Dalla paura del castigo a quella di essere brutti · tro, ovvero le nostre paure. «Siamo così...

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Dalla paura del castigo a quella di essere brutti: Charmet spiega cosa spaventa i giovani di oggi MERATE [zsb] Partecipato, forse un po' lungo e poco or- ganico, ma sicuramente inte- ressante per i tanti spunti of- ferti alla riflessione dei pre- senti, il convegno «Lefigure della paura» organizzato dall'Istituto Viganò. Quattro gli illustri relatori, moderati dalla psicoterapeuta Marisa Zipoli, chiamati venerdì nell' auditorium municipale, ad affrontare l'<<indicibile» tema della paura. A catapul- tare il pubblico in medias res è stata la proiezione di un estratto delfilm «La paura siCura» di Gabriele Vacis, che il 28 novembre sarà tra i protagonisti del secondo ap- puntamento del progetto. Gi- rato in sei città italiane, da Catania a Settimo Torinese, la pellicola è di fatto una «seduta psicoanalitica» co- me lo ha definito lo stesso Va- cis, sulla paura. Sul palco per i saluti di rito la dirigen- te scolastica Manuela Cam- peggi, l'ideatrice del progetto Alba Folcio e l'assessore alla Cultura Giusi Spezzaferri: «La crisi economica di cui tutti parlano in realtà è la più grande crisi etica mai vissuta dalla nostra società e se ne uscirà solo con un sussulto dell' etica della responsabilità» MERATE (zsb) «Siamo passati da un modello educativo fondato sulla paura del castigo ad. uno che ha eliminato il dolore, con il risultato che una volta i ragazzi avevano paura di essere cattivi, oggi hanno paura di essere brut- ti. Dal senso di colpa siamo pas- sati alla paura della mortifica- zione, dalla dimensione dell' etì- ca a quella dell' estetica». Questa, in estrema sintesi, la lucida e spietata .analisi portata alla riflessione di genitori e edu- catori dal professor Gustavo Pietropolli Charmet, il noto psicanalista e psichiatra tra i massimi esperti delle problema- tiche dell' adolescenza. «Che la paura della morte sia la testa di serie delle paure è un dato di fatto - ha esordito il pro- fessor Charmet - lo però nella mia vita non ho mai avuto paura della morte, in realtà ho avuto doloroso e faticoso, incutermi paura? Perché erano sicuri che fossi in pericolo, che dietro la facciata dell' ob- bedienza e dell'interioriz- zazione delle regole e dei va- Iorì allignassèro in me, come in tutti i figli dell'uomo, im- pulsi e istinti che da solo non avrei mai potu- to tenere a bada e che la natura mi avrebbe pri- ma o poi so- spinto contro la cultura. Il timo- re del castigo e della punizione serviva dunque a non farmi ce- dere alle lusinghe della natura». paura delle persone che amavo e che mi amavano. Mio padre, che era intelli- gente, colto e raffinato e che pure mi amava molto, forse ad- dirittura mi ido- latrava, mi incu- teva una paura profonda. An- che il mio pro- fessore universi: t ar ì o, il mio maestro e il mio idolo, che vede- va in me un al- lievo promet- tente con una folgorante car- riera davanti, mi GustavoPietropolliCharmet faceva paura. Perché? Perché mio padre e il mio maestro ritenevano loro do- vere, e un compito sicuramente Il musicoterapeuta Dario Benatti: «La creatività ci salverà» MERATE (zsb) Ha lasciato che fosse la canzone «De- rnons», degli Imagine Dra- gons, ad introdurre per lui il tema della paura oggetto del convegno. Dario Benatti, docente di Musica alle scuo- le medie Manzoni, ma so- prattutto musicoterapeuta esperto nel trattamento dei pazienti coma tosi e post co- matesi, ha richiamato a suo n di musica l'attenzione della platea sui «demoni», appunto, che abbiamo den- tro, ovvero le nostre paure. «Siamo così spaventati dalle nostre paure, che non le conosciamo neppure: proprio perché ci risultano intollerabili non riusciamo a sostarvi dentro e a guardarle per quello che sono - ha detto Benatti, che si è servito anche della violoncellista Gemma Pedrini per dar vo- ce con la sua musica al suono cacofonico e disor- dinato della paura - solo l'arte, in tutte le sue espres- . sìonì, ci permette di tirarle fuori e di guardarle» .. Tutti i sentimenti e gli stati d'animo hanno un senso, ha ricordato