano, Storia del Partito comunistaitaliano, cit., pp. 437-438.

Anche Wörsdörer, autore di uno studio suirapporti tra Italia e Jugo slavia in cui si soffer-ma sulle vicende delle formazioni comunistee au tonome italiane e sui rapporti con i coman-di sioveni, omette l’eccidio di Porzûs: R. Wör-sdörer, Il confine orientale. Italia e Jugoslaviadal 1915 al 1955, Bologna, Il Mulino, 2009.

2 R. Battaglia, Storia della Resistenza italia-na, Torino, Einaudi, 1964, pp. 442- 443.

3 Ibidem, p. 442. 4 G. Bocca, Storia dell’Italia partigiana, Ba-

ri, Laterza, 1966, p. 441.5 Cfr. G. Fogar, L’antifascismo operaio

monfalconese tra le due guer re, Milano, Van-gelista, 1982, p. 254. Ringrazio Patrick Kar-lsen per la citazione.

6 G. Gallo, La Resistenza in Friuli, Udine,Istituto Friulano per la Storia del Movimentodi Liberazione, 1988, p. 209.

7 A. Buvoli (a cura di), Le formazioni Osop-po Friuli, cit., p. 26.

8 Sull’azione della X Mas in quell’area siveda S. De Felice, La Decima Flottiglia Mase la Venezia Giulia 1943-1945, Roma, Edizio-ni Settimo sigillo, 2000.

9 Cfr. P. Pallante, Il PCI e la questione na-zionale, Friuli- Venezia Giulia 1941-1945,Udine, Del Bianco, 1980, pp. 236 ss. Si vedaanche M. Cesselli, Porzûs, due volti della Re-sistenza, cit., 1975.

10 R. Kersevan, Porzûs, dialoghi sopra unprocesso da rifare, cit.

11 Si questo si veda il racconto di M. Gilas,Wartime, New York London, Harcourt BraceJovanovich, 1977, pp. 229-245, e anche W.Roberts, Tito, Mihailovié and tbe Allies, 1941-1945, II ed., Durham, N.C., Duke UniversityPress, 1987, pp. 106-112.

12 Si veda a questo proposito A. Moretti, Ilproblema delle zone di confine tra Italia e Ju-goslavia nella provincia di Udine nell’ultimafase della Resistenza, in «Storia contempora-nea in Friuli», V, 6, 1975, pp. 121-132, e le os-servazioni dell’agente arruolato in una missio-ne dei servizi segreti americani che favorl talicontatti, Cino Boccazzi (Moven ti e pretesti al-le malghe di Porzûs, in «Storia contemporaneain Friuli», VI, 7,1976, pp. 331-339).

13 D. Franceschini, Porzùs, cit, 14 S. Gervasutti, Il giorno nero di Porzùs,

cit., p. 7.

15 U. Finetti, La Resistenza cancellata, Mi-lano, Ares, 2004, pp. 307 -320.

16 M. Puppini, FriulI; divisione Osoppo, inE. Collotti, R. Sandri e F. Sessi (a cura di), Di-zionario della Resistenza, val. II, Torino, Ei-nau di, 2001, p. 200.

17 J. Pirjevec, Foibe, Una storia d’Italia, To-rino, Einaudi, 2010. Non si può fare a meno dinotare che se tale circostanza fosse vera sareb-be stata certamente utilizzata dalla difesa deigaribaldini accusati dell’ ecci dio nel corso deiprocessi celebrati negli anni ‘50. L’autore noncita al cun documento specifico per sostenerele sue affermazioni, ma indica i me negli ar-chivi di Stato russo (Fond 17, Opis 128, Delos799 and 800). A seguito di nostra specifica ri-chiesta i responsabili dell’archi vio V. Shepeleve S. Rosenthal hanno risposto che in tale col-locazione non sono stati rivenuti documentirelativi a un «conflitto tra partigia ni comunistie partigiani democratici sul confine orientaleitaliano nel 1945». Ringrazio Patrick Karlsenper la consulenza archivistica.

18 Lettera a Luciano Serra, 21 agosto 1945,in P.P. Pasolini, Lettere agli amici, Parma,Guanda, 1976.

Il 10 agosto 1812, duecento anni fa, il luo-gotenente del Regno di sicilia, Francescodi Borbone, firmò la Costituzione che ilParlamento siciliano aveva approvato aconclusione di un lungo braccio di ferro frala monarchia borbonica che intendeva af-fermare anche in Sicilia la propria sovra-nità e i baroni siciliani che non intendevanorinunciare ai propri privilegi. La nuovaCostituzione, il cui impianto risentiva del-l’esperienza inglese, sanciva la fine dellafeudalità, allargava la base del potere ma,a nostro avviso, non determinava un realemutamento dei rapporti economico-sociali

nell’isola. Il possesso feudale si trasformòinfatti in proprietà latifondista e i baroni,per di più, aggiunsero una nuova legittima-zione di diritto a quella fondata sulla con-suetudine e, soprattutto, vennero ricono-sciuti nell’antica pretesa di essere l’incar-nazione stessa della nazione siciliana.

L a Costituzione del 1812 apre laporta della Sicilia alla moder-nità, nel senso che offre spazio

di libera discussione a tutte quelle novità cul-turali diffuse nel resto d’Europa, anche per

■ UN PEZZO DI CULTURA INGLESE NELLA STORIA ITALIANA

LA NAZIONE SICILIANA DEL 1812LA PRIMA COSTITUZIONE FU NEL REGNO BORBONE

Pasquale Hamel