Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un...

31
Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell’eroe tra mito e cinema Stefano Benedetti Sommario Dalle prime forme di narrazione orale, fino al cinema blockbuster contemporaneo, una struttura narrativa ricorrente ha attraver- sato pressoché indenne l’evoluzione del racconto per il grande pubblico. Il “monomito” teorizzato dallo studioso di mitologie comparate Joseph Campbell segue un percorso, quello del viag- gio dell’eroe, che appassiona ancora oggi lo spettatore, innescan- do meccanismi di immedesimazione di sicuro successo. Le tap- pe del processo di formazione dell’individuo comune destinato (suo malgrado) a divenire eroe costituiscono infatti le fondamen- ta dell’odierno cinema d’avventura hollywoodiano, con espedienti narrativi ed elementi ricorrenti ormai consolidati, utilizzati non per attirare (come sostenuto da una critica più snob) lo spetta- tore medio, ma perché richiesti dallo stesso pubblico, dalla stessa società. Il racconto d’avventura può così riscoprire un’utilità che va oltre il fascino dell’effetto speciale, veicolando esempi positivi, messaggi e principi alla base del vivere comune. Copyright c 2008 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera) Il contenuto di queste pagine è protetto dalle leggi sul copyright e dalle disposizioni dei trattati internazionali. Il titolo e i copyright relativi alle pagine sono di proprietà di ITINERA. Le pagine possono essere riprodotte e utilizzate liberamente dagli studenti, dagli istituti di ricerca, scolastici e universitari afferenti al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per scopi istituzionali, non a fine di lucro. Ogni altro utilizzo o riproduzione (ivi incluse, ma non limitatamente a, le riproduzioni a mezzo stampa, su supporti magnetici o su reti di calcolatori) in toto o in parte è vietato, se non esplicitamente autorizzato per iscritto, a priori, da parte di ITINERA. In ogni caso questa nota di copyright non deve essere rimossa e deve essere riportata anche in utilizzi parziali.

Transcript of Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un...

Page 1: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

Dalla parte del pubblico.

Il viaggio dell’eroe tra mito e cinema

Stefano Benedetti

Sommario

Dalle prime forme di narrazione orale, fino al cinema blockbuster

contemporaneo, una struttura narrativa ricorrente ha attraver-sato pressoché indenne l’evoluzione del racconto per il grandepubblico. Il “monomito” teorizzato dallo studioso di mitologiecomparate Joseph Campbell segue un percorso, quello del viag-gio dell’eroe, che appassiona ancora oggi lo spettatore, innescan-do meccanismi di immedesimazione di sicuro successo. Le tap-pe del processo di formazione dell’individuo comune destinato(suo malgrado) a divenire eroe costituiscono infatti le fondamen-ta dell’odierno cinema d’avventura hollywoodiano, con espedientinarrativi ed elementi ricorrenti ormai consolidati, utilizzati nonper attirare (come sostenuto da una critica più snob) lo spetta-tore medio, ma perché richiesti dallo stesso pubblico, dalla stessasocietà. Il racconto d’avventura può così riscoprire un’utilità cheva oltre il fascino dell’effetto speciale, veicolando esempi positivi,messaggi e principi alla base del vivere comune.

Copyright c© 2008 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera)Il contenuto di queste pagine è protetto dalle leggi sul copyright e dalle disposizioni dei trattatiinternazionali. Il titolo e i copyright relativi alle pagine sono di proprietà di ITINERA. Lepagine possono essere riprodotte e utilizzate liberamente dagli studenti, dagli istituti di ricerca,scolastici e universitari afferenti al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca perscopi istituzionali, non a fine di lucro. Ogni altro utilizzo o riproduzione (ivi incluse, ma nonlimitatamente a, le riproduzioni a mezzo stampa, su supporti magnetici o su reti di calcolatori)in toto o in parte è vietato, se non esplicitamente autorizzato per iscritto, a priori, da parte diITINERA. In ogni caso questa nota di copyright non deve essere rimossa e deve essere riportataanche in utilizzi parziali.

Page 2: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

1 Joseph Campbell e Chris Vogler: dal “monomito” a Hol-

lywood

Nel 1949 Joseph Campbell pubblica un testo destinato a rivoluziona-re il lavoro di scrittori, registi e sceneggiatori nei decenni a seguire:The hero with a thousand faces. In ambito mondiale, quantomeno

per ciò che concerne il ventesimo secolo, Campbell può essere consideratoil più grande studioso di mitologia comparata le cui teorie siano ancora se-guite e applicate in numerosi campi, dalla letteratura al cinema. Stimatoprofessore universitario, consulente e ispiratore – a volte inconsapevole – diaffermati registi e teorici del cinema, egli porrà le basi per numerosi studisulla narrativa moderna di ogni genere e supporto. Tra questi, l’americanoChris Vogler, story analyst per le più importanti major statunitensi, può es-sere considerato il capostipite di quella nutrita categoria di critici, studiosi eautori per i quali tali teorie hanno finito con l’essere folgorante e inaspettatafonte d’ispirazione: è infatti il primo a compiere esplicitamente un accosta-mento critico tra cinema e mito. Allo scopo di mostrare l’eterna efficacia delleteorie di Campbell attraverso i mezzi d’intrattenimento di massa contempo-ranei, Vogler (che definisce gli studi di Campbell «un lampo che spazzava viaimprovvisamente le zone d’ombra in un paesaggio» 1) compie il primo veroe proprio studio comparato di formule mitologiche e cinema hollywoodiano,testandone e dimostrandone la funzionalità degli elementi in comune.

In quella che può essere definita la sua pubblicazione più importante,Campbell attua un’opera di “riscoperta” di elementi ricorrenti in religioni emiti da ogni parte del mondo, rivelando come questi non siano altro, dallanotte dei tempi, che espressione e metafora della vita umana. In quanto tali,essi possono ancora fungere da guida per l’uomo di ogni epoca, conducen-dolo passo dopo passo alla riscoperta di se stesso e di valori universalmentecondivisi e mai davvero dimenticati. Dietro ogni divinità è celato un ri-tratto amorevole dell’uomo comune, e ogni avventura o azione eroica portacon sé il meraviglioso viaggio dall’infanzia all’adolescenza, dall’età adultafino alla morte, estremo dono del presente al futuro. Ecco perché, ci diceCampbell, «In questo stesso momento, l’ultima incarnazione di Edipo, i mo-derni protagonisti della favola della Bella e la Bestia, attendono all’angolodella Quarantaduesima Strada con la Quinta Avenue che il semaforo cambicolore» 2.

Confrontando racconti, leggende, saghe e testi sacri, Campbell teorizzaallora quella che definisce la formula del “Monomito”, vicenda-base ricorrentein una o più forme nell’immaginario di ogni cultura o religione, dagli scopi

1. C. Vogler, Il viaggio dell’eroe. La struttura del mito ad uso di scrittori di narrativa

e cinema, Dino Audino, Roma 1998, p. 12.2. J. Campbell, L’eroe dai mille volti (1949), tr. it. di F. Piazza, Feltrinelli, Milano

1958, p. 12.

2

Page 3: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

insieme rituali e didattici, le caratteristiche dei quali hanno attraversato piùo meno indenni ogni forma di narrazione per il pubblico medio.

Il Monomito racconta il viaggio dell’eroe, le origini umili o l’infanziatrascorsa ignorando il proprio destino, fino alla rottura del precario e illusorioequilibrio che ne aveva fino a quel momento regolato un’esistenza monotona.Costretto a una partenza improvvisa quanto irrinunciabile, l’eroe intraprendel’avventura in un mondo a lui estraneo, per uscirne trasformato.

La parabola dell’avventura dell’eroe costituisce la riproduzione ingi-gantita della formula dei riti di passaggio: separazione-iniziazione-

ritorno: che potrebbe definirsi l’unità nucleare del monomito.

L’eroe abbandona il mondo normale per avventurarsi in un regno me-raviglioso e soprannaturale; qui incontra forze favolose e riporta unadecisiva vittoria; l’eroe fa ritorno dalla sua misteriosa avventura dotatodel potere di diffondere la felicità fra gli uomini. 3

La necessità del ripetersi di tale struttura nei racconti fondanti di ognimitologia ha, secondo Campbell, una duplice giustificazione. Il primo ap-proccio è di carattere psicanalitico, e risente dell’impostazione fortementejunghiana dello studioso americano:

Appare evidente che attraverso i racconti fantastici – che narrano lavita degli eroi leggendari, e parlano delle divinità della natura, deglispiriti dei morti e degli antichi totem della razza – viene fornita unadescrizione simbolica dei desideri inconsci, delle paure, delle tensioniche determinano il comportamento umano cosciente. La mitologia è,in altre parole, psicologia scambiata per biografia, storia e cosmologia.Lo psicologo moderno può ridarle il suo valore originario e fornire cosìal mondo contemporaneo un documento ricco ed eloquente degli abissipiù profondi del carattere umano. 4

Riprendendo Jung, infatti, egli individua in schemi e figure mentali ricor-renti nella psiche umana la fonte primaria di elementi comuni nelle mitologiee nei racconti di fantasia, per quanto la forma possa variare in base al conte-sto geografico o sociale in cui una determinata cultura si sviluppa, facendo sìche certi simboli possano assumere sfumature o significati in parte differenti.

Rispetto alle teorie di Jung relative al mondo dell’inconscio e degli arche-tipi, però, Campbell compie un significativo passo avanti, non più limitan-dosi a descrivere forme ancestrali pressoché immutabili, e affidando invece alracconto un compito essenziale. Associando a un’analisi di impronta psica-nalitica considerazioni relative all’importante funzione sociale della formulamonomitica, sostiene l’esistenza e la necessità di uno stretto controllo delcontenuto, quando non addirittura della forma, in virtù dello scopo per cuitale tipologia di racconto è creata, ovvero la trasmissione secondo strutture

3. Ibid., pp. 33-34.4. Ibid., pp. 227-28.

3

Page 4: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

facilmente identificabili di schemi e indicazioni da rispettare per una corret-ta crescita, sia individuale che come membro di una società dalle regole bencodificate.

Società e psiche operano quindi attraverso il mito secondo un mecca-nismo di supporto e sorveglianza reciproca. Se è vero che «in mancanza diuna effettiva mitologia generale, ciascuno di noi possiede il proprio personale,intimo, elementare e tuttavia potente pantheon di sogni» 5, è però fondamen-tale che, al di là della psiche del singolo, il mito abbia una radice comune dimatrice sociale, e non sia piuttosto affidato esclusivamente a interpretazio-ni personali di archetipi junghiani: se lasciate libere di agire, le «immaginistrane, irreali e terrificanti» 6 che popolano l’inconscio porterebbero a unascoperta violenta, non controllata, dell’Io profondo di ogni essere umano,nella ricerca di una libertà totale e distruttiva, incurante della necessità diun compromesso tra pulsione e regole di convivenza.

Proprio per questi motivi, il viaggio introspettivo di cui il mito si fasimbolo deve essere guidato, passo dopo passo, dalla nascita alla maturità:il monomito è soprattutto una via per vivere, o rivivere, il percorso di crescitache porta il bambino, con il suo mondo di egocentrismo e bisogni elementari,a un inserimento non traumatico nella società degli adulti, fatta di norme,valori e interazioni.

L’avventura è davvero premio a se stessa, ma è anche pericolosa, poichéracchiude in sé possibilità tanto negative che positive, e in entrambi icasi al di fuori di ogni controllo. Dobbiamo cercare la nostra strada,non quella del papà o della mamma. In questo modo però restiamosenza protezione, in un mondo di forze più potenti di quelle che co-nosciamo. Bisogna saper percepire le possibilità di conflitto, e soloqualche storia archetipica come questa potrà aiutarci a immaginareche cosa ci aspetta. 7

È, per chi sta per intraprendere tale percorso, un buon insegnante e, perchi tale percorso l’ha presumibilmente già completato, un ottimo promemo-ria: infatti «l’immagine ti aiuta a identificarti con la forza simboleggiata. Èmolto difficile pensare che una persona possa identificarsi con qualcosa di in-differenziato. Ma quando a questo qualcosa attribuisci qualità che si muovo-no nella direzione di determinati scopi, la persona le può seguire» 8. In parti-colare, «se la storia rappresenta quella che potremmo chiamare un’avventuraarchetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio almondo che si apre nell’adolescenza) essa ci aiuterà a trovare un modello perla realizzazione del nostro sviluppo» 9.