Benatti, compresa la paura ed anche la rabbia. «Secondo quello che ho im- parato nella mia ventennale esperienza di lavoro sui pa- zienti post comatosi, il senso della paura, per chi la prova, è trovare qualcuno che stia con me nel momento in cui sto male. Se la ascoltiamo, se riusciamo ad esprimerla, riusciamo anche ad aprire in essa una breccia in cui dar spazio e voce al desiderio, che è la spinta, il motore, che ci spinge ad andare oltre noi stessi». Oggi la paura non rappresen- ta più lo strumento dell'inter- vento educativo nei confronti dei bambini e dei ragazzi, ha continuato Charmet: «Mamma e papà hanno infatti deciso che la quantità di dolore a scopo educativo deve tendere a zero». L'effetto di questo è sotto gli oc- chi di tutti: <<Ipreadolescenti non hanno paura del papà, degli adulti e dei professori. I miei nipotini vanno a scuola allegri e sereni anche se non hanno fatto i compiti, e tornano a casa sban- dierando la nota che hanno pre- so a scuola senza alcuna preoc- . cupazione», Come mai? Perché siamo passati dal ritenere il bambino nella culla un piccolo selvaggio, il figliodi Lucifero da correggere, educare e sostenere durante la crescita, al ritenere quello stesso bambino innocente e perfetto, e quindi il più buono in assoluto, oltre che il più intelligente e il più dotato. Compito dell'adulto è diventato non già quello di correggerlo, ma di aiutarlo a rea- lizzarsi tirando gli fuori il suo te- soro». E così è successo che il ra- gazzino problematico, che negli anni '60 veniva portato dallo psicologo per i suoi smodati comportamenti di ribellione, o viceversa di sottomissione esa- gerata, sia stato sostituito oggi da un altro tipo di preadole- scente che, pur essendo final- mente libero dalla paura del ca- stigo e quindi libero di godere dell' esercizio della sessualità e dell'autonomia, soffre però di un'altra paura. «Che non è quel- la di essere cattivo, ma di essere brutto e cioè invisibile, inadatto al successo e alla popolarità a causa di una corporeità inade- guata - ha puntualizzato Char- met tenendo con il fiato sospeso i tanti genitori presenti - Il sen- timento di colpa è stato sosti- tuito dalla paura della morti- ficazione e deìl'umtlìuzkuu: di non sentirsi desìdenu I l' luvltu}] a far parte di un gruppo, Il 1'1111 la, nello sport e nel quurth-n-, I causa di un corpo che sl ghull« I intrinsecamente brutto. ()IU'NIIl dipende dalle aspettative dI'I c' che sono molto alte, ma n Il cisisticamente fragili». E come esprimono i ragazzi la loro vergogna? «Non la verhu lizzano ma la esprimono in comportamenti di manipolazio ne del corpo al limite della vio- lenza (vedi digiuni ostinati in corpi troppo magri), oppure ri- tirandosi in casa e sviluppando dipendenza da internet. O an- cora si manifesta in comporta- menti autolesionistici o suici- di». Usciti dalla dimensione dell' etica siamo precipitati in quella dell' estetica. «Non si edu- cano più i ragazzini alla scoperta della bellezza del sé, che non è corporeìtà, ma modo di pensare e di organizzare le relazioni con il mondo - ha spiegato ancora Charmet - Si sono divelti i vecchi paletti ma non si sono messi quelli nuovi, si è sostituita la famiglia etica con quella affet- tiva' il principio dell' autorità con quello dei genitori accudì- tivi. E così siamo caduti dalla padella alla brace». Cosa fare allora? Come uscir- ne? «Ci vorrebbe un sussulto educativo degli adulti, visto che sono stati loro a creare questo modello educativo che si fonda sulla convinzione che giovinez- za e bellezza dispongano di po- tere. Tenete presente che la ver- gogna è· una passione umana più difficile da gestire del senso di colpa, perché riguarda il sé, la persona nel suo insieme. Si esce dalla vergogna vendicandosi o scomparendo. Abbiamo dun- que molto lavoro da fare: la crisi economica di cui tutti parlano in realtà è la più grande crisi etica mai vissuta dalla nostra società e se ne uscirà solo con un sussulto dell' etica della responsabilità. Di cui stanno dando buoni esempi, e questo lo trovo in- coraggiante, anche i più alti li- velli delle istituzioni tra cui il papa e il presidente della Re- pubblica». Sabina

