dal mio carteggio personale con un poeta che ci ha lasciato

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Dice Zolo - citando Gehlen - che la "sicurezza" con la quale un animale sembra muoversi nel suo ambiente specifico si deve alla circostanza che tale animale si trova a contatto soltanto con oggetti e obiettivi a lui ben noti, che non lo sorprendono e non lo intimidiscono. Sono dei veri e propri "portatori di significato" che appartengono alla sua specifica area semantica. I Il che significa - credo - che se oltrepassi la paura non ti resta che riconoscere la "forma esatta" della tua chiamata.

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Page 1: dal mio carteggio personale con un poeta che ci ha lasciato

Dice Zolo - citando  Gehlen - che la "sicurezza" con la quale un animale sembra muoversi nel suo ambiente specifico si deve alla circostanza che tale animale si trova a contatto soltanto con oggetti e obiettivi a lui ben noti, che non lo sorprendono e non lo intimidiscono. Sono dei veri e propri "portatori di significato" che appartengono alla sua specifica area semantica.  I

Il che significa - credo - che se oltrepassi la paura non ti resta che riconoscere la "forma esatta" della tua chiamata.

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Caro Marco,

sono rientrato oggi a Bologna e ho appena finito di leggere il testo che mi hai sottoposto. Lo trovo interessante, nonostante, come avrai intuito, sia più propenso ad un pensiero più ermeneutico, che analitico. Comunque ne condivido pienamente la Junghana conclusione.

Vi ho trovato un po' sacrificato il pensiero di Heidegger, che mal si presta, dal suo versante ontologico, ad una comparazione di tipo psicologica.

L'angst di Heidegger si apre all'autentica percezione della vita, ed è guarigione, mentre il "panico" in questione resta chiuso nella cecità dell'esistenza, ed è malattia.

L'argomento è complesso. E subito pone a confronto una diversa maniera di concepire il tempo (Kronos-Kairos, come vi ho riscontrato).

Sono solo alcune considerazioni "a caldo". Meditiamoci...

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Caro Marco,

l'ermeneutica si rivolge al pensiero dell'essere, a quella percezione che si manifesta nella svelatezza della sua potenzialità, sulla via che dal particolare conduce all'universale (verso, se vuoi, l'individuazione dell'archetipo).

Il "particolare" rimane dominato dalla paura e dal panico proprio in quanto incapace di aprirsi all' "universale" (questo è, a mio avviso, il limite del sistema analitico, il quale, dal punto di vista filosofico, finisce per diventare, come sosteneva K. Kraus, l'origine dei mali che pretende di curare).

Incapacità di aprirsi all' "universale" significa incapacità di attraversare archetipicamente l'originaria angoscia della nostra condizione umana, quella dettata dalla consapevolezza della nostra mortalità e della nostra costitutiva impossibilità di dominare razionalmente il senso del nostro essere-al-mondo, del nostro dasein.

Incapacità, in sostanza, di abbandonarsi al leopardiano naufragio, quello che riporta il senso cronologico dell'infinità del tempo alla sua manifestazione cairologica, al suo eterno presente.

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L'animale, in riferimento alla tua citazione, vive una condizione "edenica" che per noi, esseri razionali, è perduta (anche in questo Leopardi insegna).

L'umanità è tale in quanto, a differenza dell'animalità, è chiamata a confrontarsi con la propria ragione, e in questo destinata a prendere coscienza, di fronte all'insondabile mistero dell'esistenza, della scepsi, dell'infinita vacuità del tutto, della perdita di senso d'ogni significato.

In questo nulla, in questo non-essere nel quale naufraga la nostra razionale esistenza, qualcosa tuttavia è: il nostro esserci.

Nell'abbandono a questo naufragio della ragione, in questa "radura dell'essere", nell'insondabile potenzialità che in essa si manifesta, ecco che l'angoscia è già pronta a trasformarsi in stupore e lo stupore in meraviglia.

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Dal mistero dell'esistenza al miracolo della vita. Il nichilismo, l'angoscia da cui esso promana, è soltanto un passaggio, ma un passaggio obbligato, quello che ci mette al cospetto del fenomeno, della sua essenza: la notte oscura che precede ogni autentica conoscenza.

In questa lichtung, in questa radura dell'essere, la verità, tuttavia, quell' icona che ti permette di attraversare il confine tra il visibile e l'invisibile, non sarà più intesa come adequatio intellectus et rei, come razionale certezza e dominio della realtà, come idealistica affermazione del principio di identità, quello che pretende  di equiparare il pensiero all'essere, quello che sostanzialmente regge la nostra civiltà della tecnica, fomite di panico e sentìna di paure, bensì la verità sarà intesa come alètheia, come svelatezza, così come la concepivano gli antichi greci, unaverità kantianamente indefinibile, mostrabile ma tuttavia indimostrabile, irraggiungibile ma tuttavia perseguibile.

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Ecco allora che il "pensiero dell'essere", quello capace di porsi al cospetto del mistero e della verità che in esso si manifesta, non sarà più il pensiero analitico, calcolante, bensì, come ci indica Heidegger, sarà il pensiero poetante, quel pensiero capace di ricomporre l'oblio dell'essere, il pensiero rammemorante, quell'ultrafilosofia  capace di aprirsi alla rivelazione e alla redenzione, quel genio poetico (per dirla con Florenskij) evocato dal valore magico della parola. Benché non certamente esaustiva dell'argomento, termino per il momento qui la mia risposta. Un caro saluto. 

Dal mio carteggio personale con un grande giovane poeta che ha già oltrepassato la zona : Luca Michelini