5. Ibid., p. 12.6. Ibid., p. 157. J. Campbell, Il potere del mito. Intervista di Bill Moyers (1988), tr. it. di A. Grieco

e V. Lingiardi, Guanda, Parma 2004, p. 196.8. Ibid., p. 263.9. Ibid., p. 169.

4

Page 5: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

Naturalmente, fulcro fondamentale e imprescindibile del racconto d’av-ventura che si prefigga tali scopi è la figura dell’eroe, in cui ogni spettatorepossa riconoscersi. Chris Vogler, a tale proposito, sottolinea e accentua an-cora più esplicitamente la necessità che questi sia di natura umana quandoil destinatario è il grande pubblico moderno: il cinema e la narrativa odier-na insegnano che il processo di immedesimazione, e l’apprendimento che neconsegue, è tanto più efficace quanto più l’eroe si avvicinerà allo stereoti-po dell’uomo comune, in grado di guadagnare la propria nomea attraversoimprese portate a termine con l’astuzia o il coraggio, piuttosto che graziead abilità innate o poteri sovraumani. Rispetto al remoto eroe primordia-le, semi-dio, portatore fin dalla nascita dello straordinario potere creativodel mondo – e della conoscenza assoluta che tale potere comporta – l’eroeuomo affronta un percorso più lungo, poiché nulla gli è dovuto: egli dovràdunque affrontare prove, dimostrare il proprio valore, e persino sacrificarsinella sua forma terrena, per poter stabilire una relazione con l’infraumano. Èin questa seconda tipologia che riconosciamo gli eroi dei racconti moderni econtemporanei: dipingere l’eccezionale protagonista come un uomo comune,travolto dagli eventi e spinto a prendere parte a una serie di avventure chene consacrino lo status, fa di ogni uomo un potenziale eroe in attesa.

Il fatto che l’eroe stesso sia, almeno di partenza, un pressoché anonimosimbolo del genere umano, con i pregi e i difetti che questo comporta, di-viene allora un elemento irrinunciabile ai fini del coinvolgimento emotivo eintellettuale:

I difetti contribuiscono a delineare l’andamento del cosiddetto “arcodel personaggio”, vale a dire quell’arco di trasformazione che compie ilpersonaggio evolvendo, nel corso della narrazione, per passare da unacerta condizione di partenza a quella di arrivo, attraverso una succes-sione di fasi. E la sua imperfezione o incompletezza è la condizionedi partenza perché il personaggio possa evolversi. [. . . ] nella maggiorparte delle storie moderne, è la personalità dello stesso eroe a essererifondata del tutto o reintegrata di un elemento mancante, che puòessere un aspetto fondamentale della personalità, come la capacità diamare o di fidarsi. 10

Nei casi estremi, più grandi sono le qualità dell’eroe, più gravi e irrepara-bili appariranno i suoi difetti, definiti non a caso da Vogler «difetti tragici»:se il punto debole di un essere pressoché invulnerabile come Superman è laKriptonite, sarà proprio questa a metterlo costantemente alla prova fino ametterne in dubbio la sopravivenza stessa in più di un’occasione. Invulnera-bilità e infallibilità esauriscono infatti ben presto le proprie potenziali attrat-tive presso il pubblico, che alla rassicurante immortalità di uomini d’acciaiopreferisce chi sbaglia, rischia, e impara dai propri errori, o chi da subito si fa

10. C. Vogler, op. cit., p. 39.

5

Page 6: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

portatore di una «ferita psicologica» da sanare durante il viaggio, a rendereil comportamento dell’eroe affascinante e imprevedibile.

Ma ancora più volentieri il pubblico seguirà e si appassionerà al percorsodi apprendimento che porta il suo alter-ego, consapevolmente o, più spesso,inconsapevolmente, a correggere tali difetti attraverso l’esperienza, o meglio,attraverso l’avventura: è questa l’eredità senza tempo del «viaggio dell’eroe»di Campbell.

In ogni buona storia, l’eroe cresce e cambia, compiendo un camminoda un modo di essere all’altro: dalla disperazione alla speranza, dalladebolezza alla forza, dalla follia alla saggezza, dall’amore all’odio eviceversa. Sono questi percorsi emozionali che avvincono gli spettatorie rendono la storia interessante. Le fasi del viaggio possono esserepercorse in ogni genere di racconto, non solo in quelli che mettono inrisalto azioni e avventure “eroiche” o fisiche. Il protagonista di ognistoria è l’eroe di un viaggio, anche se interiore o nella sfera dei suoirapporti. 11

La corrispondenza tra avventura eroica e processo di crescita dell’indivi-duo, attraverso la costruzione di un efficace climax narrativo che coinvolga lospettatore favorendone l’immedesimazione, appare più chiaro nel momentoin cui si passa finalmente ad analizzare le singole tappe e caratteristiche delviaggio archetipico.

Tale viaggio è, per Vogler, così trasportato sullo schermo cinematografico:«i film sono spesso composti da tre atti, che possono essere ricondotti a tremomenti: primo atto (la decisione dell’eroe di agire), secondo atto (l’agirein sé) e il terzo atto (le conseguenze dell’agire). La Prima Soglia contras-segna il punto di svolta tra primo e secondo atto». Tale punto di svolta, o turning point, è «quell’evento che imprime alla storia un movimento inavanti impedendo ogni possibile ritorno. Di solito si contano due punti disvolta: il Primo Punto di Svolta (anche TP1), che introduce il Secondo Atto,e il Secondo Punto di Svolta (anche TP2) che chiude il Secondo Atto perintrodurre il Terzo Atto» 12.

In ogni caso, secondo una struttura e una suddivisione temporale sche-matizzata dallo stesso Vogler, in un ipotetico racconto o sceneggiatura, duequarti sarebbero occupati dal secondo atto, mentre i restanti due quarti dellastesura sarebbero rispettivamente dedicati al primo e al terzo atto, preveden-do quindi soprattutto una parte centrale più lunga e densa di avvenimenti 13.Infatti in essa è contenuta l’anima stessa del racconto in rapporto allo spetta-tore: al secondo atto spetta il gravoso compito di sostenere la storia, proprionel momento in cui è più facile che si verifichi un calo di attenzione da partedel pubblico, tra i due punti di svolta previsti dalla trama. È quel «momento

11. Ibid., p. 22.12. Ibid., p. 97.13. Cfr. ibid., pp. 23, 26.

6

Page 7: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

centrale di tensione» 14, susseguirsi di avvenimenti, prove e tappe interme-die, che in un lungometraggio può quindi durare anche un’ora, puntellandola vicenda e guidando il pubblico fino a ciò che la narrazione, attraverso larisoluzione della vicenda, vuole insegnare.

Già il primo atto, tuttavia, non può essere affrontato alla leggera dalnarratore, ma, al contrario, va adeguatamente sottolineato fin dall’immediatoincipit:

L’inizio di ogni storia, sia essa mito, fiaba, sceneggiatura, romanzo,novella o fumetto, ha degli obblighi precisi da rispettare: deve av-vinghiare il lettore o lo spettatore, dare il tono alla storia, suggerireuna direzione e riuscire a comunicare una grande mole di informazionisenza rallentare il ritmo. L’inizio è, effettivamente, un momento de-licato. [. . . ] l’immagine iniziale può essere un potente strumento perrichiamare un’atmosfera e indicare la direzione della storia. Può essereuna metafora visiva che in una sola ripresa o scena evoca il MondoStra-Ordinario del Secondo Atto, i conflitti e i dualismi che vi sarannoaffrontati. Può suggerire il tema, allertando il pubblico sulle situazioniche i personaggi affronteranno. La scena iniziale de Gli Spietati, diClint Eastwood, mostra un uomo davanti ad una fattoria che scava latomba di sua moglie appena morta. Il rapporto con sua moglie e ilmodo in cui lei lo ha cambiato, sono i temi principali della storia. 15

Una struttura introduttiva del racconto “classica”, lineare, inizia inoltremostrando una situazione di quiete, in modo da presentare efficacemente ilprotagonista nel suo habitat, e alimentare in questo modo la successiva sen-sazione di contrasto e distacco dal mondo straordinario in cui l’eroe compiràil proprio viaggio avventuroso.

È comunque fondamentale che venga favorita da subito l’immedesima-zione nell’eroe, fin dalla prima apparizione sulla scena:

Come quando si è presentati in società, il Mondo Ordinario stabilisceun legame tra le persone ed evidenzia alcuni interessi comuni in modoche possa cominciare un dialogo. Dovremmo in qualche modo ricono-scere che l’eroe è come noi. Una storia ci invita realmente a indossarei panni dell’eroe, per vedere il mondo dal suo punto di vista. [. . . ]Questo non vuol dire che gli eroi debbano essere sempre buoni o sim-patici, ma deve essere possibile immedesimarcisi, come dicono gli exe-cutive per intendere che il pubblico nei confronti dell’eroe deve provarecompassione o comprensione, per cui, anche se fosse subdolo o spre-gevole, potremmo ugualmente capire la sua situazione e immaginarciche ci comporteremmo allo stesso modo, dati i medesimi background,circostanze e motivazioni. 16

14. Ibid., p. 119.15. Ibid., pp. 67-68.16. Ibid., p. 72.

7

Page 8: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

Inoltre, specifica Joseph Campbell, se la formula base di tale percorsovede il ricorrere dei tre elementi separazione-iniziazione-ritorno, l’universoche circonda l’avventura è in realtà costellato di numerosi passaggi intermedie figure di contorno, di ruolo e importanza fondamentali al fine di ottenereil salvifico happy ending.

Il primo personaggio a presentarsi a un ancora inconsapevole eroe è so-litamente quello che Campbell definisce «l’araldo», manifestazione prelimi-nare delle forze che stanno per intervenire a turbare, nel bene e nel male,l’equilibrio iniziale. È lui che reca al protagonista «l’appello», il richiamoall’avventura, segnando il risveglio dell’io e sollevando «la cortina, sempre,su un mistero di trasfigurazione – un rito, o un momento, di passaggio spiri-tuale che, quand’è completo, assume il valore di una morte e di una nascita.Viene superato il consueto orizzonte della vita; i vecchi principi, ideali, e sen-timenti, non sono più validi; è giunto il momento di varcare una soglia» 17.Di norma, però, l’araldo è inizialmente respinto dal protagonista, in quanto«rappresentante di quell’inconscio (‘così profondo che non se ne può vedereil fondo’) in cui sono ammassati tutti i fattori, le leggi e gli elementi dellavita che furono rifiutati, repressi, disprezzati, ignorati o non sviluppati» 18.Campbell sostiene quindi che non importa quali siano le motivazioni fittizieper le quali l’eroe in un primo momento rifiuta la chiamata: egli ha paura,e l’abbandono della rassicurante routine quotidiana, così come il passaggiodall’infanzia all’età adulta, pare un vero e proprio balzo nel vuoto. Ma dalmomento della prima apparizione dell’araldo, nulla pare più come prima:

Ciò che deve essere affrontato, e che è in qualche modo profondamentefamiliare all’inconscio – anche se stranamente ignoto, e perfino spaven-tevole per il conscio – si palesa; e ciò che prima era pieno di significatodiventa privo di valore. [. . . ] Per questo, anche se l’eroe ritorna perun certo tempo alle sue solite occupazioni, esse gli appaiono inutili esterili. Si sussegue allora una serie di segnali sempre più chiari, fino ache l’appello non può più essere frainteso. 19

Ecco allora che per Vogler la rottura imminente dell’ordine iniziale puòessere suggerita, e spesso sul grande schermo lo è, appena prima che questaavvenga, attraverso un’estremizzazione della situazione di quiete (il Kansasgrigio e monotono de Il Mago di Oz) che faccia quasi desiderare da subitoallo spettatore stesso l’inevitabile fuga in un mondo del tutto differente, o at-traverso quelli che Vogler definisce «presagi», disseminati già nel primo atto,indizi della fragilità di un equilibrio decisamente precario, destinato a esseredi lì a poco spezzato. Quando tale situazione ha raggiunto il proprio climax,e i segnali non possono più essere ignorati, si fa infatti largo prepotente-mente nella vita ordinaria il «sincronismo», un’inarrestabile concatenarsi di

17. J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 53.18. Ibid., p. 54.19. Ibid., p. 57.

8

Page 9: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

episodi apparentemente casuali che danno all’eroe la definitiva spinta fuoridalla soglia di casa, convincendo con forza lo spettatore della necessità di uncambiamento.