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Dalla paura del castigo a quella di essere brutti:Charmet spiega cosa spaventa i giovani di oggiMERATE [zsb] Partecipato,

forse un po' lungo e poco or-ganico, ma sicuramente inte-ressante per i tanti spunti of-

ferti alla riflessione dei pre-senti, il convegno «Lefiguredella paura» organizzatodall'Istituto Viganò. Quattrogli illustri relatori, moderatidalla psicoterapeuta MarisaZipoli, chiamati venerdìnell' auditorium municipale,ad affrontare l'<<indicibile»tema della paura. A catapul-tare il pubblico in medias resè stata la proiezione di unestratto delfilm «La paurasiCura» di Gabriele Vacis,che il 28 novembre sarà tra iprotagonisti del secondo ap-puntamento del progetto. Gi-rato in sei città italiane, daCatania a Settimo Torinese,la pellicola è di fatto una«seduta psicoanalitica» co-me lo ha definito lo stesso Va-cis, sulla paura. Sul palcoper i saluti di rito la dirigen-te scolastica Manuela Cam-peggi, l'ideatrice del progettoAlba Folcio e l'assessore allaCultura Giusi Spezzaferri:

«La crisi economica di cui tutti parlano in realtàè la più grande crisi etica mai vissuta dalla nostra società

e se ne uscirà solo con un sussulto dell'etica della responsabilità»

MERATE (zsb) «Siamo passati daun modello educativo fondatosulla paura del castigo ad. unoche ha eliminato il dolore, con ilrisultato che una volta i ragazziavevano paura di essere cattivi,oggihanno paura di essere brut-ti. Dal senso di colpa siamo pas-sati alla paura della mortifica-zione, dalla dimensione dell'etì-ca a quella dell' estetica».

Questa, in estrema sintesi, lalucida e spietata .analisi portataalla riflessione di genitori e edu-catori dal professor GustavoPietropolli Charmet, il notopsicanalista e psichiatra tra imassimi esperti delle problema-tiche dell'adolescenza.

«Che la paura della morte siala testa di serie delle paure è undato di fatto - ha esordito il pro-fessor Charmet - lo però nellamia vita non ho mai avuto pauradella morte, in realtà ho avuto

doloroso e faticoso, incutermipaura? Perché erano sicuri che

fossi in pericolo,che dietro lafacciata dell'ob-bedienza edell'interioriz-zazione delleregole e dei va-Iorì allignassèroin me, come intutti i figlidell'uomo, im-pulsi e istintiche da solo nonavrei mai potu-to tenere a badae che la naturami avrebbe pri-ma o poi so-spinto contro lacultura. Il timo-

re del castigo e della punizioneserviva dunque a non farmi ce-dere alle lusinghe della natura».

paura delle persone che amavoe che mi amavano. Mio padre,che era intelli-gente, colto eraffinato e chepure mi amavamolto, forse ad-dirittura mi ido-latrava, mi incu-teva una pauraprofonda. An-che il mio pro-fessore universi:t a r ì o , il miomaestro e il mioidolo, che vede-va in me un al-lievo promet-tente con unafolgorante car-riera davanti, mi GustavoPietropolliCharmetfaceva paura.Perché? Perché mio padre e ilmio maestro ritenevano loro do-vere, e un compito sicuramente

Il musicoterapeuta Dario Benatti: «La creatività ci salverà»MERATE (zsb) Ha lasciatoche fosse la canzone «De-rnons», degli Imagine Dra-gons, ad introdurre per lui iltema della paura oggetto delconvegno. Dario Benatti,docente di Musica alle scuo-le medie Manzoni, ma so-prattutto musicoterapeutaesperto nel trattamento deipazienti coma tosi e post co-matesi, ha richiamato asuo n di musica l'attenzionedella platea sui «demoni»,appunto, che abbiamo den-tro, ovvero le nostre paure.

«Siamo così spaventati

dalle nostre paure, che nonle conosciamo neppure:proprio perché ci risultanointollerabili non riusciamo asostarvi dentro e a guardarleper quello che sono - hadetto Benatti, che si è servitoanche della violoncellistaGemma Pedrini per dar vo-ce con la sua musica alsuono cacofonico e disor-dinato della paura - solol'arte, in tutte le sue espres-

. sìonì, ci permette di tirarlefuori e di guardarle» ..