L’inizio dell’avventura sarà così efficacemente evidenziato, avendo basicausali solide e inconfondibili, alle quali si aggiungeranno determinati ac-corgimenti stilistici ormai consolidati, dal metaforico passaggio di barrieremateriali (come il torrente nei pressi del quale Robin Hood conosce LittleJohn, o l’oceano de Le Crociate di Ridley Scott e de Il Tredicesimo Guerriero,fino al primo viaggio interstellare del giovane Luke Skywalker sul MilleniumFalcon in Star Wars) all’uso di stacchi sonori, musiche particolarmente inci-sive, o qualsiasi elemento visivo possa aiutare a sottolineare ed enfatizzarel’ingresso nel mondo Straordinario.

Ma Campbell precisa anche che, per quanto l’eroe sia così quasi costrettoa compiere in prima persona il viaggio, non è d’altro canto detto che debbafarlo da solo: come supporto determinante, o come semplice rassicurazioneche lo spinga a compiere il primo passo in un mondo inesplorato, egli èaffiancato da un «aiuto soprannaturale», simbolo di un «destino benevolo eprotettore» 20 che, oltre ad accompagnare il protagonista della vicenda, neindichi il procedere nella giusta direzione. Il sovrannaturale soccorritore èspesso lo stesso araldo, che diviene così, oltre che ambasciatore delle causescatenanti dell’avventura, guida e mentore dell’eroe in fieri: è lui il primo atestarne le capacità per ottenerne il meglio, e far sì che egli possa giungerepreparato, ed eventualmente aiutato, a prove ben più terribili.

Così, con una guida adeguata, il giusto atteggiamento e una correttapreparazione, l’eroe è finalmente pronto a varcare il confine tra i due mondi,quello in cui ha vissuto fino al momento della partenza, e il nuovo, inesplora-to, che lo attende. È la «prima soglia», spesso protetta da un «guardiano»,ingresso nella zona delle potenze soprannaturali, dove «vi sono le tenebre, v’èl’ignoto, il pericolo, così come per il bambino il pericolo è là dove non giungela protezione dei genitori, e per il membro della tribù là dove non giunge laprotezione della sua società» 21. L’eroe diviene tale soltanto se, ancor primadi iniziare l’avventura, è disposto a liberarsi della schiavitù del mondo fisicoe razionale: che la si veda come un’analisi introspettiva dell’essere umano neimeandri della propria psiche o come il salto verso l’ignoto che è il passaggiodi crescita da un’infanzia legata al presente immediato a una maturità cheinevitabilmente volge costantemente lo sguardo al futuro, poco cambia: ilviaggio inizierà soltanto nella convinzione che ciò che finora si era considera-to “normale” sta per essere stravolto. La normalità è ciò che già si conosce.Per essere eroi serve ben altro. Accettato questo, superata la prima e forsepiù difficile prova preliminare, l’avventura può cominciare:

Una volta varcata la soglia, l’eroe viene a trovarsi in un paese di sogno

20. Ibid., p. 71.21. Ibid., p. 75.

9

Page 10: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

abitato da forme fluide e ambigue, dove deve superare un certo numerodi prove. È questa una delle fasi favorite del mito-avventura, che haispirato in ogni parte della terra singolari descrizioni di prove e cimen-ti. L’eroe è assistito dai consigli, dagli amuleti e dagli agenti segretidel soprannaturale soccorritore che ha incontrato prima di entrare inquesta regione. A volte invece l’eroe scopre qui per la prima voltache v’è ovunque una potenza benigna che lo soccorre nel suo viaggiosoprannaturale. 22

Ma soprattutto, attraverso tali nuove prove, l’eroe prosegue il suo cam-mino di distacco da tutto ciò che un tempo riteneva egoisticamente indispen-sabile, e che ora, vinto il timore del distacco, appare finalmente superfluo.Egli acquista così coscienza del proprio ruolo di enorme utilità per la societàalla quale appartiene, ma anche la consapevolezza del rapporto costruttivocon il mondo che lo circonda. Riconoscendo e sconfiggendo desideri e paurediviene parte, salvatore ed esempio di una realtà più grande. Secondo Cam-pbell, per l’uomo comune il mito è ancora aiuto e guida indispensabile, tantoche oggi l’apparente mancanza di una mitologia abbastanza attuale rendetale processo di liberazione e autocoscienza molto più arduo, se non in certicasi addirittura impossibile:

Non v’è alcun dubbio: quei pericoli psicologici che le generazioni pas-sate superavano con l’assistenza dei simboli e degli esercizi spiritualidelle loro mitologie e delle loro religioni, noi (poiché non siamo credentio, se lo siamo, la fede che abbiamo ereditata non risolve i problemi realidella vita contemporanea) dobbiamo affrontarli da soli, o, nel miglioredei casi, con un aiuto incerto, improvvisato, e raramente efficace. 23

Oltrepassato il confine tra mondo ordinario e avventura, sia Campbell siaVogler applicano alle prove affrontate dall’eroe nell’ambiente dell’avventurauna precisa distinzione, temporale e non solo. Entrambi separano infatti lesfide sostenute subito dopo aver varcato la prima soglia e la prova centrale.Le prime, secondo Vogler, fungerebbero quasi da “esame introduttivo”, ul-teriore test delle abilità dell’eroe, spesso architettato o seguito dallo stessomentore, prima di dedicarsi in piena coscienza delle proprie capacità allasfida più importante. Sempre in questa fase al protagonista può capitare diraccogliere, lungo il percorso, una serie di inaspettati alleati e armi, di com-porre una squadra (come ne I Sette Samurai di Akira Kurosawa), ma anchedi farsi nuovi e pericolosi nemici che inevitabilmente rincontrerà prima dellafine del cammino.

Oppure, al termine di una concitata scena d’azione o comunque dal tas-so spettacolare e coinvolgimento emotivo elevato, Vogler individua quelleche definisce «scene da accampamento», secondo un immaginario simbolicomutuato dai film western, i quali, secondo Vogler, contengono sempre un

22. Ibid., p. 91.23. Ibid., p. 97.

10

Page 11: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

momento di riepilogo, dai fini non esclusivamente narrativi: riunendosi do-po la battaglia, il gruppo di eroi (o l’eroe con i suoi aiutanti) ha modo dirivelare al pubblico, più o meno indirettamente, i dubbi, le paure, se non ad-dirittura dettagli scabrosi o drammatici riguardo al passato, anche in formadi malinconico flash-back. Altre volte, sono i brevi istanti in cui il pubblicocomprende i princìpi che animano l’eroe, e decide se seguirlo o meno nelprocesso d’immedesimazione.

Tali scene svolgono funzioni importanti per il pubblico. Ci consentonodi riprendere fiato dopo un’eccitante battaglia o prova. I personaggipossono riepilogare la storia, dandoci la possibilità di rivederla e capireil modo in cui loro stessi l’hanno vissuta. [. . . ]

In questi tranquilli momenti di riflessione o di intimità, conosciamomeglio i personaggi. Un esempio famoso è la scena ne Lo Squalo in cui ilpersonaggio di Robert Shaw (Quint) racconta le sue orribili esperienzecon gli squali nel Pacifico durante la Seconda Guerra Mondiale. Gliuomini confrontano le cicatrici e cantano una canzone da osteria. Èuna scena alla “conosciamoci meglio”, costruita sull’intimità che nascedall’essere sopravvissuti a una Prova comune. 24

Ma quelli che potrebbero sembrare luoghi comuni della narrazione sonoin realtà valido aiuto nel far sì che la vicenda colpisca lo spettatore in mo-do adeguato, e hanno una funzione narrativa ben precisa. Vogler, ancoracitando Campbell, li definisce «archetipi», elementi indispensabili per met-tere lo spettatore in grado di comprendere la funzione dei singoli personaggiall’interno della vicenda. L’abile narratore deve innanzitutto padroneggiareal meglio tali elementi, poiché, prima ancora di ogni dettaglio o dello svi-luppo della vicenda in sé, saranno proprio gli archetipi a colpire il pubblico:«è l’universalità di questi modelli a rendere possibile che la narrativa diventiun’esperienza comune; i narratori scelgono d’istinto personaggi e rapporti chevibrano dell’energia degli archetipi, per creare esperienze drammaturgichericonoscibili a tutti» 25.

Tra prove, conoscenze e confessioni, l’eroe e il suo pubblico possono cosìgiungere all’ultima sfida non solo preparati, ma anche finalmente completi,avendo fatto tesoro dell’esperienza vissuta più o meno direttamente, e sco-perto quasi ogni sfaccettatura del proprio essere: durante il cammino, infatti,l’eroe «procede nel racconto raccogliendo e assimilando forza e caratteristi-che di altri personaggi, impara da essi, li ingloba in un individuo completoche ha raccolto qualcosa da ciascuno incontrato strada facendo» 26. La provafinale è però appena preceduta dall’«Avvicinamento alla Caverna più Recon-dita», ultimo breve momento di quiete per il pubblico e per l’eroe, che trova

24. C. Vogler, op. cit., pp. 130-31.25. Ibid., p. 33.26. Ibid., p. 34.

11

Page 12: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

spazio per una scena d’amore, per un’ultima riconciliazione con un compa-gno, o per architettare un piano, prima che il ritmo della narrazione divengaquell’incalzante susseguirsi di concessioni alla suspense e colpi di scena cheè l’avvicinamento alla Prova Centrale. Gli ultimi passi del cammino sonoinfatti disseminati di ulteriori prove, come una serie di scatole cinesi, attra-verso le quali l’eroe potrà, con stratagemmi, mostrando ancora una volta ilsuo valore e resistendo alle tentazioni e alle proprie paure, arrivare finalmen-te preparato a dovere all’ultima sfida. Per quanto l’eroe possa giungere a unpasso dalla sconfitta nella Prova Centrale, il duro percorso che lo ha portatofin qui fa sì che ora egli, e il pubblico con lui, sappia di non poter fallire.

Ciò non evita però che la prova centrale sia innegabilmente, secondo Vo-gler, il momento in cui il trasporto emotivo da parte dello spettatore staper raggiungere il suo apice: è il momento culmine del processo di morte-e-rinascita citato a più riprese da Campbell, e non a caso avviene proprioquando il pubblico ha ormai proiettato completamente il proprio Io nel pro-tagonista, e non può più separarsene per ripararsi dalla sofferenza della su-spense. Per Vogler «è il momento in cui l’eroe ha un rovescio di fortuna eguarda in faccia la sua paura più grande, nel senso che affronta con coraggiola possibilità di morire e viene portato allo stremo in battaglia contro la for-za ostile. La Prova Centrale è un “momento buio” per noi pubblico, poichéci tiene col fiato in sospeso, in tensione, visto che ancora non sappiamo sel’eroe vivrà» 27. Ma proprio nell’euforia derivante dalla vittoria finale, dallarinascita dopo la morte apparente, lo spettatore concluderà la propria avven-tura parallela trasformato quanto l’eroe, e finalmente libero da ogni pauradi sconfitta.

Fulcro del passaggio centrale della vicenda è il nemico più temuto, il prin-cipale antagonista della vicenda, spesso causa scatenante diretta o indirettadella partenza del protagonista. Vogler si premura di sottolineare come unastoria in cui il “cattivo” risulti debolmente costruito o poco carismatico siauna storia che appassionerà il pubblico la metà di quanto dovrebbe. Il cat-tivo non deve mai essere un semplice bersaglio stereotipato, né votato allacrudeltà senza motivazioni plausibili: «Ricordate che, mentre alcuni cattivio Ombre esultano della propria cattiveria, molti non si vedono affatto cat-tivi. Secondo il loro punto di vista, hanno ragione e sono gli eroi delle lorostorie» 28. E ancora, sostiene Vogler, «un Cattivo Galante, per alcuni aspettieroico e per altri spregevole, può risultare molto intrigante. In teoria, ognipersonaggio ben costruito dovrebbe rivelare un pizzico di ogni archetipo, per-ché ognuno di questi è espressione delle parti che formano una personalitàcompiuta» 29.