Tutti i sentimenti e gli statid'animo hanno un senso, ha

ricordato Benatti, compresala paura ed anche la rabbia.«Secondo quello che ho im-parato nella mia ventennaleesperienza di lavoro sui pa-zienti post comatosi, il sensodella paura, per chi la prova,è trovare qualcuno che stiacon me nel momento in cuisto male. Se la ascoltiamo, seriusciamo ad esprimerla,riusciamo anche ad aprire inessa una breccia in cui darspazio e voce al desiderio,che è la spinta, il motore,che ci spinge ad andare oltrenoi stessi».

Oggi la paura non rappresen-ta più lo strumento dell'inter-vento educativo nei confrontidei bambini e dei ragazzi, hacontinuato Charmet: «Mammae papà hanno infatti deciso chela quantità di dolore a scopoeducativo deve tendere a zero».L'effetto di questo è sotto gli oc-chi di tutti: <<Ipreadolescentinon hanno paura del papà, degliadulti e dei professori. I mieinipotini vanno a scuola allegri esereni anche se non hanno fattoi compiti, e tornano a casa sban-dierando la nota che hanno pre-so a scuola senza alcuna preoc-

. cupazione»,Come mai? Perché siamo

passati dal ritenere il bambinonella culla un piccolo selvaggio,il figliodi Lucifero da correggere,educare e sostenere durante lacrescita, al ritenere quello stessobambino innocente e perfetto, equindi il più buono in assoluto,oltre che il più intelligente e ilpiù dotato. Compito dell'adultoè diventato non già quello dicorreggerlo, ma di aiutarlo a rea-lizzarsi tirando gli fuori il suo te-soro».

E così è successo che il ra-gazzino problematico, che neglianni '60 veniva portato dallopsicologo per i suoi smodaticomportamenti di ribellione, oviceversa di sottomissione esa-gerata, sia stato sostituito oggida un altro tipo di preadole-scente che, pur essendo final-mente libero dalla paura del ca-stigo e quindi libero di goderedell' esercizio della sessualità edell'autonomia, soffre però diun'altra paura. «Che non è quel-la di essere cattivo, ma di esserebrutto e cioè invisibile, inadattoal successo e alla popolarità acausa di una corporeità inade-guata - ha puntualizzato Char-met tenendo con il fiato sospesoi tanti genitori presenti - Il sen-timento di colpa è stato sosti-tuito dalla paura della morti-

ficazione e deìl'umtlìuzkuu: dinon sentirsi desìdenu I l' luvltu}]a far parte di un gruppo, Il 1'1111

la, nello sport e nel quurth-n-, I

causa di un corpo che sl ghull« I

intrinsecamente brutto. ()IU'NIIldipende dalle aspettative dI'I c'che sono molto alte, ma n Il

cisisticamente fragili».E come esprimono i ragazzi la

loro vergogna? «Non la verhulizzano ma la esprimono incomportamenti di manipolazione del corpo al limite della vio-lenza (vedi digiuni ostinati incorpi troppo magri), oppure ri-tirandosi in casa e sviluppandodipendenza da internet. O an-cora si manifesta in comporta-menti autolesionistici o suici-di».

Usciti dalla dimensionedell' etica siamo precipitati inquella dell'estetica. «Non si edu-cano più i ragazzini alla scopertadella bellezza del sé, che non ècorporeìtà, ma modo di pensaree di organizzare le relazioni conil mondo - ha spiegato ancoraCharmet - Sisono divelti ivecchipaletti ma non si sono messiquelli nuovi, si è sostituita lafamiglia etica con quella affet-tiva' il principio dell' autoritàcon quello dei genitori accudì-tivi. E così siamo caduti dallapadella alla brace».

Cosa fare allora? Come uscir-ne? «Ci vorrebbe un sussultoeducativo degli adulti, visto chesono stati loro a creare questomodello educativo che si fondasulla convinzione che giovinez-za e bellezza dispongano di po-tere. Tenete presente che la ver-gogna è· una passione umanapiù difficile da gestire del sensodi colpa, perché riguarda il sé, lapersona nel suo insieme. Si escedalla vergogna vendicandosi oscomparendo. Abbiamo dun-que molto lavoro da fare: la crisieconomica di cui tutti parlano inrealtà è la più grande crisi eticamai vissuta dalla nostra società ese ne uscirà solo con un sussultodell' etica della responsabilità.Di cui stanno dando buoniesempi, e questo lo trovo in-coraggiante, anche i più alti li-velli delle istituzioni tra cui ilpapa e il presidente della Re-pubblica».

Sabina