Campbell riconduce il malvagio della storia a due diverse tipologie, delle

27. Ibid., pp. 27-28.28. Ibid., p. 123.29. Ibid., pp. 38-39.

12

Page 13: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

quali soprattutto la prima è facilmente riscontrabile nei moderni raccontid’avventura: l’avversario dell’eroe può essere colui che, in precedenza po-tenziale eroe, ha fallito le prove o si è opposto anche al secondo appelloall’avventura, rifiutando il sacrificio votato al cambiamento. Tale figura,naturalmente destinata alla sconfitta, è indispensabile all’eroe quanto allospettatore della vicenda, rappresentando chiaramente tutto ciò che il prota-gonista potrebbe diventare allontanandosi dalle tappe obbligate del propriopercorso di crescita e apprendimento:

La figura del mostro-tiranno ricorre in tutte le mitologie, le tradizionipopolari, le leggende, e persino gli incubi, e le sue caratteristiche sonosempre essenzialmente le stesse. È l’incettatore di tutti i vantaggi dellacomunità. È il mostro avido che tutto reclama per sé. Il suo maleficoinflusso investe tutto il suo regno. [. . . ] Lo smodato egocentrismo deltiranno è una maledizione per lui e per il suo mondo – anche quandoi suoi affari sembrano prosperare. Egli è un apportatore di sventure,anche quando intende fare del bene, e vive nel terrore di se stesso edegli altri, diffidando di tutti, costantemente assalito da immaginariaggressori. Dovunque egli posi la mano, un grido s’alza (a volte chiaroed udibile, a volte dolorosamente represso) : un’invocazione all’eroeche con la sua spada fiammeggiante, con il suo intervento, con la suavita, libererà la terra dal tiranno. 30

In questo caso, l’antagonista è il riflesso distorto dell’eroe stesso, è la metàpiù recondita, oscura e malvagia della sua personalità, e incarna il timoreche questa possa prendere il sopravvento. È ciò che l’eroe sarebbe potutodiventare compiendo scelte differenti, e l’errore è sempre in agguato: soloaffrontando e sconfiggendo il proprio avversario, superato l’iniziale momentodi crisi, l’eroe si libera di tale paura. Infatti, Vogler afferma che «le Ombrecreano conflitto e rivelano il meglio di un eroe, mettendo la sua vita inpericolo. Spesso si è detto che la qualità di un racconto è pari all’efficaciadel Cattivo, perché un antagonista forte porta l’eroe a dimostrarsi all’altezzadella sfida» 31. Tra l’altro, il fatto che l’antagonista sia un potenziale eroecaduto, fa sì che questi sia personaggio abile e dotato, dalla personalità epoteri pari a quelli del protagonista, se non superiori. Se il narratore èmagnanimo, con un ultimo coup de théâtre gli concederà la possibilità diredimersi prima della fine, di concludere anch’egli il proprio viaggio nellacaverna, e di riappropriarsi del rango di eroe.

La seconda, e ben più impegnativa tipologia di antagonista indicata daCampbell, risente di una concezione curiosamente e prepotentemente freu-diana: è il padre il nemico archetipico, primo intruso nella pace dell’infanzia,caratterizzata dal rapporto madre-figlio. Tuttavia, le cause di tale conflit-tualità non sono da ricercarsi, per Campbell, nella sfera sessuale, quanto

30. J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 22.31. C. Vogler, op. cit., p. 60.

13

Page 14: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

piuttosto nell’agire sociale dell’individuo: il padre rappresenta la vita adultatanto quanto la madre incarnava il mondo dell’infanzia. Ecco perché la figu-ra paterna non è un nemico che va sconfitto, al contrario: l’aspetto, spessoterrificante o mostruoso della figura paterna così come appare agli occhi delfiglio, altro non è che la proiezione di tutti i timori di chi è costretto adabbandonare il seno materno, la quiete e la sicurezza domestica, per varcarela soglia del mondo e affrontare la vita di adulto, vita di cui proprio il padre– che a suo tempo ha dovuto varcare la medesima soglia – ora è il ritratto.

Posto di fronte all’ultima prova, sia essa l’ultimo passo di un percorso dicrescita e affermazione di indipendenza, o consista piuttosto nell’affrontaree sconfiggere la propria metà oscura, l’uomo comune abbandona definitiva-mente le proprie spoglie terrene per divenire un simbolo. Davanti alla provapiù difficile, l’essere umano soccombe, per rinascere in una nuova forma uni-versale, che trascenda la limitata visione personalistica dell’esistenza: se lamorte è staticità, la vita è cambiamento, e il cambiamento più grande portaalla nascita di un nuovo eroe, pronto a fare dono di sé al resto del mondo,scegliendo di tornare tra la gente comune con quanto conquistato: un og-getto magico, un ricco bottino, oppure, premio ben più ambito, l’effettivaconoscenza delle proprie qualità e del proprio valore.

La resurrezione, finora soltanto accennata o mostrata nel suo compiersi,diviene infine conclusione del viaggio, ed è il ritorno da trionfatore alla vitadi tutti i giorni. Alla fine, se il viaggio dell’eroe è stato narrato con nobiliintenti, e il racconto – mito, romanzo o film che sia – è stato in grado diveicolare in maniera efficace i propri contenuti, l’eroe avrà davvero imparatoqualcosa, e noi con lui.

2 L’avventura oggi: l’arte di porsi le domande giuste

Dovendo illustrare l’immortalità delle strutture basi del mito, e il legame diqueste con un cinema che abbia il totale coinvolgimento e immedesimazio-ne dello spettatore come scopo ultimo, la scelta di dedicare nello specificol’analisi dei metodi di sceneggiatura al cinema americano d’avventura è unascelta che ha nelle parole di Luigi Forlai – tra i primi a importare in Italiale teorie di Chris Vogler – la spiegazione più efficace:

Il conflitto, anzi, più precisamente la guerra, è alla base sia della cul-tura americana che della cultura greca classica. La loro Arte maggiore(il Teatro allora ed il Cinema oggi) basa la propria capacità di rappre-sentazione del mondo sulla guerra tra i personaggi e sulla impossibilitàetica del compromesso. Lo scontro, il conflitto, il dramma deve esserevissuto fino in fondo e senza possibilità di mediazioni perché quello cheè in gioco tra i personaggi sulla scena è, molto spesso, la loro esistenzastessa o comunque la modalità etica della loro esistenza sulla terra.Forse l’Europa non ha più peso nel cinema mondiale perché non mette

14

Page 15: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

più in scena il conflitto radicale (la Guerra tra i personaggi, appun-to) ma solo dei piccoli scontri tra dei poveretti che trovano sempre unmodo banale per raggiungere un compromesso tra di loro. A chi puòfregare niente di qualcuno che risolve il conflitto con un compromes-so? Invece il pianeta intero assiste ammirato, allora con la Grecia eoggi con l’America, alla messa in scena perfetta e strutturata di quelloche Eraclito definiva il principio di tutte le cose: “Polemos”. Il filmamericano si presenta perciò come tentativo esplicito di far vivere allospettatore la “catarsi” attraverso l’esperienza della guerra o del conflit-to. Per fare questo lo spettatore “deve” identificarsi con il personaggioprincipale della storia (sia esso un uomo solo, una coppia o un gruppo)cioè con quello che normalmente si definisce l’Eroe (anche se è, nellasua storia, un personaggio normalissimo). 32

Non si vuole certo sostenere che il «viaggio dell’eroe» sia una strutturaa uso e consumo esclusivamente della platea statunitense, dopo quella dellaGrecia antica. È però un dato di fatto, ed è ciò che sostiene Forlai, chela cinematografia americana abbia eletto tale percorso di crescita e imme-desimazione a proprio baluardo, molto più di quanto non abbia mai fattoquella europea. Se da un lato in Europa si è sviluppato un cinema dalle for-ti attinenze con il reale, un cinema ora impegnato socialmente, ora capacedi descrivere con grande maestria la travagliata psicologia dei propri perso-naggi attraverso il ritmo e le immagini, in America si è scelta una stradadifferente: quella dell’apparente distacco dalla quotidianità, per raccontare,proprio come faceva il mito, l’ordinario attraverso lo straordinario. È dun-que, quella americana, una ricerca dell’“altrove” funzionale al messaggio, e(nella maggior parte dei casi) comunque densa di contenuti.

Identificazione con l’eroe e sospensione dell’incredulità bloccano la pos-sibilità del pubblico di fare obiezioni razionali al messaggio che lo scrit-tore di cinema vuole trasmettere. Il messaggio incorporato nel filmviene così assorbito dal pubblico in modo inconscio e quindi è più ef-ficace. Il successo di pubblico del cinema americano è legato a questomeccanismo: quello che si vuol dire lo si fa “vivere” al pubblico at-traverso le sue emozioni inconsce ma lo si nasconde alla sua menterazionale. [. . . ] Il grande vantaggio del cinema hollywoodiano su quel-lo europeo è dato proprio dal fatto che l’uso massiccio delle tecnicheper ottenere l’identificazione del pubblico con l’eroe e la “sospensio-ne dell’incredulità” permette di ottenere film che sono al tempo stessomolto commerciali ma anche psicologicamente coinvolgenti. 33

La differenza non è di poco conto: si tratta di un cinema che, scelto ilproprio scopo, non si limita ad attendere speranzoso che il pubblico faccia

32. L. Forlai, “E se Terminator 2 fosse uguale a Lezioni di piano?”, in D. Audino (acura di), Contro l’ideologia del cinema d’autore, Dino Audino, Roma 1994, pp. 102-103.

33. L. Forlai, “Percorso dell’eroe e identificazione da parte del pubblico”, in D. Audino(a cura di), Rocca e i suoi fratelli, Dino Audino, Roma 1996, pp. 60-62.

15

Page 16: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

capolino dalle tende della sala di proiezione. Si cerca piuttosto, innanzitutto,di attirare il potenziale spettatore, di allargare la platea, e quindi trasmettereun messaggio che non cada nel vuoto di una sala deserta.

In America il punto di partenza più comune è sapere cosa attirerà ilpiù largo pubblico possibile. Da ciò deriva il fatto che i personaggi e lesituazioni vengono sviluppate, non voglio dire soprattutto per far soldi,ma tenendo conto dell’audience. Infatti, l’audience è enorme quandosi scrive a Hollywood e gli studi cercano film che facciano guadagnarecentinaia di milioni di dollari, perlomeno idealmente. Gli europei han-no un certo vantaggio sugli americani in questo senso: i finanziamentidei loro film vengono da varie fonti quindi possono cominciare da unabase, diciamo, più autentica, e, di conseguenza, la differenza nelle sto-rie tende a situarsi nel fatto che esse sono basate più sul personaggioo hanno maggiori ambizioni intellettuali o politiche rispetto ad alcunifilm americani sui quali ho lavorato. [. . . ] Milos Forman raccontaval’aneddoto del tipico regista indipendente europeo che presenta il suofilm e poi va ad una festa dove s’imbatte in una persona che gli dice:“Ho visto il tuo film!” E il regista risponde: “Ah, eri tu!”. 34

Ogni regista è ben consapevole di questo, e dovrà fare di tutto per soddi-sfare le aspettative del suo pubblico, per rispondere ai quesiti e alle esigenzeche ogni spettatore porta, legittimamente, nella sala cinematografica. Ogniautore di cinema deve ricordare costantemente a se stesso che sono propriotali domande, aspettative e bisogni il motivo principale per cui il pubblicova incontro al grande schermo.

Il sistema delle major hollywoodiano, d’altra parte, non ha mai schiac-ciato l’artista, represso il genio, imprigionato l’originalità autoriale. Salvo leeccezioni di pochi registi troppo “moderni” per un’industria in cui l’eccessivanovità comporta sempre un rischio notevole (si pensi alle alterne fortune diWelles in patria), l’abilità di ottimi narratori come John Ford, Frank Capra,fino a Spielberg, Scorsese, Coppola o Lucas, è stata piuttosto convogliata inun preciso canale dove potersi esprimere liberamente attraverso linee guidaprestabilite ma bisognose di un restyling: tale canale è il cinema di genere.La codifica precisa di elementi narrativi irrinunciabili permette infatti di agi-re, oltre che su un terreno già ampiamente collaudato, anche su strutture,figure e metafore ben radicate nell’immaginario collettivo, consentendo dilavorare su di una base comune da non dare per scontata, ma da rielaborare,rinnovare e in ogni caso mettere in evidenza al fine di coinvolgere lo spet-tatore adeguatamente, da più angolature, stimolandone sentimenti differentia seconda della forma di narrazione prescelta: una prima inquadratura sudi un cappello da cowboy, sulla targa di un investigatore privato, o sullasagoma di un pipistrello disegnata su una luna piena, è un segnale preciso

34. J. Nathan, “Voler raccontare una storia e saperla raccontare davvero”, in D. Audino(a cura di), Il cinema è emozione ma l’emozione devi saperla costruire, Dino Audino,Roma 1995, p. 61.

16

Page 17: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

a un particolare campo emozionale dell’immaginario personale e collettivodel pubblico. Ogni genere porta con sé un codice ormai accettato e fattoproprio dallo spettatore, tacita convenzione volta a far sì che, da subito, leaspettative di chi entra in una sala cinematografica non restino del tutto di-sattese. Ma non solo: la stessa definizione di genere, di cosa rientra o menoin una precisa classificazione piuttosto che in un’altra, finisce con il dipen-dere proprio da quel pubblico eletto a potenziale destinatario. È infatti lospettatore che, nel tempo, dona successo alle figure caratterizzanti di unatipologia narrativa alle origini, perfezionandole, selezionando le più efficacieleggendole a figure di culto, e rendendole immortali, quasi richiedendone agran voce la ripetizione, alla ricerca di rassicuranti riconferme. Le icone diuna tipologia narrativa sono gli elementi che lo stesso pubblico ha promossoa simboli.

Il genere dell’adventure movie, è tuttavia fortemente eterogeneo. Piùche un’unica tipologia, potrebbe essere definito un «genere-raccoglitore»,che porta con sé elementi della fantascienza classica, del mito, dei film dicappa e spada, del western, del fantasy e della fiaba. L’adventure movie èuna categoria che, più di ogni altra, fa uso di qualunque spunto, a livellotematico o figurativo, che possa garantire il coinvolgimento dello spettatore.Si tratti dell’uso sfacciato di stilemi ed elementi ormai noti (e per questorassicuranti e di sicuro successo), o dello stravolgimento degli stessi, è facilevedere un film d’avventura che alterni magari combattimenti d’arti marziali,duelli, scene d’amore, inseguimenti, indagini e sparatorie, seppure sempreall’insegna di una sola, identica struttura di fondo.

E questa struttura, questo pattern è proprio quel «viaggio dell’eroe», quelpercorso di graduale apprendimento e sviluppo che lo spettatore compie in-sieme alla sua immagine cinematografica, a quel protagonista che diventeràeroe sconfiggendo i propri limiti e le proprie paure, armato ora di una spadamagica, ora di una pistola, ora del proprio coraggio e della «forza» nasco-sta dentro di sé. La distinzione tra «Plot-driven stories», le storie in cui«l’elemento centrale è l’intreccio stesso [. . . ] che il personaggio deve af-frontare per raggiungere la meta» 35, e «Character-driven stories», dove «ilvero nucleo/filtro drammatico della vicenda drammatica è rappresentato dalpersonaggio, da come ostacoli e complicazioni si riflettono sulla sua interio-rità» 36 non ha più ragione d’essere, poiché, paradossalmente, proprio neglianni dell’effetto speciale senza confini, dove l’arte del mostrare non ha poten-zialmente più alcun limite, ci si trova a dover affrontare un pubblico che, invirtù di questo, ci dice Baudrillard 37, fatica a emozionarsi, è disilluso. Ancheil più roboante film d’avventura, dunque, dovrà sempre assicurare contenuti

35. L. Aimeri e G. Frasca, Manuale dei generi cinematografici. Hollywood: dalle origini

a oggi, Utet, Torino 2002, pp. 122-23.36. Ibid.37. Cfr. J. Baudrillard, “Il complotto dell’arte”, in M. Mazzocut-Mis, Dal brutto al

kitsch. Percorso antologico-critico, Cuem 2003, pp. 260-61.

17

Page 18: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

oltre la seducente cortina della computer-grafica. Per quanto spettacolarepossa essere, l’azione pura, senza immedesimazione, appare fredda, mentreanche il più ripetitivo dei videogiochi può emozionare nel momento in cuiriesce a creare l’atmosfera giusta, a coinvolgere.

Il pubblico eleggerà allora i propri modelli, dimostrando con l’affetto neiconfronti del personaggio principale e l’immedesimazione nelle sue peripezie,di aver ben compreso l’insegnamento della storia, decidendo di farlo proprio.Ovviamente è il protagonista, più di ogni altra figura, colui che incarna ivalori, i mutamenti e il percorso nel quale lo spettatore è chiamato, nelleintenzioni dell’autore, a riconoscersi. In questo è aiutato, nel divenire partedel mondo di fantasia creato dallo sviluppo della vicenda, dai personaggisecondari, i quali dovranno in ogni caso essere altrettanto credibili e coerenticon il filo della narrazione.

Dunque, per far sì che il personaggio appaia affidabile, solido e costrui-to in maniera intelligente anziché stereotipato, fondamentale è il concettodi «verosimile» perché la vicenda risulti credibile agli occhi dello spettatore.Tale caratteristica non implica necessariamente l’attinenza con una realtà ge-nerica, quanto piuttosto una coerenza con la realtà narrata nel film, qualun-que essa sia; coerenza che riguarda il comportamento dei personaggi quantole scelte di matrice stilistica, poiché se è vero che il film, specialmente quellodi avventura e fantasia, è un’esperienza che miri a essere (quasi) totalmen-te immersiva, un qualunque elemento dissonante avrebbe nello spettatorel’effetto sgradevole di un brusco risveglio.

Il film di genere si adegua al verosimile per instaurare una sorta dirapporto di complicità con il suo pubblico, il quale riconosce ciò che gliviene proposto e lo assume come realtà referenziale assoluta, perché ilriferimento non è la realtà effettuale, ma la diegesi rappresentata nelgenere. Il verosimile si conforma quindi alle aspettative dell’audience,per la quale saranno necessari un certo numero di tratti obbligatori ac-cettati dalla codificazione (i numeri musicali nel musical, il duello finalenel western, la strada perennemente umida e notturna del noir), masoprattutto, come afferma Marc Vernet, sono essenziali e discriminantiper la creazione di verosimile gli elementi che un film di genere non

deve comprendere: «non potrebbe esserci, per esempio, in un film po-liziesco un episodio cantato e danzato dal protagonista, oppure in unacommedia musicale una morte violenta particolarmente atroce». Si in-staura una specie di patto tra il film e il suo pubblico e questo accordonon dev’essere rotto, altrimenti verrebbe meno, con l’accettazione, lostesso piacere di fruizione filmica. 38

È un tacito accordo tra narratore e pubblico. Se nulla di sbagliato inter-viene a rompere bruscamente il passaggio dell’Io dello spettatore dalla realtàche lo circonda alla realtà fittizia dello schermo, la convenzione cinemato-grafica si tradurrà in accettazione di qualsiasi elemento di fantasia proposto,

38. L. Aimeri e G. Frasca, op. cit., pp. 52-53.

18

Page 19: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

a patto che chi racconta abbia preparato a dovere le fondamenta della pro-pria storia, ponendo le giuste premesse e creando nel potenziale pubblico leaspettative corrette. Citando Aristotele, il narratore potrà e dovrà, dunque,«preferire l’impossibile verosimile al possibile incredibile» 39, perché anche latrama più realistica può risultare falsa se porta con sé buchi evidenti, balzinarrativi non giustificati, o una caratterizzazione abbozzata e incostante deisuoi protagonisti: «se anche il personaggio che è alla base dell’imitazione èincoerente, e questo è dato come suo carattere, deve essere coerentementeincoerente» 40.

La continua spinta creativa verso la rappresentazione originale di stile-mi ben consolidati, rischia tuttavia di dipingere il cinema d’avventura comeforma di schiavitù per l’artista, soggiogato alle rigide leggi di mercato. Alcontrario, il poter usufruire di una struttura narrativa da sempre radica-ta nell’immaginario dell’uomo comune si rivelerà un aiuto importante perchiunque serbi comunque una buona inventiva, idee mai sfruttate, e sappiacostellare uno schema classico di elementi o letture innovative, per convo-gliare il messaggio, anch’esso in apparenza scontato – l’eterna lotta tra benee male, la crescita di chi impara dai propri errori, il superamento di limitie momenti di crisi – avendo prima efficacemente catturato l’attenzione dellospettatore. Che siano seguiti alla lettera, o stravolti in modo intelligente, glistilemi e i luoghi comuni propri dell’adventure movie non devono necessaria-mente essere visti come un punto d’arrivo obbligato, quanto piuttosto comeuno stimolante punto di partenza, e insieme compagni di viaggio dalle millerisorse. Se è vero che uno spirito creativo lasciato libero può dare vita aopere dal genio più sfrenato, è nell’inserimento della novità in ciò che appareovvio che si misura la genialità a prescindere, il talento che non può fare ameno di emergere.

Un’opera di genere deve contenere gli elementi di base, lo statuto in-terno del genere cui appartiene, ma al tempo stesso non deve esserela copia carbone di quanto già fatto. Deve operare qualche variazionerispetto al modello oppure svilupparlo. Lo scrittore e il regista, il di-rettore della fotografia e tutti gli altri tecnici che lavorano in un film digenere, con il loro contributo creativo possono ridefinire qualche aspet-to o contribuire a chiarificare il modello archetipico che sta dietro allastoria. Non solo, ma soprattutto il regista può anche imprimere unsuo marchio personale al film pur narrando per l’ennesima volta unavecchia storia. Spesso registi come Ford, Siegel e Leone hanno datoil meglio di sé proprio attraverso il loro genere preferito. In tal modoil film di genere diventa parte del folklore contemporaneo, parte dellanostra cultura popolare, ossia il modo in cui mettiamo ordine e diamosenso alla nostra vita. 41

39. Arist., Poet., 24, 27-28.40. Ibid., 15, 26-28.41. S. Kaminsky, “E se l’autore non fosse quello che noi pensiamo?”, in D. Audino (a

cura di), Contro l’ideologia del cinema d’autore, cit., p. 56.

19

Page 20: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

Ma se è vero che il successo di tale prodotto dipende soprattutto dallasapiente miscela di elementi ormai affermati nell’immaginario collettivo eoriginalità insita nella genialità autoriale, è altrettanto vero che un film chenon faccia altro che rispettare questi due criteri non ha ancora la garanziadi impressionare positivamente il pubblico.

Certo, l’appartenenza a un genere specifico potrà attirare già da sé lospettatore amante di quella determinata tipologia narrativa, e l’indispensabiledose di novità e qualità formale farà guadagnare al film il plauso della critica.Ma il pubblico di tutte le epoche, insegna Du Bos, ha un unico, principalecriterio di valutazione dello spettacolo d’intrattenimento: l’emozione 42.

Nella creazione di un buon film ecco allora apparire due nuovi elementida non sottovalutare, pena la realizzazione di un prodotto mediocre, senzascopo o, nel migliore dei casi, terribilmente noioso: la trama e il ritmo, af-fidati rispettivamente alla stesura del soggetto e, a partire da questo, dellasceneggiatura. Al primo va l’ideazione, specialmente in un film d’avventura,del percorso dell’eroe in ogni sua tappa, le motivazioni, i cambiamenti, lacaratterizzazione dei personaggi e il loro punto d’arrivo, oltre alla costruzio-ne di una serie di eventi che fornisca allo stesso tempo evasione e credibilità:laddove il percorso risulterà credibile, il coinvolgimento – dunque, appunto,l’evasione – dello spettatore sarà totale, evitando lo sgradevole effetto stra-niante di difetti o “buchi” narrativi troppo evidenti per essere ignorati. Lostraniamento, il costante richiamo alla realtà della sala, è il peggior nemicodel cinema d’avventura, che «predilige storie e personaggi di confine. Storiee personaggi, cioè, che vivono in quella zona di frontiera che separa quelloche tutti noi siamo da quello che vorremmo essere. O da quello che abbiamopaura di essere. O, ancora, da quello che mai e poi mai vorremmo esse-re. È una zona assai ricca, questa, è una miniera inesauribile di immaginie di emozioni, la natura della quale è intrinsecamente legata al cinema» 43.Ecco perché la maggior parte degli adventure movie predilige ambientazioninon esplicitamente definite, stravolte, o addirittura ricreate ex novo, mondifantastici, universi a sé, come a sé è la vicenda narrata, dotata di equilibriinterni e avvenimenti allo stesso tempo eccezionali e perfettamente credibili.

È in tali settingche si muove l’elemento cardine dell’intera narrazione,colui che sancirà o meno l’efficacia del prodotto: il protagonista. A lui spet-ta il gravoso fardello di catturare fin dalla sua apparizione le simpatie ela comprensione dello spettatore, chiamato a riconoscersi in tale figura, aparteggiare per lui nei momenti di maggior tensione e a compiere, secondoCampbell e i suoi discepoli più e meno espliciti, l’intero viaggio al suo fianco.È quindi essenziale innanzitutto che la prima, importante funzione “didatti-ca” del monomito venga rispettata: «eroe e spettatore devono innanzitutto

42. Cfr. J.B. Du Bos, Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura (1719), tr. it. diM. Bellini e P. Vincenzi, Aesthetica, Palermo 2005, pp. 346-47.

43. S. Napolitano, “Rigenerare il genere”, in D. Audino (a cura di), Contro l’ideologia

del cinema d’autore, cit., p. 26.

20

Page 21: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

condividere almeno in parte i valori che sostanziano le azioni della storia» 44.Se è vero che il racconto monomitico, il viaggio dell’eroe, è appositamentecreato per tramandare valori e insegnare a sconfiggere le difficoltà attraversola presa di coscienza e il superamento dei propri limiti e paure, è altrettantovero che tale insegnamento non può nascere dal nulla, ma dovrà basarsi sudi un substrato di princìpi e bisogni già radicato nella platea a cui si rivolge.

La condivisione implicita del messaggio della storia è già di per sé, quin-di, una buona base su cui costruire il rapporto spettatore-narratore, ma nonbasta. Buona parte della morale è infatti veicolata soltanto attraverso laconclusione della vicenda, così come la piena maturazione del personaggioprincipale, per quanto le sue motivazioni possano essere chiare fin dal prin-cipio (e spesso non è così). Occorre dunque che, insegnamento o meno, ilpersonaggio acquisti credibilità presso il pubblico, non soltanto attraversan-do le tappe del viaggio come susseguirsi meccanico di livelli di difficoltà, maanimato da un’idea che ne giustifichi costantemente l’agire: le sue motiva-zioni potranno allora mutare nel corso della vicenda (il protagonista cercala vendetta e scopre il perdono, per esempio), ma di passo in passo, le sueazioni non dovranno mai sembrare dettate esclusivamente da esigenze disceneggiatura.

Solo lavorando «sulla verità psicologica, con rispetto e attenzione verso ipersonaggi, con competenza drammaturgica e conoscenza dell’animo umano,e soprattutto senza la solita fretta di far capire le cose delegando tutto a deidialoghi didascalici, allora qualunque storia avrà delle buone possibilità diarrivare al cuore degli spettatori e dunque sperare di imporsi sul mercato» 45.È il ritorno a ciò che si è già definito il «verosimile» nel cinema di genere:obiettivo primario del narratore è proprio quello di convincere il pubblico,prima ancora di stupirlo con virtuosismi di carattere formale, che altrimentiresterebbero spettacolo magnifico per una sala vuota.

Una volta costruito un personaggio credibile, dotato di motivazioni al-trettanto credibili, egli è infine pronto per iniziare il proprio viaggio. Mase ormai appare chiaro che il «viaggio dell’eroe» è per definizione un per-corso di formazione, di perfezionamento, allora l’eroe stesso non è eroe findal principio; certo, il pubblico è portato da subito a individuare nel per-sonaggio principale il destinatario di tale importante carica, ma si tratta diun’investitura tutta da guadagnare. Almeno in principio (e spesso fino allafine, per non risultare falso) l’eroe è specchio fedele dell’uomo comune, condifetti e bisogni.

È d’obbligo dunque distinguere due differenti “origini” dello sviluppo del-la storia: da un lato si ha la causa scatenante della vicenda, quell’inizialerottura dell’equilibrio che sarà causa più o meno diretta della partenza, ca-

44. A. Cometti, “Come verificare una storia rispetto al suo pubblico”, in D. Audino (acura di), Il cinema è emozione ma l’emozione devi saperla costruire, cit., p. 67.

45. R. Mazzoni, “Come far nascere un’emozione”, in D. Audino (a cura di), Contro

l’ideologia del cinema d’autore, cit., p. 77.

21

Page 22: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

suale solo in apparenza, del futuro eroe della storia. Dall’altro lato si ha ilmomento in cui lo spettatore inizia davvero a sentirsi parte della vicenda,attraverso l’immedesimazione nel personaggio principale. Infatti, se il pri-mo incontro-scontro tra protagonista e antagonista può bastare a giustificarel’inizio della concatenazione di eventi che costituirà la trama dell’opera, es-so da solo non è sufficiente per garantire che questa coinvolga a dovere ilpubblico in sala. È necessario che il protagonista affronti una serie di «bi-vi», ciascuno dei quali costituisce per certi aspetti un dilemma morale o unaprova di valore nelle intenzioni prima che nelle azioni.

A ogni divaricazione, davanti a lui: la possibilità di non reagire e quel-la di reagire, principalmente; ma poi, in seconda battuta, come non-reagire (tornare indietro e cambiare strada? Aspettare?) o come re-agire (girandogli intorno? Scavalcandolo? Distruggendolo?). La sceltasvela il personaggio. [. . . ] In ogni caso è l’incontro con il bivio stessoche implica conflittualità nel personaggio, rispetto al suo progetto diviaggio verso la meta; è una complicazione: per quanto possa esseredi facile soluzione, l’incidente sarà comunque causa di un ritardo sullasua personale tabella. Si tratta di un conflitto e di un viaggio che vivecontemporaneamente il pubblico, per delega, attraverso il personaggio.Ecco perché è così importante costruire il protagonista e selezionare at-tentamente il momento e le modalità in cui entrerà a far parte delladiegesi, in funzione della creazione di un legame empatico con il pub-blico nel minor tempo possibile (meglio, alla sua prima apparizione).Il conflitto che il personaggio vive sullo schermo, articolato lungo ilviaggio, per il pubblico (nel pubblico) è emozione, coinvolgimento. Èun viaggio nel conflitto. 46

Ancora una volta, non si può fare a meno di leggere in tali tappe dicrescita del personaggio e del pubblico ben più che semplici echi delle teoriedi Campbell. Ancora una volta il processo di identificazione avviene secondole modalità del monomito. Lo spettatore non si appassiona a chi non superale prove con difficoltà, a chi non cambia, a chi non progredisce.

D’altro canto, così come si deve evitare che l’eroe affronti i pericoli coneccessiva facilità e senza esserne minimamente turbato, sarà bene far sì chetale percorso non sia costituito da un susseguirsi crescente di difficoltà sen-za pause di gratificazione, o la vicenda assumerà i connotati grotteschi delpercorso a “schemi” di un videogame. Al contrario, la strada da percorrere èquella del giusto equilibrio tra momenti positivi e negativi, tra miglioramentie peggioramenti, successi ed errori, per scongiurare la noia della prevedibilitàdi un processo dal ritmo e direzione troppo uniformi. Questo infatti permettedi «dare movimento a un ipotetico diagramma emozionale dello spettatore;controllare, ritmare, orchestrare le reazioni di chi vive la storia seduto nellasua poltrona, al buio: inchiodarlo al sedile, poi permettergli di rilassarsi, di

46. L. Aimeri, Manuale di sceneggiatura cinematografica, Utet, Torino 1998, pp. 172-73.

22

Page 23: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

sistemarsi meglio, di appoggiare il gomito e la testa alla mano per farglielasubito togliere facendolo nuovamente irrigidire» 47.

Non si deve inoltre commettere l’errore di voler mostrare tutto e subito.L’emozione dello spettatore medio va catturata gradualmente, attraversopassaggi ben distinti, facendo sì che dapprima egli possa affezionarsi alleperipezie dell’eroe, riconoscersi in lui e nelle sue azioni: solo a quel puntosarà pronto per seguire il suo alter-ego di celluloide in quello che Luca Aimeridefinisce il “rollercoaster” emozionale degli accadimenti di un film 48. Il giàcitato Luigi Forlai, che si ispira apertamente a Vogler nel suo approccioanalitico alla struttura narrativa del film o del racconto d’avventura, opta,come il suo modello, per una precisa divisione in tappe del plot, allo scopodi monitorare costantemente il ritmo e lo sviluppo della vicenda, arrivandoalla costruzione di un crescendo che sia però nel contempo sapientementeequilibrato. Il racconto è così costituito da quelle che definisce «StazioniBase», da seguirsi obbligatoriamente per garantire l’identificazione da partedel pubblico in chi le attraversa.

Innanzitutto, il punto di partenza è un «Bisogno Inconscio»: «è neces-sario che l’eroe non sia consapevole del suo bisogno inconscio ma il pubblicone deve essere consapevole. Solo in questo modo si genera un meccanismodi ‘tenerezza’ ed ‘empatia’ verso l’eroe che permette al pubblico di seguir-lo durante il suo percorso» 49; da tale bisogno ancora una volta dipende«l’Obiettivo» del protagonista. Ma al contrario del Bisogno Inconscio, essoè invece «molto specifico e definito. È importante che il pubblico alla finedel conflitto sia in grado di stabilire senza ambiguità chi ha vinto: l’eroe ol’Antagonista. L’obiettivo inoltre deve essere connesso in modo strutturalecon il Bisogno Inconscio perché questo permette di fare esplodere il conflittoal suo massimo livello» 50.

Ma si è già sostenuto che una vittoria troppo facile non comunica ciòche comunica invece il trionfo del bene quando tutto sembra invece ormaiperduto. Quindi la vicenda non può fare a meno di colui il quale ha il compitonarrativo di far sì che l’eroe non porti a termine la propria missione:

Dopo la presentazione dell’Obiettivo viene presentato colui il qualefarà di tutto per impedire all’eroe di raggiungere l’obiettivo stesso:l’Antagonista. Entrambi vogliono conquistare l’obiettivo e nessuno deidue cederà sino a che l’altro non avrà perduto. [. . . ] L’antagonista de-ve essere “necessario” cioè deve essere il personaggio che meglio di ognialtro può colpire la debolezza (il bisogno inconscio) dell’Eroe. È pro-prio il fatto che l’Antagonista sia necessario, cioè sia il peggior nemicopossibile per ogni specifico Eroe, che impedisce il compromesso di cuiparlavamo all’inizio. Eroe ed Antagonista “devono” combattersi fino

47. Ibid., pp. 189, 191.48. Cfr. ibid., p. 210.49. L. Forlai, “E se Terminator 2 fosse uguale a Lezioni di piano?”, cit., p. 104.50. Ibid.

23

Page 24: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

alle estreme conseguenze perché solo in questo modo possono seguireil loro destino interiore. La Guerra con l’Altro è perciò necessaria allaloro stessa esistenza, alla loro stessa identità. 51

Ha così inizio l’appassionante crescendo del conflitto, in realtà compostodi due parti ben distinte. Inizialmente esso appare quasi come uno scon-tro indiretto, una serie di azioni-reazioni in cui i contendenti possono anchenon incontrarsi, rendendo così ancora più forte l’attesa per lo scontro riso-lutore. È la «Stazione Base della Guerra», durante la quale «ogni azionedel percorso può essere vista come una mossa dell’Eroe e una contromossadell’antagonista. Lo scontro è di tale livello che ad ogni attacco l’altro corri-sponde con un innalzamento del livello dello scontro. Nessuno dei due cedefino alla Battaglia Finale» 52. Quando l’incontro tra le parti è infine inevita-bile, poiché il climax del conflitto ha raggiunto il suo apice, è il momento della«Battaglia Finale», alla quale corrisponde una battaglia ben più importan-te, condizione essenziale per la vittoria, ovvero l’affermazione dell’effettivamaturazione dell’eroe: «in questa Stazione si decide chi conquista l’obiettivoconcreto che i due duellanti vogliono ma in realtà si definisce anche l’ultimoanello dei cambiamenti a cui è andato incontro l’eroe» 53. Il trionfo del pro-tagonista, e del pubblico con lui, avviene solamente una volta soddisfatta lacondizione essenziale che Forlai definisce «Auto-scoperta», ottenuta al ter-mine di un percorso che culmini soltanto attraverso la risoluzione drasticadel conflitto che aveva originato l’intera vicenda, come dimostrazione ulti-ma dell’avvenuto mutamento. L’eroe prende infine coscienza della necessitàdi un cambiamento, trova in sé la forza per superare il Bisogno Inconscioche ne aveva fino a quel momento rallentato il cammino, e trae da tuttoquesto l’insegnamento necessario a mostrarsi migliore della sua contropartemalvagia, per sconfiggerla una volta per tutte.

Anche Dara Marks, script consultant al pari di Chris Vogler, parla di«arco di trasformazione del personaggio»: tale teoria non è altro che la di-mostrazione di come Hollywood si sia servita e si serva ancora stabilmentedi topoi propri del mito o della narrativa blockbuster di qualunque genere oepoca. Ciò che per Campbell pareva nel contempo dimenticato e indimenti-cabile poiché parte e simbolo del percorso di crescita personale di ogni essereumano, è oggi insegnato nelle scuole di sceneggiatura, ed è il criterio fonda-mentale su cui si basa chi è pagato per selezionare gli script e pronosticarneil successo. Secondo Dara Marks, «l’arco di trasformazione prende le mossedal [. . . ] ‘fatal flaw’ del personaggio – la carenza essenziale, l’errore fatale

del personaggio – definita come ‘la condizione del personaggio se non cresce

e non cambia’» 54.

51. Ibid., pp. 104-105.52. Ibid., p. 105.53. Ibid.54. D. Costantini e G. Ventriglia, “Il film come arco di trasformazione del personaggio”,

in D. Audino (a cura di), Impariamo a scrivere meglio le nostre storie, Dino Audino, Roma

24

Page 25: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

Quel cambiamento che per Campbell era da un lato conseguenza natu-rale del viaggio dell’eroe, dall’altro il significato che nella psiche umana taleviaggio nascondeva – come metafora della crescita e del passaggio “eroico”da infanzia a età adulta – ora è considerato addirittura condizione essenzialeperché l’eroe sopravviva. Non cambiare significa non sopravvivere: «il pro-tagonista della storia viene a trovarsi in una situazione di crisi, il suo mododi vita non gli permette né lo spinge ad uscirne: deve quindi affrontare, con-sapevolmente o inconsapevolmente, la sfida del cambiamento – della propriatrasformazione – pena la propria ‘morte’, reale o metaforica» 55.

Rispetto ai suoi colleghi, però, Dara Marks divide il percorso del pro-tagonista in tre sole parti, questa volta non più successive ma sviluppatein parallelo: una è la trama principale, che prevede le avventure vissute ef-fettivamente dall’eroe, le prove affrontate, i nemici sconfitti, e tutti quegliavvenimenti che a un’analisi di livello più superficiale sembrerebbero già diper sé garantire l’immedesimazione dello spettatore. Ma la suspense natura-le di concitate scene d’azione è ben diversa dal riconoscersi nel protagonistadi tali scene, e la trama principale non può fare a meno dei suoi subplot, sot-totrame meno evidenti, ma altrettanto importanti a un livello più profondo:esse infatti seguono lo sviluppo caratteriale ed emotivo del personaggio, esono la chiave perché lo spettatore possa immedesimarsi nell’eroe, nei suoipensieri, nelle sue preoccupazioni e nei suoi sentimenti.

La storia A, o trama (plot), è il “viaggio del protagonista nel mondo

esterno”,ossia ciò che il protagonista affronta (ostacoli, impedimen-ti, complicazioni) per conseguire il suo obiettivo dichiarato [. . . ]. Lastoria B, definita sottotrama (subplot) primaria, poggia su una dimen-sione relazionale – amore, amicizia, famiglia, ambiente di lavoro – efunziona da luogo in cui si innesca o si manifesta nelle storie A e C.[. . . ] La storia C, o sottotrama (subplot) secondaria, è il percorso ditrasformazione interiore del personaggio, l’acquisizione della necessitàdel cambiamento insieme con l’effettivo processo di mutamento. 56

È quindi assolutamente possibile, oltre che molto frequente, che i sub-

plot non abbiano esclusivamente la funzione di un approfondimento, di unabbellimento alla trama principale, ma che finisca con l’intersecarsi con que-sta, con l’imprimerle una direzione precisa, influenzandone l’andamento inmodo deciso e definitivo. Il particolare in apparenza più insignificante può,in un secondo momento, rivelarsi la causa scatenante del conflitto che fada motore alla vicenda. Senza esagerare, un film si dimostrerà elaborato eoriginale sul piano della costruzione della trama, quanto più saprà stupire ilpubblico con tali espedienti, costringendolo a porre una continua attenzio-ne ai segnali disseminati soprattutto nella prima parte del racconto, quella

1997, p. 29.55. Ibid.56. Ibid., pp. 29-30.

25

Page 26: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

in cui il narratore inizia a disporre i pezzi della storia sulla sua personalescacchiera di celluloide. Spesso così i subplot, o gli “indizi” da essi disse-minati nella trama, diventano parte dell’iconografia propria del cinema digenere: il flash-back su eventi traumatici che hanno segnato la vita di unpersonaggio scontroso, solitario o egoista, pronto però a tornare sui suoi pas-si e soccorrere il protagonista nella battaglia finale, anche a costo della suastessa vita; o la semplice storia d’amore che sboccia, improvvisa e passio-nale, tra i due protagonisti che fino a quel momento non avevano fatto chebisticciare (e al risveglio il mattino dopo lei è sparita, rapita dal malvagio diturno, costringendo l’eroe a intraprendere un lungo e periglioso viaggio. . . ).Se sapientemente gestito, l’ordine delle scene, la loro concatenazione causale,potrà giocare con le aspettative del pubblico, soddisfarle o sorprenderle percrearne immediatamente di nuove, senza naturalmente che questi perda il filonarrativo dell’intera vicenda. I sub-plot possono essere ottimi distributori diindizi, piccoli focolai di stimolo della curiosità dello spettatore ad accompa-gnare la tensione (in senso positivo) per l’andamento della trama principale,la quale, a sua volta, dovrà evitare che la platea si smarrisca, guidandola se-condo passaggi chiari, non necessariamente lineari sul piano cronologico (filmcome Memento 57 di Christopher Nolan ne sono esempio lampante), purchéalla fine della proiezione al pubblico tutto sia stato spiegato o comunque resocomprensibile, in maniera più o meno esplicita.

La sceneggiatura, nel suo complesso, non deve essere giustapposizio-ne di eventi, ma concatenazione; non deve essere paragonabile a unacronistoria, in cui i fatti riportati non rispondono a criteri drammaticinella loro correlazione: la sceneggiatura deve suscitare uno specificointerrogativo nello spettatore, “Che cosa succederà adesso?”. Causa;“Che cosa succederà adesso?”; Effetto. Ma non è sufficiente: l’effettodeve a sua volta trasformarsi in causa che provochi altri effetti. La ca-

sualità deve essere rimpiazzata dalla causalità, la storia deve diventareplot. 58

Ovviamente, non basta inserire tali elementi qua e là nel racconto perrenderlo appassionante, coinvolgente o più intenso e veritiero. Specialmentenel cinema d’avventura, dove il rischio che il prodotto di genere sfori nel-lo stereotipo (dunque nel ridicolo involontario, uno dei rischi peggiori perun film d’azione) è più elevato, sono necessarie altre scelte, di carattere piùprettamente stilistico, che all’uso di figure appartenenti all’immaginario col-lettivo coniughino un buon ritmo e giuste scelte di tempo nell’utilizzo ditrame principali e secondarie: è questo il compito fondamentale della sce-neggiatura. Vi sono ad esempio momenti nei quali l’incrociarsi di trame esottotrame in immagini dal ritmo elevato assume l’aspetto di un crescendo,

57. Memento, regia di C. Nolan, Newmarket Films, USA 2000.58. L Aimeri, Manuale di sceneggiatura cinematografica, cit., p. 123.

26

Page 27: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

di un incalzare emotivo, in cui si fa avanti il talento dell’autore non più so-lamente nel decidere che cosa raccontare, ma anche come raccontarlo: sonoproprio tali possibili varianti a mostrare come un adventure movie destinatoa un pubblico di massa possa comunque essere allo stesso tempo fortementecondizionato dalle scelte stilistiche e, dunque, anch’esso film “d’autore”.

Il suspense è prima di tutto la drammatizzazione del materiale narrati-vo di un film o almeno la presentazione più intensa possibile delle situa-zioni drammatiche. Un esempio: un personaggio esce di casa, sale sultaxi e corre verso la stazione per prendere il treno. È una scena normaleall’interno di un film medio. Ora, se prima di salire sul taxi quest’uomoguarda il suo orologio e dice: “Mio dio, è spaventoso, non prenderò maiil treno”, il suo percorso diventa una pura scena di suspense, perchéogni semaforo, ogni incrocio, ogni vigile, ogni movimento della leva delcambio vanno a intensificare il valore emozionale (drammaturgico) del-la scena. Una tale decisione di drammatizzazione non può funzionaresenza arbitrarietà, ma l’arte sta proprio nell’imporre questa arbitrarie-tà. Aggiungo che ciò che rende una sequenza indimenticabile, spessosta nel plusvalore drammaturgico di un dettaglio. Dalla scelta di queldettaglio, sempre arbitraria, a volte dipende tutto un film. 59

Questo fa capire anche come, nella creazione di un racconto filmico (lasemplice parola “film” a questo punto suona come una limitazione del di-scorso al piano tecnico-realizzativo) nulla sia lasciato al caso. Lo spettatorepretende – e in questo, attenendosi a un punto di vista puramente narrativo,non gli si può dar torto – che ogni scena, ogni inquadratura, abbia ragiond’essere, un preciso significato e motivazioni forti ai fini dello sviluppo dellastoria. È un passaggio che deve esser chiaro fin dalla stesura della sceneg-giatura: «senza personaggio non c’è azione; senza azione, niente conflitto;senza conflitto, niente storia, e senza storia, non c’è sceneggiatura» 60, e so-prattutto «L’azione è il personaggio, una persona è ciò che fa, non quelloche dice di essere» 61.

Nella narrazione cinematografica non esistono spazi per riferire pensieri,sentimenti o concetti astratti se non attraverso le immagini. Non possonoesistere immagini “inutili” in un racconto per immagini, perché il pubblicosi aspetta di trovarvi comunque un significato che aiuti a comprendere ladirezione presa dalla trama. Chiunque faccia cinema con scopi anche par-zialmente diversi, non narrativi, farà bene a specificarlo, quindi, o incorrerànelle ire di un pubblico tradito.

Una scena, come una sceneggiatura, è composta da un inizio, unaparte centrale e una fine. Si può pensare a una scena come se fosse

59. D. Sacchetti, “Ripartiamo dai fondamentali”, in D. Audino (a cura di), Fare cinema

e TV di qualità e non d’élite, Dino Audino, Roma 1995, p. 90.60. S. Field, La sceneggiatura. Il film sulla carta (1984), tr. it. di G. Lagomarsino,

Lupetti, Milano 1991, p. 42.61. Ibid.

27

Page 28: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

una sceneggiatura in miniatura, composta da tutti gli stessi elementi.In altre parole, la scena ha inizio in un punto dell’azione e porta versoun altro, cioè il climax o la parte finale della scena stessa. Come per lasceneggiatura, bisogna sapere in anticipo la fine prima di cominciare ascriverla, poi si lavora all’indietro dalla parte finale della scena versoquella iniziale. Ogni scena deve avere uno scopo. Senza uno scopo lascena non funziona. [. . . ] Trovare qual è il fine della vostra scena viaiuterà a definirla meglio. Forse la scena ha lo scopo di introdurre unastoria d’amore, di far vedere un delitto, di piazzare un indizio che undetective dovrà scoprire. Sapere qual è il vostro scopo vi aiuterà ascrivere in maniera concreta e mirata e vi indicherà una direzione daseguire. [. . . ] Ogni scena che non sia di raccordo ha un inizio, unaparte centrale, ed una fine, ma in più dovrebbe avere una direzione.Quando una scena comincia deve portarci da qualche parte. Alla finedella scena il personaggio deve aver raggiunto un punto drammatico piùalto rispetto all’inizio. Ogni scena deve avere un climax, che porteràil personaggio verso la scena seguente, altrimenti la vostra scritturarimane episodica, senza né direzione né struttura. 62

Non necessariamente questo significa, opinione invece facilmente riscon-trabile, la diffusione di film senza alcuna ambizione artistica. La ricerca diun pubblico non deve corrispondere a una resa sul piano della qualità, el’universalità di temi ed elementi non deve comportare l’obbligo di adagiar-si su di una eccessiva semplicità formale che, al contrario, non è mai veraattrattiva per uno spettatore medio troppo spesso sottovalutato.

La vera sfida per il narratore moderno non è quindi la creazione diun’opera inattaccabile perché troppo personale per essere giudicata obiet-tivamente, quanto piuttosto il riuscire a coinvolgere attraverso l’uso di figuree schemi ben collaudati, appassionare e insieme insegnare qualcosa, soddisfa-re le richieste dello spettatore e insieme stupirlo con un prodotto originale.Sta a ogni autore di cinema che voglia ottenere tale effetto il compito dicercare di non complicare o turbare in alcun modo il processo di “immer-sione” dello spettatore, facendo sì che proprio grazie a tale avvicinamentototale alla vicenda narrata egli possa eludere la semplice fruizione passivadello spettacolo, per diventarne, almeno dentro di sé, parte attiva attraversola compassione e la partecipazione, e in definitiva velato e reale protagonista.

3 Conclusioni

Dalle pitture rupestri a Star Wars, l’uomo ha sempre raccontato storie, af-fascinato un pubblico, cercato risposte, e ogni volta lo ha fatto attraversole medesime figure, simboli e percorsi. Anche oggi, nel rocambolesco mon-do dell’intrattenimento moderno, lo sceneggiatore ha sostituito lo sciamano,

62. R. Ballon, “L’ABC dello sceneggiatore esordiente”, in D. Audino (a cura di),Impariamo a scrivere meglio le nostre storie, cit., pp. 55-56.

28

Page 29: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

l’autore di best-seller il cantastorie, ma il protagonista di miti, favole e rac-conti resta tutt’ora insostituibile. Perché dietro a Teseo smarrito nel labi-rinto, dietro alla Passione di Cristo, dietro alla vendetta di Edmond Dantès,dietro a Luke Skywalker e Han Solo si cela sempre lo stesso, irrinunciabilepersonaggio principale, fedele ritratto del proprio pubblico: l’uomo.

Lo spiega efficacemente Jean-Baptiste Du Bos: la storia vera è scrit-ta per il pubblico, il narratore trae successo e piacere dal coinvolgimentoemotivo dello spettatore, secondo canoni tanto individuali quanto univer-sali, perché la passione non segue, a lungo termine, il giudizio elitario delcritico, ma nasce dall’esperienza emozionale del singolo 63. Nel contempo,pur nell’impossibilità di codificare regole certe d’immedesimazione, laddovela storia riuscirà a comunicare princìpi primordiali e condivisi, mantenendoun legame forte, per quanto indiretto, con la realtà quotidiana, essa avràdi partenza tutte le possibilità di raggiungere il proprio scopo. L’abile nar-ratore, sostiene infatti Du Bos, è colui il quale riesce a catturare per lavicenda un’attenzione non fine a se stessa, ma che diventi mezzo efficace eindispensabile per veicolare un preciso messaggio, un insegnamento 64.

Lo scopo del racconto allora è duplice, e ognuna delle due declinazioniè funzionale all’altra: chi racconta vuole e deve intrattenere, emozionare,coinvolgere lo spettatore, tenerlo vicino a sé per tutta la durata della storia,e solo alla fine liberarlo, per lasciarlo tornare a casa con qualcosa in più.Ma proprio quel “qualcosa in più” è la seconda, fondamentale funzione dellanarrazione: è un dono di riscoperta, poiché soltanto al termine dell’interoviaggio lo spettatore è pronto a capire che il motivo per cui determinatielementi lo hanno così colpito, facendo sì che si immedesimasse con tantotrasporto nella figura del protagonista, è che tali figure giacevano sopite inlui, in attesa di essere risvegliate da una storia in grado di toccare le cordegiuste.

E così ecco il mito, ecco la tragedia e la commedia, ecco il teatro, i ro-manzi, i film. Oggi più che mai il cinema, soprattutto quello americano,continua con rinnovato vigore a fabbricare sogni in formato kolossal a uso econsumo dello spettatore medio, grazie ai costanti e inarrestabili progressinella realizzazione degli effetti speciali, condizione apparentemente irrinun-ciabile per un prodotto cinematografico di sicuro intrattenimento: nulla èimpossibile e tutto appare, sul piano visivo, assolutamente credibile.

Ma anche nell’era della computer-grafica e delle favole ad alta tecnolo-gia, la storia, la trama, il racconto in ogni sua tappa, occupano nella mag-gior parte dei casi un posto di enorme rilevanza. Dimostrazione principaledell’universalità del modello monomitico è allora proprio il suo persisterein un genere come l’adventure movie, dove, puntando sulla semplice spetta-colarità dell’immagine per affascinare uno spettatore senza eccessive prete-

63. Cfr. J.-B. Du Bos, op. cit., pp. 295-96.64. Cfr. ibid., p. 51.

29

Page 30: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

se, si potrebbe in apparenza tranquillamente fare a meno di una strutturanarrativa ben studiata.

È invece proprio il film d’avventura, più di ogni altro genere cinema-tografico, a offrirci oggi di frequente la possibilità di un salutare ripasso:immagini spettacolari assicurano il fascino del momento nella singola scena,mentre meccanismi di suspense ben congegnati garantiscono a lungo terminel’attenzione dello spettatore, creando aspettative, stimolando affetti, giocan-do con colpi di scena e climax di tensione. Il mestiere dello sceneggiatoreè ricco di spunti ed espedienti per spaventare, appassionare, commuoverechi assiste alla narrazione filmica, in una dimensione che sia sempre piùimmersiva, anche nella riproduzione credibile dell’incredibile.

Ma soprattutto, ogni giorno di più Hollywood sceglie di narrare le storie dieroi in fieri, personaggi in apparenza comuni spinti da una serie di eventi ma-gistralmente architettati ad abbandonare la comoda routine domestica, peraffrontare prove, nemici e, soprattutto, quella metà oscura nascosta in ogniuomo, di cui il più classico degli antagonisti da film non è che la proiezione.

Al di là del setting spazio-temporale specifico della vicenda narrata, infat-ti, ogni «viaggio dell’eroe» ci mantiene con il fiato sospeso e un vivo interessesoprattutto in virtù di ciò che ci ripete costantemente: ciò a cui stiamo as-sistendo potrebbe succedere a ciascuno di noi. Il coraggio, l’ottimismo, lapresa di coscienza dei propri difetti e la scoperta del modo migliore per su-perarli, il valore dell’amicizia o dell’amore, sono grandi temi in cui è facilericonoscersi, anche confinati nel mondo “altro” della sala di proiezione. Ècosì da sempre, dai racconti intorno al fuoco ai poemi epici, dall’Enrico V

a Matrix. Chi si farà prendere dalla storia sarà costantemente pungolatodal ricorrere di mille domande: “Cosa farei io al posto suo? Come reagirei?Scapperei? Mi batterei? Riuscirei a sconfiggere il drago? Troverei il coraggiodi salvare la principessa?”, e se lo spettatore potrà trovare in se stesso rispo-ste soddisfacenti uscirà dalla sala trasformato. Chi invece riuscirà a cogliereconsapevolmente, oltre che inconsciamente, il messaggio nella metafora al dilà del racconto di fantasia, capirà ciò che ogni racconto eroico in realtà vuolecomunicare, e cioè che, attraverso piccoli eroismi quotidiani, anche viverepuò essere una grande avventura.

E se è vero che i film d’avventura utilizzano nella maggior parte dei ca-si la formula narrativa del monomito teorizzata da Campbell, a sua voltaelaborazione fantastica delle tappe di crescita dell’uomo comune, allora sipotrebbe quasi affermare che in ogni potenziale destinatario tale consape-volezza giaccia sopita, in attesa di essere risvegliata dall’opera giusta. Eccoperché è bene fare molta attenzione a non sottovalutare l’impegno intrapresonella realizzazione di tali film.

Non sempre però questo succede: tale formula non deve diventare qual-cosa su cui adagiarsi, dandola per scontata. Chiunque si limiti a elencare letappe del viaggio con la freddezza di un videogame produrrà film nel miglioredei casi scontati, banali e prevedibili nella trama. E se è vero che lo spettato-

30

Page 31: Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell'eroe tra mito e ... · archetipica (la storia di un bambino che diviene ragazzo, o del risveglio al mondo che si apre nell’adolescenza)

ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

re accetta, più o meno inconsciamente, la prevedibilità, in virtù di una tacitaconvenzione basata sulla rassicurante ripetizione di determinate strutture, èaltresì vero che a tale percorso devono corrispondere credibilità, simpatia ecompassione, senza le quali anche gli effetti speciali non possono compieremiracoli: come efficacemente ribadito da Baudrillard, l’illusione troppo rea-listica e fine a se stessa porta alla disillusione, la ripetitività ingiustificataprovoca soltanto disinteresse.

Il ricorso a schemi narrativi consolidati deve essere allora sempre motivatoda un fine preciso, da un messaggio da veicolarsi attraverso i mutamentiche caratterizzano il protagonista del viaggio. Cambiamenti troppo bruschi,personaggi inespressivi o prigionieri di uno stereotipo, la mancanza di unoscopo, faranno piuttosto apparire il racconto struttura una mera operazionedi marketing basata sul successo di una prima geniale intuizione, di cui si èfinito col perdere lo spirito originario. Proprio il freddo utilizzo di struttureconsiderate di sicuro successo si rivela dunque, nelle mani di narratori senzapersonalità, una prigione per lo slancio creativo, una gabbia per chi non visi sappia muovere con sufficiente disinvoltura e originalità.

Da un lato si può quindi affermare che la spettacolarità della forma, inun adventure movie ben riuscito ed efficace, non è mai fine a se stessa, maè piuttosto un mezzo attraverso cui attirare l’attenzione dello spettatore econiugare intrattenimento e insegnamento morale. Dall’altro si osserva in-vece come quello che in apparenza è cinema di puro divertimento rispondapiuttosto a una precisa domanda, più o meno consapevole, da parte delpubblico medio, che avrà sempre bisogno di un rassicurante racconto che ri-badisca periodicamente, seppure ogni volta in forma diversa, valori universalie messaggi positivi, o, semplicemente, la possibilità di un lieto fine.

Stefano Benedetti

Stefano Benedetti (Milano, 1982), si è laureato in Scienze dello Spettacolo e della Comu-

nicazione Multimediale presso l’Università degli Studi di Milano con una tesi in Estetica

dello Spettacolo dal titolo L’eroe senza tempo. L’avventura nel cinema contemporaneo

americano tra mito e melodrammatico. Ha collaborato dal 2005 al 2007 con l’Università

degli Studi di Milano, lavorando insieme agli stagisti della scuola Centro Teatro Attivo di

Milano come assistente alla regia, con particolare attenzione allo studio e alla rielabora-

zione di testi drammaturgici. Attualmente insegna recitazione in alcune scuole elementari

ed è tra i coordinatori del progetto “Racconto Italiano” del teatro Franco Parenti.

31